RASSEGNA STAMPA 22/09/2013 HARVARD VINCE IN (QUASI) TUTTO BOLOGNA, ROMA, MILANO E PISA: ECCO GLI ATENEI A 5 STELLE RICERCATORI, L'OLANDA PAGA 5 VOLTE DI PIÙ PALEARI ELETTO PRESIDENTE CRUI PAVIA: BASTA ATENEI IN COMPETIZIONE CHIUDONO LE UNIVERSITÀ TRAVOLTE DAI DEBITI FRATI VA IN PENSIONE MA PRETENDE DI TENERSI LA POLTRONA LA SPECIALIZZANDA: SE VUOI UN POSTO DEVI AIUTARE IL PROF PURE COL BUCATO AI TEST DI MEDICINA LA BEFFA DELLE TASSE PAGATE DUE VOLTE ATENEI, LA BEFFA DELLE DUE ISCRIZIONI I PROF IN PENSIONE RIVOGLIONO IL POSTO E’IL PRECARIATO CHE UCCIDE LA RICERCA LA TUA PASSWORD SEI TU IGNOBEL 2013: CAMMINARE SULL'ACQUA SI PUÒ, MA SULLA LUNA IL PARADOSSO DELLA SFIDUCIA NEGLI OGM GLI ANNI IN CUI LA TERRA NON SI E’ RISCALDATA. POSIDONIA SUI CAMPI E SUI TETTI IL MISTERO DELL'ACQUA SVELATO: HA DUE VOLTI L'AUTOSCATTO DEL PRESENTE ========================================================= MEDICI, SCOPPIA IL CASO DEL CODICE DEONTOLOGICO INCHIESTA ANTITRUST SULLA PUBBLICITÀ DI MEDICI E DENTISTI AOUCA: «È COME NASCERE IN HOTEL» NON SI NASCERÀ PIÙ AL “CIVILE” OSTETRICIA VA A MONSERRATO POSTI LETTO, I MANAGER ASL PRESENTANO OTTO DOSSIER FARMACI: «LA RICETTA ANTI SPRECHI» I FARMACI A CARO PREZZO: LA SARDEGNA È MAGLIA NERA GANAU: «SANITÀ DA RIFONDARE» CARDIOLOGIA, CONCORSO SCANDALO A ROMA. A PARITÀ DI CAVALLO SCELGO QUELLO CHE CONOSCO" RENE, BASTA DIALISI CON LE STAMINALI? BASTA TAGLI ALLA CIECA PER LA SANITÀ PUBBLICA QUEL PASTICCIACCIO DELLA STAMINALI STAMINA: «VENGHINO A VEDERE, SIORI» STAMINA: LA CONQUISTA DEI TRIAL CLINICI L'AVVERSIONE DELLA RETE NEI CONFRONTI DEI VACCINI I CLASSICI ISPIRARONO GALENO PER L'ARTE MEDICA SERVE CULTURA CHIRURGHI PREPARATI, MA POCO «EMPATICI» RITMI CIRCADIANI E MORTE PER ARRESTO CARDIACO MATTUTINO PER L’OMS NON C’E’ RELAZIONE FRA VACCINI E AUTISMO SUCCESSO A ROVIGO PER I SERVIZI DI DIAGNOSTICA NOTTURNI AUMENTA IN EUROPA LA RICHIESTA DI OCCUPAZIONE NELLA SANITA’ LE CARIE POTENZIALI DIFESE DAI TUMORI DELLA TESTA E DEL COLLO DARE I NUMERI E SCOPRIRE IL SENO I DIECI ODORI FONDAMENTALI DELLA PERCEZIONE OLFATTIVA ECCO IL “NASO ELETTRONICO” SCOPRE IL TUMORE NEL RESPIRO TAC ALLEATA DELLA GENETICA SERVIZIO SANITARIO EUROPEO DAL 20 OTTOBRE SANITA’L'ECCESSO DI RIGORE DELLA RIFORMA SPAGNOLA ECOLOGIA DELLE MALATTIE LA NUOVA SCIENZA PER PREVEDERE LE EPIDEMIE COME CURARE LE MALATTIE GENETICHE CON L'HIV NON CONVIENE CHE L'ETÀ DELLA MENOPAUSA SI SPOSTI IN AVANTI FANNO BENE, ANZI NO LA GRANDE QUERELLE SUGLI ACIDI GRASSI ========================================================= _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 set. ’13 HARVARD VINCE IN (QUASI) TUTTO di GIANNA FREGONARA Gli atenei italiani faticano ad arrivare ai vertici su scala globale ma di alcuni istituti viene riconosciuta l'eccellenza. Una classifica nazionale però ancora non c'è A vete mai visto in giro un ragazzo con la maglia della Sapienza? O della Cattolica? O del Politecnico? Perché anche noi che non ci siamo stati possediamo un cencio di Harvard (magari contraffatto) o di Princeton, ma non di una qualsiasi università italiana? Non è soltanto questione di marketing. La risposta vale quasi quanto le statistiche preziose che da quasi un decennio aiutano i ragazzi a orientare le proprie aspirazioni e ambizioni universitarie e determinano le fortune dei principali atenei, i world ranking, cioè le classifiche mondiali che danno voto e valore (anche economico) alle facoltà e alle lauree che i più studiosi riescono a conseguire. In queste liste le università italiane ci sono, ma il successo è spesso essere entro i primi 100 o 200 posti, non più su, anche se alcuni corsi specifici di alcuni istituti hanno una posizione ben più alta. Le prime dieci posizioni sono di solito appaltate ai Paesi anglofoni, Stati Uniti e Gran Bretagna, con qualche incursione dall'Estremo Oriente, ed è un eterno rincorrersi tra Harvard, Stanford, Oxford, Mit. L'insegnamento in lingua inglese, il numero e la qualità delle pubblicazioni e l'attrattiva per i cervelli di ogni parte del mondo sono le carte vincenti. Nella fotografia scattata dalla mappa qui sopra si vede che la Sapienza — ma è una tendenza nazionale — ha avuto un «voto» alto per i propri docenti, non così per le pubblicazioni o le aspettative di lavoro per i laureati. Eppure proprio sulla didattica le università italiane sono molto restie a farsi valutare. Non esiste infatti al momento alcuna «classifica» italiana delle università che valuti come e cosa si insegna nelle facoltà, essendo la discussione sul criterio con il quale giudicare il lavoro dei docenti ancora molto agli inizi e aggrovigliata. Con qualche strascico polemico, l'Anvur, l'Associazione nazionale di valutazione delle Università e degli Enti di ricerca, creata proprio a questo scopo alcuni anni fa, ha classificato gli atenei in base ai lavori svolti e pubblicati dai propri ricercatori e professori. Ma certo sarebbe un grande passo avanti poter avere una classifica italiana degli oltre 400 atenei. Ci si riesce a livello mondiale (ormai senza polemiche) con risultati accettati con fair play, perché non provarci anche da Trieste a Palermo? www.corriere.it/scuola/ @Corriere_Scuola _____________________________________________________________ Repubblica 15 set. ’13 BOLOGNA, ROMA, MILANO E PISA: ECCO GLI ATENEI A CINQUE STELLE CHE SCALANO IL MONDO Le università italiane migliorano le posizioni e altre entrano ex-novo nelle classifiche internazionali, secondo la nuova edizione del Qs World University Rankings (che classifica le top 800 università su un’analisi, effettuata su scala mondiale, che ne comprende 3.000). Un’analisi compiuta tenendo conto una serie di parametri, fra i quali anche la ricerca. In particolare, le punte di diamante della formazione accademica nel nostro paese sono l’università di Bologna, Roma Sapienza, Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Milano e l’università di Pisa. Lo rivela una nota del Cun, Centro universitario nazionale. Rispetto al 2012, è cresciuto il ranking di questi cinque atenei: l’università di Bologna è in cima alla classifica nazionale (è al 188esimo posto, rispetto al 194esimo del 2012); seconda la Sapienza di Roma (sale al 196esimo, nel 2012 era al 216). Terzo posto per il Politecnico di Milano (230esimo, lo scorso anno era al posto 244). Quarta postazione per l’Università degli Studi di Milano (posto 235, nel 2102 era al 256) e quinta l’università di Pisa (259esimo posto, era al 314esimo nel 2012). Inoltre, quest’anno rientrano “nelle top 800” del Qs World University Rankings complessivamente 26 nostri atenei, con quattro new entry (Milano Bicocca, Roma Tre, Università Studi di Brescia e Verona). Infine, quattordici delle 26 università italiane in classifica hanno mantenuto o migliorato il punteggio. Un risultato positivo soprattutto nei tempi dei tagli alla spesa. (p.d.m.) Più Italia nel Qs World University Rankings _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 set. ’13 RICERCATORI, L'OLANDA PAGA 5 VOLTE DI PIÙ Italiani in coda alla classifica degli stipendi. Al primo posto i sudcoreani MILANO — Cervelli in fuga dall'Italia. Cervelli che non rientrano. Attratti da offerte di lavoro soddisfacenti e da laboratori più adeguati. Ma anche da un meccanismo competitivo che riconosce il merito. E paga bene. «Fino a cinque volte di più». Se poi teniamo conto del «valore di mercato» di ogni ricercatore non c'è storia: in Corea del Sud valgono sei volte e mezzo di più dei colleghi italiani. La questione della ricerca è tornata in primo piano grazie a Elena Cattaneo. Neurobiologa, da poco nominata senatrice a vita, la scienziata è intervenuta a «Otto e mezzo», su La7. Ha snocciolato le cifre della sua retribuzione. Da ricercatrice «guadagnavo 3.300 euro al mese» ha raccontato (da parlamentare prenderà circa 12 mila). «Comunque un salario "onorevole": i miei colleghi italiani percepiscono in media 1.600-1.700 euro al mese. All'estero le offerte sono cinque volte tanto». I confronti con gli altri Paesi, a dire il vero, non sono così immediati. Ogni Stato ha le sue regole. E spesso i salari — come accade tra gli anglosassoni — sono stabiliti tra il singolo scienziato e l'istituzione. «Anche all'interno del nostro Paese bisogna fare una distinzione tra ricercatori dell'università e quelli degli enti di ricerca» chiarisce Marina Camusso che segue il settore per conto della Flc-Cgil. I primi — secondo i calcoli di Anna Laura Trombetti e Alberto Stanchi — possono contare su una retribuzione lorda mensile iniziale di 1.705 euro che a fine carriera sale a 5.544 euro. I secondi, invece, all'ingresso guadagnano in media 2.400 euro. «Se superano i concorsi e se ci sono posti disponibili — continua Camusso — potranno diventare "dirigenti di ricerca" e aspirare, dopo trent'anni, a 7.500 euro». Altra storia fuori dai confini. Tanto che l'ultimo studio di Times Higher Education, che sarà reso pubblico agli inizi di ottobre, stila anche una classifica tenendo conto di quanto gli enti pubblici e privati investono su ogni ricercatore tra salario, benefit, premi di risultato e altro. Se in Corea del Sud uno scienziato ha un «valore» di quasi 93 mila dollari, in Olanda si aggira attorno ai 73 mila e in Belgio sfiora i 64 mila. Bisogna arrivare al 24° posto per trovare l'Italia: qui l'asticella si ferma a 14.400 dollari, Cioè undicimila euro. Cinque volte di meno rispetto agli olandesi. La metà in confronto agli americani. Il 35 per cento in meno dei colleghi tedeschi. «È chiaro che nel nostro Paese c'è un problema di retribuzione di chi fa attività di laboratorio» dice Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto italiano di tecnologia. Cingolani conosce molto bene l'ambiente. Ed è anche per questo che esordisce con una premessa: «Non sono contrario alla "fuga dei cervelli": è bene che i nostri ricercatori vadano fuori, facciano esperienze. Il problema è che non c'è il bilanciamento: entrano in pochissimi». Il salario, quindi. Secondo il direttore scientifico è un punto debole del nostro sistema, «ma non l'unico». «Perché non riusciamo a offrire nemmeno grandi strutture scientifiche dove fare attività. Di conseguenza non siamo per nulla attraenti». All'Istituto italiano di tecnologia, però, il 43 per cento dei ricercatori è straniero e arriva da più di cinquanta Stati. «Ma la nostra è un'isola felice, una delle poche in Italia», sottolinea. Come se ne esce? «Dobbiamo investire nella creazione di punti di attrazione, di veri e propri magneti che attirino uno alla volta i migliori cervelli» suggerisce Cingolani. Ma prima ancora «dobbiamo semplificare e velocizzare il sistema di reclutamento: provateci voi a spiegare a un inglese, a un americano o a un cinese il meccanismo di selezione che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Non è difficile, è quasi impossibile». Leonard Berberi lberberi@corriere.it _____________________________________________________________ Repubblica 18 set. ’13 PALEARI ELETTO PRESIDENTE CRUI "Basta tagli all'università" Il rettore dell'Università di Bergamo presiederà il comitato dei rettori italiani.Segretario generale sarà il rettore di Firenze Alberto Tesi. Dopo la nomina sono state chiarite le nuove linee guida del comitato e non sono mancate le critiche ai tagli previsti per gli atenei italiani Lo leggo dopo Stefano Paleari ROMA - Il nuovo presidente del Crui eletto all'unanimità dall'Assemblea dei Rettori è Stefano Paleari, 48 anni, rettore da quattro dell'Università di Bergamo. Paleari succede a Marco Mancini che lo scorso luglio è stato nominato capo Dipartimento Università, Afam e Ricerca del ministero dell'Istruzione. Il neo presidente ha poi designato Alberto Tesi, Rettore dell'università di Firenze, come nuovo segretario generale. "I prossimi anni - ha dichiarato Paleari dopo l'elezione - segneranno un punto di svolta per l'Università italiana, ma il punto di partenza è drammatico. Siamo arretrati di 10 anni, perdendo 10.000 ricercatori e il 15% dei fondi". Il neo presidente della Crui, ingegnere, insegna attualmente Analisi dei sistemi finanziari presso l'Università di Bergamo. Dal 2011 al 2013 ha ricoperto il ruolo di segretario generale della Crui (la conferenza dei rettori delle università italiane). E da quest'anno è l'unico membro italiano nel board della European University Association. Durante la sua carriera si è interessato di finanziamento delle imprese, in particolare quelle ad alta tecnologia e delle infrastrutture, nello specifico dei trasporti aerei. Paleari ha già chiarito quali saranno le linee guida della nuova presidenza. "Chi governa l'Università - ha spiegato Paleari - vuole meno burocrazia e più strumenti per competere. E' nell'interesse di tutti riportare il dibattito sulle cose reali, allontanando i tanti luoghi comuni. Ha sorpreso anche noi sapere dall'Europa che la Germania e la Francia sostengono le loro Università con il triplo del nostro budget e persino nel Regno Unito, indicato spesso come esempio di un finanziamento pubblico molto limitato, lo Stato spende per l'Università il 50% in più che in Italia. Si decida quindi come finanziare gli atenei, non dimenticando che nessuna automobile può viaggiare senza carburante. E si lasci poi a ogni università la possibilità di lavorare per migliorarsi, integrarsi e competere per poi essere misurata e valutata". "Abbiamo ricevuto da poco i risultati della valutazione della ricerca da parte dell'Anvur - critica Paleari - Uno sforzo fatto dall'intero sistema universitario e che non ha eguali in tutta la Pubblica Amministrazione. Siamo però al paradosso che senza un intervento che riduca i tagli pari al 4,5% (400 milioni) del bilancio degli Atenei per il 2013, questa valutazione rischia di essere inutile perché tutti gli Atenei vedranno comunque ridotte significativamente le loro risorse. Compresi quelli che hanno fatto meglio". _________________________________________________ Corriere della Sera 17 Sett. ‘13 PAVIA: BASTA ATENEI IN COMPETIZIONE ACCORDI SU RICERCA E DIDALLICA Fabio Rugge si insedia in ottobre alla guida della storica università Il nuovo rettore: più attenzione agli studenti stranieri PAVIA — Ma lei lo sa come la chiamano i suoi studenti ? «No, come?». Sir Pilade: è uno dei personaggi del film a cartoni animati «La spada nella roccia». «Ma è un personaggio buono o cattivo?». La domanda rivela forse un po' di preoccupazione, ma non scompone più di tanto il professor Fabio Rugge, 62 anni, dal primo ottobre nuovo rettore, il primo di area umanista dal 1959, dell'università di Pavia, l'ateneo più antico della Lombardia. Se però una preoccupazione c'è, deve essere senz'altro minima. Altre sfide attendono il nuovo rettore. Ma l'idea di come Fabio Rugge vorrebbe che fosse l'ateneo nei prossimi anni è già abbastanza chiara. Professore, lei è stato eletto a giugno scorso all'ultima votazione. Si aspettava di raggiungere l'obiettivo prima? «No, prima era impossibile. Abbiamo un sistema elettorale che nei primi tre voti richiede la maggioranza assoluta degli aventi diritto. Questo significa portare al voto circa 2.400 persone. Il risultato dell'elezione mi è sembrato comunque chiaro da subito. Per me è motivo di soddisfazione il voto quasi unanime della facoltà di medicina, da sempre molto frammentata». Qual è il primo tema che affronterà da neo-rettore? «Entro la seconda metà di ottobre annuncerò la mia squadra di governo. Poi la questione più urgente sarà il rapporto con le altre università lombarde, che dovrà essere intensificato. Con loro facciamo troppo poco sistema. Ogni ateneo ha le sue peculiarità (le nostre sono i 16 collegi e la sanità) e ciascuno tende a essere competitivo. Per raggiungere però i grandi obiettivi, e cioè didattica e ricerca scientifica di qualità, dobbiamo cooperare. Per esemplo lavorando insieme sull'offerta formativa, in modo da non avere gli stessi corsi in troppi atenei e integrando scuole di dottorato e progetti di ricerca». Uno dei problemi più gravi delle università italiane è la mancanza di fondi. «Sì, negli ultimi anni c'è stato un forte calo delle risorse destinate dai Governi alle università. Mi sembra, però, che il nuovo Governo sia orientato a cambiare passo e la stessa Crui, la conferenza dei rettori, è oggi molto combattiva su questo punto. La persona adatta ad occuparsene credo che possa essere il rettore di Bergamo, Stefano Paleari, che io sosterrò alle prossime elezioni per la presidenza della Crui». Durante la sua campagna elettorale ha parlato tanto di cambiamento. A che cosa si riferiva? «A Pavia abbiamo una grande tradizione universitaria ma oggi dobbiamo tenere presente che il nostro orizzonte culturale è europeo, globale. Cambiare significa adattarsi a questa idea. La presenza, allora, di studenti stranieri in università non più essere considerata un episodio isolato. E questo vuol dire ripensare alcuni corsi, che non potranno essere offerti in ugual modo a studente di diversa provenienza, e organizzare uffici che siano in grado di dialogare con gli studenti stranieri nella loro lingua madre». Quali saranno gli elementi di «rottura» rispetto alla gestione del rettore uscente Angiolino Stella? «Non parlerei di "rottura", che è spesso sinonimo di iattura. Dovremo però migliorare la programmazione strategica, che fino a oggi è stata debole. Ciò significa che, per poter indirizzare meglio i nostri sforzi, dobbiamo prima chiederci dove vorremmo essere tra dieci anni». In seguito all'annullamento del test per le professioni sanitarie a Pavia, che verrà recuperato il 23 settembre, è stato molto criticato il sistema di gestione delle prove d'accesso. E da cambiare? «Quell'episodio rappresenta un errore grave e deve indurre a ripensare se il ricorso a società esterne alle università, che predispongono i test, sia la formula migliore da adottare. Approfondiremo la questione senza pregiudizi, anche considerando quali siano le garanzie di responsabilità offerte da queste società». Isabella Fantigrossi Fabio Rugge, 62 anni, è stato eletto rettore dell'ateneo pavese il 18 giugno scorso. Leccese d'origine, laureato in Scienze politiche alla Cattolica dì Milano, Rugge dal 1991 è professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche alla Facoltà di Scienze politiche, di cui dal 2005 al 2011 è stato anche preside. Entrerà in carica il primo ottobre prossimo, succedendo al professor Angiolino Stella (nella foto sopra), e guiderà l'ateneo per un mandato unico di sei anni La più antica L'università di Pavia è una delle più antiche d'Europa (fu fondata nel 1361): oggi conta circa 25 mila studenti, con sedi a Pavia e Cremona, due facoltà, 18 dipartimenti e sedici collegi _________________________________________________ Il Tempo 19 Sett. ‘13 CHIUDONO LE UNIVERSITÀ TRAVOLTE DAI DEBITI Pomezia Il corso di infermieristica verrà trasferito nel campus Selva dei Pini, gli altri a Roma POMEZIA Dopo le proteste dei giorni scorsi di alunni e dipendenti del Consorzio Universitario di Pomezia, il sindaco grillino Fabio Fucci, annuncia qualche spiraglio per gli studenti. «Per il corso di infermieristica de La Sapienza - annuncia Fucci - stiamo valutando il proseguimento delle lezioni presso il Campus Selva dei Pini fino a giugno, mettendo a disposizione, previo contributo economico da parte dell'ateneo romano, per le aule necessarie alla conclusione dell'anno accademico in corso. Per quanto riguarda gli altri corsi, l'Università Europea ci ha comunicato che provvederà ad accogliere gli studenti iscritti a Pomeziapresso la sede di Roma». È stato questo un risultato, riguardo al Consorzio universitario, dopo l'incontro del sindaco con studenti e lavoratori. Una circostanza che già nelle settimane scorse era esplosa nella città proprio a seguito della delibera di scioglimento del Consorzio universitario provocato soprattutto dalla grave perdita in bilancio, si parla di quattro milioni di euro, che hanno fatto fare dietrofront al sindaco. Una considerazione che era stata anche valutata con questa decisione nel corso del commissariamento dopo lo scioglimento anticipato del precedente consiglio comunale guidato dall'ex primo cittadino Enrico De Fusco. «Mi sono impegnato a scrivere al Rettore de La Sapienza - spiega Fucci - per sottoporgli la possibilità di riconoscere gli esami sostenuti con l'Università Europea, per quegli studenti che intendessero fare un passaggio di istituto accademico». Lunedì scorso il sindaco aveva incontrato i rappresentanti sindacali dei lavoratori del Consorzio, ancora in stato di agitazione. «Stiamo valutando tutte le alternative possibili per tutelare i lavoratori e le loro famiglie», sostiene Fucci. «Alcuni di loro potrebbero restare in servizio fino a giugno per garantire agli studenti, che continueranno a frequentare il campus, i servizi necessari. Questo però non sarà possibile per tutti i ventuno dipendenti, così come non è praticabile la via dell'assorbimento da parte del Comune e della Pomezia Servizi». Sab. Mel. _________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 20 Sett. ‘13 IL RETTORE FRATI VA IN PENSIONE MA PRETENDE DI TENERSI LA POLTROA INDAGATO PER LESIONI COLPOSE E COLPITO DALL'ENNESIMO SCANDALO NON MOLLA di Chiara Paolin Lo scorso agosto Serenella Bendia, 55 anni, è morta. Era malata di cancro, ma la prima volta che ha pensato di non farcela davvero è stato quando le hanno somministrato un farmaco cui solo dieci giorni prima era risultata allergica. Succedeva nel reparto di oncologia dell'ospedale Umberto I, a Roma. La signora fu salvata per miracolo, il primario e la sua assistente vennero indagati per lesioni colpose. Il primario era Luigi Frati, rettore della Sapienza e ivi docente, direttore scientifico all'Irccs Neuromed di Pozzilli (istituto accreditato al sistema sanitario nazionale della regione Molise), nonché presidente dell'Accademia nazionale di medicina. Uno che, dissero all'epoca i testimoni, nel reparto di oncologia non si vedeva mai pur incassando regolarmente lo stipendio. Oggi la notizia è che Luigi Frati andrà in pensione il primo novembre, ma ha già chiesto al ministro dell'Istruzione di poter restare lì al suo posto, a fare il rettore anche da pensionato. L'ha scritto in una mail inviata a tutti i dipendenti: "Responsabilmente, ho firmato il decreto rettorale che ha disposto il mio pensionamento definitivo (da professore) con il prossimo 31 ottobre (rimanendo in carica come Rettore, a norma di legge, per un ulteriore anno)". A NORMA DI LEGGE mica tanto, dice il sindacato dei medici Csa Cisal che ha chiesto al ministro Maria Chiara Carrozza di evitare l'occupazione a vita della poltrona. Certo, per Frati, stare alla Sapienza è come stare a casa: ha tantissimi amici entusiasti della sua gestione e soprattutto l'intera famiglia arruolata in sede (moglie docente, figlia docente, figlio diventato primario in cardiochiurgia). Poco conta se la gestione dell'ateneo continua a collezionare tonfi clamorosi: come rivelato ieri da Repubblica, l'ultimo concorso a cardiochirugia ha promosso i soliti noti, fra cui un giovane che s'era adattato a far da autista al suo prof pur di ben figurare. Ebbene, nemmeno stavolta il Magnifico rettore dell'università più grande d'Europa ha fatto una piega. Neanche due righe dettate alle agenzie di stampa per dire che verranno accertate tutte le responsabilità. Perché vergognarsi? Le ultime uscite pubbliche di Frati sono state splendide, cioè l'annuncio dell'iscrizione gratis per le famiglie il cui secondo figlio frequenti la Sapienza, e poi un interessante incontro con il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sul femminicidio. Dunque, rapporti istituzionali ottimi con il governo in carica nonostante i fardelli giudiziari. L'accusa di lesioni colpose ai danni di Serenella Bendia, finita in coma per un medicinale sbagliato, pende sull'onore di Frati: la procura di Roma non ha mai chiesto l'archiviazione, l'Ordine dei medici ha sospeso il prof. E anche se Frati, quando parla con i colleghi, si dice sicuro di uscire indenne dalla vicenda, c'è chi è convinto che le accuse possano virare sull'omicidio colposo. "IO SO SOLO CHE ho presentato esposti a raffica e nessuno mi ha ancora chiamato" spiega Antonio Sili Scavalli, remautologo e sindacalista Fials appena licenziato dall'Umberto I "per aver screditato la struttura" denunciando ai giornali inefficienze e irregolarità. Ad esempio quella sul già ricercatore - a 28 anni - e poi primario - a 35 anni - Giacomo Frati, figlio di Luigi. Esposti a Procura e Corte dei Conti per sapere se esista o no incompatibilità tra il ruolo di rettore e quello di primario nella stessa struttura; e se sia stata davvero una buona idea, per i costi della sanità pubblica, creare un'unità tutta nuova a cardiochirurgia, quella affidata al giovane Frati, addestrato nella struttura periferica di Latina. Il fatto è che quando ti chiami Frati il coraggio non ti manca, nè perdi tempo frequentando prestigiose università all'estero: dalla giovinezza all'età pensionabile, il posto giusto per te è La Sapienza di Roma. Alla faccia del ministro Carrozza che settimana scorsa, inaugurando l'anno scolastico, incitava i giovani: "Siate ribelli e rivoluzionari!". _________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 20 Sett. ‘13 LA SPECIALIZZANDA "SE VUOI UN POSTO DEVI AIUTARE IL PROF PURE COL BUCATO" di Maria Gabriella Lanza Tutti sanno come funziona. Se vuoi entrare in una specializzazione devi darti da fare in ogni modo. Studiare non basta" dice una studentessa di Medicina dell'università La Sapienza di Roma. Per esempio cosa devi fare? Si inizia già al terzo anno. Prima di decidere che medico vuoi diventare, devi individuare un professore abbastanza importante e dedicargli i prossimi anni della tua vita, 24 ore su 24. I passaggi in macchina solo il minimo. C'è anche chi è costretto a ritirare in lavanderia la biancheria del professore di turno. Come ha fatto il ragazzo che accompagnava il professor Fedele con la sua macchina. Sì. Questo ragazzo ha tentato per due anni il concorso. Poi al terzo tentativo è entrato. Poverino, non so quanto abbia speso di benzina! Non conta quanto studi, conta per quanto tempo lavori gratis in reparto. Tutti i giorni, anche di domenica o durante le feste, anche la notte. Senza nessun rimborso spese. È un ricatto. Loro ti prometto: "Al prossimo concorso tocca a te" e tu speri. A cardiologia, pediatria e ginecologia si aspettano in media 3 anni. Se smetti di lavorare perchè intanto sei diventato un medico e vorresti anche vedere 10 euro a fine mese, hai perso il tuo posto in fila. È già tutto deciso prima del concorso? Teoricamente quando correggono il compito non sanno a quale candidato appartiene. Ma il punto è questo: hanno un modo per saperlo. Non credo che ci sia un pre-accordo tra commissione e candidato, penso piuttosto che dopo l'esame la commissione contatti l'aspirante specializzando che gli comunica l'argomento della sua prova. In questo modo gli assegnano il punteggio più alto. Queste sono cose che tutti sanno, ma nessuno ha le prove. Basta però vedere i risultati degli ammessi: i voti sono assegnati con il bilancino. Chi si è laureato in un'altra università e vuole fare la specializzazione a La Sapienza non ha speranze? Non entrerà mai. Puoi passare solo in due modi: o grazie a una raccomandazione o per anzianità. Quest'ultima è considerata un giusto criterio. Sappiamo che è la prassi, sappiamo che funziona così e ormai ci sta anche quasi bene. I test sono una farsa. Com'è la giornata di un aspirante specializzando? Inizi la mattina alle 8 e finisci la sera alle 20. Non hai orari perchè in reparto non ci dovresti essere. Sei solo un medico frequentatore esterno, quindi paghi di tasca tua un'assicurazione, 300 euro all'anno. Poi c'è da pagare l'Empam, ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici, altri 200 euro. Le entrate sono zero, a meno ché non sei disposto a farti in quattro e finisci a fare il turno di guardia medica la notte. Per entrare in una specializzazione non c'è altra via. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 set. ’13 ATENEI, LA BEFFA DELLE DUE ISCRIZIONI I risultati dei test arrivano tardi, studenti costretti a pagare più facoltà MILANO — La Statale e la Bicocca di Milano hanno deciso per il rimborso totale. L'Università di Bologna si tiene soltanto la marca da bollo e, per chi se ne va fuori dalla Regione, la tassa locale. Altri atenei stanno pensando di muoversi sulla stessa linea. Perché la graduatoria nazionale — quella per i test d'ammissione di Medicina, Veterinaria, Odontoiatria e Professioni sanitarie — non è soltanto una novità per gli studenti, ma anche per le stesse istituzioni accademiche. Alle prese con un problema non da poco: che fare quando l'aspirante matricola, mentre aspetta di sapere se è entrato o meno alla facoltà desiderata, si iscrive ad altri corsi per evitare di perdere l'anno? La risposta, per ora, la danno le tre Università del Nord: in caso di rinuncia e di passaggio ad altro ateneo la prima parte della retta — circa 600-700 euro — viene rimborsata. Tra agosto e settembre migliaia di studenti provano più test universitari. È un modo per aumentare le possibilità di accesso. Quest'anno però è arrivata l'incognita della graduatoria nazionale. Al momento dell'iscrizione i ragazzi hanno dovuto indicare l'ateneo di preferenza — dove poi hanno svolto il test — e quelli di «riserva». Il 30 settembre, verranno pubblicate le graduatorie finali. E nelle liste lo studente può risultare «assegnato» o «prenotato». Il primo rientra nei posti disponibili relativi alla prima preferenza utile e ha quattro giorni di tempo per immatricolarsi. Lo studente «prenotato», invece, non rientra nei posti a disposizione per la prima scelta, ma può immatricolarsi in una delle sedi alternative — sempre entro quattro giorni — oppure aspettare (e sperare) di essere «ripescato» nella lista della prima scelta. Un dilemma, in quest'ultimo caso. Che fare? Attendere, rischiando di restare esclusi definitivamente, o iscriversi comunque in una delle opzioni di riserva — pagando la prima rata della retta — per evitare di rimanere «incastrato» dagli esiti della graduatoria? Un problema che i tre atenei del Nord cercano di risolvere. La Statale di Milano «rimborsa integralmente la prima rata dell'iscrizione al corso a numero chiuso» agli studenti che — in attesa di sapere se hanno superato o meno i test d'ingresso alle facoltà di Medicina e chirurgia, Odontoiatria e Veterinaria, e a quale sede universitaria saranno destinati — effettuano «per cautelarsi» l'iscrizione a un altro corso. «Basterà una semplice autocertificazione», fa sapere l'ateneo di via Festa del Perdono. Stessa decisione presa anche dall'Università Bicocca, sempre a Milano. A Bologna, invece, le aspiranti matricole coinvolte negli esiti della graduatoria nazionale possono rinunciare agli studi e farsi restituire la somma anche dopo il 30 dicembre. «La segreteria procederà d'ufficio al rimborso — comunica l'ente — decurtando l'importo del bollo (16 euro) e della tassa regionale (140 euro)» se il ragazzo si iscrive fuori Regione. Leonard Berberi lberberi@corriere.it _________________________________________________ Repubblica 20 Sett. ‘13 AI TEST DI MEDICINA LA BEFFA DELLE TASSE PAGATE DUE VOLTE Statale e Bicocca: 'Da noi gli studenti saranno rimborsati" LUCA DE VITO L’ONDA lunga del pasticcio ministeriale sui test di Medicina, continua a far sentire i suoi effetti negativi. Stavolta sul banco degli imputati c'è il rischio "doppia rata" che ha scatenato proteste nelle famiglie di quegli studenti che, oltre alla prova di ingresso per il corso di Medicina, hanno effettuato anche i test per altri corsi a numero chiuso come ad esempio Biotecnologie, Scienze, piuttosto che Chimica o Farmacia. Si tratta di corsi per cui il termine ultimo per l'immatricolazione è in scadenza proprio in queste settimane di settembre, fino a martedì 24. In questi giorni una larga parte dei ragazzi dovranno decidere se immatricolarsi o no al corso scelto — in molti casi— come ripiego, senza sapere se potranno accedere a Medicina (visto che le graduatorie nazionali non usciranno prima del 30 settembre). A Milano, la Statale e la Bicocca hanno cercato di anticipare le proteste, annunciando di aver stabilito—in ogni caso— il rimborso del 100 per cento della prima rata già versata, anche se lo studente dovesse optare per un altro ateneo. «La questione sta comprensibilmente preoccupando molte famiglie in queste settimane—spiegano dall'ateneo di via Festa del Perdono — noi ci teniamo a chiarire che l'intero importo della prima rata verrà rimborsato previa autocertificazione dello stesso studente. A maggior ragione, nessun ulteriore esborso è previsto se il passaggio si dovrà compiere all'interno dello stesso Ateneo». Una scelta tutt'altro che scontata, visto che altre università si comportano diversamente. Ad esempio, a Pavia il rimborso previsto (di cui si potrà fare richiesta entro i115 ottobre) riguarderà solo la parte variabile della rata e chi si è già iscritto non rivedrà i 488 euro di parte fissa composta datasse di iscrizione, tasse regionali, imposte di bollo e rimborsi per servizi agli studenti. E un rimborso non totale è previsto anche dall'università di Bologna. Il caos è stato generato da due fattori. Il primo riguarda il rinvio della data del test nazionale per Medicina dal 23 luglio al 9 settembre, che ha di conseguenza fatto slittare anche la pubblicazione delle graduatorie, prevista per la fine del mese. Una decisione del ministero arrivata a giugno, quando la macchina organizzativa dei test era ormai in moto e le date delle altre prove per corsi a numero chiuso (decise dai singoli atenei) erano già state programmate. Il secondo fattore riguarda la graduatoria nazionale per Medicina: ovvero la possibilità di accedere al corso in un'altra università se il punteggio ottenuto alla prova — anche se svolta a Milano — è valido per entrare, ad esempio, a Pis a. E anche in questo caso, la novità rischia di essere una trappola, perché se ci si è già iscritti in un altro ateneo, farsi rimborsare quanto già versato diventa più complicato. Cosa che però non accadrà in Statale e in Bicocca. NUMERO CHIUSO L'elenco di chi ha passato il test per l'ammissione a Medicina non verrà pubblicato prima del 30 settembre _________________________________________________ Gazzetta del Mezzogiorno 20 Sett. ‘13 I PROF IN PENSIONE RIVOGLIONO IL POSTO Chiedono di essere «riassunti» per due anni 19 docenti settantenni. A rischio i precari LUCA BARILE L'assalto alla diligenza è ricominciato. Dieci professori neo- pensionati ed altri nove in procinto di ritirarsi l'anno prossimo, hanno fatto domanda all'Ateneo per ottenere una proroga in servizio di due anni, oltre il limite massimo dei settant'anni di età. Effetti di una sentenza della Corte Costituzionale del maggio scorso, che ha ripristinato il diritto di richiedere (ma non l'obbligo di concedere) il biennio opzionale per i docenti e ricercatori universitari, diritto precedentemente abolito dalla riforma Gelmini. La prima delle diciannove pratiche verrà esaminata martedì prossimo dal senato accademico dell'Università. La richiedente è Anna Teresa Tartaglia, in servizio ad Agraria fino al 31 ottobre dello scorso anno. Le altre istanze, provenienti da vari dipartimenti universitari, saranno esaminati in seguito, ma il tentativo dei pensionati e pensionandi di rientrare al lavoro ha già messo in allerta i sindacati. «Trovo che le aspirazioni di questi docenti siano davvero inopportune - dichiara Rocco Campobasso - rappresentante del personale tecnico e amministrativo dell'Ateneo per il Cisapuni e componente del senato accademico - in un momento di difficoltà come questo e mentre sono in gioco le assunzioni di giovani e precari». L'amministrazione universitaria ha a disposizione poche cartucce da sparare. Questo perché la legge equipara il biennio extra oltre la pensione ad una nuova assunzione, con relative spese e corrispondente utilizzo dei «punti organico». Questi ultimi rappresentano la «misura» del contingente annuale di assunzioni consentito ad ogni università dal competente ministero. L'Ateneo barese, al momento, ha utilizzato tutti i punti organico del 2012 ed è in attesa di conoscere la quota per il 2013. «Spero che nessuno si dimentichi degli stabilizzandi» aggiunge Campobasso alludendo ad una delibera di febbraio scorso, in cui il consiglio di amministrazione dell'Università fissò una scaletta per le prossime assunzioni. In attesa, in effetti, ci sono 16 ricercatori «fantasma» (vincitori di concorso ma ancora in attesa) e 22 dipendenti non docenti da stabilizzare, oltre ad altre situazioni. I professori settantenni, insomma, si contendono con i ricercatori e i precari una coperta troppo corta per tutti. «A meno che, nel frattempo, non ci arrivi dal Tar del Lazio una bella notizia - commenta Nuccio Prudente, direttore generale dell'Università. Abbiamo infatti fatto ricorso contro l'assegnazione dei punti organico 2010 e 2011 (una ventina, ndr), con i quali risolveremmo tutti i problemi». Il Tar della capitale discuterà il ricorso il mese prossimo. Intanto, in Ateneo prosegue l'assalto alla diligenza. _____________________________________________________ La Stampa 17 Sett. ‘13 E’IL PRECARIATO CHE UCCIDE LA RICERCA Il fisico del Cern Fabiola Gianotti: basta saltare una generazione per bloccare tutto GABRIELE B ECCAR1A La ricerca si fa per i passione, non per Alla fama o i soldi». Così dice Fabiola Gianotti, la scienziata italiana più famosa al mondo, a capo del team che l'anno scorso ha annunciato la scoperta del bosone di Higgs, la particella che, dando massa alle altre, fa esistere ciò che conosciamo, compresi noi stessi. A Torino per il «Premio StellaRe 2013», consegnato dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, è inevitabile ricordarle la polemica del giorno, lanciata dalla neo-senatrice a vita, Elena Cattaneo, stupita dalla differenza tra i suoi due stipendi: 3300 euro al mese per dirigere il maggiore laboratorio d'Italia di cellule staminali e 12 mila per lo scranno. Risposta: «E' un problema ancora più generale». Ci spieghi. «Anche gli insegnanti sono pagati poco, dalle elementari all'università. Gli stipendi non sono paragonabili a quelli della Svizzera, dove lavoro. Non sono adeguati al loro ruolo». Cosa si deve fare per guarire quella malata cronica che è la ricerca italiana? «Fare ricerca nel proprio Paese è quanto di più bello si possa immaginare. Però devono sussistere le condizioni: stipendi decorosi, appunto, e un sistema meritocratico. E si deve risolvere la piaga del momento, il precariato. Non si può pensare che un ricercatore rimanga fi no a 40 anni nell'incertezza. A quel punto la scelta dell'estero diventa obbligata. E' il precariato a uccidere la ricerca». E così continua la fuga dei cervelli. «Il flusso dei cervelli è positivo se è bilanciato: i nostri giovani vanno all'estero e altrettanti dovrebbero venire da noi. Il problema è quando il flusso ha una sola direzione e diventa "fuga". E la ricerca si impoverisce. Penso al patrimonio della fisica, che si basa sui "Ragazzi di Via Panisperna", Fermi, Rasetti, Pontecorvo, Segrè e Amaldi: è una tradizione che si è perpetuata anche grazie all'Infn, l'Istituto di fisica nucleare, e alle università. Ma, quando i giovani se ne vanno, basta saltare una generazione per bloccare tutto. Accade come con le botteghe del Rinascimento: il sapere deve tramandarsi di padre in figlio». Non crede che gli scienziati debbano farsi sentire di più? «Ci sono segnali forti che vengono dagli scienziati italiani. Dall'Infn, che si impegna a spiegare ai politici ciò che fa facciamo e l'impatto sulla società, e dall'estero, dato il prestigio dei nostri scienziati. Ma ci deve essere la volontà politica di investire nella ricerca». Come si convincono i politici? «In un momento di crisi la tentazione è tagliare gli aspetti che non hanno un'influenza immediato sulla vita quotidiana, ma è una reazione a corto raggio. Senza ricerca fondamentale non ci sono idee, senza idee non ci sono applicazioni e senza applicazioni non c'è progresso. Alla lunga si paga. Un Paese costretto a comprare conoscenza all'estero è senza futuro». Va però peggio per le donne: perché quello della fisica è un mondo ancora maschilista? «C'è un aspetto storico: 30-40 anni fa non erano molte le donne che studiavano le "scienze dure". Oggi al Cern sono il 20%, ma la percentuale cresce, anche se una donna fa ancora un po' più fatica dei maschi». Ha subito discriminazioni? «Non sento di averne subite. Lo dimostra il fatto che sono stata eletta da 3 mila fisici per coordinare il test "Atlas" al Cern di Ginevra». Lei è celebre. Copertina di «Time», citazione di «Forbes» e tanti premi: come ci si sente a essere la scienziata italiana numero uno? «Non sono sicura di essere la più famosa! L'Italia produce tanti scienziati di alto livello». Com'è cambiata la sua vita? «Quello che ha cambiato la mia vita prima di tutto scientifica - è il bosone di Higgs: trovare una particella così importante è il coronamento di anni di lavoro collettivo, di migliaia di scienziati, tra cui 600 italiani. Ma anche il resto della mia vita è cambiata: non mi sarei mai aspettata una risposta così positiva dai giovani per una scoperta da "addetti ai lavori"». Come se lo spiega? «Credo sia il fascino che il bosone esprime. E' una particella- chiave per capire la struttura e l'evoluzione dell'Universo. Molti, anche i teenager, mi scrivono e vengono alle mie conferenze». Lei che consiglio dà? «Inseguire i propri ideali, con determinazione ed entusiasmo». L'ha sorpresa la nomina di Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo a senatori a vita? «Napolitano ha fatto scelte eccellenti e forti». Ora sogna il Nobel? «Premiare la scoperta del bosone è difficile, perché si tratta di una collaborazione di migliaia di scienziati. E prima di loro ci sono stati i fisici che hanno sviluppato la teoria. Vedremo che ne pensano a Stoccolma!». _________________________________________________ Panorama 25 Sett. ‘13 LA TUA PASSWORD SEI TU di Guido Castellano Non saranno solo i polpastrelli a custodire la riservatezza dei dati, Voce, riconoscimento facciale e battito cardiaco diventeranno le chiavi biometriche di accesso alla nostra esistenza digitale. Secondo gli esperti, una password «strong», ossia difficile da carpire e violare, deve essere composta da una sequenza alfanumerica di almeno 63 caratteri maiuscoli e minuscoli. Esempio: HQbgbiZVu9AWcq oSZmChwgtMYTrM7HE30b GepMeOsJf4H-1MyNXMT1 BrySA4d7. Buona fortuna a chi prova a memorizzarla. Secondo la Apple, la password più sicura, unica e irripetibile è la nostra impronta digitale. Che, fra l'altro, ha un innegabile vantaggio: e impossibile da dimenticare. E il nuovo iPhone 5S, lanciato il 10 settembre scorso, ha una caratteristica che lo rende diverso da tutti gli altri: un lettore di impronte digitali capace di identificare il proprietario e di autorizzare gli acquisti sull'Apple store con un solo colpo di polpastrello. La mossa riconferma la Apple come innovatrice anche nel dopo Jobs e segna un cambio epocale: reinventa sia il concetto di smartphone sia quello della sicurezza online. La biometria diventa così la nuova barriera per ladri di informazioni, hacker e agenzie di intelligence. Una innovazione così non poteva che avere un nome Apple style. Il lettore di impronte, nascosto nell'unico pulsante incastonato nello schermo dell'iPhone 5S, è stato battezzato Touch Id. «L'identità è diventata touch» ha detto in videoconferenza planetaria il vicepresidente della Apple, Phil Schiller, spiegando le nuove potenzialità dell'iPhone 5S. E agli scettici che temevano che l'azienda volesse creare un enorme database di impronte digitali, Schiller ha risposto: «l dati biometrici di ciascun individuo saranno salvati crittografati solo su una parte ultrasicura dei microchip all'interno dell'iPhone 5S. Niente verrà trasmesso e salvato su iCloud (il servizio di archiviazione online della Apple, ndr)». Touch Id è una risposta hardware non solo ai pirati, ma anche alle intrusioni governative che tanto hanno preoccupato negli ultimi tempi. Secondo le rivelazioni alla stampa dalla gola profonda della Cia, Edward Snowden, la Nsa americana era in grado di intercettare tutte le comunicazioni e gli scambi di informazioni tra smartphone e computer. Voci che la Apple puntasse sulla biometria si erano diffuse già nel giugno del 2012, quando la casa di Cupertino aveva acquisito per 356 milioni di dollari la AuthenTec, società specializzata in questo settore con un ricco portafoglio di brevetti. Arrivare sul mercato con una innovazione quando il popolo dei tecnodipendenti è pronto ad adottarla e, come in questo caso, non ne può più fare a meno: è questo il segreto della società californiana. Secondo uno studio della Deloitte, la password, così come la conosciamo, non è più in grado di tenere al sicuro i nostri dati. Perfino la più complessa e articolata può essere violata in pochi minuti. Anche se è vero che in una tastiera le combinazioni potenziali di lettere, numeri e simboli sono circa 6 milioni di miliardi, secondo la Norton (società specializzata in sicurezza informatica) la maggior parte delle persone continua a usare la parola «password» oppure la sequenza 0123456» come parola d'ordine per accedere a social network, email e conti bancari. Su internet si trova, senza fatica, tutto quel che serve per carpire le parole d'accesso senza essere, necessariamente, dei geni informatici. Basta chiedere a Google «Come violare una password» per veder comparire migliaia di risposte. Dagli elenchi delle parole più usate ai software che trasformano tutti in pirati, come il cliccatissimo software John the Ripper, che riesce a verificare tutte le combinazioni possibili e scovare quella esatta in cinque ore e mezzo al massimo. Tra le righe della ricerca Deloitte, svolta per conto delle più grandi aziende al mondo, si scopre il dato più preoccupante: «L'anno della fine della password è il 2013». Secondo l'istituto di ricerca, «oltre il 90 per cento dei codici di accesso è diventato vulnerabile dagli hacker». Uno scenario che potrebbe causare la perdita di fiducia nelle transazioni su internet e nel sistema bancario online, creando danni miliardari e riportando l'economia indietro di 15 anni. La biometria sembra stia prendendo il sopravvento sulle password. Sui computer portatili per manager come quelli prodotti dalla cinese Lenovo, per esempio, è comparso un lettore simile a quello Apple. Permette di autenticare il proprietario e decrittare i documenti che, senza impronta, risultano illeggibili. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, anche la APRI LA PORTA COL DITO KEVO E UNA SERRATURA TOUCH CHE INVIA ALLO SMARTPHONE IN IMPULSO. L'IMPRONTA DEL PROPRIETARIO, LA PORTA SI APRE. Microsoft avrebbe puntato moltissimo biometria, La adotterà la prossima versione di Windows (la 8.1) in uscita fra un paio mesi. A breve le impronte digitali al delle password dovrebbero approdare anche sui dispositivi mobili di Redmond, come le tavolette Surface e gli smartphone Nokia di cui la società di Bill Gates diventata proprietaria con un'acquisizione miliardaria poche settimane fa. Anche sistema operativo Android si è mosso questo senso. La funzione di riconoscimento facciale permette di autenticare utente con l'obiettivo dello smartphone senza digitare password. Negli aeroporti di Londra e Berlino i frequent flyer già possono evitare le code al controllo porti semplicemente mostrando l'occhio a uno speciale scanner (previo consent al riconoscimento dell'iride). Tra le evoluzioni più interessanti delle password in chiave biometrica c'è il nuovo braccialetto Nymi, sviluppato da un gruppo di ingegneri dell'Università di Toronto. Il battito cardiaco, così l'impronta digitale, è unico per ciascuno di noi: il braccialetto lo rileva, conferma la nostra identità e sblocca il computer, il telefonino oppure, all'occorrenza, l'automobile. E se lo perdiamo? Nessun problema, funziona solo al nostro polso. Nymi sarà disponibile all'inizio del costerà circa 60 euro. In alternativa usare la voce: banche come la Barclays hanno deciso di aumentare il livello sicurezza nelle operazioni telefoniche memorizzando una sorta di impronta vocale dei clienti e utilizzandola per riconoscerli quando contattano il cali center. La logia FreeSpeech è stata sviluppata multinazionale Nuance e in pochi secondi conferma l'identità di chi sta chiamando analizzando più di 100 caratteristiche rendono inconfondibile la voce. Altra strada è quella scelta da start-up americane come Clef o LaunchKey. una app trasformano il nostro telefonino una specie di chiave digitale. Per entrare in un sito o effettuare un'operazione tablet o dal pc non bisogna più digitare alcuna password: per farsi riconoscere basta collegarli senza fili allo smartphone che diventa il garante della nostra identità. E se qualcuno ruba il cellulare, è sufficiente bloccare il servizio come con una carta di credito. A febbraio 2012 è nata la Fast Identity (»dine alliance (nota come Fido), fondata da molte aziende hi-tech tra cui Google, Lenovo, Blackberry e Paypal, per citarne alcune. Il motto dell'alleanza è anche il manifesto: «Forget passwords» ossia «Dimenticate le password». In altre parole: ne potrete fare a meno. Il consorzio sta studiando nuovi metodi di identificazione biometrici che diventino lo standard del futuro. In pratica chiavette Usb con riconoscimento dell'impronta digitale da inserire nel computer per accedere a siti e conti ordine in grado di funzionare anche «senza fili» per dialogare con tavolette e smartphone. _____________________________________________________________ Le Scienze 22 set. ’13 IGNOBEL 2013: CAMMINARE SULL'ACQUA SI PUÒ, MA SULLA LUNA La cerimonia per l'assegnazione dell'autoironico e ambito premio dedicato agli studi più singolari e stravaganti ha visto salire sul podio della sala delle cerimonie della Harvard University anche un gruppo di fisici italiani, grazie a uno studio in cui hanno dimostrato che è possibile camminare sulle acque di uno stagno: ma solo se lo stagno è sulla Luna (red) C'è anche un gruppo italiano fra i vincitori dei premi IgNobel 2013, assegnati alle ricerche più improbabili e bizzarre dell'anno, all'insegna del sorriso e dell'autoironia. Un premio tutt'altro che disprezzabile, a dispetto del suo nome, poiché è stato assegnato anche a ricercatori che in seguito hanno ottenuto il Nobel, come André Geim, insignito dell'IgNobel nel 2000 per un esperimento di levitazione magnetica di una rana, e del Nobel per la fisica nel 2010, insieme a Konstantin Novoselov, per la scoperta del grafene. Alberto Minetti, Yuri Ivanenko, Germana Cappellini, Nadia Dominici e Francesco Lacquaniti hanno ricevuto il premio per la fisica grazie a unaricerca in cui hanno dimostrato che sulla Luna molte persone sarebbero in grado di camminare sulle acque di uno stagno. Ecco gli altri premi IgNobel assegnati quest'anno: Per la medicina: al giapponese Masateru Uchiyama (e ai colleghi Xiangyuan Jin, Qi Zhang, Toshihito Hirai, Atsushi Amano, Hisashi Bashuda e Masanori Niimi), per lo studio degli effetti dell'ascolto di brani d'opera sulla capacità di ripresa di topi che avevano subito un trapianto di cuore. Per la psicologia: al francese Laurent Bègue (e a Brad Bushman, Oulmann Zerhouni, Baptiste Subra e Medhi Ourabah) per aver dimostrato sperimentalmente che le persone che pensano di essere ubriache ritengono anche di essere attraenti. Per la biologia e l'astronomia: a Marie Dacke (e Emily Baird, Marcus Byrne, Clarke Scholtz ed Eric Warrant) per una ricerca - che abbiamo riferito anche noi - nella quale hanno scopertoche di notte gli scarabei stercorari non si perdono nel deserto perché si orientano sfruttando la posizione della Via Lattea. Un'immagine della cerimonia di ieri ad HarvardPer l'ingegneria dei sistemi di sicurezza:allo scomparso Gustano Pizzo, statunitense, per l'invenzione, brevettata, di un sistema elettromeccanico per intrappolare i dirottatori di aerei, in grado di bloccarli, impacchettarli e paracadutarli a terra, attraverso un'apposita botola, pronti per essere arrestati dai poliziotti avvisati via radio dell'equipaggio. Per la chimica: al giapponese Shinsuke Imai (con Nobuaki Tsuge, Muneaki Tomotake, Yoshiaki Nagatome, Toshiyuki Nagata e Hidehiko Kumgai), per la scoperta della complessità dei processi biochimici che fanno piangere chi affetta una cipolla. Per l'archeologia: agli statunitensi Brian Crandall e Peter Stahl per lo studio in cui, dopo aver cotto un toporagno morto, lo hanno ingoiato intero per analizzare i propri escrementi nei giorni successivi e osservare gli effetti della digestione sulle ossa. Per la pace: al presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko per aver vietato di applaudire in pubblico, e alla polizia bielorussa, per aver arrestato un uomo con un braccio solo accusato di applaudire. Per lo studio delle probabilità: il premio è andato a Bert Tolkamp (e Marie Haskell, Fritha Langford, David Roberts e Colin Morgan) per la scoperta che quanto più a lungo una mucca è rimasta sdraiata su un prato, tanto maggiore è la probabilità che si alzi entro breve, ma anche che una volta che si è rimessa in piedi non è affatto facile predire quando tornerà a sdraiarsi. Infine, il premio per la sanità pubblica è andato a Kasian Bhanganada (e Tu Chayavatana, Chumporn Pongnumkul, Anunt Tonmukayakul, Piyasakol Sakolsatayadorn, Krit Komaratal e Henry Wild), per un articoloin cui hanno descritto una tecnica chirurgica adatta alla “gestione chirurgica di un'epidemia di amputazioni del pene in Siam". Nello studio i ricercatori avvertono che questa tecnica non è adatta ai casi in cui il pene amputato sia stato parzialmente mangiato da un'anatra. _____________________________________________________________ Le Scienze 11 set. ’13 IL PARADOSSO DELLA SFIDUCIA NEGLI OGM OGM: sono davvero sicuri? Si', il mondo ha bisogno degli OGM Gli alimenti derivati da organismi geneticamente modificati sono i più controllati in assoluto, ma nonostante le prove sulla loro sicurezza da parte delle autorità competenti, l'opinione pubblica è ancora molto diffidente, soprattutto in Europa, Africa e ora anche in Asia. Un articolo su “Nature Biotechnology” analizza la situazione paradossale in cui il cibo transgenico pone un rischio molto basso, assai più piccolo delle intossicazioni dovute alla contaminazione microbica, ma ancora è al centro di un dibattito sulla sicurezza (red) Quando gli OGM potranno essere considerati sicuri? È quello che si chiede sulle pagine di “Nature Biotechnology” Laura De Francesco,senior editor della rivista, in un lungo articolo di commento che analizza a fondo i dati disponibili su uno dei più evidenti paradossi delle politiche e della comunicazione della scienza degli ultimi anni. Se infatti da una parte il cibo geneticamente modificato è stato dichiarato senza rischi da numerosi organismi di controllo nazionali e internazionali, la sigla OGM per molti cittadini, soprattutto in Europa, in Africa e assai di recente anche nei paesi asiatici, è sinonimo di cibo da evitare, o perché rischioso per la salute o perché imposto al mercato dagli interessi delle multinazionali. Questo paradosso genera un circolo vizioso: quanto più gli OGM sono percepiti come non sicuri, tanto più si procede a nuove analisi, anche se i cibi derivati da coltivazioni transgeniche attualmente sono gli alimenti in assoluto più regolamentati. L'Europa ha mantenuto un atteggiamento assai prudente per il loro commercio, adottando il principio di precauzione con la direttiva 90/220/EEC del 1990. Nel Vecchio Continente, è il produttore che deve provare alle autorità che un nuovo alimento rispetta un certo grado di sicurezza, e dal 2002 l'Unione Europea si è dotata di un organismo consultivo, la European Food Safety Authority (EFSA), che si occupa specificamente di valutare il rischio dei cibi, inclusi quelli derivati da coltivazioni transgeniche. Negli Stati Uniti, le cose vanno diversamente, perché non è prevista l'approvazione formale di un nuovo alimento da parte della Food and Drug Administration (FDA) prima della messa in commercio. La responsabilità della sicurezza è lasciata al produttore. Tuttavia, la FDA successivamente esercita controlli attraverso il suo Center for Food Safety and Applied Nutrition, e non è rimasta con le mani in mano nel campo degli OGM. Tra 1995 e 2012, 129 coltivazioni transgeniche sono state sottoposte al giudizio dell'FDA: in nessuna di queste si è riusciti a trovare una benché minima differenza di rilevanza biologica tra le piante ingegnerizzate e quelle non ingegnerizzate. Le analisi effettuate riguardavano tutte le principali componenti delle piante: proteine, grassi, fibre, amminoacidi, acidi grassi calcio e fosfato. E nei casi in cui le coltivazioni hanno introdotto nuove proteine, la loro concentrazione era così bassa da essere considerata ininfluente in termini sanitari. Un'altra preoccupazione sollevata dai detrattori degli OGM riguarda l'eventuale manifestazione di nuove allergie, e anche in questo campo sono stati effettuati numerosi studi. Il criterio adottato è semplice e molto prudente: una nuova proteina è considerata allergenica se su 80 amminoacidi che la compongono c'è un'omologia (cioè una corrispondenza) superiore al 35 per cento con una proteina allergenica nota. Una volta che è stata individuata, la proteina deve essere testata in vitro. Si tratta però di un metodo non molto affidabile per le sue incertezze intrinseche e perché in generale gli allergeni contenuti negli alimenti, non solo transgenici, continuano ad aumentare, e non necessariamente hanno similitudini con quelli vecchi. Dato che quindi non c'è un criterio a priori per determinare l'allergenicità, l'unico modo di procedere è mettere insieme diversi elementi, dagli studi di omologia fino alle comuni segnalazioni che possono riguardare allo stesso modo gli alimenti che non derivano da OGM. )Il terzo e forse più problematico ambito è quello dei test di tossicità dei cibi OGM: finora infatti è una nozione largamente accettata dai tossicologi che per determinare la possibile pericolosità di un alimento sul lungo termine sono sufficienti test di 90 giorni su roditori. Su questo termine temporale sono stati sollevati numerosi dubbi, che hanno avviato un dibattito a volte anche aspro: che cosa è possibile dire con uno studio della durata di tre mesi riguardo ai danni neurologici che si sviluppano nell'arco di decenni, come il Parkinson? Si tratta certo di un'obiezione corretta; ma allora quando fermarsi, a sei mesi, a un anno, a cinque anni? La questione è ancora aperta. L'ostacolo maggiore per studi a lungo termine, ammesso che siano utili, è che sono molto costosi. Per un arco di tempo ampio forse il dato più significativo è che gli OGM sono nella catena alimentare dei cittadini statunitensi da più di un decennio. Ma anche in questo caso sono leciti molti dubbi: certo non si sono evidenziati problemi eclatanti, tuttavia nel caso in cui questi problemi si evidenzino, non sarebbe facile stabilire che sono dovuti agli OGM e non ad altre sostanze a cui è esposta la popolazione. In definitiva, il sistema di valutazione degli alimenti è imperfetto, nonostante conoscenze e tecnologie sempre nuove. Ma non è più imperfetto di altri ambiti che pure riguardano la salute pubblica. Eppure gli OGM continuano a spaventare. La chiave per capire perché tutto questo avviene arriva da Marion Nestle, professore di nutrizione, studi sugli alimenti e salute pubblica alla New York University, citato da De Francesco in chiusura dell'articolo. Secondo Nestle, ci sono due modi di guardare al problema della dicotomia tra rischio reale e rischio percepito. Se si guarda al rischio di malattia, ospedalizzazione e morte, la realtà è che il cibo transgenico pone un rischio molto basso, largamente inferiore a quello delle intossicazioni alimentari dovute a contaminazione microbica. La percezione della sicurezza alimentare dipende da come viene comunicato il rischio e da quanto il cibo è familiare o estraneo, naturale o "tecnologico". “Il problema sanitario principale che riguarda il cibo è di carattere batterico o virale, ma dato che l'idea dell'intossicazione è familiare e non deve essere compresa dal punto di vista tecnico, e non è imposta in modo volontario da qualcuno, le persone non si sentono minacciate”, sottolinea Nestle. “Al contrario, non accettano la biotecnologia alimentare perché è poco familiare, tecnologica e imposta, anche se non ci sono prove che possa essere pericolosa”. La battaglia si sposta dunque sul piano della comunicazione, ammesso che i mezzi di comunicazione siano in grado di fornirne una corretta informazione sull'argomento. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 set. ’13 GLI ANNI IN CUI LA TERRA NON SI E’ RISCALDATA. DAL NOSTRO INVIATO ?NEW YORK L'annuncio che il mondo sta per morire di caldo stato probabilmente esagerato. infatti in corso un serio ridimensionamento degli allarmismi lanciati negli anni passati sui cambiamenti climatici che potrebbe portare a una revisione delle politiche globali sulle emissioni di gas a effetto serra. Non una negazione del problema: un approccio meno ideologico, fondato su dati meno catastrofici e sul fatto che in questo secolo la temperatura media globale non aumentata. Dal 23 al 26 settembre, si riuniranno a Stoccolma scienziati e rappresentanti dei governi per mettere a punto i dettagli del molto atteso documento sul climate change elaborato dall'Ipcc, il Panel dell'Onu che si occupa del tema. Il 27 ne verr pubblicata una prima parte. Sar come al solito controverso ma, dalle indiscrezioni trapelate, l'allarme sollevato dal documento dell'Ipcc precedente del 2007, che cre polemiche perch tra l'altro sovrastim lo scioglimento dei ghiacci dell'Himalaya verr significativamente attenuato.?Lo studio elaborato da circa 800 scienziati di diversi campi e provenienze dice che praticamente certo, al 95%, il fatto che l'aumento delle temperature sul pianeta registrato negli ultimi 50 anni 0,89 gradi centigradi sia dovuto all'attivit umana. Anche le recenti ondate di calore sono attribuite, con pochi dubbi, all'effetto serra, cos come lo scioglimento dei ghiacci artici che il documento prevede in accelerazione (ma che almeno per quest'anno pare abbia invertito la tendenza). Maggiore scetticismo, per , gli scienziati del Panel nutrono sul legame tra gas serra e siccit e numero degli uragani. La cosa pi interessante del documento - quasi duemila pagine riassunte in un estratto di una trentina - sono le previsioni sull'aumento della temperatura futura: secondo le indiscrezioni, il ridimensionamento contenuto nel documento , rispetto al 2007, non enorme ma sufficiente a cambiare sostanzialmente le conseguenze a cui si arriva. ?Sei anni fa, l'Ipcc sosteneva che l'aumento di lungo periodo (qualche secolo) di oltre due gradi della temperatura sarebbe stato probabile e che un aumento sopra 1,5 gradi molto probabile . La bozza del documento che si discuter a Stoccolma sostiene invece che estremamente probabile un aumento di oltre un grado e probabile una crescita sopra gli 1,5 gradi centigradi rispetto alle temperature precedenti la rivoluzione industriale. Se invece che al lungo periodo si guardano i prossimi 70 anni, il documento in discussione parla di un aumento probabile tra uno e 2,5 gradi ed estremamente improbabile sopra i tre gradi: nel 2007 si dava per molto probabile una crescita tra uno e tre gradi. Il ridimensionamento dell'aumento atteso evidente e solo apparentemente non enorme.?Stando alla media delle aspettative attuali, la temperatura globale dovrebbe aumentare meno di due gradi entro i prossimi anni Ottanta: ma i due gradi sono proprio la soglia limite, stabilita dall'Onu, oltre la quale si finora sostenuto che il mondo non deve andare per evitare catastrofi. Sotto i due gradi, ci sono previsioni diverse: per alcuni negative comunque anche se non da fine del mondo, per altri positive, nel senso che nel complesso i vantaggi in alcune aree per esempio in termini di maggiori rese agricole e maggiore forestazione sarebbero maggiori degli svantaggi in altre. ?Come si visto in questi anni, sulle previsioni non ci sono certezze d'acciaio. In pi , occorre dire che i cambiamenti climatici si possono s misurare in termini globali, ma si articolano poi diversamente nelle diverse aree del mondo. E qui ancora pi difficile vedere il futuro. per chiaro che l'approccio globale all'effetto serra sta cambiando rispetto ai tempi degli allarmi che procurarono il Premio Nobel (condiviso) ad Al Gore e all'Ipcc. che le certezze catastrofiste vacillano. Il Met Office britannico ha sottolineato che la temperatura media globale del pianeta non aumenta dal 1997. Lo stesso Rajendra Pachauri il famoso presidente dell'Ipcc che ritir il Nobel insieme a Gore ha ammesso che sulla superficie della terra la temperatura media non cresce da 17 anni e probabilmente non crescer per altri quattro, anche se ha aggiunto che per dichiarare che si tratta di una svolta occorrono 30 o 40 anni di non aumento. presto per dire che si arrivati a un tetto stabile: alcuni scienziati sostengono che il vero riscaldamento avviene negli oceani; altri, invece, dicono che si esagerato prima, con approcci che hanno portato a sovrastimare il problema. ?Sta insomma affermandosi un approccio meno ideologico, pi fondato su metodologie di ricerca differenziate. Avere un quadro meno orientato dall'allarmismo a priori non pu che essere positivo. Potrebbe spingere a politiche sul clima meno polarizzate e pi realiste di quelle recenti, a correggere ad esempio la demagogia delle sovvenzioni a pioggia cadute sulle energie alternative in Europa. E a convincere il pianeta che, in fondo, non siamo ancora morti, qualcosa si pu fare.??Danilo Taino _________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Sett. ‘13 POSIDONIA SUI CAMPI E SUI TETTI Alghero. I diecimila metri cubi depositati sull'arenile potrebbero fertilizzare tutta la Nurra Il Cnr della Puglia: «Così abbiamo risolto il problema delle alghe» ALGHERO. I diecimila metri cubi di posidonia spiaggiata depositati sull'arenile algherese potrebbero rendere fertile tutta la Nurra o, in alternativa, essere impiegati per costruire case ad alta efficienza energetica. Ieri sono arrivati degli esperti dalla Puglia per ribadire il concetto, già noto per la verità agli agricoltori della zona, nell'ambito di un convegno sulla gestione sostenibile della posidonia organizzato dall'assessorato all'Ecologia del Comune di Alghero nei locali del Quartè Sayal. Angelo Parente, ricercatore Cnr Ispa e responsabile scientifico del progetto Life+ Prime, finanziato dall'Unione Europea, ha portato i risultati di un esperimento durato due anni, destinato a progettare e realizzare il miglior riuso possibile degli enormi ammassi di alghe che, anche nella Regione Puglia, creano non pochi problemi sotto il profilo dell'accoglienza turistica. «Il progetto ha interessato cinque diversi siti - racconta Parente - dopo aver setacciato la posidonia spiaggiata, liberandola accuratamente dalla sabbia, l'abbiamo lasciata in un sito di stoccaggio perché la pioggia la lavasse dal sale, in maniera naturale. Dopodiché abbiamo usato questa materia prima in agricoltura per pomodori, fagiolini, basilico con risultati assolutamente straordinari. Ma non solo. La posidonia potrebbe essere utilizzata anche per il verde pubblico». Da una stima fatta dai tecnici dell'assessorato all'Ambiente del Comune di Alghero, la quantità di posidonia depositata nell'arenile della Riviera è di circa diecimila metri cubi per un peso di circa seimila tonnellate. Per rimuovere parzialmente le montagne di alghe dalle spiagge, lasciandone però la quantità necessaria a contrastare l'erosione dei litorali, occorrerebbe spendere non meno di un milione di euro, denaro che non è presente nelle casse pubbliche. L'utilizzo in agricoltura, però, non è l'unica soluzione al vaglio del Comune. L'amministrazione ha attivato dei contatti con Edilana industria di Guspini leader in Europa nel campo della bioedilizia e dell'efficienza energetica. Il progetto è alle fasi iniziali, occorrono infatti tutta una serie di adempimenti burocratici per accedere alle autorizzazioni regionali e fare in modo che la cosiddetta paglia marina possa trovare applicazione nella costruzione di case verdi. C. Fi. _____________________________________________________________ Repubblica 16 set. ’13 IL MISTERO DELL'ACQUA SVELATO: HA DUE VOLTI I ricercatori: "Ecco perché è così unica" Uno studio italiano su Nature Communication: il liquido, pur composto dagli stessi atomi, ha una diversa organizzazione molecolare, a bassa e alta densità. Un'ipotesi che potrebbe spiegare le anomalie delle sue caratteristiche fisiche rispetto agli altri liquidi. Lo leggo dopo La struttura molecolare dell'acqua DUE ATOMI di idrogeno legati a uno di ossigeno. Te la insegnano alla prima lezione di chimica e se non sai quale è la formula dell'acqua, la bocciatura all'esame è assicurata. Ma le cose non sono poi così semplici come sembra. E sì, perché se le molecole che la compongono restano le stesse, in un bicchiere d'acqua in realtà ci sono contemporaneamente due liquidi. Lo dimostra un nuovo studio, pubblicato su Nature Communication, di un team di ricercatori italiani. E non si parla certo di acqua naturale o leggermente frizzante: in ogni momento, alcune molecole dell'acqua si comportano quasi come fossero ghiaccio e altre in maniera molto più 'liquida'. Questo doppio volto dell'acqua è quello che rende così difficile agli scienziati - caso unico in natura - il descrivere matematicamente la sua struttura. Insomma, nello stesso recipiente d'acqua, una parte è sempre più densa dell'altra, con le molecole che si mescolano in continuazione, tanto da rendere il composto un'anomalia rispetto a tutti gli altri liquidi presenti e un'impresa ai limiti dell'impossibile descriverla E' questo il risultato del gruppo di ricercatori dell'Università di Firenze e dell'Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che nello studio hanno trovato una conferma all'ipotesi fisica dell'esistenza di due distinte forme di organizzazione molecolare nell'acqua grazie a una particolare tecnica di spettroscopia ultraveloce basata su sorgenti laser. In pratica gli scienziati sono riusciti a misurare i movimenti delle molecole dell'acqua fino a temperature di 28 gradi sotto zero, portandola in una fase metastabile detta "supercooled" senza che avvenga il congelamento. In alcuni casi, i legami tra le molecole del liquido sono forti e si avvicinano a quelli del ghiaccio, quindi con densità minore, mentre in altre zone sono poco ordinate e la densità aumenta. "La misura delle vibrazioni intermolecolari ha rilevato la presenza di due principali organizzazioni molecolari: una caratterizzata da un elevato ordine tetraedrico dei legami a idrogeno, molto simile a quelle presente nel ghiaccio, mentre l'altra presenta forti distorsioni del reticolo locale e dunque strutture meno ordinate e più compatte. Questi due tipi di organizzazione locale delle molecole d'acqua possono essere interpretati come evidenze dell'esistenza di acqua di bassa e alta densità", spiega uno degli scienziati, Renato Torre. E' questo il motivo per cui lo studio dell'acqua è molto complesso: "Il liquido è formato da molecole relativamente semplici, ma interconnesse da legami forti ad idrogeno. Queste peculiarità sono alla base di alcuni comportamenti specifici dell'acqua e spiegano la difficoltà ad approdare a un modello fisico definitivo", conclude Torre. Alla ricerca fiorentina, oltre a Torre, hanno contribuito anche Andrea Taschin, Paolo Bartolini, Roberto Righini e Robeto Eramo. E' da quindici anni che l'ipotesi della doppia struttura dell'acqua è tra le più accreditate, dopo che alcuni scienziati avevano scoperto che, a temperature bassissime, quando l'acqua vetrifica, si formano due distinti tipi di vetro, uno a bassa e uno ad alta densità. (c. z.) _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 set. ’13 L'AUTOSCATTO DEL PRESENTE di GIANLUIGI COLIN Fenomenologia e ubiquità del «selfie» Vincono (forse) vanità e banalità che però colgono lo spirito del tempo E nnio Flaiano aveva avuto una visione profetica: «Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità». Flaiano lo scriveva nel 1973 e i telefonini non avevano ancora invaso la nostra vita. L'Oxford English Dictionary non aveva ancora inserito nel suo vocabolario (come avvenuto ufficialmente mercoledì 28 agosto) una parola che oggi sta diventando il simbolo di un nuovo modello di rappresentazione, o meglio, ricordando le parole di Flaiano, di pubblicità di se stessi: selfie. Selfie vuol dire letteralmente «autoscatto». Ma selfie non indica un'astrazione. È una parola che ha la sostanza della carne, di un occhio, di una bocca sensuale o stretta, di un volto giocoso, triste, allampanato, distorto, alterato. Ma anche di una banale coscia di pollo fotografata al ristorante, o del proprio piede in riva al mare. Selfie è una mania. Un modello sociale, un sistema comportamentale, una dimensione antropologica. Non a caso ha ora tutti i riconoscimenti mediatici, lessicali e anche accademici. Ma soprattutto è un linguaggio del nostro tempo. Selfie è infatti l'autoscatto realizzato col telefonino, allungando la mano e riprendendosi da soli. Sembra il Pleistocene, quando per farsi da soli una foto bisognava mettere la macchina fotografica, con tanto di pellicola, sul cavalletto, appoggiarla su un muro, impostare il timer e correre a mettersi in posizione. Le immagini che poi si sviluppavano erano surreali: se andava bene, smorfie di attesa e di sofferta inquietudine. La maggior parte delle volte, si arrivava tardi e allora la foto poteva sembrare un'opera di Thomas Ruff: mossa e sfocata. Per capire meglio di che cosa stiamo parlando è sufficiente fare un giro su qualsiasi social network, da Facebook a Instagram a Pinterest, oppure, senza perdere tanto tempo, basta guardare il profilo e l'album delle foto su Facebook degli amici o dei figli. Si sarà sommersi, travolti, assediati da immagini in cui il tema centrale è soltanto l'autorappresentazione. Messi in fila, sono miliardi di autoscatti, in cui il soggetto è quasi sempre lo stesso: una teoria di volti ripresi nel dettaglio. Volti deformati dal grandangolo, volti stralunati, con smorfie, sorridenti o corrucciati, volti solitari o in compagnia. E, ovviamente meglio, con un personaggio famoso. Selfie diventa la certificazione dell'esistenza mediatica, simulacro di un mondo di realtà simboliche. Che, in tempo reale, vanno messe in Rete. Diventando così patrimonio collettivo, stratificazione di memoria, icone del contemporaneo. La prima straordinaria certificazione (ma dovremmo dire benedizione) è avvenuta con Papa Francesco. Lo scorso 30 agosto si è fatto fotografare in compagnia di un gruppo di ragazzi di Piacenza: il suo volto è ripreso da pochi centimetri. Il viso del Pontefice è tagliato per metà, come quello degli altri ragazzi. Si sa, come ricorda l'amato McLuhan, il mezzo fa il messaggio. E qui, il mezzo è uno smartphone, con la sua incerta qualità di definizione dell'immagine, una precarietà di visione che restituisce un senso di verità, di testimonianza, ma che poi altro non è che vera finzione. Il linguaggio imposto dal cellulare è un racconto mediato, in qualche modo completamente artefatto, anche se racconta la «verità» di un incontro realmente avvenuto. E in questo, sta il grande potere della fotografia: l'ambiguità. Un'ambiguità che la fotografia porta sempre con sé ed è implicita nella sua stessa natura. Lo sa bene il mondo dello sport e dello spettacolo. Si scattano foto insieme con calciatori e attrici e cantanti (una sostituzione dell'autografo). Ma in particolare, le stesse protagoniste dello star system mandano in Rete le proprie, di visioni. Gli esperti di semiologia della comunicazione (ma anche i cultori del «lato B») ricorderanno l'autoscatto di Scarlett Johansson che richiamava le fotografie sofisticate e velate di Sarah Moon. Ma ora, più curiosamente, il meccanismo della certificazione di un'«esistenza relazionale» si allarga al mondo della cultura, dove a Mantova o Pordenone, nei festival letterari, gli scrittori sono star con cui immortalarsi. E tocca anche la politica. Ha fatto il giro del mondo la foto di Angela Merkel nella classica posa dell'autoscatto con un telefonino di una soddisfatta ragazza tedesca che aveva raggiunto la sua preda. Provocatoriamente si potrebbe dire che tutti questi ragazzi — nell'autocelebrarsi in modo ossessivo, nei dettagli marginali del proprio corpo o nel cibo che mangiano, o negli oggetti che toccano — stanno inconsapevolmente rendendo omaggio al pensiero di Schopenhauer e al suo Mondo come volontà e rappresentazione. Soggetto e oggetto non possono prevalere l'uno sull'altro: la conoscenza è data dall'unione dei due, che compongono la «rappresentazione», cioè sensibilità e intelletto. C'è da chiedersi se davvero ci sia tanta sensibilità e consapevolezza nella testa dei seguaci di questa nuova estetica collettiva. Indubbiamente il selfie assolve a una funzione, nel bene e nel male: racconta la storia del nostro presente. Un presente «liquido», per dirla alla Baumann, soprattutto narcisistico, superficiale e non ideologico, certamente instabile, contorto e deformato come le immagini che appaiono sugli schermi dei cellulari e poi inesorabilmente viaggiano in Rete. È un sentimento diffuso. Non a caso, fioriscono corsi di fotografia, workshop dove il tema del ritratto (e autoritratto) sono al centro di una riflessione tecnica ed estetica. Ma anche psicologica. Ad esempio, Monica Silva è una fotografa che da anni tiene uno di questi corsi, analizzando la fotografia come strumento di introspezione, quasi forma terapeutica per conoscersi. E c'è chi su questo ha costruito un vero centro di terapia: Rebecca Russo, laureata in psicologia clinica e specializzata in psicoterapia con indirizzo sistemico relazionale, ha inventato il «Metodo Videoinsight» introducendo l'opera d'arte contemporanea, in particolare i video d'artista, nei processi psicoterapeutici. Certo, varrebbe la pena ricordare come la storia dell'arte, con la pittura e la fotografia, da sempre abbia celebrato se stessa attraverso l'autorappresentazione. Chi non ricorda l'autoritratto in primo piano di Leonardo? O Velázquez che ritrae se stesso mentre dipinge i reali di Spagna nel celebre Las Meninas? O l'inqueto e bellissimo Van Gogh? E lo stralunato Warhol? Proprio lui, per primo, ha intercettato quel perverso sentimento collettivo che anima i frequentatori di Facebook, il «quarto d'ora di celebrità». Durante l'edizione del 1972 della Biennale di Venezia, Franco Vaccari aveva installato una macchina per fototessere. Il titolo dell'operazione artistica era: «Esposizione in tempo reale: lascia su questa parete una traccia fotografica del tuo passaggio». Un'azione che ha cambiato la percezione del rapporto tra fotografia, soggetto e opera d'arte. Vaccari è un artista particolare, un filosofo della fotografia. Nel 1979 scrive Fotografia e inconscio tecnologico in cui riflette sul rapporto tra rappresentazione e strumenti usati. Ricorda gli anni Sessanta: «Si era fatta l'idea che, in fondo, si vede solo quello che si sa. Ma quello che si sapeva era diventato sospetto. Con il concetto di inconscio tecnologico applicato al mezzo fotografico avevo visto la possibilità di scardinare i miei condizionamenti visivi e arrivare così a vedere quello che non sapevo». Ma che cos'è che oggi non sappiamo? Forse non riusciamo più a vedere. Siamo diventati ciechi. Guardiamo ma non vediamo più. Non esiste la percezione, la comprensione di quello che abbiamo intorno. In un libro fondamentale per chi ama la fotografia, La camera chiara, Roland Barthes parla del punctum, quel dettaglio, quella parte magari marginale in un'immagine che colpisce la sensibilità e apre la porta all'emozione, al ricordo, alla comprensione. Quest'attenzione, apparentemente spontanea e irrazionale, dovrebbe essere sempre attiva in ogni momento. Ma non è così. O forse è semplicemente mutata nel tempo. Ne è conferma proprio la sequenza di immagini visibili su Facebook. La tecnologia rapida, alla portata di tutti, senza sedimentazione di pensiero, ha portato all'idea che il racconto della nostra vita debba essere consumato e dimenticato all'istante. D'altronde, anche l'arte sta inseguendo questa corrente che spezza la regola dell'estetica rassicurante: alcuni fotografi di moda e certi artisti stanno intercettando da tempo queste tendenze e le fanno proprie. E pensando alle foto storiche di Nan Goldin, di Jürgen Teller o di Terry Richardson c'è da chiedersi se non sia stata proprio l'arte a spingere questa deriva estetica. Nel frattempo cresce un grande archivio della memoria digitale che troppo spesso non produce immagini di valore. Un universo iconografico dove anche le memorie personali, un tempo affidate a preziosi album conservati in libreria, ora sono completamente disperse in un immateriale universo di immagini, non visibili e di fatto introvabili. In un passaggio di Sul guardare, John Berger scrive: «Se desideriamo rimettere una foto nel contesto dell'esperienza, dell'esperienza sociale, dobbiamo rispettare le leggi della memoria. Dobbiamo collocare la foto stampata in modo che acquisti qualcosa della sorprendente compiutezza di ciò che era ed è». E allora, la domanda è: ma vale davvero conservare la memoria di una coscia di pollo, di un piede o di un sorriso ebete? Forse sì, anche questo è il racconto del presente. ========================================================= _________________________________________________ Il Mattino 18 Sett. ‘13 MEDICI, SCOPPIA IL CASO DEL CODICE DEONTOLOGICO Fecondazione senza limiti, sì al testamento biologico e obbligo di motivare le terapie alternative Gerardo Ausiello Il nuovo codice deontologico dei medici smantella di fatto l'impianto della legge 40 sulla fecondazione assistita, scarica sui camici bianchi le responsabilità in caso di cure alternative e li sprona a rispettare il testamento biologico. Ce n'è abbastanza, secondo i medici che siedono in Parlamento, per scatenare una rivolta. Sulla base di un teorema: il medico non è un impiegato, un passacarte o un robot, ma ha una libertà e una coscienza. La posta in gioco, avvertono i ribelli, è alta. Perché si rischia di trasformare il rapporto tra dottore e paziente «in una prestazione di tipo contrattualistico». Così i deputati in disaccordo hanno prodotto un proprio manifesto, una sorta di «controcodice», che è stato firmato da Scelta civica, Udc, Pdl, Movimento italiani all'estero ed è in attesa del via libera di Pd e Movimento cinque stelle. In prima linea c'è il deputato napoletano Raffaele Calabrò. PROCREAZIONE ASSISTITA Il codice del 2006, ancora in vigore, vieta con chiarezza ai medici di attuare «forme di maternità surrogata, forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili, pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce, forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner». Nella contestata bozza tali paletti spariscono anche se c'è il richiamo «alle modalità previste dall'ordinamento vigente». Stop a terapie alternative Il medico è tenuto a seguire le linee guida diagnostico-terapeutiche prodotte e accreditate da «fonti autorevoli e indipendenti». Se non lo fa deve motivare le sue scelte. Ecco un altro punto contestato dai deputati, secondo i quali con questa norma si presta il fianco a possibili sanzioni nei confronti dei camici bianchi che propongano cure alternative. TESTAMENTO BIOLOGICO Se esiste una dichiarazione anticipata di trattamento - «espressa in forma scritta, sottoscritta e datata da persona capace» - il medico deve «tenerne conto». A prescindere, quindi, dalle sue valutazioni, dall'autonomia e dall'indipendenza che invece nel codice del 2006 vengono rimarcate in modo incisivo. Non viene sciolto, tuttavia, il nodo dell'alimentazione e dell'idratazione artificiali: sono terapie o rappresentano un sostegno vitale? La questione è ancora tutta aperta. DIATRIBE LINGUISTICHE All'articolo 17 scompare dal titolo la parola «eutanasia», sostituita dalla perifrasi «trattamenti finalizzati a provocare la morte», ma la sostanza resta la stessa: il medico non può determinare la morte del paziente. Gli onorevoli, però, non hanno dubbi: «Si tratta di un'operazione di maquillage linguistico per eliminare una dicitura scomoda». All'articolo 22, relativo all'aborto, l'espressione «obiezione di coscienza» viene sostituita con la perifrasi «convincimenti etici e tecnico-scientifici». Anche in questo caso la sostanza non cambia ma per i medici parlamentari è un primo passo verso la limitazione della libertà dei dottori. LA BATTAGLIA IN AULA Calabrò è categorico: «La bozza si presenta come una lunga lista di mansioni cui il medico deve adempiere, quasi che si trattasse di un dipendente di una grande azienda. Il vecchio spirito ippocratico appare sbiadito, secondario rispetto alle esigenze di "burocratizzare". Se queste sono le modifiche che s'intendono apportare, allora meglio tenersi il vecchio testo. Il codice di deontologia medica deve contenere valori e princìpi universali, riconoscibili da tutti coloro che esercitano questa professione; non può esserci spazio per ideologismi né può rappresentare il pensiero di una parte della federazione, sia pure maggioranza ai vertici». Un ragionamento condiviso da Paola Binetti (Scelta civica): «Non possiamo accettare che prevalga una logica di medicina contrattualistica. Scienza e coscienza restano le parole d'ordine della nostra professione». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 set. ’13 Albi & mercato. La segnalazione di Groupon INCHIESTA ANTITRUST SULLA PUBBLICITÀ DI MEDICI E DENTISTI IL PROBLEMA Finiscono sotto esame le disposizioni del codice deontologico della FnomCeO sull'utilizzo degli spot Roberto Turno Da una parte i medici (in gran parte odontoiatri), le società di professionisti della salute o colossi come Groupon. Il low cost sanitario, insomma, che fa pubblicità, pratica prezzi stracciati e qualità da verificare. Dall'altra gli Ordini dei medici, arroccati contro la pubblicità, in difesa a denti stretti di regole superate perfino dalle famose lenzuolate di Bersani del 2006 che hanno fatto piazza pulita della lotta agli spot e ai loro derivati in nome della concorrenza. E tra i due contendenti, spunta adesso l'Antitrust guidata da Giovanni Pitruzzella. Che, in seguito a una messe di segnalazioni da ha preso la palla al balzo: l'avvio di un'istruttoria nei confronti della Federazione degli Ordini dei medici e dei dentisti (FnomCeO) per accertare se le norme del suo Codice deontologico e le relative linee guida, abbiano «ingiustificatamente limitato il ricorso alla pubblicità» da parte dei dottori d'Italia nell'esercizio dell'attività privata. Violando legge italiana e regole comunitarie. E facendo carta straccia della concorrenza. La decisione del Garante della concorrenza è stata resa pubblica ieri e l'istruttoria si chiuderà tra un anno, a fine settembre 2014. In quella che si annuncia un'indagine caldissima, tanti e tali sono gli interessi in gioco (la spesa sanitaria privata totale vale 30 miliardi, non certo tutta riconducibile ai medici e ai dentisti), ma anche l'aspetto etico, il rapporto con gli assistiti (le tariffe, la trasparenza). Senza dire che la Fnom entro dicembre ha in preparazione il nuovo Codice deontologico, nel quale chissà se sarà toccato anche il tasto della pubblicità. Ma tant'è. L'Antitrust ha intenzione di andare avanti spedita. Perché le norme del Codice deontologico e delle linee guida Fnom, il cui mancato rispetto sottopone i professionisti al rischio di procedimenti disciplinari, potrebbero limitare il ricorso alla pubblicità almeno in quattro punti. Anzitutto l'assoluto divieto di pubblicità promozionale, utilizzato, secondo alcune denunce, per contestare l'utilizzo di specifici mezzi di diffusione o messaggi incentrati sulla particolare convenienza economica delle prestazioni. E poi: il divieto di pubblicità comparativa, le limitazioni ai messaggi sulle tariffe, la verifica preventiva degli Ordini sulla conformità alle norme deontologiche dei messaggi pubblicitari. Tutti ostacoli che potrebbero frenare la concorrenza. La segnalazione di Groupon lamenta che diversi Ordini locali avrebbero esercitato pressioni sui medici che pubblicizzano la propria attività avvalendosi dei servizi della stessa Groupon. Ottenendo, manco a dirlo, la disdetta dei contratti. Ma la Fnom in serata ha contrattaccato: «Tuteliamo la pubblicità sana – ha detto il presidente e senatore (Pd) Amedeo Bianco – e tuteleremo e difenderemo le nostre ragioni». Quei prezzi stracciati e le prime visite gratis (ma solo quelle) sono una parte della difesa dell'Ordine dei medici. Si vedrà. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 set. ’13 AOUCA: «È COME NASCERE IN HOTEL» POLICLINICO. L'assessore De Francisci: il 18 ottobre si trasloca dal “Civile” Tecnologie e design nel nuovo reparto Ostetricia Tutto è studiato nel dettaglio, le apparecchiature sono all'avanguardia, le camere rifinitissime. «C'è una grande attenzione verso la donna», osserva compiaciuta l'assessore alla Sanità, Simona De Francisci, durante il sopralluogo nel blocco Q del Policlinico di Monserrato. Mancano ancora gli ultimi ritocchi, ma il grosso è fatto. «Siamo contenti di aver rispettato i tempi, non era certo facile», commenta orgoglioso Ennio Filigheddu, direttore generale dell'Azienda ospedaliero-universitaria. E fissa i tempi: «I reparti apriranno il 18 ottobre». Dopo una vita lunga quasi centocinquant'anni il San Giovanni di Dio sta per esalare l'ultimo respiro in vista del trasferimento, mentre il reparto di Ostetricia e Ginecologia del Policlinico emette i primi vagiti in attesa di dare alla luce i nuovi nati. Si completerà così il polo materno-neonatale che già ospita la Terapia intensiva e la Puericultura. IL REPARTO Il tour dell'assessore inizia al secondo piano, dove oltre all'area prematuri e immaturi, tra meno di un mese sarà attivo il puerperio. Le pareti sono accese da tinte vivaci, sei stanze da due posti letto si preparano alla nuova operatività. L'ambulatorio per le visite è spaziosissimo, nel nido l'atmosfera è resa accogliente dagli affreschi a tema: cicogne in volo e l'immagine di un bimbo avvolto da un telo bianco. «L'ingresso dev'essere ancora arredato, ma gli operai procedono senza sosta», assicura Gian Benedetto Melis, direttore della clinica di Ostetricia e Ginecologia e cicerone per l'occasione. Il terzo piano è un tripudio di colori. Ogni sala travaglio ha il nome di una gemma. C'è quella Zaffiro, le pareti blu mare e il bagno intonato, accanto la stanza Rubino, dove ogni cosa ha le sfumature di rosso acceso. E poi Topazio, Ambra, Smeraldo e Acquamarina. Nelle prime due c'è anche la vasca per il parto in acqua: «È un albergo a cinque stelle», scherza Melis. Sul lato opposto dello stesso corridoio c'è la sala operatoria, cioè il fiore all'occhiello del reparto. Le apparecchiature sono supertecnologiche, le pareti di cristallo rilanciano luci a led dai mille colori che riproducono le tonalità delle stanze. Un grande monitor, dotato del modernissimo touch-screen, trasmette le immagini dell'intervento alla direzione. In teleconferenza, la diretta può essere rilanciata verso qualsiasi sala operatoria del mondo. LA TECNOLOGIA La luce endoscopica del lettino è una particolarità unica: «Permette ai medici di non avere zone d'ombra durante gli interventi», spiega Melis: «Sono tutti strumenti all'avanguardia, il meglio che potessimo avere». L'assessore De Francisci annuisce soddisfatta. La riproduzione sulla parete di una veduta del Golfo degli Angeli è forse un modo per far sentire le neo-mamme a casa. A scanso di equivoci, Melis precisa: «I bimbi che nasceranno al Policlinico da genitori residenti a Cagliari potranno essere registrati all'anagrafe del Capoluogo». Sara Marci _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 set. ’13 NON SI NASCERÀ PIÙ AL “CIVILE” OSTETRICIA VA A MONSERRATO Il conto alla rovescia è iniziato: tra un mese esatto, il 18 ottobre, la clinica universitaria di Ostetricia e Ginecologia e le corrispondenti scuole di specializzazione lasceranno per sempre il San Giovanni di Dio e saranno trasferite al Policlinico di Monserrato. Lo rende noto la segreteria della clinica, e lo confermano i vertici dell'azienda ospedaliero-universitaria, da cui trapela anche un'altra notizia: l'8 novembre il reparto di Pediatria della clinica “Macciotta” sarà trasferito al Microcitemico. Sarà così svuotata definitivamente la clinica dei bambini dalla quale nella notte tra il 14 e 15 giugno erano stati trasferiti i reparti di Terapia intensiva e Puericultura neonatale. DIPARTIMENTO COMPLETO Andrà così a comporsi il nuovo Dipartimento materno infantile che si proporrà come struttura di eccellenza nella cura, nella didattica e nella ricerca sulle patologie della donna in età fertile e in menopausa e negli studi e nelle tecniche di procreazione assistita, così come per l'assistenza al parto naturale e per la ricerca della umanizzazione nelle varie fasi del parto e del post partum. Tutte attività che avranno sede nel cosiddetto “Blocco Q” dove sono state realizzate sale operatorie modernissime, sale travaglio dai colori vivaci e sale parto con lettino e vasca, con camere in cui possono essere accolte le madri e i neonati fin dal momento della nascita. Un modo per rendere più piacevoli le fasi del parto e della degenza. INGRESSO SENZA ORARI L'accesso ai reparti sarà libero, non condizionato da orari. I padri saranno ammessi in sala parto e poi nelle camere delle puerpere, per assistere mogli o compagne e figli e rendersi partecipi degli importanti momenti del parto e della neonatalità. Nel reparto prematuri ed immaturi, e nella annessa puericultura, sono a disposizione delle madri camere con divani letto, per consentire loro di trascorrere la notte vicino ai loro piccoli ricoverati. Il reparto di ostetricia dispone di 38 posti letto. I lavori sono quasi terminati. Per questo si prevede che i reparti possano essere aperti il 18 ottobre. Da quel giorno, dopo oltre un secolo, non si nascerà più al San Giovanni di Dio. E circa 1500 neonati ogni anno vedranno la luce a Monserrato. (f.ma.) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 set. ’13 POSTI LETTO, I MANAGER ASL PRESENTANO OTTO DOSSIER Nelle relazioni le proposte di come dovrà essere riorganizzata la rete ospedaliera Gli atti secretati fino a quando non sarà stilato il piano regionale sui risparmi di Umberto Aime CAGLIARI I manager delle otto Asl il loro compito a casa (li era stato assegnato dalla giunta) lo hanno fatto, Nei tempi stabili, hanno presentato all’assessorato il piano di riordino del sistema regionale, dagli ospedali alle cliniche private, dai posti letto al personale, come previsto dalla legge regionale approvata alla fine del 2012. Gli otto dossier sono da alcuni giorni all’esame degli uffici, chiamati a valutare le proposte di riorganizzazione da parte dei direttori generali. Ma gli stessi dossier – secondo alcune indiscrezioni – sarebbero stati secretati prima di essere pesati con molta attenzione dal team dell’assessorato. La sanità, si sa, da sempre è materia delicata e arriva a scottare, come quest’anno, a ridosso delle elezioni regionali. Dunque, l’assessore Simona De Francisci potrebbe aver deciso di renderli pubblici solo quando sarà chiaro, con la sovrapposizione delle varie proposte, il quadro regionale del sistema sanitario pubblico e privato per i prossimi anni. Qualunque sia il contenuto dei dossier, la riorganizzazione andrà fatta: così prevede l’accordo Stato-Regioni (governo Monti) sul taglio della spesa pubblica e in particolare di quella sanitaria e farmaceutica. Uno dei punti fondamentali di quell’intesa (con una sorta di preamialità a favore delle Regioni più virtuose) riguarda soprattutto il numero dei posti letto. In Sardegna si parte da 6.600 e la riduzione annunciata dovrebbe essere appena superiore al 10 per cento, per ridurre quei costi che oggi da soli pesano il 48 per cento delle entrate della Regione. Ai manager, ecco il compito a casa, la legge e poi la giunta regionale con una delibera in sei punti ha affidato l’onere di individuare, negli otto territori di competenza, quelli che potrebbero essere i risparmi possibili con la rimodulazione dei posti letto, ad esempio sono da evitare le sovrapposizioni che oggi ci sono fra i reparti, e subito dopo con la ridistribuzione del personale. Dunque, agli otto direttori è stato affidato il compito più difficile e gravoso ma incarico da sempre contestato dall’opposizione, che negli otto dossier annunciati e ora depositati ha sempre visto una scorciatoia per scaricare sui tecnici, tra l’altro nominati dalla giunta, l’obbligo della politica di predisporre un vero piano sanitario regionale e non «una serie di sforbiciate alla rinfusa». Sulla stessa posizione ci sono anche i sindacati, che da mesi contestano al centrodestra di aver affidato la riorganizzazione «a chi dovrebbe essere controllato», i manager, e invece all’improvviso «ha fra le mani l’immenso potere di decidere la qualità del servizio in questo o quel territorio». Accuse respinte dalla giunta. In ogni occasione Simona De Francisci ha replicato che sin dall’inizio è stata prevista la preventiva e obbligatoria consultazione delle «realtà locali» per evitare il rischio dello spopolamento sanitario dei territori e questa procedura, stando alle indiscrezioni, sarebbe stata rispettata dai manager. L’altra replica storica dell’assessorato ha riguardato i posti letto: non ci saranno tagli e tanto meno saranno chiusi degli ospedali, è questa la posizione ufficiale della giunta, ma finiranno in stand by solo i posti letto con un tasso di occupazione (l’utilizzo medio in un anno) inferiore al 75 per cento nelle grandi strutture e al 65 in quelle piccole. Ed è proprio questo uno dei segreti contenuto negli otto dossier ancora secretati. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 15 set. ’13 SANITA’L'ECCESSO DI RIGORE DELLA RIFORMA SPAGNOLA Visto che siamo in stretta competizione con gli spagnoli in termine di spread, vale forse la pena ricordare che uno dei motivi per cui Madrid è diventata più «simpatica» ai mercati è il fatto di aver attuato alla fine dello scorso anno una durissima riforma sanitaria: quasi otto miliardi di euro di tagli, ampie privatizzazioni di ospedali, forti riduzioni di personale, al punto che molti centri medici funzionano a orario ridotto. I «pazienti» sono oggi definiti «assicurati», perché l'assistenza sanitaria è ora più legata al contratto di lavoro che alla cittadinanza. Il risultato è che, ferma restando la copertura per minori, maternità ed emergenze, tutti gli altri sono a rischio di perdere il diritto alla tessera sanitaria: è già successo a circa un milione di persone, soprattutto immigrati e giovani in cerca di prima occupazione. L'altro effetto è stato che dall'inizio dell'anno le città spagnole sono state invase dalla «marea blanca», cioè dalle manifestazioni e dagli scioperi di medici e personale ospedaliero in camice bianco che si oppongono duramente alla riforma. Ora non vorremmo che nella gara dello spread a qualcuno venisse in mente di tagliare ulteriormente i fondi della sanità. Non ci interessa battere la Spagna con il rigore di questo bilancio. E preoccupa il fatto che anche da noi si sta discutendo se abolire il termine «paziente» , sostituendolo con «assistito». Sappiamo che le motivazioni sono di ordine culturale-deontologico, ma forse è meglio aspettare. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 set. ’13 FARMACI: «LA RICETTA ANTI SPRECHI» Farmacisti e assessorato insieme per ridurre i costi dei medicinali Giorgio Congiu (Federfarma): «È indispensabile l'informazione» «Spendiamo molto, troppo, è vero, però stiamo facendo passi in avanti». Giorgio Congiu, presidente regionale di Federfarma (l'associazione che riunisce le 580 farmacie sarde, con oltre 2.500 addetti), sbuffa, si agita sulla sedia, si barcamena in un mare di fogli, foglietti e statistiche. «Ecco qua», dice sollevato quando trova la tabella giusta: «Nel 2004, annus horribilis la farmaceutica convenzionata ci è costata 404 milioni. Nei primi sei mesi di quest'anno siamo a 175 milioni e abbiamo una previsione di circa 330 milioni. Un bel risparmio». Questo non toglie che la strada da percorrere sia ancora molto lunga. I dati dell'Agenzia italiana del farmaco sono impietosi e fotografano una situazione da allarme rosso. La Sardegna spende in medicine il 19,50 per cento dei soldi destinati alla Sanità. Il tetto sarebbe del 14,85, la media italiana è del 15,40. I motivi sono tanti, tra cui la poca informazione degli operatori sanitari e i controlli labili. «Dovrebbe essere effettuata una capillare informazione», dice Congiu, «presso gli specialisti e i medici di base. Senza la loro collaborazione non sarà possibile raggiungere gli obiettivi prefissati». L'assessore della Sanità, Simona De Francisci, ha ereditato una situazione difficile, rimettere i conti a posto non è semplice. La Sardegna, tra l'altro, è una delle cinque regioni italiane che non fa pagare il ticket sulle ricette (le altre sono Marche, Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Provincia regionale di Trento) e questo aggrava i costi. Un progresso si è registrato con la gara d'appalto unica per l'acquisto dei farmaci direttamente dalle case di produzione. L'appalto era gestito dalla Asl 8 di Cagliari che, per motivi burocratici, ha interrotto gli acquisti dal 1° gennaio al 12 luglio del 2012, facendo schizzare alle stelle la spesa. Da quest'anno, il compito di capofila degli acquisti è l'Asl 1 di Sassari, che ha fatto una cosa di una semplicità disarmante: ha comprato i generici anziché i farmaci coperti da brevetto, molto più cari. E li ha utilizzati non solo per la distribuzione per conto che effettuano le farmacie, ma anche per quella diretta negli ospedali. Solo di Sassari e Olbia, però, visto che quelli delle altre Asl usano ancora i farmaci di marca. Perché? Vattelapesca. «Altro elemento che sta contribuendo al contenimento della spesa», sostiene l'assessore De Francisci in una nota, «è la tracciatura del farmaco. Sono state impartite disposizioni per l'attivazione della richiesta informatizzata dai reparti alle farmacie e sono stati attivati sistemi per tracciare gli scaduti dei reparti». I risultati - dicono i dati dell'assessorato - sono incoraggianti. «Tra gennaio e luglio 2013, sulla spesa farmaceutica convenzionata, si sono risparmiati 18 milioni di euro, mentre sulla distribuzione per conto i risparmi sono di 7,5 milioni. Per quanto riguarda la spesa ospedaliera, nel 2012 ha avuto una notevole riduzione rispetto al periodo 2008-2011, con un decremento di circa 40 milioni di euro: da 194 milioni a 151 milioni di euro. Sul fronte della spesa territoriale, nel primo trimestre 2013 (rispetto allo stesso periodo 2012) si è passati da 114 milioni a 104 milioni, con un risparmio di 10 milioni di euro». Che altro fare? Il viso simpaticamente burbero di Congiu si allarga in un sorriso. «Sostituiamo con le ricette elettroniche quelle cartacee, di colore rosa. Ognuna di esse costa 32 centesimi. In Sardegna ne facciamo oltre 18mila all'anno e in Italia un miliardo, i conti sono presto fatti». Ivan Paone _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 set. ’13 I FARMACI A CARO PREZZO: LA SARDEGNA È MAGLIA NERA La Sardegna è maglia nera, spende più di ogni altra regione L'assessore De Francisci: «Su tutti i fronti per contenere i costi» La Sardegna spende troppo per i farmaci, infatti, è al primo posto nella classifica delle regioni più spendaccione. La fonte è l'Aifa (Agenzia italiana del farmaco), l'ente che controlla il settore, e i dati fanno riferimento al primo trimestre del 2013. Le previsioni per la Sardegna sono nere. A fine anno, la spesa territoriale (quella per i pazienti non ricoverati) sarà di 419 milioni di euro con un incremento del 3,7% rispetto al 2012. Quella nelle strutture pubbliche sarà di 167 milioni, con un aumento del 5,7%. Complessivamente, quindi, nell'Isola saranno necessari ben 568 milioni di euro. I PARAMETRI Il tetto imposto dal ministero della Salute alla spesa farmaceutica su quella della sanità in generale è del 14,85%. In Sardegna la percentuale è del 19,50 per cento, oltre quattro punti in percentuale oltre la media nazionale che è del 15,40. La tabella che pubblichiamo nel grafico è impietosa. La Sardegna è prima assoluta e distacca di ben 2,20 punti la Puglia. GLI SPRECHI Con le medicine non si scherza, nel senso che vanno usate con precauzione e sotto stretto controllo medico ma anche con un certo raziocinio. Perché ci cono certi farmaci a uso oncologico il cui costo supera agevolmente i mille euro. Tentare ogni cura possibile è giusto, ma somministrare a un malato ormai terminale un farmaco dal costo proibitivo e, soprattutto, inutile, è sbagliato. Ed è accaduto. I RESPONSABILI È solo uno dei tanti esempi di uno spreco generalizzato che vede molti soggetti sul banco degli imputati: la Regione che non effettua controlli più severi; i medici che prescrivono medicinali a cuor leggero; i farmacisti che spesso non informano adeguatamente i pazienti sull'uso dei generici. Un esempio. Le case farmaceutiche, scaduto il brevetto, sono costrette ad abbassare i prezzi dei propri prodotti per allinearli a quelli dei generici. Molti medici, però, anziché continuare a prescrivere il medicinale di marca ma ormai più a buon mercato, passano ad altri della stessa categoria ma con molecole ancora coperte da brevetto e, quindi, più costosi. I MOTIVI Si dice che la Sardegna abbia una popolazione anziana, ed è vero. Ma quella della Liguria lo è di più e nonostante ciò, quella regione è attestata al 14.80%, al di sotto della media imposta dal ministero. «Ma da noi non si paga il ticket», ha cercato di spiegare Giorgio Congiu, segretario regionale della Federfarma. Ma anche le Marche (16,10%), il Friuli Venezia Giulia (14,80%), la Valle d'Aosta (12,40%) e la Provincia regionale di Trento (11%) non lo fanno pagare. Eppure, sono ben al di sotto del tetto. LA SPIEGAZIONE Il dottor Fabio Lombardo, direttore della farmacia dell'ospedale Binaghi di Cagliari, spiega: «Mentre la spesa farmaceutica territoriale nel 2012 è diminuita in tutta Italia del 10,3%, con punte anche del 17%, da noi si rileva una marginale riduzione del 4,6%, di molto inferiore alla media, tanto da essere il peggior dato nazionale. Alcune regioni dimostrano che risparmiare è possibile. Bisogna promuovere uno sforzo congiunto per un obiettivo comune capace di coinvolgere tutti gli attori del processo, immaginando un patto strategico tra istituzioni e mondo accademico: sostenibilità, spesa farmaceutica, appropriatezza prescrittiva, uso dei farmaci generici, sono temi scottanti. Serve un patto, dunque, prima di tutto culturale, che dovrebbe estendersi agli utilizzatori del farmaco, i quali vanno coinvolti direttamente: il paziente dovrebbe essere responsabilizzato riguardo la spesa sanitaria e coinvolto nel processo assistenziale». L'ASSESSORE Simona De Francisci, titolare della Sanità, assicura: «Siamo in campo per porre rimedio». E poi elenca le misure per contenere la spesa «fuori controllo da ben prima che arrivassi io. Primo: centralizzazione degli appalti per gli acquisti in modo da ottenere cospicui sconti; secondo: attivazione del Medir (medici in rete) per monitorare le prescrizioni e intervenire in caso di anomalie; terzo: armadietto informatico per razionalizzare e tenere sotto controllo la distribuzione dei farmaci negli ospedali; quarto: dose unica del farmaco che permette di evitare gli sprechi». Servirà? «Sì, ma occorre tempo». Ivan Paone _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 set. ’13 GANAU: «SANITÀ DA RIFONDARE» Il segretario del Psi Nencini con Atzeni: «Ecco le nostre idee» Assemblea cagliaritana per il candidato alle primarie del centrosinistra, Gianfranco Ganau, in città per incontrare gli operatori della sanità e della ricerca. L'incontro nasce perché «il tema è di grande attualità, dal momento che metà del bilancio regionale è destinato alla Sanità». RAZIONALIZZARE Il sindaco di Sassari, dopo aver criticato l'attuale gestione della Sanità nell'Isola decretando che «si spende molto e male», rilancia sulla necessità di «ristrutturare il sistema sanitario isolano, garantendo i servizi di specialistica ambulatoriale ai cittadini». La razionalizzazione, spesso al centro del dibattito politico, «non può prescindere dai distretti che garantiscano le prestazioni di base nei territori», sottolinea Ganau, «poi, si può pensare a una razionalizzazione ospedaliera». Dopo la tappa cagliaritana, Gianfranco Ganau riprende il tour elettorale nell'isola. La giornata di oggi è dedicata all'Ogliastra con due incontri: il primo a Ulassai alle 17.30 in piazza Barigau, il secondo a Lanusei alle 20 nella sala consiliare. I CANDIDATI Anche gli altri quattro candidati procedono a ritmo serrato nella loro campagna elettorale. Mancano 13 giorni alle primarie e si cerca di incontrare il maggior numero di persone. Il candidato del Psi, Simone Atzeni, ieri sera ha parlato del programma insieme al segretario nazionale Riccardo Nencini e al parlamentare Lello Di Gioia. «Siamo una forza di sinistra», sottolinea Atzeni, «lavoriamo per dare il contributo di idee nello schieramento». Francesca Barracciu, ieri pomeriggio, ha preso parte a un incontro a Carloforte, mentre oggi (alle 10) sarà a Bitti per parlare di politica agricola comunitaria (Pac). Roberto Deriu sceglie la provincia di Sassari, precisamente Ittiri, per un incontro pubblico che inizierà alle 19. Il candidato indipendente Andrea Murgia oggi sarà a Nuoro, dove alle 19, in piazza Satta, ci sarà un confronto con la cittadinanza. (mat. s.) _____________________________________________________________ Repubblica 19 set. ’13 CARDIOLOGIA, CONCORSO SCANDALO A ROMA. "Ecco i vincitori", già noti un mese prima Uno dei selezionati all'università La Sapienza accompagnava in auto il professore. L'e-mail inviata a Repubblica il 13 giugno: conteneva già i sei nominati di chi poi avrebbe ottenuto il posto e chi invece sarebbe stato escluso "nonostante i curriculum con voti alti". Il 1° agosto le graduatorie, già previste di CORRADO ZUNINO Lo leggo dopo Un concorso universitario L'ULTIMO concorso universitario predeterminato, con una scelta preventiva dei candidati che possono proseguire nella carriera di studio e accedere al mondo del lavoro, si è consumato in piena estate alla Cardiologia della Sapienza di Roma, abituata a questo genere di contestazioni. È l'ateneo del rettore Frati, della famiglia Frati.E la prova pubblica è quella per l'accesso alla scuola di specializzazione della Cardiologia del Policlinico Umberto I, l'ospedale collegato all'università più grande d'Europa. Alle 11,44 dello scorso 13 giugno a Repubblica è arrivata una mail in cui si segnalavano sei nomi dei vincitori del "concorso che consentirà l'ingresso di sei nuovi cardiologi all'ottavo padiglione del Policlinico". Concorso pilotato, assicurava la mail: "Un mese prima sappiamo già chi entrerà". Entreranno, sosteneva la segnalazione, quattro donne e due uomini tra i 26 e i 33 anni, indicati nel testo con cognome e nome. Abbiamo messo da parte quella posta elettronica, firmata da "un medico deluso", l'abbiamo fatta registrare e abbiamo atteso. Il concorso "Malattie dell'apparato cardiovascolare" (codice 14.252, 15 posti disponibili) si articolava in due date e due prove, a partire dal 7 luglio. Ai sei vincitori romani segnalati si sarebbero aggiunti, sosteneva la fonte, sei candidati scelti per la seconda cattedra della Sapienza (Cardiologia 2) e tre per la cattedra di Latina, sede distaccata. Di questi successivi nove vincitori, nella mail, non si faceva nome: l'attenzione di chi segnalava era concentrata su Cardiologia 1, diretta dal professor Francesco Fedele. La mail indicava anche i sei aspiranti medici (anche qui quattro donne e due uomini) che sarebbero rimasti fuori nonostante i curricula con punteggi alti: "La prova scritta sarà valutata con voti bassi, per compensare", rivelava la mail. Il primo agosto sono usciti i risultati del "14.252". I fogli che li illustravano sono stati appesi al piano terra dell'ottavo padiglione del Policlinico e a fianco dell'auletta Valdoni, dove si allarga la stanza di Giacomo Frati (il figlio del rettore diventato ordinario di Cardiochirurgia a 35 anni). Le previsioni segnalate dal "medico deluso" erano tutte centrate: vincitori ed esclusi. Gli ultimi due posti utili della graduatoria erano occupati da due candidati che grazie a un'eccellente seconda prova - l'unica su cui la commissione diretta dal professor Fedele aveva potuto esprimersi - erano riusciti a colmare il gap del loro scarso curriculum. Entrando nel dettaglio, si scopre che il sesto piazzato (posizione utile) era uno studente di 27 anni di grande abnegazione: per tre anni aveva accompagnato in auto il professor Fedele a Fiumicino, ai convegni, a far spese. L'aspirante cardiologo era diventato il suo autista e al terzo tentativo ce l'aveva fatta. Di fronte a queste evidenze abbiamo incontrato l'autore della segnalazione. Abbiamo verificato la sua conoscenza del tema e l'attendibilità. Ci ha portato documenti, spiegato nuovi dettagli e indicato pediatrie e cardiologie di altri atenei che usano gli stessi sistemi, quindi ci ha offerto il contatto di due testimoni. Abbiamo allora raggiunto la Cardiologia e chiesto spiegazioni del concorso al suo dominus, il professor Francesco Fedele (leggi l'intervista). "Il medico deluso" ci ha raccontato: "Me l'hanno detto in modo esplicito: 'È inutile che vieni alla Sapienza, abbiamo già i nostri. C'è una lista d'attesa, devi aspettare il terzo concorso'. Perché non ho denunciato tutto al preside di facoltà, all'Ordine dei medici? Mi avrebbero risposto: 'Resta in fila, resta muto, è sempre stato così'". _____________________________________________________________ Repubblica 20 set. ’13 IL PROFESSOR FEDELE: "CONCORSO PILOTATO? A PARITÀ DI CAVALLO SCELGO QUELLO CHE CONOSCO" Intervista al titolare della Prima cattedra di Cardiologia alla Sapienza di Roma: "Non sono un barone, devo condividere i voti con altri. E credo di essere onesto" Lo leggo dopo Francesco Fedele ROMA - Il professor Francesco Fedele, 61 anni, dal 1997 è titolare della Prima cattedra di Cardiologia dell'Università di Roma La Sapienza. Dal 2000 è direttore della Prima scuola di Cardiologia. Ora è seduto, dietro la scrivania del suo ufficio. Ha appena pubblicato un libro sulla morte cardiaca improvvisa pubblicizzato da Francesco Totti. Professore, i vincitori del concorso gestito dalla sua scuola di Cardiologia si conoscevano un mese prima delle prove? "Ho ricevuto anch'io questa e-mail... Non so che dire... Credo di essere una persona abbastanza onesta". Professore, gli studenti che lei ha seguito nella sua scuola hanno un vantaggio su chi viene a fare le prove da fuori? "Il vantaggio è rappresentato dal fatto che nel tempo conosci le persone. È fisiologico, monto il cavallo che conosco di più". Che significa? Le prove dovrebbero essere anonime. "Certo, certo, è tutto segreto". E la metafora del cavallo? "Voglio dire che non si può rendere tutto asettico, affidarci solo ai computer: tot il curriculum, tot una prova a quiz che passano tutti con 60 punti. Nella prova scritta la nostra valutazione ha un peso, credo sia giusto". Quindi è possibile che abbassiate il voto di chi ha un curriculum prestigioso ma non è cresciuto alla vostra scuola. "La commissione fa discussioni approfondite, dure. Cinque membri. Litighiamo. Senta, io qui non sono l'unico che decide, c'è anche il collega pari grado di Cardiologia due... Io non sono un barone, io non conto un cazzo... Il mio maestro, lui sì che faceva il bello e cattivo tempo, entrava solo chi decideva lui". In molte facoltà di Medicina la prassi è questa: i primi in graduatoria stanno fermi un giro ed entrano sicuri l'anno dopo. "Andate a vedere le facoltà di Bari, Padova, Milano, gli altri ospedali romani, il Sant'Andrea, Tor Vergata. Lì sì che ci sono i baroni, non alla Sapienza". Professore, uno dei vincitori del concorso era il suo autista. "Uno studente che mi accompagnava ai convegni, abitiamo vicino... Questo è un colpo basso. Gli chiedevo un passaggio, ma nel periodo dell'esame ho preso le distanze. Ognuno con la sua auto... Quel ragazzo se l'è sudata, per due anni ha fallito la prova, poi ha frequentato, è cresciuto. Ha meritato tutto, mi creda". _________________________________________________ Avvenire 19 Sett. ‘13 RENE, BASTA DIALISI CON LE STAMINALI? Un passo avanti nell'identificazione delle cellule staminali nel rene: ricercatori del dipartimento di Scienze della salute dell'Università di Milano-Bicocca, coordinati da Roberto Perego, responsabile del laboratorio di patologia molecolare e oncologia, hanno messo a punto un metodo innovativo per rilevare le preziose cellule nell'organo. Non più tramite marcatori specifici di superficie, ovvero molecole presenti sull'esterno delle cellule facilmente identificabili ma presenti indistintamente nei precursori e in quelle specializzate, ma sfruttando, invece, le loro caratteristiche funzionali. Sono state ricreate in vitro delle nefrosfere umane, aggregati di forma sferica di 130-140 cellule originate da una singola staminale e, in queste nefrosfere, sono state rintracciate cellule che si comportano esattamente come staminali, ovvero capaci di rinnovare se stesse e differenziarsi in altri tipi. Una popolazione omogenea, dunque, di tipo multipotente, che in vivo e in vitro produce le strutture tubulari del rene o, viceversa, rimane indifferenziata. Queste cellule sono state denominate «PKHhigh» dall'uso del colorante fluorescente PKH26 che si concentra nelle cellule maggiormente quiescenti ed ha permesso, così, di rilevarle. «La presenza delle staminali nel rene è oggetto di indagine da tempo ma questo lavoro fa fare un passo avanti», spiega Perego. «È molto importante aver isolato una popolazione omogenea di cellule renali umane con le proprietà delle staminali adulte, per diversi motivi. Prima di tutto, per l'avanzamento della medicina rigenerativa in nefrologia: le patologie renali sono molteplici e gravi, riuscire a utilizzare questa risorsa fa prevedere di ricorrere meno e più tardivamente, un giorno, alla strada della dialisi e del trapianto. Alla base di questo, sta la possibilità di comprendere meglio i meccanismi che regolano la loro replicazione e differenziazione e, quindi, anche la differenza fra le cosiddette "staminali tumorali", all'origine del processo canceroso, e quelle "buone"». Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Stem celi research e ha visto, tra le altre, la collaborazione della Divisione di medicina rigenerativa, cellule staminali e terapia genica dell'Istituto Scientifico San Raffaele di Milano. Nell'ambito della nefrologia, da tempo si cerca di utilizzare il potenziale delle cellule staminali. Ad esempio, un gruppo di ricercatori americani della Northwestern University, durante una sperimentazione su otto pazienti sottoposti a trapianto di rene, sono riusciti a fare a meno della terapia immunosoppressiva in alcuni di loro grazie alle staminali. Cinque dei pazienti totali hanno potuto abbandonare la terapia immunosoppressiva dopo un anno. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 set. ’13 «BASTA TAGLI ALLA CIECA PER LA SANITÀ PUBBLICA» L'AUDIZIONE Marcella Panucci alla Camera: serve una logica industriale incentrata sulla qualità di prestazioni e servizi Roberto Turno ROMA Basta con le «manutenzioni precarie» e i tagli alla cieca alle imprese. Per rendere stabile e sostenibile la sanità pubblica, rilancia Confindustria, serve una nuova stagione aperta a «una logica industriale incentrata sulla qualità delle prestazioni e dei servizi». E allora avanti coi fondi integrativi, con dosi massicce di tecnologia e investimenti infrastrutturali, rivedendo la rete ospedaliera ed eliminando i posti letto inutili e improduttivi. Da una parte una netta discontinuità col presente, dall'altra la necessità di spalancare le porte al futuro che ci riserva un welfare completamente diverso da quello che abbiamo sempre conosciuto. È attraverso questi due passaggi chiave che Confindustria propone a Governo e Parlamento di rivedere la governance del sistema sanitario italiano. Lo ha spiegato ieri Marcella Panucci, dg di viale dell'Astronomia, ascoltata dalle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera nell'ambito di un vasto ciclo di audizioni che ha come punto focale la sostenibilità del Ssn all'interno degli obiettivi di finanza pubblica. «Il Ssn – ha chiarito Panucci – è una delle principali conquiste sociali del nostro Paese e questo diritto non va in alcun modo toccato». Ma di qui a salvare l'esistente, ce ne passa. Tra addizionali Irap e Irpef insopportabili per le imprese (e i cittadini), ritardati pagamenti ai fornitori, una spesa privata praticamente tutta cash che vale 40 miliardi (10 dei quali sommersi), sperequazioni tra una regione e l'altra, intramoenia dei medici pubblici, servizi spesso scadenti dal Lazio in giù. Difendere l'esistente, insomma, non è più possibile: ormai «l'universalità e l'equità del Ssn sono da anni a rischio». Ecco allora le scelte di policy proposte da Confindustria. A partire dalla sfida dell'efficienza, superando le criticità delle infrastrutture e scommettendo forte (e davvero) sulle tecnologie. Con la scommessa tutta da vincere dell'Ict, la digitalizzazione dei servizi, la revisione della rete ospedaliera col superamento dei piccoli presidi sanitari. «La riqualificazione della spesa – ha detto Panucci – passa attraverso un disegno strategico di reingegnerizzazione del sistema e richiede una visione industriale del settore», rimuovendo gli sprechi e puntando su costi standard e procurement pubblico. C'è poi il passaggio chiave del finanziamento. Dove il peso della spesa privata potrebbe essere favorevolmente spostato verso i fondi integrativi a partire da quelli di categoria. Di qui la proposta: «La progressiva introduzione di meccanismi di finanziamento privati intermediati (assicurazioni, casse mutue ecc) che permetterebbero di tutelare la sostenibilità e l'equità del sistema, è essenziale per il suo equilibrio sociale e finanziario». Un futuro in cui il sistema pubblico manterrebbe il controllo sulla qualità degli strumenti e delle prestazioni, senza però più occuparsi della gestione. Ma anche «limitando a tutti i costi le interferenze della politica». _________________________________________________ L’Espresso 26 Sett. ‘13 QUEL PASTICCIACCIO DELLA STAMINALI Gli ispettori sono andati a vedere come si somministra la terapia. Ecco cosa hanno scoperto. In un documento riservato Il Comitato scientifico dell'Istituto superiore di sanità ha bocciato il metodo Stamina, messo a punto dallo psicologo esperto di marketing della salute Davide Vannoni. Il Parlamento aveva approvato addirittura un provvedimento ad hoc per dotare di 3 milioni di euro una sperimentazione su scala nazionale per verificare l'efficacia delle infusioni immaginate da Vannoni. Con la bocciatura dell'Iss, non sarà semplice per il ministro della Salute Beatrice Lorenzin decidere se procedere o meno con la sperimentazione. Il ministro ha in mano il pronunciamento dei saggi dell'Iss, ma ha anche sulla scrivania tutte le carte che avevano spinto l'Agenzia italiana per il farmaco a chiudere il laboratorio degli Spedali Civili di Brescia dove, prima della bufera mediatica, Vannoni trattava i suoi pazienti e dove, per sentenza di un giudice, ancora oggi ci sono almeno 40 pazienti in trattamento e 150 in lista di attesa. Cosa dovrebbe decidere Lorenzin? Decidetelo voi dopo aver letto parte di quelle carte: il documento "Indagine amministrativa diretta a verificare la regolarità dei trattamenti eseguiti con cellule staminali presso l'azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia nell'ambito della collaborazione con la Stamina Foundation onlus di Torino", redatto dagli esperti dello stesso ministero, del Centro Nazionale Trapianti e dell'Aifa che il 23 e 24 maggio 2012 hanno condotto un'ispezione nell'ospedale lombardo. E che "l'Espresso" ha potuto leggere: la maggior parte dei contenitori delle cellule criocongelate non sono etichettate in maniera completa; non si capisce SII quali basi si decida la dose della terapia e in molti casi, comunque, la dose effettivamente somministrata è diversa da quella dichiarata; non vengono eseguiti i test per scongiurare le principali infezioni, come epatite BeCe HIV La documentazione riguarda 12 pazienti, 8 adulti e 4 bambini, affetti da patologie piuttosto diverse fra loro, alcune di origine genetica altre no: dal Parkinson all'atrofia muscolare spinale, dall'asfissia cerebrale neonatale alla malattia dì Niemann Pick A. Qui glì ispettori rilevano la prima anomalia: in alcuni casi manca la documentazione che attesti l'urgenza di sottoporre questi pazienti alla terapia. Comunque, per tutti sono previsti 5 cicli di infusione, in alcuni casi con cellule autologhe, cioè dello stesso malato, in altri con cellule di donatore. MANCANO I REFERTI Ci sono due casi pediatrici, affermano gli ispettori, per cui si decide l'utilizzo di cellule del bambino stesso, dal momento che la malattia non è genetica. Ma uno dei due riceve invece cellule da donatore e «nella documentazione allegata relativa alla donazione non sono presenti i referti di alcuni esami previsti per il donatore; in particolare non sono disponibili i risultati dei test per sifilide, HIV I e 2 e NAT (test che identifica e quantifica gli acidi nucleici, ndr.) per i tre virus B, C, HIV». Insomma nessuno è andato a vedere se si stavano iniettando cellule inferte, come ogni norma, e anche il buon senso, prevede. Non solo: c'è un paziente adulto che doveva ricevere un'infusione di cellule sue proprie; invece gli somministrano quelle di un suo familiare, senza che da qualche parte sia specificato il grado di parentela. Già, perché citando la Relazione, «non risultano evidenti (...1 i criteri adottati per la selezione dei donatori allogenici sia familiari che non familiari». Infine, nel caso di due adulti affetti da patologie genetiche viene indicata la necessità di utilizzare cellule da donatore. Risulta poi che uno dei malati abbia ricevuto le cellule da un solo donatore, «mentre il secondo paziente abbia ricevuto cellule provenienti da due diversi». Senza saperlo però, visto che «nel consenso informato sottoposto al paziente non risulta tale comunicazione». E d'altra parte la relazione annota diverse lacune per quanto riguarda la presa d'atto dei malati di ciò che il medico va a fare su di loro: in alcuni casi mancano le firme, le date, in altri non è specificato il grado di parentela di chi appone la firma; ci sono moduli non firmati né dal paziente né dal medico, moduli dove non è specificata la patologia che si deve trattare, in molti manca la data, in altri casi manca proprio tutto il documento. Ma se la faccenda del consenso informato vi sembrasse una questione "burocratica", provate a leggere come venivano decise le cure dei malati: «Dal confronto del protocollo e il Foglio di lavorazione, risulta che non vi è sempre corrispondenza tra il numero di cellule previste dal protocollo stesso e quelle effettivamente infuse. Su 56 infusioni effettuate, solo in 7 casi i dosaggi previsti corrispondevano a quelli realmente infusi. Negli altri casi la discrepanza varia tra circa la metà a più del doppio della dose prevista. CHIAMIAMOLO LABORATORIO Nell'" Ospedale dei bambini" del nosocomio bresciano esiste realmente un laboratorio che svolge attività di manipolazione e criopreservazione di cellule staminali ematopoietiche ai fini del trapianto. È una procedura non del tutto sovrapponibile a quella del metodo Sta- mina, ma aldilà delle specifiche tecniche almeno un laboratorio specializzato c'è. Già, ma com'è? Così lo descrivono gli ispettori: «La struttura del laboratorio ed il relativo accesso dall'esterno non sono tali da garantire la protezione del prodotto da contaminazioni ambientali. Infatti, la precamera che funge da spogliatoio non è un locale classificato e non consente un'adeguata vestizione del personale che deve accedere al laboratorio in quanto funge anche da piccoli.) deposito di materiale e documentazione». Poi non si capisce chi può entrare e a fare cosa: non ci sono infatti indicazioni sugli operatori che effettuavano la manipolazione cellulare. E, in assoluto, gli ispettori non riescono a scoprire cosa realmente accada in quel laboratorio. Lo sanno solo gli uomini di Sta mina. «Una volta effettuato il prelievo bioptico in sala operatoria, il campione veniva posto in lui contenitore, chiuso ermeticamente, inserito in una busta sterile sigillata e consegnato al biologo per il trasporto al Laboratorio Cellule Staminali, dove il personale della Stamina effettuava tutte le successive operazioni secondo una metodica di cui non erano a conoscenza né il personale del Laboratorio, né i clinici. Il segreto sulla procedura è tale che non esistono, o almeno non sono stati consegnati agli ispettori, i consueti documenti che accompagnano le manipolazioni di laboratorio: non ci sono prove che siano state valutate l'attività biologica e la potenza farmaceutica della preparazione, e neanche la presenza di contaminanti. Non è garantita la tracciabilità: non è nota la natura dei reagenti usati nel processo produttivo, il produttore, il lotto, la data di scadenza. Ma, soprattutto ,non risulta essere stata effettuata alcuna convalida del processo produttivo, né essere stata determinata la vita utile delle cellule, in funzione dell'attività biologica desiderata Insomma, non è possibile sapere se si tratti di una preparazione attiva o di acqua fresca. Infine, non è descritto alcun razionale in base al quale è stata stabilita la dose da somministrare, né sono state definite la dose minima efficace, la dose ottimale e la dose massima somministrabile". Dosi che, come abbiamo visto, non venivano comunque rispettate in sede di infusione. Come è possibile che tutto questo sia successo in un ospedale pubblico? Se lo chiedono in molti. Ai quali serve ricordare che non solo è successo. Ma sta succedendo. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 set. ’13 STAMINA: «VENGHINO A VEDERE, SIORI» Perché non ha senso chiedere di constatare coi propri occhi l'efficacia della «cura» È semmai un ulteriore indice di ciarlataneria L'onestà intellettuale impone di dire ai genitori dei bambini che chiedono il trattamento che l'accertamento dell'efficacia non si fa nel modo in cui loro credono Elena Cattaneo La commissione scientifica istituita dal ministero della Salute, sulla base della legge parlamentare che in deroga alle norme vigenti ha imposto la sperimentazione della procedura Stamina, avrebbe concluso che i trattamenti proposti dalla Fondazione Stamina non sono plausibili e sperimentabili. Cioè che le carte consegnate dal Prof. Davide Vannoni non contengono la descrizione di un "metodo" che sia scientificamente e medicalmente basato. L'esito non è una sorpresa per chi si occupa di scienza, malattie e malati, visto che la comunità scientifica e medica nazionale (e non solo) da mesi spiega, scrive, informa e mette in guardia sul fatto che quanto si sta facendo in un ospedale pubblico italiano, e poi imposto dai tribunali, è contro le regole dell'Europa di cui l'Italia è parte e non ha niente a che fare con la compassione verso i malati, la medicina e la cura. Come ci si poteva attendere, questa inevitabile conclusione è stata criticata dai familiari dei malati e da alcuni politici. I familiari e chi crede nel trattamento hanno chiesto che chi è contro vada a controllare coi "propri occhi". E anche diversi politici hanno invitato a verificare de visu quel che millanta il Prof. Vannoni, cioè l'efficacia del trattamento. È stato anche detto che basta guardare le riprese di una bambina trasmesse da Le Iene per rendersi conto dei miglioramenti. E Vannoni dice anche che nessuno potrà vietare che questi trattamenti passino come terapie compassionevoli. Questo però è, se mai, un ulteriore problema. Cosa si deve rispondere a chi sostiene che ci sono già le evidenze che il trattamento Stamina funziona? Anche se dispiace, perché chi fa ricerca mette al mondo figli e li ama non meno di chi fa altri mestieri, l'onestà intellettuale impone di dire ai genitori dei bambini che chiedono il trattamento Stamina che l'accertamento dell'efficacia di una cura non si fa nel modo in cui loro credono. E che lo stesso Prof. Vannoni vorrebbe, non potendo spiegare cosa fa con quella miscela improbabile presa da un paziente e messa in un altro o nello stesso paziente, come capita, senza conoscere alcunché di ciò che inietta, di dove finisce, della biologia più elementare, e attuando così interventi casuali, medicalmente inqualificabili, lontani anni luce dal senso scientifico e medico, oltre che morale. Che ci si trovi di fronte a un inganno e a un autoinganno lo comprende anche la maggior parte dei genitori di bambini nelle stesse gravissime condizioni, che si guarda bene dal chiedere quel trattamento. In quella maniera, cioè basando i giudizi di efficacia su impressioni di familiari o terzi interessati, si procedeva prima che la medicina cominciasse a fondarsi sulla scienza. Sono due le ragioni per cui chiedere che delle persone di qualunque competenza, anche medici, si rechino a controllare di persona i miglioramenti non ha senso. La prima ha a che fare con l'impossibilità di dimostrare che cosa effettivamente potrebbe aver prodotto un miglioramento, ammesso che il miglioramento ci sia stato, e a maggior ragione visto che non c'è alcuna giustificazione scientifica a priori per provare quel presunto trattamento. Infatti, ammettiamo pure che le bambine siano migliorate – anche se cominciano ora a emergere medici che si caricano del coraggio di far sapere che non è vero. Non è detto che a produrre il miglioramento non siano stati, invece delle staminali mesenchimali neuralizzate o generate secondo un protocollo che «Nature» ha scoperto essere copiato e falsato da artefatti sperimentali russi, il trasferimento dei bambini, la somministrazione di anestesia e i carotaggi, la varietà di persone con cui i bambini vengono a contatto (medici, infermiere, Vannoni, Andolina, gli stessi genitori con un nuovo atteggiamento, eccetera). Anzi è assai più probabile che abbia operato qualcuna di queste condizioni, provocando effetti placebo, piuttosto che le scarsissime e debilitate staminali mesenchimali dei "preparati" Stamina. Di fatto, medici che hanno visto i filmati, o che hanno incontrato i bambini, non rilevano segni di effettivi miglioramenti. Come nessun miglioramento è stato documentato sui tanti adulti trattati. È proprio per stabilire se davvero c'è qualche effetto, e di che tipo, inoculando i "preparati" Stamina, che si dovrebbe fare una sperimentazione. Ma per autorizzare una sperimentazione servono delle prove preliminari, cioè constatare che chi propone l'uso di quelle cellule dispone di un protocollo di lavoro riproducibile. Ora, evidentemente, la commissione ha verificato che con il protocollo di Vannoni non si otterrebbe alcuna risposta. Si rimarrebbe nel l'incertezza. Quindi non si sarebbe dimostrato di disporre di una cura per qualche specifica o anche generica condizione, ma solo dilapidati tre milioni di euro e ingannato i pazienti. La seconda ragione per cui non ha senso chiedere che qualcuno si rechi a verificare i miglioramenti ha a che vedere con gli autoinganni della coscienza e dell'inconscio, cioè con il fatto che da secoli si sa che occorre eliminare la componente soggettiva per riuscire a stabilire quale sia l'effettiva causa di un effetto, o se l'effetto ci sia davvero stato. Per avere una risposta attendibile a una qualunque sperimentazione bisogna "standardizzare" le procedure da eseguire, cioè quelle procedure devono essere effettuabili da qualunque persona con specifiche competenze (biologiche, cliniche o statistiche), ma non direttamente coinvolta nei fatti e con un interesse a ottenere un risultato positivo. È così che si eliminano i fattori che potrebbero confondere il risultato, ma soprattutto eventuali effetti dovuti a cause che non siano il trattamento (Stamina). Questi concetti sono molto importanti, anzi essenziali per discutere con ragionevolezza e utilità di sperimentazione clinica. È normale che un "guaritore" quale si sente il Prof. Vannoni (ma anche il Dr. Zamboni, che vuole curare la sclerosi multipla con delle operazioni chirurgiche che solo lui sa quando, dove e come fare) cerchi di resistere al confronto con una metodologia scientifica, messa in atto per controllare quello che egli dice di essere in grado di fare. A rischio è la sua attendibilità e forse anche gli affari (checché dica pubblicamente il Prof. Vannoni). Altrettanto comprensibile è che dei genitori non vogliano prendere in considerazione i risultati di un metodo scientifico, a causa del dolore che può provocare una sentenza al momento purtroppo inappellabile. Però dei magistrati che applicano le leggi o i politici che le fanno, hanno il dovere morale e un obbligo costituzionale di sapere queste cose. E di agire conseguentemente. La transizione da un tempo in cui erano normali gli abusi medici ai danni dei pazienti o gli inganni dei ciarlatani, a una medicina rispettosa della dignità delle persone malate e dei loro famigliari, è passata soprattutto attraverso il riconoscimento e l'utilizzo sistematico di queste procedure. Sarebbe indegno di un paese civile tornare indietro. Università degli studi di Milano _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 set. ’13 STAMINA: LA CONQUISTA DEI TRIAL CLINICI Controlli «in cieco», placebo, probabilità: sono i concetti chiave per capire cosa funziona e cosa no. Eccone la storia, poco nota alla popolazione italiana Gilberto Corbellini Un Eurobarometro del 2000, dedicato a rilevare la percezione dei problemi di scienza e tecnologia a livello dei cittadini europei, spiega perché in Italia possono accadere con tanta facilità casi come Stamina. Una delle domande mirava a stabilire la «percezione dei metodi scientifici» consisteva nel testare la conoscenza del metodo per dimostrare l'efficacia di un farmaco. Meno del 25% degli italiani intervistati, rispondeva esattamente. II risultato peggiore in Europa! Essendo quattro le possibili risposte, per cui anche rispondendo a caso si sarebbe avuto lo stesso dato (25%), forse sono anche assai meno a capire un concetto essenziale per parlare non a vanvera del caso Stamina. I migliori sono gli svedesi, con 70% di risposte esatte, seguiti da danesi e olandesi con 63%. Non c'è, quindi, da meravigliarsi che Vannoni abbia successo. Sorprende se mai che esistano ancora in Italia delle facoltà dove si formano medici che non temono confronti internazionali e funzionino ospedali d'assoluta eccellenza, fatte salve le scarse disponibilità tecnologiche in generale. E un po' rattrista che pochi fanatici facciano così presa e stiano trascinando una medicina che cura e controlla le infezioni, tratta le più diverse malattie croniche e i disturbi mentali, fa trapianti, tiene in vita artificialmente, predice le malattie. Furono alcuni medici arabi i primi a intuire che per accertare l'efficacia di un trattamento medico si dovevano fare delle comparazioni controllate, o sperimentazioni. Dagli arabi l'intuizione passava in Europa, attraverso Roger Bacon, ed era generalizzata metodologicamente e psicologicamente da Francis Bacon, per il quale l'esperimento serve a correggere le opinioni ricevute e i meccanismi mentali che ostacolano lo sviluppo di un pensiero critico e della capacità di capire come stanno le cose. Un concetto chiave lo enunciò il paleochimico Jan Baptist van Helmont nell'Ortus medicinae (1648) concepì i gruppi di comparazione: si creino, estraendo a caso per evitare una selezione soggettiva, due gruppi abbastanza numerosi di pazienti, uno dei quali trattato con i convenzionali salassi e purghe, e l'altro con dei trattamenti più promettenti. A un certo punto si contino i morti in entrambi i gruppi. Più o meno quel che fece, anche se con numeri troppo piccoli, nessuna allocazione casuale e la fortuna di affrontare un problema facile, il medico James Lind quando, nel 1747, dimostrò che dando da mangiare agrumi si previene lo scorbuto. Qualcosa di analogo a quel che è accaduto con Stamina, avveniva negli anni del tramonto della monarchia in Francia. Nel 1784 Luigi XVI voleva capire se Franz Anton Mesmer, un medico e teologo tedesco arrivato a Parigi sei anni prima fuggendo da Vienna, che millantava con successo di guarire tutti i mali controllando un misterioso fluido magnetico che attraverserebbe gli organismi, fosse un impostore o un valido curatore. Il re istituì una commissione, guidata dall'allora ambasciatore americano a Parigi, il grande fisico Benjamin Franklin, di cui faceva parte insieme a vari medici nientemeno che Antoine-Laurent Lavoisier. Il modo in cui la commissione smascherò Mesmer, in pratica usando soggetti mascherati (resi cioè ciechi, da cui viene la definizione delle sperimentazioni controllate in cieco) per evitare effetti di autosuggestione, rimane uno dei capitoli più esaltanti della storia della razionalità scientifica umana. Gli argomenti di quel rapporto consegnato all'autorità politica più di due secoli fa dovrebbero essere familiari a qualunque persona diplomata in un Paese che voglia dirsi civile. Così che a nessuno verrebbe in mente di istituire una commissione per smascherare l'inganno Stamina, tanto è evidente che si trata di un'impostura. All'idea della allocazione casuale di Van Helmont e a quella del mascheramento usata dalla commissione Franklin, si aggiunsero l'introduzione del placebo come controllo, cioè l'uso comparativo di qualcosa per quanto possibile inerte rispetto alle proprietà attribuite al trattamento, e l'invenzione della funzione statistica di verosimiglianza. Il concetto sperimentale di placebo, usato per la prima volta nel 1800 dal medico inglese John Haygarth, si sviluppò con l'esigenza di smascherare diversi tipi di ciarlatani e pseudocure (es. omeopati e omeopatia) nel corso dell'Ottocento. Mentre la funzione di verosimiglianza fu introdotta da Sir Ronald Fisher nel 1922 e consentiva di usare efficacemente la teoria della probabilità per stabilire se i risultati di un'osservazione controllata siano dovuti al caso o se esista una più o meno significativa probabilità che proprio il trattamento abbia prodotto i miglioramenti osservati. Il primo trial clinico degno di questo nome, cioè che include tutti i concetti chiave sopra definiti che lo rendono scientificamente fondato, venne effettuato nell'immediato dopoguerra dal Medical Reseach Council inglese per stabilire che la streptomicina cura effettivamente la tubercolosi. Da quel momento è stato un tripudio di successi farmacologici, terapeutici e preventivi, di abusi e tragedie evitate, di miglioramenti, anche sul piano dell'efficienza e dei costi, delle pratiche cliniche eccetera. Che sono diventate "buone" e quindi standardizzabili e formulabili in linee guida internazionali. Sono questi i concetti che serve conoscere per farsi un'idea intelligente del caso Stamina. Tutto il resto è ignoranza, illusionismo, fanatismo, propaganda politica e patologia psichiatrica. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 set. ’13 L'AVVERSIONE DELLA RETE NEI CONFRONTI DEI VACCINI Un articolo di Corriere.it/Salute segnala che uno degli argomenti che appassionano di più la Rete è parlar male dei vaccini, accusati di provocare malattie neurologiche e intestinali, di indebolire la popolazione, di fare scempio di bambini. Addirittura nove siti su dieci, tra quelli che si occupano dei questo tema, sono contro. Poco importa che il 10% restante siano siti dell'Oms, dei ministeri della salute, delle università, delle società scientifiche e quelli più seri di informazione medica: sono siti "istituzionali" e quindi - si sostiene - certamente venduti agli interessi delle farmaceutiche. Poco importa che ogni anno un milione e mezzo di bambini nel mondo muoia di malattie che possono essere prevenute con le vaccinazioni (morbillo, haemophilus influentiae, pertosse...). Di certo - si dice - c'è dietro lo zampino di qualche farmaceutica. E quindi l'irrazionale grancassa continuerà, con poche discussioni serie e moltissime sciocchezze. I motivi di tanto accanimento non-terapeutico sono noti: scarsa percezione dei pericoli di certe malattie (da noi quasi scomparse grazie ai vaccini), avversione non infondata all'obbligatorietà (che riguarda solo quattro vaccinazioni), gusto per il complottismo che è uno dei "motori" della Rete. L'Oms ha appena pubblicato un rapporto che esclude ogni connessione tra le vaccinazioni e l'autismo, che è uno dei cavalli di battaglia dei detrattori. Ma c'è da scommetterci che l'accusa non cadrà sul web. Si spera almeno che nessun giudice, come è avvenuto lo scorso anno a Rimini, condanni più lo Stato al risarcimento per aver provocato un caso di autismo. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 set. ’13 I CLASSICI ISPIRARONO GALENO di ARMANDO TORNO Sotto il titolo Nuovi scritti autobiografici, è uscita presso l'editore Carocci una raccolta di brevi opere dell'antico medico e filosofo Galeno (pp. 304, 19). Dotato di un sapere vastissimo, resta legato agli imperatori Marco Aurelio e Commodo, che ebbe tra i suoi pazienti; ma tra essi figurano anche gladiatori, intellettuali, cittadini romani. Il volume è stato tradotto, commentato e ha un'introduzione di Mario Vegetti, che a suo tempo curò un'ampia raccolta di testi di Galeno per i «Classici» Utet. Egli stesso ricorda il significato di «nuovi» che figura nel titolo: «Sono quattro brevi trattati di cui possediamo soltanto ora il testo greco integrale, grazie al ritrovamento nel 2005 da parte di Pietro Belli di un manoscritto di scritti galenici a Salonicco». Tra essi ha una notevole importanza L'imperturbabilità. Racconta la resistenza morale di Galeno dinanzi alle enormi perdite che egli subì a causa dell'incendio di Roma del 192 d. C., nel quale andò distrutta buona parte della sua ricca biblioteca. Ma proprio le caratteristiche di questa raccolta emergono dalle pagine ora pubblicate da Carocci, in cui si trovano anche i due scritti L'ordine dei miei libri e I miei libri. Vegetti, insomma, ci presenta la biblioteca di Galeno; o quanto è possibile oggi conoscere. In essa era custodita l'enorme massa dei suoi scritti oltre ad opere di altri autori, tra i quali il Corpus Hippocraticum e i commenti dei medici antichi ad esso. Poi vi erano i testi di altri celebri anatomisti: Erofilo, Erasistrato, Ateneo. Erano presenti molti filosofi: Vegetti evidenzia che tra le letture del celebre medico non mancava tutto Platone (nota: «probabilmente era un'edizione dei dialoghi che è la stessa da noi utilizzata»), né Aristotele con i suoi trattati biologici, certamente l'Etica nicomachea e gli ardui libri di logica, ovvero l'Organon. Aveva anche un'opera, nota Vegetti, dello stesso Aristotele sulle piante: si tratta di un testo perduto. Ma poi c'erano tutto quanto scrisse lo stoico Crisippo, del quale abbiamo soltanto frammenti (ricavati in buona parte dalle citazioni di Galeno); inoltre Teaofrasto, del quale possedeva le opere di logica e di botanica. Tra gli altri autori, evidenzia Vegetti, «c'erano la Storia di Tucidide, tutta la commedia e la tragedia greca (oltre Aristofane, egli citava molti altri autori comici)». Galeno aveva inoltre grandi raccolte di ricette per comporre farmaci che potè conoscere in ogni parte del mondo greco. Si trattava di scritti preziosi tanto che, ricorda Vegetti, «egli scambiava con altri medici queste ricette; ovviamente una delle sue ne valeva due o tre di un collega». Dobbiamo immaginare una biblioteca grandissima: non va dimenticato che soltanto i suoi scritti occupavano settecento rotoli di papiro. Di ogni testo egli ne fece realizzare altre due copie: una destinata alla sua villa in Campania e l'altra era per la biblioteca di Pergamo. Un particolare che rivela la sua grande ricchezza: il numero di copie va moltiplicato per il costo del papiro, che era alto. Siamo dinanzi a qualcosa di unico nel mondo antico. Colpiva soprattutto l'ampiezza degli argomenti che in codesta raccolta erano conservati. «Galeno soltanto — ci confida Vegetti — aveva questi interessi trasversali. Di solito i filosofi leggevano altri filosofi, i letterati si occupavano dei concorrenti che scrivevano cose simili alle loro e i medici sovente si occupavano solo di opere di medicina. Galeno era una eccezione e leggeva direttamente i testi classici, in un'epoca che aveva diffuso il ricorso ai manuali e ai compendi, i medesimi che offrivano praticamente riassunti e una conoscenza indiretta». Una biblioteca che era anche un formidabile strumento di lavoro: trattati logici, epistemologici ed etici aiutavano Galeno a «concepire meglio la sua attività terapeutica». Stiamo parlando inoltre di un'epoca nella quale si era già sviluppato un commercio libraio attivo. Vegetti ricorda che le opere di Ippocrate, il cosiddetto Corpus Hippocraticum, «era un patrimonio di biblioteche o di circoli medici chiusi», mentre gli scritti di Galeno si diffondono rapidamente sul mercato, tanto più che circolavano sia falsi che plagi. Nella raccolta di Carocci si mette in evidenza come lo stesso Galeno abbia riconosciuto una falsificazione in vendita sul banco di un libraio. E infine va aggiunto che le opere ora pubblicate in italiano ebbero a suo tempo anche un compito pratico: redigere il catalogo degli scritti autentici del celebre medico, per combattere appunto plagi e patacche. Galeno ebbe la cattiva idea di sistemare provvisoriamente tutti i libri in un deposito protetto sulla via sacra, al Palatino. Lo fece per preservarli dai furti durante la sua assenza da Roma, dovuta alle vacanze. Malauguratamente questo sito, dove gli interessati affittavano delle stanze, fu distrutto da un incendio che ridusse in cenere anche le altre grandi biblioteche pubbliche del Palatino (ve n'erano almeno tre grandi). Per Vegetti quelle fiamme causarono «una catastrofe culturale, perché si persero sia gli originali che le copie della ricca biblioteca». Galeno riuscì a rimettere insieme una parte dei suoi scritti, «quelli che erano già stati diffusi, venduti, distribuiti». Ma in quella perduta c'è «qualcosa che lui ha riscritto in parte, come il Trattato sulla Composizione dei farmaci e il Trattato sulle procedure anatomiche. Altre opere spariranno, fra le quali vale la pena ricordare, nota il curatore, «un grande lessico della commedia antica in 48 libri, nel quale Galeno spiegava tutti i termini dei comici di epoca classica». Vegetti aggiunge un'ultima curiosità: «Uno scritto dal titolo Sulle mie opinioni distingue le teorie di cui Galeno diceva di essere scientificamente convinto da quelle che riteneva degne di scetticismo, quale per esempio l'immortalità dell'anima». Il medico di Marco Aurelio, non a caso, chiarisce Vegetti, «seguiva Aristotele, contro Platone, nel considerare che l'anima costituisse l'insieme delle funzioni di un corpo vivente e non fosse separabile da esso. L'immortalità è una concezione teorica di Platone e della sua scuola, ma nella filosofia antica non era condivisa né dagli stoici, né dagli epicurei, meno che mai dagli scettici o dallo stesso Aristotele». Galeno portava a compimento una delle tendenze dominanti nella scienza e nella filosofia della sua età: «Consolidare, ricomporre sistematicamente il sapere». Per questo ebbe bisogno di una biblioteca formidabile. Per il medesimo motivo la sua medicina guardava la realtà e non invocava gli dei. PER L'ARTE MEDICA SERVE CULTURA di LUIGI RIPAMONTI L a medicina è una scienza o un'arte? Dilemma antico. L'unica risposta possibile probabilmente è: tutte e due. E da sempre. Nelle prossime pagine si propone la vicenda della biblioteca di Galeno, celeberrimo medico dell'antichità. E si pone l'accento sulla sua sterminata collezione di opere di letteratura e filosofia. Galeno, possiamo azzardare, precorre una necessità ben ravvisabile oggi. In un'epoca in cui il progresso delle scienze spinge sempre di più verso la specializzazione esasperata non sorprende che si rimanga particolarmente impressionati quando un medico, magari iperspecializzato, si rivela anche un "umanista", nel significato che in genere si attribuisce a questo termine, cioè un amante della letteratura e della cultura più in generale. Questo tipo di medico non di rado colpisce anche per la sua capacità di capire e percepire il malato nel suo insieme, di metterlo a suo agio, e, alla fine, spesso, di curarlo meglio. È qui che si realizza lo scarto fra la sola scienza e l'arte medica, che della prima sa farsi intelligente e responsabile interprete. La medicina senza solide basi scientifiche non è arte ma solo pericolosa improvvisazione. Se però queste fondamenta ci sono, la professione può evolvere in arte tanto più facilmente quando più è corroborata, oltre che da una spiccata sensibilità, anche da una profonda cultura generale. Ciò è ancora più importante in un mondo che si sta tramutando sempre di più nella propria rappresentazione, fatta di immagini, dati, comunicazioni virtuali. In questa transizione servono medici umanisti, capaci di ricordare e rispettare dell'uomo la "concreta" dignità (uomo e umanista vengono da humus= terra). C'è da augurarsi che l'esercito di pretendenti di quest'anno alle facoltà di medicina ne sia consapevole, e non dimentichi la lezione di Galeno, che non leggeva solo tomi di anatomia, ma (anche) di filosofia, storia, letteratura, logica. E magari speriamo che lo tengano presente anche gli estensori dei test di selezione di ingresso nei prossimi anni. ARISTOTELE ERA IL SUO RIFERIMENTO MA NON LO «SUBIVA» COME ALTRI S i può parlare, a proposito della medicina di Galeno, di «ragionevole scetticismo». Vegetti nota che questa caratteristica «non gli impedisce però di nutrire qualche certezza anche nel campo della teologia e della psicologia». In altre parole, l'antico medico è «almeno sicuro» che il mondo, e in particolare gli esseri viventi, siano retti da «un disegno provvidenziale che ne assicura l'ordine immanente e ne consente una spiegazione teleologica (appare poi indifferente ascrivere questo disegno agli dèi stessi o alla "natura")». Non crede nell'immortalità dell'anima; tuttavia è certo che essa sia divisa in tre parti, «o centri motivazionali», come riferisce Platone nel IV libro della Repubblica (nel Timeo, invece, la localizza somaticamente). Di più: scrive Vegetti che per Galeno l'anima «una volta insediata in un corpo, è solidale con esso, sia nello svolgere le sue funzioni, sia nel subirne gli influssi patologici, risultandogli in questo senso completamente "asservita"». Insomma un equilibrato scetticismo che «risulta perfettamente compatibile con l'antidogmatico eclettismo di Galeno, che non va affatto concepito come un bricolage di opinioni». Più vicino ad Aristotele che a Platone («nonostante preferisca tacere questa affinità», sottolinea Vegetti), non è comunque un seguace passivo del filosofo, come accadrà per molti uomini di scienza dei secoli successivi: egli sa che l'errore capitale di Aristotele è il cardiocentrismo. Questo non gli impedisce di valorizzare temi aristotelici nella sua etica, come quello della «moderazione passionale». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 set. ’13 CHIRURGHI PREPARATI, MA POCO «EMPATICI» Chirurghi preparati ma poco propensi a comunicare con i pazienti, ad ascoltarli e a dare loro supporto durante il ricovero. A dare "le pagelle" agli specialisti della sala operatoria sono stati circa i 2.400 italiani, ricoverati in 240 ospedali, che hanno partecipato a un'indagine realizzata dalla Fondazione "Chirurgo e cittadino" in collaborazione con Acoi, l'Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani e con Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato. Buona parte dei ricoveri considerati dallo studio ha riguardato interventi programmati: il 57% dei pazienti è stato ricoverato in regime ordinario, poco meno del 20% ha avuto un intervento in day surgery, il 23% è stato invece operato d'urgenza. L'indagine ha passato in rassegna, attraverso la lente dei pazienti, non solo la preparazione dei camici verdi ma anche la loro capacità di comunicare e l'aspetto umano della relazione con gli assistiti. Ebbene, sulle competenze professionali dei chirurghi quasi il 90% degli intervistati ha dato giudizi buoni e sufficienti e solo il 5% ha ritenuto insufficiente il trattamento ricevuto (l'8% non ha risposto). «Dobbiamo migliorare anche quel "sufficiente" — commenta Rodolfo Vincenti, coordinatore della ricerca e past president di Acoi —. Un chirurgo non deve essere pienamente soddisfatto della sua prestazione se il paziente esce dall'ospedale con la convinzione che si sarebbe potuto fare meglio». Ma è quando si entra nel merito del rapporto medico-paziente che i giudizi diventano più critici. Del resto, un intervento chirurgico, per quanto programmato, viene vissuto nella maggior parte dei casi con timore, per cui i pazienti vorrebbero sentire "vicini" coloro nelle cui mani si stanno affidando e, allo stesso tempo, ricevere notizie chiare sul quadro clinico e su ciò si prospetta. Secondo l'indagine, le informazioni date dai chirurghi sulla malattia e l'intervento sono ritenute buone soltanto dal 53% del campione (sufficienti dal 20%, inadeguate dal 10%, mentre un altro 10% non ha risposto). «La scarsa comunicazione tra medico e paziente continua a essere segnalata dai cittadini anche al Pit Salute ogni anno — afferma Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale dei diritti del malato — . Le informazioni fornite dai medici non sempre sono comprensibili, per cui, spesso, il paziente non è in grado di capire appieno le implicazioni dell'intervento». Quasi un intervistato su due suggerisce ai chirurghi di migliorare la comunicazione con i pazienti, ma anche con i relativimedici di famiglia. Tra gli altri punti critici evidenziati dagli assistiti c'è la scarsa attenzione ai disturbi fisici che i trattamenti possono portare con sé: il fastidio provocato da un sondino, per esempio, o quelli causati da un catetere. Non a caso, l'assenza del dolore è indicata da un terzo del campione come uno dei principali elementi di riuscita dell'intervento, subito dopo il "ritorno alla vita di tutti i giorni" e il "conseguimento dei risultati clinici previsti". Lo studio ha rilevato anche i giudizi sugli aspetti organizzativi e gestionali del ricovero. I pazienti segnalano, in particolare, liste di attesa troppo lunghe per l'intervento, qualità della sistemazione alberghiera non sempre adeguata e tempi eccessivi per il rilascio della documentazione clinica dopo le dimissioni. Ma, soprattutto, sono insoddisfatti della scarsa frequenza delle visite giornaliere dei medici in reparto e della breve durata di queste visite: lo afferma circa il 15% del campione. «Non basta ai pazienti vedere il chirurgo una sola volta al giorno e per pochi minuti: vorrebbero più tempo dedicato all'aspetto umano dell'assistenza — sottolinea Vincenti —. Dopo questo studio approfondiremo gli aspetti giudicati carenti dai ricoverati, ampliando anche il campione esaminato. Di certo, emerge che oggi i bisogni di comunicazione e umanizzazione sono tra le principali esigenze dei cittadini che accedono a strutture chirurgiche. È quindi necessario rafforzare l'alleanza terapeutica tra medico e malato». Maria Giovanna Faiella IN OSPEDALE CON VISITA PRIVATA O PER AMICIZIA Chi deve sottoporsi a un intervento chirurgico come accede all’ospedale? L’indagine realizzata dalla Fondazione "Chirurgo e cittadino" evidenzia che al Nord prevalgono i pazienti che si sono rivolti a un ambulatorio del reparto chirurgico; nel Centro-Sud del Paese, invece, è più frequente la strada del contatto diretto con lo specialista attraverso una visita privata. L’ingresso in ospedale tramite visita privata e/o "amicizie" in ambiente sanitario è stato indicato da circa il 55% del campione. «Lo studio evidenzia che questa pratica i più diffusa nel Centro-Sud, ma che è presente anche al Nord — commenta Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale per i diritti del malato — . La visita privata o in intramoenia, però, deve essere una libera scelta, non una chiave di accesso al servizio pubblico, altrimenti c'è qualcosa che non funziona». «Soltanto il 40,8% dei pazienti si è informato sia sul chirurgo sia sulla struttura ospedaliera» sottolinea inoltre Rodolfo Vincenti, past president dell’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani. E tra chi si è informato prima quasi un paziente su due ha scelto in base ai consigli di amici e parenti. _____________________________________________________________ Sanità News 22 set. ’13 RITMI CIRCADIANI E MORTE PER ARRESTO CARDIACO MATTUTINO: C'E' UN LEGAME MOLECOLARE (Sn) - Roma, 09 set. - Alcuni scienziati della University of Cleveland hanno trovato, per la prima volta, un legame molecolare fra i ritmi circadiani naturali del corpo e la morte improvvisa per arresto cardiaco, la prima causa di morte negli attacchi di cuore. Lo studio, presentato durante il 246esimo National Meeting & Exposition of the American Chemical Society che si sta tenendo all'Indiana Convention Center, offre quella che finora e' la piu' accurata spiegazione mai data per la prevalenza di morti per arresto cardiaco nelle ore del mattino. Gli scienziati hanno individuato un fattore finora sconosciuto che concorre alla tempesta elettrica che induce il cuore a pompare in modo irregolare: la fibrillazione ventricolare impedisce l'afflusso di sangue al corpo e al cervello e la vittima del disturbo diventa incosciente e muore istantaneamente a meno che non si intervenga con rianimazione cardio- polmonare o defibrillatore. I ricercatori hanno scoperto che una proteina, chiamata KLF15 e' quella su cui si basa il legame fra attacco cardiaco mortale e ritmo circadiano: i topi con minori livelli di questa proteina avevano piu' spesso attacchi cardiaci nelle prime ore del mattino, fra le 6.00 e le 10.00. _____________________________________________________________ Sanità News 19 set. ’13 PER L’OMS NON C’E’ RELAZIONE FRA VACCINI E AUTISMO L’Oms, che ha appena pubblicato sul suo sito un ‘vademecum’ aggiornato sulla malattia, afferma che non c’è nessuna prova scientifica sul fatto che i vaccini siano relazionati all’autismo, anzi, tutti gli studi condotti finora escludono questa connessione. ”I dati epidemiologici disponibili non mostrano nessuna evidenza di correlazione tra il vaccino trivalente per morbillo, rosolia e parotite e l’autismo, e lo stesso vale per ogni altro vaccino infantile, si legge sul sito. Studi commissionati dall’Oms hanno inoltre escluso ogni associazione con gli adiuvanti al mercurio usati in alcune formulazioni”. La scheda riassume le ultime scoperte, dalla prevalenza, che la media delle ricerche fissa a un caso ogni 160 bambini, al fatto che nella metà dei casi la patologia provoca problemi cognitivi. La diagnosi dell’autismo, anche se sarebbe più corretto parlare di ‘disordini dello spettro autistico’ per sottolineare che si tratta in realtà di una serie di malattie diverse, può essere fatta tra uno e due anni di età del bimbo. Ancora poco, conferma il vademecum, si sa delle cause. ”Le evidenze scientifiche – sottolinea il documento – suggeriscono che vari fattori, sia genetici che ambientali, possono influire sull’insorgere dei disordini dello spettro autistico influenzando lo sviluppo iniziale del cervello”. _____________________________________________________________ Sanità News 19 set. ’13 SUCCESSO A ROVIGO PER I SERVIZI DI DIAGNOSTICA NOTTURNI "Abbiamo iniziato l’8 agosto con una sperimentazione, anche se era previsto l’inizio per il primo di settembre. Già 200 visite. Per ora come direzione siamo molto contenti dei risultati. Non solo, ma abbiamo la sensazione che sia molto contenta anche l’utenza". Il direttore sanitario dell’Ulss 18 Ferdinando Sortino traccia un bilancio sul primo mese e mezzo di servizi di diagnostica di notte. "Tutto parte dalla delibera 320 della Regione che si prefigge di andare incontro alle esigenze dei cittadini. Per agevolare chi ha difficoltà a prendere una giornata di permesso al lavoro, o per i liberi professionisti — spiega Sortino —. Abbiamo messo in piedi un programma preciso per il servizio di radiologia diagnostica, quindi l’utilizzo di macchinari pesanti ad alta tecnologia, macchine costose, quindi c’è anche un ritorno economico nell’utilizzo spinto. Parliamo di risonanze, mammografie, ecografie. E poi abbiamo puntato molto anche sulla medicina nucleare. Gli esami Pet. Le Tac. Per la quale abbiamo molta richiesta anche da fuori provincia". Il reparto di medicina nucleare è una delle eccellenze che l’anno scorso l’Ulss 18 ha rischiato di perdere con la revisione delle schede ospedaliere da parte della Regione. Un reparto in cui sono stati investiti molti milioni per macchinari di alto livello che non sarebbero potuti essere trasferiti. Ma l’eccellenza è rimasta a Rovigo. "Le aperture notturne sono il lunedì e il mercoledì dalle 20 alle 23 per quanto riguarda la radiologia diagnostica — fa sapere Sortino —. E gli stessi giorni ma dalle 20 a mezzanotte per gli esami di medicina nucleare". Poi Sortino va nel dettaglio dei numeri: "In agosto sono state fatte 53 visite in tre settimane. Di queste, 18 risonanze e 35 mammografie che comprendevano anche un’ecografia. Per quanto riguarda settembre, di 47 visite, 33 screening mammografici con mammografia, risonanza e ecografia. Il resto risonanze semplici". Bisogna tenere conto che, nonostante la pubblicizzazione, non tutta la popolazione è informata. "Per quanto riguarda la medicina nucleare in agosto sono state fatte 90 prestazioni, di cui 68 Spec-ct, il resto Pet — spiega Sortino —. In settembre 32 Pet". Ma in futuro l’offerta dell’ospedale di Rovigo è destinata ad allargarsi. Il direttore sanitario infatti annuncia: "Ricordando che il sabato mattina svolgiamo già attività di diagnostica. In futuro abbiamo intenzione di comprendere anche il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Vogliamo formulare una proposta modulata sulle liste d’attesa". E probabilmente non si parlerà solo di diagnostica. "Vorremmo estendere l’offerta del notturno e dei festivi — anticipa Sortino — anche alle visite specialistiche, come quelle cardiologiche per esempio" _____________________________________________________________ Sanità News 17 set. ’13 AUMENTA IN EUROPA LA RICHIESTA DI OCCUPAZIONE NELLA SANITA’ Infermieri e ostetriche, fisioterapisti e tecnici di laboratorio. L'Europa cerca manodopera nella sanità. Qui, calcola la Commissione europea, tra il 2008 e il 2012 l'occupazione è cresciuta di quasi il 2% l'anno. In controtendenza rispetto alla fase di disoccupazione record, con il 12% di senza lavoro nell'Eurozona e il doppio fra i giovani sotto i 25 anni. L'Italia è tra i Paesi in cerca di addetti in un settore che in Europa, negli ultimi 12 mesi, ha visto assumere un milione di persone. Anche se, nell'ultimo trimestre 2012, il loro numero è sceso. Per la prima volta dal 2010. Oggi in Europa un lavoratore su dieci lavora nel comparto, con tassi ancora superiori in Germania e Gran Bretagna. Nella classifica delle occupazioni a più rapida crescita tra il 2011 e il 2012 stilata dalla Ue, al primo posto ci sono quelle che riguardano le cure personali. Altre tre professioni sanitarie rientrano nel gruppo delle 25 in espansione: personale infermieristico e ostetrico, tecnici medici e farmaceutici e altre figure come dentisti, farmacisti e fisioterapisti. Nel medio termine, le prospettive di lavoro più promettenti sarebbero quelle di infermieri e ostetriche. Succede, sostiene sempre la ricerca della Commissione Ue, perché tra gli addetti aumentano i vicini alla pensione. Ma anche per il numero insufficiente di infermieri formati, unito alla scarsa propensione ai lavori impegnativi dal punto di vista fisico. L'Osservatorio dei posti di lavoro vacanti della Commissione europea, fonte delle stime, inserisce l'Italia tra i Paesi con più richieste, insieme a Francia, Germania e Gran Bretagna. Nel nostro Paese, nel quarto trimestre 2012 i servizi alla persona nell'assistenza sanitaria impiegavano 546.200 addetti, in aumento di 89.200 unità rispetto allo stesso periodo dell'anno prima. All'origine del fenomeno, secondo l'analisi trimestrale, ci sono l'invecchiamento della popolazione, lo sviluppo tecnologico nei trattamenti sanitari, le aspettative dei cittadini di servizi più efficienti e la maggiore importanza della prevenzione. Dopo i servizi alla persona nell'assistenza sanitaria, le professioni che registrano i principali aumenti di assunzioni sono lo sviluppatore di applicazioni software e l'analista. Poi, il segretario amministrativo e specializzato, il supervisore di miniera, di produzione e di costruzione e l'insegnante elementare e per la prima infanzia. La crescita dell'impiego nella sanità contrasta con il calo del 4% su base annua nella richiesta di lavoro dell'Unione. Anche se tra ottobre e dicembre 2012 il numero degli assunti è sceso, del 5%, pure nel gruppo "operatori sanitari". È la prima volta che succede dal secondo trimestre del 2010. Sempre sul fronte dell'occupazione, il 9 settembre si sono aperte su Cliclavoro.gov.it le registrazioni delle aziende che vogliono partecipare ad "Amva - Giovani laureati Neet". Il progetto, partito ad agosto, è dedicato a chi ha tra i 24 e i 35 anni e risiede in Calabria, Campania, Puglia o Sicilia. Ai vincitori, un tirocinio di sei mesi, con borsa mensile di 500 o 1300 euro lordi a seconda della sede. I candidati, in possesso di laurea, non devono frequentare percorsi formativi né lavorare. Per loro le iscrizioni su Cliclavoro.gov.it si apriranno il 23 settembre. _____________________________________________________________ Sanità News 17 set. ’13 LE CARIE POTENZIALI DIFESE DAI TUMORI DELLA TESTA E DEL COLLO Le persone che hanno piu' carie potrebbero essere protette da alcuni tumori del cavo orale. Lo afferma uno studio dell'universita' di Buffalo pubblicato dalla rivista Jama Otolaryngology Head & Neck Surgery, secondo cui l'effetto sarebbe dovuto all'acido lattico prodotto dai batteri che causano il problema. Per lo studio sono stati valutati 399 pazienti con tumori del collo e della testa, confrontati con 221 persone senza il cancro. I soggetti con piu' carie hanno mostrato un rischio minore del 32% di avere tumori a testa e collo, anche una volta tenuto conto di altri fattori come il fumo e il consumo di alcol. "Questo non vuol dire che le persone devono lasciare che i denti sviluppino carie - scrivono gli autori - il vantaggio e' minimo rispetto ai danni da una scarsa igiene orale". DENTAL CARIES AND HEAD AND NECK CANCERS Mine Tezal, DDS, PhD1; Frank A. Scannapieco, DMD, PhD1; Jean Wactawski- Wende, PhD2; Jukka H. Meurman, MD, PhD3; James R. Marshall, PhD4; Isolde Gina Rojas, DDS, PhD5; Daniel L. Stoler, PhD6; Robert J. Genco, DDS, PhD1 Importance Dental caries is the demineralization of tooth structures by lactic acid from fermentation of carbohydrates by commensal gram-positive bacteria. Cariogenic bacteria have been shown to elicit a potent Th1 cytokine polarization and a cell-mediated immune response. Objective To test the association between dental caries and head and neck squamous cell carcinoma (HNSCC). Design, Setting, and Participants Case-control study in a comprehensive cancer center including all patients with newly diagnosed primary HNSCC between 1999 and 2007 as cases and all patients without a cancer diagnosis as controls. Those with a history of cancer, dysplasia, or immunodeficiency or who were younger than 21 years were excluded. Exposures Dental caries, fillings, crowns, and endodontic treatments, measured by the number of affected teeth; missing teeth. We also computed an index variable: decayed, missing, and filled teeth (DMFT). Main Outcomes and Measures Incident HNSCC. Results We included 620 participants (399 cases and 221 controls). Cases had a significantly lower mean (SD) number of teeth with caries (1.58 [2.52] vs 2.04 [2.15]; P?=?.03), crowns (1.27 [2.65] vs 2.10 [3.57]; P?=?.01), endodontic treatments (0.56 [1.24] vs 1.01 [2.04]; P?=?.01), and fillings (5.39 [4.31] vs 6.17 [4.51]; P?=?.04) but more missing teeth (13.71 [10.27] vs 8.50 [8.32]; P?