RASSEGNA STAMPA 16/06/2013 ADDIO ALLA CLINICA MACCIOTTA UN PIANO STUDIATO NEI MINIMI DETTAGLI I PRIMI VAGITI DEL “BLOCCO Q” MICROCITEMICO: LAVORI IN CORSO AL POLO PEDIATRICO VUOI FONDI PER LA RICERCA? SCRIVI (SOLO) UNA PAGINA MELIS: NON ILLUDIAMO GLI STUDENTI DI NUORO ANCHE DUE DOCENTI CAGLIARITANI NELLA “BIBBIA” DELL'ARCHITETTURA ARRIVA IL BONUS PER LA MOBILITÀ DEGLI STUDENTI MERITEVOLI MATURITÀ, I NUOVI BONUS IL PUNTEGGIO MASSIMO SOLO A CHI PRENDE LA LODE I COSTI DELLA MALEDUCAZIONE IN UFFICIO LA FILOSOFIA CHE CHIARISCE LA FISICA ECONOMISTA CONTRO GIURISTA. SFIDA BOCCONIANA SULL'AUSTERITY ========================================================= GESSA: SIGARETTA ELETTRONICA, L'INGANNO SULLA PISTA DELL'AUTOGUARIGIONE GRAZIE ALL'ECOGRAFIA DELL'ANIMA UNICA: CURE DIVERSE PER LA SALUTE DI UOMINI E DONNE UNICA: DE LISIA PRIMARIO RINVIATO A GIUDIZIO COLESTEROLO OK COL PECORINO CLA BUON COMPLEANNO INSULINA LA DECISIONE DELLA CORTE USA «I GENI UMANI NON SI BREVETTANO» LA PELLE DIVENTA PANCREAS CON LE CELLULE RIPROGRAMMATE GLI ITALIANI VANNO MENO AL PRONTO SOCCORSO CALATI DI UN MILIONE GLI ACCESSI AI PRONTO SOCCORSO NEL 2012 TEMPI PIÙ BREVI PER LE NUOVE CURE TAGLIO AI CERTIFICATI MEDICI SUL POSTO DI LAVORO ALL’ITALIA IL RECORD EUROPEO DI INFEZIONI DA EPATITE C META’ OSPEDALI META’ ASL: ARRIVANO LE RETI CLINICHE NEL 2016 QUASI UN MILIONE DI ITALIANI SENZA MEDICO DI FAMIGLIA ========================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Giu. ’13 ADDIO ALLA CLINICA MACCIOTTA, LA NOTTE INFINITA DEI GENITORI IN ATTESA DI NOTIZIE Ore d'ansia per trentasei creature: «Ma è stata un'operazione perfetta» Mamma Isa ha gli occhi sbarrati, c'è un'altra notte lunghissima che non passa mai. Cammina da un angolo all'altro della camera da letto, di dormire neanche a parlarne. L'ansia è un groppo in gola, il cuore batte forte. Qualche chilometro più in là la sua piccola è impegnata in un viaggio faticosissimo. Quel corpicino così esile deve arrivare sino a Monserrato. Via dalla clinica Macciotta, comincia l'era del Policlinico. Un chilo e pochi grammi, la voglia di vivere arrivata troppo presto: «Doveva nascere in piena estate, ha scelto di venire al mondo a maggio». L'ambulanza corre veloce alle prime luci dell'alba, quando la macchina del nuovo ospedale pediatrico dietro la 554 ha già preso vita da qualche ora. Le sirene tagliano il silenzio di un sabato ancora fresco di maestrale. «Con i casi meno gravi abbiamo testato le manovre di trasferimento», racconta Ennio Filigheddu, direttore generale dell'Azienda ospedaliero-universitaria. «Poi è partita l'operazione più delicata, abbiamo trasportato i piccoli pazienti considerati critici». Dieci in tutto, compresa Paola. Doveva nascere in un'altra stagione, doveva nascere da un'altra parte: «Siamo venuti qua in vacanza per una settimana, una gestosi improvvisa ha cambiato tutto», spiega Isa. Vita stravolta in un giorno, quella creatura grande come il palmo di una mano si è ritrovata sotto il vetro opaco dell'incubatrice, con i tubi obbligati a darle ossigeno perché i polmoni non sono ancora pronti. Papà Pier non nasconde la sua agitazione. Tra le mani quel foglio preso venerdì alla Macciotta: «Ci hanno dato tutte le istruzioni per come comportarci in queste ore». Un saluto alla piccola nel tardo pomeriggio, poi a casa, da parenti, ad aspettare il via libera per Monserrato. Alle dieci il telefono squilla: «È andato tutto bene, potete venire a portare il latte». Le lacrime rigano il volto di Isa: «Anche questa è andata». Subito in macchina per trovare la strada più veloce. «Dovremo abituarci al nuovo percorso, più o meno impiegheremo lo stesso tempo», ragiona Pier. «Ma devo ancora studiare la strada migliore». Due volte al giorno, per accarezzare le guance rosse di Paola, che chiede ancora un po' di tempo prima di poter finire tra le braccia di mamma e papà. Le trentasei culle trasferite da via Porcell a Monserrato cambiano la storia della pediatria cagliaritana, inizia un capitolo nuovo di quella sarda. La Clinica Macciotta esaurisce il suo compito dopo «decenni attraversati da centinaia di bambini e generazioni di famiglie sarde», ricorda l'assessore alla Sanità Simona De Francisci insieme al presidente della Regione Ugo Cappellacci. «Esprimiamo la gratitudine a tutti coloro che in questa operazione delicatissima sono stati genitori adottivi dei piccoli pazienti». Medici, infermieri, autisti, vigili del fuoco, forze dell'ordine, protezione civile: «Siamo stati tutti padri e madri aggiunti dei “neonatini”, ai quali un giorno sarà raccontato di cosa si sono resi involontari protagonisti». L'operazione è durata poco meno di undici ore, quasi tutte nella notte tra venerdì e sabato. L'ultimo piccolo paziente è arrivato al Policlinico un po' prima delle undici. Tutto secondo copione, nessun contrattempo. Programmi addirittura anticipati: «L'operazione di trasferimento è stata faticosa ma senza sbavature», conferma Filigheddu. «Siamo entrati nell'ospedale del futuro». Giulio Zasso _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Giu. ’13 UN PIANO STUDIATO NEI MINIMI DETTAGLI Nessuna emozione, per loro è stata solo una notte di ordinaria emergenza. Gli equipaggi delle sei ambulanze che hanno fatto la spola dalla Clinica Macciotta al Policlinico di Monserrato sanno gestire anche i momenti più delicati. Nella loro professione non c'è spazio per paura o tentennamenti, ma la serata di venerdì rimarrà impressa per sempre anche nella loro memoria. «È il mio lavoro, sono abituato a queste situazioni delicate», dice con apparente tranquillità uno degli autisti. «Certo, la responsabilità è grande e questa notte la sentiamo più che mai, ma ci siamo preparati da tempo perché tutto si concluda senza problemi». A pochi minuti dalla partenza della prima ambulanza, la tensione comincia a salire. Nulla deve essere lasciato al caso e il personale dei mezzi di soccorso viene convocato per ripassare un'ultima volta la procedura. Il programma deve essere rispettato spaccando il secondo. Si pianifica ogni dettaglio, anche la pendenza con cui l'ambulanza deve accogliere le barelle con i piccoli ospiti. «Tra tutti i pazienti che trasportiamo ogni giorno», racconta un operatore dell'Associazione Esculapio, «i neonati prematuri sono quelli più preziosi e delicati. Tutto deve essere fatto con la massima cura». Un tragitto di quattordici minuti separa via Porcell dall'ospedale di Monserrato. Le ambulanze lasciano la clinica in coppia. Hanno una scorta degna di un capo di Stato, la città si ferma al passare del corteo. «Abbiamo compiuto decine di volte questo tipo di trasferimenti», racconta un volontario a bordo di una delle ambulanze, «ma questa notte è speciale: stiamo lavorando fianco a fianco con centinaia di professionisti e sappiamo di avere gli occhi di tutta la comunità addosso». L'emozione è palpabile nell'aria e anche il più freddo dei professionisti capisce che sta contribuendo a segnare un momento storico della città. Dopo ottanta anni, si celebra la chiusura della clinica Macciotta e con essa quella di un capitolo fondamentale della pediatria in Sardegna. Gianna Licheri, infermiera con trenta anni di servizio, accompagna con gli occhi la prima incubatrice caricata sull'ambulanza. Lo sguardo apprensivo è come quello di una madre che vede il figlio partire. «Ho alle spalle tanti anni di esperienza ma oggi sono commossa». In un secondo ingresso un'altra ambulanza aspetta il piccolo paziente. Dall'interno si notano le facce incuriosite di medici e infermieri. Guardano con meraviglia lo spiegamento di forze in campo. Qualcuno scatta anche delle foto, per testimoniare l'evento straordinario. «Siamo un po' sorpresi per tutta questa agitazione», ammette una dottoressa guardando via Porcell illuminata da decine di lampeggianti, «ma è giusto dare a questi bambini tutte le attenzioni». Accompagnati da oltre cento angeli custodi, per trentasei piccole creature è cominciato così un viaggio sicuro verso la nuova casa. Luca Mascia _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Giu. ’13 I PRIMI VAGITI DEL “BLOCCO Q” L'assessore De Francisci: «Commossa». Il direttore dell'Aou Filigheddu: «Tutto ok» I PRIMI VAGITI DEL “BLOCCO Q” Inizia l'era della pediatria al Policlinico di Monserrato VEDI LA FOTO Tiene il pugno chiuso, come se non avesse alcuna intenzione di arrendersi. È piccolissimo, poco più di due mani messe insieme. Ha meno di un mese, eppure ha già scoperto quanto la vita può essere dura. Settecentosettanta grammi che sembrano scomparire dentro l'incubatrice, è intubato, collegato a un macchinario gigante rispetto al suo corpicino fragile. È uno dei 36 piccoli pazienti che ieri hanno iniziato a scrivere la prima pagina della nuova storia pediatrica della Sardegna. Attorno al Policlinico di Monserrato c'è un'atmosfera particolare: un cordone di forze dell'ordine, protezione civile e volontari vigila su quelle piccole creature protagoniste di una storia più grande di loro. Al piano terra del blocco Q medici, infermieri, tecnici e manutentori aspettano l'arrivo dei pazienti più critici. Sui volti i segni della notte insonne: la maratona della solidarietà è partita nel cuore della notte e ha coinvolto tutta la Sardegna. Sassari ha prestato tre termoculle per il trasporto, Nuoro due, Olbia una. Altre due arrivano da Roma. La radio gracchia, l'ultima ambulanza è appena partita da Cagliari. Dopo 15 minuti due moto della polizia annunciano l'arrivo al Policlinico. Mancano pochissimo alle undici, i portelloni si aprono, il personale a bordo porta fuori l'incubatrice. Dentro c'è Gabriele, un mese oggi, nato prematuro, non raggiunge il chilo. La mamma è lì accanto, lo guarda, gli sorride e tira un sospiro di sollievo. Viene portato al secondo piano con tutti gli altri bimbi che sino a ieri erano alla Macciotta. È lui l'ultimo. Il più critico. «Sono stanca ma felice ed entusiasta»: Maria Rita Pinna, coordinatrice infermieristica, ha diretto ogni fase dell'accoglienza. «È stata una bellissima esperienza, tutti hanno sentito la necessità di rendersi disponibili, dall'ultimo ausiliario delle pulizie al più titolato». La struttura di Monserrato prende vita dai respiri affannati dei neonati. Dall'ossigeno di cui alcuni non possono fare a meno. I corridoi sono freschi di pittura, le apparecchiature super moderne. «Qui troviamo una tecnologia neanche comparabile a quella della Macciotta», spiega Ennio Filigheddu, direttore dell'Aou cagliaritana. «È stata un'operazione complessa, ma è andato tutto come speravamo». Soddisfatto anche Tonino Dessì, capo di gabinetto dell'assessorato regionale alla Sanità: «Un'esperienza toccante, un momento fantastico». Il rettore Giovanni Melis mette l'accento sulla «grandissima collaborazione tra tutte le istituzioni», Piero Tamponi, direttore amministrativo dell'Aou, sullo «straordinario senso civico della città». L'assessore regionale alla Sanità Simone De Francisci ha seguito passo passo il trasferimento storico: «Visto con gli occhi di mamma è stata un'esperienza toccante». Tutto è riuscito alla perfezione, a Monserrato l'emozione pervade ogni androne. Padre Giuseppe Carrucciu, cappellano del Policlinico, non ha dubbi: «Tutti hanno mostrato una solidarietà straordinaria». E Luigi Barberino, medico, non riesce a trattenere le lacrime: «È una sensazione fortissima». Al secondo piano del Blocco Q i bimbi lottano per la vita nelle loro culle, sono ancora troppo piccoli per capire. Magari tra qualche anno i genitori gli spiegheranno quanto è accaduto quella notte di giugno. Sara Marci _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 Giu. ’13 MICROCITEMICO: LAVORI IN CORSO AL POLO PEDIATRICO CAGLIARI. L’ospedale Microcitemico è ancora in parte un cantiere, i lavori finiranno entro giugno, primi dieci giorni di luglio, poi si potrà trasferire qui il resto dei reparti oggi ospitati nella clinica Macciotta. L’ospedale pediatrico regionale anche dopo questi due trasferimenti sarà ancora incompleto perché non ci sarà tra l’altro il pronto soccorso. Per realizzare questo occorre costruire nuovi locali. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Giu. ’13 VUOI FONDI PER LA RICERCA? SCRIVI (SOLO) UNA PAGINA di GIUSEPPE REMUZZI Oggi gli scienziati valgono anche e soprattutto per quanti soldi sanno attirare. Avere un buon finanziamento per la propria ricerca vuol dire far carriera, avere più persone che lavorano con te, più attrezzature e la possibilità di essere accolti nei migliori istituti e università. E come si fa ad avere un buon finanziamento? Serve come minimo un buon progetto. C'è il caso che siano 50 pagine, o anche di più: così il tempo degli scienziati se ne va quasi tutto per scrivere i suddetti progetti di ricerca. E quando poi si riesce ad averli davvero, questi soldi, il tempo per la scienza si riduce ancora perché bisogna amministrare il grant, appunto il denaro, che è in certi casi un lavoro a tempo pieno. Solo che dai progetti presentati per un finanziamento — che per noi può venire dall'Ue e a volte persino dal National Institute of Health degli Usa — non esce quasi mai una buona ricerca: di solito si tratta di progetti poco originali, scritti per compiacere chi deve giudicarli. Così, però, di ricerca vera se ne farà sempre meno. Si deve correre ai ripari. In un editoriale recente Alan Leshner — editore di «Science» — dice che, con sempre meno fondi, non bisogna più chiedere progetti estremamente dettagliati ma si deve scegliere sulla base di proposte molto più semplici. John Ioannidis, professore di medicina a Stanford, qualche idea ce l'ha. Ha provato a scriverle e «Nature» ne ha fatto un articolo. Immaginiamo che si distribuiscano soldi senza chiedere ai ricercatori progetti dettagliatissimi come succede oggi. Primo problema: finanziamo tutti o solo qualcuno? In Italia si è sempre scelto di dare pochi soldi a tutti. È certamente sbagliato, ma se vent'anni fa anche con pochi soldi qualcosa si combinava, oggi non più. I costi della ricerca sono tali che senza un finanziamento adeguato non si fa nulla. Meglio allora dare tanti soldi a qualcuno: se è davvero bravo quei soldi saranno spesi bene. Ma quel qualcuno come lo si sceglie? La cosa più semplice è vedere cosa ciascun ricercatore abbia già dimostrato di saper fare e della considerazione di cui gode nell'ambiente internazionale. Un po' lo si fa già: prima di decidere se finanziare o no un certo progetto si tiene conto della carriera e delle pubblicazioni di chi lo ha presentato. Un sistema così favorisce chi è all'apice della carriera ma penalizza i giovani. Alan Leshner dice che si dovrebbe mettere un limite ai soldi che si danno agli scienziati migliori — di solito già di una certa età — se no per gli altri non resta niente. Se invece si facesse quello che suggerisce Leshner ci sarebbero più risorse a disposizione dei giovani e di chi non ha ancora avuto tempo per affermarsi ma ci vuole provare. Però poi dobbiamo evitare che i giovani dedichino la maggior parte del loro tempo a scrivere progetti invece che a fare ricerca. Come? Si potrebbe chiedergli un riassunto di quello che intendono fare, con abbastanza dettagli per poter dare un giudizio (a chi è davvero bravo basta una pagina). Qualche agenzia questo ha già cominciato a farlo. Forse è venuto il momento che lo facciano tutti. Non solo: i progetti siano semplici, estremamente mirati e soprattutto brevi. Insomma, poco tempo per preparare progetti, così che ci sia più tempo per farla davvero, la ricerca. Cambiare tutto, dice Leshner. «Nature» ha il merito di aver sollevato un problema fondamentale. Il titolo del commento è: Finanziare le persone, non i progetti. Verissimo, prendiamone atto: il modo lo troveremo, cominciamo a parlarne. E ne dovrebbero parlare chi fa politica e la politica della scienza, e quelli delle agenzie che finanziano la ricerca e chi ha responsabilità nelle industrie e nelle università, i ricercatori e forse ancora di più gli ammalati. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 Giu. ’13 MELIS: NON ILLUDIAMO GLI STUDENTI DI NUORO UNIVERSITÀ. Dopo il fumoso annuncio del commissario del Consorzio Caterina Loi Il rettore Giovanni Melis: nessun nuovo corso di laurea a Nuoro Un passaggio del comunicato inviato due giorni fa dal Consorzio universitario nuorese, fa saltare sulla sedia il rettore dell'Università di Cagliari Giovanni Melis. Nella nota il commissario Caterina Loi annunciava di aver avuto mandato dal presidente della Provincia Roberto Deriu e dal sindaco Alessandro Bianchi riunitisi in assemblea, di definire i contatti con la facoltà di Cagliari di Scienze politiche per la «fruibilità presso la sede di Nuoro del corso di laurea triennale di Scienze politiche e magistrale di Politiche, società e territorio». Ieri una precisazione dall'ateneo cagliaritano: «Non è previsto un ampliamento dell'offerta formativa con l'attivazione di nuovi corsi di laurea nella sede decentrata di Nuoro per l'anno accademico 2013/2014». Contattato telefonicamente Melis premette: «Per carità, lungi da me ogni volontà polemica, vorremmo solo che non si ingenerassero false aspettative negli studenti nuoresi». E aggiunge: «Prendiamo atto con soddisfazione della collaborazione con il dipartimento di Scienze sociali e delle istituzioni, ma di fatto c'è solo l'attivazione di un master di primo livello in Politiche per lo sviluppo locale, con sede a Nuoro, e l'idea di dare vita a una sinergia e uno scambio previa predisposizione di supporti didattici per facilitare la fruizione in loco». Eventuali lezioni in videoconferenza dunque, nulla di più per ora è plausibile immaginare. Accordi che peraltro non sono ancora stati sottoscritti, la cui operatività in ogni caso è subordinata a risorse di cui al momento non disporrebbe il Consorzio. Così traspare dalle parole della stessa Caterina Loi, che, nell'ipotizzare «lezioni frontali oltre a quelle a distanza», lancia un appello alla Regione perché «non ci lasci soli e provveda a un'adeguata copertura finanziaria dei nostri progetti». Il problema di fondo sembra però essere un altro: le linee ministeriali hanno posto dei paletti molto severi sull'apertura di corsi periferici e questo rende difficile, se non impossibile, che ciò possa avvenire a Nuoro. (fr.gu.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 Giu. ’13 ANCHE DUE DOCENTI CAGLIARITANI NELLA “BIBBIA” DELL'ARCHITETTURA Italo Meloni e Francesco Sechi nel volume curato da Renzo Piano Ci sono anche due docenti dell'ateneo di Cagliari nell'Almanacco dell'Architetto, l'opera ideata da Renzo Piano. L'archistar ligure ha voluto tra i collaboratori dell'immenso doppio volume Italo Meloni e Francesco Sechi. Noti e stimati dalla comunità scientifica locale e internazionale nel campo dei trasporti, i professionisti hanno fatto parte del gruppo di esperti che ha fornito un contributo scientifico alla redazione dell'Almanacco. Italo Meloni, professore di Pianificazione dei trasporti e direttore del Crimm (Centro ricerche modelli di mobilità dell'Università), scrive nel capitolo “Mobilità” (a cura di Fabio Casiroli). Lo specialista tratta il capitolo sul tema “Il ruolo dei mezzi del trasporto pubblico”. Francesco Sechi, studio Systematica Mlab di Cagliari, coordinatore del Pum di Cagliari (Piano urbano della mobilità), si è invece occupato della “Guida rapida all'uso dei Gis per costruire analisi di accessibilità di microscala”. Milletrecento pagine di grande formato (24x34), oltre cinquemila immagini, 400 tra i più importanti studi di architettura e ingegneria al mondo coinvolti, i più quotati fotografi del settore: è davvero imponente la mole dell'“Almanacco dell'architetto” voluto da Piano. L'opera è strutturata in nove sezioni che abbracciano progressivamente e idealmente tutte le fasi della costruzione di un edificio: partendo dalla fondazione, la struttura in elevazione, l'involucro, la copertura, l'ambiente interno, gli impianti, fino all'ambiente esterno, in termini di paesaggio, di spazio urbano e mobilità. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Giu. ’13 ARRIVA IL BONUS PER LA MOBILITÀ DEGLI STUDENTI MERITEVOLI Diciannove milioni di euro per assicurare il sostegno del merito e della mobilità interregionale degli studenti universitari. Sono le «borse per la mobilità» a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendano iscriversi per l’anno accademico 2013- 2014, a corsi di laurea ovvero a corsi di laurea magistrale «a ciclo unico» presso università statali o non statali italiane, con esclusione delle università telematiche. Il fondo è ripartito tra le Regioni che erogano le risorse. Sblocco del «turn over» nelle università per l’anno 2014: si libereranno posti per 1.500 ordinari e 1.500 nuovi ricercatori. Il risultato si ottiene elevando dal 20 a 50% il limite di spesa consentito rispetto alle cessazioni dell’anno precedente. Le singole università potranno quindi assumere, nel rispetto delle specifiche disposizioni, sui limiti di spesa per il personale e per l’indebitamento senza superare, a livello di sistema, il 50% della spesa rispetto alle cessazioni. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 14 Giu. ’13 I COSTI DELLA MALEDUCAZIONE IN UFFICIO In quattro casi su cinque fa perdere tempo e aumenta l’infedeltà all’azienda “C’è un socio della mia azienda che mi tratta come una pezza da piedi. L’ho detto al mio capo, ma lui mi suggerisce pazienza”, scrive Shwarze su Yahoo! Answers. “La mia capa è carognissima – rilancia Silviabo – ma che vuoi farci? Ho pensato di mollare, ma resisto e tengo duro”. Oggi blog e forum online abbondano di lavoratori che si lamentano dell’inciviltà in azienda ma che incassano, perché la crisi non permette di porre a rischio il posto. A soffrirne, però, non sono solo i lavoratori, perché un capo o un collega maleducato crea un grave danno economico all’azienda. L’affermazione poggia sul marchio di qualità di una delle più quotate università del mondo. Con il titolo “Il prezzo dell’inciviltà”, infatti, la Harvard business review (Hbr) pubblica un articolo che riporta misurazioni sul campo delle conseguenze della villania in azienda. “Negli ultimi 14 anni – spiega Hbr – abbiamo raccolto dati da più di 14 mila persone: il 98% ha sostenuto di aver subito comportamenti maleducati in azienda. Nel 2012, poi, uno su due dice d’essere stato trattato male almeno una volta a settimana: nel 1998 il rapporto era di uno su quattro”. Il problema è che la villania ha un costo elevato e che poche aziende ne sono consapevoli. Nell’indagine si leggono percentuali preoccupanti riguardo a chi ha subito atti d’inciviltà: l’80% sottrae tempo al lavoro per il turbamento patito, il 78 % diventa meno fedele all’azienda, il 66% confessa di aver diminuito il proprio rendimento, il 48% riduce intenzionalmente l’impegno sul lavoro. Chi è stato trattato in modo sgarbato, infine, diminuisce del 30% la sua creatività. Chiarito che non si tratta di mobbing, cioè di molestie sistematiche al fine di emarginare il lavoratore, ma “solo” di maleducazione e arroganza, l’impatto su efficienza e produttività aziendale è evidente. Anche se in Italia non esistono ricerche analoghe, proprio l’intensità delle lamentele sui blog nostrani fa capire l’attualità del problema. “Attenzione, però, si tratta di reali comportamenti incivili o solo di percezioni soggettive? – si domanda Cristina Brusati, psicologa del lavoro e consulente del gruppo Mcs – Spesso si accusano i superiori di maltrattamenti e maleducazione solo per giustificare le proprie basse performance. Anche se nei dati americani c’è un elemento che sottoscrivo: quando l’inciviltà supera una soglia memoria e concentrazione si abbassano e la creatività viene meno”. Hbr, comunque, mette in guardia dall’effetto imitativo della maleducazione: il 25% dei manager che ammettono di essersi comportati male dice di averlo fatto perché i loro leader, i loro modelli di comportamento, lo facevano. Paolo Citterio, presidente dell’associazione dei direttori del personale Gidp, concorda comunque sugli sconvolgimenti che la maleducazione provoca in azienda: “Specialmente se il litigio è causato da chi ha più potere. Tuttavia anche tra pari livello l’effetto dell’inciviltà è che non viene penalizzato solo il perdente nello scontro diretto, ma tutto il gruppo a lui legato. Con evidenti conseguenze negative sull’andamento aziendale”. Enzo Riboni _____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 Giu. ’13 MATURITÀ, I NUOVI BONUS IL PUNTEGGIO MASSIMO SOLO A CHI PRENDE LA LODE Soglie definite in base ai voti dell'anno ROMA — A una settimana dall'inizio degli esami di maturità, con la traccia di italiano fissata per il 19 giugno, mentre impazza sul web il toto-tema e Ungaretti, Svevo, Pirandello, Quasimodo e Montale sono, pensano i maturandi, certamente in pole position per la traccia di letteratura, si è chiusa ieri, almeno per quest'anno, la vicenda dei contestatissimi «bonus maturità». I 10 punti, cioè il massimo, saranno concessi soltanto a chi prende anche la lode. Da uno a nove punti di «bonus» andranno invece a chi avrà ottenuto, alla maturità, da 80 a 100, secondo la tabella che è pubblicata nel grafico a destra. Il voto deve anche essere non inferiore all'80esimo percentile della distribuzione dei voti della propria commissione d'esame assegnati quest'anno. L'aveva promesso il ministro Maria Chiara Carrozza che entro mercoledì avrebbe firmato un decreto per rendere «più equo» il bonus, ovvero quel punteggio extra che gli studenti delle superiori più meritevoli potranno aggiungere al punteggio ottenuto ai test d'ingresso alle facoltà a numero chiuso. E così è stato: ieri è arrivato il decreto, che oltre a rivedere il bonus, rinvia le date dei test di ammissione alleuniversità a numero programmato: non più a luglio come deciso dal predecessore Profumo, ma di nuovo a settembre, il 3 per veterinaria, il 4 per le professioni sanitarie, il 9 per medicina e odontoiatria e il 10 per architettura. Il rinvio era necessario, ha spiegato il ministro, proprio per rendere più equo il «bonus maturità», introdotto nel 2008 da un decreto legislativo del governo Prodi ma sempre rinviato, di anno in anno, finché Profumo quest'anno ha deciso di attuarlo, nell'ottica di una scuola più meritocratica. Così come Profumo lo aveva concepito, tuttavia, agli studenti era subito saltato agli occhi che avrebbe prodotto molte disparità di trattamento, e ai rettori che avrebbe causato una valanga di ricorsi. Il decreto Profumo, infatti, stabiliva che il calcolo dei percentili dovesse avvenire sulla base dei voti attribuiti in quella scuola nell'anno scolastico precedente, con la conseguenza, protestavano gli studenti, che nel 20 per cento delle scuole sarebbe stato impossibile prendere il massimo, anche ottenendo i 100/100 e per contro, in alcune scuole, un 5 per cento del totale, sarebbe bastato diplomarsi con 80 per avere i 10 punti. Ieri Daniele Grassucci, del portale Skuola.net, che per primo aveva fatto notare l'ingiustizia di quel criterio, ha detto che il decreto firmato da Carrozza, «che assegna il 10 solo a chi prende la lode e corregge il sistema non riferendosi all'anno precedente ma a quello in corso, è una novità assolutamente positiva». Il ministro comunque ha detto che il bonus «verrà sicuramente modificato per il futuro» e che rinvio delle date dei test e «bonus maturità» così come sono decisi nel decreto firmato ieri, varranno soltanto per quest'anno. Dal prossimo si cambierà di nuovo. Carrozza vuole continuare sulla strada dell'anticipo dei test per l'ingresso alle facoltà a numero programmato, secondo l'idea del suo predecessore. Non a luglio, per non farli coincidere con gli esami di maturità ma ad aprile, ancora lontani dall'esame di Stato. In questo caso, tuttavia, è evidente che anche il bonus dovrà essere completamente modificato, di sicuro non potrà più essere legato al voto di maturità e quindi probabilmente sarà legato al curriculum di tutto il percorso superiore. Per decidere quale strada intraprendere, Carrozza ha insediato «una commissione che, alla luce della prima esperienza applicativa, formuli delle proposte operative, al fine di garantire un sistema di accesso ai corsi a numero programmato che sia equilibrato e in grado di valorizzare le potenzialità dei candidati». Mariolina Iossa _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Giu. ’13 LA FILOSOFIA CHE CHIARISCE LA FISICA Un'illuminante analisi di Mauro Dorato sulla natura del tempo alla luce delle scoperte del XX secolo. A partire dalla relatività di Einstein, che sembra contraddire tutte le intuizioni del senso comune Il nostro presente è una piccola bolla approssimativa, limitata nello spazio, e se cerchiamo di estenderlo troviamo contraddizioni insormontabili ma che la scienza cerca di comprendere Carlo Rovelli «E pur si muove!». Così, narra la leggenda, mormorava Galilei, mentre in pubblico dichiarava di rinunciare all'idea che la Terra si muovesse. Parole intense. Ma forse non tanto perché esprimono la determinazione dello scienziato che non vuole farsi dettare la verità; quanto piuttosto perché sembrano tradire quasi una lotta interiore. La lotta fra l'evidenza palese dell'immobilità della Terra intorno a noi e lo sconcertante sospetto che quest'immobilità sia illusoria, e stiamo roteando nel cosmo. Credo che ancora oggi ciascuno di noi, se per un attimo guarda intorno a sé le case o le colline e fa mente locale alla velocità con cui tutto ciò sta facendo capriole nello spazio (40 chilometri al secondo), non possa non risentire questa vertigine, e mormorare un po' stupito «e pur si muove...». La scienza ci porta a queste scoperte contro-intuitive, che indicano i limiti del nostro senso comune; ma se il moto della Terra, chiarito nel 1600, è oggi integrato nel nostro sapere, altrettanto non si può dire delle sconcertanti scoperte sulla natura del tempo che hanno segnato il Ventesimo secolo. Per questo il lavoro di un filosofo italiano coltissimo e attento alla scienza come Mauro Dorato gioca un ruolo significativo per la cultura tutta intera, e il suo recente Che cos'è il tempo? Einstein, Gödel e l'esperienza comune, è importante. Dorato vede come compito della filosofia quello di portare chiarezza là dove le idee appaiono oscure, e riconciliare immagini del mondo apparentemente in conflitto proprie della scienza e del senso comune. Dopotutto possiamo comprendere che la Terra si muova, ma possiamo anche comprendere per quale ragione e come accada che ci sembri immobile. Fare filosofia, per Dorato, vuol dire arrivare a integrare il senso comune e il sapere scientifico, così come, dice con bella metafora, i nostri due occhi ci danno immagini leggermente diverse del mondo, e mettendole insieme acquistiamo profondità. La posizione di Dorato è quindi assai interessante: se da un lato aggira intelligentemente la tesi superficiale della svalutazione del senso comune a vuota illusione, dall'altro riesce a rispondere bene ai dubbi fuorvianti che il senso comune possa cogliere verità invisibili alla scienza. È legittimo – si chiede alla fine della prefazione – fare assunzioni metafisiche in conflitto con la fisica? E il libro offre gli strumenti per una risposta intelligente e articolata. Negativa. In questo modo la filosofia riacquista quella centralità, quella capacità di generare profondità e chiarezza che le compete. E profondità e chiarezza sono virtù di questo testo, prezioso per chi non voglia essere come un uomo del Settecento che pensasse ancora che la Terra fosse ferma, e voglia cominciare a capire qualcosa di questa strana storia che è il cambiamento completo di ciò che sappiamo sulla natura del tempo. Ma prezioso anche per uno scienziato che cerca nella filosofia quella sponda di chiarezza concettuale che non è il suo pane, e per il filosofo che voglia capire con precisione cosa sia successo al tempo nel mondo della scienza, senza per questo dover digerire manuali di matematica. Dorato tocca la relatività generale e discute la questione della termodinamica e dell'irreversibilità, ma è sulla relatività speciale che si concentra, la prima grande teoria di Einstein, oggi confermata da innumerevoli esperienze. Per quello che riguarda il tempo è in questa teoria che è condensata la scoperta più sconcertante: non esiste un "presente" nell'Universo e la storia delle cose non è separabile in passato, presente e futuro. L'idea di un "presente" esteso nello spazio è un'approssimazione, legata alla lentezza della nostra capacità mentale di risolvere tempi brevi (decimi di secondo), paragonata ai tempi (nano- secondi, al più milli-secondi) che impiega la luce a percorrere le distanze nelle quali ci muoviamo abitualmente. Il nostro presente è una piccola bolla approssimativa, limitata nello spazio, e se cerchiamo di estenderlo troviamo contraddizioni insormontabili. La metafisica del presente, cioè l'idea che la realtà esiste tutta nel presente, non è sostenibile, perché fa leva su un errore: estendere il nostro presente locale a distanze arbitrarie. Ma Dorato osserva con acutezza che questo non implica che il cambiamento sia illusione, come spesso si conclude un po' frettolosamente. Il cambiamento e il fluire del tempo possono essere concepiti, ma localmente e non globalmente, e in relazione a un osservatore. Quest'osservazione diventa chiara nella limpida analisi che fa Dorato di un argomento contro la realtà del tempo presentato dal grandissimo logico e matematico Kurt Gödel: Dorato chiarisce come quella che Gödel mostra essere contraddittoria sia una concezione ideale di tempo globale e assoluto, non l'idea di tempo locale e relativo che fonda la nostra esperienza. In questo modo Dorato riesce a fare pulizia non solo di molte resistenze alle novità concettuali della nuova fisica, ma anche di facili conclusioni troppo semplificate. Non mi dilungo di più, anche perché ho spesso accennato ai misteri del tempo in queste pagine: se da questi cenni vi sono rimaste curiosità, il libro di Dorato è una guida sobria e comprensibile in questi astratti territori. Forse dal canto mio avrei preferito che Dorato azzardasse a parlare anche della scienza di frontiera, delle questioni aperte dalla dinamica dello spaziotempo e dai suoi aspetti quantistici, che sfiora appena. È qui che le difficoltà diventano più acute e la chiarezza della sua filosofia ci sarebbe di più grande aiuto. Io vorrei sempre che i filosofi aiutassero noi fisici anche a guardare avanti. Ma Dorato è guardingo e meticoloso, non azzarda, procede con lentezza e precisione, e questo rende solido il libro, ne fa un saldo capitolo del dialogo fra scienza e filosofia. In un argomento difficile e scivoloso come questo, è raro essere d'accordo su tutto, ma non ci sono pagine dove mi sono trovato a voler obiettare qualcosa. Forse solo una: là dove, dopo aver correttamente identificato la freccia del tempo nella fisica della radiazione con quella entropica, e questa con quella legata al concetto di causa, Dorato ipotizza che la «freccia del divenire» possa essere primitiva e irriducibile. Sospetto non lo sia; trovo convincente l'insistenza di Dorato che sia reale e capace di rendere conto della nostra esperienza, ma penso che finiremo per comprendere che anche questa sia di origine statistica ed emergente. Ma qui siamo oltre i confini di quello che sappiamo. La prospettiva sulla natura del tempo in fisica teorica offerta da Dorato è articolata e originale, ma le sue parole sono pesate, e quello che è scritto è meditato e affidabile. Nel mondo confuso della nuova fisica del tempo, Dorato sa trovare punti fermi, collegarli con il nostro senso comune, e condurre il lettore per mano con rara chiarezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mauro Dorato, Che cos'è il tempo? Einstein, Gödel e l'esperienza comune, Carocci, Roma, pagg. 138, € 12,00 _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Giu. ’13 ECONOMISTA CONTRO GIURISTA. SFIDA BOCCONIANA SULL'AUSTERITY MILANO — Bocconiani contro. O meglio: bocconiani economisti contro bocconiani giuristi? Certo è forte la suggestione che si riveli di nuovo la tradizionale doppia anima dell'ateneo, che ha visto sempre dibattere e qualche volta litigare fra loro le due scuole, quella degli esperti della «scienza triste» e quella dei maestri del diritto commerciale. Fatto sta che l'articolo pubblicato ieri su Il Sole 24 Ore di Roberto Perotti, «professore economista» dell'università milanese, in forte polemica con Guido Rossi, «professore (emerito) giurista», ha ridestato letture di divisioni che considerata l'origine del contendere, e cioè se l'austerità sia o no una medicina contro la crisi, vanno ben oltre il perimetro bocconiano. Perotti fa anzitutto una sorta di autocritica su alcune analisi sviluppate una quindicina di anni fa con Alberto Alesina, favorevoli appunto a considerare l'austerità come una medicina. Oggi ha cambiato parere ma sottolinea: «Il fatto che l'austerità non faccia bene non significa che vi siano sempre alternative migliori e praticabili. L'austerità di bilancio nel caso greco era probabilmente inevitabile». Poi riprende articoli recenti di Guido Rossi, pubblicati sempre sul quotidiano economico, e ne ricava due citazioni. Il giurista scrive pochi giorni fa che «questa austerità, ammantata da moralismo, s'è rivelata sbagliata... con le inconfutabili critiche provenienti da premi Nobel quali Paul Krugman, Joseph Stiglitz e Amartya Sen e da economisti come Mark Blyth e Kaushik Basu». E in aprile: «Da Krugman a Stiglitz è giunta la prova dei fatti che la politica del rigore e dei tagli... rende impossibile la ripresa delle economie». Poi, passa all'affondo: «Forse Rossi ci potrebbe indicare le analisi tecniche di Krugman, Stiglitz e Sen che a suo dire dimostrano "inconfutabilmente" la sua tesi; ma forse potrebbe anche chiedersi se è sicuro di essere aggiornato sul dibattito corrente sull'argomento... Purtroppo non ho trovato alcun accenno sull'argomento nei numerosi interventi di Rossi. Ho invece trovato citazioni di Fichte, Croce, Kant, Kelsen, Graeber, Habermas, Böckenförde, e Gadamer, e perfino lo Zibaldone di Leopardi. Siamo tutti in ammirazione di tanta cultura. Probabilmente per i limiti mentali propri dei "Bocconi boys", alcuni di noi però faticano a vedere il nesso con la tragedia molto concreta della Grecia attuale». Il riferimento ai «Bocconi boys» non riporta direttamente al «bocconiano» Rossi, ma al premio Nobel Krugman che lui cita di frequente (e di cui Il Sole 24 Ore pubblicava ieri un articolo, accanto a quello di Perotti), da anni fortemente critico verso le politiche restrittive anti-recessione. In una recensione di tre libri per The New York Review of Book Krugman ribadisce proprio l'inutilità dell'austerity per creare crescita e punta il dito contro i «ragazzi della Bocconi», Alberto Alesina e Silvia Ardagna. Uno dei tre volumi è dell'economista Mark Blyth, secondo il quale un saggio del 2009 dei due «Bocconi boys» è stato il sostegno teorico per lo schieramento pro-austerity, avversato da keynesiani come appunto Blyth e Krugman. E Rossi? Il «giurista» non sembra interessato alla polemica. Al punto da dedicare oggi il suo consueto editoriale domenicale su Il Sole 24 Ore ai temi (altrettanto caldi) sui quali si è concentrato il recente convegno organizzato dalla Bocconi (appunto) sui quindici anni del Tuf, il Testo unico della finanza, principale fonte normativa del settore, entrato in vigore nel luglio 1998. Sergio Bocconi ========================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Giu. ’13 GESSA: SIGARETTA ELETTRONICA, L'INGANNO L'esame dell'aerosol ha inoltre rivelato la presenza di sostanze cancerogene Mantiene intatta la dipendenza del cervello dalla nicotina Da adolescente frequentavo il cinema Eden, dove si proiettavano seconde visioni di film western. Fumavano tutti: gli Indiani, i Nostri, soprattutto gli spettatori. Il fumo passivo aveva la densità del fumo di un sigaro toscano. Tuttavia, nell'iniziazione di un adolescente, più della nicotina poteva il fumo “visivo” del Marlboro Man. (...) A quel cowboy, abbronzato da sembrare un messicano, la Winston preferì un purosangue bianco, WASP, irresistibilmente maschio, che provocatoriamente domandava: «Com'è che a me piace fumare e a te no?». Ancora più seducenti erano le sigarette degli attori famosi, sublime quella di Humphrey Bogart in “Casablanca”. Un film del 1942, durante la guerra, quando fumare non è solo un piacere ma una necessità: per lenire l'ansia, la paura, la fame, il freddo, il caldo. Non ci sono atei in trincea, neppure non fumatori. Sul Carso il soldato della Brigata Sassari nella notte fumava col fuoco in bocca, a fogu aintru. Molti anni dopo “Casablanca” si sono scoperte cose orribili sul fumo. Bogart è morto di tumore, e così il Marlboro Man. Di tumore al palato è morto il soldato della Brigata Sassari. Ogni anno muore prematuramente negli Usa quasi mezzo milione di fumatori. Non è la nicotina che uccide, essa è il mandante, sono le quattromila sostanze tossiche, di cui almeno venti cancerogene, contenute nel fumo di tabacco. Il fumo viene bandito progressivamente ovunque. I fumatori si lamentano di una propaganda fanatica, ipocrita, contro ogni forma di piacere. La longevità non è una misura di vita, vivere non è sopravvivere. Ma la vita del fumatore è diventata difficile. Cresce il numero di chi vuole smettere. «Smettere di fumare è facile» assicura il libro di Allen Carr, che ha venduto oltre otto milioni di copie. Lo sapeva anche Mark Twain: «Ci sono riuscito più di cento volte!» Ma i lettori di “The easy way to stop smoking” non hanno impensierito la Philip Morris. La ricerca scientifica ha chiarito perché miliardi di uomini ogni giorno inalano avidamente il fumo di sigaretta, pur sapendo che fa male, e perché la maggior parte di coloro che riescono a smettere ricade nel “vizio” anche dopo anni di astinenza. È la nicotina che produce la dipendenza più difficile da interrompere. Lo studio dei suoi effetti sul cervello degli animali da esperimento ha permesso di individuare farmaci che aiutano a smettere di fumare, ha chiarito il perché delle ricadute e ha svelato il mistero dello straordinario successo della sigaretta elettronica. Semplificando, la nicotina inalata viene trasportata col sangue nel cervello dove stimola i neuroni che rilasciano la dopamina nelle aree della gratificazione. La dopamina è ritenuta responsabile degli effetti gratificanti della nicotina. Si è chiarito inoltre perché gli effetti della nicotina erogata dalla sigaretta di tabacco differiscono da quelli dei sostituti nicotinici. Si è scoperto infatti che la presenza prolungata della nicotina sui suoi recettori causa la loro temporanea desensibilizzazione, il che comporta la soppressione dell'effetto gratificante. Il fumatore impara inconsciamente a distribuire le fumate nel corso della giornata, in modo da stimolare la massima percentuale di recettori che hanno riacquistato la sensibilità alla nicotina. La prima sigaretta del mattino è la più piacevole perché durante la notte i recettori nicotinici hanno avuto il tempo di riacquistare la loro sensibilità. Al contrario, i sostituti nicotinici (cerotti, gomme, inalatori) rilasciano la droga in modo continuativo anche per ore, un modo efficace per mantenere i recettori in permanente desensibilizzazione, durante la quale la nicotina non produce piacere. Essi infatti mirano ad eliminare i sintomi dell'astinenza e a far dimenticare il piacere della sigaretta. Sfortunatamente il fumatore ha una memoria tenace per la nicotina. L'assunzione cronica di nicotina provoca delle modificazioni funzionali persistenti responsabili dei sintomi dell'astinenza. La nicotina diviene la medicina per cancellarli. Purtroppo neppure i farmaci per curare la dipendenza (bupropione, vareniclina, sostituti della nicotina) hanno impensierito i mercanti del tabacco. Così eravamo fino al 2003, quando un farmacista cinese, Hon Lik, inventa la prima sigaretta elettronica. La sigaretta elettronica, electronic cigarette, e-cig, è un inalatore che vaporizza una soluzione di nicotina in acqua o glicole propilenico. Fisicamente assomiglia a un ibrido tra una normale sigaretta e una penna biro. Ma ne esistono di diverse forme. Il principio importante della sigaretta elettronica è l'evaporizzazione della nicotina comandata dall'aspirazione. Questa produce l'accensione di una resistenza elettrica che vaporizza la soluzione e rilascia nicotina, alle stesse concentrazioni del fumo di sigaretta, ed eventualmente gli aromi della sigaretta preferita. La sigaretta elettronica ha avuto una diffusione impetuosa. In Italia sono nati migliaia di negozi che la vendono. Secondo la neonata Associazione Nazionale Fumo Elettronico il 20 per cento dei dieci milioni di fumatori usa o intende usare la sigaretta elettronica. I venditori assicurano che essa offre tutte le sensazioni del fumo di tabacco, meno le quattromila sostanze tossiche in esso contenute, non produce fumo passivo, non provoca incendi e costa meno delle sigarette tradizionali. Vengono offerte “assaggiature” gratis, perché il cliente scelga la concentrazione di nicotina e l'aroma più gradito: tabacco per fumatori; fragola, mela, cioccolato, coca cola, etc. per futuri consumatori, di nicotina naturalmente. C'è perfino l'incenso, suppongo per religiosi. Ciò che rende diversa la nicotina dei sostituti nicotinici da quella della sigaretta elettronica è che in questa l'erogazione della nicotina si produce con le stesse modalità della sigaretta di tabacco. La magia risiede nelle tirate. È il cervello del soggetto dipendente che ne comanda la frequenza e la profondità. Inoltre, il fumatore distribuisce inconsciamente le fumate o le inalazioni durante la giornata, in modo da ottenerne la massima soddisfazione. Oscar Wilde traeva dalla sua sigaretta «…the perfect type of a perfect pleasure. It is exquisite, and it leaves one unsatisfied. What more can one want?». La grande diffusione delle sigarette elettroniche preoccupa le autorità sanitarie e i mercanti del tabacco. L'esame dell'aerosol delle sigarette elettroniche prodotte da una delle principali industrie ha rivelato la presenza di sostanze cancerogene, le nitrosamine del tabacco, e di differenti metalli in forma di nano-particelle, che accumulandosi nell'organismo producono gravi danni. Poiché le industrie che producono le sigarette elettroniche sono migliaia, i controlli di qualità sono difficili, ma necessari. L'Oms ha proposto che le sigarette elettroniche siano regolamentate come prodotti farmaceutici, non come prodotti del tabacco. Invece, la preccupazione che la sigaretta elettronica produca una “nuova dipendenza” è irragionevole. Essa non toglie la dipendenza dalla nicotina, ma offre al fumatore dipendente la possibilità di assumerla senza il fumo. È la sconfessione del luogo comune che si passa dalle droghe “leggere” alle droghe “pesanti”. Infine, proibire la sigaretta elettronica progressivamente dovunque è la risposta più efficace per scoraggiare i possibili apostati a lasciare la vecchia cara sigaretta e incoraggiare gli adolescenti a provare il frutto proibito. I mercanti del tabacco in Italia lamentano che il mercato delle sigarette elettroniche sta mettendo in crisi l'onorata industria del tabacco, che è stata già colpita duramente dal contrabbando delle Marlboro cinesi, taroccate, quelle che fanno male! Avvertono che si perderanno più di ventimila posti di lavoro, senza contare l'indotto nel settore della sanità. Ma le multinazionali sapranno difendersi. Prevedo che il monopolio delle e-cig cadrà nelle loro mani. Allora torneranno, come i morti che dormono nella collina di Spoon River, il Marlboro Man abbronzatissimo, e l'uomo bianco della Winston, il quale, tenendo una specie di matita biro tra le labbra, dirà: «How come I enjoy e-cigs and you don't?». Gian Luigi Gessa _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Giu. ’13 SULLA PISTA DELL'AUTOGUARIGIONE GRAZIE ALL'ECOGRAFIA DELL'ANIMA di GIORGIO PISANO Uno strano, di sicuro. Uno che fa l'ecografista nel più importante ospedale della Sardegna (il Brotzu) ma parla di autoguarigione e di ipnosi regressiva. La Commissione etica ha appena approvato un suo progetto sperimentale: dieci i casi (colon irritabile) finora in trattamento. Potrebbe segnare una svolta radicale nella medicina. Danilo Sirigu, 55 anni, è convinto che l'ipnosi clinica e l'ecografia possano scatenare una reazione positiva nei malati mettendoli nelle condizioni di gestire malattie anche gravi. Uno bizzarro, di sicuro. Violando la regola aurea che santifica il potere dei camici bianchi, ha creato una band di dottori ( Non solo Ippocrate , si chiama) che si esibisce un po' dappertutto. Suonano un genere decisamente inusuale: la clinic music. E il repertorio ovviamente comprende brani come Con 24 mila bianchi (cronaca di un'appendicite) e Attenti al lupus . Uno singolare, di sicuro. Non fa libera professione e neppure quella intramoenia. «Io non prendo soldi a nessuno». Confessa tuttavia che in un passato non lontanissimo è stato «anche un po' presuntuoso». Era la stagione del dopo-laurea, quando il lavoro (e il danaro) gli venivano felicemente incontro. «Ho vissuto pure la stagione del medico malato di onnipotenza, quello che - grazie al ruolo sociale - crede di potere tutto». Poi ci ha ripensato. E questo ne fa uno rispettabile, di sicuro. Tempo fa ha conosciuto una missionaria che gestisce il Villaggio Sardegna nelle Filippine. «Aveva un modo straordinario di comunicare. Faticava da matti ma sembrava felice». Tant'è che lui un giorno le ha chiesto: madre, posso fare qualcosa per lei? E quella: certo, venga nelle Filippine e metta la sua esperienza al servizio della povera gente. Folgorato sulla via di Manila. Sul volo di andata Sirigu credeva fermamente d'essere ateo, su quello di ritorno si è riscoperto fermamente cattolico. Non è un tipo speciale uno così? Giusto per completare il curriculum, gioca a calcetto, va in canoa, corre in bici. Specializzato in Gastroenterologia e in Radiologia, è figlio di un contadino e di una maestra. Quattro fratelli, orfano di padre a quattro anni «mi sono zappato la vita da subito ma non ricordo un momento di tristezza nella mia infanzia». Vaccinato contro le cattiverie e le miserie del mondo, spiega di non soffrire la solitudine del medico grazie «a una moglie molto intelligente e una figlia meravigliosa». Lavora sette ore al giorno e nel tempo libero segue passo passo il progetto sperimentale che ha avviato col professor Nino Sole, specialista in psicoterapia ipnotica. Ritiene di aver imboccato una strada molto interessante ma preferisce minimizzare, ribadire cautela e prudenza: l'ultima cosa che vorrebbe è ritrovarsi davanti a disperati che gli chiedono un miracolo. «Non è il mio ramo». Come fanno ad incontrarsi un ecografista e uno psicoterapeuta? «Storia del tutto casuale. Sapevo che Nino Sole faceva ippoterapia e volevo contattarlo per una certa idea: comprare dei cani da addestrare al salvataggio. Iniziativa, questa, che poteva perfino dare un futuro a mia figlia». Sapeva che era psicoterapeuta e specialista in ipnosi clinica? «No. Ma appena ho iniziato a parlargli sono rimasto affascinato dal suo lavoro. È sorta immediatamente un'intesa perfetta». Come nasce l'idea del progetto? «Comincia da una strana esperienza. Da medico ho seguito pazienti che avevano una diagnosi infausta a breve scadenza. Beh, li ho visti guarire e mi sono chiesto: com'è possibile? Parlo di casi documentati». Di che malattie sta parlando? «Sto parlando di tumori. Allora mi sono detto: se non sono miracoli (e non sono miracoli), significa che ciascuno di noi ha una potenzialità interiore capace di sconfiggere anche i mali peggiori. Ma come stimolarla questa potenzialità, come utilizzarla?» A che conclusioni è arrivato? «Per il momento a nessuna, non precipitiamo le cose. Parlando però col professor Sole, ho saputo che - grazie all'ipnosi regressiva - c'erano pazienti che, tornando indietro con l'inconscio, scoprivano problemi della loro esistenza mai percepiti prima». E allora? «Con l'ipnosi hanno rivissuto quei problemi da un'altra angolazione: è come, per capirci, se avessero potuto vederli dall'alto o a distanza. E questo ha consentito di affrontarli in modo del tutto nuovo, capire finalmente qual era la radice di un disagio, di un'ansia, di un disturbo psicosomatico». In conclusione? «Ho verificato, carte alla mano, guarigioni scientificamente inspiegabili. A questo punto mi sono reso conto della forza della mente: quindi, perché non servirsene e farla marciare insieme a una qualunque terapia? Grazie all'ipnosi clinica, in sostanza, è stato possibile affrontare patologie che venivano dal passato remoto e sconfiggerle». L'ecografia che c'entra? «C'è molta letteratura sull'ipnosi clinica e sulla sua capacità di stimolare risorse che dormono dentro di noi. Ma l'ipnosi non è altro che immaginazione, pensiero. L'ecografia, e qui arriviamo al punto, è in grado di visualizzare quel pensiero. Dunque di certificare fase per fase un eventuale miglioramento». Quante persone può interessare un progetto del genere? «Tutti. Perché tutti abbiamo a che fare con disturbi psicosomatici». A proposito: sono in larghissima espansione. «Inevitabile col tipo di vita che facciamo. Siamo prigionieri dello stress, d'una quotidianità fatta di scadenze. Ed è altrettanto inevitabile, sul lungo periodo, che si scatenino gastriti, reflusso esofageo, ulcere, coliti e tutta una serie di disturbi che riguardano soprattutto l'addome. Serve tuttavia una precisazione importante». Quale? «L'ipnosi non è una terapia ma un mezzo che può sbloccare risorse interiori. Abbiamo appena cominciato la sperimentazione e non sappiamo affatto come si concluderà, se darà cioè i risultati che speriamo oppure no. Lo dico perché, in casi come il nostro, la cautela non è mai troppa, non vogliamo in alcun modo alimentare una fabbrica di illusioni. Siamo ai primissimi passi della ricerca». D'accordo ma la Commissione etica del Brotzu ha già detto sì. «Proprio qualche mese fa. E questo mi riempie di gioia e d'orgoglio. Il fatto che l'ospedale per cui lavoro analizzi e approvi un progetto come il nostro mi dà grande soddisfazione. Un giudizio lusinghiero lo abbiamo raccolto anche dal Centro italiano di psicosi clinico-sperimentale a Torino ed è stato un ulteriore conforto alla nostra tesi». Costi: chi finanzia, chi sponsorizza? «I costi sono vicini allo zero assoluto. A dicembre, quando avremo completato l'esame dei dieci casi che stiamo seguendo in via sperimentale, verrà aperto con tutta probabilità un ambulatorio. Niente di più. Non servono strutture faraoniche». Ma attrezzature sì. «Una delle più grandi aziende produttrici di ecografi s'è fatta avanti per prestarmene gratuitamente uno che è una specie di Ferrari della categoria. Aggiungo che tutta l'operazione ci impegna anche sul piano dell'immagine. E mi spiego: questo è un ospedale di altissimo livello, conta professionisti che sono eccellenze in campo medico, dunque abbiamo il dovere di difenderlo e, possibilmente, rafforzarne il prestigio. Ma passeranno parecchi mesi prima che si parli di evidenze, di certezze». Quanto tempo ha richiesto mettere a punto il progetto da presentare alla Commissione etica? «Il progetto ha preso forma il 14 agosto del 2012. Il resto è fatto dai tempi tecnici di stesura e di presentazione della relazione». Lei dice che l'intestino è un secondo cervello: perché? «Perché ha un suo sistema nervoso autonomo. Ogni volta che la fretta ci travolge provocando forti disagi è soprattutto l'intestino a fare da recettore, a raccogliere questi cattivi umori. Con conseguenze che possiamo facilmente immaginare». Cioè? «Provo a spiegarmi: lo stress mi provoca un disturbo che colpisce un organo dell'addome e dando vita a quella che chiamiamo malattia. Grazie all'ipnosi integrata con l'ecografia noi vogliamo fare un ribaltone: scaricare benessere anziché nevrosi. Servirà all'autoguarigione? È quello che speriamo». La funzione esatta dell'ecografia? «Visualizzare e monitorare l'area di sofferenza perché si impari a familiarizzare col proprio corpo e consentire alla psiche di mettere a punto la sua guerra per far reagire l'organo bersagliato dallo stress». A che punto è la sperimentazione? «Per il momento incoraggiante. Parlo di pazienti afflitti da meteorismo, gonfiore, intestino irritabile. Gente che in qualche caso aveva perfino difficoltà ad andare in pizzeria per timore di non riuscire a controllare le bizze improvvise dell'addome». Hanno risolto? «Stanno risolvendo, spero. Hanno acquisito una conoscenza approfondita della loro malattia e, grazie alla terapia (che non è l'ipnosi, voglio ripeterlo), stanno uscendo pian piano da una specie di incubo. Chi soffre di questi disturbi sa cosa voglio dire e a cosa mi riferisco quando parlo di una condizione permanente d'ansia». Di conseguenza ruolo nuovo per il paziente? «Esatto, questa è la vera rivoluzione. Attualmente la medicina è sempre più tecnologizzata, l'osservazione e il dialogo coi pazienti praticamente non esistono più. Noi vorremmo riavviare le vecchie regole, favorire un rapporto di fiducia medico-malato, rapporto che oggi è opacizzato per non dire addirittura nullo». In che modo l'ecografia può favorire la guarigione? «Alt: l'ecografia non favorisce affatto la guarigione. È semplicemente un mezzo - proprio come l'ipnosi - che può servire a stimolare le risorse interiori di cui abbiamo parlato. Finora c'è stata la medicina della malattia. Noi invece vorremmo una medicina della persona. Non sembra ma è una rivoluzione copernicana». Veniamo agli effetti collaterali: cosa dicono di lei in ospedale? «Ho un buon rapporto con tutti». Questo si chiama conformismo. «Un attimo, siccome io sto bene con la gente penso che la gente stia bene con me. E su questo impronto la mia vita in ospedale». Però lei ha un sito ultrafrequentato a livello internazionale e neppure per sbaglio a livello locale. «Questo purtroppo è vero. Su questo sito si affrontano varie tematiche legate all'ecografia e alla possibilità di ampliarne l'utilizzazione. Ho molti colleghi (dal Giappone, dagli Stati Uniti, dall'Australia, dalla Germania) che si connettono con noi. I collegamenti con l'Italia, per non dire con la Sardegna, sono invece sporadici». Come mai? «Credo manchi il sostegno delle società scientifiche di riferimento». Insomma, s'è mosso senza chiedere la benedizione preventiva. «Questo è un argomento che mi imbarazza, preferirei non parlarne. L'importante è che il sito sia molto frequentato». Mai sentito parlare di invidia? «Sì, ma dopo quella esperienza nelle Filippine io sono diventato un altro. Un altro che ha imparato a non cercare la polemica, a tirar dritto verso l'unico obiettivo per cui vale la pena vivere: essere disponibile verso il prossimo». pisano@unionesarda.it _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Giu. ’13 CURE DIVERSE PER LA SALUTE DI UOMINI E DONNE di Gianfranco Sabattini* Sul problema della Medicina di genere sono stati recentemente pubblicati i risultati dell'attività svolta da un'Unità di ricerca dell'Università di Cagliari, collocata all'interno del sottoprogetto “Determinanti della salute della donne, medicina preventiva e qualità di cura”, coordinato da Flavia Franconi, professoressa di Farmacologia Cellulare dell'Università di Sassari e Presidente GISeG (Gruppo Italiano Salute e Genere). Il sottoprogetto si inquadra nel più ampio progetto strategico nazionale: “La Medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna”. Lo sviluppo di una medicina gender oriented , orientata cioè a cogliere le differenze di genere rispetto ai processi di malattia, sta consentendo di evidenziare la causa dei frequenti fallimenti diagnostici e terapeutici nei confronti della salute delle donne. I recenti sviluppi di questa nuova branca di ricerca medica stanno infatti permettendo di rilevare che la diagnostica ha sinora sottovalutato le condizioni di vita delle donne, con grave pregiudizio per la loro salute. In particolare, la Medicina di genere sta mettendo in luce come l'orientamento terapeutico verso le donne sia stato sempre di tipo prevalentemente naturalistico e sempre condizionato da pesanti deficit nella rilevazione di alcuni stati di malessere che si coniugano soprattutto al femminile, facendo leva in particolare sulle interazioni tra salute delle donne e condizioni di oppressione e violenza familiare. Il nostro Paese si trova al 74° posto, dopo il Bangladesh, nel Global Gender Gap Report 2011 stilato dal World Economic Forum e occupa questa posizione soprattutto per i ritardi accusati riguardo a due aspetti della vita della donna: opportunità e partecipazione alla vita economica (90a posizione) e salute (75a posizione). La situazione esistente in Italia è aggravata dal fatto che il diritto alla salute è garantito dalla Costituzione, il cui dettato però non prescrive effettivamente un'equità di cura fra uomini e donne. Ciò perché il corpo maschile ha sempre costituito, fin dall'antichità, la “norma”, nel senso che tutto ciò che veniva stabilito con riferimento allo stato di salute dell'uomo era poi acriticamente generalizzato al femminile, senza tenere conto delle differenze. Solo nel 1991 si è cominciato a riconoscere questo tipo di diversità; e solo ora si tende a valutare importante la “Medicina di genere” da parte dei decisori pubblici e di alcune categorie di specialisti, e a indicare alcune linee di impegno futuro per il potenziamento dei risultati del nuovo approccio allo stato di salute di tutti i cittadini. Il lavoro dell'Unità di ricerca dell'Università di Cagliari, coordinato da Antonio Sassu, si colloca in questa prospettiva e i risultati con riferimento alla Sardegna confermano lo stato di minorità della donna, sia sul piano della percezione dello stato di salute, sia su quello dei fattori socioeconomici, della complessità dell'intreccio sesso/genere nella diagnostica e nella terapia e del tema del consumo dei servizi sanitari. C'è solo da augurarsi che i decisori politici traggano dai risultati acquisiti i giusti stimoli per adeguare in tempi rapidi l'attuale organizzazione del sistema sanitario nazionale, peraltro molto deficitario riguardo a numerosi aspetti della sua efficacia ed efficienza. *Università di Cagliari _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 Giu. ’13 COLESTEROLO OK COL PECORINO CLA Studio evidenzia gli effetti benefici del formaggio Quando si parla di diete, tutti sparano su latte e formaggi: hanno proprio una brutta fama. Come altri alimenti ricchi di grassi di origine animale, vengono regolarmente esclusi. Ma dopo tante condanne sommarie, è arrivata l'ora del (parziale) riscatto: il pecorino può addirittura limitare il livello di colesterolo. RICERCA La buona sentenza è frutto di uno studio, (pubblicato dal British journal of nutrition, di Cambridge), presentato nei giorni scorsi dagli autori in un convegno, “Ricerca, dal laboratorio alla buona tavola”, svoltosi presso l'Industria casearia Argiolas di Dolianova, l'azienda che ha tradotto le intuizioni di un gruppo di scienziati in prodotti regolarmente in vendita. Il pecorino anticolesterolo, ricco di Cla, è infatti una realtà. Il Cla, acido linoleico, è un grasso che appartiene alla famiglia degli Omega 6. Ne hanno parlato Sebastiano Banni, Dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Cagliari, Stefano Pintus, Centro per le malattie dismetaboliche dell'ospedale Brotzu e Paolo Contu, presidente della facoltà di Medicina. Senza toni trionfalistici, ma sottolineando i risultati di una sperimentazione condotta con rigore scientifico al Brotzu. IL TEST È stato preso in esame un campione di 42 persone obese, con un livello di colesterolo totale fra 200 e 300, non trattate farmacologicamente. Per 21 giorni hanno mangiato 90 grammi di pecorino arricchito con Cla, quindi una pausa di 3 settimane, poi altri 21 giorni un formaggio di controllo. Le analisi hanno accertato, dopo la dieta con pecorino Cla, un calo del colesterolo LDL (noto come colesterolo cattivo) del 7 per cento. Il professor Banni, (corso di Fisiologia della nutrizione) lo definisce «un dato in controtendenza, ma significativo. Sarebbe interessante poterlo approfondire, per controllare altri parametri. E per verificare, anche alla luce degli studi esistenti, quali soggetti possono rispondere di più, quali meno». Banni si preoccupa però di mettere in guardia da facili illusioni. Premesso che una prima sperimentazione, con 45 grammi di pecorino Cla al giorno, non ha dato risultati, spiega che «superare la dose di 90 grammi, nella speranza di abbassare oltre il 7 per cento il colesterolo, non è assolutamente consigliabile. Non si tratta infatti di un farmaco, ma di un alimento, inserito in una dieta bilanciata e non può essere quindi enucleato da tutti gli altri elementi che la compongono». Banni invita inoltre chi ha una colesterolemia alta, di origine familiare, a non abbandonare le statine. In questi casi infatti, il pecorino Cla non funziona: «Il farmaco cura, mentre l'alimento può contribuire a un riequilibrio fisiologico, coadiuvando il trattamento terapeutico». IL SEGRETO Ma qual è il segreto del pecorino Cla? L'erba. Ricca di due grassi, acido alfa linoleico e linoleico, viene elaborata nel rumine della pecora, parte dell'apparato digerente, «una sorta di laboratorio molto interessante, privo di aria, ma ricco di batteri che trasformano le proteine di bassa qualità in alta qualità. Così gli acidi polinsaturi (alfa linoleico e linoleico) diventano saturi. Durante questo processo, una parte finisce nella carne e nel latte».Fondamentale quindi, nella dieta della pecora, l'erba: ma deve essere assolutamente fresca, perché già pochi minuti dopo il taglio perde le sue peculiari caratteristiche. Quando manca, nella stagione estiva, si somministrano mangimi con oli che contengono gli acidi grassi. IL CLA Come, appunto, il Cla, al centro della scoperta «ma è l'insieme dei grassi contenuti nel formaggio che induce il riequilibrio metabolico. Piano piano, si evidenzia il calo del colesterolo, ma non sappiamo quali sarebbero gli effetti nel lungo periodo, quali le potenzialità». Al di là del risultato più appariscente, che può aprire importanti prospettive per il pecorino della Sardegna, lo studio rappresenta un punto di partenza per esplorare i rapporti fra Cla e metabolismo. Vale quindi la pena che lo sforzo compiuto da Università, Regione e Camera di commercio di Cagliari abbia un seguito. Anche per sottolineare la correlazione fra ricerca scientifica e possibilità di innovazione nell'agroalimentare della Sardegna. Lucio Salis _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 Giu. ’13 Stati Uniti, 1923, il farmaco entra nei canali ufficiali per il commercio sotto prescrizione BUON COMPLEANNO INSULINA Da 90 anni al fianco dei malati S iamo nel 1920. Un giovane chirurgo canadese, Frederick Banting con l'aiuto del ricercatore Charles Best, inietta un estratto di pancreas in un cane diabetico. Siamo all'università di Toronto. Poi, l'11 gennaio del 1922, il primo trattamento su un uomo. E la cura funziona. Dopo 4 mesi di ricerca, in un piccolo laboratorio di Indianapolis, Eli Lilly riesce a raffinare i metodi di purificazione e a produrre il farmaco. Nel 1923 Lilly ottiene l'autorizzazione alla distribuzione attraverso i canali per il commercio dei farmaci soggetti a prescrizione: Allora il farmaco era impiegato da 7.500 medici per 25.000 pazienti diabetici. A novant'anni dall'inizio della produzione su scala industriale, oggi l'insulina viene assunta in quasi 9 miliardi di dosi all'anno in tutto il mondo. «La scoperta dell'insulina ha rappresentato una pietra miliare nella storia della medicina, perché ha permesso di affrontare una condizione, il diabete, nota fin dal secondo secolo dopo Cristo se non addirittura prima - ve ne è infatti traccia nel Papiro di Ebers, uno dei più antichi lavori di medicina proveniente dal mondo Egizio -, il cui esito finale era inevitabilmente la morte», dice Carlo B. Giorda, presidente Amd, Associazione medici diabetologi. «A celebrare il compleanno di una terapia che ha davvero cambiato la vita a mlioni di persone sono stati proprio gli esperti presenti nei giorni scorsi a Roma in occasione del Congresso Nazionale Amd. «Come se non bastasse una ricorrenza così importante, c'è un altro anniversario da ricordare: la disponibilità della prima insulina per uso umano. Compie infatti quindici anni il primo analogo rapido dell'insulina. Questa soluzione terapeutica, agendo in quindici minuti dall'iniezione, per la prima volta ha svincolato i rigidi tempi dell'assunzione di cibo da quelli dell'iniezione. Infatti se con l'insulina umana regolare il paziente deve programmare l'iniezione a trenta - quarantacinque minuti prima del pasto, gli analoghi rapidi per la prima volta hanno previsto l'iniezione a quindici minuti per tenere sotto controllo l'aumento di glicemia legato all'assunzione del cibo, facendo calare significativamente il rischio di ipoglicemie, cioè di crolli bruschi dei valori dello zucchero nel sangue». L'ORMONE Secondo Stefano Del Prato, presidente della Società italiana di diabetologia, «dopo 90 anni, l'insulina continua a essere l'ormone delle meraviglie: primo ormone isolato, primo ormone impiegato a scopi terapeutici, primo ormone ad essere prodotto con tecnica del Dna ricombinante, primo ormone modificato per ottenere analoghi con diverse caratteristiche farmacodinamiche. Sarà anche il primo ormone intelligente capace di rendersi automaticamente disponibile a seconda delle necessità? Di sicuro, dal 1923, all'insulina devono la vita milioni di persone con diabete». L'ALLARME Dagli esperti, riuniti a Roma, comunque, arriva anche un allarme. Da un esame dei dati sull'impiego dei farmaci nei 320 Centri di diabetologia aderenti al progetto Annali Amd, rappresentanti quasi il 50 per cento di quelli operanti in Italia, emerge un dato significativo e cioè: «Un forte ritardo nel cambiare terapia, quando questa mostra dei limiti», segnala Giorda. «Trascorrono in media due anni prima che la cura non più pienamente efficace venga modificata, cambiando tipo di farmaco antidiabete, aggiungendone altri alla terapia di base con metformina o passando all'insulina o aggiungendo le incretine, una moderna famiglia di farmaci». Federico Mereta _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Giu. ’13 UNICA: DE LISIA PRIMARIO RINVIATO A GIUDIZIO I presunti fatti tra il 2005 e il 2011, ma l’imputato ha sempre negato ogni vessazione L’urologo De Lisa accusato di maltrattamenti da un ricercatore Un processo stabilirà la fondatezza delle accuse di maltrattamenti mosse dal ricercatore ospedaliero Paolo Usai all’urologo Antonello De Lisa, primario dell’urologia del Santissima Trinità. Ieri mattina il Gup del Tribunale, Giorgio Altieri, ha rinviato a giudizio il docente universitario, difeso dagli avvocati Luigi e Pierluigi Concas, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Marco Cocco. A far scattare l’inchiesta della Procura era stata la segnalazione del ricercatore, esasperato - a quanto sostiene - dalle continue intemperanze del professore che lo avrebbe negli anni continuamente preso a male parole, togliendogli la possibilità di effettuare interventi chirurgici e l’attività per cui era stato assunto e pagato dalla Asl 8. Nella vicenda, secondo l’accusa, non sarebbero mancati anche gli spintoni, persino all’interno della sala operatoria. I fatti risalgono tra il 2005 ed il 2011, ma l’urologo Antonello De Lisa (56 anni) si è sempre difeso negando qualsiasi vessazione nei confronti del proprio dipendente. Ma prima ancora che nel merito delle accuse, ieri mattina l’avvocato Luigi Concas ha contestato davanti al Gup Altieri l’imputazione scelta dal pubblico ministero per riassumere le accuse: i maltrattamenti. Una difesa tutta in punta di diritto che negava la possibilità di estendere anche all’ambiente lavorativo un reato che, notoriamente, si consuma nelle famiglie o comunque tra le mura di casa. Un’ipotesi che non ha convinto il giudice per le udienze preliminari che ha disposto il rinvio a giudizio e fissato la data della prima udienza al 12 novembre davanti al Tribunale moncratico. Il ricercatore che ha presentato l’esposto da cui è nata l’inchiesta si è costituito parte civile con l’avvocato Andrea Pogliani, mentre i difensori dell’urologo sono pronti a dare battaglia durante il processo, questa volta nel merito delle accuse, convinti dell’assoluta innocenza del proprio assistito. (fr.pi.) _____________________________________________________________ Corriere della Sera 14 Giu. ’13 LA DECISIONE DELLA CORTE USA «I GENI UMANI NON SI BREVETTANO» Via libera solo se sono interamente generati in laboratorio NEW YORK — I media americani parlano già di «sentenza storica» e di «pietra miliare» che «cambierà in maniera irreversibile il corso della ricerca medico-scientifica». I nove sommi giudici della Corte Suprema Usa ieri hanno unanimemente stabilito che, mentre il materiale genetico di natura sintetica (cioè prodotto in laboratorio) può essere ancora oggetto di brevetto da parte di aziende for profit, lo stesso principio non può più essere applicato a un segmento di Dna umano e ai geni in esso contenuti. Al centro della disputa pervenuta di fronte al massimo tribunale Usa vi erano i brevetti sui geni (non sintetici) Brca1 e Brca2, responsabili dell'incremento — fino a dieci volte — del rischio per le donne di ammalarsi di cancro al seno e alle ovaie. Noti in passato solo agli addetti ai lavori, questi due geni oggi di proprietà esclusiva della Myriad Genetics (azienda di biogenetica dell'Utah che li aveva scoperti negli anni 90) sono di recente balzati agli onori della cronaca quando l'attrice Angelina Jolie ha rivelato di essersi sottoposta a un intervento di mastectomia preventiva dopo aver scoperto di esserne portatrice, proprio come sua madre morta di tumore nel 2007. Non tutte le donne hanno però la possibilità, come la Jolie, di sborsare 3 mila dollari per effettuare il cosiddetto BRACAnalysis test offerto in esclusiva dalla Myriad Genetics. Ecco perché per molti dottori e pazienti americani la sentenza di ieri è una vittoria contro la pratica di brevettare geni isolati dal corpo umano che secondo i suoi detrattori rischiava di intralciare i progressi della ricerca scientifica, ma anche la pratica medica e la salute delle persone. Dietro input dello stesso presidente Barack Obama, la Corte Suprema è alla fine riuscita a individuare una soluzione di compromesso che annulla le precedenti sentenze di alcune corti minori che avevano di fatto legalizzato il brevetto dei Brca. La loro tesi: i geni isolati sono sostanzialmente diversi dai geni nel loro stato naturale e perciò possono essere brevettati. Ma la Corte Suprema ha rovesciato quest'assunto. «Il Dna è un prodotto della natura e non è idoneo per un brevetto soltanto per il semplice fatto di essere stato isolato», ha affermato il giudice Clarence Thomas nel leggere la sentenza. «È evidente che Myriad non ha creato ex novo né alterato alcuna informazione genetica decodificando i geni BRCA1 e BRCA2», ha aggiunto, concludendo che «alcune scoperte non possono essere brevettate soltanto perché geniali, innovative e rivoluzionarie». Immediata la reazione della American Civil Liberties Union, la più antica organizzazione per la difesa dei diritti civili. «Oggi viene demolito un enorme ostacolo alle cure e all'innovazione medica», ha commentato la portavoce Sandra Park. Non esulta, invece, l'industria biogenetica americana, che accusa l'Alta Corte di aver stravolto tre decenni di concessioni di brevetti da parte dell'U.S. Patent and Trademark Office. Circa il 20% dei geni umani attualmente conosciuti, come quelli legati all'Alzheimer e alle forme tumorali, sono sotto brevetto di aziende private, università e istituti di ricerca. «Se le società biogenetiche non hanno modo di recuperare gli investimenti attraverso i profitti che si ottengono con i brevetti», puntano il dito, «non vi saranno più progressi nella ricerca scientifica per combattere le malattie». Per la Myriad si tratta in realtà di una mezza sconfitta. Subito dopo la sentenza, essendo proprietaria dei brevetti di altri geni sintetici, il suo titolo è balzato a Wall Street dell'8%, raggiungendo i massimi di tre anni. Il New York Times, intanto, prevede che il prezzo del BRACAnalysis test diminuirà «drasticamente» a partire dall'autunno. Alessandra Farkas @afarkasny _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 Giu. ’13 LA PELLE DIVENTA PANCREAS CON LE CELLULE RIPROGRAMMATE Tutte le cellule del nostro organismo possiedono lo stesso Dna, poi si differenziano in più di 200 specializzazioni per formare organi e tessuti differenti. Ciò grazie ad un meccanismo di selezione legato ad alcuni tratti del Dna che si «accendono» o si «spengono». Così si formano il cuore, il sangue, il fegato, la pelle, i nervi, le ossa, i muscoli. In una cellula del cuore sono attive le sequenze di Dna che specializzano verso determinate caratteristiche, mentre per esempio sono spente quelle parti di Dna che darebbero alla cellula le caratteristiche della pelle. Tutto questo meccanismo è gestito non a livello del Dna ma dalla struttura che lo «ricopre» a mo' di vestito-capsula: l'epigenoma. I ricercatori, quindi, devono lavorare per agire a livello di epigenoma per modificare il destino funzionale di una cellula o, addirittura, modificarne la specializzazione. Ed è quanto riuscito nel Laboratorio di embriologia biomedica dell'università di Milano, dove è stata utilizzata una particolare molecola, la 5 aza-citidina, capace di rimuovere dal Dna delle cellule già differenziate i «blocchi» che ne limitano l'accessibilità. I ricercatori hanno sfruttato questa molecola per attivare con successo un programma di differenziamento diverso: hanno azzerato quello attivo nelle cellule prelevate dalla pelle e hanno riprogrammato le stesse per diventare pancreatiche. È stato così possibile «convertire» la pelle in pancreas attivo. Capace cioè di produrre ormoni pancreatici, a partire dall'insulina la cui carenza è causa di diabete. Il tutto in modo semplice, senza ricorrere all'uso di modificazioni geniche o di retrovirus per inserire frammenti di Dna attivi. Il cambiamento di funzioni si è mantenuto stabile anche dopo trapianto delle cellule in topi diabetici, dove la loro presenza ha assicurato normali livelli di glicemia. Il lavoro italiano è stato pubblicato dalla rivista scientifica Pnas (Proceedings of the national academy of sciences, organo ufficiale dell'Accademia delle scienze americana). I coordinatori del team sono Tiziana Brevini e Fulvio Gandolfi di Unistem, il Centro per la ricerca sulle cellule staminali dell'università statale di Milano. Lo studio è stato finanziato dall'Associazione per la ricerca sul cancro (Airc), dal Miur e dalla Regione Lombardia. «Notevoli sono le possibili implicazioni legate a questo nuovo approccio sperimentale — spiega Tiziana Brevini — sia nell'ambito della cura del diabete, o del tumore del pancreas. L'utilizzo delle cellule "convertite" permetterà altresì la messa a punto di screening pre-clinici e test farmacologici che evitano l'impiego di modelli sperimentali animali e forniscono dati direttamente applicabili alla specie umana». La 5-aza-citidina è un farmaco attualmente utilizzato nella cura delle leucemie. Somministrandolo alle cellule già specializzate è in grado di «cancellare» la loro identità e prepararle ad assumerne una nuova: quella voluta dai ricercatori. E si può facilmente ipotizzare che, con la stessa procedura, si potranno ottenere innumerevoli «cambiamenti» di identità cellulare: dalla pelle al cuore o al pancreas, dal muscolo al fegato o al sistema nervoso. Mario Pappagallo @Mariopaps _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Giu. ’13 GLI ITALIANI VANNO MENO AL PRONTO SOCCORSO Gli italiani cominciano ad usare meno il Pronto soccorso. Nel 2012, gli accessi sono calati di circa 1 milione rispetto al 2011 (circa 13,4 milioni contro 14,5). Lo dicono i dati trasmessi dalle Regioni al ministero della Salute. Una diminuzione che potrebbe essere legata anche al miglior utilizzo dei medici del territorio. Questa almeno è la chiave di lettura fornita nel Quaderno di Monitor dedicato ad «Assistenza H24 e riduzione degli accessi impropri al Pronto soccorso», dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas). Nel Piano sanitario nazionale 2009 furono stanziati oltre 300 milioni di euro per migliorare i servizi territoriali 24 ore su 24 e ridurre gli accessi impropri al Pronto soccorso. I dati segnalano ora che, a fronte di un valore medio nazionale del 24,2%, in alcune realtà il ricorso improprio sfiora ancora l'80% dei casi. E secondo la Società italiana di medicina emergenza urgenza, il calo degli accessi non sarebbe il segnale della soluzione del problema del sovraffollamento dei Pronto soccorso, quanto l'effetto del far pagare al cittadino le prestazioni non realmente urgenti. _____________________________________________________________ Sanità News 13 Giu. ’13 CALATI DI UN MILIONE GLI ACCESSI AI PRONTO SOCCORSO NEL 2012 Sono calati di un milione in un anno gli accessi ai Pronto soccorso degli ospedali italiani. Stando ai dati trasmessi dalle Regioni al sistema informativo Emur del ministero della Salute per il 2012 si registra 1 mln di accessi in meno rispetto al 2011: si e' passati da 14.479.595 a 13.433.427 del 2012. Lo evidenzia il presidente dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), Giovanni Bissoni, nell'editoriale al nuovo Quaderno di Monitor, collana supplementi della rivista dell'Agenas. L'Agenas ha effettuato un monitoraggio in varie Regioni, dal quale è emerso come sia riconosciuto un ruolo centrale, nel contenimento degli accessi impropri al Pronto soccorso, ai medici del territorio, siano essi il medico di continuità Assistenziale, la guardia medica o il medico di medicina generale. Queste figure professionali, infatti, vengono coinvolte nel 92,9% dei casi, seppur con diverse modalità collaborative. E' importante che dopo anni di 'sovraffollamento' si registri, per la prima volta, un calo degli accessi non urgenti ai Pronto soccorso, anche se è "troppo presto per dire che siamo di fronte ad una vera inversione di tendenza" e "potrebbe piuttosto trattarsi di un effetto dell'attuale crisi economica", ha affermato Bissoni. Il calo di un milione di accessi in un anno, rileva, "può infatti avere due possibili spiegazioni. La prima, la più ottimistica, è che sono migliorati e sono stati rafforzati i servizi territoriali, aspetto sul quale sono in atto dei monitoraggi nelle regioni". La seconda spiegazione è invece legata, appunto, alla crisi economica: "In passato i Pronto soccorso hanno spesso rappresentato, ovviamente nei casi non urgenti, una 'porta di accesso' per le visite specialistiche che altrimenti il cittadino avrebbe dovuto effettuare a pagamento. Ora, tranne che per le emergenze - sottolinea - è comunque chiesta al cittadino una compartecipazione, e questo potrebbe avere spinto molti a rinunciare a tale 'canale di accesso' alla specialistica". Insomma, a causa della crisi anche il ticket previsto per i codici bianchi al Pronto soccorso diventa, per molti, una spesa comunque da evitare, e questa potrebbe essere una ragione alla base dei diminuiti accessi registrati nel 2012. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Giu. ’13 TEMPI PIÙ BREVI PER LE NUOVE CURE di UMBERTO VERONESI La rivoluzione più profonda, anche se meno evidente, che sta trasformando il mondo della ricerca biomedica è quella etica, che riguarda il ruolo e i diritti del malato. Il malato da destinatario passivo delle cure e delle sperimentazioni è divenuto protagonista attivo, informato e consapevole, titolare di diritti e in grado di esercitarli. Uno dei diritti che rivendicano oggi i malati è l'accesso più rapido a nuove cure e dunque non possiamo più rimandare la discussione sul problema dei tempi e i metodi della sperimentazione sull'uomo. Posto che la sperimentazione scientifica è necessaria per la tutela dei malati, le sue regole vanno riviste per accorciarne i tempi. Oggi, perché una nuova cura diventi standard deve passare attraverso tre fasi che durano molti anni ed essere applicata a migliaia di pazienti, confrontando i risultati con quella in uso. Il metodo è nato negli anni 50-60 per rendere scientifica e oggettiva unamedicina basata sul paternalismo dei medici. Oggi tuttavia il potere decisionale del medico si confronta con la volontà del paziente e l'informatica rende subito disponibili quantità enormi di dati da tutto il mondo. Si potrebbe quindi tornare all'osservazione storica: se ci sono ragioni sufficienti a far pensare alla maggiore efficacia di una nuova terapia, la si potrà somministrare subito a tutti i pazienti, evitando il confronto con i gruppi di controllo, che può durare anche 10 anni. Oggi c'è in più il problema spinoso dei brevetti. La ricerca sulle nuove terapie molecolari è costosissima e le aziende, che devono fare profitto o chiudere, possono recuperare gli investimenti solo attraverso i brevetti. Ma la brevettabilità alza il prezzo del farmaco e pone il rischio che si vada verso una medicina che guarisce solo i ricchi. Dunque dobbiamo iniziare a immaginare un ente farmaceutico internazionale senza fini di lucro che possa ricercare e fornire i farmaci senza problemi di utile. Utopia? Forse. Ma intanto vanno trovate soluzioni intermedie. Si potrebbero selezionare i pazienti in modo più mirato, utilizzando le conoscenze genetiche, e sperimentare le terapie per un periodo breve, uno o due anni, su un gruppo ben delineato. Resta ancora molto da dibattere sui metodi, ma l'obiettivo è chiaro: ridurre gli anni di attesa fra il laboratorio e il letto del malato. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 15 Giu. ’13 TAGLIO AI CERTIFICATI MEDICI SUL POSTO DI LAVORO Viene abolito il vecchio certificato di «sana e robusta costituzione fisica», oggi obbligatorio per alcune categorie di lavoratori come i farmacisti, i maestri di sci e tutti i dipendenti pubblici. Cancellata anche la visita obbligatoria di controllo prima del rientro al lavoro, che rimane solo per malattie pericolose. Viaggeranno on line i certificati medici di gravidanza e parto mentre saranno semplificate le procedure di autorizzazione degli apparecchi per la risonanza magnetica. Viene tolto, infine, il requisito della specializzazione per l'accesso degli odontoiatri al servizio sanitario nazionale. _____________________________________________________________ Sanità News 13 Giu. ’13 ALL’ITALIA IL RECORD EUROPEO DI INFEZIONI DA EPATITE C L'Italia è il ’Paese europeo con il maggior numero di persone infette dal virus dell'epatite C. Le stime parlano del 3% della popolazione (1,6 milioni di persone), con il 55% che si trova infetto dal cosiddetto "genotipo 1", il più difficile da trattare. Il dato arriva dagli esperti, che a Milano hanno presentato la sesta edizione del 2° Premio giornalistico Riccardo Tomassetti - ricerca, innovazione e futuro in virologia"."Si calcola che almeno un milione di italiani siano portatori cronici dell'infezione - commenta Massimo Colombo, direttore della Medicina Specialistica e Trapianto d'organi all'Ospedale Maggiore di Milano - e che di questi un terzo abbia sviluppato o stia sviluppando importanti malattie del fegato". La maggior parte ha contratto il virus negli anni '70-'80 con trasfusioni di sangue infetto, oppure per l'uso di materiale sanitario non sterile. Ma altri 200-300mila individui l'hanno contratta a causa di comportamenti a rischio, come rapporti sessuali non protetti, piercing o tatuaggi. A tutti questi bisogna poi aggiungere un sostanzioso numero di migranti che provengono da aree con alti tassi di infezione da epatite C. _____________________________________________________________ Sanità News 11 Giu. ’13 META’ OSPEDALI META’ ASL: ARRIVANO LE RETI CLINICHE Anche al Sud il malato si cura ''in rete'': sempre piu' ospedali e asl prediligono la presa in carico del paziente da parte di team di professionisti sanitari anche di altre aziende. Si chiamano ''reti cliniche'', sono oramai 75 al sud e nelle isole e garantiscono assistenza migliore oltre che risparmi. E' quanto rivela uno studio della Fiaso, Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, in collaborazione con la SDA Bocconi di Milano e sostenuto da Pfizer Italia in merito alla diffusione delle ''reti cliniche'', in cui si parla anche di ''meta- ospedali e meta-asl'' dove, come in una ''staffetta'', medici, infermieri e servizi prendono in carico il malato al di la' dei confini dell'azienda sanitaria o ospedaliera dov'e' materialmente in cura o ricoverato. Lo studio e' stato presentato il 7 giugno a Matera, alla presenza dell'Assessore alla salute della Basilicata, Attilio Martorano e del Sindaco di Matera, Salvatore Adduce. ''Una cassetta degli attrezzi a disposizione di manager e professionisti sanitari per elevare a livello di sistema le esperienze gia' maturate sul territorio'', puntualizza Valerio Fabio Alberti, presidente Fiaso e coordinatore della ricerca. Nel progettare e mettere in pratica il modello innovativo di assistenza delle ''reti cliniche'' i dati dello studio mostrano un sud niente affatto a rimorchio delle regioni centro-settentrionali. Sul totale delle 245 reti censite infatti ben 75 sono distribuite a Sud e nelle isole. Una percentuale pari al 30,6% delle esperienze complessive che e' persino superiore a quella della popolazione assistita nelle regioni meridionali. Insomma per una volta il Meridione e' in prima linea nell'innovazione sanitaria. Certo, i sistemi di assistenza in Rete realmente funzionanti sono poi soltanto 22, mentre molti sono solo parzialmente attivati o ancora in fase di progettazione. Ma anche questi sono dati in linea con il resto d'Italia, anche se l'indagine Fiaso rileva anche come i Piani di rientro dai deficit sanitari (che colpiscono tra le altre Campania, Calabria, Abruzzo e Molise) costituiscano un freno all'espansione delle Reti cliniche, richiedendo piu' concentrazione nel contenimento dei costi che nell'innovazione.Tra le branche specialistiche dove nel Sud ha maggiormente preso piede il modello delle cure ''in rete'' c'e' l'emergenza-urgenza, l'oncologia, la laboratoristica e la salute mentale. Per rete clinica regionale si intende ''una forma di collaborazione stabile e formalizzata tra unita' operative (piu' o meno l'equivalente dei vecchi reparti) e/o professionisti appartenenti a diverse aziende sanitarie di una medesima regione, che abbia ad oggetto il processo di cura del paziente, i servizi di supporto o la circolazione dei professionisti e delle conoscenze''. Sul nazione, la diffusione delle reti cliniche parte lentamente in Italia nei primi anni duemila, ma e' dal 2008 che il modello inizia ad espandersi, passando nelle regioni censite da una cinquantina di esperienze alle oltre 140 dello studio al 2012. Alcune ancora solo ''sulla carta'', ossia programmate ma non ancora avviate. Altre in fase di start up e molte gia' pienamente funzionanti. Le aree terapeutiche dove le reti sono piu' diffuse sono cardiologia (14 esperienze avviate), oncologia (10), neurologia (9), malattie rare (8), seguite poi da emergenza-urgenza, centri trasfusionali e cure palliative, che contano 7 esperienze ciascuna. In tutto le Reti cliniche effettivamente funzionanti censite da FIASO sono 87, con una netta prevalenza nel Nord Italia. _____________________________________________________________ Sanità News 11 Giu. ’13 NEL 2016 QUASI UN MILIONE DI ITALIANI SENZA MEDICO DI FAMIGLIA Fra tre anni ci saranno 600 medici di medicina generale in meno. Considerando che ogni medico di famiglia può avere fino a 1.500 pazienti, questo significa che circa 900mila italiani potrebbero rimanere senza curante. Un numero destinato a crescere ulteriormente per via dei pensionamenti futuri. Questi i dati della Fondazione Enpam, l`ente previdenziale dei medici e dei dentisti. Nel 2016, infatti, 1.499 iscritti al fondo di previdenza della medicina generale compiranno l`età del pensionamento (68 anni). Nello stesso anno, dalle scuole di formazione in medicina generale è prevista l`uscita di meno di 900 nuovi medici di famiglia. “Nei prossimi anni potremmo essere costretti a chiamare specialisti e medici di famiglia dall`estero – ha dichiarato il presidente della Fondazione Enpam Alberto Oliveti – e allo stesso tempo in Italia migliaia di laureati in medicina rischiano di non avere accesso ai percorsi di post lauream perché, a causa dei tagli alle borse di studio, non viene messo a bando un numero sufficiente di posti nelle scuole di specializzazione e di formazione”. Nel 2022 picco pensionati a quota 4.900 Roma, 8 giu. (TMNews) – L'Enpam sottolinea che il numero dei medici di medicina di famiglia che andranno in pensione ogni anno continuerà a crescere anche dopo il 2016 e raggiungerà un picco nel 2022 (quando saranno quasi 4.900 gli iscritti al fondo della medicina generale a compiere l`età di 68 anni). “Il nostro Paese avrebbe il dovere morale e civile di programmare la qualità e il numero dei professionisti che devono assicurare ai cittadini il loro diritto alla salute”, ha sottolineato ancora Oliveti. “Per affrontare questi problemi abbiamo costituito un osservatorio sul mercato del lavoro delle professioni sanitarie che si riunirà il 25 giugno prossimo”, ha aggiunto.