RASSEGNA STAMPA 01/06/2014 LINCEI: TAGLI E RIFORME SBAGLIATE, COLPI MORTALI PER LA RICERCA NEL 2013 LAUREATI PIÙ PUNTUALI E INTERNAZIONALI CRENOS: ECONOMIA SARDA SEMPRE IN AFFANNO BENE IL TURISMO CRENOS: REDDITI GIÙ, ISOLA IN CODA ALL’EUROPA ABILITAZIONE DEI DOCENTI, GIÀ 800 I RICORSI AL TAR LENZI (CUN):OFFRIAMO PREPARAZIONE ELEVATA, MA CARENZA DI RISORSE POCHI, RESISTENTI, GIOVANI, PRECARI: I LAUREATI NEGLI ANNI DI CRISI UNIVERSITÀ, RICERCATORI: 3 SU 100 VANNO AVANTI TEST MEDICINA: DOCIMO: PERCHÉ DICO SÌ ALLO SVOLGIMENTO DEI QUIZ TEST MEDICINA: NO, È MEGLIO CHE LA SELEZIONE INIZI PRIMO ANNO TEST MEDICINA: IL GOVERNO SI SPACCA SULLA RIFORMA TEST MEDICINA: PERCHÉ LA LORENZIN HA CAMBIATO IDEA? TEST MEDICINA: LORENZIN CONTRO IL NO DI GIANNINI SAPIENZA, LA SFIDA ROSA NELL'UNIVERSITÀ DEI MASCHI DIRITTO ALL'OBLIO, IL RISCHIO DI UN EFFETTO BOOMERANG PER IL WEB PA:BUROCRAZIA A UN PASSO DALLA RESA PA:L'OBBLIGO DI OPEN DATA DERIVA DALLA COSTITUZIONE I GRANDI DATABASE UTILI PER DECIDERE PRIVACY A MISURA DI ANTICORRUZIONE PRIVACY: NON AVETE NIENTE DA NASCONDERE? E ANCHE HARVARD «CEDE» ALLE LEZIONI IN RETE SCIENZA E DESIGN CONTRO I MOZZICONI COSTI DELLA POLITICA: GLI ANTICHI GRECI NON STAVANO MEGLIO STABILITÀ IN VOLO GARANTITA PER IL PALLONE DEI MONDIALI ========================================================= LORENZIN: LA SANITÀ NON È SOLO RAGIONERIA OTTO PROPOSTE PER RIFORMARE (SENZA TAGLIARE) LA NOSTRA SANITÀ LA SCOPERTA "MISTERIOSA" DELLA NEOELETTA GRILLINA GIULIANA MOI PAGELLA AL SERVIZIO SANITARIO. NON SI ARRIVA ALLA SUFFICIENZA "TRIPADVISOR" SALUTE. PER IL 73% MEGLIO CONSIGLI DEI MEDICI ASL7: ACQUISTO UFFICI: PECULATO, CALAMIDA NEI GUAI ASL1: CARDIOCHIRURGIA AL CIVILE:REPARTO MIGLIORE D'ITALIA PROPOSTA. CENTRALI UNICHE DI SPESA E RIORGANIZZAZIONE ANTI-SPRECHI ODONTOIATRIA: IL RITORNO DI UN TALENTO SARDO IN FUGA NEGLI USA EROGAZIONE LEA 2012. SALGONO A 15 LE REGIONI "ADEMPIENTI" WIKIPEDIA, ERRORI IN 90% DELLE VOCI SULLA MEDICINA STAMINA: STRASBURGO:STOP A CURE EFFICACIA DEL METODO NON PROVATA" COME CAMBIA LA MEDICINA, TRA FORMAZIONE E TECNOLOGIA MOGLIE BARONE TENTA CONCORSO: RIMOSSO COMMISSARIO SGRADITO PALERMO: IL CONCORSO ERA PILOTATO» ACCUSE AL PRORETTORE CLINICAL TRIALS. SULLA GU EUROPEA IL NUOVO REGOLAMENTO IL VIRUS DEL MORBILLO BATTE IL TUMORE BYPASS DI CELLULE STAMINALI NEI CUORI COLPITI DA INFARTO SE LE RAGAZZINE FUMANO PER RESTARE MAGRE IL MINISTERO CHIEDE 1,2 MILIARDI ALLE MULTINAZIONALI DEI FARMACI IL TUMORE AL POLMONE PRIMA CAUSA DI MORTE MORBILLO, PICCO DI INFEZIONI: IN TROPPI NON SI VACCINANO SASSARI, SESSO PROTETTO E CANCRO STRATEGIE ANTI-TUMORI AL TOP SASSARI: MICROBIOLOGI IN PRIMA LINEA PER LE CURE DELLE TIROIDITI ========================================================= ____________________________________________________________ Il Manifesto 1 Giu. ’14 LINCEI: TAGLI E RIFORME SBAGLIATE, COLPI MORTALI PER LA RICERCA Roberto Clceareli l'università italiana ha un futuro? È la domanda che quarantotto accademici dei Lincei, esponenti della più alta istituzione culturale italiana fondata nel 1603, hanno rivolto in una lettera pubblicata sul magazine online Roars.it alla ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini. Il fisico Carlo Bernardini, la giurista Eva Cantarella, il vice- presidente emerito della Corte Costituzionale Enzo Cheli, lo storico Massimo Firpo insieme ai filosofi Tullio Gregory, Gennaro Sasso e Pietro Rossi, il matematico Giorgio Israel con l'economista Giorgio Lunghini e il fisico Giorgio Parisi insieme ad una quarantina di colleghi hanno scritto in poche righe una delle più chiare, disinteressate («Siamo in pensione e fuori da ogni gioco accademico e dai ruoli attivi») e radicali denunce della strategia ventennale di riforma che ha travolto l'università e la ricerca italiane dalla riforma Ruberti nel 1989 ad oggi. In questo lungo ciclo, sugli atenei è stato imposto un controllo politico sotto forma di «autonomia organizzativa». «È stata fraintesa la finalità ultima del dettato costituzionale che garantiva 'anzitutto e essenzialmente la libertà di ricerca e d'insegnamento da ogni possibile costrizione e controllo da parte del potere politico» scrivono gli studiosi. Netta è anche l'analisi dell'«ideologia» della valutazione ispirata ad una «mentalità aziendalistica». Questa governance è stata incubata dal 2007 con l'istituzione dell'Anvur da parte del governo di centro-sinistra (ministro dell'università Fabio Mussi), poi realizzata dal centro-destra berlusconiano con la riforma Gelmini nel 2008, oggi pienamente funzionante: «Il fatto che tutta la scienza di base sia trattata come un processo di tipo industriale, con tempi e criteri valutativi in termini di immediati risultati - scrivono gli accademici - mostra la profonda incomprensione, da parte degli autori di tali politiche, della natura stessa della ricerca scientifica». Questa breve lettera, inviata a Giannini qualche giorno fa e aperta a nuove adesioni, risponde implicitamente alle critiche che gli ultras della meritocrazia potrebbero rilanciare. Questa visione economici stica e neoliberale della ricerca (si fa ricerca per l'impresa, e basta) è stata adottata a partire dal 2008 per imporre una «moralizzazione delle condotte che hanno macchiato la vita universitaria». Si parla degli innumerevoli scandali legati ai concorsi truccati, e alle spartizioni degli incarichi che hanno contraddistinto una parte non certo ininfluente dell'accademia italiana. Per gli accademici dei Lincei quella campagna mediatica, orchestrata sui quotidiani come li Corriere della Sera o La Repubblica, ha giustificato ideologicamente il taglio di 1,1 miliardi di euro dal 2008 che ha costretto gli atenei a limitare disordinatamente la spesa per il personale, imponendo «un totale ristagno dei sistemi ordinari di reclutamento dei nuovi quadri universitari. E dall'inizio degli anni '80 del secolo scorso che s'è aggravato il carattere sussultorio e irregolare dei meccanismi di reclutamento nelle nuove leve». Una situazione peggiorata dai tagli della Gelmini hanno aggravato la situazione, spingendo una generazione di giovani studiosi ad emigrare o lasciare la ricerca per altri lavori. «F, un colpo mortale per la scienza italiana - termina così la lettera - Oggi sono in discussione conquiste che credevamo solidamente acquisite a fondamento della libertà della scienza e del futuro delle nostre società». ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 31 Mag. ’14 NEL 2013 LAUREATI PIÙ PUNTUALI E INTERNAZIONALI Gianni Trovati MILANO. Cominciamo dalle buone notizie: i laureati 2013 sono i più "puntuali" della storia recente, i più attivi in stage e tirocini nelle aziende e hanno anche ripreso a guardare all'estero per una parte della propria esperienza di studio. Certo, dopo la discussione della tesi affrontano un mondo del lavoro caratterizzato da una disoccupazione volata oltre il 12%, ma nel medio periodo una laurea in tasca continua a offrire più opportunità e più tutele rispetto a un diploma. A dirlo è il XVI rapporto di AlmaLaurea sul «profilo occupazionale dei laureati», che è stato presentato ieri all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Un'indagine, quella targata AlmaLaurea, a raggio sempre più ampio, che nell'ultima edizione ha analizzato carriera e prospettive di 230mila laureati sparsi nei 64 atenei aderenti al consorzio. L'accorciamento dei tempi medi di laurea, avviato negli anni dagli ordinamenti articolati sul «3+2», è continuato, e offre ai neo-dottori 2013 le performance migliori: 18,2% laureati su 100 arrivano al titolo prima di compiere 23 anni, e l'età media alla laurea è scesa di un paio d'anni rispetto al 2004: il laureato medio di primo livello ha 25 anni e mezzo, il dottore "magistrale" chiude il percorso accademico a 27,8 anni mentre nel ciclo unico, che riguarda oggi giurisprudenza oltre a ingegneria, architettura, medicina, l'età media si attesta a 26,8 anni. Ogni cento laureati, arrivano alla discussione della tesi senza ritardi in 41 nei corsi triennali, in 34 nel ciclo unico e in 52 nel biennio magistrale: ad accumulare quattro o più anni di ritardo sulla durata legale è il 13%, ed è il dato più basso di sempre. Naturalmente questi numeri non cancellano gli affanni strutturali dell'università italiana, nel Paese che ha il numero di laureati più basso d'Europa nella fascia di età fra 30 e 34 anni (si veda Il Sole 24 Ore del 19 maggio) e che fatica a invertire la rotta di investimenti nella formazione in continua discesa. «I miglioramenti ci sono – riassume Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea -, ma lo scenaio presente e futuro rimane estremamente incerto», al punto che, dopo una lunga teoria di tabelle e grafici, l'indagine chiude chiarendo che «se l'Italia non investe di più in istruzione superiore e ricerca rischia concretamente di non avere futuro». gianni.trovati@ilsole24ore.com ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag. ’14 CRENOS: ECONOMIA SARDA SEMPRE IN AFFANNO BENE IL TURISMO La Sardegna in maglia nera Il Pil cala del 3.3%, i consumi delle famiglie del 3.5 RAPPORTO CRENOS. Sono 117 mila le persone senza lavoro, il tasso al 17,5% Sardegna ancora in affanno. Tanto più se il confronto è con l'Europa. Ragionando in termini di Pil, l'Isola precipita in 190esima posizione su 272 regioni del Vecchio continente. Il Prodotto interno lordo sardo è sceso, nel 2012, del 3,3% rispetto all'anno precedente, dopo un triennio in cui era rimasto quasi costante, a differenza del resto d'Italia: per l'esattezza, tocca i 17.500 euro per abitante contro una media nazionale di 23.300. Sotto tono i consumi pro capite delle famiglie: dopo la leggera flessione del 2011, segnano nel 2012 un preoccupante calo (-3,5% rispetto all'anno) di poco inferiore al 4,2% nazionale. A tutto questo si aggiunge una disoccupazione ai massimi, di molto superiore alla media nazionale. Sono questi i dati più preoccupanti che emergono dal 21esimo rapporto Crenos sull'economia dell'isola presentato ieri nell'aula magna della facoltà di Ingegneria. L'unica nota positiva arriva dal comparto delle vacanze: la presenza di turisti cresce, soprattutto grazie agli stranieri. L'OCCUPAZIONE Male invece il lavoro: la Sardegna presenta nel 2013 un tasso di disoccupazione del 17,5%, in aumento di due punti rispetto al 2012, per complessivi 117mila disoccupati. Preoccupa pure il dato sullo scoraggiamento, vale a dire l'entità dei potenziali lavoratori che non sono alla ricerca di un lavoro ma che lo accetterebbero se venisse loro offerto. Nel 2013, ben 247mila potenziali lavoratori sardi soffrono della mancanza di un'occupazione, soprattutto uomini (+12% tra il 2007 e il 2013 contro i 3 punti per le donne). I rapporto registra un aumento dei lavoratori scoraggiati da circa 88mila unità nel 2004 a 130 mila nel 2013 e un'incidenza che passa dal 12,7% al 19,5%, di gran lunga superiore al dato nazionale ma inferiore a quello del Mezzogiorno. L'ISTRUZIONE La crisi ha colpito maggiormente i lavoratori meno istruiti per i quali la disoccupazione cresce dal 2007 di 11,5 punti percentuali, mentre per i più istruiti l'aumento è stato del 2,9%. Nel 2013 il tasso di disoccupazione regionale di chi possiede un diploma di licenza media è pari al 21,5%, mentre chi ha conseguito una laurea, un master o un dottorato è pari al 9,7%. «I laureati», commenta il rettore dell'Università di Cagliari, Giovanni Melis, «trovano occupazione in minor tempo rispetto ai non laureati». I TRASPORTI Non bene nemmeno i trasporti: l'utilizzo di mezzi pubblici e soprattutto delle ferrovie è di gran lunga sotto la media nazionale. «Stiamo lavorando», ha detto l'assessore del Bilancio, Raffaele Paci «sono certo che la Sardegna possa riprendere la crescita». IL TURISMO Per quanto riguarda il comparto turistico, i numeri, oltre a registrare un forte incremento rispetto all'anno precedente, evidenziano una sempre più massiccia presenza di stranieri. Con due vantaggi: destagionalizzazione e maggiore capacità di spesa rispetto agli italiani. Sebbene la Sardegna attragga una quota di stranieri inferiore alla media nazionale (41 contro il 47%), la domanda dall'estero cresce più velocemente rispetto ai concorrenti del turismo balneare, come Sicilia, Puglia, Calabria e Corsica. I COMMENTI «C'è ancora da fare, lo ammetto», sottolinea Paci, «ma da questo rapporto arrivano segnali interessanti. L'industria è un settore sempre esportatore e l'agricoltura resta la carta vincente, perché noi dobbiamo puntare su ambiente, agroindustria, turismo: cioè su quei settori che rappresentano i nostri vantaggi naturali e ci potranno permettere di crescere di più». Ma l'accento ricade sull'istruzione. «La qualità della formazione», osserva Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli, «è fondamentale. In Sardegna, c'è una situazione molto particolare, perché dalla seconda elementare la valutazione della qualità dell'istruzione registra livelli superiori al resto d'Italia, ma la situazione precipita a partire dalla prima media, mostrando un vero e proprio declino». Secondo Gavosto «solo una scuola di qualità può garantire una crescita economica consistente e preparare a sfide in settori strategici come il turismo. In Sardegna», conclude «c'è un aumento di laureati e diplomati, ma è un andamento troppo lento». E non sufficiente. Lanfranco Olivieri ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Mag. ’14 CRENOS: REDDITI GIÙ, ISOLA IN CODA ALL’EUROPA Sardi impoveriti nell’ultimo anno, ma la crisi è sociale. Emergenza istruzione: un giovane su tre non ha competenze di Alfredo Franchini CAGLIARI Rilanciare la questione sarda non è un’impresa né disperata né retrò. E il Rapporto Crenos, presentato ieri, ha fatto questo: se da una parte i dati dell’economia sarda sono peggiorati, la strada da percorrere è chiara: «Riforme e buona amministrazione», ha affermato Raffaele Paci, assessore alla Programmazione. Dopo tre anni in cui la ricchezza era stabile, il Pil pro capite è sceso del 3,3%. Significa che i sardi si sono impoveriti: oggi il reddito è di 17.500 euro a testa contro i 23 mila della media nazionale. «Le prospettive a breve termine non aprono all’ottimismo», dice Stefano Usai, direttore del Crenos, il centro di ricerche economiche delle Università di Cagliari e Sassari che, in precedenza, è stato diretto agli inizi da Pigliaru e poi da Paci per un decennio. «La ripresa potrà esserci solo dal 2015». Europa. Sardegna sempre più lontana dall’Europa che conta: siamo al 190° posto nella graduatoria della ricchezza, guidata dai grandi centri urbani, Londra, Lussemburgo, Bruxelles, Amburgo con il triplo della media europea. Produzione. La struttura produttiva del’isola, (146.526 imprese, 89 ogni mille abitanti), è in calo. Aziende di piccole dimensioni, sottocapitalizzate, frammentate nelle attività produttive; il settore primario concentra il 24% delle imprese regionali contro una media nazionale del 16%. Emergenza. Molti dei disagi attuali dipendono dal ridimensionamento di quanto si produce, una tesi avvalorata dai dati illustrati da Fabio Cerina. I numeri dicono molto ma non tutto: la questione sarda non dipende solo dalla carenze delle risorse finanziarie ma da un’autentica emergenza sociale: il capitale umano, lo spopolamento tra denatalità e nuove emigrazioni. Una terra a rischio di desertificazione industriale dove sono crollati consumi e investimenti; e dove aumenta il numero dei poveri. Spopolamento. «La Sardegna è un’isola in crisi demografica», spiega Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli, «ci sono alcune province, come Oristano e il Medio Campidano con tasso di natalità zero. La popolazione sarda è destinata a restringersi nei prossimi anni». E a questo si aggiunga il triste record della dispersione scolastica e del basso valore dell’istruzione: «Un terzo dei giovani sardi», afferma Gavosto, «non ha un adeguato livello di competenze». Prese in considerazione le diverse prove - secondo il rappresentante della Fondazione Agnelli - si salvano per qualità solo le scuole elementari, poi s’inizia il declino. «Come investire nel turismo»? chiede Gavosto, «se la formazione non è adeguata. Una cosa da fare subito è potenziare la formazione tecnica». Lavoro. Il mercato del lavoro è peggiorato nel 2013 rispetto all’anno precedente. Disoccupazione al 17,5% che vuol dire 117 mila disoccupati. Le donne sono più istruite ma anche più scoraggiate dalla difficoltà di trovare un’occupazione. Il Rapporto Crenos prende in esame il più strategico dei motori di crescita: la valorizzazione del capitale umano e quindi la scuola e l’università. Laurea. «Il Crenos conferma l’importanza della laurea sul mercato del lavoro», afferma Giovanni Melis, Rettore dell’Università di Cagliari, «i laureati trovano un’occupazione in minor tempo rispetto ai non laureati. Il mercato del lavoro dà ancora valore all’istruzione universitaria». Turismo. Qualche nota positiva arriva dall’industria delle vacanze. Dopo il calo di arrivi e presenze nel 2012, l’anno passato segna un’inversione di tendenza. L’analisi conferma il fenomeno dell’internazionalizzazione della domanda turistica ma la Sardegna attrae una quota di stranieri inferiore alla media nazionale. Resta il male della stagionalità: il 14% dei turisti italiani ha visitato l’isola al di fuori del periodo giugno- settembre contro il 22% degli stranieri. Tra l’altro i turisti stranieri che spendono più degli italiani, (94 euro al giorno contro 61), sono un veicolo per la promozione dei prodotti agroalimentari. Servizi pubblici. La spesa corrente pro capite delle amministrazioni locali è di 1.270 euro contro i 1.070 della media nazionali, (996 euro al Sud). La spesa nell’isola è in crescita, (+1,1% nell’ultimo anno ma nell’ultimo lustro era salita del 3,6%). Aumenta la spesa sanitaria: 1.768 euro per abitante, 81 euro in più della media. Ospedali. E’ importante l’indicatore sulla mobilità ospedaliera interregionale: il tasso di viaggi dall’isola verso ospedali della penisola presenta uno dei valori più bassi (5,3%) ma in aumento dell’1,2%. Conclusione. Le parole chiave del Crenos per il futuro sono turismo, ambiente, agroalimentare e information technologiy che si contrappongono al malfunzionamento delle istituzioni, l’inadeguatezza del capitale umano e la carenza delle infrastrutture. L’intervento pubblico non può creare il mercato né suscitare lo spirito d’impresa ma deve costruire un contesto favorevole. ____________________________________________________________ Libero 30 Mag. ’14 ABILITAZIONE DEI DOCENTI, GIÀ 800 I RICORSI AL TAR La politica intervenga subito PIERANGELO MAURIZIO La beffa del merito, numero due. Sulle abilitazioni dei docenti universitari ordinari e associati, in cui i nuovi criteri per scalzare le baronie sono stati ampiamente e diffusamente aggirati, c'era da attendersi un'ondata di indignazione e, soprattutto, interventi concreti. Invece, tutto prosegue come nulla fosse. I criteri posti dalla riforma Gelmini erano semplici: le commissioni nazionali avrebbero dovuto essere scelte per ogni singola disciplina con parametri oggettivi fissati dall'Anvur, l'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca, e avrebbero dovuto selezionare in modo altrettanto oggettivo i docenti. Non è avvenuto. Sui pasticci delle commissioni pendono, a quanto pare, 800 ricorsi al Tar del Lazio. Bene. Le stesse commissioni stanno esaminando, ed anzi hanno quasi finito i lavori, le domande per il 2013. Può essere definito serio un Paese che basa la scelta del corpo insegnante universitario su fondamenta tanto fragili e con metodi così opinabili? La ministra all'Università, Stefania Giannini, che di mestiere fa il Rettore, ha ammesso che così non va e che bisognava intervenire subito. Solo che si è distratta nella campagna elettorale delle Europee. Anche il premier, Matteo Renzi, che con fare vagamente riecheggiante il Ventennio ha cominciato il suo mandato con un bagno di folla tra famiglie e studenti nelle scuole, sembra del tutto indifferente a quanto sta succedendo nelle università. A questo punto è da sperare che se ne occupi il Parlamento. Dopo la prima denuncia su Libero ho ricevuto altre mail. Diverse sono anonime, il che la dice lunga sull'atmosfera che si respira nel mondo accademico. Qualcuno segnala che «in più di una commissione sono stati selezionati commissari non in regola con i criteri delle mediane (anche qui fioccano i ricorsi)». Cioè i commissari sarebbero stati bocciati alla luce dei criteri da loro stessi adottati. In diversi casi «i candidati che non avevano soddisfatto i criteri previsti per l'abilitazione ma sono passati hanno scritto (pubblicazioni) con professori in commissione». Un docente di Ferrara invece si firma ma per par condicio ometterò il nome e scrive papale papale: «La commissione è stata scelta ad hoc; chi conosce i colleghi può ricostruire la cordata, in alcuni casi politica, in altri di amicizia (spesso i due aspetti coincidono). Se poi si andasse nei singoli atenei per indagare su quei candidati che non idonei, sono stati ritenuti tali, allora si comprenderebbero tante cose...». Delle figuracce internazionali, come la lettera indignata scritta da 12 premi Nobel dell'economia per l'esclusione dall'abilitazione di professori italiani che insegnano nelle più prestigiose università del mondo, Libero ha già scritto. Si potrebbe aggiungere il caso del commissario spagnolo nella Commissione di Diritto costituzionale che si è dimesso per ciò che ha visto e sentito e ha denunciato la cosa al ministero dell'Istruzione e alla magistratura. Oppure il caso del docente ritenuto tanto per cambiare «non idoneo» ad insegnare Diritto del lavoro ma che è stato nominato nel frattempo «per meriti speciali» consigliere di Cassazione. Ora si aspetta che la matassa che venga sbrogliata dal Tar. Non è neppure immaginabile che il governo faccia pressione, né che ovviamente i magistrati possano dimostrarsi sensibili alle pressioni. Pare che l'orientamento sia di non concedere più sospensive ma di esaminare nel merito alcuni casi particolarmente significativi, per fissare qualche paletto in questo bailamme. Da qualche parte bisogna pur cominciare. Ma il rischio è che i singoli non possano far valere appieno i propri diritti: dopo la beffa, il danno. E soprattutto non è pensabile che ancora una volta sia lasciato alla magistratura il compito di risolvere le cose. Di fronte a uno scandalo di queste proporzioni la politica dovrebbe trovare gli strumenti per reagire, a cominciare dall'indignazione. pierangelo.maurizio@alice.it ____________________________________________________________ Quotidiano Sanità 30 Mag. ’14 LENZI (CUN): “OFFRIAMO PREPARAZIONE ELEVATA, MA CARENZA DI RISORSE METTE A RISCHIO IL FUTURO DEI GIOVANI” Ottimista sull'aumento di posti per le Scuole di Specializzazione, il presidente del Consiglio Universitario Nazionale richiama alla cautela quando si parla di abolire il test di ingresso a Medicina: "Soluzioni ci sono, ma vanno ragionate”. E sull’integrazione Università-Ssn annuncia: “Nel Patto per la Salute ci sarà un paragrafo ad hoc”. 30 MAG - È medico, professore ordinario di Endocrinologia, presidente del Consiglio Universitario Nazionale dal 2007 e della Conferenza dei Presidenti di Corso di Laurea in medicina e chirurgia, 82° nella lista dei Top Italian Scientists, solo per citarne alcune voci del suo curriculum. Ma cosa ne pensa Andrea Lenzi dell’Università italiana? E in particolare, qual è la sua opinione sull’ipotesi di cancellazione del test di ingresso a Medicina e sulla carenza di posti nella scuole di Specializzazione? Ce lo racconta in questa intervista. Professor Lenzi, qual è lo stato di salute dell’Università italiana? L’Università italiana, da Fisica a Lettere, da Biologia a Giurisprudenza, in tutte le sue aree di saperi e disciplina è in buona salute dal punto di vista scientifico e culturale e della capacità formativa. È per questo che i nostri laureati vengono assunti all’estero, con risultati accademici e professionali eccellenti. La nostra ricerca scientifica, nonostante la carenza di risorse, continua ad essere competitiva. Dal punto di vista della cultura, poi, siamo ancora così tanto appetibili che tutti i Paesi emergenti sollecitano i loro giovani a venire in Italia per frequentare soprattutto corsi di specializzazione e master. Tuttavia, la nostra Università risente in maniera drammatica della carenza di risorse che porta due gravi conseguenze: abbiamo problemi organizzativi e di manutenzione strutturale e strumentale, e di conseguenza, nonostante quanto sopra, rischiamo di non essere più appetibili per i giovani. Non a caso, insieme alla fuga di cervelli dei laureati, assistiamo sempre più spesso alla fuga dei 18enni. Chi può permetterselo, va a studiare all’estero. Purtroppo, assistiamo anche a un altro fenomeno: la laurea è sempre meno considerata importante per l’accesso al mondo del lavoro, e aumentano le famiglie che non possono più permettersi di mantenere un figlio all’Università e hanno la necessità di far lavorare i figli più giovani. Tuttavia, così, anche il livello culturale generale del Paese rischia di calare fortemente, aspetto molto grave se si considera l’importanza della cultura e della conoscenza come ascensore sociale e per l’equilibrio economico, politico e sociale di un Paese. Al di là del problema risorse, crede che l’Università dovrebbe avere un ruolo più attivo per introdurre i neolaureati nel mondo del lavoro? Sicuramente potrebbe averlo. L’Università non nega anche sue responsabilità e sicuramente una maggiore integrazione con il tessuto sociale e progetti di orientamento verso il mondo del lavoro nel periodo di uscita dall’Università potrebbero rivelarsi estremamente utili. Tuttavia voglio sottolineare che l’Università non è fatta solo per insegnare “a fare”, ma anche per insegnare “a pensare”. Quello che voglio dire è che i nostri ragazzi escono dall’Università con spirito critico e che in grado di muoversi autonomamente nella società e nel mondo del lavoro. Cosa può dirci delle Facoltà mediche? Tutto quello che di positivo ho detto precedentemente vale sicuramente, anzi in particolare, per l’area sanitaria. Soprattutto alcune specialità mediche, sono al top a livello internazionale e i corsi di Laurea Medicina italiani sono ancora abbastanza attrattivi per alcuni Paesi dell’estero. In questo ambito una forte spinta è stata sicuramente data dall’introduzione dei corsi in lingua inglese, che funzionano egregiamente. La preparazione offerta dal corso di Laurea in Medicina è elevata, i nostri laureati che si recano all’estero hanno, ripeto, ottimi risultati. Forse non c’è sufficiente professionalizzazione rispetto a quanto avviene in altri Paesi del mondo, ma c’è la creazione di una cultura sufficiente a permettere ai nostri giovani medici di imparare in fretta tutto quello che serve e siamo comunque in cantiere continuo per migliorare. Il Cun aveva annunciato la presentazione di linee guida che andavano proprio nella direzione di integrare maggiormente Università e servizio sanitario, uniformando la formazione a livello nazionale. A che punto siamo? Ci stiamo lavorando. Nel dettaglio, abbiamo chiesto al Ministro dell’Università Stefania Giannini di poter presentare una proposta relativa a quanto previsto dalla legge 240 del 2010, che al comma 13 dell’articolo 6 stabilisce che venga riscritto l’accordo quadro tra ministero dell’Università, ministero della Salute e Stato Regioni in materia di attività sanitarie svolte per conto del Servizio sanitario nazionale. Questo documento va concordato ovviamente anche con il Ministro della salute che nel suo Patto per la Salute inserirà, posso anticiparlo, un paragrafo ad hoc. Abbiamo bisogno, però, di un documento di cornice che deve essere pensato su base nazionale, anche se poi declinato per le diverse Regioni. La preparazione universitaria del medico e la sua operatività sul campo debbono essere uguale a Udine e a Catania, per questo nella conferenza dei presidenti di medicina che coordino nelle nostre numerose riunioni ci confrontiamo su questo tema. I medici devono diventare medici in grado di rispondere a tutti i bisogni di salute in qualsiasi territorio. Medici dell’Europa e del “villaggio globale”, non di un piccolo territorio o di una Regione. Inoltre, la specificità del ruolo delle Aziende universitarie-ospedaliere e del relativo personale universitario è un bene a cui nessun Paese rinuncerebbe per il triplice risultato prodotto: assistenza, ma anche ricerca e didattica. Ma quali sono oggi i rapporti tra Università e Ssn? Solo i nemici dell’Università e della Buona Sanità, cioè del nostro ottimo Ssn, possono ancora parlare di guerra e competizione tra Università e Sanità. Questi sono retaggi antichi, che oggi sopravvivono solo nella mente di pochi. L’Università è assolutamente aperta al contributo dei professionisti della sanità. Nella struttura a cui appartengo collaboriamo con numerose strutture ospedaliere di eccellenza e IRCCS che sono inseriti nella nostra rete formativa e altrettanto è con i medici di medicina generale: ognuno esercita il suo ruolo secondo la sua funzione e il comparto di appartenenza senza conflitti. Cosa ne pensa della proposta del ministro Giannini di eliminare il test di accesso a Medicina? Andrebbero anzitutto approfondite le intenzioni del ministro, perché le dichiarazioni rilasciate non sono sufficienti a comprendere quali soluzioni il ministro immagina in alternativa al test di accesso. Del resto lo stesso ministro, pur accennando al modello francese, ha chiarito che la questione è “allo studio”. Per quanto mi riguarda lo spostamento della selezione di accesso al primo anno significherebbero solo rimandare il problema e nel frattempo la gestione di 80 mila iscritti in quel primo anno causerebbe seri problemi di carenza strutturale e la frequenza obbligatoria del primo anno di corso risulterebbe impossibile. Quale potrebbe essere, secondo lei, una soluzione? Credo che una prima riflessione che andrebbe fatta sarebbe di mettere in campo una seria attività di orientamento nel corso delle scuole medie e superiori a partire dal terzo anno con un approfondimento specifico nell’anno della maturità, per permettere allo studente di confrontarsi con le varie alternative di lavoro e di studio e nel nostro caso con le materie del corso di Laurea in Medicina. Credo che, una volta conosciuto a fondo cosa significa laurearsi in Medicina e fare il medico. Si otterrebbe così una sorta di autoselezione dove solo coloro che hanno una vocazione più forte continuerebbero a inseguire il “sogno di diventare medico”. Una volta effettuata questa prima selezione, la soluzione potrebbe anche essere quella di un accesso al primo anno con un rapporto 1 a 2 e un test finale basato o sul percorso effettuato con o senza test. Tante soluzioni sono possibili, ma vanno seriamente ragionate. Esiste anche un problema legato alla carenza di posti nelle scuole di specializzazione. Il problema è che alcuni anni fa furono aumentati i posti disponibili l’immatricolazione in Medicina a circa 7.500 (ora siamo arrivati a oltre 10.000), che si traducono in circa 6.500 nuovi laureati dato che portiamo alla laurea quasi il 90% degli immatricolati. A questo aumento di laureati, tuttavia, non è stato affiancato alcun aumento dei posti di Specializzazione, anzi abbiamo avuto una contrazione, di conseguenza buona parte di questi neolaureati rimarranno fuori dalle Scuole. Ricordo che in Italia, alla fine del corso di Laurea in Medicina si è medici, ma non si può lavorare nel Servizio sanitario nazionale se non si è superata la Specializzazione o la formazione specifica in Medicina generale. Insomma, se vogliamo dare pari opportunità a tutti i giovani medici, i posti in Specializzazione vanno aumentati e così pure quelli della medicina del territorio. Oppure bisogna dire ai ragazzi il sistema li lascia iscrivere all’Università, ma garantisce l’ingresso nel Servizio sanitario nazionale solo a una quota di loro, mentre gli altri potranno esercitare solo la libera professione non specialistica. Si può anche pensare a un sistema competitivo di questo genere, ma bisogna che i candidati medici ne siano consapevoli. Il ministro Giannini aveva espresso l’intenzione di aumentare i posti in Specializzazione. Dai vostri riscontri vi sembra che questa intenzione sia confermata e realizzabile? La volontà del Ministro Giannini ed anche del Ministro Lorenzin c’è ed è forte, ora dobbiamo capire quali sono le intenzioni del Governo e del MEF. Credo che si tratti peraltro di una possibilità realizzabile, perché se è vero che servono risorse, è anche vero che non servono miliardi o centinai di milioni di euro, ma solo decine di milioni, che per il portafoglio di un cittadino possono sembrare tantissimi ma nell’ambito dei capitoli di spesa dello Stato è una cifra sostenibile. Lucia Conti ____________________________________________________________ Il Manifesto 30 Mag. ’14 POCHI, RESISTENTI, GIOVANI, PRECARISSIMI: IL RITRATTO DEI LAUREATI NEGLI ANNI DI CRISI Laureati a meno di 23 anni prendono il titolo di studio terziario nel tempo previsto e sono impegnati in tirocini per acquisire competenze, contatti, relazioni. Quelli che hanno alle spalle una famiglia da ceto medio riescono più di altri a studiare all'estero, anche se nell'università riformata il numero di coloro che portano la laurea in famiglia per la prima volta resta alto. E il profilo dei laureati italiani descritto dal Consorzio Almalaurea nel XVI profilo presentato ieri all'Università di Scienze Gastronomiche di Bra. Calibrato in questo modo il profilo dei laureati sembrerebbe essere ricalcato sulla base del laureato modello sognato dai riformatori dell'istruzione di centro- sinistra e di centro-destra che da Ruberti nel 1989, passando per Berlinguer-Zecchino, è arrivata a Gelmini nel 2008: giovane, efficiente, pronto a sgomitare nella competizione quotidiana. Il sosia del soggetto neoliberale che si trova a proprio agio nell'economia della conoscenza. Basta leggere con attenzione il rapporto per scoprire come l'aurora di questo novello Prometeo non è mai nata e, anzi, conteneva i presupposti del suo fallimento. Almalaurea registra come la precarietà di massa, e la di soccupazione giovanile al 42,7% tra i 15-24 anni, abbiano modificato le scelte degli studenti e il loro atteggiamento rispetto al futuro. Tanto più a lungo il laureato sarà precario, cambiando lavori che non c'entrano nulla con il suo titolo di studio, tanto più sentirà il bisogno di equilibrare l'incertezza del futuro rafforzando le sue competenze. Agisce in questo modo il 76% dei 230 mila laureati in 64 atenei interpellati nell'indagine 2013. Per molti sarà una sorpresa, abituati come siamo al dogma «flessibili è bello», ma tra i laureati è forte l'esigenza della stabilità del posto del lavoro (66%), l'aspirazione ad una carriera (61%), al reddito (55%). Una sequenza tipica del lavoro professionale e del ceto medio, che sembra ormai perduto. Ciò non toglie che i laureati rivendichino nell'indagine autonomia sul lavoro e indipendenza nella vita. Elementi controcorrente nella società della dipendenza in cui viviamo. C'è anche tuttaltro fattore da considerare: su cento laureati terminano l'università in corso 41 ragazzi nella triennale, 34 del ciclo unico e 52 magistrali. La precarietà inizia dunque prima che in passato, spingendo le nuove generazioni ad intensificare il numero delle esperienze di stage o tirocini, periodi di prova Quello dell'iper-specializzazione è un fenomeno consolidato che oggi trova conferma nei comportamenti delle nuove generazioni. i tirocini sono centrali in tutti i corsi di laurea, coinvolgono il 61% dei laureati di primo livello, il 41% dei magistrali a ciclo unico, il 56% dei magistrali. Nel 2004 solo il 20% dei laureati aveva fatto questa esperienza. Anche questo dato conferma un'attitudine opposta dello stigma inflitto da ex ministri dell'università o del lavoro secondo i quali i laureati italiani sarebbero un popolo di lazzaroni «schizzinosi. Avere anticipato il tempo di laurea (in media 25,5 anni per il triennio, 26,8 per il ciclo unico, 27,8 per i magistrali biennali) non ha moltiplicato il numero dei laureati. L'Italia resta in fondo alle classifiche Ocse, un dato che rivela il fallimento della strategia «riformista», di stampo produttivistico, adottata vent'anni fa. Nella fascia di età 25-34 anni solo il 21% ha la laurea rispetto alla media Ocse del 39%. Come in Romania. Una realtà che rende impossibile il raggiungimento del 40% di laureati, l'obiettivo della riforma «Berlinguer-Zecchino». Per raggiungerlo gli atenei hanno trasformato i loro corsi in spezzatini pronti all'uso, ma utilità sul mercato. Una volta sgonfiata la bolla formativa sono diminuite le immatricolazioni: nel 2003 erano 338 mila, 270 mila nel 2012 (-20%). Oggi solo 3 diplomati su 10 si iscrivono all'università, una realtà che rivela la crisi dell'università e ha prodotto fughe in avanti. Visto che un mercato per il lavoro cognitivo non esiste, meglio scegliere formazioni più «pratiche». Questa è la tentazione di chi vuole trasformare l'istruzione in una scuola professionale sul «modello tedesco». iklmalaurea ha dimostrato, invece, che la laurea garantisce un tasso di occupazione di 13 punti maggiore rispetto ai diploma-lì (75,7% contro il 62,6'%). Anche questo sembra un modo per difender si contro la precarietà e la marea del lavoro gratuito. ____________________________________________________________ Avvenire 31 Mag. ’14 UNIVERSITÀ, RICERCATORI: 3 SU 100 VANNO AVANTI Presentata la quarta indagine dell'Adi «Il 96,6% costretto a cambiare lavoro» PAOLO FERRARIO MILANO Il sistema universitario e della ricerca è piombato in una crisi cronica, con una perdita netta di competenze, professionalità e lavoro di ricerca, che avrebbero potuto portare crescita e sviluppo per tutto il Paese e che, invece, si sceglie deliberatamente di cancellare». I numeri di questo «spreco», sono contenuti nella quarta Indagine su dottorato di ricerca e post-doc, presentata ieri nella sede dell'Istat dall'Adi, l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani. Il dato che, più di qualunque altro, rappresenta lo stato attuale della ricerca universitaria in Italia è quello legato alle prospettive di carriera degli assegnisti. Dei 15.300 attivi nel 2013, secondo i calcoli dell'Adi, il 96,6% sarà espulso dal sistema accademico al termine del percorso di ricerca e soltanto i13,4% riuscirà ad ottenere un posto di lavoro a tempo indeterminato in università. Questa espulsione di massa che provoca un grave danno alle casse dello Stato, considerato che la formazione di ciascun assegnista richiede un investimento di circa 140mila euro è provocata, sostanzialmente, dal radicale taglio al Fondo di finanziamento ordinario del sistema universitario portato avanti soprattutto negli ultimi anni. L’Adi quantifica questi tagli in 1,1 miliardi di euro (circa i118% del totale) a partire dal 2009. «Il rapporto 2013 dell'Ocse "Education at glance" — si legge nel rapporto — vede l'Italia al secondo posto su 30 Paesi per l'ammontare di risorse sottratte al sistema della formazione pubblica dal 2008 al 2010, terz'ultima nella spesa per l'università (compresa la spesa per ricerca e sviluppo), mentre è ultima per percentuale del Pil speso per la formazione pubblica». E il quadro non sembra destinato a migliorare. Sempre stando all'indagine dell'Adi, tra il 2008 e il 2014, i posti di dottorato messi a bando dalle università sono calati del 19%, passando da 15.325 a 12.338. Anche il numero delle borse di studio è diminuito del 16% (da 8.422 a 7.057) e la remunerazione mensile dei dottorandi italiani si aggira intorno ai 1.150 euro. In Gran Bretagna, per esempio, può arrivare anche a 4mila euro al mese e in Danimarca a 2.500. Direttamente proporzionali ai soldi investiti, sono allora i posti totali di dottorato, che in Italia sono complessivamente 35mila. Seppur a distanza abissale dalla prima classificata (la Germania, che di dottorandi ne ha 209mila), in numeri assoluti il nostro Paese si piazza a un dignitoso quinto posto, subito dietro alla già citata Germania e a GranBretagna (95mila dottorandi), Francia (7lmila) e Polonia (40mila). I problemi arrivano quando si considera il rapporto tra il numero dei dottorandi e l'ampiezza della popolazione. Qui l'Italia, con 0,6 dottorandi ogni mille abitanti, si colloca al terzultimo posto in Europa, davanti soltanto a Spagna (0,5) e Malta (0,2). In cima alla graduatoria si trova la Finlandia con 3,7 dottorandi ogni mille abitanti, seguita da Austria e Germania, rispettivamente con 3,1 e 2,6. Meglio di noi ha fatto persino la Grecia (2,1 dottorandi ogni mille abitanti), Paese che è stato duramente colpito dalla crisi economica ma che, evidentemente, ha continuato a investire nella ricerca universitaria. «L'aumento del numero delle borse di dottorato — si legge a riguardo nell'indagine dell'Adi — sarebbe decisamente più coerente conia strategia ribadita in più sedi dall'Unione Europea, secondo cui l'alta formazione e l'elevata qualità della ricerca sono gli elementi chiave per invertire l'attuale ciclo economico, far ripartire lo sviluppo degli Stati membri e assicurare una migliore qualità di vita nella società europea. A conferma di ciò le istituzioni europee hanno stanziato per Horizon2020 (il programma europeo per la ricerca) 80 miliardi di euro, cosicché esso è il primo per fondi tra i programmi a gestione diretta». Invece l'Italia, come conferma nuovamente l'Ocse, occupa stabilmente le ultime posizioni in quanto a risorse dedicate a ricerca e sviluppo in rapporto al Pil. Siamo fermi all'1,3%. Il rapporto Abilitazione scientifica nazionale: entro giugno pronte le nuove regole Entro giugno le nuove regole per l'Abilitazione scientifica nazionale (Asn), la "porta" di accesso alla docenza universitaria. Il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, sta lavorando con le forze della maggioranza per introdurre procedure più snelle già dalla terza tornata dell'Abilitazione, prevista per la fine di quest'anno. Nello stesso tempo é prevista una proroga dei lavori delle attuali commissioni per tutelare i candidati della seconda tornata dell'Asn. «Le prime due tornate hanno evidenziato — spiega il ministero in una nota — i limiti dell'Abilitazione: tempi contingentati e regole complicate che hanno richiesto diverse proroghe e prodotto, alla fine, un numero particolarmente rilevante di ricorsi. I lavori si sono prolungati a scapito di quei meritevoli che aspettavano da tempo di poter fare il loro ingresso nella docenza universitaria». Oltre un miliardo di tagli ai finanziamenti hanno provocato un'emorragia di posti, calati del 19% in sei anni. L'Italia ha 0,6 ricercatori ogni mille abitanti. La Germania 2,6 ____________________________________________________________ Il Mattino 1 Giu. ’14 DOCIMO: PERCHÉ DICO SÌ ALLO SVOLGIMENTO DEI QUIZ DI MEDICINA Ludovico Docimo* L'Italia è uno strano Paese. La presa di posizione di una categoria viene sempre interpretata non come il parere degli esperti ma come difesa opportunistica di posizioni. E soprattutto, di fronte all'incapacità di applicare una legge, regolamentandone i principi, si preferisce spesso promulgare una nuova legge, magari opposta, che sarà a sua volta abrogata di lì a poco. Esempio evidente è l'attuale dibattito sulla possibile abolizione dei test d'ingresso ai Corsi di Laurea in Medicina. Ai professionisti che faticosamente operano in un sistema sanitario sicuramente da migliorare, ai docenti universitari ai quali si chiede sempre di più e con risorse sempre più esigue, ma soprattutto ai giovani valenti che si preoccupano del loro futuro, questo dibattito non può non apparire come sapiente divertissement che distrae l'opinione pubblica dalle questioni vere, serie, dalle sfide importanti che attendono da anni il sistema sanitario nazionale e insieme quello universitario. E concentra l'attenzione su un aspetto che, se non marginale, non è senza dubbio unico e prioritario, stando almeno agli (indiscussi) ottimi risultati in termini di qualificazione dei professionisti e anche di collocamento dei laureati in medicina dopo la laurea. Sui docenti universitari, come al solito, lo strale delle polemiche. Eppure mi chiedo, quale sia l'interesse imputato ai docenti nella difesa di una selezione in ingresso. Abolendo i test, al contrario, ci sarebbe un effettivo vantaggio di tutti, medici universitari e non: aumenterebbero gli studenti e dunque di conseguenza il numero di docenti e di «cattedre». Viene anzi da pensare che sia questo il motivo della pressione per l'abolizione dei test, proditoriamente presentata come sinonimo di «liberalizzazione», dimenticando che nei paesi di maggiore tradizione liberale la cultura del test di accesso, ed il numero programmato con la selezione dei migliori, sono invece parte integrante di un sistema formativo e lavorativo tutt'altro che «protezionistico». Una selezione all'ingresso, del resto, se fatta bene, anche se su argomenti non immediatamente utili e attinenti alle materie di studio (lo studio della medicina per i candidati deve ancora iniziare e non sarebbe giusto anticiparne le materie), è in grado di «mettere alla prova» l'aspirante medico prescindendo dalle sue conoscenze di partenza (diverse a seconda del tipo di scuola secondaria seguita) e valutando, invece, la sua capacità di memoria, di ragionamento, di concentrazione, la capacità di studio; ed è anche in grado di valutare la sua motivazione, e la capacità di dominare le emozioni di una prova e lo stress da prestazione. Sono requisiti da poco per un futuro medico? Per nulla. E la proposta del Ministro Giannini riporta, invece, la selezione ad un rapporto personalistico tra i docenti del primo anno e gli studenti, affidando la valutazione ai professori di chimica, fisica e biologia per decidere chi potrà proseguire gli studi. Ma siamo certi che le migliori conoscenze di queste materie ci offriranno i migliori medici del futuro? E soprattutto, nel caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo, le famiglie avranno sostenuto inutilmente le spese di un intero anno di corso (tasse e libri compresi) e gli studenti avranno perduto un anno prezioso nel loro percorso di studi. E c'è di più. Il problema di dover aumentare il corpo docente e gli spazi delle strutture, per far fronte a migliaia di studenti soltanto per il primo anno, in un periodo di tagli alla spesa, completa corollario dei limiti dell'ipotesi Giannini. Né mi pare corretta la strada del ricorso ai medici non universitari, che prontamente si sono dichiarati disponibili ad aiutare gli atenei, «improvvisandosi» docenti e cacciatori di teste per selezionare i futuri professionisti. Detto questo, su di un punto siamo tutti d'accordo: le modalità di svolgimento dei test d'ingresso, il tipo di domande e i criteri di selezione delle «batterie» da sottoporre ai candidati sono da riformare, prediligendo magari test di logica o psicoattitudinali, ma soprattutto batterie che attingano ad un bacino di domande, per quanto vastissimo, ma che sia assolutamente noto (come accade già in molti altri concorsi) per consentire agli aspiranti medici di potersi confrontare finalmente in maniera più meritocratica e meno casuale sulle proprie capacità di apprendimento. (*Presidente della Società Italiana dei Chirurghi Universitari) ____________________________________________________________ Il Mattino 1 Giu. ’14 NO, È MEGLIO CHE LA SELEZIONE INIZI DAL PRIMO ANNO Antonio Galdo L'intervento del professore Ludovico Docimo, presidente della Società italiana dei chirurghi universitari, è una garbata sintesi del metodo con il quale le categorie professionali e accademiche sono ormai abituate in Italia ad autodifendersi ed autocelebrarsi. Tutto pur di non toccare nulla. Di non cambiare nulla, e di continuare e pensare che un sistema chiuso e corporativo, della formazione e della professione, sia il migliore dei mondi possibili. O comunque l'unico esistente, punto ed a capo. Partiamo dal finale, dove il professore Decimo riconosce la necessità di «riformare» i test di ingresso ai corsi di laurea di Medicina. Già, riformare: una parola magica che ormai viene utilizzata come un passepartout, specie quando, magari anche in buona, ottima fede, si punta a non modificare di un millimetro gli equilibri, e gli interessi, dello status quo. Qui c'è poco da riformare, né tantomeno c'è da sommare leggi su leggi, ma basterebbe semplicemente eliminare un criterio assurdo di accesso agli studi. E introdurre un percorso di selezione che responsabilizzi studenti e docenti dal primo anno, per dare a tutti le opportunità che spettano ed a chi merita la possibilità di andare avanti per diventare un bravo medico e vedere poi riconosciute, anche sul piano dei guadagni, le proprie capacità. La «relazione personale» tra i docenti e gli studenti, alla quale accenna il professore Docimo, è il contrario della responsabilità, dell'università dove chi studia è premiato e chi insegna deve formare gli altri e aggiornare se stesso in un percorso continuo e non solo dall'alto di una cattedra e dall'interno di un sistema (chiuso). Né si può difendere un filtro di ingresso sbagliato, con la motivazione che così servirebbero più risorse per l'aumento degli studenti e si rischierebbe un' ennesima moltiplicazione di cattedre. Più soldi: è vero, servono più soldi per la formazione e per la ricerca, e chi rappresenta il mondo universitario dovrebbe battersi per questo obiettivo, e non per il contrario. Come avrebbe dovuto contrastare, siamo di nuovo alla responsabilità, con la massima energia la moltiplicazione delle cattedre e dei corsi, un altro frutto avvelenato del sistema chiuso, come lo sfacciato nepotismo dilagante nelle nostre università di Medicina. La parola «liberalizzazione», come la parola «riforma», ancora una volta non c'entra nulla: l'università non si «liberalizza», ma semmai la si rende meno opaca e più efficace, sul piano delle opportunità e dei risultati, rispetto al disastro attuale. Infine, il professore Docimo considera un divertissement la discussione critica sui test di ingresso a Medicina, rispetto a «questioni serie, vere e importanti» (?). Divertissement? Provi a spiegarlo a un ragazzo che sogna di fare il medico, e sono decine di migliaia, e deve sbattere la testa contro uno stupido quiz. Lo dica ai tanti, tantissimi, bravi medici e ricercatori che lavorano con passione e con competenza, spesso con compensi da fame, e fanno i conti tutti i giorni con il Paese delle professioni e delle cattedre blindate. C'è una questione più «seria» di questa in Italia? ____________________________________________________________ Italia Oggi 28 Mag. ’14 ADDIO AI TEST D'ACCESSO IN I MEDICINA IL GOVERNO SI SPACCA SULLA RIFORMA Sull'abolizione del numero chiuso a medicina il governo sconfessa se stesso. A pochi giorni dalla proposta del ministro dell'istruzione e università Stefania Giannini di mettere uno stop agli accessi programmati alle facoltà di medicina, infatti, arrivano immediate le «perplessità» da parte della titolare del dicastero della salute Beatrice Lorenzin che si dice poco persuasa del modello ipotizzato. Ma non solo, perché in realtà la scelta di riformare gli ingressi secondo il modello francese, cioè accesso libero al primo anno e selezione alla sua conclusione su base meritocratica, non va giù neppure alle rappresentanze sindacali dei medici e alla stessa Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri che considerano questo cambiamento impossibile da gestire allo stato attuale. La criticità maggiore è rappresentata dai numeri degli aspiranti al camice bianco, in media 70 mila ogni anno, che le università si troverebbero a dovere gestire senza avere l'attrezzatura in termini organizzativi, strutturali e ordinamentali. Poi, spiega il ministro Lorenzin, le facoltà di medicina «sono fortemente interdisciplinari e quindi sono state costruite per avere un rapporto diretto tra lo studente e il medico cioè il professore, sul campo. Un rapporto che verrebbe meno con il passaggio repentino all'abolizione del numero chiuso». C'è poi il problema degli accessi alle scuole di specializzazione, garantiti per circa il 50% di quanti si laureano. Quindi, dice ancora il ministro della salute «dovremmo ipotizzare un diverso modo di programmare: in questi anni abbiamo pensato a un certo numero di borse di specializzazione per tot studenti. Questa cosa andrebbe vista nel suo insieme». In assenza di una rivisitazione complessiva del sistema universitario, dice invece il sindacato dei giovani medici (Sigm) che scenderà in piazza con una manifestazione di protesta complessiva il prossimo 3 giugno, «il rischio è quello di far scontare scelte dettate dall'emotività del momento sulle spalle dei singoli studenti, che rischiano di perdere tempo prezioso con percorsi universitari non definiti». Il modello francese, dice invece Amedeo Bianco presidente della Fnomceo, «va contestualizzato in una realtà italiana in cui esiste un gap tra vocazioni e disponibilità. Anche nel modello francese c'è una selezione e il numero programmato di accessi. Da noi quest'anno il rapporto è stato di uno a sette. Un percorso di selezione unico che raccolga tutti i candidati di medicina, odontoiatria, veterinaria, ci porterebbe ad avere più di centomila aspiranti con problemi per seguirli». Prima di qualsiasi cambiamento sostiene infine l'Anaoo giovani, l'Associazione medici dirigenti, «occorre avere chiare le modalità con cui garantire la formazione e i servizi per il primo anno di medicina a una platea di aspiranti medici, senza abbassare sensibilmente la qualità formativa dell'iter di studi». ____________________________________________________________ Il Mattino 28 Mag. ’14 TEST DI MEDICINA LORENZIN CONTRO IL NO DI GIANNINI Cambio di linea, ministri divisi «Le università non sono pronte» Maria Pirro Abolire il test di ingresso a Medicina: iI21 maggio, prima delle elezioni europee, il ministro della salute Beatrice Lorenzin era «accordo. L'aveva definita «un'ottima idea», quella di immaginare «filtri diversi» per selezionare i migliori studenti. A distanza di sette giorni, però, la sua posizione è cambiata. Dopo il muro alzato dagli atenei, il governo si è spaccato. Di più. Anche i medici sono divisi. Sulla nuova linea, e su due fronti agguerriti. Da una parte gli universitari sostengono che cancellarla la prova di ammissione «è una impresa impossibile, perché sarebbe ingestibile un numero maggiore di iscritti». Dall'altra gli ospedalieri replicano che «il numero chiuso è solo lo strumento per allontanare lo spettro della disoccupazione in camice bianco. Nient'altro che un'autodifesa della categoria». Sotto il fuoco incrociato, la rivoluzione annunciata a "Il Mattino" e rilanciata su Facehook dal ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini. Prendendo a modello il sistema francese: «Accesso al primo anno libero e selezione alla fine di esso su base meritocratica» il messaggio postato in bacheca. E la responsabile dell'altro dicastero aveva dichiarato: «Ne parleremo con serenità, io non ho alcun pregiudizio». Nemmeno il tempo di entrare nei dettagli, e le perplessità sollevate ieri dalla stessa Lorenzin sono state diverse. Essenzialmente, questioni di natura organizzativa ed economica. «Tutte risolvibili. A costo zero» l'immediata risposta di Carlo Melchionna, vicepresidente nazionale del sindacato Anaao-Assomed, sigla dei medici ospedalieri più rappresentativa. In particolare, Lorenzin ha sollevato questo dubbio: «Se noi passassimo all'improvviso all'abolizione del numero chiuso, con un aumento di 70- 80.000 studenti anche solo per il primo anno, l'interdisciplinarità tipica del nostro sistema verrebbe meno» ha argomentato. Secondo il ministro, adattare «le università in tempi immediati significherebbe fare un grosso investimento economico, che mi pare non ci sia, visto che non si riescono a coprire gli specializzandi». Un modo per allontanare l'obiettivo indicato da Giannini, ossia cancellare la prova già a luglio. «Solo una proposta a mio avviso pre-elettorale. Un obbrobrio» afferma il direttore generale del Policlinico della Federico II, Giovanni Persico, e in precedenza preside della facoltà di Medicina. Spiega: «In teoria, può sembrare giusto voler abolire il test. In pratica ogni scuola di medicina ha i propri limiti di formazione: numero di docenti, peraltro in diminuzione, reparti, sale operatorie e pazienti. In più le linee guida della legge 517 obbligano ogni Policlinico ad avere 3 posti letto per ogni iscritto al primo anno. Come fare?». Carlo Melchionna, vicepresidente nazionale dell'Anaao-Assomed, descrive uno scenario meno catastrofico ripescando nei ricordi personali: «Entrai a Medicina nel 1968, il corso non era a numero chiuso. La selezione avveniva ai primi anni in modo naturale, perché se non si superavano gli esami fondamentali del biennio non era consentita l'iscrizione al terzo anno. Basterebbe ripristinare quel metodo di valutazione più attento. Quanto alla questione delle strutture, dalle aule ai posti letto, è un falso problema. Per le lezioni, non mi sembra che manchino gli spazi inutilizzati, penso anche alle caserme dismesse. E per le visite in reparto, basterebbe raddoppiare i turni: uno la mattina, l'altro il pomeriggio. In più, si potrebbero considerare nel conteggio anche i posti letto degli ospedali». Non ultima stoccata, sul numero di docenti: «Non credo che siano così tanti di meno rispetto a quando seguivo io, ma un'alternativa percorribile sono i contratti di consulenza esterna. Noi medici ospedalieri sin d'ora siamo disponibili a colmare eventuali carenze». E qui lo scontro si fa duro: «Solo gli universitari hanno la "patente" per formare i medici. Se poi si pensa di voler affidare il compito ad altre istituzioni, sono in totale disaccordo» esplode il manager del Policlinico. Test, punto e a capo. ____________________________________________________________ Il Mattino 28 Mag. ’14 TEST DI MEDICINA PERCHÉ LA LORENZIN HA CAMBIATO IDEA? Antonio Galdo Giusto una settimana di tempo e il ministro Beatrice Lorenzin ha pensato bene di cambiare radicalmente idea sull’abolizione dei test d'ingresso alle facoltà di Medicina proposta dalla collega Stefania Giannini. Appena il 21 maggio scorso la Lorenzin parlava di «un’ottima idea», mentre ieri si è dichiarata «perplessa e dubbiosa», che in gergo politichese significa mettersi di traverso e stoppare l'iniziativa della Giannini. Toccherà al premier Renzi dire una parola chiara su una materia così delicata per decine di migliaia di giovani aspiranti medici, ma a prescindere dalla divergenze di opinione tra due ministri, è già chiaro che siamo in presenza di uno dei tanti casi nei quali il cambiamento, parola magica quando si pronuncia ma incendiaria quando si deve realizzare, deve fare i conti con il muro granitico del corporativismo che avvolge come una nube tossica l'intero Paese. Per giustificare la sua rapida e improvvisa inversione di pensiero, il ministro della Sanità lira fuori due argomenti, entrambi fondati, che però dovrebbero indurla a dire il contrario di quanto ha dichiarato ieri ed a battersi al fianco del ministro dell'Istruzione. Il primo argomento riguardale difficoltà organizzative alle quali dovrebbero fare fronte le università, una volta eliminati i test d'ingresso e con un prevedibile aumento della popolazione degli studenti di circa 70-80mila unità. E' vero: senza la barriera di quiz che fanno ridere il mondo, e non solo l'Italia, per la loro assurdità come prova decisiva per mettere piede in una facoltà di medicina, le università dovranno attrezzarsi per riscoprire un meccanismo di selezione fondato sul merito e sulle capacità. Ma non è così, forse, che si restituisce all'università la sua funzione formativa con la quale si allevano bravi medici? E che futuro può avere, al contrario, una università che, di fronte ai problemi organizzativi, si barrica dietro alle statistiche ed ai numeri senza dare alcuna vera opportunità a chi invece coltiva competenze? Il secondo argomento della Lorenzin riguarda il fatto che lei si sente, forse perché interpreta in modo restrittivo il ruolo di ministro della Sanità, la portavoce delle «preoccupazioni dei medici e dei professori». Quali preoccupazioni? Probabilmente quelle di aprire le porte di una professione dove c'è la piena occupazione e dove, per effetto della curva demografica, in Italia tra appena sei anni, il tempo di una laurea da oggi, mancheranno 50mila medici. Dunque, il test che non garantisce né giusta selezione né pari opportunità di accesso (stiamo parlando di quiz più ridicoli di un cruciverba) allo stato serve a questo: a non toccare i diritti degli inclusi, i medici e i professori (medici) giustamente preoccupati, sulla base dei loro interessi, dal cambiamento dei criteri di selezione secondo la proposta del ministro Giannini che tra l'altro è applicata in decine, centinaia di paesi del mondo. E la prova che sono in gioco i diritti, o meglio, i privilegi, degli inclusi è scolpita in un numero che il ministro Lorenzin dovrebbe imparare a memoria prima di difendere lo status quo dell'attuale percorso di formazione perla professione medica. In Italia, lo dice Alma Laurea, i140 per cento dei medici sono figli di medici. Tutti bravissimi, per carità, specie a rispondere ai quiz per mettere piede nell'università. ____________________________________________________________ Il Giornale 1 Giu. ’14 SAPIENZA, LA SFIDA ROSA NELL'UNIVERSITÀ DEI MASCHI Francesca Angeli La donna che vuole essere «magnifica» Prima sfida rosa nell'università del potere maschio Tiziana Catarci, docente di informatica, si candida a rettore della Sapienza. Mai successo nell'ateneo romano. In 700 anni Mi devono votare per il mio programma e non perché sono una donna». Tiziana Catarci ha già compiuto il primo passo attraverso un confine inviolato da 711 anni semplicemente candidando si alla poltrona di Magnifico Rettore dell'Università La Sapienza di Roma. Per la prima volta una donna propone il suo nome per andare al governo dell'Università più grande d'Europa. Certamente questa signora elegante, bionda e minuta, madre di un figlio di 12 anni, di ostacoli apparentemente insormontabili ne deve aver già superati parecchi. Prima per laurearsi in Ingegneria Elettronica e poi per arrivare al ruolo di professore ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso la Facoltà di Ingegneria. Da12010 è stata Prorettore ma non appena ha deciso di candidarsi si è dimessa dall'incarico. «Sono l'unica ad averlo fatto - tiene a puntualizzare- Tutti gli altri candidati sono ancora saldamente ancorati ai loro incarichi». Se si vuole un segnale di discontinuità rispetto ai secoli trascorsi non c'è dubbio che il fattore «donna» alla Sapienza rappresenti di per sé una rottura con un passato di genere esclusivamente maschile. La Catarci non si dilunga sulle difficoltà, gli episodi di sessismo o discriminazione subiti in passato. «Quando arrivi in un ambiente composto a190 per cento da uomini che qualcuno tenti di screditarti è inevitabile- racconta- Un amante solo non basta, me ne hanno attribuiti a decine». Ma la professoressa ha tirato dritto e oggi alle ragazze che tentano strade nuove consiglia di non mollare. «Basta farsi valere, le donne hanno una marcia in più e sanno volgere le situazioni sfavorevoli a proprio vantaggio -prosegue- Se si è in poche è più facile che si ricordino di te e se lavori sodo alla fine i risultati arrivano». Non vuole esser votata soltanto perché è una donna ma si dice convinta del fatto che soltanto l'arrivo di una donna può automaticamente rompere meccanismi immutati da decenni. Perché le donne hanno un modo diverso di «governare le organizzazioni complesse: promuovono la partecipazione, gestiscono e superano meglio i conflitti e sono più efficienti». L'Università italiana è in crisi 78.000 iscritti in meno in dieci anni che alla Sapienza in particolare sono costatii142 per cento degli immatricolati. Erano 24.462 nel 2003 e sono scesi a 14.167 nell'ultimo anno. Riuscirà una donna a risollevare le sorti dell'Università nata nel 1303 per volontà di Bonifacio VIII, il pontefice schiaffato all'Inferno da Dante Alighieri? Come pensa di invertire la rotta la Catarci? Due i principi chiave del suo programma la multi disciplinarietà e l' internazionalizzazione. «Bisogna creare percorsi formativi innovativi come oramai hanno fatto tutte le grandi università del mondo -spiegala Catarci- L'obiettivo deve essere quello di superare subito la divisione tra l' area culturale scientifica e quella umanistica per disegnare corsi che definiscano figure professionali con competenze in entrambe le aree». L'ostacolo più difficile da superare è sempre quello economico. «Si possono fare molte cose perchè il capitale umano c'è -prosegue- Certo non abbiamo quello economico ma dobbiamo far pressione sul governo perchè è dentro l'Università che si gioca il futuro del paese». Quali sarebbero le sue prime mosse se fosse eletta? Convocazione immediata dalla squadra di governo per le consultazioni mettendo sul tavolo le questioni più immediate. La Didattica che deve tornare a prevalere sulla Burocrazia. Open data: assoluta trasparenza dei dati, dall'impiego delle risorse ai progetti di ricerca. Coinvolgimento degli studenti che sono «l'anima dell'Università ed il motore del cambiamento». L'appuntamento con il voto è per il prossimo 23 settembre. ____________________________________________________________ Repubblica 30 Mag. ’14 DIRITTO ALL'OBLIO, IL RISCHIO DI UN EFFETTO BOOMERANG PER IL WEB La scelta di Google di acconsentire alla possibilità di essere "dimenticati" dal suo motore, apre a scenari del tutto nuovi. Anche potenzialmente pericolosi per il diritto all'informazione. Due esperti ci spiegano perché di ALESSANDRO LONGO GGI PARTE a tutti gli effetti la stagione del diritto all'oblio sul web, con la comparsa del modulo con cui Google permette di esser cancellati dal proprio motore di ricerca. Adesso prepariamoci a viverne le conseguenze, che saranno straordinarie e potenzialmente molto pericolose per il diritto all'informazione, secondo vari esperti. Ma anche gli stessi diritti dei cittadini potrebbero essere deformati da questa nuova possibilità offerta dal motore. Che le conseguenze saranno grandi lo dimostra anche il fatto che Google ha già ricevuto circa mille richieste di cancellazione da parte di cittadini europei. Il tutto, a pochi giorni dalla sentenza della Corte di Giustizia europea a cui ora si adegua con questo modulo. "Ci stanno arrivando tantissime richieste", conferma l'avvocato esperto di diritti internet Fulvio Sarzana. I cittadini ora possono usare il modulo per chiedere la cancellazione direttamente a Google, infatti, ma alcuni preferiscono ancora passare da un avvocato, come è stato fatto finora, per il diritto all'oblio. È poi l'avvocato a inoltrare la richiesta a Google (adesso, utilizzando il modulo). Un esempio: "una psicologa è perseguitata da un suo ex paziente che ha fatto un blog appositamente per screditarla con notizie attinenti la propria vita sessuale e le frequentazioni da lei avute nel passato. Poiché però il blog è ospitato presso server in Svezia il titolare della piattaforma ha sempre risposto che non poteva fare nulla non trovandosi i server in Italia. Oggi con la nuova sentenza dovrebbe essere possibile risolvere il problema, facendo sparire quella pagina da Google", dice Sarzana. In Europa, si segnalano casi come quello dell'irlandese Eoin McKeogh che da anni combatte per essere dimenticato da Google, Facebook e Yahoo!. Un utente internet, restato anonimo, l'avrebbe erroneamente accusato di non aver pagato la corsa di un taxi (si tratterebbe in realtà di uno scambio di persona). In Francia, una madre sta cercando da tempo di cancellare foto discinte di sua figlia teenager. In Romania, una donna vuole fare sparire informazioni che riguardano il suo divorzio. Nel Regno Unito, un ex politico vuole eliminare i link a un libro che considera diffamatorio. Un attore vuole far sparire le notizie su una presunta relazione avuta con una minorenne. Un medico cerca di cancellare commenti negativi sul suo operato. Come si vede, ci sono questioni personali ma anche di interesse pubblico, tutte nello stesso calderone del diritto all'oblio. Una questione complessa, dove non è facile commisurare i diritti della privacy con quelli del pubblico interesse. Ma adesso che Google passerà all'azione, con quel modulo, ogni nodo verrà al pettine e tutta la sua complessità verrà ridotta a una decisione binaria: il link sarà cancellato o conservato, sul motore di ricerca. Decide Big G. Le conseguenze sono enormi, secondo gli esperti. "Da una parte, è bello che per la prima volta Google dimostri di ascoltare quanto chiede l'Europa, invece di limitarsi a ribadire di non essere soggetta alle nostre istituzioni in quanto soggetto americano", dice Guido Scorza, avvocato esperto di questi temi. "Dall'altra, questa vittoria per l'Europa rischia di diventare una sconfitta. Una società privata farà da arbitro nel decidere quando prevale la privacy e quando il diritto all'informazione, su cose che riguardano tutti noi. Un aspetto su cui solo i Garanti privacy o i giudici dovrebbero decidere". Per esempio, per Google non sarà facile decidere quando un personaggio è pubblico o sono di interesse pubblico le informazioni che lo riguardano e quindi non hanno diritto all'oblio. Il rischio di decisioni affrettate è comunque presente, viste le migliaia di richieste che verranno gestite. Non solo, ci sono anche effetti collaterali poco chiari: "se la pagina rimossa da Google contiene dati di terzi, anche questi saranno condannati all'oblio", dice Scorza. Secondo Scorza e Sarzana, uno dei rischi più gravi lo corre il diritto all'informazione, giornalistica e non solo. Alcuni, anche in Italia, già vogliono usare lo strumento di Google contro articoli di giornale, come scorciatoia low cost rispetto all'azione giudiziaria. Google potrebbe insomma di fatto rendere invisibile su internet un articolo prima che un giudice possa esprimersi sul suo essere (o no) diffamante. Il motore si sostituirebbe insomma alla magistratura, calpestando diritti costituzionali. "Teniamo conto di un paradosso: adesso c'è il diritto all'oblio, ma non alla reindicizzazione del contenuto. Anche una grossa testata, insomma, non ha diritto di chiedere a Google di rendere di nuovo visibile un articolo", dice Scorza. Concorda Sarzana: "Il modulo di Google ha un grosso problema: non prevede un contraddittorio con il sito oggetto della richiesta. Si rischia così di diventare invisibili su internet senza poter dire la propria". Immaginiamo anche scenari più particolari. Un normale cittadino chiede il diritto all'oblio per un fatto che può ledere la sua reputazione, ma di scarso interesse pubblico: ha scritto frasi misogine o razziste, per esempio. Quindi Google acconsente. Passa qualche anno e il cittadino si candida alle elezioni. Gli utenti non potranno più sapere, comunque, quelle informazioni su di lui. Ci possono essere inoltre conseguenze paradossali: "Google dice che si occuperà solo di siti della comunità europea. Allora potrebbe nascere un sito a S. Marino che dirà tutto quello che altrove non è ricercabile", ipotizza Sarzana. vInfine, il diritto all'oblio potrebbe essere un boomerang contro la stessa persona che l'ha richiesta. "Tra i risultati della ricerca, comparirà una scritta d'avviso che alcuni di quelli sono stati rimossi in nome al diritto d'oblio. Un po' come fa già ora Google per i siti che violano il copyright", dice Sarzana. Immaginiamo un datore di lavoro che faccia una ricerca su un candidato e veda apparire questo avviso. Potrà immaginare cose anche più gravi di quelle effettivamente eliminate: a volte il dubbio genera sospetti più gravi della trasparenza. Insomma, adesso Google- spinto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE- sarà chiamato a tagliare con l'accetta una questione molto complicata. Con effetti che vedremo presto, ma che potrebbero essere devastanti per il web, per i singoli e per i diritti collettivi. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mag. ’14 BUROCRAZIA A UN PASSO DALLA RESA Secondo la ricerca di Forum Pa necessaria una profonda rivoluzione Antonello Cherchi Ancora cinque giorni e si chiuderanno le consultazioni aperte dal Governo il 30 aprile per conoscere le proposte dei dipendenti sul volto futuro della pubblica amministrazione. Dopodiché il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, si metterà al lavoro per dare forma – sulla base dei punti programmatici presentati a fine aprile insieme al premier Matteo Renzi e alla luce dei suggerimenti arrivati (al 22 maggio erano state ricevute 23mila mail) – al provvedimento di riforma della burocrazia da approvare in Consiglio dei ministri il 13 giugno. Il Governo ha parlato sin dall'inizio di "rivoluzione", tant'è che l'indirizzo mail a cui si possono inviare consigli e riflessioni è, appunto, rivoluzione@governo.it. Di "rivoluzione necessaria" parlano anche le conclusioni dell'indagine condotta da Forum Pa sul pubblico impiego che verrà presentata domani a Roma nel corso dell'apertura della 25a edizione della manifestazione (si vedano anche le pagine 28 e 29 di questo numero del Sole). «Ascoltando quotidianamente i protagonisti, pubblici e privati, sentiamo – si sottolinea nel documento – che siamo a un passo dal definitivo arrendersi. Non c'è più tempo da perdere. Se la riforma Renzi-Madia sarà la svolta che serve, lo vedremo. Certo è di una profonda rivoluzione che abbiamo bisogno». È quella che altri Paesi, come la Francia e la Gran Bretagna, hanno messo in campo prendendo le mosse dalla crisi economica, che ha indotto un profondo ripensamento del settore pubblico. In Italia, invece, il dissesto dei conti ha portato la burocrazia «ad un sostanziale arroccamento delle posizioni, in una sorta di catenaccio – si sostiene nella ricerca – teso da una parte a difendere il più possibile lo status quo, dall'altra a raggiungere comunque, con lo stesso apparato organizzativo e con tagli più o meno lineari, il massimo dei risparmi possibili». Ciò ha voluto dire blocco delle assunzioni, con conseguente innalzamento dell'età media di chi rimane in servizio, riduzione dei dipendenti, tagli alla formazione, scarsissima mobilità, riduzione dei contratti a tempo determinato. Di contro, chi aveva privilegi acquisiti ha fatto di tutto per non perderli (specie tra i dirigenti) e la frammentazione degli uffici e la cattiva distribuzione geografica dei dipendenti non è arretrata di un passo. Un quadro, insomma, «disastroso», che non regge il confronto con quello di Francia e Gran Bretagna. C'è solo un elemento che gioca a nostro favore: il numero complessivo dei dipendenti. Considerando anche i contratti non stabili, gli addetti al pubblico impiego sono 3,3 milioni, con una diminuzione negli ultimi anni del 4,8. per cento. Quelli inglesi sono 5,7 milioni (la riduzione è, però, stata dell'11%), mentre in Francia sono addirittura cresciuti di quasi 5mila unità, assestandosi sui 5,5 milioni. Le politiche di tagli si sono, dunque, fatte sentire sia da noi che Oltremanica, con conseguenti effetti sulla spesa per il lavoro pubblico, che in Italia è prevista – nel periodo 2008-2015 – in discesa del 3%, nel Regno Unito dello 0,1%, mentre in Francia aumenta del 14,3%, anche al di sopra della media Ue, stimata in 8,5 per cento. Nel nostro Paese, però, i risparmi non si sono tradotti in efficienza. Anzi, hanno peggiorato una situazione già difficile. I tagli alla spesa hanno, infatti, significato, tra l'altro, blocco del turn over. Dunque, niente ricambio generazionale, fenomeno acuito dalla riforma delle pensioni, che ha fatto slittare in avanti il momento di abbandono del lavoro. L'età media dei dipendenti pubblici, pertanto, si è innalzata. Il risultato è che in Italia solo il 10% degli impiegati ha meno di 35 anni e solo l'1% ha 25 anni o meno. In Francia i dipendenti pubblici sotto i 35 anni sono quasi il 27% (il 5,4% ha 25 anni o meno) e in Gran Bretagna il 25% (il 4,9% è nella fascia dai 25 anni in giù). La situazione si ribalta se si guarda alla categoria degli over 50: vi si collocano il 46% dei lavoratori pubblici italiani, contro il 30,6% della Francia e il 30,7% del Regno Unito. Come se non bastasse, al problema di una burocrazia "vecchia" si somma quello dell'insufficienza delle competenze. Intanto, tra i dipendenti pubblici nostrani la percentuale di laureati è bassa: il 30,5% contro il 45% di quelli inglesi e il 50,7% dei cugini d'Oltralpe. Ciò che, però, pesa di più è il fatto che il 49% degli impiegati italiani si trova a ricoprire, senza essere laureato, un posto che richiederebbe un titolo universitario. E non è certo con la formazione che si può sperare di supplire a simili carenze: «Nonostante tutti i proclami che si sono succeduti a cominciare dal ministro Frattini nel 2002, un impiegato pubblico italiano – si legge nell'indagine di Forum Pa – in media può contare su meno di un giorno all'anno di formazione (4,5 giorni se è in diplomazia, ma mezza giornata se è in un ministero), contro le 8,2 giornate di formazione di un impiegato pubblico francese, che diventano 10 per i dirigenti». C'è poi l'aggravante della cattiva distribuzione geografica dei dipendenti – in Calabria sono 130 ogni mille abitanti e in Lombardia 60, segno che il lavoro pubblico è spesso servito come ammortizzatore sociale – e della frammentazione della burocrazia: escludendo le 41mila scuole e istituti di istruzione, le unità locali sono oltre 60mila. I ministeri hanno quasi 5mila uffici distaccati, le province più di 2.100, le regioni 1.778. Nonostante tale quadro poco edificante, le isole di privilegio continuano a esistere e resistono ai cambiamenti. In particolare, ai livelli apicali della burocrazia. I dirigenti in senso stretto sono oltre 36mila, che diventano 166mila se si aggiungono i 130mila dirigenti medici e sanitari, che spesso non dirigono alcunché, ma hanno la qualifica per questioni contrattuali. Se si considera l'intero universo di figure di vertice, si riscontra che il numero dei dirigenti, per quanto diminuito in valori assoluti, continua a crescere rispetto al totale dei dipendenti: nel 2004, infatti, c'era un dirigente ogni 12,3 impiegati, mentre nel 2012 il rapporto era di uno a 11,7 dipendenti. E ciò ha riflessi sulla spesa, perché se gli stipendi dei dirigenti di seconda fascia sono aumentati meno delle retribuzioni degli impiegati, quelli dei dirigenti di prima fascia e apicali hanno subìto incrementi significativi. Così che in Italia un dirigente apicale guadagna 12,6 volte il reddito medio, mentre in Gran Bretagna la medesima proporzione è 8,4 volte, in Francia 6,4 e in Germania 4,9. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Giu. ’14 NELLA PA L'OBBLIGO DI OPEN DATA DERIVA DALLA COSTITUZIONE di Giovanna De Minico Il premier Renzi e la ministra Madia hanno anticipato le linee guida di riforma della pubblica amministrazione: ricambio generazionale, tagli agli sprechi e open data. Questa riflessione è rivolta al solo terzo rimedio: ci chiederemo cosa si intende per dato aperto, a quale finalità obbedisce e quale la sua praticabilità. L'espressione non è un inedito nella cultura pubblica italiana, già il codice dell'amministrazione digitale consentiva alla Pa di rendere pubblici i dati in suo possesso, purché anonimi o comunque non idonei a individuare la persona. Questa liberazione del patrimonio conoscitivo pubblico avrebbe consentito al cittadino il riutilizzo del dato anche a fini commerciali. Si pensi ai dati ecologici sull'inquinamento atmosferico, che se aggregati da un Comune in ragione della zona di rilevamento consentirebbero a chiunque di ideare e concentrare un servizio di car sharing con vetture elettriche anche in ragione del tasso di anidride carbonica e non solo in base alla domanda di utilizzo. Ritorniamo al dato normativo e chiediamoci se col trascorrere degli anni il concetto di bene pubblico si sia evoluto. L'intervento convulso di leggi e linee direttive ha lasciato però immutata l'iniziale configurazione giuridica del open data: una mera facoltà graziosamente concessa dalle amministrazioni ai propri cittadini, salvo ipotesi di obblighi posti da leggi di settore e debolmente assistiti da sanzioni. Descritto lo stato dell'arte, avanziamo una diversa idea di cultura pubblica dell'open data. Proviamo a mettere bene il primo passo, il resto verrà di conseguenza. Se il dato detenuto dall'amministrazione appartiene al patrimonio indiviso di una collettività, su di esso il soggetto pubblico non può vantare un titolo proprietario esclusivo perché il dato è della collettività, mentre l'amministrazione ne è semplicemente il custode, peraltro temporaneo. E allora la Pa è obbligata a diffonderlo perché non fa altro che restituire al suo legittimo proprietario ciò che gli appartiene. E tale obbligo non occorre che esibisca una legge come suo titolo giustificativo, perché discende in linea diretta dall'articolo 97 della Costituzione, in quanto se il dovere di trasparenza impone all'amministrazione la visibilità dei suoi percorsi decisionali, essa prescriverà anche l'esibizione dei risultati dell'agire pubblico: i dati. Collegare l'open data a un preciso obbligo di messa a disposizione comporta conseguenze non trascurabili quanto alla modalità di accesso del dato che dovrà essere fruibile da chiunque senza condizioni tecniche di acquisizione (registrazione) o di legittimazione; alla forma di presentazione e alla sua tendenziale gratuità. Ma la cosa più importante è un'altra: un obbligo rimanda sempre all'esistenza di un correlativo diritto al suo adempimento, diritto questo che spetterà a chiunque, cittadino o straniero, in quanto il dato non è una conoscenza funzionale ai processi politici, bensì, come ci ricordano le direttive europee, all'esercizio di una libertà economica (creazione di servizi digitali e applicazioni) o anche di un diritto fondamentale, quello della persona a sostituirsi o affiancarsi all'amministrazione nel rendere un'attività di pubblica utilità in ragione del vincolo solidaristico. Nella mia prospettazione l'open data diventa la premessa conoscitiva anche alla collaborazione tra persone e amministrazione: una condizione di effettività del diritto alla sussidiarietà orizzontale. Infine, se questo obbligo venisse disatteso, la sanzione non dovrà giovare allo Stato, perché qui il danneggiato sono le persone comuni, private di quanto spettava loro conoscere, e quindi l'azione appropriata dovrebbe essere una class action con finalità risarcitorie e di esecuzione in forma specifica. E ora il cerchio si chiude: l'obbligo di accessibilità ai dati ritorna alla sua fonte, l'articolo 97 della Costituzione. E allora se il Governo Renzi continuasse in linea con chi lo ha preceduto a non intenderlo come un dovere imposto a ogni amministrazione, si creerebbe una situazione di palese ingiustizia: le amministrazioni virtuose renderebbero i servizi, pubblicherebbero i dati, e si potrebbero anche avvalere dei propri cittadini pronti a collaborare con loro nello svolgimento di attività sociali; mentre le amministrazioni inoperose, rimarrebbero inerti nell'agire e silenti nel pubblicare i dati e insostituibili dai loro cittadini, i quali lasciati nell'ignoranza non saprebbero a chi sostituirsi e per cosa. Rendiamo allora questa facoltà un obbligo: restituiamo alla persona la conoscenza di ciò che le appartiene! ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mag. ’14 I GRANDI DATABASE UTILI PER DECIDERE Ci sono tre prospettive dalle quali affrontare il tema dei big data. Quella tecnologica: ormai le capacità di calcolo e di immagazzinamento di dati delle macchine hanno raggiunto livelli prima inimmaginabili. Su una scrivania possiamo archiviare facilmente terabyte di informazioni (un terabyte è equivalente al contenuto di circa 1.400 cd) mentre a livello server da anni l'unità di misura è diventato il petabyte. L'approccio tecnologico è, inevitabilmente, quello portato avanti dalle aziende di informatica alla ricerca di nuovi utilizzi e mercato per i propri prodotti. Il secondo approccio discende dalla crescente disponibilità di dati e informazioni che l'economia di servizi produce quotidianamente. Con il passaggio dall'economia dell'atomo a quelle del bit e con la progressiva dematerializzazione dei prodotti la quantità di informazioni cresce di giorno in giorno. Youtube produce un traffico mensile di circa 27 petabyte di video, su internet transitano 1.826 petabyte di dati ogni giorno. Le informazioni scaturiscono praticamente da tutte le attività umane: da quelle finanziare a quelle sanitarie e culturali così come dai molteplici strumenti o prodotti ormai sempre connessi a internet, a cominciare dai telefonini che teniamo nelle nostre tasche e ai sensori distribuiti nelle città. L'approccio che considera i dati come risorse è portato aventi soprattutto dalle grandi aziende di retail, che lavorando sulle analisi dei consumi e sulla profilazione degli utenti, trasformano la conoscenza in valore commerciale. Infine c'è un terzo approccio dal quale valutare le possibilità dei big data: quello legato ai problemi. È evidente che ci troviamo in una società sempre più complessa e articolata, con un'enorme granularità e molecolarizzazione dei bisogni. Una società fluida difficile da fotografare e da interpretare coni i classici strumenti di analisi (pensiamo, ad esempio, ai censimenti decennali). Questo approccio dovrebbe essere portato avanti soprattutto a livello istituzionale per permettere ai governi nazionali e territoriali di programmare, di decidere sulla base di una reale conoscenza dei problemi. Il ricorso ai nuovi metodi di data analytics e di data mining (esplorazione e analisi delle informazioni) può portare a un'importante evoluzione nel rapporto con i cittadini. In termini di ascolto è possibile (magari attraverso l'analisi dei social media) capire le opinioni sulle diverse politiche, prevedere nuove domande, così come cogliere i cambiamenti repentini di natura sociale ed economica. In termini di servizi, l'analisi dei big data può portare a una valutazione e controllo della spesa, alla personalizzazione dei servizi, alla riduzione degli sprechi e delle frodi. Insomma, i dati ci sono, la tecnologia anche. Ora si tratta di creare una cultura del data driven decision, ovvero arrivare a decisioni partendo dai dati, che in Italia stenta a decollare. Gia. Dom. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 Mag. ’14 DATI SENSIBILI. IL GARANTE FISSA LE LINEE GUIDA PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PRIVACY A MISURA DI ANTICORRUZIONE Antonello Cherchi Nessuna pubblicazione di dati personali sulla salute e la vita sessuale, vaglio molto attento delle altre informazioni sensibili (appartenenza politica, credo religioso, origine razziale, ecc.), via libera agli open data ma specificando che non sono riutilizzabili senza limiti e prevedendo licenze standard che specifichino le modalità di riuso, divieto di indicizzazione nei motori di ricerca generalisti dei dati sensibili e giudiziari. Sono le principali regole che il Garante della privacy detta alle pubbliche amministrazioni attraverso le nuove linee guida sulla trasparenza (vanno, pertanto, in soffitta quelle di marzo 2011) messe a punto alla luce della normativa anticorruzione e, in particolare, del decreto legislativo 33 del 2013. Il corposo documento, prossimo alla pubblicazione, è diviso in due parti. Nella prima si prendono in considerazione gli adempimenti introdotti dal decreto 33, nella seconda tutti gli obblighi di pubblicazione di dati personali previsti da altre disposizioni per finalità diverse dalla trasparenza (per esempio, pubblicazioni di matrimonio, di cambiamento del nome, di avviso di deposito di cartelle esattoriali, dell'elenco dei giudici popolari di Corte d'assise). La prima parte è decisamente quella più consistente e quella che richiede maggiore attenzione ai responsabili della privacy all'interno delle amministrazioni. Questi ultimi devono, infatti, trovare (linee guida alla mano) il giusto bilanciamento tra le esigenze di trasparenza allargata volute dal legislatore con il decreto 33 - all'epoca il Garante si mostrò critico sulla decisione di diffondere online una simile quantità di informazioni personali - e il rispetto della privacy. Tanto più che la pubblicazione di dati personali effettuata in assenza di idonei presupposti normativi è punita con la sanzione amministrativa da 10mila a 120mila euro e, nei casi più gravi, con la reclusione. Ed è proprio questo che i responsabili della privacy degli uffici pubblici devono fare come prima mossa: verificare se i dati che si apprestano a pubblicare sul sito istituzionale, nella sezione «Amministrazione trasparente», abbiano la copertura normativa che ne consenta la diffusione. Devono poi selezionare le informazioni da pubblicare, verificando caso per caso se ricorrono i presupposti per l'oscuramento di determinate notizie personali, così da ridurre al minimo la diffusione di dati indentificativi. In altre parole, devono sempre chiedersi se la pubblicazione di una certa informazione è realmente necessaria e proporzionata alle finalità di trasparenza. In questo discernimento possono essere aiutati da alcune certezze: non vanno mai pubblicati i dati sulla salute e la vita sessuale. Gli altri dati sensibili possono essere diffusi solo quando la loro versione anonima preclude la trasparenza. Altra incombenza in capo agli "uomini privacy" è di controllare l'attualità dei dati pubblicati e modificarli e aggiornarli. Il decreto 33 prevede che le informazioni siano diffuse in formato di tipo aperto, così da poterle riutilizzare. Il Garante, però, avverte di fare attenzione: «formato di tipo aperto» è diverso da «dato di tipo aperto», che consente anche un riuso di natura commerciale. Dunque, i dati non sono liberamente riutilizzabili senza limiti ed è bene - suggerisce l'Authority - che le amministrazioni inseriscano nella sezione «Amministrazione trasparente» un alert che spieghi le condizioni di riutilizzo. Così come è indispensabile che predispongano licenze standard in formato elettronico che stabiliscano chiaramente le modalità giuridiche e tecniche per il corretto riutilizzo dei dati. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Giu. ’14 rivacy e internet PRIVACY: NON AVETE NIENTE DA NASCONDERE? L'atteggiamento diffuso, lasco e indifferente verso le invasioni della sfera privata, sottovaluta una serie di insidie e pericoli Roberto Casati «Io non ho nulla da nascondere. Non mi interessa se mi stanno sorvegliando, non scopriranno nulla!» Sento sempre più spesso questa frase in conversazioni casuali o discussioni pubbliche quando sollevo il problema dell'eccesso di sorveglianza. La frase viene usata da un tipo di persone, che chiamerò gli Indifferenti, per giustificare che non ci si preoccupi più del fatto che qualcuno possa star raccogliendo in modo massiccio dei dati su di noi. Se il vostro cellulare è acceso, le compagnie telefoniche sanno dove siete, con buona approssimazione. Se l'antenna del GPS è collegata, i produttori del vostro telefono (e molti dei loro clienti) sanno dove siete e quando, con quasi assoluta precisione. Ma per l'appunto, dicono gli Indifferenti, non avete nulla da nascondere, e quindi non avete ragione di preoccuparvi. Penso che si debba resistere a questa linea di pensiero, rifiutando la premessa maggiore dell'argomento: «Non ho nulla da nascondere, quindi sono collegato in permanenza». Infatti il condizionale che esprime la premessa è equivalente a quest'altro: «Non sono collegato in permanenza, quindi ho qualcosa da nascondere». A furia di ripetere la prima formulazione del condizionale, finiremo automaticamente con il fare nostra l'altra. Ci sono diverse ragioni per rifiutare la linea di pensiero degli Indifferenti. La prima è che dal fatto che uno non abbia nulla da nascondere, non segue che uno non possa legittimamente desiderare di starsene al riparo da un occhio che sorveglia. La sfera privata è fatta soprattutto di molte cose innocenti che uno vuole fare in santa pace, cose non riprovevoli, non censurabili, non illegali, e quindi cose delle quali diremmo, se ce lo chiedono, che non sono "da nascondere". Ma cose che ci piace e ha senso mantenere private. La seconda ragione è che io potrei non avere nulla da nascondere, ma non essere affatto d'accordo sul fatto che qualcuno sappia tutto quello che faccio, e che usi queste informazioni a fini che non sono stati da me autorizzati. La terza ragione è che la linea di pensiero che voglio criticare ribalta l'onere della prova spostandolo dall'accusa alla difesa. In sostanza, se ci adeguiamo, ci verrà sempre più richiesto di avere sempre un alibi pronto. Questo perché un'assenza di dati (o di metadati) al nostro riguardo verrà del tutto naturalmente interpretata come un occultamento di prove. Dato che la stragrande maggioranza della popolazione è tracciabile per il semplice fatto di avere un telefonino acceso in tasca, una assenza di collegamento verrà interpretata come un comportamento sospetto («hai qualcosa da nascondere, per questo tenevi il cellulare spento o in modalità aereo»). Non penso qui soltanto alle telecamere nei centri commerciali o alla NSA. Le compagnie di assicurazione offrono oggi uno sconto a chi attiva una scatola nera per registrare il comportamento alla guida della propria auto. Queste scatole nere possono raccogliere dati che riguardano gli incidenti, ma anche dati comportamentali. Con il diffondersi di videocamere miniaturizzate come quelle incorporate negli occhiali di Google e di registratori biometrici a basso costo, le compagnie di assicurazione saranno tentate di premiare chi "indossa" in permanenza degli strumenti di rilevazione («potremmo rilevare in tempo reale i segni premonitori di un infarto, ci pensi?»). Ma questo ci porterà verso una transizione concettuale sulla quale, temo, dovremo negoziare duramente negli anni a venire. Se passeremo da un'immagine di noi stessi come individui a un'immagine di noi stessi come generatori di dati – biodati o sociodati; se il non indossare un qualche device per la raccolta automatica di dati verrà considerato sconveniente (stigmatizzatione), potenzialmente criminale («metti in pericolo anche la sicurezza altrui») e verrà disincentivato economicamente (assicurazioni), non saranno soltanto le aree di privatezza a essere minacciate; si creeranno zone di esclusione sociale, marginalità senza ritorno, anche attorno ai comportamenti più innocenti. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Giu. ’14 E ANCHE HARVARD «CEDE» ALLE LEZIONI IN RETE Alla fine anche il tempio dei campus americani ha ceduto: la Harvard Business School avrà i corsi online, i cosiddetti Moocs (Massive Open Online Courses ). Dall’11 giugno sarà possibile iscriversi a un corso della più prestigiosa scuola di economia del mondo da casa propria. A suo modo una rivoluzione, che riapre anche la discussione sull’educazione universitaria a distanza. Dopo l’exploit degli anni scorsi che aveva portato il New York Times a ribattezzare il 2012 l’anno dei Moocs, oggi questi corsi cominciano a provocare ripensamenti e dubbi sull’effettiva efficacia anche nei sostenitori più convinti come Sebastian Thrun, il fondatore di Google X Labs diventato uno dei più famosi «professori online». E infatti ad Harvard, alla Business School, finora avevano adottato un atteggiamento molto guardingo, rifiutando anche di entrare nella piattaforma dei corsi internet dell’Università. Dopo diciotto mesi di discussione — proprio come se la scelta strategica fosse uno dei case study che hanno reso famosa e vincente Harvard — è maturata la decisione (arrivata tardi rispetto a quella già presa da altri istituti prestigiosi come l’ateneo di Stanford e la Wharton School dell’università della Pennsylvania): la più difficile negli ultimi cent’anni, secondo il New York Times che ieri ha dedicato una pagina intera alla storica svolta accademica. In gioco c’è una tradizione che vale centinaia di milioni di ricavi all’anno e costa agli studenti 100 mila dollari (73 mila euro) per il biennio, da non cancellare in nome della tecnologia a tutti i costi: una tradizione che con il suo modello originale è stata una delle più influenti nelle strategie aziendali e in economia lungo il corso dell’ultimo secolo. Dall’altro lato, però, c’è il rischio di rimanere indietro avvicinando velocemente la profezia di chi vuole che nei prossimi quindici anni finiscano in bancarotta le migliori università americane essendo i costi non più sostenibili. Dopo una infuocata discussione che ha visto in due pesi massimi dell’Università, Michael Porter e Clayton Christensen, i paladini delle opposte posizioni, alla fine si è optato per la terza via. Il primo esperimento non sarà un corso di Master in business administration vero e proprio, ma un pre-Mba e non sarà gratuito. Nove settimane di lezioni divise in tre corsi (contabilità, economia per manager e analisi), costo 1.500 dollari (1.100 euro). I posti per ora sono cinquecento, ma dovrebbero centuplicare nei prossimi anni. Alla fine del corso, soltanto i migliori studenti verranno chiamati a sostenere gli esami finali, non online, ma in centri universitari: «Vogliamo comunque studenti e non turisti», spiega Jana Kierstead, che dirige il centro dei Moocs di Harvard. L’idea di usare Internet e i corsi a distanza come terza via, che non cancelli né si sovrapponga ai corsi tradizionali, è per il momento anche il modello prevalente delle principali università italiane, dove la diffusione dei Moocs è ovviamente molto meno ampia che negli Stati Uniti. «Abbiamo deciso di non imitare le principali università americane offendo all’esterno versioni di corsi esistenti, ma di usare le tecnologie per supportare i nostri studenti o potenziali studenti per migliorare le loro competenze», ha spiegato al Corriere.it Donatella Sciuto, prorettore del Politecnico di Milano, che ha già attuato un programma di Moocs per i suoi studenti e per le matricole. ____________________________________________________________ Il Secolo XIX 28 Mag. ’14 SCIENZA E DESIGN CONTRO I MOZZICONI Per combattere l'inquinamento causato dalle cicche di sigarette campagne anti-fumo e idee che vanno dall'arredo urbano al riciclo IRENE PUGLIESE C'È CHI LI combatte con le cattive e chi invece ci prova con le buone. Passeggiando sul lungomare di Tel Aviv non si trova un mozzicone di sigaretta per terra, bensì tanti ed eleganti portacenere firmati da alcuni maestri del design israeliano. Una vera lezione di arredo urbano, dicono in molti. Semplice, elegante, efficace. Pulito. Anche qui come negli Stati Uniti hanno deciso di dichiarare guerra alla cattiva abitudine di gettare le sigarette per le strade, ma con una diversa filosofia. Non attraverso le durissime crociate americane contro i fumatori, bensì con stile. E i risultati si vedono. In Italia invece la battaglia è persa in partenza: gli scarti di sigaretta sono ovunque, nelle piazze, lungo i marciapiedi, nei giardini, sulle spiagge. Con gravi danni all'uomo e all'ambiente. Il nuovo allarme arriva da San Diego, dove alcuni ricercatori hanno calcolato che l'inquinamento dovuto alle cicche è molto più pericoloso di quanto già stimato negli anni passati. «Fumare una sigaretta significa bruciare tabacco, da tale combustione si liberano più di 4000 composti chimici ad azione tossica, nociva e cancerogena» conferma Carmine Ciro Lombardi dirigente di ricerca presso l'Enea, l'agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile. Nicotina, composti organici volatili, gas tossici, benzene, catrame, polonio 210 e acetato di cellulosa, sono solo alcune delle numerose sostanze presenti nel fumo di sigaretta che restano intrappolate nella cicca. Prodotti chimici che, assorbiti dall'ambiente, possono contaminare il suolo e le acque. Arrivare al mare è un attimo. Difficili da raccogliere per le dimensioni ridotte, i mozziconi rimangono intrappolati nelle fessure, nelle intercapedini e nei cespugli, dove i mezzi di pulizia manuali e meccanici non riescono ad arrivare. Così quando piove sono trascinati nelle fogne e da qui arrivano ai fiumi e infine al mare. «In acqua le cicche rilasciano il loro contenuto tossico con gravi ripercussioni sulla vita acquatica: la sola nicotina di una cicca è in grado di contaminare un metro cubo di acqua» spiega Lombardi. Inquinanti per le acque, fatali per chi le popola: le cicche ingerite accidentalmente sono responsabili ogni anno della morte di almeno un milione di pesci, tartarughe e uccelli marini. Tutto per un semplice gesto umano, spesso compiuto per leggerezza. I danni causati al territorio sono direttamente proporzionali al numero di fumatori: nonostante le cifre siano in calo, solamente in Italia i dipendenti dalla nicotina sono ancora circa 10,8 milioni. «Considerando un consumo medio di 13 sigarette al giorno, vengono immesse nell'ambiente più di 51 miliardi di cicche corrispondenti a circa 8.000 tonnellate di acetato di cellulosa» aggiunge l'esperto. Il dato a livello mondiale è ancora più allarmante: ogni anno vengono gettati a terra, per le strade, sui marciapiedi, nel mare 4,5mila miliardi di mozziconi di sigarette delle 6mila miliardi vendute. E se con il divieto di fumare nei luoghi chiusi il numero dei fumatori è diminuito, chi rimane all'esterno è più portato a gettare il mozzicone a terra. Così mentre i ricercatori di San Diego avanzano proposte risolutive forti chiedere all'industria del tabacco di pagare una tassa di riciclaggio anticipata, ritirare tutti i prodotti di scarto, inserire delle avvertenze sui pacchetti con i danni all'ambiente o addirittura abolire totalmente il filtro c'è anche chi ha pensato di provare ad affrontare il problema in un modo davvero originale. Una giovane designer cilena Alexandra Guerrero, ad esempio, ha escogitato una soluzione per offrire alle cicche di sigaretta una "seconda vita" trasformandole in vestiti. Con un processo di sterilizzazione a vapore e pressione, i mozziconi possono essere trasformati in fibre che, una volta asciugate e mescolate con altre sostanze naturali come la lana, possono essere utilizzate per creare veri e propri capi alla moda. «Le cicche di sigaretta possono diventare una risorsa» conferma Lombardi «l'acetato di cellulosa opportunamente trattato può essere utilizzato per produrre oggetti di design e pannelli termo-fonoassorbenti per l'edilizia». Perché se per lo smaltimento dei rifiuti industriali, le pile, il vetro, la carta, le buste di plastica, i metalli, esistono leggi e sistemi di raccolta differenziata, non esiste nulla che limiti la dispersione delle cicche nell'ambiente? «Dovrebbero essere gestite in modo globale» dice Lombardi «iniziando dalla minimizzazione della loro produzione e procedendo poi con la raccolta differenziata e il successivo recupero di materia». ____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’14 COSTI DELLA POLITICA: GLI ANTICHI GRECI NON STAVANO MEGLIO Nell’antica Grecia c’erano banche. Non come le nostre, comunque di tre generi: private, pubbliche e sacre. Le prime due possiamo immaginarcele, per la terza dobbiamo recarci a Cos, all’inizio del I secolo prima di Cristo: tre chiavi erano necessarie per l’accesso al tesoro, due delle quali in mano religiosa. E le tasse locali? Anche in tal caso non si badava a delicatezze. Si aggiungevano ai contributi individuali e a una fiscalità capillare: vi erano imposte dirette sulla produzione agricola, sulle persone, sul commercio all’ingrosso e su quello minuto, sulle compravendite locali, sul culto. Inutile continuare, ché sembra di inventariare i balzelli dell’Italia odierna. Le notizie le abbiamo ricavate dal ponderoso volume Les finances des cités grecques , frutto di mezzo secolo di lavoro di Léopold Migeotte (professore all’Università Laval, in Québec), appena uscito da Les Belles Lettres (pp. 778, e 59). Mettendo a profitto i testi di filosofi, letterati e storici greci, soprattutto la documentazione epigrafica, Migeotte ha scritto un libro rivelatore di un mondo avvolto dal mito, in cui si formano i nostri modelli. Ricalcola, tra l’altro, quali erano i costi di una festa o quelli per un concorso o per la celebrazione dei culti (acquisti di animali e loro nutrizione sino al sacrificio), le cifre necessarie per affrontare una guerra o per difendersi da un attacco nemico (tra l’altro i casi di Sparta e Siracusa); né manca un capitolo sui costi della politica. Per esempio, ci fu un aumento retributivo per i cittadini ateniesi che svolgevano funzioni civiche all’inizio della guerra del Peloponneso (anni dal 431 al 404 a.C. circa) che restò valido sino ai tempi di Aristotele (morto nel 322 a.C.): Migeotte ricorda che la spesa annuale dovette essere tra i 22 e i 37 talenti. In quel periodo un talento equivaleva alla quantità di argento necessaria per pagare l’equipaggio di una trireme per un mese. Sono inoltre evidenziati i costi della democrazia ateniese. Il suo funzionamento esigeva spese regolari, «per l’acquisto del materiale di scrittura, la remunerazione dei secretari, dei sotto secretari, degli araldi e di altri impiegati subalterni» (in buona parte schiavi). Senza contare i viaggi degli ambasciatori, arbitri e ispettori o, tra gli altri, i decreti onorifici. «Fabbricazione e incisione delle steli, salario degli addetti e onoreficenze concesse ai beneficiari — nota Migeotte — possono essere valutate a 10 o 20 talenti per anno nel IV secolo». E anche i lavori pubblici avevano un’incidenza a seconda delle tendenze, tenendo conto che iscrizioni e statue potevano subire variazioni o sostituzioni. Pericle ha stimato una spesa di 3.700 talenti per i Propilei, altri lavori dell’Acropoli e l’assedio di Potidea. Lo studio di Migeotte assegna a ogni cosa il suo prezzo nell’ambito del «miracolo greco». Riesce a farci guardare nella tenuta dei libri dei conti o tra le spese di un processo. È un metodo quantitativo che fa capire come quegli antichi problemi siano simili ai nostri. Del resto, anche Peter Brown ha seguito analoga via per focalizzare con i parametri di ricchezza e povertà lo sviluppo del cristianesimo tra il 350 e il 550 della nostra era. La sua opera, pubblicata due anni fa da Princeton University Press, è ora tradotta da Einaudi: Per la cruna di un ago (pp. 894, e 36). In tal caso coloro che dispongono di mezzi finiscono sotto osservazione: è più facile al cammello passare per la cruna dell’ago che a un ricco entrare nel regno dei cieli. Ma sia nell’antica Grecia che con il cristianesimo i soldi recavano buon umore. E c’è stato sempre chi ha indicato al ricco scorciatoie per soggiornare benissimo anche nell’aldilà. ____________________________________________________________ Le Scienze 29 Mag. ’14 STABILITÀ IN VOLO GARANTITA PER IL PALLONE DEI MONDIALI Il nuovo pallone ufficiale della Coppa del mondo metterà i giocatori al riparo dalle soprese che riservò loro il pallone Jabulani nella competizione del 2010. La sfericità quasi perfetta di quel pallone, composto da soli otto pannelli, lo rendeva infatti troppo sensibile a ogni alito di vento. Pur essendo formato da appena sei pannelli, il nuovo pallone Brazuca ha una ottima stabilità in volo grazie a un'attenta progettazione delle asperità di superficie che creano nell'aria le giuste turbolenze laterali. Il pallone ufficiale per la Coppa del Mondo FIFA 2014 in Brasile, il pallone Brazuca, sarà in assoluto quello con la traiettoria di volo più stabile rispetto a tutti quelli che lo hanno preceduto. A rassicurare gli appassionati che quest'anno non si assisterà alle polemiche scatenate quattro anni fa dall'adozione del pallone Jabulani è una ricerca condotta da due fisici dell'Università di Tsukuba, in Giappone, che firmano , che firmano un articolo pubblicato su “Nature Scientific Reports”, il cui riportano i risultati di una serie di esperimenti nella galleria a vento a cui hanno sottoposto i numerosi tipi di pallone che si sono affacciati sulla scena del calcio negli ultimi anni. A partire dai mondiali del Messico del 1970, il pallone classico è costruito da 32 pannelli pentagonali ed esagonali, che permettono di approssimare al 94-95 per cento la forma della sfera. Quando il pallone tocca terra, però, ogni giunzione fra i pannelli rappresenta un'incognita, perché può causare un rimbalzo differente da quello voluto. Per questo, i produttori di palloni hanno cercato di diminuire sempre più il numero di pannelli, grazie anche alle innovazioni consentite dalla ricerca sui materiali, creando palloni prima a 14 pannelli (Teamgeist 2) e quindi a otto (Jabulani). Solo alla prova del gioco ci si è però accorti che eliminare le giunzioni aveva un effetto negativo sulla stabilità della palla in volo, dato che con esse si eliminano anche le turbolenze laterali create dal moto della palla, turbolenze che permettono al pallone di non essere troppo sensibile a qualsiasi refolo di vento. Dopo l'infelice prova del pallone Jabulani ai mondiali del 2010, sono stati svolti diversi studi sulla dinamica dei palloni, che hanno portato prima a una modificazione del Jabulani, a cui sono state aggiunte zigrinature e piccole asperità per migliorarne la stabilità, e quindi ai palloni Cafusa e Brazuca. Se il Cafusa, attualmente utilizzato in molti campionati di calcio e partite internazionali, è tornato ai 32 pannelli, ma di forma differente da quelli classici (tanto da poter dar luogo a configurazioni differenti), Brazuca ha continuato il percorso verso la riduzione del numero dei pannelli. Brazuca ha infatti appena sei pannelli, e la sua stabilità di volo è assicurata da una più attenta strutturazione e disposizione delle asperità di superficie. Stando ai risultati dei test condotti da Sungchan Hong e Takeshi Asai, il lavoro dei progettisti del Brazuca è stato coronato da successo, dato che il loro pallone è risultato quello con la migliore stabilità di volo, seguito a breve distanza dal pallone Cafusa. quindi da Teamgeist 2 e, infine, da Jabulani. Le prestazioni del Cafusa, pur restando comunque superiori a quelle di Teamgeist 2 e Jabulani, sono inoltre risultate leggermente differenti a seconda dell'orientamento con cui sono montati i pannelli. ========================================================= ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Mag. ’14 LORENZIN: LA SANITÀ NON È SOLO RAGIONERIA Il ministro a «Health care summit». In cantiere più trasparenza e qualità nella scelta del management: fuori la politica dai ruoli medico- scientifici Roberto Turno ROMA Dice basta alla «visione ragionieristica» della sanità. Chiede di riportare la barra nella mani del suo ministero, quello della Salute, sottraendo (per quanto possibile) la golden share all'Economia. Promette dosi massicce di trasparenza e di qualità nella scelta del management, mettendolo al riparo dalle invadenze della politica soprattutto per i ruoli medico-scientifici. Chiede un deciso cambio di rotta nella governance del sistema pubblico. E si dice pronta a scommettere sulla possibilità che le imprese della filiera della salute, a cominciare da quelle del farmaceutico, possano tornare a investire in Italia cifre miliardarie: «Basta dare loro la certezza e l'applicabilità delle regole, «ma nel massimo rigore», è convinta, tanto più dopo il maxi risarcimento da 1,2 miliardi (si veda articolo sopra) appena chiesto a tre imprese del settore per pratiche che avrebbero danneggiato il Ssn. A urne chiuse e a Governo più sicuro di sé, quando ormai il «Patto per la salute» con i governatori è forse davvero sulla rampa di lancio ed entro metà giugno potrebbe mostrare di che pasta è fatto, Beatrice Lorenzin rivela i piani per il futuro del Ssn. Non s'è tirata indietro ieri la ministra della Salute in occasione del terzo «Health care summit» del Sole 24 Ore, intervenendo a tutto campo sollecitata dal dibattito aperto da esperti, regioni, medici, sindacati, imprese. Affiancata per la parte più prettamente industriale dal vice ministro allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, che in materia di politica farmaceutica sta svolgendo da tempo un prezioso lavoro di chiarezza su numeri e prospettive del settore. Il ministero dell'Economia, ha detto Lorenzin andando a ritroso a prima del Governo di Enrico Letta, negli ultimi anni ha svolto «un ruolo preponderante» e «ha gestito la politica sanitaria in un rapporto muscolare con le regioni, invece di limitarsi a un ruolo di controllo sui conti». Di qui il ruolo più forte che va garantito al ministero della Salute, senza più fare «le nozze coi fichi secchi», come è capitato alle regioni, ma in primo luogo agli italiani, che si sono visti sottrarre qualità e servizi. «I risparmi vanno fatti in un'economia di sistema», ha aggiunto il ministro. Ecco perché il «Patto» e la barra da riportare al suo ministero. Ma con le giuste cautele, è chiaro. Perché dalla tenuta dei bilanci, dai controlli, dalla lotta agli sprechi e alla corruzione, non se ne può fare a meno. Anzi. E dunque le regioni non credano di poter tirare i remi in barca, non è certo il tempo delle vacche grasse. «Le regioni devono fare la loro parte fino in fondo, devono fare un salto di qualità». Come del resto, ha garantito l'assessore dell'Emilia Romagna, Carlo Lusenti, sono pronte a fare. In un sistema, ha ricordato, che per 38 milioni di italiani, dal Nord fino al Lazio, è di alta qualità. Va da sé che sul «Patto», a partire dal nodo della distribuzione delle risorse, i governatori non sono esattamente tutti d'accordo, col Sud che chiede nuovi e diversi parametri. Come la «popolazione pesata», ha ricordato non a caso il rappresentante di Stefano Caldoro (Campania), Raffaele Calabrò. Avanti allora a colpi di una governance riveduta e ampiamente corretta, promette il ministro. E insieme la certezza dei budget, senza i quali non c'è certezza di programmazione. E investimenti, come i 2 miliardi (almeno) necessari per rifare in parte il look agli ospedali. Poi l'addio alle scelte pilotate dei manager di asl e ospedali, da scegliere nell'ambito di un elenco nazionale attingendo a nuove professionalità e non ai soliti «guru». La discrezionalità della politica rimane, chiaro, ma con meno chance di farla da padrona. Tranne che nelle scelte delle figure medico-scientifiche: lì si che i partiti devono stare assolutamente alla larga. Altro tasto delicato, quello degli investimenti delle imprese e dell'attrattività del sistema Italia. Che poi non è uno slogan, ma una necessità inderogabile per un Paese che non cresce e che non riserva un futuro ai giovani. «Ci vogliono norme rigorose, semplici, applicabili che ci consentano di avere miliardi di euro di investimenti industriali nei prossimi anni. Bisogna consentire all'industria di rimanere in Italia, produrre, fare innovazione», è sicura la ministra. Ma con la massima trasparenza e «il massimo rigore» dei comportamenti. Anche con un'Aifa dotata dei poteri e della capacità della Fda statunitense. Si vedrà, col «Patto», ma non solo. E si vedrà che effetto farà anche per i dipendenti del Ssn, a cominciare dai medici. Che, c'è da giurarlo, hanno fatto capire i rappresentanti dei due sindacati maggiori, Anaao e Cimo, non staranno soltanto a guardare. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Giu. ’14 OTTO PROPOSTE PER RIFORMARE (SENZA TAGLIARE) LA NOSTRA SANITÀ Molti pensano che il nostro Servizio sanitario nazionale sia un sistema universalistico che garantisce cure e servizi a tutti in modo equanime, però con grandi sprechi: ma è proprio vero? Il Servizio sanitario nazionale usufruisce oggi di risorse molto limitate (112 miliardi di euro all’anno) che bastano a garantire le cure per le patologie più importanti, ma lasciano insoddisfatte molte aree di bisogno, dall’odontoiatria alla ginecologia o all’oculistica, tanto che la cosiddetta spesa out of pocket (letteralmente, fuori dal portafoglio) ha raggiunto i 30 miliardi di euro all’anno. Già oggi il 55 per cento delle prestazioni ambulatoriali specialistiche sono pagate dai cittadini privatamente: siamo quindi lontani dall’universalismo tanto sperato. La nostra spesa sanitaria ha conosciuto un tasso di crescita bassissimo negli ultimi anni (1,7 per cento nel periodo 2000-2011) e la spesa pubblica pro capite è oltre il 25 per cento in meno di quella della Francia o della Germania. Il disavanzo delle regioni con piani di rientro è sceso moltissimo (nel 2012 quello della Campania si è ridotto a un decimo di quanto non fosse nel 2005, quello del Lazio a un quinto, ecc.); così, attualmente, il disavanzo complessivo del Servizio sanitario nazionale è stato praticamente azzerato. Anche il numero di posti letto ospedalieri per abitante è stato significativamente ridotto e oggi è uno dei più bassi della Unione Europea, mentre i ricoveri ospedalieri tra il 2000 e il 2011 sono scesi in tutto il Paese del 16,9 per cento. Tutto ciò fa pensare che la tenuta finanziaria del Servizio Sanitario non dovrebbe destare grandi preoccupazioni a breve e medio termine. Il nostro è il sistema sanitario più sobrio di tutti i grandi Paesi della Ue, quello con il più basso tasso di crescita della spesa, e malgrado ciò nel 2012 è riuscito a raggiungere il pareggio di bilancio: questo spiega perché nella situazione attuale sia difficile individuare altri significativi margini di efficientamento se non di ordine minore, anche se magari a forte impatto mediatico. Ulteriori tagli determinerebbero molto probabilmente l’ulteriore riduzione della copertura di alcuni servizi. Cosa è possibile fare? 1) Dato che sembra impossibile immaginare un aumento del finanziamento pubblico al Servizio sanitario nazionale nei prossimi anni, almeno si definisca che tutti i risparmi ottenibili e ottenuti rimangano all’interno del Servizio sanitario stesso. 2) Si operi per priorità: alcune aree di intervento dovrebbero essere abbandonate e altre lasciate a una sola parziale copertura pubblica, ciò consentirebbe di investire risorse in altri settori oggi emergenti (come, ad esempio, le malattie croniche). 3) La mancata spesa in innovazione tecnologica di questi anni rischia di penalizzare moltissimo la nostra sanità; è indispensabile tornare a investire, anche qui facendo scelte di priorità. 4) Bisogna intervenire sul sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini: oggi l’esenzione per patologia è indipendente da qualsiasi forma di reddito, una situazione da ripensare radicalmente. 5) Lo sviluppo dei sistemi assicurativi e previdenziali necessita di linee di indirizzo, per evitare una eccessiva frammentazione del servizio sanitario che altrimenti rischia di tornare indietro di 40 anni, alle vecchie mutue. 6) Lo sviluppo di una rete di strutture ambulatoriali potrebbe, da un lato migliorare l’offerta di visite specialistiche, l’area più in sofferenza del Servizio sanitario nazionale, dall’altro affiancare la rete ospedaliera nella gestione dei malati cronici. 7) I posti letto in strutture socio-sanitarie, dai quelli post-acuti alle lungodegenze e agli hospice anche non oncologici, vanno potenziati. 8) Si dovrebbero sperimentare modelli di ospedali di insegnamento, dove coesistano università e ospedale anche con nuovi schemi di cooperazione che prevedano, ad esempio, il «prestito» da parte dell’ospedale di figure professionali all’Università, e non solo viceversa come avviene oggi, oltre a una valorizzazione della rete degli Irccs, gli istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Oggi, quattro milioni di europei viaggiano per farsi curare all’estero e il loro numero è destinato a aumentare. Intercettare questo bisogno con politiche di investimento tecnologico e di valorizzazione dei professionisti potrebbe costituire per l’Italia un importante punto di forza e di potenziale finanziamento aggiuntivo per il Servizio sanitario nazionale. Sergio Harari Francesco Longo sharari@hotmail.it; francesco.longo@unibocconi.it ____________________________________________________________ Repubblica 28 Mag. ’14 LA NEOELETTA GIULIANA MOI, E LA POLEMICA TRA I GRILLINI SARDI SULLA SUA SCOPERTA "MISTERIOSA" Prende un seggio a Bruxelles ma è al centro di critiche sulla poca chiarezza del suo curriculum. Soprattutto quando propaganda di aver scoperto una molecola anti-leucemia della quale non si trova traccia di CARMINE SAVIANO La Moi nel 2010 candidata con l'Unione Cristiani Popolari. Prese 16 voti Se la trasparenza diventa un mantra, il dogma che rende possibile la partecipazione politica, ogni spazio opaco rischia di alimentare sfiducia e critiche. Soprattutto dalle parti del MoVimento Cinque Stelle, che proprio della trasparenza ha fatto la sua bandiera. Ad essere "accusata" di poca chiarezza è Giulia Moi, sarda, neo eletta a Bruxelles. A puntare il dito sono alcuni militanti grillini, che le chiedono maggiore precisione sul curriculum da lei presentato al MoVimento. Poche righe, in cui la Moi dichiara di aver "scoperto una molecola efficace nella cura della leucemia e del melanoma". I militanti chiedono delucidazioni. La risposta della Moi: "I vincoli contrattuali a cui è sottoposta la mia ricerca mi impediscono di fornire ulteriori precisazioni". Una risposta che non si allontana dal novero del possibile. Ma che molti grillini ritengono evasiva. E le domande non si fermano. Inizia tutto quando il curriculum della nuova europarlamentare viene pubblicato sul portale che nel sito di Beppe Grillo è dedicato alle europee. La Moi, laureata in Scienze Biologiche, elenca i passi della propria carriera. Tra cui una specializzazione al King's College di Londra. Poi un link a una sua pubblicazione, del 2007, e la seguente dichiarazione: "Ho scoperto una molecola proveniente da una pianta della foresta Sud-Africana efficace per la leucemia e il melanoma, premiata per la scoperta dal King's College e dalla Stiefel/GSK". E qui, secondo i militanti del MoVimento, iniziano i problemi. A metà maggio, sul sito movimentocinquestelle.eu, compare una lettera aperta rivolta alla Moi e sottoscritta da parecchie decine di persone. Vi si legge: "Della sua dichiarata attività di ricercatrice non ha fornito alcun riscontro, né è possibile trovarne in Internet?". Ancora: "Dichiara di aver scoperto una molecola efficace nella cura della leucemia". Infine le questioni aperte: "Ci può dire come si chiama questa molecola? Quali premi ha ricevuto? Si tratta di un lavoro individuale o di un team di ricerca?". E le domande arrivano perché "di questa scoperta così come della sua specializzazione e ricerca post-dottorato non riusciamo a trovare pubblicazioni in merito". La lente dei grillini si fa spietata. E "dalla rete" non arriva nessun riscontro. La pubblicazione indicata - della quale peraltro su Google Books, al link fornito dalla Moi nel suo curriculum, è disponibile solo il titolo e il numero di pagine - risulta essere l'unica. Si tratta della sua tesi di dottorato. Fin qui nessuno dubbio. Poi nessun altro articolo, nessuna altra pubblicazione, neanche collettiva. Del resto, l'interesse della comunità scientifica per le proprietà anti tumorali della Kingelia Pinnata - la pianta africana oggetto di ricerca della Moi - risale ai primi anni '80. E studi importanti sono stati effettuati nel 1994 e intorno al 2000. Ben prima del 2007, quindi. E anche dopo il 2007, le più importanti pubblicazioni sulla Kingelia non riportano il nome della Moi. Dopo la lettera dei militanti, passano poche ore e arriva la risposta della futura europarlamentare. "Da giorni gira una lettera di accuse nei miei confronti. È stata messo in discussione il mio Phd. Inoltre chi è ricercatore sa bene che i progetti di ricerca finanziati da compagnie internazionali possono essere soggetti a restrizioni di pubblicazione dati sul lavoro svolto a causa di strettissimi vincoli contrattuali". Tutto possibile. Ma qui la questione diventa politica: come si coniuga l'impianto ideologico del MoVimento Cinque Stelle - trasparenza, aprire tutto come una scatola di sardine, il palazzo di vetro - con le "restrizioni" imposte dalle "compagnie internazionali", cioè dalle multinazionali della farmacologia? E soprattutto: che ricadute ha - sull'etica professionale e sulla vita dei malati - ammettere che una scoperta che potrebbe aiutare la cura della leucemia è soggetta, appunto, a simili restrizioni? Contattato da Repubblica.it, lo staff della Moi aggiunge: "Giulia ha lavorato per il suo Phd a Londra. Esito di anni di impegno. Lì ha ricevuto una borsa di studio. Nei termini del contratto erano presenti alcuni vincoli: tutte le "scoperte" e gli esiti della ricerca sarebbero restati nelle mani dei committenti". Ovvero della Stiefel\Gsk. "Poi Giulia è tornata in Sardegna. Voleva continuare la sua ricerca ispirata come sempre dall'animalismo, per questo 'lavora' sulle piante". Ancora: "Ma qui ha trovato solo impedimenti e una burocrazia asfissiante. Perciò decide di impegnarsi in politica". I primi passi non sono tra i Cinque Stelle. " Sì. È vero: c'è stata una candidatura nell'Unione Popolare Cristiana, nel 2010". Da riempi-lista la Moi ottiene 16 voti. Poi la scelta di entrare nel MoVimento. Proprio per combattere contro le zone grigie del Paese. Ma le domande continuano ad attraversare l'animo dei militanti. I commenti sul sito movimentocinquestelle.eu sono ancora lì. Osservazioni e critiche. Ma anche tante "difese". Dario Fassini scrive: "Se ha fatto un brevetto non vedo perché lo tenga nascosto, se non ha ancora brevettato mi pare strano che dica ai quattro venti che nella pianta tal dei tali c'è una molecola contro leucemie e melanomi". Ma i più, criticano proprio la scarsa trasparenza: "Bisogna far luce su questa cosa", "Fate chiarezza", "Trovo normale chiedere delle delucidazioni". Delucidazioni che si trovano nella zona grigia tra "diritto a sapere" e "ragioni delle multinazionali". ____________________________________________________________ Repubblica 29 Mag. ’14 I CITTADINI DANNO LA PAGELLA AL SERVIZIO SANITARIO. E NON SI ARRIVA ALLA SUFFICIENZA Secondo l'indagine di Altroconsumo gli italiani si lamentano soprattutto dei lunghi tempi di attesa e della scarsa attenzione ai pazienti. Al nord il gradimento maggiore, al sud in molti si rivolgono al sistema privato di CATERINA PASOLINI Lo leggo dopo Neanche un sei risicato, un misero 5,7. Questo è il voto che gli italiani danno alla sanità pubblica italiana. A raccontare come la vivono e la giudicano i cittadini, che navigano quotidianamente tra costi diversi che possono raddoppiare a distanza di pochi chilometri e lunghi tempi di attesa per una visita o un esame, è un'indagine diAltronconsumo. L'associazione ha analizzato le risposte ad oltre 5000 questionari distribuiti in modo omogeneo dal Trentino alla Sicilia. I più felici del servizio pubblico dopo aver valutato e votato i servizi disponibili, i tempi di attesa, la qualità del servizio e le formalità burocratiche? Gli abitanti della Valle d'Aosta che premano con 75 punti sui 100 disponibili bil loro servizio sanitario mentre all'ultimo posto c'è la Calabria con 42. Ma andiamo nel dettaglio. La media nazionale di gradimento è del 57. Il record positivo tocca i 75 punti in Valle d'Aosta, cala ma comunque non scende sotto i 64 nel nord est mentre in Calabria affonda a 42. E in tutto il sud, isole comprese, nessuna regione riesce a superare il 57, sfiorato solo da Basilicata e Sardegna che superano il Lazio fermo a quota 51. Nel complesso emerge che se al nord, i cittadini sono abbastanza soddisfatti mentre il gradimento crolla al sud. E molti si rivolgono al sistema privato. Se infatti il 35 % degli intervistati si è rivolto solo al servizio sanitario regionale, oltre il 60 ha frequentato anche studi ed ambulatori privati soprattutto per cure dentali e psicologiche. I motivi della scelta? Per il 77% degli utenti c'è un minor tempo di attesa, il 41% pensa che ci sia più attenzione per i pazienti, per il 25% orari più flessibili e nel 23% migliori infrastrutture. Uno degli elementi fondamentali che spingono a commenti negativi sul servizio sanitario, è la lunghezza dei tempi di attesa. Analizzando quelli per una visita specialista prescritta dal medico di base, si va dagli estremi positivi di Valle D'Aosta o Trento dove si aspettano due mesi solo nell'8 e 11 % dei casi a Marche, Puglia e Lazio dove questi tempi sono la regola per oltre un paziente su tre. Ma quando riescono a vedere il medico, i pazienti sono molto soddisfatti, il 60 %, per la cura e l'attenzione mentre si lamentano per la puntualità. _________________________________________________________ Quotidiano Sanità 30 Mag. ’14 "TRIPADVISOR" DELLA SALUTE. PER IL 73% DEGLI ITALIANI MEGLIO I CONSIGLI DEI MEDICI. L’INDAGINE ISPO Per il 40% dei medici di famiglia e il 51% degli specialisti, inoltre, i portali che danno informazioni sulla qualità degli ospedali sono strumenti "inopportuni". Ma l’Ispo ha indagato anche il livello di conoscenza di cittadini e medici su questi portali ed è emerso che è molto scarso. Insomma, la salute online non conquista gli italiani. 30 MAG - Il medico di famiglia è ancora il riferimento principale degli italiani per la scelta delle cure ospedaliere. Tanto la conoscenza e il giudizio degli italiani, ma anche dei medici, sui portali e i sistemi realizzati da fonti autorevoli (ministero della Salute e Università Cattolica) per fornire informazioni sulla qualità delle strutture ospedaliere è molto scarsa da una parte e non particolarmente positiva dall’altra. A rilevarlo è un’indagine condotta da ISPO Ricerche di Renato Mannheimer e presentata oggi a Venezia durante l’Assemblea generale di Aiop, Associazione Italiana Ospedalità Privata, che si tiene in questi giorni a Venezia. Lo studio ha posto sotto osservazione tre diversi campioni di indagine: - quello rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne, costituito da 2.000 individui (con particolare riferimento a chi ha avuto una esperienza di ricovero negli ultimi 12 mesi) - il campione dei medici composto da 200 medici di medicina generale e 100 medici specialisti Dai risultati dell’indagine è emerso che, per quanto riguarda il campione relativo alla popolazione, la scelta dell’ospedale è per il 73% dei casi operata sulla base di quanto consigliato dal medico di famiglia e solo il 3% di questo campione giudica come opzione autorevole le informazioni contenute nei portali internet (l’analisi si è concentrata su in particolare sui siti ‘dovesalute.gov.it’, curato dal Ministero della Salute e basato su un sistema simile al TripAdvisor per le vacanze) e ‘doveecomemicuro.it’ (curato da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica. Per i medici l’indagine ha chiesto anche una valutazione del Piano Nazionale Esiti dell’Agenas). In generale, il livello di conoscenza dei portali che offrono informazioni relative all’attività ospedaliera è per tutti e tre i campioni analizzati ancora molto scarsa: 2 italiani su 10 e solo il 3,8% dichiara di utilizzarli, non riuscendo comunque a ricordare spontaneamente il nome del portale, se non nello 0,1% dei casi. E più in generale, considerando l’intero campione, soltanto l’1,3% ha saputo indicare uno dei tre portali dedicati agli ospedali (ricordo sollecitato, stavolta non spontaneo). E se la popolazione generale si affida ancora poco a questi portali, il dato che sorprende maggiormente è quello relativo ai medici. In questo caso il livello di conoscenza dei portali è ancora più limitato: oscilla tra l’1% e il 2% riguarda sia tra i medici generici che tra gli specialisti la percentuale di coloro che li conosce bene o abbastanza bene. Per quanto riguarda i medici generici e specialistici, la domanda sul livello di utilizzo dei portali si è dovuta limitare al sottocampione di quanti, almeno per sentito dire, avevano dichiarato di conoscere i portali “dovesalute.gov.it” e “doveecomemicuro.it”, riscontrando livelli molto bassi in termini di utilizzo come strumento di lavoro (“qualche volta”, nel 7% del campione generici e nel 6% del campione specialisti), ma anche in termini di suggerimento di utilizzo per i propri pazienti (4% e 3% per i rispettivi campioni medici). In merito alla validità del sistema cosiddetto “Tripadvisor”, proposto dal Ministero della Salute, il campione popolazione si spacca: più della metà lo ritiene al momento inaccettabile, ma proponibile nel caso vi fosse un ente garante della correttezza delle informazioni. Sulla promozione di sistemi “Tripadvisor”, i medici di medicina generale si sono dichiarati più scettici (51%) rispetto ai colleghi specialisti (40%), dichiarando di considerarne “non opportuno” l’utilizzo. L’autovalutazione sull’influenza dei portali (dato “qualitativo” perché riferito ad un campione ristretto, ossia al già citato 3,8% della popolazione che ha dichiarato di averli utilizzati) fa registrare risultati discreti: il 51% li utilizzerà ancora, il 49% ne consiglierebbe l’utilizzo ad un amico/conoscente ed il 35% è stato effettivamente orientato nella scelta della struttura utilizzata. Ai medici è stata chiesta una loro valutazione sull’utilizzo/influenza dei portali tra i loro pazienti, ottenendo risposte molto negative (“poco o nulla” nell’80% dei casi per i generici e nel 77% dei casi per gli specialisti). L’ultimo quesito permetteva di esprimere un giudizio sulle caratteristiche dei portali in termini di utilità e di fruibilità: le valutazioni sono state generalmente positive. In definitiva, sembra sia ancora molto lontana la sostituzione del parere del medico con gli strumenti per ora offerti da internet. Di fatto l’indagine ha esaminato servizi on line molto nuovi, ma sembra che gli italiani siano per il momento ancora restii ad affidarsi, per quanto riguarda la salute, a internet. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Mag. ’14 ASL7: ACQUISTO UFFICI: PECULATO, CALAMIDA NEI GUAI Il contratto di acquisto è datato aprile 2012, il valore dato all'immobile sfiora i 4 milioni di euro. Lo stabile sorge a Carbonia, si sviluppa su due piani, comprende un seminterrato e ha un secondo livello ancora da realizzare. La parte incompleta si può terminare e davanti c'è un ampio parcheggio, ma quella somma (che riguarda solo parte della struttura) è parsa comunque eccessiva agli uomini della Guardia di Finanza che, su mandato del pm Gaetano Porcu, capo del pool di magistrati che si occupa di pubblica amministrazione, giovedì scorso hanno fatto visita alla sede della Asl 7 e nelle abitazioni del direttore generale Maurizio Calamida e degli ex proprietari dell'edificio, Pierantonio Raga (67 anni, di Cagliari) e Sergio Bandiera (75, di Carbonia). I militari hanno acquisito tutti i documenti ritenuti utili a capire come mai l'azienda sanitaria due anni fa abbia ritenuto di dover sborsare quel denaro pubblico per un edificio il cui costo, nelle ipotesi, doveva essere molto inferiore. Al momento il pubblico ministero contesta il peculato a Calamida e ai due imprenditori, i quali devono rispondere anche di dichiarazione infedele. La domanda degli inquirenti è: la differenza tra i soldi versati per comprare l'edificio e il suo (presunto) reale valore, che fine ha fatto? Lo stabile si trova in via Costituente e già ospitava alcuni uffici della Asl, che pagava l'affitto alla società “Sama srl” di Raga e Bandiera. In seguito l'azienda sanitaria, scaduto il contratto di affitto, aveva deciso di acquistare direttamente i locali utili alle sue esigenze e dato vita a una manifestazione di interesse per valutare le offerte. L'ente ne aveva ricevuto diverse, ma alla fine la scelta era caduta proprio sull'edificio nel quale già lavoravano i suoi dipendenti e che sorgeva a breve distanza dalla strada statale 126. Così erano arrivati l'accordo e la firma sul contratto: quella di Calamida. Un via libera che aveva lasciato perplessi i revisori dei conti della Asl, i quali avevano contestato la decisione sostenendo che l'immobile era stato acquistato anche se in realtà non serviva e che comunque l'azienda aveva speso troppo. Da qui era cominciata l'indagine. L'avvocato Massimo Madau, difensore di Bandiera, ha già fatto ricorso al Riesame. Letti gli atti, lui e i colleghi Veronica Dongiovanni (assiste Calamida) e Mario Canessa (per Raga) decideranno quali passi compiere. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Mag. ’14 ASL1: CARDIOCHIRURGIA AL CIVILE:REPARTO MIGLIORE D'ITALIA SASSARI. Un 'eccellenza stabilita dai dati del ministero della Salute Come un uomo di grande caratura professionale e uno staff accurato possono cambiare la Sanità pubblica. Palma d'oro per la Cardiochirurgia dell'Ospedale Civile di Sassari che è stata, nell'intero panorama nazionale, quella che ha conseguito l'esito «mortalità per interventi di bypass aortocoronarico pari a zero», risultando, per l'indicatore, la migliore Cardiochirurgia d'Italia. CASISTICA D'ECCEZIONE Una performance clinica eccezionale, confortata da un ampia casistica grazie alla grande mole di attività realizzata, confermata anche per i dati relativi a tutto l'anno 2013 come si evince dalla valutazione del Centro aziendale di Governo Clinico e Valutazioni della Asl di Sassari. La valutazione Agenas viene effettuata ogni anno su tutti i 120 centri di cardiochirurgia italiani e la significatività statistica è frutto di una complessa elaborazione che tiene conto di molti fattori il più importante dei quali è il rischio chirurgico di ogni singolo paziente dato dalle sue condizioni al momento dell'intervento di valvuloplastica e/o sostituzione di valvola isolata con mortalità e dell'intervento di by-pass aortocoronarico. I MIGLIORI D'ITALIA L'ospedale Santissima Annunziata è risultato, inoltre, migliore in Italia per la mortalità relativa all'intervento di valvuloplastica e/o sostituzione di valvola isolata con rischio pari a zero per i 73 interventi effettuati nel periodo 2011-2012 incluso (la media rischio mortalità in Italia è di 3,05%). L'ospedale Civile di Sassari è l'unico in tutta la Sardegna, con riferimento a taluni indicatori delle diverse branche mediche e chirurgiche, a comparire tra gli ospedali con le 10 migliori performance in Italia misurati dal Programma nazionale Esiti del ministero della Salute/Agenas. La struttura complessa Cardiochirurgia di Sassari è diretta dal Michele Portoghese ed è centro di riferimento regionale per la chirurgia cardiaca dell'adulto. PRIMARIO SODDISFATTO «I dati Agenas 2013 hanno per noi operatori un valore davvero importante - commenta il primario Portoghese- Si tratta, infatti, del coronamento di uno sforzo comune del gruppo di infermieri e medici del Dipartimento Cuore del Santissima Annunziata a cui si unisce l'opera del personale di Cardioanestesia diretto da Guglielmo Padua e quella di Cardiologia diretta dal dottor Pierfranco Terrosu». Patrizia Canu ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Mag. ’14 IL PIANO DEL PARTITO DEI SARDI: «RIFORMIAMO ASL E OSPEDALI» PROPOSTA. CENTRALI UNICHE DI SPESA E RIORGANIZZAZIONE ANTI-SPRECHI Mentre Pigliaru mette la firma sull'operazione San Raffaele di Olbia versione Qatar, il Partito dei Sardi presenta una proposta di legge di riorganizzazione sanitaria regionale con lo scopo di «evitare gli sprechi». La proposta, c'è scritto nel documento firmato dai consiglieri regionali Augusto Cherchi e Piermario Manca, «mira all'uso appropriato delle risorse perseguendo il miglioramento della qualità dell'assistenza attraverso una riorganizzazione delle aziende sanitarie e ospedaliere presenti nel territorio sardo». Nessuna contraddizione, però, con la nascita del San Raffaele di Olbia destinato a diventare un centro d'eccellenza anche per merito degli investimenti della Qatar Foundation. «Quella di Olbia è un'operazione che noi giudichiamo positiva perché presenta forti elementi di innovazione e qualità - si affretta a precisare uno dei coordinatori del Partito dei Sardi, Antonio Succu -: introdurre competizione tra pubblico e privato può essere un bene. Naturalmente dovrà essere un percorso progressivo». Quanto alla proposta di legge, Cherchi fa una premessa: «Noi vogliamo che si riprenda a parlare di questo tema, poi sarà compito di Commissione, Consiglio e Giunta trovare una sintesi tra la nostra e le altre eventuali proposte». Del resto, spiega il segretario del partito Franciscu Sedda, «la Sanità rappresenta la voce di bilancio più pesante, ma ancora non abbiamo un'indipendenza funzionale, cioè la possibilità, né la libertà, di calibrare il sistema a misura della Sardegna». Cosa suggerisce, in concreto, il Partito dei Sardi? Innanzitutto una riduzione delle aziende sanitarie da undici a sette con tre macrostrutture regionali per il nord, il centro e il sud dell'Isola; una centrale unica di spesa sanitaria che consenta un risparmio del 25% in tre-cinque anni; il riassetto dei servizi di emergenza mantenendo qualità ma riducendo i costi, con il progressivo passaggio del personale medico 118 dal regime di convenzione al regime di dipendenza dal servizio sanitario. Per quanto riguarda le macrostrutture, l'Azienda sanitaria regionale del nord dovrebbe accorpare Asl 1 e Asl 2 con l'eccezione del Santissima Annunziata da aggregare all'Azienda mista Ospedaliera Universitaria di Sassari. L'azienda regionale del centro Sardegna comprenderebbe Asl 3, 4 e 5 escluso San Francesco, Zonchello e Mercede, strutture che andrebbero a finire nell'Aocs, Azienda ospedaliera del centro Sardegna. Nell'azienda regionale del sud andrebbero a finire Asl 6, 7 e 8 esclusi l'ospedale Marino, il Santissima Trinità e l'oncologico Businco destinati all'Azienda ospedaliera Brotzu e all'Azienda mista Ospedaliera Universitaria. Altro punto fondamentale, «il rafforzamento delle cure domiciliari», con la creazione di posti letto in strutture intermedie equamente distribuite nel territorio regionale e ancora da attivare. Roberto Murgia ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 Mag. ’14 ODONTOIATRIA: IL RITORNO DI UN TALENTO SARDO IN FUGA NEGLI USA Un odontoiatra cagliaritano ha lasciato una prestigiosa cattedra americana Nemo propheta in patria. È proprio il caso di Simone Deliperi, classe 1974, un odontoiatra cagliaritano che si è presto affermato a livello internazionale. A 24 anni si è laureato nella facoltà di Cagliari, poco dopo è arrivato la svolta: nel 2000 Deliperi ha vinto il prestigioso concorso di ricerca dell’accademia americana di odontoiatria cosmetica e si e specializzato in estetica dentale presso la Tufts University di Boston, dove ha ottenuto l’incarico di professore aggiunto. Negli USA il giovane talento sardo è diventato membro dell’IADR, associazione internazionale di ricerca odontoiatrica, col ruolo di co- presidente di sessione. Ha firmato numerose pubblicazioni in lingua inglese, note in tutto il mondo, tradotte perfino in cinese e russo. Eppure il richiamo della Sardegna è stato più forte del successo americano. Di lì il ritorno, nonostante i guadagni inferiori, i limiti dell’insularità e della popolazione ridotta: il desiderio di mettersi a disposizione dei sardi lo ha riportato a Cagliari. Insomma, si è gettandosi alle spalle una carriera ormai spianata. Però, l’acquisita fama internazionale è stata riconosciuta anche in Italia: le conoscenze all’avanguardia apprese negli Stati uniti, insieme alla continua ricerca scientifica, lo hanno portato nei più prestigiosi convegni europei, e mediorientali (e prossimamente in Sudafrica). Co-fondatore dell’Accademia Internazionale di Odontoiatria Biomimetica, Deliperi sarà protagonista del meeting di Los Angeles il prossimo ottobre. Non solo: nel 2012 Simone Deliperi ha fondato a Cagliari il Sardinian Dental Teaching Center, per l’insegnamento di odontoiatria biomimetica: si tratta di un centro per la ricostruzione dei denti in modo da migliorare l’estetica ma anche preservare la struttura naturale e la funzione masticatoria. Il dentista cagliaritano ha raggiunto nel 2013 un nuovo obiettivo istituendo a Cagliari corsi annuali d’insegnamento in Estetica dentale. Insomma, Deliperi è riuscito a ribaltare il trend. Perché ora sono gli affermati odontoiatri americani ad arrivare a Cagliari, dopo essersi sobbarcati ore di volo, per seguire gli esclusivi corsi del dentista sardo. Quando il talento non ha confini. Valentina Caruso ____________________________________________________________ Quotidiano Sanità 26 Mag. ’14 EROGAZIONE LEA 2012. SALGONO A 15 LE REGIONI "ADEMPIENTI". Campania in condizioni "critiche". Il Rapporto del ministero della Salute Promosse anche Puglia e Calabria, ma con riserva. Le Regioni in “piena regola” sono 10, una in più rispetto al 2011 e si tratta del Lazio. Cresce l’appropriatezza ma restano differenze regionali importanti. Più posti negli hospice, ma ancora criticità per l’assistenza ad anziani e disabili. IL RAPPORTO e la SCHEDA DI SINTESI. 26 MAG - Migliorano i livelli di erogazione dei Livelli essenziali di assistenza in Italia. Su 16 regioni monitorate, le “adempienti” passano da 13 del 2011 a 15 del 2012, di cui 10 in piena regola (una in più dell’anno precedente e si tratta del Lazio). A rilevarlo è il monitoraggio 2012 del ministero della Salute sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), realizzato attraverso l’utilizzo di un definito set di 31 indicatori (Griglia LEA) ripartiti tra l’attività di assistenza negli ambienti di vita e di lavoro, l’assistenza territoriale e l’assistenza ospedaliera erogate dalle Regioni. Un lavoro che “consente sia di individuare per le singole realtà regionali quelle aree di criticità in cui si ritiene compromessa un’adeguata erogazione dei livelli essenziali di assistenza, sia di evidenziare i punti di forza della stessa erogazione”, spiega il ministero. Ma cosa emerge dal monitoraggio 2012? Che “cresce l’appropriatezza delle prestazioni” ma “si confermano differenze regionali importanti”. Che vi sono “più posti in hospice per i malati di tumori” ma “ancora criticità per l’assistenza ad anziani e disabili”. In particolare, rileva il ministero, “rispetto all’anno 2011, nel 2012 si osserva un miglioramento per il Lazio che avendo assolto gli impegni previsti risulta adempiente e per Puglia e Calabria che passano da una situazione critica ad un livello in cui, assolvendo alcuni impegni possono diventare adempienti. Ciò evidenzia l’effetto positivo del programma di supporto alle Regioni attraverso i Piani di rientro in 3 regioni su 6”. Tuttavia nel 2012 si conferma “l’ importante variabilità del mantenimento nell’erogazione dei LEA sia all’interno della stessa Regione che tra le diverse Regioni, osservata negli anni precedenti, per tutte le Regioni comprese quelle adempienti e quelle non sottoposte a Verifica. In tutte queste ultime Regioni, ad eccezione della P.A. di Trento, si osserva, rispetto al 2011 e diversamente che per la maggior parte delle Regioni sottoposte a verifica, un aumento dei settori in cui il mantenimento dell’erogazione dei LEA risulta critico”, spiega ancora il ministero. Anche l’andamento temporale dei singoli indicatori è caratterizzato da una notevole variabilità geografica. Rispetto al 2011 si conferma il trend in diminuzione dei ricoveri ospedalieri me l’aumento dell’appropriatezza dell’assistenza ospedaliera erogata, già osservati rispetto all’anno 2010. Ancora criticità, soprattutto in alcune Regioni, per l’adesione ai programmi di screening e gli indicatori dell’area dell’assistenza territoriale erogata agli anziani e ai disabili. In questa area fa però eccezione l’indicatore relativo ai posti letto attivi in hospice per le patologie tumorali per cui si osserva un miglioramento nella maggior parte delle Regioni. “La percentuale di parti cesarei primari è ancora elevata anche se per qualche realtà regionale si osserva una netta diminuzione; anche la percentuale di pazienti con frattura del femore operati entro 2 giorni non raggiunge ancora livelli soddisfacenti pur osservando in alcune Regioni un netto miglioramento”, evidenzia il ministero. “Quanto descritto – commenta il ministero in conclusione - sottolinea la necessità di monitorare il mantenimento dell’erogazione dei LEA per tutte le Regioni italiane e andando oltre la valutazione della adempienza complessiva ovvero analizzando, attraverso gli indicatori della Griglia LEA, le singole aree che la compongono”. Griglia che, ricorda il ministero, viene aggiornata annualmente nel suo set di indicatori, rendendola in questo modo “flessibile” e “capace di adattarsi ai nuovi indirizzi politici-programmatori ed in grado di intercettare gli aspetti che via via si individuano come più rilevanti per quanto concerne l’erogazione dei Lea”. ____________________________________________________________ Repubblica 28 Mag. ’14 WIKIPEDIA, ERRORI IN 90% DELLE VOCI SULLA MEDICINA Esperti Usa consigliano di affidarsi al proprio medico. L'enciclopedia online più diffusa al mondo contiene 30 mln di voci in 285 lingue e gli esperti calcolano che fino al 70% dei medici e degli aspiranti camici bianchi la utilizzino. Lo leggo dopo Il logo di Wikipedia ROMA - Il 90% delle voci di Wikipedia riguardanti temi di salute contiene errori, imprecisioni che inevitabilmente sono prese per buone dai lettori dell'enciclopedia online in cerca di consigli sulla propria salute. E' il dato emerso da studio Usa pubblicato sul Journal of the American Osteopathic Association e riportato online su BBC Health. L'enciclopedia 'di tutti' è un grosso successo della rete: contiene 30 milioni di voci in 285 lingue, e gli esperti calcolano che fino al 70% dei medici e degli studenti di medicina la utilizzino. Condotto da Robert Hasty della Wallace School of Osteopathic Medicine nel North Carolina, lo studio si è basato sull'analisi di una serie di voci di Wikipedia inerenti 10 problemi di salute tra i più costosi come, ad esempio, il mal di schiena e l'asma. I contenuti di Wikipedia sono stati confrontati con la letteratura medica ufficiale ed è emerso che in 9 voci su dieci ci sono errori e imprecisioni. La raccomandazione di Hasty è che Wikipedia non sia usata dai pazienti come risorsa primaria di informazioni inerenti i propri problemi di salute, ma che si faccia sempre affidamento al proprio medico. Wikipedia dal canto suo si difende dicendo che lo studio ha preso in esame solo poche voci e che comunque ci sono tante iniziative che coinvolgono medici e associazioni di medici per migliorare i contenuti dell'enciclopedia. ____________________________________________________________ Repubblica 28 Mag. ’14 STAMINA, LA CORTE DI STRASBURGO: "STOP A CURE LEGITTIMO, EFFICACIA DEL METODO NON PROVATA" L'organismo europeo per i diritti dell'uomo rigetta il ricorso di una donna affetta da malattia degenerativa. Intanto un giudice di Ragusa intima agli Spedali di Brescia di trovare un medico entro 5 giorni per le infusioni a una bimba malata Lo leggo dopo Davide Vannoni a una manifestazione pro Stamina (ansa)STRASBURGO - La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito oggi che la decisione delle autorità italiane di rifiutare l'accesso al metodo Stamina a una donna, affetta sin dall'adolescenza da una malattia degenerativa del cervello, non ha leso i suoi diritti. Alla corte si era rivolto un cittadino italiano che si era visto rifiutare dal tribunale di Udine l'accesso al metodo Stamina, richiesto per la figlia. Secondo il ricorrente, la pronuncia del tribunale aveva leso il diritto alla vita e quello al rispetto della vita privata. Inoltre, secondo il ricorrente, la sentenza italiana era discriminatoria, perché in altri casi simili a quello di sua figlia altri tribunali hanno autorizzato le somministrazioni. Dossier Stamina Ma i giudici della Corte europea dei diritti umani non hanno accolto le sue tesi ed hanno invece stabilito che le autorità italiane non hanno leso alcun diritto della donna. I giudici di Strasburgo ritengono che nel rifiutare l'accesso al metodo stamina il tribunale di Udine abbia "dato ragioni sufficienti" e che la decisione non è stata "arbitraria". Due le motivazioni del rigetto: il rifiuto, scrivono i giudici di Strasburgo, è stato imposto sulla base del decreto legge n.24 del marzo 2013, che regola l'accesso al metodo stamina e stabilisce che al metodo possono avere accesso solo i pazienti che hanno iniziato la cura prima dell'entrata in vigore della nuova legge. Inoltre, osserva la Corte europea dei diritti umani osserva, "a oggi il valore terapeutico del metodo stamina non è stato provato scientificamente" e il citato decreto legge "persegue il giusto obiettivo di proteggere la salute dei cittadini". La pronuncia arriva nel giorno in cui un nuovo verdetto della magistratura impone invece agli Spedali Civili di Brescia di riprendere le infusioni secondo il protocollo della Stamina Foundation di Davide Vannoni, stavolta per una bimba di Modica affetta dal morbo di Niemann Pick. Il tribunale di Ragusa, sezione Lavoro, ha intimato infatti all'ospedale bresciano di individuare entro 5 giorni un medico che possa fare il trattamento con le staminali alla bambina di 2 anni e 8 mesi per i quali i genitori hanno chiesto l'intervento della magistratura. La piccola ha già subito due infusioni e gli era stata negata la terza, da qui la decisione del giudice: "Cinque giorni di tempo per lanciare una ricerca a tappeto - si legge nella ordinanza del tribunale - fra Ordini dei medici, strutture sanitarie pubbliche ed enti di ricerca e trovare camici bianchi disposti a praticare le infusioni secondo il metodo Stamina". I genitori della bimba si fidano della cura di Davide Vannoni nonostante il mondo scientifico e medico l'abbia classificata come non valida: "Adesso abbiamo l'ordinanza, è possibile che non ci sia un medico che, con cuore, eviti a nostra figlia di morire? Il problema è che pressoché tutti i medici hanno fatto ricorso all'obiezione di coscienza sul metodo". I medici degli Spedali Civili, in realtà, finiti nel mezzo della battaglia che sta opponendo il ministero e la comunità scientifica da un lato e diversi giudici dall'altro, hanno deciso di sospendere le infusioni in attesa che sul metodo Stamina si pronunci la nuova commissione di esperti nominata dal ministero. ____________________________________________________________ Il Giornale 28 Mag. ’14 COME CAMBIA LA MEDICINA, TRA FORMAZIONE E TECNOLOGIA Il settore della sanità sta vivendo grandi cambiamenti. Analizziamo il miglioramento continuo del processo di erogazione della formazione medico-scientifica con Susanna Priore, amministratore unico della Formedica La ricerca medica, grazie anche alle costanti evoluzioni tecnologiche, sta compiendo passi da gigante. Tuttavia la ricerca da sola non basta, deve essere supportata da società di formazione che consentano alle nuove scoperte di raggiungere velocemente gli operatori della sanità. È proprio questo il compito che cerca di portare avanti Formedica, Società specializzata nel campo della progettazione Ecm con un innovativo programma di Educazione continua in medicina (Ecm). Il settore medico-sanitario sta vivendo una fase di mutamento. Quali sono gli aspetti principali che stanno vivendo questa trasformazione? «La nuova visione della formazione nel settore medico-sanitario, include necessariamente la considerazione di tre elementi che caratterizzano le necessità di un adeguamento continuo, sempre più specialistico e rapido. Questi elementi sono essenzialmente relativi alla didattica medica, ovvero alla necessità di innovare le metodologie e i processi di apprendimento, in termini di interattività e coinvolgimento. Inoltre, gli aspetti inerenti l'organizzazione dei nuovi modelli sanitari, non riguardano solo la parte organizzativa ma anche il ruolo e la funzione dei luoghi di cura e degli ospedali. Infine va raggiunta una maggiore e concreta centralità del paziente, della famiglia e dei contesti sociali in cui vive». In questo scenario come cambiano le figure professionali del settore? «Chiunque si occupi di formazione medica e nello specifico i Provider Ecm, deve prendere in considerazione che cí avviamo sempre più velocemente verso un cambiamento dei ruoli professionali, quindi, dovrà essere riconsiderata la separazione netta tra ruoli direzionali gestionali e ruoli tecnico professionali, vi sarà anche una distinzione fra le figure più generaliste con ruoli di presa in carico del paziente e figure con competenze specifiche monodisciplinari. Uno scenario che riporta alla necessità di rimodellare i processi formativi e quindi anche il ruolo e le funzioni dei Provider Ecm, per adeguarsi il più rapidamente possibile a tali cambiamenti». Le costanti innovazioni tecnologiche implicheranno un impiego di personale sempre più "tecnico". «In futuro il progresso tecnologico richiederà una forza lavoro sempre più specializzata, si avrà anche un aumento della diversificazione professionale e della crescita di autonomia di numerose figure professionali un tempo più esecutive, aumenteranno le figure professionali "non sanitarie" come ingegneri o tecnici specializzati in conseguenza dell'ampia diffusione di tecnologia correlata al percorso di assistenza. Aumenteranno gli specialisti nel management sanitario con competenze organizzative, di economia e finanza e di project management». Quale sarà il ruolo di chi si occupa di formazione? «I processi formativi dovranno tenere conto che dovrà essere maggiormente garantito il collegamento tra assistenza sanitaria e sociale, dove vi sarà una maggiore domanda di lavoratori presso il domicilio, infermieri, operatori sanitari di comunità e fisioterapisti. Aumenterà l'importanza del lavoro di squadra multidisciplinare». Qual è la sfida principale per il campo della sanità? «La sfida più significativa per coloro che operano nel mondo della sanità sarà quella di saper incorporare un elevato grado di flessibilità. I più importanti cambiamenti riguardano la crescente erogazione di assistenza per anziani fuori dagli ospedali, lo sviluppo di trattamenti ambulatoriali e di riabilitazione al di fuori degli ospedali, la riabilitazione e le cure palliative fornite sempre più vicino al paziente. Saranno sempre più importanti i temi della Governance Clinica, del Risk management, gli aspetti medico legali, la centralità del paziente e tutto quanto relativo alla medicina preventiva, sia in chiave formativa che educazionale». Come evolveranno gli ospedali nei prossimi anni? «La configurazione attuale degli ospedali riflette i modelli di cura e di bisogni della popolazione in epoche passate, ma il loro ruolo sta comunque cambiando e molti servizi che erano in precedenza forniti negli ospedali vanno ricollocati nelle attività di comunità. Gli ospedali dovranno quindi fornire medicina di alta qualità garantendo al contempo elevati livelli di accesso e di stretta collaborazione con le cure primarie e diversi services situati al di fuori delle strutture». Lorenzo Brenna ____________________________________________________________ Libero 30 Mag. ’14 MOGLIE DEL BARONE TENTA IL CONCORSO: RIMOSSO COMMISSARIO A LEI SGRADITO Condannata col marito per le minacce al prof «reo» di non promuoverla, la donna ottiene l'allontanamento del docente e rifà l'esame. Ma non passa CRISTIANA LODI Storiaccia di malaunivestità: sullo sfondo i soliti baroni della Medicina, rampanti e un pò sgangherati. A fare da corollario: la massoneria, le minacce, le ritorsioni e 7 proiettili calibro 9. Un giallone di quart'ordine, sfociato nella condanna in Appello (2 anni e 2 mesi) per un oculista professore e la sua ex allieva, divenuta consorte negli anni passati e perennemente alla ricerca di una cattedra inacciuffabile. Come da copione, ci sono gli sgherri: due, processati e ancora sotto accusa per avere messo in scena le minacce su mandato della diabolica coppia di oculisti. Se non fosse che sono piovute le condanne, questa cominciata nel 2007 al Sant'Orsola di Bologna, sembrerebbe una storia inventata. Con i protagonisti (commissari e candidati all'esame) che ricompaiono a tutti i concorsi. Insieme. E ogni volta a denunciarsi e scacciarsi l'un l'altro. Tutto parte i129 gennaio di 7 anni fa, quando a Bologna il professore Renato Alberto Meduri fa bandire un concorso per il posto da professore associato di Oftalmologia al Policlinico Sant'Orsola. Una "gara" cucita da Meduri su statura, titoli e qualifiche della moglie, dottoressa Lucia Scorolli: bella, ricca, massona dell'Obbedienza di Palazzo Vitelleschi, all'epoca responsabile dell'Unità operativa di Oftalmologia del Policlinico bolognese. Si fa il concorso e tutto sembra andare come deve andare: con lei vincente. Sembra. Perché la dottoressa Scorolli Meduri, invece, perde. Per colpa di qualcuno che forse si è messo di traverso? E se sì, chi è questo qualcuno? «Si chiama Emilio Campos», ne sono convinti i coniugi Meduri Scorolli. Lui, esimio professore e direttore della Prima clinica oculistica, è anche presidente del Museo ebraico di Bologna. Nonché il destinatario dei 7 proiettili, speditigli a casa e a sua madre Styra Goldstein, a Trieste. E (per errore) perfino al fratello di suo cognato, a Firenze. Lui, l'esimio professore, sarebbe il commissario che insieme con altri 5 colleghi avrebbe ostacolato la vittoria di Lucia Scorolli. E sempre lui è anche lo storico rivale di Meduri, oggi 74 anni, già ordinario di Ottica fisiopatologica. La carriera sfavillante e un desiderio: che la sua Lucia, vent'anni più giovane, già direttore dell'Unità operativa nel suo stesso dipartimento, conquistasse la sola cosa che ancora oggi le manca: il titolo accademico. È così che davanti al titolo evaporato a Bologna, compaiono i due sgherri incaricati da Meduri e Scorolli di punire Emilio Campus e gli altri commissari: tutti "colpevoli" (a loro dire) di avere modificato il profilo professionale del candidato vincitore del concorso da professore (che al posto di Lucia Scorolli sarà il messinese Pasquale Aragona). «Sei tu l'artefice di tutto, non la passerai liscia!», è il messaggio lasciato dal professore Meduri al collega Campos. Eccoli i due sgherri (condannati il 7 maggio a 1 anno e 4 mesi per minacce); per i giudici d'Appello sono gli esecutori materiali delle minacce più gravi. Uno si chiama Remo Grassetti, all'epoca dei fatti 46enne, di Macerata, militanza in An, maestro di karate dei tre figli di Me duri e Scorolli. Messo con le spalle al muro, confessa al pm di Bologna, Enrico Cieri, di avere recapitato le pallottole al professore Emilio Campos e ai parenti: «Idea mia», giura. Peccato che gli indirizzi, accertano i magistrati, glieli avesse forniti la coppia Meduri Scorolli. L'altro è Roberto Talarico: camionista calabrese oggi 49 anni, socio di Grassetti nella pratica delle arti marziali, la fissa di spacciarsi per ex-agente del Sismi. Gli atti del processo raccontano di decine di contatti tra Meduri e Scorolli. Sinistro, il tenore. Lei: «Ci vai dopo e gli spacchi le ossa!». Lui: «Macché, gliele spacco prima, scusa...». E poi Emilio Campos che gira scortato da quattro poliziotti per via delle minacce a intermittenza: «Sappiamo dove abiti». Quindi le intimidazioni agli altri commissari, primo fra tutti il professore milanese Giovanni Staurenghi: «Se segui quel cornuto di Campos, per te è finita», è il messaggio arrivato a Bari il 29 gennaio, giorno del (primo) concorso incriminato. Accade nel più antico e nobile ateneo d'Europa: dove, a oltre 900 anni dalla fondazione, 480 rettori europei si riuniscono per firmare la Magna Charta Universitatum, impegnandosi a battersi per i principi della libertà di ricerca e d'insegnamento. Ovviamente un passaggio della Charta riguarda anche «Il reclutamento dei professori e il regolamento del loro status». Sarà per questo che Lucia Scorolli, nel 2013, insiste nel partecipare al concorso nazionale per l'ambita cattedra. Si presenta col suo solito profilo professionale e la condanna in Appello per le minacce ai commissari dell'edizione del 2007. E nonostante a capo della commissione ci sia ancora lui: l'esimio professore che di nome fa sempre Emilio Campos, destinatario delle minacce a opera della dottoressa e del marito. Lei, candidata eccellente, chiede e ottiene l'esonero dalla commissione del professore. Risultato? Lo si può leggere sul sito (www. ab ilitazio ne In iunit/public/ pubblica risultati.php), basta cuccare la fascia seconda (06F2) per trovare il candidato numero 68: Lucia Scorolli. E leggere: «Non idoneo». Chi sarà stato, stavolta, a impedire alla dottoressa di vincere la cattedra? Mistero, perché anche i gialli di quart'ordine non finisco mai ____________________________________________________________ Corriere della Sera 27 Mag. ’14 PALERMO: IL CONCORSO ERA PILOTATO» ACCUSE AL PRORETTORE La Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex preside della facoltà di Medicina Giacomo De Leo, ora prorettore dell’ateneo palermitano e docente di Biologia, di Salvatore Novo, professore ordinario e direttore della scuola di specializzazione in Cardiologia dell’Università di Palermo, e di Alberto Balbarini, docente di Malattie cardiovascolari all’Università di Pisa. Sono coinvolti in un’inchiesta su un concorso truccato per un posto da ricercatore universitario nel Dipartimento di Cardiologia, bandito nel 2004 e svolto nel 2005, e sono accusati, a vario titolo, di truffa, soppressione di atto pubblico e falsità ideologica. Il concorso, secondo gli inquirenti, venne truccato per consentire alla figlia di Novo, Giuseppina, di aggiudicarsi il posto. Secondo gli investigatori, ci sarebbe stato un vero e proprio accordo tra Novo e De Leo per far vincere il concorso alla figlia del cardiologo. A garantire che la dottoressa vincesse il titolo doveva essere Mario Mariani, altro docente universitario di Pisa, nominato membro della commissione esaminatrice, che all’ultimo si sarebbe tirato indietro. ____________________________________________________________ Quotidiano Sanità 31 Mag. ’14 CLINICAL TRIALS. SULLA GU EUROPEA IL NUOVO PER REGOLAMENTO SULLA SPERIMENTAZIONE CLINICA Prevista una valutazione unica europea di un trial clinico, condivisa da tutti gli Stati Membri coinvolti e di alto livello scientifico, e un unico portale e database gestiti dall’Ema. Introdotte anche “regole semplificate per la sperimentazione a ‘basso livello di intervento’ http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=2788264.pdf 31 MAG - È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, sulla sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano, che abroga la direttiva 2001/20/CE. “Si tratta di un provvedimento – spiega l’Agenzia italiana del farmaco in una nota pubblicata sul proprio sito internet - che colma una serie di lacune normative sui Clinical Trials attraverso la creazione di un quadro uniforme per l’autorizzazione degli studi clinici da parte di tutti gli Stati Membri interessati con un’unica valutazione sui risultati”. Il principio generale, sancito nell’art. 3 del Regolamento, stabilisce che una sperimentazione clinica possa essere condotta esclusivamente se i diritti, la sicurezza, la dignità e il benessere dei soggetti sono tutelati e se essa è progettata per generare dati affidabili e robusti. Al fine di migliorare la trasparenza dei dati derivanti dagli studi clinici si prevede che siano pubblicati in una banca dati europea accessibile al pubblico dei riassunti dettagliati, comprese le relazioni finali, una volta che sia stata presa una decisione in merito all’immissione in commercio di un farmaco o che la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio venga ritirata. “La natura stessa del Regolamento farà sì che non ci potranno essere difformità applicative nei diversi Stati Membri, come avvenne invece con il recepimento nella normativa nazionale della Direttiva 2001/20/CE”, commenta sul sito dell'Aifa Donatella Gramaglia della Segreteria Tecnica della Direzione Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco. “Punti di forza del nuovo Regolamento saranno la valutazione unica europea di un trial clinico, condivisa da tutti gli Stati Membri coinvolti e di alto livello scientifico, un unico portale e database europeo gestiti dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), congiuntamente ad un unico punto di accesso per la sottomissione della documentazione ed un forum dedicato”, ha continuato la Dott.ssa Gramaglia. Il Regolamento facilita dunque la cooperazione transfrontaliera per rendere i test clinici più ampi e incoraggiare lo sviluppo di trattamenti speciali, ad esempio per le malattie rare, ma soprattutto snellisce le norme in materia di sperimentazioni cliniche in tutta Europa, introducendo “regole semplificate per la sperimentazione cosiddetta a ‘basso livello di intervento’, su cui molto si è discusso e che tuttora desta preoccupazione, prevedendo medicinali autorizzati oppure utilizzati fuori indicazione in presenza di evidenze scientifiche pubblicate su efficacia e sicurezza”, come ha spiegato Donatella Gramaglia, aggiungendo che a beneficiarne saranno principalmente le aree terapeutiche pediatrica ed oncologica. Si prevede inoltre che la Commissione possa effettuare controlli per verificare se gli Stati Membri vigilano correttamente sulla conformità al Regolamento e possa elaborare un programma per i controlli dell’Unione e, per ciascun controllo effettuato, una relazione sui risultati, trasmessa mediante il portale UE, che sarà l’unico punto di accesso per la presentazione dei dati e delle informazioni concernenti le sperimentazioni cliniche. “Rimangono alcuni nodi critici, la cui risoluzione è demandata ai singoli Stati Membri, quali ad esempio la modalità di interazione con i Comitati Etici, la copertura assicurativa per gli studi sia profit che no-profit, l’ambiguità circa la possibilità di remunerare i pazienti per la perdita di guadagno legata alla partecipazione ad un trial clinico e non soltanto la previsione di un eventuale rimborso spese, la necessità di armonizzare le normative nazionali in materia di consenso informato e protezione dei dati personali nelle popolazioni vulnerabili (minori, donne in gravidanza o in allattamento, soggetti incapaci di dare il proprio consenso, sperimentazioni in condizioni di emergenza)”, ha aggiunto Donatella Gramaglia, concludendo che “rimanere competitivi, rispettando le tempistiche più ridotte di valutazione, producendo allo stesso tempo dati robusti e affidabili nel rispetto prioritario della sicurezza del paziente, sarà d’ora in poi la sfida per mantenere viva e supportare la ricerca clinica nella Unione Europea”. ____________________________________________________________ Le Scienze 31 Mag. ’14 IL VIRUS DEL MORBILLO BATTE IL TUMORE Il virus del morbillo, inoculato in forma ingegnerizzata in grandi quantità, ha portato alla remissione completa dei tumori che colpivano una paziente statunitense: è la prima volta che si documenta il successo dell'attività antitumorale di un virus nell'essere umano. Il risultato, per quanto incoraggiante, dovrà comunque essere verificato con studi clinici su un ampio numero di pazienti (red) Battere il tumore con un virus: ci è riuscita Stacy Erholtz una paziente statunitense affetta da mieloma – una forma tumorale che colpisce il midollo osseo – e vari tumori metastatici, nell'ambito di uno studio della Mayo Clinic. Nel tentativo di salvarle la vita, i medici le hanno inoculato 100 miliardi di unità del virus del morbillo, una quantità sufficiente a infettare 10 milioni di persone. “Il risultato è un'assoluta novità, perché è la prima volta che si dimostra l'attività antitumorale di un virus nell'essere umano”, ha spiegato Stephen Russell, che ha guidato la ricerca. “Potenzialmente potrebbe cambiare molte cose in ambito oncologico e innescare sviluppi terapeutici molto interessanti”. L'idea di usare un virus per uccidere le cellule tumorali non è nuova: le prime sperimentazioni sui topi sono state effettuate negli anni cinquanta del novecento, con risultati positivi. Tuttavia, questa è la prima volta che viene documentata in un essere umano una completa remissione della forma tumorale in seguito all'esposizione a un virus. Il meccanismo con cui funziona la terapia, detta viroterapia oncolitica, è quello tipico dell'infezione virale: il virus attacca le cellule tumorali e le usa come ospiti per replicare il proprio materiale genetico, prima di causarne la morte. I due pazienti coinvolti nella sperimentazione hanno ricevuto entrambi una sola somministrazione di virus del morbillo ingegnerizzato, particolarmente tossico per le cellule colpite dal mieloma. Inizialmente, entrambi hanno risposto positivamente alla terapia, ma gli esiti successivi sono stati diversi. Nel caso di Stacy Erholtz, in cui il tumore era disseminato, è avvenuta una completa scomparsa di diversi tumori metastatici, tra cui uno al cervello, nell'arco di sei settimane dopo alla somministrazione. Nel secondopaziente, il successo terapeutico è stato solo parziale, con una diminuzione della massa tumorale ma senza una remissione completa. I risultati per quanto incoraggianti, dovranno perciò passare al vaglio di uno studio clinico randomizzato di ampie dimensioni. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’14 BYPASS DI CELLULE STAMINALI NEI CUORI COLPITI DA INFARTO Cellule staminali per riparare il cuore con alcune novità dopo vari tentativi sperimentati in passato, in particolare in Germania, dai risultati contrastanti. In alcuni casi anche negativi per «incapacità» di controllare lo sviluppo di cellule del cuore. Adesso gli italiani hanno messo a punto un nuovo metodo che sembra essere efficace. Il 3 aprile, al Monzino di Milano, sono stati trattati un primo paziente e — pochi giorni fa — un secondo, visti i buoni risultati del primo. Pazienti con scompenso cardiaco, che è poi un cuore molto malfunzionante a causa dei danni subiti da infarti o quant’altro ne uccida parte del tessuto attivo. L’obiettivo degli studiosi è quello di creare una sorta di «bypass naturale», iniettando cellule progenitrici (staminali), prelevate dal sangue midollare dello stesso paziente («autologhe»), nelle zone del cuore dove arriva male l’ossigeno, che sono a rischio anche se ancora vitali. La novità, rivoluzionaria, adottata al Monzino è nella procedura. Le staminali si fanno arrivare nell’area da rigenerare tramite un catetere, come quelli utilizzati per fare la coronarografia (esame della pervietà delle arterie che portano sangue al cuore) o un’angioplastica (intervento per riaprire o dilatare una coronaria chiusa o semichiusa). Niente tagli chirurgici, nessun trauma per il malato che è già in condizioni critiche, e iniezioni dirette nel muscolo del cuore. Il catetere viene inserito in un’arteria e spinto fino al cuore, seguendo lo stesso percorso del sangue circolante. Le staminali sono iniettate nelle zone da riparare da un microago che si trova all’estremità del catetere. Le cellule rigeneratrici vanno così a impregnare l’area sofferente (e solo quella, senza dispersioni). Lo studio è finanziato dal ministero della Salute nell’ambito della ricerca finalizzata. Associato al Monzino, il San Gerardo di Monza per quanto riguarda la preparazione delle staminali. Responsabile della sperimentazione è Giulio Pompilio, cardiochirurgo responsabile dell’unità di ricerca genetica del Monzino. La sua esperienza si basa su un primo studio pilota, iniziato nel 2006 e tramite la via chirurgica, in cui i malati trattati sono stati seguiti per anni con risultati molto incoraggianti. Ora la novità, con altri pazienti in lista. Rigida la selezione. Non devono avere altre alternative di cura. I controlli si effettuano al Monzino e finora ne è stato selezionato uno ogni dieci valutati. Se passano l’esame, le loro cellule midollari sono prelevate e selezionate tramite sistema Gmp (Good manufacturing practice) nel Laboratorio di terapia cellulare «Stefano Verri» del San Gerardo di Monza. La verifica degli effetti dell’intervento si valuta a sei mesi dalla sua esecuzione, attraverso controlli clinici e strumentali. Questo il protocollo. Ma già oggi, a circa due mesi dall’intervento, si può dire che le condizioni del primo operato sono buone. Il controllo eco- cardiografico eseguito a un mese dall’intervento ha dimostrato un iniziale miglioramento della funzione cardiaca. Mario Pappagallo ____________________________________________________________ Corriere della Sera 31 Mag. ’14 SE LE RAGAZZINE FUMANO PER RESTARE MAGRE di LUCA ANGELINI C’erano una volta quelli che fumavano per sentirsi grandi. Adesso ci sono quelle che fumano per sentirsi magre. Il guaio è che «quelle» sono sempre di più e sempre più giovani. «Aumentano le ragazze attratte dall’effetto anoressizzante delle sigarette: fumano per ridurre l’appetito e non mangiare — spiega la dottoressa Maria Cristina De Leonardis, responsabile del centro Antifumo degli Spedali Civili di Brescia —. Io tengo anche lezioni in un liceo i cui studenti sono in gran parte femmine. Spiego loro tutti i danni, anche estetici, del fumo: i guasti alla pelle, l’ingiallimento di denti e dita, i danni alle mucose, per non dire dei problemi in vista di una gravidanza. Ma non c’è niente da fare, per molte adolescenti la linea è la cosa più importante. Forse bisognerebbe intervenire già nelle scuole elementari e medie». Forse sì, perché secondo l’indagine 2014 commissionata dall’Istituto Superiore di Sanità a Doxa e Istituto Mario Negri e resa nota alla vigilia della Giornata mondiale anti tabacco di oggi, il 13,2% dei fumatori ha iniziato prima dei 15 anni. E, alla faccia dei divieti, adolescenti e ragazzi «tirano» sempre di più: nella fascia 15-24 anni, quelli che si accendono meno di 15 sigarette al giorno sono scesi, nell’ultimo anno, dall’81 al 67,8 per cento. E spesso, per risparmiare, comprano, o si fanno comprare da un amico maggiorenne, cartine e tabacco (tra i consumatori di sigarette «fai da te», quelli tra i 15 e i 20 anni sono il 34,3%). Resta il fatto che sono soprattutto le donne a trascinare i consumi. Per la prima volta dopo cinque anni, dice l’indagine Doxa-Iss, nel 2014 la percentuale di fumatrici in Italia è tornata a salire, dal 15,3% del 2013 al 18,9% (gli uomini sono invece scesi dal 26,2 al 25,4%). Che le sigarette facciano dimagrire le donne è da dimostrare. Che le donne ingrassino i profitti di chi fa sigarette è una certezza. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 29 Mag. ’14 IL MINISTERO CHIEDE 1,2 MILIARDI ALLE MULTINAZIONALI DEI FARMACI «Roche-Novartis spingevano la medicina più costosa» ROMA — Una richiesta di risarcimento danni di 1,2 miliardi di euro. L’ha fatta il ministero della Salute alle aziende farmaceutiche Novartis e Roche per la vicenda relativa all’ipotesi di «cartello» tra le due aziende per incentivare l’utilizzo di un farmaco per gli occhi più costoso, Lucentis, rispetto a un altro di pari efficacia, Avastin, meno costoso ma utilizzato come farmaco off label , ovvero fuori dalle indicazioni previste. Una richiesta danni pari a 14 milioni di euro è stata invece avanzata dal ministero alla Pfizer per «comportamento di abuso di posizione dominante in relazione alla commercializzazione del farmaco Xalatan». In seguito invece alla delibera dell’Antitrust che ha qualificato il comportamento di Novartis e Roche come «un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza finalizzata alla commercializzazione del farmaco Lucentis molto più costoso del farmaco Avastin, ad esso equivalente», il ministero ha richiesto alle due aziende «il risarcimento di tutti i danni patrimoniali (circa 45 milioni nel 2012, 540 milioni nel 2013 e 615 milioni nel 2014) e non patrimoniali arrecati illecitamente al Servizio sanitario nazionale». «Sorpresa» è stata espressa dalla Roche «in quanto non ha ricevuto alcuna comunicazione dal Ministero e pertanto non può fornire spiegazioni esaurienti in merito. E comunque le cifre riportate appaiono irreali». Per Novartis «la richiesta dei danni è infondata». Intanto, Roche e Novartis hanno rinunciato ieri davanti al Tar del Lazio a richiedere la sospensiva della multa di 180 milioni comminata due mesi fa dall’Antitrust per la stessa vicenda. «Evidentemente la memoria tecnico scientifica presentata in giudizio dalla Società italiana di oftalmologia — ha affermato il presidente della Soi, Matteo Piovella — è stata sicuramente articolata e circostanziata meglio tra quelle presenti sotto il punto di vista medico scientifico e ha suggerito la predetta decisione poiché in caso contrario molto probabilmente il Tar avrebbe respinto quanto richiesto da Roche e Novartis». Replica Novartis: «Presentare istanza di sospensiva della decisione adottata dall’Antitrust è una facoltà processuale delle parti; Novartis ha deciso autonomamente di rinunciare a discutere tale istanza di sospensiva poiché interessata a giungere a una definizione sul merito del giudizio circa la illegittimità della decisione assunta dall’Antitrust in tempi brevi». Per la Roche «il presidente della Società oftalmologica italiana ancora una volta confonde e mistifica. La decisione di non chiedere la sospensiva è dettata dalla sola volontà di accelerare la discussione nel merito del provvedimento, per giungere così a una sentenza senza ogni ulteriore dilazione». Il merito del giudizio per giungere alla sentenza definitiva è stato fissato per i primi giorni di novembre. Nel frattempo, dunque, la decisione dell’Antitrust rimane efficace e la sanzione pecuniaria dovrà essere pagata dalle case farmaceutiche. A. B. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 giu. ’14 LOTTA AL “BIG KILLER” MONDIALE - IL TUMORE AL POLMONE PRIMA CAUSA DI MORTE CHICAGO Il tumore al polmone resta il principale “big killer” mondiale: 1,35 milioni di nuovi casi diagnosticati ogni anno e 1,18 milioni di morti. Si stima che ogni giorno, più di 3.000 persone muoiono di tumore del polmone in tutto il mondo, pari a due decessi ogni minuto. In Italia nel 2013 sono state circa 38.000 le nuove diagnosi, delle quali circa il 30% tra le donne. Il carcinoma al polmone rappresenta circa l'11% di tutte le nuove diagnosi di tumore nella popolazione generale. Di fronte a questi dati, gli esperti convenuti come ogni anno a Chicago per il più importante appuntamento mondiale di oncologia, il congresso Asco, in attesa che la ricerca possa fornire nuove terapie, si interrogano sull'efficacia della combinazione tra farmaci target, quei farmaci innovative che hanno il compito preciso di colpire una determinata molecola. I vantaggi rispetto alle cure tradizionali sono riferibili all'aumento dell'efficacia della terapia e alla diminuzione degli effetti indesiderati. I più importanti risultati negli ultimi anni nella terapia del tumore del polmone, sono stati ottenuti con le terapie a bersaglio molecolare: alcuni farmaci target, oltre ad avere minori effetti collaterali, prevedono una via di somministrazione orale che permette al paziente di «curarsi» a casa propria recandosi in ospedale solo per i controlli. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Giu. ’14 MORBILLO, PICCO DI INFEZIONI: IN TROPPI NON SI VACCINANO Epidemia negli Stati Uniti. Cento casi a Bologna MILANO — Allerta morbillo. Il movimento antivaccinazione sembra aver fatto toccare un record di casi che negli Stati Uniti non si raggiungeva da almeno 20 anni. È quanto rivela il rapporto settimanale del Centro per il controllo delle malattie infettive e la loro prevenzione di Atlanta: 288 casi dall’inizio dell’anno fino al 23 maggio. Il più alto numero di infezioni durante i primi cinque mesi dell’anno dal 1994. Il morbillo torna a far paura nel Paese che lo aveva dichiarato eliminato nel 2000. In realtà, essendo la malattia endemica in altre parti del mondo, anche gli Stati Uniti restano esposti al virus di importazione. Detto questo, gli esperti indicano nel movimento antivaccinazione il principale colpevole di questo ritorno di fiamma: il 69% dei 288 casi ha riguardato con certezza persone non vaccinate. Di un altro 20% non è stato possibile determinare se la profilassi antimorbillo sia stata effettuata o no. Comunque, «tra i 195 residenti negli Stati Uniti che hanno avuto il morbillo e non sono stati vaccinati — spiega il rapporto pubblicato dal Los Angeles Times — 165 (l’85%) aveva rifiutato la vaccinazione per obiezioni religiose, filosofiche o personali». Per dirla senza mezzi termini, queste persone si sono trasformate in un rischio per la salute pubblica. Anche in Italia si sta registrando un’onda anomala. Un centinaio di casi di morbillo in pochi mesi a Bologna. Un contagio e mezzo al giorno nelle ultime settimane. E anche in questo caso è la vittoria (negativa) degli antivaccinazione. A essere colpiti dal virus che porta febbre alta e macchie rosate sulla pelle sono gli adulti e non i bambini. E molti di loro non si erano vaccinati per scelta e non hanno vaccinato i loro figli. Il problema di Bologna, che sta attirando l’attenzione di esperti anche internazionali di sanità pubblica e malattie infettive, è che il virus del morbillo, oltre ad aver colpito una ventina di bambini, ha aggredito anche alcuni medici del policlinico Sant’Orsola-Malpighi e svariati studenti universitari (la maggior parte della facoltà di Medicina). Un caso analogo si verificò a Torino anni fa con un’epidemia di tubercolosi tra gli studenti di medicina. Il contagio è, al momento, diventato quasi ingestibile. Si sta cercando di verificare chi è entrato in contatto con le persone affette dal morbillo allo scopo di ricostruire il percorso del virus tra gli infettati: la maggior parte dei colpiti ha tra i 25 e i 44 anni, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di non vaccinati o di persone sottoposte a un solo ciclo, invece dei due consigliati. L’epidemia di morbillo interessa da diversi mesi anche i bimbi (gli adulti solo nelle ultime settimane): «Inizialmente febbre alta e raffreddore, poi dopo alcuni giorni compaiono le eruzioni cutanee — spiega Filippo Bernardi, direttore del Pronto soccorso pediatrico del Sant’Orsola —. Spesso i sintomi non vengono subito riconosciuti e così aumenta la possibilità di contagio». A proposito dei non vaccinati, mentre prima il virus passava dai bimbi agli adulti, nel caso bolognese sono state diverse mamme a contagiare i figli. In un caso è stato colpito anche un bebè. Mario Pappagallo ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Giu. ’14 SASSARI, SESSO PROTETTO E CANCRO STRATEGIE ANTI-TUMORI AL TOP Ha fatto il giro del mondo il report su patologie sessuali e cancro alla prostata. Gli autori: «Possibili a breve altri sviluppi» di Pier Giorgio Pinna SASSARI Ha fatto il giro del mondo la scoperta su come si possono evitare certi tumori grazie a rapporti sessuali protetti. Dalla rivista dell'Accademia scientifica Usa la notizia è rimbalzata sui network internazionali. In Europa ne continua a parlare la Bbc. E in Italia viene ripresa dai principali siti la straordinaria collaborazione tra la piccola università sarda e il colosso californiano partner dell’impresa all’Ucla di Los Angeles. L’inchiesta. «Quel che resta da sottolineare sono gli interessanti sviluppi che il metodo può portare nell'applicazione delle medesime procedure d’indagini a casi simili», spiega al dipartimento di Scienze biomediche Pier Luigi Fiori, che ha coordinato il report. «Una volta acquisito il concetto che il cancro alla prostata può rivelarsi una patologia da trasmissione per una specifica malattia venerea, la Tricomaniosi, l'idea di lavorare in questo modo è replicabile», aggiunge. Internet. Migliaia le condivisioni sul sito della “Nuova”: la scoperta ha riscosso forte interesse sul web. Come le chance in chiave anti-oncologica della banca di tessuti ovarici nella clinica ostetrica diretta da Salvatore Dessole: il prelievo di questi tessuti sulle malate - prima della radioterapia o della chemio - consente poi di ritrapiantarli sulle donne, che così possono continuare ad avere figli. Malattia venerea. La Tricomoniasi è invece la più comune infezione non virale trasmessa per via sessuale: nel mondo colpisce 275 milioni di pazienti all’anno,di entrambi i sessi (e nell'isola migliaia di persone). Chi ne soffre a volte non sa di averla. Ma spesso gli uomini capiscono di essere malati perché vanno dal medico dopo aver avvertito irritazioni o bruciori ai genitali, e in questo modo viene fatta la prima diagnosi. In laboratorio. Negli ultimi due anni, tra Los Angeles e Sassari, gli scienziati hanno condotto test su cellule umane, scoprendo che la Tricomoniasi può favorire l'insorgenza del cancro alla prostata. «I risultati della scoperta suggeriscono che il Trichomonas vaginalis rilascia una proteina che causa infiammazione, aumenta e velocizza la crescita del cancro», rilevano gli altri autori della ricerca. Sono Anna Rita Cocco, Daniele Dessì e Paola Rappelli, più o meno gli stessi che in passato avevano già ottenuto importanti risultati nell'analisi della trasmissione di altre patologie per via sessuale. Procedure. Comunque in tutti i casi del genere – evidenzia la strategia anti-tumori messa a fuoco tra Sardegna e California – si ricorre a una metodologia in fondo semplice. Una volta scoperto il microrganismo che causa l’infezione e che può contribuire alla formazione di cellule cancerogene, bisognerà innanzitutto curare la prima malattia diagnosticata. «Perché poi debellandola», concludono i protagonisti della ricerca, «si può almeno prevenire l’insorgenza dei tumori strettamente correlati a quella specifica infezione, come abbiamo dimostrato noi con quella malattia venerea» . ©RIPRODUZIONE RISERVATA ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Giu. ’14 SASSARI: MICROBIOLOGI IN PRIMA LINEA PER LE CURE DELLE TIROIDITI si aprono nuovi orizzonti SASSARI Conclusi in queste stesse settimane altri importanti studi a Medicina. Stavolta si parla di malattie alla tiroide e di ricerche collegate che potrebbero aprire nuovi scenari. Gli autori? Sempre i microbiologi dell’università di Sassari. Un loro report è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista PLoS One. Il focus delle indagini scientifiche è centrato sulle cause della Tiroidite di Hashimoto (Ht), la malattia auto-immune con più alta prevalenza nell’isola: 2.619 casi ogni centomila sardi. Dunque, una patologia che da noi colpisce quasi 42mila pazienti. Il team. «Malattia nell’isola ancora più diffusa del diabete di tipo 1 e della sclerosi multipla», chiarisce il coordinatore dello studio, il professor Leonardo Sechi. L’équipe che ha portato a termine il report è poi composta da Speranza Masala, assegnista nel dipartimento di Scienze biomediche, e da Mario Palermo, primario di Endocrinologia dell'Azienda ospedaliero-universitaria. L’area d’indagine. «Del resto l'infezione asintomatica da parte di Mycobacterium avium subsp paratuberculosis (Map) nell'uomo è stata di recente associata a malattie di natura autoimmune quali lo stesso diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e il morbo di Crohn – spiega Sechi – E in questo senso ci sono già stati numerosi contributi anche del gruppo di ricerca sui micobatteri del dipartimento di Scienze biomediche». Il rapporto. A tutt'oggi, la presenza di un'associazione tra questa specifica tiroidite e il Map è stata vagliata unicamente in uno studio clinico portato a termine sui membri di una famiglia pugliese. L’inchiesta sassarese si è perciò concentrata in questo stesso campo proprio sulla popolazione regionale. «Che – aggiunge il coordinatore scientifico dell’ateneo sardo – rappresenta un ottimo modello di studio proprio per la diffusione della patologia». Qualche dettaglio. Ma in che cosa è consistito lo studio nella sostanza? «Ecco, nel lavoro pubblicato su PLoS One è stata verificata una presenza di anticorpi contro la proteina di Map più nei pazienti con tiroidite rispetto ai sani – risponde il professor Sechi – I risultati dimostrano che specifici anticorpi reagiscono con quelli omologhi attraverso un meccanismo di mimetismo molecolare che potrebbe innescare la tiroidite negli individui infettati». Sistema visivo. Conclusioni rafforzate da uno studio in collaborazone a tutt’oggi con il ricercatore Antonio Pinna, della clinica oculistica sassarese: «Un report nel quale si evidenzia una correlazione positiva tra Tiroidite di Hashimoto e retinopatia diabetica». Il domani. «L'aver riscontrato un'associazione del genere – chiariscono gli autori dello studio – potrebbe fornire indicazioni terapeutiche utili alla prevenzione e alla terapia di queste malattie auto-immuni». Insomma, l’esito delle indagini svolte a Sassari potrà aprire orizzonti impensati in un tempo abbastanza breve. Con applicazioni utili per comprendere le cause di gravi malattie. E, possibilmente, per prevenirle e curarle.