RASSEGNA STAMPA 26/05/2013 CARROZZA: PIÙ SOLDI ALLA SCUOLA PUBBLICA O MI DIMETTO L'ARMA ANTI-CRISI? LA FORMAZIONE TAR: NO ALL'INGLESE COME LINGUA ESCLUSIVA NON PARLIAMO PIÙ DI CULTURA DA SALVARE COPIARE A SCUOLA È SBAGLIATO COME SPIEGARLO AI FIGLI? PIENA OCCUPAZIONE IN GERMANIA PER I LAUREATI BIBLIOTECHE ITALIANE, IL CATALOGO È QUESTO (O CIÒ CHE NE RIMANE) LA VERITÀ LETTERARIA DELLE MALATTIE TISCALI VERSIONE 2.0 SI AFFIDA A TRE STELLE NASCENTI SE L'ALGORITMO DECIDE PER ME GENETICA NON VUOL DIRE OGM IL NUCLEARE È SPENTO, MA GLI STIPENDI CORRONO VOGLIAMO SALVARE I NOSTRI SPAGHETTI? UOMINI E DRONI SALVERANNO IL MONDO" WANTED: SOFTWARE PROGRAMMERS WITH BRAINS, DILIGENTE - AND AUTISM SCENARI MENO ESTREMI PER IL RISCALDAMENTO GLOBALE PERCHÉ NON SI RIESCE A CAMBIARE LA TRADIZIONE DEL COGNOME DEL PADRE CAGLIARI TRA BAR E BASTIONI L’URBANISTA È UN BARISTA ========================================================= QUANTI NEO-DOTTORI SERVONO IL VERO MERITO IN MEDICINA AOUCA: OSPEDALI, NUOVA MAPPA DELLA SALUTE AOUCA: VISITA A SORPRESA DI CAPPELLACCI E DE FRANCISCI AOUCA: LA CLINICA ODONTOIATRICA TROVERÀ UN'ALTRA SEDE AOUCA: SERVIZI ESTERNI E CLIENTELE AOUCA: CONDANNATA SOLDI DEI TICKET SPARITI, MELONI SULL’OSPEDALE PEDIATRICO: SI APRA ORA SANITÀ, APPALTI A OSTACOLI SANITÀ DIGITALE, PAGHEREMO IL TICKET DA CASA ICT: COSÌ SI RILANCIA LA SANITÀ» NELL'OSPEDALE DIGITALE SI GUADAGNA TEMPO E SI RECUPERA UMANITÀ SANITÀ, DAL GOVERNO 2 MILIARDI A SEI REGIONI DEL CENTRO-SUD OSPEDALI ITALIANI, ICT SOLO A METÀ CERTIFICATI MALATTIA: IL 99% È ON LINE SSN, GLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA MARIOTTI: GLI SCHERZI DELLA TIROIDE FARMACI, CALA LA SPESA NELL'ISOLA STAMINALI, ESPERIMENTI CON MENO VINCOLI STAMINA: LA POLITICA BUTTA VIA 3 MILIONI I BATTERI SI TRASFORMANO IN COMPUTER IL TEST: COSÌ LO SMOG ALTERA IL COLESTEROLO «BUONO» STUDIATA UNA PROTEINA CHE ARRESTA LO SVILUPPO DEL DIABETE LUCE ARTIFICIALE, TUTTI I RISCHI PER LA SALUTE CURARE LE APNEE NOTTURNE MIGLIORA IL DIABETE PEDIATRIE, ROTTA DA INVERTIRE OMS: MIGLIORA LA SALUTE DEL MONDO PERSISTONO DISUGUAGLIANZE SEMPRE MENO STUDI PRIVATI PER I DENTISTI ITALIANI DENTISTI, SELL OUT A STUDIO -6% I DIABETOLOGI CONTRO IL MINISTERO DELLA SALUTE E L’AIFA CANCRO AL POLMONE SENPRE PIÙ FEMMINILE LE INFEZIONI VIAGGIANO NELLE BORSE DELLE DONNE DOLORI DEL CICLO MESTRUALE, SE IL MASCHIO NON CAPISCE OSPEDALI PSICHIATRICI.DAL GIAPPONE PER IMPARARE IL ROBOT CHE OPERA IL CUORE SENZA LASCIARE CICATRICI BREVETTARE LA VITA, DILEMMA AMERICANO NUOVE PROPOSTE PER LEGGI PIÙ LIBERALI SUL SUICIDIO ASSISTITO ========================================================= _____________________________________________________________ Il Sole24ore 25 Mag. ’13 CARROZZA: PIÙ SOLDI ALLA SCUOLA PUBBLICA O MI DIMETTO ROMA «O ci sono margini per un reinvestimento nella scuola pubblica oppure devo smettere di fare il ministro dell'Istruzione». È un aut aut con minaccia di dimissioni quello lanciato ieri da Maria Chiara Carrozza nel suo intervento a Nove in Punto su Radio 24, dopo un lungo elenco di necessità inderogabili per la scuola pubblica in Italia. «L'investimento – ha affermato – è necessario per il futuro del Paese, non ci sono altre strade. Siamo in una situazione drammatica, dobbiamo mettere in sicurezza le nostre scuole, dobbiamo metterle in grado di proteggere i nostri bambini». Il ministro, che già due giorni fa a Palermo, rispondendo alle domande degli studenti nell'aula bunker dell'Ucciardone, aveva indicato come priorità l'edilizia scolastica e la valorizzazione degli insegnanti, ieri è tornata su questi temi. «Credo che il futuro del nostro Paese si possa giocare – ha detto – con un esercito di nuovi insegnanti, che davvero ci permettano di migliorare la qualità del nostro servizio». Una necessità imposta anche dai numeri. «Sono rimasta colpita – ha spiegato Carrozza – dal rapporto Istat che ci dice che siamo il Paese con la quota più alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non partecipano ad attività formative, questo per me è un dramma, che non mi fa dormire la notte. Dobbiamo lavorare su questo, altrimenti come facciamo a parlare di crescita?». Carrozza si è quindi soffermata sulla questione dei finanziamenti alle paritarie, salita alla ribalta dopo le polemiche suscitate dal referendum di Bologna (in programma domani) sui fondi alle private dell'infanzia. «Le scuole paritarie coprono una parte degli studenti italiani e offrono un servizio pubblico. Se togliessimo questi soldi metteremmo in grave difficoltà questi istituti – ha avvertito il ministro – e molti bambini non avrebbero accesso alla scuola. Sarebbe davvero un disastro». _____________________________________________________________ Avvenire 25 Mag. ’13 L'ARMA ANTI-CRISI? LA FORMAZIONE DA ROMA LUCA MAllA puntare sulla formazione. Perché oltre a essere l'elemento-chiave per sciogliere il nodo della disoccupazione giovanile, rappresenta il pilastro su cui si costruiscono persone con responsabilità sociale. La difficoltà dei giovani a trovare lavoro è stato il tema al centro del convegno organizzato a Roma dalla Fondazione "Centesimus Annus - Pro Pontifice". Per favorire l'ingresso delle nuove generazioni nel mercato del lavoro, secondo il presidente del comitato scientifico della fondazione, Alberto Quadro Curzio, «occorre rilanciare lo sviluppo con modalità più eco- compatibili e modificare politiche socio-economiche europee fallimentari». Gli esperti intervenuti all'evento hanno sottolineato come l'investimento in istruzione continui ad avere un valore rilevante. La priorità, allora, è quella di far salire la percentuale che vede solo il 61 per cento degli studenti iscriversi all'università dopo aver ottenuto il diploma di maturità. «La rinuncia allo studio universitario non è solo rinuncia ad acquisire strumenti professionali avanzati — spiega Franco Anelli, rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore —, è un'abdicazione dal completamento di un percorso che tende a una compiuta maturazione culturale e personale. Un sacrificio grave, tale da proiettare ombre nere sulla qualità della società degli anni a venire». Il problema, prima ancora che economico, è sociale: «La crisi dei giovani d'oggi è destinata a diventare la crisi delle famiglie di domani — sostiene Giovanni Marseguerra, docente di Economia politica alla Cattolica — e poi quella degli anziani di dopodomani». Per Andrea Cammelli, direttore del consorzio interuniversitario AlmaLaurea, il miglior antidoto alla disoccupazione resta lo studio. «Dal 2007 al 2012, se per i giovani tra i 25 e i 34 anni la disoccupazione è cresciuta del 67 per cento — afferma Cammelli — per i laureati la percentuale è salita del 40 per cento». Per tale ragione le università sono chiamate a garantire un'offerta formativa rinnovata e attraente: «Questo sforzo, però — conclude Anelli — è reso arduo da un regime normativo mutevole, disorientante e incline a imporre sempre più vincoli all'azione degli atenei». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 24 Mag. ’13 NO ALL'INGLESE COME LINGUA ESCLUSIVA IL TAR FERMA IL POLITECNICO DI MILANO Accolto il ricorso dei professori contrari alla svolta dell'università MILANO — No all'inglese come lingua esclusiva all'università. Questa scelta «incide in modo esorbitante sulla libertà di insegnamento e sul diritto allo studio». Lo slancio in avanti del Politecnico di Milano, che l'anno scorso aveva annunciato «solo lezioni in inglese dal 2014», è stato fermato dai giudici del Tar che hanno accolto ieri il ricorso presentato da un centinaio di professori dell'ateneo. Difeso il primato della lingua italiana sancito dalla Costituzione, anche per l'insegnamento nelle nostre università. Il rettore Giovanni Azzone era pronto a escludere l'italiano dalle lauree specialistiche e dai dottorati, «per un ateneo internazionale», «per formare professionisti pronti per un mercato globale». È di un anno fa la delibera del senato accademico sull'uso esclusivo dell'inglese annullata ieri. E lo scontro era stato immediato. Subito gli appelli contro, firmati da trecento professori del Politecnico, un fronte trasversale da ingegneria ad architettura. Poi, a luglio, il ricorso al Tar. E ieri la sentenza che annulla la delibera di maggio 2012. «Accoglie in pieno le nostre ragioni. Dimostra tutta la lesività della decisione impugnata. È una vittoria non soltanto nostra, è una vittoria della ragione e della cultura», dice Maria Agostina Cabiddu, che è docente di diritto amministrativo al Politecnico ed è anche l'avvocato dei ricorrenti. Il primo annuncio del rettore ingegnere Giovanni Azzone con l'allora ministro Francesco Profumo era stato all'inizio del 2012. «Lezioni solo in inglese entro due anni». «Perché dobbiamo formare capitale umano di qualità in un contesto internazionale per rispondere alle esigenze delle imprese e a quelle degli studenti che chiedono di essere pronti per un mercato mondiale del lavoro», la motivazione del rettore. E aveva spiazzato molti, dentro e fuori dal Politecnico. Sull'esclusione dell'italiano subito un vivace dibattito. Voci diverse, dagli atenei all'Accademia della Crusca. Lo slancio forte, verso l'internazionalizzazione divideva i professori, anche in un ateneo che conta già oltre venti corsi di laurea e altrettanti dottorati in inglese. Il punto critico? La scelta obbligata. Insegnare e imparare «esclusivamente» in una lingua diversa. Eliminare l'italiano. La svolta del Politecnico incide sulla libertà di insegnamento e sul diritto allo studio, si legge nella sentenza dei giudici amministrativi. Erano gli argomenti forti del partito contro. Un conto è conoscere una lingua straniera, altro è tenere lezioni ed esami. «Abbasserebbe la qualità della formazione», una delle obiezioni. E ancora, non tutti i docenti sono pronti. E non tutti gli studenti. Il preside di Architettura, Pier Carlo Palermo, aveva parlato di «accelerazione rischiosa». Il rettore Azzone intanto aveva fatto partire corsi di inglese intensivi per i professori, con tanto di esamini periodici. «Ma insegnare la materia in un'altra lingua non è come preparare una relazione per un convegno», dice Cabiddu. «E internazionalizzazione non è inglesizzazione». In architettura per esempio non è quella la lingua madre. Storia dell'arte ha più senso studiarla in italiano. Un'altra osservazione: «È giusto diffondere la conoscenza di lingue straniere ma anche diffondere la cultura italiana all'estero». Poi. La centralità della lingua italiana è tutelata dalla Costituzione, l'altro principio ribadito dai giudici del Tar. Ora è tutto fermo, si va avanti con il bilinguismo. Dopo il triennio resiste il doppio binario dei corsi nelle due lingue, per le magistrali e per i dottorati. «E ci auguriamo che gli organi di governo dell'ateneo decidano di non presentare appello», dicono i ricorrenti. Federica Cavadini _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 Mag. ’13 NON PARLIAMO PIÙ DI CULTURA DA SALVARE di Paolo Di Stefano I l lettore mi scuserà se scrivo in prima persona. È per dire che ho maturato la convinzione che in Italia non si debba più parlare di beni culturali, di musei, di patrimonio da salvare, di scuola, di biblioteche, di ricerca e università, di cultura da rilanciare. Basta. Vada come deve andare. Tanto fa lo stesso. Il silenzio sarebbe una decisione finalmente dignitosa. Eviteremmo così di aggiungere vergogna alla vergogna: ossia di sovrapporre la cattiva coscienza e il falso senso di colpa alla indifferenza politica e strutturale rispetto a ciò che sa di arte e cultura. Quei pochi che credono sinceramente che questo Paese possa migliorare puntando sulla cultura (declinata al passato, al presente e al futuro) si rassegnino. Non ne caveranno un ragno dal buco. Ho maturato questa convinzione leggendo sul Fatto quotidianoun bell'articolo di Tomaso Montanari che partiva dalla promessa del premier Enrico Letta: «Se ci saranno tagli alla cultura mi dimetto». Montanari metteva nero su bianco i dimezzamenti subiti dal ministero di Bondi e l'ulteriore riduzione compiuta durante il governo Monti. Ebbene, il risultato è che, se prendiamo la Lombardia, si scopre che nelle previsioni di bilancio i tagli più consistenti delle province e dei capoluoghi (Milano compresa) hanno come obiettivo proprio il settore culturale nelle sue varie forme. Questo avviene per le mancate entrate dovute al Patto di stabilità del 2012, e si presume che la sottrazione dell'Imu possa far calare la scure definitiva su quel poco che è finora sopravvissuto. Ovviamente, ogni nuovo governo lancia i suoi proclami e le sue promesse. Ma nelle simpatiche variazioni sul tema politico-economico c'è una costante che il ministro subentrante eredita dal precedente come una stanca litania: la difesa del patrimonio, il rilancio della cultura! È ingenuo pensare che a tutto ciò potrà porre rimedio la ritualità di parole come quelle pronunciate dal neoministro Massimo Bray al Salone del Libro di Torino, che assicurano un impegno istituzionale volto a «un rilancio della cultura che sia motore del cambiamento politico, volano per la ripresa economica, ma anche e soprattutto elemento fondante della necessità di ricostruire il nostro Paese». Nel frattempo, continua il collasso di Pompei, quotidianamente chiude un teatro comunale qua e là, le librerie si riducono, le biblioteche nazionali arrancano per gli acquisti e le catalogazioni, gli orari d'apertura degli archivi sono sempre più ristretti, senza dimenticare che i maestri delle elementari sono costretti a chiedere ai genitori di fare le fotocopie. Giusto esultare per il balzo di presenze al Salone di Torino e ovunque ci sia un festival letterario, filosofico, artistico, ma intanto la gente legge sempre meno e l'analfabetismo di ritorno cresce a vista d'occhio. Dunque, non sarebbe più dignitoso non parlarne più e lasciare almeno che tutto precipiti in silenzio senza l'irritante brusio delle frasi fatte? Tanto, alle persone che dovrebbero darsi da fare sul serio — ormai l'abbiamo capito da tempo — della cultura non gliene importa niente. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 25 Mag. ’13 COPIARE A SCUOLA È SBAGLIATO COME SPIEGARLO AI FIGLI? Genitori (e prof) troppo tolleranti. Ma qualcosa sta cambiando Negli Stati Uniti l'ultima a lanciare l'allarme sui bambini che copiano a scuola è stata la giornalista del Wall Street Journal Sue Shellenbarger in una delle sue rubriche Work & Family dedicate al lavoro e alla famiglia. A ogni età dell'alunno vengono abbinati suggerimenti per spiegargli che imbrogliare tra i banchi è sbagliato (come illustrato a fianco). Un vademecum che fa riflettere. In Italia, dove i bambini che copiano (in modo abituale o saltuario) arrivano al 34% già alle elementari, l'atteggiamento diffuso è ben più tollerante: «I raggiri scolastici sono delle vere e proprie prove generali d'illegalità, ma vengono rappresentati come gesti sporadici insignificanti o episodi di costume e di folklore — denuncia il sociologo dell'Università di Urbino Marcello Dei, che pubblicherà sull'argomento uno studio sulla rivista Minori Giustizia —. Per dirla con una metafora teatrale, in Italia la rappresentazione degli imbrogli tra i banchi di scuola non ha il tono serio e doloroso del dramma, appartiene al genere della commedia leggera, all'italiana, per l'appunto». Ma chi esagera? Sono troppo rigidi i genitori all'estero o siamo noi mamme e papà italiani troppo permissivi? Come bisogna comportarsi, insomma, con i bambini che copiano a scuola? Il fenomeno è stato sdoganato da noti imprenditori e scrittori di fama. Luca Cordero di Montezemolo, ai tempi in cui era ai vertici di Confindustria, aveva confessato agli studenti dell'Università Luiss di Roma: «A scuola ero campione mondiale di copiatura e questo dimostra che anche chi copia ha speranza». Ancora prima, addirittura nel 1997, Claudio Magris sulle colonne del Corriere aveva fattoL'elogio del copiare: «Copiare (in primo luogo far copiare) è un dovere, un'espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino (poco importa se per un'ora o per una vita) che costituiscono un fondamento dell'etica. (...) Chi, sapendo un po' di più di informatica o di latino di quanto non ne sappia il suo compagno di banco, non cerca di passargli il tema resterà probabilmente per sempre una piccola carogna». E indulgenti spesso lo sono anche i prof che, in occasioni come la maturità, girano la testa per non vedere chi copia. Così nei giorni scorsi l'Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola è stata costretta a scrivere al nuovo ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza: «Fra poco avranno inizio gli esami di Stato — rimarcano i presidi —. Un momento importante, previsto dalla nostra Costituzione, la cui credibilità negli ultimi anni è stata fortemente intaccata dalla segnalazione di numerosissimi casi in cui non è stato garantito il corretto svolgimento delle prove. (...) Pesa anche, purtroppo, una abbastanza diffusa mancanza di fermezza nel far rispettare le regole, che, insieme a una malintesa “comprensione” nei confronti degli studenti, ha indotto alcuni a tollerare e anche a giustificare indebiti aiuti». L'appello «Non fate più copiare gli studenti», è il refrain appena (ri)lanciato dal Gruppodifirenze.blogspot che si batte per la scuola del merito e della responsabilità. Quel che emerge, forse, è che finora c'è stata troppa indulgenza. Il sociologo Marcello Dei è categorico: «Tra gli imbrogli scolastici e l'illegalità diffusa nella vita pubblica e privata del Paese sussiste un filo di continuità — ribadisce —. Il rispetto della legalità incomincia fra i banchi di scuola». Spiegare al bambino come resistere alla tentazione diventa una sfida importante: «Il mio suggerimento è di non colpevolizzarlo mai, soprattutto quando ha 5/6 anni e difficilmente attribuisce al copiare il significato che gli danno gli adulti — spiega Emanuela Confalonieri, psicologa dello sviluppo dell'Università Cattolica —. È meglio fargli capire che ce ne siamo accorti e trovare insieme un modo originale per (ri)fare il compito copiato». Dopotutto uno studio del 2008 di Sara Staats, Julie Hupp ed Heidi Wallace, ricercatrici di psicologia della Ohio State-Newark University, aveva dimostrato che «chi non copia ha più personalità». Ma avere personalità oggi è un vantaggio? Questa, però, è un'altra storia. Simona Ravizza sravizza@corriere.it _____________________________________________________________ Osservatore Romano 21 Mag. ’13 PIENA OCCUPAZIONE IN GERMANIA PER I LAUREATI Secondo l'ultimo rapporto dell'agenzia federale del lavoro BERLINO, W. In Germania si è arrivati in pratica alla piena occupazione per i laureati, secondo i dati raccolti dall'agenzia federale del lavoro e pubblicati durante il fine settimana dalla «Frankfurter Allgeimene Zeitung». 'Fra il 2001 e il 2on hanno trovato lavoro 2,5 milioni di laureati in più rispetto al decennio precedente, con un incremento del 5o per cento, che ha portato il totale a 7,7 milioni. La disoccupazione tra i possessori cli una laurea è di circa il 2,5 per cento. Il quotidiano tedesco ricorda che questo, secondo le normali definizioni macroeconomiche, corrisponde alla piena occupazione. Il dato è comunque ulteriormente migliorato nel 2012, durante il quale l'agenzia ha registrato 15o.000 offeri, di lavoro per possessori di una laurea, il 5 per cento in più rispetto al 2o11, e le previsioni per il 2013 sono ancora più positive. La crescita occupazionale riguarda ogni tipo di titolo di studio accademico, ma il numero maggiore di occupati laureati sono ingegneri, oltre 700.000. Dal rapporto governativo emerge inoltre che in caso di perdita del posto di lavoro un laureato disoccupato su due deve aspettare meno di tre mesi per trovarne un altro, mentre quelli costretti ad attendere più di un anno per avere dí nuovo una busta paga non sono più del 12 per cento. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Mag. ’13 BIBLIOTECHE ITALIANE, IL CATALOGO È QUESTO (O CIÒ CHE NE RIMANE) L’Unione Sarda / Cultura (Pagina 43 - Edizione CA) Il personale Iccu: organici in calo, a rischio i saperi Che fine farà la biblioteca, tempio del sapere accessibile a tutti, senza il suo catalogo? Dove si potranno reperire i nuovi libri se nessuno aggiornerà più la lista? Una domanda che bisogna porsi subito, ancora con più grinta di prima e non abbandonarla in balia dell’indifferenza o di questioni “più urgenti”. Perché di tutto l’inchiostro versato a registrare le cronache di malessere (perenne?) della cultura italiana, un bel po’ ne merita l’allarme sui tagli ulteriori nel settore dei Beni culturali che colpiscono l’Istituto Centrale del Catalogo unico delle biblioteche italiane (Iccu). La riduzione dei fondi all’istituto che da oltre venti anni si occupa della catalogazione informatizzata di 5 mila biblioteche italiane è una pessima notizia a cui si sarebbe già dovuto porre rimedio da un bel pezzo. Lo stesso personale Iccu denuncia che non esiste più la trasmissione dei saperi perché i pensionamenti non vengono compensati da nuove assunzioni ma solo da collaborazioni esterne provvisorie, figlie dell’ormai provvisorio cronico italiano. Addio, quindi, alla consegna alle nuove generazioni del bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche relativo al materiale antico e manoscritto, alla catalogazione e alla gestione dell’informazione. Eppure negli anni ’80 tirava aria di grandi vedute il cui risultato, per ora, è ammirato anche oltre confine. L’Iccu attiva e cura il Servizio bibliotecario nazionale (Sbn), conosciuto da studenti e studiosi e in generale da tutti coloro che, qui come all’estero, ricerchi un documento del patrimonio delle biblioteche italiane. La forza di questo sistema si basa sul decentramento territoriale e sulla cooperazione tra Stato, Regioni (in tutto sono 83 i poli regionali), venti università e le 5 mila biblioteche aderenti. Grazie a questa rete sono stati abbattuti i costi della catalogazione, garantendo così in pochi anni risultati non perseguibili per le biblioteche con la gestione tradizionale. Il servizio Sbn ha organizzato un catalogo online (Opac Sbn) con il quale l’utente individua la biblioteca che possiede il documento e raccoglie le informazioni per ritirarlo o attivare una richiesta di prestito interbibliotecario nel caso in cui la struttura indicata non fosse per lui agevolmente raggiungibile. I numeri sono significativi perché via Internet accedono oltre 2 milioni e mezzo di utenti l’anno che visitano più di 35 mila pagine ed effettuano circa 50 milioni di ricerche bibliografiche tra i 14 milioni di titoli. In questi anni sono così cresciuti i servizi all’utenza con tutte le meraviglie del digitale. Ma ora i nuovi ridimensionamenti mettono in pericolo la qualità e la continuità del servizio stesso. E a rischio finiscono la ricerca e lo stesso diritto allo studio. Una campagna di mobilitazione è partita tra bibliotecari, librai e semplici cittadini, meglio non abbassare la guardia. E oggi occhi puntati sulla Capitale. In Commissione Cultura è infatti fissata l’audizione del ministro per i Beni e le Attività culturali, Massimo Bray, sulle linee programmatiche del suo dicastero. Ormai la decrescita continua che rode impunemente il pilastro cultura affligge già anche gli altri settori. Il cambio di rotta è, allora, quanto meno doveroso. Manuela Vacca _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’13 LA VERITÀ LETTERARIA DELLE MALATTIE di IDA BOZZI Attacchi di panico, agorafobia, cancro e Alzheimer I romanzi di oggi sanno indagare il lato oscuro della vita T ra i cinque racconti finalisti del Campiello Giovani di quest'anno, ben due toccano temi come la malattia e la vecchiaia, e sono Ibrido di fuoco di Valentina Giuliano e Un ricordo di Ilaria Catani. Ma anche negli altri tre — Girasole impazzito di luce di Alberto Alarico Vignati, Diciassette e cinquantaquattro di Paola Vivian e Le strade primitive di Alberto Zanella — la dimensione dell'esistenza è quella concreta e spesso sofferente della vita vera, i ragazzini sono seduti con le mani sulle ginocchia sbucciate, gli adolescenti hanno i loro bravi visi rabbiosi e smunti e gli avventurieri battono in lungo e in largo una terra assai polverosa e dura da calcare. E, en passant, nessuno si occupa di social network, Facebook, relazioni virtuali e così via: forse è ancora troppo presto, o forse non si tratta di una dimensione che interpreti il dolore e la complessità che questi racconti intendono narrare. Entrando in una libreria, o digitando la parola «malattia» in una di quelle online, poi, si ha modo di osservare che la narrazione della condizione malata è un fenomeno di proporzioni notevoli, e che molti scrittori contemporanei vi si sono confrontati in modo particolare. Dall'Alzheimer raccontato da Lisa Genova in Perdersi (Piemme), alla malattia di Alberto Damilano in Questa notte è la mia(Longanesi), sulla Sla, fino alla disperazione per la perdita di una figlia dei romanzi di Philippe Forest da Tutti i bambini tranne uno aPer tutta la notte. E pensare che, come ha ricordato in un incontro sul fine-vita al recente Salone del libro Michela Murgia, l'autrice diAccabadora (Einaudi), «per gli editori la parola morte o malattia nel titolo di un libro è ancora tabù». Bisogna chiarire alcune cose, però: la malattia è da sempre una dimensione importante della narrativa. Ma se Tiresia ed Edipo sono ciechi per l'intervento delle divinità, del destino superiore, che ha sancito in questo modo il loro dono o la loro colpa, e se per tutto il Decadentismo la malattia è la condizione dionisiaca, affascinante ed enigmatica insieme a tutto ciò che è morbo, nevrosi, malessere e, in fin dei conti, aspirazione alla morte, mentre nella Montagna incantata di Mann lo stato patologico è attraversato né più né meno come una Bildung, una formazione, oggi il male entra nella narrativa da ben altra strada. Occorre semmai pensare alla «malattia come soglia», secondo gli studi del teorico letterario Michail Bachtin: una patologia da guarire, nient'affatto amabile, tuttavia vera, drammatica, concreta (realistica come la fame e la miseria del Dopoguerra), che diventa attraversamento di una soglia irreversibile e che può essere anche metafora di un malessere contemporaneo, ma è soprattutto dimensione individuale di ingresso in una condizione di solitudine, di osservazione del reale, di constatazione della fragilità umana, alla ricerca di ciò che conta veramente. Cioè della realtà. È spesso un'autobiografia o una biografia della patologia altrui (un padre, una madre), che aspira ad essere enunciazione della drammaticità della vita, racconto dello sforzo per la guarigione, talvolta narrazione edificante, ma sempre visione del mondo dietro il velo di Maya della contemporanea apparente felicità. Tra i casi da analizzare vi è certamente Sia fatta la tua volontà di Stefano Baldi, edito da Pendragon, ripubblicato da Newton Compton e in quest'edizione entrato in classifica libraria, anche tra i primi dieci: è la storia, vera e autobiografica, di un ragazzo «qualsiasi» che scopre di avere un cancro e che prima di morire riesce a essere una persona meno anonima, meno «qualsiasi», e a salvare altre vite. Toccante, ben scritto, l'unico romanzo di Baldi — scomparso nel 2009 — è quasi simbolico della «soglia» di cui parla Bachtin, il punto di non ritorno che però dà stimolo alla nuova vita, alle nuove scelte più vere ed essenziali, alla ricerca di una verità tutta umana. Autobiografico è anche il racconto della cura di Day Hospital di Valerio Evangelisti (edito da Giunti), in cui il creatore dell'inquisitore Eymerich racconta invece se stesso, la terapia chemioterapica e la guarigione dal linfoma non Hodgkin che gli è stato diagnosticato. È il punto di svolta della vita, il luogo di «soglia» irreversibile (accentuato da una prosa rigorosa e scandita) che insegna, tuttavia, una sua lezione di umanità. Così come una presa diretta all'interno di un centro oncologico è Il male dentro (Cairo) di Maria Giovanna Luini, un romanzo in cui un medico, Barbara, attraversa le storie piene di dolore ma anche di energia e speranza dei pazienti malati. O come la vitalità di Anna Lisa Russo trapela intera dal suo libro Toglietemi tutto ma non il sorriso (Mondadori), sul cancro che l'ha uccisa. Non c'è simpatia per il nemico, la malattia, c'è però il tentativo di recuperare, pur attraverso la patologia e la morte, la dimensione più profonda e vera, propria e del mondo: l'emozionante La fine del giorno (Rizzoli) di Pierluigi Battista, in cui l'autore dà testimonianza della morte della compagna, è il diario di chi si trova all'improvviso catapultato oltre la soglia, e vede tutto mutare, prendere colori e sapori nuovi, proprio a causa di questo cambiamento irreversibile che dà senso all'intera esistenza; così come nel bellissimo Lucy(Feltrinelli) di Cristina Comencini l'Alzheimer rende comprensibili, concrete, dimensioni che prima non si percepivano come tali, e la malattia della paleontologa Sara, il legame con il passato recente che si spezza e il passato remoto che assume la dimensione di unica realtà, diventa il modo per ritrovare un'identità arcaica, primaria e primitiva, vera al di là delle vicissitudini piccole e casuali che hanno determinato le scelte quotidiane. Pare paradossale, ma la malattia, la cura, che sia seguita o no dalla guarigione, sembra quasi un elemento unificante dell'individuo oggi così «diffuso» (o «liquido», se si vuol usare il termine praticato da Zygmunt Bauman): ciò che prima della malattia appariva disperso e casuale, insignificante, un legame, un affetto, uno stile di vita, dopo il male assurge a un ruolo di Valore di Verità, personale e conquistato con la patologia, o decade irreversibilmente a elemento marginale, a inganno del mondo secolare, a falso valore, mera decorazione. Ecco perché i racconti di patologia o di morte assumono spesso una forma letteraria particolarmente asciutta, priva di orpelli narrativi, fino a diventare cronache schiette e urticanti: va citato il racconto Profezia nella raccolta Baci scagliati altrove (Fandango) di Sandro Veronesi, fermo resoconto della morte del padre ed esempio notevole di quel realismo in cui nascono e crescono tutte le narrazioni di malattia. Ciò che conta non è tanto il morbo, che può essere un tumore o una semplice sindrome da attacchi di agorafobia, come nell'efficace romanzo memoir Il panico quotidiano (Einaudi) di Christian Frascella: ciò che conta è l'analisi del mondo che ne viene suscitata. Quasi che, come in un attacco di panico, il mondo visibile sia un coacervo di inganni, di indizi fuorvianti, di complessi mascherati, e che la malattia porti alla luce la necessità di una ricerca più attenta, profonda, di ciò che davvero ci muove, sotto il velo di ciò che ci distrae. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 Mag. ’13 SORU PER TISCALI VERSIONE 2.0 SI AFFIDA A TRE STELLE NASCENTI Prima «Streamago», poi nel 2012 «Indoona» che unisce fonia e social Ora arriva «istella», nelle intenzioni il motore di ricerca per il made in Italy N el 2011 è partito Streamago, il servizio per lo streaming live da computer e telefonino. Un anno dopo è arrivata Indoona, l'app che integra fonia e social e che permette di chiamare e inviare messaggi multimediali da smartphone e da pc. A marzo è stata la volta diistella, il motore di ricerca che si prefigge di far conoscere la cultura italiana. Un mese dopo ha aperto i battenti Open Campus, lo spazio dedicato alle startup. Tanti passi che formano il percorso della nuova Tiscali, alla ricerca del rilancio dopo il ritorno di Renato Soru alla guida, il salvataggio e il ricompattamento intorno al mercato italiano. «Negli ultimi due anni abbiamo cercato di vedere l'azienda in modo nuovo: abbiamo ripreso a considerarci una startup. Per noi il nuovo inizio è un ritorno alle origini», spiega seduto alla grande scrivania del suo ufficio di Sa Illetta. Al piano di sotto, nel giardino dell'azienda, sta per iniziare la Startup Weekend. Il contest, lanciato dalla fondazione Kaufmann a livello mondiale, approda per la prima volta in Sardegna, ospitato e organizzato da Open Campus. «Vogliamo fare innovazione, ma guardiamo il mondo con i nostri occhi di persone adulte: la vicinanza con questi ragazzi ci porta punti di vista diversi», sottolinea l'amministratore delegato. Diversi e necessari: «Innovare è l'unico modo per andare avanti, non si cresce con i rimpianti». A guardarsi indietro, forse, di rimpianti potrebbero essercene. Fondata nel 1998, Tiscali è stata la prima azienda ad offrire l'accesso gratuito a Internet in Italia. Quotatasi in Borsa nel 1999, in tempo per cavalcare l'onda della bolla Internet nel 2000, inaugura il nuovo millennio con l'espansione in tutta Europa. È stata la prima compagnia alternativa, è rimasta la sola indipendente. A duro prezzo: dopo il successo dei primi anni, per l'azienda inizia un percorso a ostacoli. Dopo la parentesi politica da governatore della Sardegna (durata un mandato), Soru ritorna al posto di comando nel 2009 e prova a rilanciare la sua azienda partendo dall'Italia. Lui scherza: «Ho lasciato Tiscali ai tempi del cellulare, sono tornato con il boom dello smartphone». La svolta in termini economici non è ancora arrivata: dalla sua quotazione in Borsa ad oggi, la società non ha mai prodotto utili e anche gli ultimi dati pubblicati — primo trimestre 2013 — mostrano una perdita da 2,6 milioni rispetto a 0,3 milioni dello stesso periodo del 2012, mentre i ricavi sono calati da 59,7 a 55,9 milioni. Ma le tre punte di diamante sulle quali l'azienda sta lavorando — Streamago, Indoona e istella — sono i primi segnali di un cambio di rotta che dovrebbe guidare Tiscali fuori dalle secche degli ultimi anni. Per spiegare perché punta su di loro, Soru parte da lontano. E ricorda l'entusiasmo della nascita del web: «Internet è cresciuto come uno spazio libero, ora si sta chiudendo in tanti bastioni. Come Facebook: un web dentro il web, ma con un padrone che ne detta le regole. Io spero si torni a com'era in origine, quando lo spazio era un bene comune e non di una o più aziende». Uno spazio del genere è fatto su misura per istella, il motore di ricerca per il «web nascosto», che guida i navigatori attraverso archivi e contenuti relativi alla cultura italiana, permettendo anche ai singoli utenti di mettere in Rete i loro documenti personali. «Nel 2000 Internet era grande ma non come oggi, un motore di ricerca con lo stesso approccio in tutto il mondo sembrava la soluzione migliore. Ma secondo noi posti diversi possono anche essere raccontati in modi diversi: istella è nata in Italia, ma il modello è replicabile anche in altri Paesi», conclude. La chiave, insomma, è ripartire dall'Italia. E dall'innovazione: ecco perché Tiscali ha deciso, nell'anno in cui la sede di Sa Illetta festeggia i dieci anni dall'inaugurazione, di aprirsi alle startup digitali. Potrebbero essere loro il vero motore per l'Italia (e per Tiscali): «Il mondo cambia attraverso Internet, ma se guardiamo ai servizi disponibili oggi noi italiani non siamo quasi mai protagonisti. E invece possiamo e dobbiamo fare la nostra parte». GRETA SCLAUNICH _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mag. ’13 SE L'ALGORITMO DECIDE PER ME I sistemi predittivi sono sempre più efficaci, mirati e pervasivi. A farne le spese non è solo la privacy: si rischia una diffusa omologazione di Alessandro Longo e Luca Tremolada Watson lo sa, sa tutto. Il più potente computer al mondo, quello che ha stracciato un essere umanorispondendo meglio a un quiz televisivo entrerà in uno smartphone. Dopo le sperimentazioni negli ospedali imparerà tutto sulle pratiche e sui processi di un'azienda e risponderà in tempo reale alle lamentele e alle richieste di aiuto degli utenti. Anche Wikipedia lo sa, anzi conosce a tal punto la Borsa e i mercati finanziari da essere in grado di prevedere crisi e andamento delle azioni. Tobias Preis, professore di scienza del comportamento alla Warwick Business School pochi giorni fa ha pubblicato uno studio che mette in relazione il tasso di consultazione delle pagine web di argomento finanziario dell'enciclopedia online con gli andamenti dell'indice Dow Jones. Usando queste informazioni prese dalla rete Preis e il suo team hanno scoperto che ragionando sul lungo periodo esiste una relazione tra l'aumento delle pagine viste su Wikipedia relative a voci finanziarie e le crisi dei mercati azionari. Anzi, secondo lo studioso le informazioni online che noi lasciamo sono in grado di anticipare le nostre azioni. Nello specifico dello studio sui mercati finanziari ma più in generale nel mondo reale. L'assunto è intuitivo ma in realtà tutto da dimostrare: consultandoci in rete, discutendo sui social network o cercando informazioni, in qualche modo riveliamo le nostre intenzioni. Chi, per esempio, usa Twitter e social network come sfogatoio di delusioni politiche e frustrazione in realtà non farebbe altro che rivelare il suo malessere. Malessere che prima della rete si esprimere in altro modo. Ma, se davvero è così, se la rete è davvero dal punto di vista statistico un campione rappresentativo di ciò che siamo e vogliamo, sarebbe lecito domandarci cosa raccontiamo di preciso in rete (senza saperlo) e soprattutto a chi. Se la risposta alla prima domanda chiama in causa una dimensione filosofica dell'essere, alla seconda si può rispondere con più contezza. A tracciare il nostro comportamento digitale ci sono in prima linea tutte le aziende interessate a venderci qualcosa. E tutti quei soggetti interessati a sapere chi siamo. Nello specifico sono software che estraggono informazioni e li traducono in algoritmi che descrivono comportamenti. Ma adesso la sfida è un'altra: anticipare i nostri desideri, rispondere a domande implicite. Ecco perché la nuova frontiera dell'intelligenza artificiale sta evolvendo verso sistemi predittivi. Google Now (su Android e da poco anche iOs) è in grado di aiutare l'utente in base alle ricerche fatte in precedenza, inviare mail in automatico quando questi raggiunge una certa località, consigliare musica, libri, videogiochi, trasporti pubblici. Le mappe di Google danno consigli personalizzati sui luoghi da visitare. E non c'è mica solo Google. Osito assiste nel check in o ci chiama un taxi quando atterriamo, Tempo AI dà in automatico le indicazioni stradali per gli appuntamenti che legge in agenda. Cue riassume la nostra giornata in base a informazioni trovate nell'agenda, nelle email, nei documenti presenti sul cellulare. «Da una parte, computer sempre più veloci. Dall'altra, capacità della tecnologia di raccogliere sempre più dati su di noi, grazie a cellulari e a sensori. Il risultato sono sistemi che arrivano ad anticipare le nostre mosse. In un certo senso, prevedono il futuro», dice Massimo Marchiori uno dei padri dell'algoritmo alla base di Google. «Non è una moda passeggera, perché da anni si va in questa direzione – conferma Valerio Eletti, che si occupa di sistemi complessi all'Università La Sapienza di Roma –. Si realizza in fondo lo scenario del web semantico intuito da Tim Berners-Lee, padre della rete: internet evolve partorendo agenti in grado di capire il senso di ciò che facciamo». Molti esperti concordano che i rischi sono due: annullamento della privacy e omologazione del pensiero. «Non è facile creare sistemi che diano davvero i consigli giusti; spesso ancora scadono nell'inutile, tipo suggerire un prodotto già comprato. Ma quando saranno perfetti c'è il rischio reale di un Grande Fratello», dice Andrea Rangone, a capo degli Osservatori Ict del Politecnico di Milano. Il circolo vizioso è che i sistemi accumuleranno sempre più dati su di noi e noi saremo lieti di fornirli in numero crescente, per ottenere consigli più accurati. La scienza dei dati ha dimostrato che se so sufficienti cose su qualcuno – anche anonimo – ci può essere un algoritmo in grado di rivelarne l'identità e persino di desumere informazioni ulteriori. «I sistemi predittivi sanciscono un traguardo previsto da Marshall McLuhan – commenta Giovanni Boccia Artieri, sociologo del l'Università di Urbino ed esperto di digitale –, la tecnologia che diventa davvero nostra estensione. Ci capisce così bene da diventare implicita, invisibile». Continua a pag.14dalla prima «Ma se una tecnologia sparisce dal nostro orizzonte di visibilità sfugge anche a una possibile critica – aggiunge Boccia Artieri –. C'è il rischio di omologarci, di rinforzare abitudini e comportamenti e tagliare fuori una parte della casualità delle nostre vite». Conferma Giuseppe Iacono, fondatore di Stati Generali dell'Innovazione: «I sistemi predittivi ci conducono verso comportamenti prevedibili perché definiti di fatto da algoritmi. Questo porta alla costruzione di comportamenti omogenei, con effetti non dissimili da quelli (deprecati) della tv, invertendo in modo totale la logica della differenziazione tipica del web». Soluzioni possibili? Molti suggeriscono norme che rafforzino il diritto degli utenti a controllare i propri dati. Una proposta di legge californiana voleva essere la prima a sancire il diritto dei cittadini a sapere tutto ciò che le aziende conoscono di loro. Come è andata a finire? È stata affossata dalle critiche dell'industria hi tech. Alessandro Longo e Luca Tremolada _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mag. ’13 GENETICA NON VUOL DIRE OGM Lo studio del Dna delle specie selvatiche consentirà di migliorare le coltivazioni: Elena Bitocchi è stata premiata per le sue ricerche sul fagiolo Francesca Cerati Quando si parla di genetica in agricoltura si pensa sempre in primo luogo agli Ogm, le specie geneticamente modificate. Invece il ruolo e lo studio del Dna in agricoltura è anche altro e diventa sempre più importante conoscere il livello e l'organizzazione della variabilità dei geni nei vegetali per trovare le soluzioni più adatte per vincere le sfide che l'agricoltura sarà chiamata ad affrontare nei prossimi anni: cambiamenti climatici, incremento demografico, agricoltura sostenibile, sicurezza e qualità alimentare. E per ottenere i migliori geni vegetali possibili e quindi varietà con rese più elevate, resistenti agli stress biologici, come i parassiti, e non biologici, come le condizioni climatiche sfavorevoli, la ricerca genetica è fondamentale. Ed è di questo che si occupa Elena Bitocchi, 35 anni, mamma di una bambina di due anni, con un dottorato alle spalle. Lavora all'Università Politecnica delle Marche sul fagiolo comune. «Dal confronto tra il genoma della forma selvatica e quello della forma domesticata – ci racconta l'agronoma – sarà possibile, grazie alle tecnologie di sequenziamento, ottenere preziose informazioni da applicare nei futuri programmi di miglioramento genetico». Il continuo ridursi dei costi di questo tipo di tecnologie può infatti essere sfruttato anche per studiare le coltivazioni con le migliori caratteristiche di produzione e resistenza, semplicemente selezionando le piante che interessano. Ma perché è importante risalire al genoma "originale" delle specie vegetali commestibili, come per esempio quello del fagiolo? «Perché così si può ampliare in modo significativo il pool genico domesticato: come dimostrano studi recenti, l'uso di germoplasma selvatico può avere un impatto incredibile sul miglioramento delle colture di specie coltivate». Nel caso del fagiolo si stima che circa il 16-18% del genoma sia stato selezionato durante la domesticazione: «Nelle forme selvatiche – continua Bitocchi, che lunedì scorso ha vinto una delle cinque borse di studio del l'undicesima edizione del premio L'Oréal-Unesco per le donne e la scienza – proprio questa porzione presenta un'elevata e probabilmente storicamente inesplorata diversità genetica che non è stata finora sfruttata. Tale diversità è fondamentale per i futuri programmi di miglioramento genetico. Inoltre, poiché il fagiolo è stato domesticato indipendentemente in due pool genici geograficamente ben distinti (del Messico e delle Ande), rappresenta un modello particolarmente interessante per lo studio degli effetti della selezione durante la domesticazione». La ricerca, premiata con 15mila euro dalla giuria presieduta da Umberto Veronesi, permetterà quindi di "fotografare" dal punto di vista genetico diverse popolazioni naturali di Phaseolus vulgaris, e allo stesso tempo di valutare per un elevato numero di geni il diverso livello di espressione genica. In questo modo saranno identificati i polimorfismi, cioè le variazioni genetiche, che verranno utilizzati per l'analisi della diversità genetica nelle forme selvatiche e domesticate di fagiolo. I risultati del progetto (nuove risorse, strumenti e informazioni riguardanti il genoma del fagiolo comune) saranno preziosi anche per il confronto e l'utilizzo in altre specie di leguminose. Con questa edizione italiana, salgono a 55 le giovani ricercatrici aiutate nel loro percorso di ricerca. Ma la strada per valorizzare il patrimonio femminile in campo scientifico è ancora in salita, fintantoché le donne hanno stipendi più bassi dei colleghi e sono più ostacolate nella carriera. Il rischio è di perdere talenti che contribuiscono al progresso della scienza. Ne vale la pena? il gap di genere è un seme da estirpare Bioinformatica. Elena Bitocchi, 35 anni, dopo la laurea in Scienze e tecnologie agrarie all'Università Politecnica delle Marche, ha conseguito il dottorato in Produzioni vegetali e ambiente, trascorrendo 4 mesi presso il Bioinformatics Research Center dell'Università di Aarhus in Danimarca come visiting scientist. La sua ricerca comprende studi sia di ricerca di base sia applicativi nel campo della genetica vegetale. La scoperta sull'origine del fagiolo dal Messico le è valso la pubblicazioen su Pnas e ora è una delle 5 vincitrici delle borse di studio L'Oreal- Unesco Italia. 10% non raggiunge il 10% la percentuale delle donne rettori delle università italiane 34% è la percentuale delle donne ricercatrici calacolata sulla popolazione che fa ricerca 17% la percentuale di donne nei board di enti e istituzioni, il 36% è la media europea 4,9% l'aumento delle capacità di aggiudicarsi finanziamenti contro il 3,2% dei colleghi maschi 3° per il numero di donne che siedono nei board, l'Italia è al terzultimo posto in Europa _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 Mag. ’13 IL NUCLEARE È SPENTO, MA GLI STIPENDI CORRONO DI SERGIO RIZZO Quando decisero di spegnere le centrali nucleari correva l'anno 1987. Massimo D'Alema era appena entrato in Parlamento, Gianfranco Fini veniva eletto segretario del Movimento sociale italiano al posto di Giorgio Almirante e il Napoli di Diego Armando Maradona faceva l'accoppiata scudetto-Coppa Italia. Da 25 anni lo smantellamento di quegli impianti è un cruccio, o un affare secondo i punti di vista, che va avanti senza sosta. Se ne sta occupando una società pubblica, la Sogin, attualmente presieduta dall'ex ambasciatore a Mosca e Londra Giancarlo Aragona. Nata da una costola dell'Enel e ora di proprietà del Tesoro italiano, negli anni passati si è anche trovata al centro di polemiche decisamente singolari. Memorabile l'apertura di una lussuosa sede a Mosca negli anni più intensi del feeling fra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, cementato da un accordo formidabile: perché mentre lo smantellamento delle nostre centrali nucleari procedeva con il contagocce, avevamo preso con i russi l'impegno di smantellare i loro sommergibili atomici. Altrettanto memorabili alcune iniziative d'immagine, fra cui la partecipazione alla Fiera del libro usato, cara all'ex senatore Marcello Dell'Utri, per la modica cifra di 1.257 mila euro più Iva. Per non parlare di alcune assunzioni di parenti e amici. Ma è acqua passata. Apprendiamo ora dall'ultima relazione della Corte dei conti relativa all'attività della società nel 2011, che a circa un quarto di secolo dal referendum in seguito al quale i politici decisero di spegnere le quattro centrali nucleari allora attive, finalmente la Sogin «ha intensificato l'attività di smantellamento, per la prima volta aggredendo il core delle centrali». Il tutto, ovviamente, avviene avvalendosi di ditte specialistiche. Oltre che di un congruo apparato interno. Dalla medesima relazione dei magistrati contabili si ha infatti la notizia che al 31 dicembre del 2011 i dipendenti del gruppo Sogin erano 887: settantuno in più rispetto a due anni prima. Inevitabile anche l'aumento dei costi, giustificato con il fatto che si è deciso di riportare all'interno della società alcune fasi della progettazione deldecommissioning, che evidentemente in precedenza venivano affidate all'esterno. Con più di 800 persone negli organici. Chi paga? Naturalmente, gli utenti. Lo smantellamento delle centrali atomiche grava infatti sulle tariffe elettriche in base a un provvedimento del 2001, che stabilì per completare l'operazione un finanziamento a favore della Sogin con il prelievo sulle bollette pari a 6.500 miliardi di lire. Ovvero, 4 miliardi 236 milioni di euro attuali, da spalmare su un periodo di vent'anni: sempre che non fossero intervenute le solite difficoltà (meglio chiamarle così) poi puntualmente verificatesi. Va precisato che quei 4 miliardi 236 milioni di oggi non sono gli unici costi sopportati dai cittadini per l'abbandono da parte dell'Italia dell'opzione atomica. Perché vanno calcolati anche gli indennizzi astronomici corrisposti all'Enel e agli appaltatori e fornitori della centrale di Montalto di Castro che nel 1987 era quasi completata. I generosi rubinetti di quegli indennizzi si sono chiusi nel 2000, dopo che avevano già versato nelle casse della società elettrica e di imprese quali Ansaldo Finmeccanica 11 miliardi 456 milioni di euro del 2012. Oltre il doppio della cifra (5.500 miliardi di lire, pari a 4 miliardi 706 milioni di euro di oggi) che era stata stimata congrua da una commissione di esperti all'inizio degli anni Novanta. L'uscita dal nucleare ci costerà dunque alla fine l'equivalente in valuta attuale di 15 miliardi 692 milioni di euro, l'uno per cento del Pil, somma con la quale si potrebbero costruire almeno dieci centrali. Tutto questo, sia ben chiaro, nella migliore delle ipotesi. Siamo o non siamo il Paese delle meraviglie? _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mag. ’13 VOGLIAMO SALVARE I NOSTRI SPAGHETTI? Sylvie Coyaud Nell'atmosfera, il 9 maggio scorso l'anidride carbonica (CO2) ha superato le 400 parti per milione (ppm) per la prima volta da quando esistono la nostra specie e i vegetali che da diecimila anni seleziona sperimentalmente per cibarsene. Evviva, hanno scritto William Happer e Harrison Schmitt sul Wall Street Journal. Anzi, emettiamo ancora più CO2 ché il suo aumento, da un lato, non è correlato con quello della temperatura e, dall'altro, giova alle piante. Solo così «sfameremo i nove miliardi di esseri umani attesi entro il 2050». È strano che un fisico e un geologo-astronauta andato sulla Luna pensino che un gas serra non abbia un effetto serra, ma è vero che se la temperatura è giusta e l'acqua e gli altri nutrienti sufficienti come accade nelle serre, la CO2 migliora notevolmente la resa. Per verificare se accade anche in natura, nel 1990 al Brookhaven National Laboratory, George Hendrey inventò un insieme di strumenti per arricchire con anidride carbonica l'aria di campi o foreste e misurarne i risultati, un sistema noto come FACE, dall'acronimo di Free Air CO2 Enrichment. Andò a darci un'occhiata Franco Miglietta, oggi dirigente di ricerca all'Istituto di biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Bello, disse, ma quanto costa? «Una cifra pazzesca», ricorda ora, tale da escludere analoghi esperimenti nel resto del mondo, nel terzo in particolare. Di ritorno a Firenze, lanciò una sfida agli americani. All'inizio gli diedero del cialtrone, ma la sua vittoria è uno dei quei successi scientifici che lasciano gli stranieri a bocca aperta e indifferenti gli autoctoni, negati per lo sciovinismo. Nel 1995 insieme ad altri cialtroni volonterosi, Miglietta aveva sviluppato un FACE – un distributore automatizzato di gas, completo di sensori, algoritmi per la raccolta e l'analisi dei dati – venti volte più economico e dieci volte più semplice del made in Usa. Dal 1999, i FACE in funzione dall'India all'Australia all'Europa passando per Stati Uniti e Brasile, sono quelli del Cnr. Hanno prodotto una massa di articoli scientifici e parecchia delusione fra gli agronomi e gli economisti che devono prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici sulla sicurezza alimentare. Lisa Ainsworth dell'università dell'Illinois scriveva nel 2011 che 450-600 ppm aumentano la resa dei cereali di un 8% al massimo. Bene, ma lontano dal 50-70% in più che servono per sfamare nove miliardi di esseri umani e i loro 50-60 miliardi di animali di allevamento. Per fortuna, a Luigi Cattivelli del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura e colleghi era appena venuta un'altra idea. Fra le varietà di frumento esistenti per esempio, perché non cercare con il FACE quelle dotate della combinazione genetica che sfrutti al meglio l'inevitabile aumento di CO2 atmosferica? Le Fondazioni bancarie finanziarono la campagna 2012-2013. Nel campo sperimentale di Fiorenzuola d'Adda (Piacenza), l'anno scorso c'erano spighe da Guinness dei primati. O meglio, da mostra all'Expo 2015, per festeggiare vent'anni dopo la vittoria della Fiorentina sulla squadra di Brookhaven. Ma la vera sorpresa è stata che la CO2 ha reso alcune varietà di grano duro più adatte a far pasta. Francia, Germania e Danimarca hanno subito ordinato il nuovo modello Miglietta & Co. Per raffinare i propri modelli di previsione, contavano anche sulle prossime annate di Fiorenzuola, dove la temperatura media è già quella che ci sarà più a nord e a ovest nel prossimo decennio. Peccato che l'esperimento finisca quest'anno insieme ai fondi. Ma quanto costa? abbiamo chiesto a Miglietta. «Ormai ci serve solo la CO2, sui 120-150 mila euro all'anno». Noccioline, direbbero a Brookhaven, e ci sembrava che il titolo del l'Expo, Nutrire il pianeta, fosse una promessa. Forse abbiamo capito male. ____________________________________________________________ Repubblica 22 Mag. ’13 UOMINI E DRONI SALVERANNO IL MONDO" Parla l'ex direttore di "Wired", ora fondatore di una società che progetta contadini meccanici" La profezia di Chris Anderson RICCARDO LUNA SAN FRANCISCO Le cose cambiano più infretta di quanto molti si immaginano. I miei figli, per esempio, non vogliono più comprare i giocattoli. Se li vogliono stampare con la stampante 3D dopo averli disegnati sul lo- o computer». I venditori di giocattoli sono avvisati: chi parla ha una certa autorità quando si tratta di futuro. Chris Anderson ha 51 anni, il berretto da baseball, la felpa col cappuccio e in mano tiene un aeromodellino: «In realtà è un drone». Li fa la sua startup. Ha appena parlato alla MakerFaire di San Mateo, dove la concentrazione di stampanti 3D e di bambini faceva sembrare incredibilmente verosimile l'ultima profezia dell'uomo che è diventato celebre nel 2004 per aver inventato la teoria della coda lunga per spiegare l'economia al tempo del web. La Maker Faire è la grande fiera degli inventori e degli artigiani, i Makers, ovvero quelli che secondo l'ultimo libro di Anderson saranno gli artefici della terza rivoluzione industriale. Lui ci crede così tanto da aver appena lasciato la direzione di Wired per dedicarsi totalmente alla sua nuova società, 3D Robotics, che progetta e produce droni per l'agricoltura. Come quello che tiene in mano. E quindi Anderson davvero crede che la prossima novità in arrivo dalla Silicon Valley saranno i Farmer Drones, i contadini droni? «Ogni volta che qualcuno mi chiede quale sarà the next big thing io rispondo che detesto l'idea che ci debba essere solo una grande cosa in arrivo. Ce ne saranno moltissime, basta guardarsi attorno alla MakerFaire per capirlo. Ma se devo indicare un settore, allora la risposta per me è la Robotica. Ci credo al punto da averci fatto una azienda con una fabbrica in New Mexico». Come va la 3D Robotics? «Abbiamo avuto un investimento di 5 milioni di dollari, il fatturato è arrivato a 10 milioni ma io punto al miliardo di miliardo di dollari. Del resto tutti in Silicon Valley sperano di diventare la prossima Facebook o Google: anche io». Pensa di farlo con i robot? «Quando io parlo di robot non intendo il fatto che avremo robot per le strade. Questa idea della robotica è sorpassata. Se restiamo a quello che dicono i vocabolari, già oggi viviamo in una società robotizzata. Sqlo che quando un robot funziona davvero non lo chiamiamo più robot. Lo chiamiamo per quello che fa. E quindi la lavatrice è un robot. La macchina del caffè anche. Lo stesso accade quando un termostato diventa intelligente non lo chiamiamo Internet delle cose: lo chiamiamo termostato. E quando il navigatore ci indica la strada in auto non lo chiamiamo intelligenza artificiale. A volte abbiamo un problema di parole, di marketing delle idee: serve qualcuno che prenda delle idee e le impacchetti in modo che tutti possano capirle». È quello che lei ha appena fatto con i Makers: infondo inventori, artigiani e hobbisti del fai da-te e smanettoni sono sempre esistiti. «Esatto. Quando Dale Dougherty nel 2005 lanciò la rivista Make e poco dopo fece la prima Faire ha messo assieme tante esperienze che già c'erano: ma questa semplice operazione ha reso evidente e comprensibile il tutto». P ormai qualche anno che si parla del fenomeno dei makers: è davvero una rivoluzione e non soltanto una evoluzione di cose esistenti o peggio una illusione pensare che possano cambiare il modo in cui vengono prodotte le cose? «Il sottotitolo del mio libro dice "rivoluzione" e quindi temo di non avere scelta... Scherzi a parte. Io penso che questo fenomeno sia più grande del web. Perché usa il web come infrastruttura, il modello di innovazione aperta viene dalla rete, ma riguarda un mondo molto più grande. Il web è digitale, il web è fatto di bits. È contenuto e relazioni. Il movimento dei maker riguarda il mondo fisico attorno a noi. Abbiamo già visto quanto potente è stato l'arrivo del web che non è rivoluzionario in sé ma per le relazioni sociali che consente. Ecco se noi prendiamo questa lezione del connettere, del mettere in relazione tutti e in ogni luogo per cambiare il mondo, e lo applichiamo a quello che c'è attorno a noi, come fa questa cosa a non essere più grande del web?». La prossima star della Silicon Valley sarà una startup che viene dal mondo dei maker? Che è nata alla Maker Faire? «Io misuro il successo delle aziende dalle dimensioni che hanno. E quindi alla domanda quanto è davvero grande il mondo dei makers da un punto di vista economico, la risposta è: cinque anni fa era una società da un milione. Tre anni fa da 10 milioni. Ora da 100 milioni. L'anno prossimo sarà da un miliardo. Ecco come sta crescendo il mondo dei makers, a questi ritmi. Se poi il punto è: una società di makers riuscirà un giorno a diventare più grande di Apple? Non lo soma è molto interessante osservare che l' orologio che ho al polso, lo smartwatch Pebble, è venuto fuori daKickstarter, è stato il più grande progetto finanziato attraverso la rete, ed è un progetto che viene dal movimento dei makers. E oggi Apple ritiene che la prossima categoria di prodotti su cui puntare saranno smartwatch come questo. È un buon segno no?». Il web ha creato moltissimi posti di lavoro ma ne ha anche bruciati tanti in settori obsoleti che sono stati ridisegnati totalmente, penso ai media. Chi sono le vittime di questa imminente distruptive innovation, innovazione distruttiva? Secondo l'ultimo libro di Jaron Lanier, la classe media rischia di sparire. (Anderson disegna su un foglio una curva gaussiana e sotto ne fa una rovesciata: la prima assomiglia a una collina, la seconda a un lago) «Sì, certo, anche io sono preoccupato per la classe media. La distribuzione del reddito si sta rovesciando. E prima ce ne rendiamo conto meglio è se non vogliamo finire qui sotto. Provo a fare degli esempi. Se hai una laurea in informatica puoi davvero diventare ricco, le opportunità di successo per te non sono mai state così grandi. Se invece non hai fatto l'università, beh probabilmente non c'è modo che tu possa crescere e stare meglio. In mezzo alla curva c'è il lavoro a tempo indeterminato, nel settore manifatturiero ma non solo. Questo è destinato a sparire. Infine, sull'altra estremità, ci sono i poveri di oggi che sono l'equivalente dei ricchi di ieri per certi versi. Voglio dire che in tanti ormai hanno aria condizionata, televisione, telefonino, macchine. Essere poveri in questo modo è relativo. Questo è quello che ci aspetta: e se qualcuno ancora spera di lavorare distrattamente dalle 9 alle 5 e stare con i figli a vita, potrebbe trovarsi nei guai». Dopo gli anni all'Economist e la direzione di Wired, ha chiuso con il giornalismo? «Io non sono mai stato un giornalista, ero un direttore: c'è una grande differenza. I media sono stati un ottimo strumento per trasmettere delle idee. Ma ci sono tanti altri modi per trasmettere idee, uno di questi è fare una startup e farla crescere. Tre anni fa non avrei mai immaginato di poter costruire una fabbrica in New Mexico». Torniamo ai suoi robot: su quali scommette esattamente? «La mia società si chiama 3D Robotics, la terza dimensione è l'altezza e quindi robot volanti. I droni. Ecco, sì, i droni saranno the next big thing. Non quelli militari naturalmente, ma quelli per scopi civili. In particolare per l'agricoltura. Droni contadini». Perché questa cosa dovrebbe diventare così importante? «Perché l'agricoltura è la più importante industria nel mondo. E perché i big data sono la più importante industria nel settore tecnologico. Se unisci i big data all'agricoltura hai la risposta. Immagina un piccolo aereo modellino da poche centinaia di euro che tutte le mattine sorvola i campi silenziosamente e li fotografa con un dettaglio mai visto prima e consente di sapere davvero come vanno le cose, se ci sono problemi, malattie delle piante, infiltrazioni d'acqua. Risolvere quei problemi vuol dire migliorare immensamente il raccolto. E per risolverli devi conoscerli. Ora è possibile. Per una nuova società come la mia è una opportunità da un miliardo di dollari appunto. Per il pianeta vuol dire avere più cibo e meno pesticidi: un mondo decisamente migliore». I miei figli ormai non comprano più giocattoli. Li vogliono stampare da soli in 3D dopo averli disegnati A volte abbiamo problemi di marketing delle idee: serve chi le impacchetti in modo che tutti possano capirle L'agricoltura è l'industria più importante. Risolverne i problemi significa migliorare il pianeta _____________________________________________________________ Financial times 22 Mag. ’13 WANTED: SOFTWARE PROGRAMMERS WITH BRAINS, DILIGENTE - AND AUTISM By Chris Bryant in Frankfurt SAP, the German business software company, wants to tap into a new talent pool by hiring hundreds of people with autism to programme and test its products. SAP announced yesterday that it hoped people with autism - a developmental condition that can impair a person's ability to communicate and interact with others - would ultimately account for 1 per cent of its 64,000 strong workforce. Some people with autism, which affects about 1 per cent of the general population, score very highly on intelligence tests and possess extraordinary powers of observation and concentration. But according to the National Autistic Society, a UK charity, they can find it difficult to interpret facial expressions, body language and sarcasm. As a result, they often struggle to perform well in job interviews or get along with colleagues. "We share a common belief that innovation comes from the edges," said Luisa Delgado, an SAP director who added that the company valued the ability of many autistic people to "think differently and spark innovation". SAP is not alone in targeting autistic people as potential employees. Auticon, a Berlinbased consultancy, exclusively hires people with the condition as software testers. Four of its consultance avere recently employed by Vodafone for a project in Dusseldorf. "[People with autism] have strong attention to detail and an ability to identify mistakes. If they look at a program code they are able to see very quickly if there's a mistake," an Auticon spokesman said. "Our people like IT and programming. They have an unbelievable focus and motivation." SAP is partnering with Specialisterne, a Danish social enterprise that headhunts autistic people for work on data-entry, software programming and testing projects. It cime to help one million people with autism find a job, with a focus on technology-orientated roles. SAP has already run a successful pilot scheme in Bangalore, India, where it employed autistic people as software testers, and will expand the programme to all of its label worldwide. "I would like to see more companies follow SAP's lead," said Steen Thygesen, chief executive of the foundation that oversees Specialisterne. "There's nothing preventing others from taking this approach." _____________________________________________________________ Le Scienze 23 Mag. ’13 SCENARI MENO ESTREMI PER IL RISCALDAMENTO GLOBALE Modelli climatici migliorati applicati alle serie storiche e ai più recenti dati disponibili tendono a escludere gli scenari più catastrofici legati al riscaldamento globale, che prevedevano un incremento delle temperature globali medie fra 2,2 e i 4,7 °C. L'aumento dovrebbe infatti essere contenuto fra 1,2 e 3,9 °C. Se i tassi di emissione dei gas serra non scenderanno verrà però comunque superata la soglia dei 2 °C (red) Gli scenari più estremi previsti dai modelli di riscaldamento globale dovrebbero essere scongiurati, anche se c'è concretamente ancora il rischio che nei prossimi 50-100 anni venga raggiunta e forse superata la soglia di un riscaldamento medio di 2 °C, sotto la quale sarebbe necessario rimanere per evitare conseguenze ecologiche comunque gravissime, a partire da un preoccupante aumento del livello dei mari. È questo il risultato di uno studio effettuato da un gruppo internazionale di ricerca che pubblica in proposito un articolo su “Nature Geoscience”. Le simulazioni precedenti prevedevano che con le attuali emissioni di gas serra la stabilizzazione delle temperature (o equilibrium climate sensitivity, ECS) si sarebbe raggiunta per un aumento delle temperature globali medie compreso fra 2,2 e 4,7 °C, mentre sul più breve termine si sarebbe assistito a una risposta climatica rapida (transient climate response, TCR) con un aumento attorno agli 1,8°C; la nuova ricerca prevede invece una ECS nell'intervallo 1,2-3,9 °C e una TCR di 1,3°C. “L'eventuale riscaldamento a lungo termine dopo la stabilizzazione climatica rimane piuttosto incerto – commenta Alexander Otto dell'Università di Oxford, primo firmatario dell'articolo - ma per la maggior parte delle decisioni politiche necessarie, la TCR per i prossimi 50-100 anni è ciò che conta”. I risultati di Otto e colleghi sono stati ottenuti tendendo conto sia delle serie storiche dal 1850 al 2005 sia dei più recenti dati relativi alle temperature globali, che nel corso dell'ultimo decennio hanno indicato una leggera flessione nell'incremento della temperatura rispetto a quello registrato nei decenni precedenti. A questo insieme di dati sono stati applicati i più aggiornati modelli per la valutazione dei flussi di energia e dell'energia accumulata dal sistema climatico nelle sue diverse componenti, ossia oceani, continenti, calotte glaciali e atmosfera. Il grafico indica le variazioni nella temperatura media globale rispetto alla media 1960-1990.Sono evidenziati con linee colorate i valori di temperatura media per il periodo di riferimento 1860-1879 (nero), di alcuni decenni recenti: anni settanta (blu), ottanta (verde), e novanta (giallo) del XX secolo, il primo decennio del XXI secolo (rosso), e del periodo 1970-2009 (linea grigia più lunga). (Cortesia A. Otto et al / Nature)Questi progressi nella capacità di raccolta ed elaborazione dei dati, hanno permesso per esempio di scoprire - osserva uno degli autori, Jochem Marotzke del Max-Planck-Institut per la meteorologia di Amburgo - che “negli ultimi dieci anni, il pianeta nel suo complesso ha continuato a riscaldarsi, ma il riscaldamento è avvento in gran parte a carico delle acque oceaniche profonde, piuttosto che in superficie." Secondo le stime elaborate, ben il 94 per cento dell'eccesso di energia entrato nel sistema fra 1971 e 2005 in seguito all'aumento dei gas serra è stato assorbito dagli oceani, il 2 per cento circa dallo scioglimento dei ghiacci, il 3 per cento dai continenti e solamente l'1 per cento sarebbe rimasto in atmosfera. "Chiaramente, i nuovi dati che contribuiscono a escludere gli scenari più estremi per i tassi a breve termine del riscaldamento sono una buona notizia”, ha concluso un'altro dei ricercatori coinvolti, Reto Knutti del Politecnico federale di Zurigo. “Tuttavia, sebbene la risposta sia nella parte bassa dell'intervallo di incertezza, se le attuali tendenze nelle emissioni continueranno, di fronte a noi c'è ancora la prospettiva di un riscaldamento ben oltre l'obiettivo dei due gradi che i paesi hanno concordato, se le tendenze attuali continuano emissioni." _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’13 PERCHÉ NON SI RIESCE A CAMBIARE LA TRADIZIONE DEL COGNOME DEL PADRE Preferito anche dove si può scegliere di SILVIA VEGETTI FINZI Il 12 aprile scorso Franco Gallo, presidente della Corte costituzionale, ha criticato l'obbligatorietà del cognome paterno dicendo che si tratta di un «retaggio della concezione patriarcale della famiglia». Nonostante alcune, limitate aperture, il nostro Paese è infatti tra gli ultimi a recepire l'invito del Consiglio d'Europa di accordare ai genitori uguale diritto nell'attribuire ai figli il cognome di famiglia. Secondo la legislazione francese, ad esempio, i genitori hanno tre possibilità: attribuire al figlio solo il cognome della madre, solo il cognome del padre o entrambi i cognomi nell'ordine che preferiscono. Devono però scegliere tra i quattro cognomi dei nonni i due da conservare, rinunciando così a trasmettere metà del loro patrimonio genealogico. Ma non si tratta soltanto di una questione di diritto perché il cognome rappresenta una sedimentazione di geografia e di storia che colloca la nostra identità nelle coordinate dello spazio e del tempo. Non è la stessa cosa chiamarsi Esposito, Brambilla, Levi o Visconti di Modrone. Presentandoci con nome e cognome forniamo già una prima definizione della nostra identità, una cornice in cui inserire ogni irrepetibile individualità. Per secoli, nelle società patriarcali, il cognome è stato quello del padre, l'unico detentore dell'autorità familiare. Portare il cognome della madre rivelava la mancanza della legittimazione paterna. Ma ormai molte cose sono cambiate. Il Nuovo Diritto di Famiglia, del 1975, stabilisce tra i coniugi parità di diritti e di doveri. E, più recentemente, l'eguaglianza di tutti i figli, nati dentro o fuori il matrimonio. Perché dunque dovrebbe trascinarsi, fuori contesto, il residuo di un passato che nessuno rimpiange. Attribuire ai figli il cognome dell'uno e dell'altro genitore sembrerebbe una opzione da preferire per tante ragioni: conferma la parità tra i sessi e la libertà della famiglia di darsi un proprio statuto anagrafico, indipendentemente dalle norme imposte dalla burocrazia. Eppure le cose non sono così facili, come dimostra una ricerca, svolta in Francia sette anni dopo l'entrata in vigore della legge del 2005 che liberalizza la trasmissione dei cognomi, da cui risulta che l'83% dei nati nel 2012 porta il nome del padre, il 9% il doppio cognome, il 7% quello della madre. Probabilmente varrebbero anche per noi, per i medesimi motivi, le stesse resistenze. Innanzitutto il patriarcato non è ancora tramontato e, almeno nell'immaginario collettivo, la figura del padre conserva tratti della tradizionale autorità. Di questi tempi, inoltre, la figura paterna è diventata così fragile che, esautorarla ulteriormente, sembrerebbe un gesto punitivo, in contrasto con la necessità di conferma e di sostegno che molti invocano. In confronto all'evidenza fisica, corporea della maternità «semper certa», concedere al padre la trasmissione del cognome può essere considerato un risarcimento simbolico che riequilibra la naturale asimmetria della generazione. Non dimentichiamo infine, soprattutto nel nostro Paese, il comprensibile timore di produrre confusioni burocratiche difficile da sbrogliare. Ma il problema merita di essere riproposto chiedendo ai più giovani quale significato rivesta per loro il «nome del padre», l'invocazione che apre la principale preghiera della cristianità. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 Mag. ’13 CAGLIARI TRA BAR E BASTIONI L’URBANISTA È UN BARISTA di GIORGIO TODDE Storia di una pedana e un gazebo che alterano i connotati di un sito storico Ma contro la filosofia del long drink tace anche la Soprintendenza Baristi e urbanisti a Cagliari diventano sinonimi. La spensierata filosofia della birretta decide la forma e la vita della nostra città. Un piccolo ma metaforico episodio racconta un intero mondo uscito dai cardini ma con l'aperitivo in mano. Accade che un bar, affidatario da vent'anni di uno degli spazi più belli della città, sulla terrazza del bastione di Santa Croce, conduca una florida attività pagando poco più di 1300 euro l'anno per l'uso del suolo. E che, con un'altra manciata di euro, il filantropico padrone del locale abbia commissionato un progetto a studenti e neolaureati di architettura per migliorare non il bastione medievale ma il bar, considerato un gioiello così raro da annullare il valore delle mura medievali. Che prestigiosa collaborazione questa tra un bar e la facoltà di architettura, che promettenti architetti, che elevato concorso di idee e che idea abbagliante quella di considerare il bar la "perla" del bastione di Santa Croce. Dell'illustre commissione fa parte il proprietario insieme a austeri cattedratici di architettura, tutti favorevoli a un'orrenda pedana nella quale, vicini al cielo e agli dei, si beve seduti guardando il golfo attraverso una lastra di vetro. Il risultato è un orrore che sfregia uno dei siti più importanti della città. Quel luogo è stravolto, quel cataplasma non verrà rimosso, offuscherà a lungo il panorama della torre dell'elefante. E la città sarà più povera. Perfino la Sovrintendenza, conquistata dalla dottrina del long drink, ritiene la pedana, il gazebo e la vetrata in armonia con il luogo. Il sito è imbruttito, irriconoscibile, sfigurato, ma assicurano che è protetto. E questa sarebbe la tutela? Questo noi facciamo a un luogo bello e amato? Per il capriccio e il vantaggio di un singolo lo storpiamo sino a cancellarne ogni identità. E' lecito? No, siamo certi che non lo sia anche se timbri e bolli sono in ordine, proprio come succede spesso quando si distruggono paesaggi. Se i teorici del cappuccino e brioche si fermassero a riflettere, comprenderebbero quanto sia iniquo consegnare un sito prezioso a chi lo altera profondamente per proprio vantaggio, capirebbero che un quartiere non si ripopola con qualcuno che ci va la notte, beve, usa il rione come un vespasiano e se ne va barcollando. Quest'urbanistica della vodka è nociva come la gramigna. Rafforza l'idea malata che i luoghi pubblici non siano di tutti ma appartengano a un singolo per un'originale usucapione e che i quartieri si debbano conformare a chi li frequenta come un paese dei balocchi. Consolida il principio insano che la fortuna di una città passi attraverso un uso etilico e fracassone dei luoghi più belli. Certo è piacevole nutrirsi in un buon ristorante o sedere al tavolino di un bel locale, tanto più se è seducente il fondale, ma gli ideologi del Martini confondono il tessuto sociale di un quartiere con gli avventori dei bar. E distruggono il fondale. Il connettivo di una comunità è prima di tutto rappresentato da chi abita i luoghi, da chi ci va per studiare o lavorare. E quando nel cuore di una città chiudono scuole, uffici, ospedali e botteghe, quando ogni azione è sostenuta dall'idea del divertimentificio come motore dell'esistenza, impipandosi della mancanza di servizi elementari, quando la mistica del limoncello vince su ciò che rende davvero viva e in salute una collettività, allora la città diventa una squallida e vuota scenografia di cartapesta. ========================================================= _____________________________________________________________ Il SoleSanità 21 Mag. ’13 QUANTI NEO-DOTTORI SERVONO Approda in Stato-Regioni la richiesta ufficiale di posti per le lauree di area medica Giochi ancora aperti per le professioni - Medicina a rischio pletora Per i medici 11.923 posti, 988 per gli odontoiatri, 716 per i veterinari e 2.859 in tutto tra farmacisti (578), psicologi (525), biologi (409), chimici (177) e fisici (170). Per i medici il Miur ne ha già messi a bando poco più di 10mila e ha già provveduto anche per odontoiatri e farmacisti. Con troppi posti, secondo la FnomCeO secondo cui dopo lo stop alle pensioni precoci ne bastano 9mila per evitare il ripetersi della pletora degli anni ’80. Ma Regioni e ministero della Salute rilanciano, alzano la quota dei futuri dottori e aggiungono al carnet quasi 32mila posti per le lauree triennali nelle 22 professioni sanitarie e 1.687 per le loro lauree biennali specialistiche. Sono questi i numeri ufficiali delle richieste di ministero della Salute e Regioni scritte negli schemi di accordo sul fabbisogno di posti a bando per le lauree di area sanitaria consegnati alla Stato-Regioni per essere messi in calendario in uno dei prossimi incontri. I dati di ministero della Salute e Regioni sono del tutto sovrapponibili per quanto riguarda le lauree magistrali e differiscono di poco per quelle delle professioni sanitarie. E il dato finale è in sintonia con quello già anticipato su Il Sole-24 Ore Sanità n. 18/2013. Per quanto riguarda le professioni sanitarie, rispetto alle prime proiezioni, sono stati ridotti gli esuberi per i tecnici di laboratorio, radiologia, prevenzione e neurofisiopatologia, tutti da parte della Regione Lazio. «In realtà però - spiega Angelo Mastrillo, segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie e membro dell’Osservatorio sulle professioni sanitarie - non è finita perché anche con queste riduzioni restano esuberi per i tecnici di laboratorio che sono 1.164 invece di 1.000 e per quelli di radiologia: 1.309 invece di 1.000. È vero che il ministero della Salute ha indicato di ridurre rispettivamente per queste due professioni altri 100 e 90 posti, ma dovrebbe indicare anche dove dovrebbero avvenire le riduzioni, altrimenti non si ottengono risultati». Per medicina il ministero dell’Università con il decreto 334 del 24 aprile di posti ne ha messi a bando 10.021, per odontoiatria 954 e per veterinaria 825, rispetto alla richiesta di ministero e Regioni quindi rispettivamente 1.902 in meno per medicina, 34 in meno per odontoiatria e 109 in più a veterinaria. A questi si aggiungono per gli studenti non comunitari non soggiornanti 555 a medicina, 86 a odontoiatria e 104 a veterinaria. La richiesta di posti per medicina, come già anticipato su Il Sole-24 Ore Sanità n. 18/2013, è comunque superiore di quasi 2mila unità rispetto a quella della FnomCeO. Questo perché il temuto massiccio esodo dei medici dal 2015, non bilanciato dalla cosiddetta gobba pensionistica della pletora dei medici degli anni ’80, subirà invece un forte rallentamento nei prossimi 10 anni fino al 2025 e secondo la federazione circa 9mila posti bastano a coprire il turnover e scongiurare il rischio della carenza ipotizzata per il futuro, mentre una programmazione che ecceda questi numeri appare eccessiva e rischierebbe di provocare una futura nuova area di disoccupazione/sottoccupazione medica. Diverso invece il discorso per le professioni sanitarie. La determinazione ufficiale del Miur non c’è ancora stata ma secondo Mastrillo i posti finali potrebbero essere gli stessi (27.350) dello scorso anno accademico 2012-13, di cui 16mila per solo per gli infermieri. Come già sottolineato però la richiesta di ridurre il fabbisogno per alcune professioni è stata accolta nella programmazione di ministero e Regioni solo in parte e, quindi, potrebbero esserci ulteriori riduzioni prima della programmazione finale. Per le lauree biennali specialistiche delle professioni sanitarie invece la richiesta è di 1.687 posti, 457 in meno rispetto a quelli messi a bando lo scorso anno. Per quanto riguarda la laurea in medicina le differenze maggiori dell’assegnazione reale dei posti (che ricalca un turn over medio al 2,7% rispetto agli iscritti agli Ordini) rispetto alle richieste di Salute e Regioni si hanno soprattutto in Campania, Veneto e Lazio dove ne sono stati assegnati molti meno di quelli previsti nel fabbisogno, mentre al contrario ne sono stati assegnati di meno in Lombardia, Puglia e Calabria. La distribuzione dei posti assegnati dall’Università è decrescente: 39% al Nord, 31% al Centro e 30% al Sud, mentre rispetto alla richiesta delle Regioni avrebbe dovuto essere del 41% al Nord, 27% al Centro e 32% al Sud. Il numero maggiore di posti, comunque è in entrambi i fabbisogni maggiore nel Lazio, seguito secondo le richieste delle Regioni dalla Campania e poi dalla Lombardia, mentre nell’assegnazione dell’Università è seguito dalla Lombardia e poi dalla Campania. Negli ultimi anni il rapporto tra lauree in medicina e odontoiatria e quelle delle professioni sanitarie si è stabilizzato in una proporzione del 29% delle prime due (26% medicina e 3% odontoiatria) e 71% delle altre, dopo un avvio alla fine degli anni ’90 in cui le lauree magistrali erano intorno al 45% e quelle triennali, appena costituite, al 55% e un periodo agli inizi degli anni 2000 e fino al 2008-2009 di calo ulteriore per medicina (dovuto all’allarme pletora), scesa fino al 24% di posti dell’area medicina contro il 76% assegnati alle professioni sanitarie. Un’ultima analisi possibile grazie ai dati elaborati dall’Osservatorio sulle professioni sanitarie è quella relativa per l’area medica al rapporto tra posti a bando e docenti. Questi ultimi sono in calo a partire dal 2008-2009 e sono scesi nello scorso anno accademico a 11.818 contro i 13,393 del 2006-2007. Al contrario quindi dell’andamento del fabbisogno di studenti che, sempre in crescita costante per le professioni sanitarie, ha ripreso a salire per medicina e odontoiatria proprio nel 2008-2009. In questo senso, dal 1997- 1998 fino allo scorso anno accademico i posti delle professioni sanitarie sono cresciuti del 217%, quelli di medicina del 57%, di odontoiatria del 70%, mentre i docenti sono aumentati solo dell’8 per cento. Paolo Del Bufalo _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’13 IL VERO MERITO IN MEDICINA di VINCENZO MAZZAFERRO* Esiste la meritocrazia in medicina? Si direbbe di no, vista la facilità con cui si possono aggirare i criteri che dovrebbero servire a determinare i medici migliori o gli ospedali più efficienti. L'applicazione delle categorie matematiche e statistiche a meriti e demeriti della classe medica è esercizio complesso, spesso ingannevole, ma necessario, perché stabilire criteri oggettivi che permettano di accertare quali medici o strutture lavorino meglio è cruciale per colmare la crescente distanza tra mancanza di risorse e aumento della domanda di salute. Tuttavia, il numero di classifiche di questo tipo è molto alto, così come gli indicatori che le compongono, con una tendenza alla moltiplicazione che alla fine tende ad annullare ogni sforzo di chiarezza e a portare su un piano di relatività ogni piccola o grande fatica. Come fronteggiare questa situazione? Al di là dei tecnicismi giova ricordare il paradosso dell'eccellenza, che dice che quanto meglio si svolge un lavoro, tanto meno il suo risultato diventa visibile. Ne deriva che, oltre che diffidare dei clamori mediatici costruiti su fanta-classifiche di medici e ospedali è necessario ricordare che il merito di un medico è innanzitutto misurabile dai risultati ottenuti sui suoi pazienti e sulla sua capacità di contribuire all'avanzamento delle conoscenze sulla malattia di cui si occupa, anziché sul solo numero di prestazioni erogate. Il paziente può quindi diventare la vera unità di misura dei meriti e demeriti della sanità. Tuttavia la considerazione delle componenti individuali e sociali di ogni persona o malattia rende in realtà ogni caso diverso dall'altro e sposta l'impegno medico in una prospettiva individualizzata di cura che, ad ogni evidenza, non può essere a costo zero. Considerando l'enorme impatto sociale della medicina è necessario promuovere quindi nuove logiche meritocratiche in sanità, orientate a cogliere con chiarezza la capacità migliorativa dell'atto medico o della ricerca scientifica nelle loro varie espressioni. Il risparmio sul valore della spesa, è stato dimostrato molte volte, verrà di conseguenza. * Istituto dei Tumori di Milano _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 Mag. ’13 AOUCA: OSPEDALI, NUOVA MAPPA DELLA SALUTE Il San Giovanni entro fine anno sarà solo un grande poliambulatorio, il Binaghi destinato alle riabilitazioni emilio Simeone Stiamo lavorando sulle convenienze per decidere come distribuire i posti letto CAGLIARI Come cambia la geografia ospedaliera cagliaritana. Il San Giovanni di Dio entro la fine dell’anno e l’inizio del 2014 diventerà un poliambulatorio di varie specialità, con l’odontroiatria che, da via Binaghi dove l’azienda mista ospedale-università paga l’affitto dei locali, si trasferisce nella clinica Otorino, a sua volta in trasloco verso il policlinico universitario. Il San Giovanni di Dio ospiterà anche uffici amministrativi e si aprirà al pubblico nella sua parte storica con una sorta di museo e i sotterranei in cui durante la guerra venne replicato l’ospedale esposto ai bombardamenti, un pezzo di storia cittadina che i visitatori per ora possono apprezzare solo in occasione di Monumenti Aperti. Al policlinico nelle prossime due settimane si trasferirà la terapia intensiva neonatale, a seguire la clinica Ginecologia e Ostetricia. Soltanto a fine anno ci sarà il trasloco del pronto soccorso e quindi di Cardiologia e del resto della Rianimazione. Come è noto, con il pronto soccorso il policlinico farà il balzo in avanti verso l’assistenza completa nell’area vasta, il completamento della cittadella sanitaria arriverà con la costruzione del blocco R, appaltato nelle settimane scorse. Qui confluiranno Ortopedia ora al Marino, Urologia ora al Santissima Trinità. Restano fuori dal policlinico di Monserrato gli insegnamenti universitari della pediatria e della neuropsichiatria infantile che, per decisione della Regione condivisa dal mondo medico, contribuiranno alla nascita dell’ospedale dei bambini, gestito attraverso un dipartimento interaziendale che metterà assieme universitari e ospedali al Microcitemico. Quest’ultimo trasferimento, la clinica pediatrica e la neuropsichiatria della clinica Macciotta, assieme alla chirurgia pediatrica del Santissima Trinità, suscitano qualche perplessità perché i locali non sono immensi e bisogna mettere a punto un’organizzazione puntuale, pena disagi per medici, infermieri e soprattutto pazienti. Il Binaghi e il Santissima Trinità si stanno trasformando: il primo diventa un punto di riferimento per il territorio con reparti di riabilitazione di diverse specialità e il centro per la sclerosi multipla, il secondo rinforzerà la sua missione ospedaliera con un grosso centro di chirurgia che deve essere costruito e il trasferimento di reparti di degenza come la pneumologia del Binaghi, dove resta la riabilitazione pneumologica. Sui posti letto la Asl 8 ha ancora in corso le valutazioni: «Stiamo lavorando sulle appropriatezze – ha detto il direttore generale dell’Asl 8, Emilio Simeone – in modo da calibrare i posti letto». Nel giro di un anno cambieranno volto alcuni tradizionali nosocomi cittadini: il San Giovanni di Dio diventerà un grande poliambulatorio, il Binaghi sarà destinato alla riabilitazione, Is Mirrionis ospiterà un grosso centro di chirurgia. Non c’è ancora un piano sui posti letto. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Mag. ’13 AOUCA: VISITA A SORPRESA DI CAPPELLACCI E DE FRANCISCI AL POLICLINICO Trasloco a metà giugno Macciotta, i bimbi saranno trasferiti di notte Il trasferimento si farà presto. E si farà di notte: almeno una decina di bambini nati prematuri - molti sono intubati e in condizioni critiche - saranno trasportati dalla vecchia clinica Macciotta al nuovissimo “Blocco Q” del policlinico di Monserrato quando il traffico non potrà riservare sorprese. Medici e dirigenti dell'azienda ospedaliera universitaria stanno preparando nei dettagli il piano di trasloco, che dovrebbe diventare realtà a metà giugno. LA VISITA Intanto ieri il presidente della Giunta regionale Ugo Cappellacci, insieme all'assessore alla Sanità Simona De Francisci, ha visitato il secondo piano della struttura, ormai quasi pronta ad ospitare il reparto di terapia intensiva della clinica di via Ospedale. Un tour a sorpresa che ha anticipato di 24 ore quello programmato dal sottosegretario alla Salute Paolo Fadda dal presidente della commissione Sanità della Camera Pierpaolo Vargiu. E la portata politica del “blitz” (veramente inatteso: sia il rettore Giovanni Melis che il manager dell'azienza mista Ennio Filigheddu sono corsi al policlinico dopo aver saputo della visita) sta tutta nell'annullamento, ufficializzato nel tardo pomeriggio di ieri, del sopralluogo dei due parlamentari. L'IMPIANTO ANTINCENDIO Retroscena a parte, nei locali dove ieri è stato provato anche l'impianto antincendio sono già arrivate le culle- incubatrici e (quasi) tutti i macchinari che serviranno a curare i bambini. Cappellacci ha spiegato che «il trasferimento della Macciotta consentirà di riportare la clinica pediatrica all'eccellenza. I lavori nel blocco Q hanno avuto un'accelerazione e in poche settimane siamo arrivati all'obiettivo grazie a un grande coordinamento. Abbiamo eccellenze sul piano medico e non solo, a cui tra poco potremo affiancare strutture di altissimo livello». UNA-DUE SETTIMANE Il cantiere dovrebbe essere chiuso definitivamente nel giro di una-due settimane e entro metà giugno verrà chiuso il programma di trasferimento, che prima riguarderà la Terapia intensiva. La Pediatria e la Neuropsichiatria infantile della Macciotta invece troveranno casa, probabilmente entro la fine dell'estate, al Microcitemico, dove si dovrebbe trasferire anche il reparto di Pediatria del Brotzu. Entro l'anno poi dovrebbero arrivare a Monserrato anche alcuni reparti (Ginecologia e Ostetricia in testa) del San Giovanni di Dio. VOCAZIONE SANITARIA L'ospedale di Stampace in futuro potrebbe «mantenere la sua vocazione sanitaria», come ha detto l'assessore alla Sanità Simona De Francisci. Non un museo o un grande centro culturale, ma magari un «polo poliambulatoriale» in centro città. L'argomento, sottolinea l'esponente della Giunta Cappellacci, «sarà discusso con l'università», che è proprietaria di buona parte della struttura (divisa col Demanio), e «con gli altri enti coinvolti». L'espansione del policlinico non dovrebbe fermarsi al Blocco Q. Il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha assegnato all'azienda mista i fondi per la di un “Blocco R”, che potrebbe ospitare i reparti di Urologia e Ortopedia. Il bando per il «concorso di idee», che servirà a disegnare la nuova struttura sui terreni dell'università, è già pronto. Il costo non dovrebbe superare i 30 milioni di euro, per un unico lotto di lavori. Michele Ruffi _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 Mag. ’13 AOUCA: LA CLINICA ODONTOIATRICA TROVERÀ UN'ALTRA SEDE MONSERRATO. Nei locali di Paluna forse troverà posto il consultorio della Asl Ateneo, addio all'ex Cries L'Università dice addio all'ex Cries e il sindaco cerca un accordo con la Asl. Il sogno di vedere presto la clinica odontoiatrica nel caseggiato al confine con Selargius è definitamene infranto. L'ha detto il sindaco Gianni Argiolas durante l'ultima riunione del Consiglio, spiegando che l'Università non potrà mantenere gli impegni presi sino ad oggi. Che cosa è successo? Gli appalti per la creazione della clinica nel caseggiato di Paluna (che doveva ospitare il Consorzio delle imprese riunite di edilizia scolastica) sono andati deserti. LA PROTESTA Sarà anche vero ma, secondo Rita Mameli dei Riformatori, «la questione Cries-Università è la solita promessa elettorale non mantenuta». Perché «l'Università al centro della città mi risulta fosse, per la terza legislatura consecutiva, uno dei cavalli di battaglia di tutto il centrosinistra», prosegue Mameli. «Questa volta, però, alla presentazione del progetto di trasferimento della clinica odontoiatrica, con tanto di passerella delle autorità, facemmo notare che l'amministrazione avrebbe dovuto dare il suo contributo per portare avanti il progetto». Un suggerimento caduto nel vuoto: «Questa è un'ulteriore sconfitta per la popolazione, la perdita di un presidio sanitario, che si aggiunge alla mancata attivazione della guardia medica richiesta con la petizione popolare da noi promossa», conclude Mameli. LA SOLUZIONE A proposito di presidi sanitari, il sindaco Argiolas proprio pochi giorni fa, insieme alla Asl, ha fatto un sopralluogo nell'ex Cries. Il casermone, in attesa dell'Università, potrebbe aver trovato un altro ente interessato ai suoi locali. IL CONSULTORIO Perché proprio l'imminente trasferimento del centro di via Argentina, annunciato dal gruppo dei Riformatori, potrebbe essere la soluzione del problema Cries. O almeno questo è quello che il Comune sta provando a fare. Una soluzione che piace al sindacato Funzione pubblica della Cgil. «A breve scadrà l'affitto dei locali del consultorio familiare di Monserrato», scrive la segreteria territoriale Fp-Cgil. «Si è trovata una soluzione migliore per i cittadini e per i lavoratori e, verosimilmente, sarà all'ex Cries». Il caseggiato, messo «gratuitamente a disposizione dal Comune è in prossimità della stazione della metropolitana, sorge tra il Comune di Monserrato e quello di Selargius ed è in una posizione logistica, data la vicinanza con la Statale 554, più che favorevole». Una soluzione che vede il sindacato d'accordo. Dà però un consiglio: «Per ridurre i costi e migliorare i servizi, si potrebbero portare nella stessa struttura, e con le stesse modalità, anche gli ambulatori di cui il territorio necessita e che non siano dei semplici doppioni di quanto è presente negli ospedali». Insomma, il sogno infranto dell'Università al centro città potrebbe essere sostituito da quello della sanità al confine tra due Comuni. Serena Sequi _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 Mag. ’13 MELONI SULL’OSPEDALE PEDIATRICO: SI APRA ORA, POI IL PROJECT FINANCING CAGLIARI Franco Meloni, consigliere regionale dei Riformatori, quando faceva il medico-manager ha aperto il Santa Barbara di Iglesias, il Brotzu di Cagliari e il policlinico di Monserrato: mai una volta, ricorda, si era completamente pronti. Lo dice richiesto di un parere sull’annunciata apertura dell’ospedale pediatrico al Microcitemico ristrutturato, operazione che sarebbe quantomeno avventata causa i ritardi nei lavori e che però è diventata urgentissima da quando varie autorità hanno dichiarato che la clinica Macciotta non è a norma: «E’ certo un atteggiamento difensivo, la Macciotta non può definirsi un luogo pericoloso, comunque tutto questo ha impresso un’accelerazione e io sono, come praticamente tutti, molto favorevole a un ospedale che riunisca le specialità pediatriche». Il punto è che al momento devono essere trasferite solo la clinica pediatrica e la neuropsichiatria infantile: anche il pronto soccorso non si fa perché dovrà andare nei locali al piano terra, ora della diagnosi prenatale per la quale la Asl 8 ha in progetto nuovi ambienti ancora da costruire. «Sì, è un inizio dell’ospedale pediatrico, ma in prospettiva tutte le specialità pediatriche confluiranno qui: così come il Brotzu, anche la terapia intensiva neonatale (“tin”) che, dalla Macciotta, ora si è deciso di portare al blocco Q a Monserrato, è auspicabile che si riunisca alla pediatria. E’ auspicabile da un punto di vista complessivo per la crescita culturale degli operatori favorita dagli scambi continui tra le professionalità. Ora va a Monserrato per questioni di spazio». L’affiancamento all’ostetricia universitaria non è il motivo principale: questa“tin” serve a tutto il sud Sardegna, potrebbe essere dovunque. Il prossimo problema è quanto ci vorrà ad avere tutti i locali che servono per completare il Microcitemico: «Se si vuole, se va bene per tutti, anche 3, 4 anni . Una quota di fondi c’è già – spiega Meloni – il resto si potrebbe realizzare con un project financing, soluzione che sempre più spesso resta l’unica possibile. Anche a Sassari, che ha una situazione ospedaliera difficile, sarebbe la soluzione giusta». Il problema denunciato però è che, già adesso, gli spazi del Microcitemico non bastano: «Mi risulta che siano sufficienti, certo la Macciotta viene da una situazione di spazi favorevole e quindi dovrà adattarsi. Si sopperirà con l’organizzazione». L’ospedale pediatrico non ha un nome. Secondo Franco Meloni, invece, c’è: «Quello di Antonio Cao». (a.s.) _____________________________________________________________ Sardegna Quotidiano 24 Mag. ’13 AOUCA: SERVIZI ESTERNI E CLIENTELE SANITÀ Denuncia Uil all’assessore De Francisci, magistratura e Corte del Conti: «I servizi affidati a esterni sono un modo per aumentare precarietà e clientele politiche. Si faccia chiarezza» L’esternalizzazione dei servizi, l’ennesima annunciata dall’azienda ospedaliera universitaria non piace affatto alla Uil Flp, che attende l’intervento di Corte dei Conti e Magistratura per fare chiarezza su un sistema sul quale «non si comprendono le modalità delle assunzioni per il tramite delle agenzie interinali», si legge in un documento, con l’augurio che «che qualcuno verifichi il tutto». Pietro Lutzu della segreteria provinciale del sindacato attacca l’azienda ospedaliera per la scelta di ricorrere ai servizi esterni: «Ma dovrebbe tornare sui propri passi perché l’esternalizzazione dei servizi non è una scelta coerente con le politiche di risparmio dei costi di gestione e soprattutto non offre un servizio migliore». Stavolta per l’Azienda mista si parla dell’outsourcing per i servizi di sterilizzazione e magazzino, il che va aggiungersi a quelli già assodati di pulizie, manutenzioni, ticket. Ma nel comunicato della Uil si legge anche che «in questo modo non si fa altro che aggirare la gestione delle risorse umane con assunzioni che creano da una parte clientele politiche a vantaggio del politico di turno e dall’altra precarietà». Da qui l’invocazione delle istituzioni di controllo, magistratura e Corte dei Conti, ma anche l’accusa di non avere un piano sanitario regionale complessivo in grado di distribuire i servizi in modo appropriato. «Che non lasci le mani libere nel soddisfare interessi particolari», si legge, e che riduca i costi migliorando la qualità, e che garantisca servizi adeguati alle persone. Compresi i dipendenti per i quali le risorse sembrano non esserci mai. «Tanto che per la liquidazione delle competenze accessorie l’azienda ha comunicato che verranno assicurate solo fine giugno». Un appello all’assessore alla sanità Simona De Francisci su un contesto sociale e sanitario definito «improvvisato, spregiudicato e selvaggio» dalla Uil. E a proposito dei servizi esterni, l’u l t imo episodio di disagio ha riguardato gli autoclavi di sterilizzazione del Policlinico di Monserrato che nel mese scorso hanno creato qualche problema di troppo con la conseguente necessita di sterilizzare altrove gli strumenti. L’intervento sull ’autoclave realizzato il 5 aprile «non ha risolto la problematica», scriveva allora il direttore generale all’ufficio tecnico. La risposta datata cinque giorni dopo ha illustrato il tipo di intervento eseguito con l’ulteriore precisazione che «in tempo dieci minuti di controllo non è stata registrata alcuna anomalia», con l’autoclave da considerarsi quindi «funzionante». Così aveva fatto sapere il responsabile della manutenzione. Ma il 17 aprile risorge lo stesso problema di qualche settimana prima, con l’unica autoclave per la sterilizzazione presente nel centro fuori uso. Necessario utilizzare quindi in prestito quello del San Giovanni di Dio al fine di non bloccare. Un’autoclave aggiustata, l’altro da sperimentare. Vi.Sa. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Mag. ’13 AOUCA: CONDANNATA SOLDI DEI TICKET SPARITI, un anno e dieci mesi all'impiegata infedele Faceva la cresta sui soldi versati per il ticket dai pazienti. Sempre piccole somme, forse nella speranza, rivelatasi vana, che nessuno si accorgesse dell'ammanco o al limite lo addebitasse a un errore di calcolo. Maria Gloria Mascia, 59enne residente a Quartu e all'epoca dei fatti impiegata presso la clinica odontostomatologica dell'ospedale San Giovanni di Dio, venne però scoperta e a quel punto riportò in ufficio sino all'ultimo centesimo, accampando giustificazioni poco credibili. Ma la restituzione del maltolto non è comunque bastata per evitarle di finire sotto inchiesta e, al termine del processo, subire una condanna: così ieri mattina i giudici della prima sezione penale del Tribunale, presidente Mauro Grandesso, al termine di una breve camera di consiglio l'hanno condannata a un anno e dieci mesi di reclusione per peculato. All'impiegata infedele è stata riconosciuta l'attenuante della speciale tenuità del fatto - stando ai controlli effettuati dai vertici dell'ospedale l'ammanco complessivo era infatti di appena 378 euro -, anche se il pubblico ministero Gaetano Porcu aveva chiesto una condanna più pesante a due anni e tre mesi di reclusione. Alla fine il Tribunale le ha fatto uno sconto, applicandole però la misura accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per l'intera durata della pena. I fatti risalgono all'aprile del 2012, quando Gloria Mascia era impiegata presso l'ufficio ticket della clinica di odontostomatologia del San Giovanni di Dio. Da un controllo contabile interno emerse che in cassa mancavano oltre 300 euro. Soldi che risultavano regolarmente versati dai pazienti che avevano pagato il ticket per eseguire le visite specialistiche ma di cui non fu trovata traccia. Alla fine l'ammanco venne stimato in 378 euro somma che l'impiegata, che sostenne di averli presi per prestarli a una persona che ne aveva bisogna, senza però rivelarne il nome, restituì all'amministrazione dopo pochi giorni. Nel frattempo però dall'ospedale era partita la segnalazione alla Procura della Repubblica e immediatamente il sostituto Marco Cocco aprì un fascicolo penale indagando l'impiegata infedele, che era difesa dall'avvocato Elisabetta Pili, per peculato. Ieri mattina infine è arrivata la condanna a un anno e dieci mesi. ( m. le. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Mag. ’13 SANITÀ, APPALTI A OSTACOLI LANUSEI. Virgilio Frau: «Un autentico ingorgo normativo» VEDI LA FOTO Gli appalti nella sanità? Una corsa a ostacoli, dovuta a un inestricabile groviglio di norme. A dirlo è stato Virgilio Frau, presidente dell'Arpes, l'associazione regionale provveditori economi della Sardegna, durante il convegno promosso dalla stessa Arpes e dalla Asl di Lanusei ad Arbatax. «Siamo di fronte ad un autentico ingorgo normativo», ha spiegato Frau che ricopre anche il ruolo di direttore acquisti e tecnico alla Asl 4, «a seguito di ben cinquantasette rivisitazioni sulle procedure d'appalto. Occorre pertanto elaborare una linea condivisa per poter procedere su un mercato reso difficile dalla crisi». La Asl 4, ha aggiunto, è stata tra le prime ad attivare procedure di appalto completamente on line. Il convegno ha radunato per due giorni una quarantina di provveditori ed economi della sanità, in rappresentanza delle aziende sarde ma anche di strutture sanitarie all'avanguardia nella penisola. «La scelta di tenere il convegno dell'Arpes in Ogliastra», è stato il commento del direttore generale Francesco Pintus, «rappresenta un riconoscimento per la nostra azienda, per le esperienze portate avanti nel settore, per la qualità e competenza del personale». Diego Cabitza, direttore del servizio controllo di gestione della Asl 4, ha posto al centro del problema la trasparenza, che garantisce accessibilità da parte del cittadino alle informazioni sull'organizzazione e il funzionamento della pubblica amministrazione. «In questo modo», ha detto, «viene contrastata sul nascere ogni forma di corruzione». ( f. m. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Mag. ’13 SANITÀ DIGITALE, PAGHEREMO IL TICKET DA CASA Il progetto di Sardegna.it L'ampliamento dei canali di pagamento del ticket sanitario e il progetto per la ricetta medica “dematerializzata” sono stati decisi dalla Giunta regionale, che ha approvato le rispettive delibere nell'ambito del Piano per la digitalizzazione della sanità sarda. «Il processo informatico, già avviato dalla Giunta Cappellacci, pone oggi la Sardegna, in particolare con il Fascicolo sanitario elettronico - è detto in una nota - tra le Regioni all'avanguardia in Italia». Già da settembre 2012 è possibile pagare il ticket nei numerosi Sportello Amico di Poste italiane sparsi in tutto il territorio. Con la nuova delibera la Giunta intende diversificare la modalità di pagamento, in modo da evitare all'utente le file agli sportelli delle Asl. Agli Sportello Amico delle Poste si potrebbero così aggiungere le rivendite tabacchi, gli istituti bancari (sportelli bancomat e in sede), i servizi di pagamento on-line e le farmacie interfacciate con il Sisar (Sistema informativo sanitario integrato regionale). Mentre la seconda delibera mette in campo gli interventi per la prescrizione medica «dematerializzata», un progetto predisposto con Sardegna.it e condiviso con Federfarma che manderà in archivio la tradizionale ricetta rossa cartacea, sostituendola con un più pratico ed economico promemoria, che potrà esser inviato al paziente anche via e-mail. Quando il progetto sarà a regime basterà recarsi in farmacia e presentare tessera sanitaria e promemoria per ritirare le medicine prescritte. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’13 ICT: COSÌ SI RILANCIA LA SANITÀ» Servono piani condivisi e investimenti Fascicolo sanitario elettronico, cartella e prescrizione medica digitali sono i capisaldi dell'Agenda digitale italiana, il programma varato dai decreti degli ex ministri Passera e Balduzzi per rinnovare la sanità. Secondi gli esperti del Politecnico di Milano, la direzione è quella giusta. «Tuttavia, — spiega Mariano Corso, direttore dell'Osservatorio ICT (Tecnologia dell'informazione e della comunicazione) in Sanità del prestigioso ateneo — non sono seguiti interventi attuativi concreti e la flessione a cui si sta assistendo nella spesa complessiva in nuove tecnologie digitali nella sanità italiana non può che suscitare preoccupazione». La fotografia scattata dalla Ricerca 2013 dell'Osservatorio sulla ICT in Sanità è quella di un Paese in cui si spende poco e si investe ancora meno, a discapito della qualità dei servizi del sistema sanitario che, negli ultimi anni — quelli dei tagli per la spending review— ha perso posizioni nei confronti internazionali. La spesa ICT per la Sanità è scesa a 1,23 miliardi di euro nel 2012 ((l'1,1% della spesa sanitaria totale; -5% rispetto al 2011), appena 21 euro per abitante, ulteriormente ridotta nel 2013. Eppure gli analisti sottolineano come proprio un investimento in innovazione digitale potrebbe combinare efficienza e sostenibilità economica a servizi di qualità: una rivoluzione digitale completa per la sanità italiana porterebbe risparmi per circa 15 miliardi l'anno. Da dove partire? Bisogna fare i conti con le scarse risorse disponibili e con un panorama, tanto per cambiare, molto frammentato. «I tre ambiti dell'Agenda digitale richiedono parecchie risorse — dice Luca Gastaldi, dell'Osservatorio ICT —. Ci sono molti altri campi su cui si potrebbe lavorare, complementari a questi tre, che potrebbero rendere più semplice la loro implementazione e progettazione. Ad esempio, le prenotazioni online delle prestazioni sanitarie o il download dei referti medici, che evitano ai cittadini di andare in ospedale. Abbiamo calcolato che se tutte le Aziende sanitarie arrivassero al massimo livello di digitalizzazione fattibile, solo per questi due servizi, si potrebbero risparmiare qualcosa come 5 miliardi di euro». Quest'anno, l'Osservatorio ha provato quindi a studiare casi specifici e ha premiato progetti di cui parliamo in queste pagine, realizzati in quattro ospedali (Vimercate, Ferrara, Milano, Firenze; si veda articolo a sinistra), due Asl (Mantova, Livorno) e una Regione (Veneto; si veda box nella pagina accanto). «L'Agenda digitale non riconosce la profonda importanza di quelli che sono i servizi digitali verso il cittadino, — aggiunge Corso — apparentemente più semplici. Riferiti al sistema sanitario sono, invece, elementi fondamentali di razionalizzazione e di miglioramento del servizio». Insomma, secondo il direttore dell'Osservatorio, conviene partire dal basso e da questi progetti «che possono subito liberare risorse, per poi investirle nel potenziamento dei servizi». A suo modo di vedere, i progetti devono però rientrare in un piano di digitalizzazione. L'ideale sarebbe svilupparlo a livello regionale, ma data la situazione disomogenea del Paese è già tanto che sia attivato dalle singole Aziende sanitarie. «Le Regioni devono comunque mettersi alla regia — conclude Corso —. È necessario poi che trovino a loro volta forme di collaborazione e di condivisione, per consentire al sistema di andare non dico allo stesso passo, ma almeno di convergere verso standard comuni. Quando infine avremo anche una regia a livello nazionale saremo tutti più felici». RIPRODUZIONE RISERVATA _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Mag. ’13 NELL'OSPEDALE DIGITALE SI GUADAGNA TEMPO E SI RECUPERA UMANITÀ Il medico fa il «giro virtuale», poi parla con i malati E il diario elettronico avvisa in caso di distrazioni A vederli così, placidamente «adagiati» in mezzo al verde, non si direbbe. Eppure proprio nelle campagne della Brianza e del Delta del Po, e sulle colline fiorentine, la rivoluzione digitale nella sanità pubblica è in pieno fermento. Un filo rosso, fatto di bit e codici binari, lega in particolare l'ospedale di Vimercate (provincia di Monza e Brianza) al Sant'Anna di Ferrara e al Meyer di Firenze, passando anche per l'Istituto dei Tumori di Milano. Le quattro strutture sono tra gli esempi virtuosi nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT), scelti e premiati da una giuria di esperti del Politecnico di Milano fra 85 progetti che hanno partecipato al Premio Innovazione ICT in Sanità 2013. Due, Vimercate e Ferrara, le abbiamo visitate per capire come funzionano sul campo i loro cavalli di battaglia: la cartella clinica elettronica e il CUNICO (Centro Unico preoperatorio informatizzato). Le abbiamo scelte perché sono quelle in cui i pazienti possono più facilmente «toccare con mano» le innovazioni. Di pari importanza, ma meno immediate, le altre due iniziative. All'Istituto dei Tumori è stato sviluppato un sistema di supporto alle decisioni cliniche per il miglioramento nella cura dei pazienti oncologici. Al Meyer hanno invece creato un archivio informatico che consente la raccolta e l'analisi dettagliata di tutti i dati sanitari e amministrativi per monitorare i costi e migliorare l'efficienza nella gestione. Tutti e quattro i progetti sono nati dalla collaborazione tra «tecnici» dei settori ICT, medici, infermieri e amministrativi degli ospedali. Vimercate, progettato dall'archistar Mario Botta e inaugurato nel 2010, è un ospedale da 538 posti letto organizzato in aree di degenza a seconda della gravità del paziente e al livello di complessità dell'assistenza. Ogni area di degenza (a forma di petalo) ha il nome di un fiore e un colore diverso a seconda appunto del «grado» delle cure. Quella medica internistica si chiama «tulipano». L'ingresso di «tulipano rosso» sembra la hall di un hotel cinque stelle. Nelle stanze, i pazienti ormai vedono medici e infermieri muniti solo di un tablet pc sul quale consultano «Tabula», la nuova cartella clinica elettronica. «Uno strumento di ordinaria amministrazione» chiosa Pietro Caltagirone, da un anno direttore generale della struttura. La partenza non è stata facile, come ammettono Claudio Ciminiello, direttore di Medicina, e Maria Adele Fumagalli, responsabile del Servizio infermieristico ospedaliero. Medici, infermieri e terapisti della riabilitazione accedono alla cartella attraverso la carta SISS (Sistema Informativo Socio Sanitario) fornita dalla Regione Lombardia ai propri operatori sanitari e ognuno ha il suo profilo. La cartella è uguale per tutti, anche se diversificata a seconda della specialità. Gli operatori devono riportare ogni loro intervento su un diario, che non è modificabile, in grado anche di generare note automatiche. In caso di mancata somministrazione di un farmaco, ad esempio, compare un avviso. Esami e visite, interventi chirurgici, farmacoterapia, allergie e persino le riunioni di équipe sono fruibili in tempo reale e completamente tracciabili. Grazie ai 300 pc portatili e alle postazioni fisse (in dotazione anche per i presidi di Desio e Seregno), le condizioni dei pazienti e la loro «storia clinica» sono sempre a portata di mano ovunque. La cartella informatizzata ha portato anche a una maggiore trasparenza nelle procedure e a una riduzione del contenzioso con i pazienti. I documenti cartacei sono spariti, ad eccezione del consenso informato che per legge deve essere ancora firmato dal paziente. Troppa tecnologia non può andare a discapito delle relazioni umane? «Al contrario — risponde Paolo Monguzzi, dello staff della Direzione generale —. Quando arriva al letto, il medico ha già potuto effettuare un tour virtuale di quanto è accaduto e quindi può dedicarsi totalmente all'esame e al colloquio con il paziente, condividendo con lui le informazioni sul pc». E i risparmi? «Quantificarli non è semplice — dice Giovanni Delgrossi, responsabile dei Servizi informativi —. L'azienda ha speso 2,5 milioni di euro oltre Iva, pc compresi. Lo scopo del progetto era proprio di dematerializzare il processo del ricovero per velocizzare le procedure. Questo vuol dire avere prima gli esami, dimettere prima i pazienti, essere più efficaci nel processo di ricovero e quindi ridurne i tempi». Lo stesso obbiettivo si prefigge il progetto di gestione e programmazione informatizzata del paziente chirurgico realizzato dall'ospedale Sant'Anna di Ferrara, 744 posti letto di degenza (più 116 di day hospital) da un paio d'anni nella nuova sede di Cona, a 20 minuti dal capoluogo. «È uno dei progetti che abbiamo messo in piedi nella ridefinizione dei percorsi chirurgici — precisa Gabriele Rinaldi, direttore generale —. Dopo il trasferimento, una delle priorità è diventata ripensare al percorso dei pazienti e mettere insieme il sistema di gestione delle sale operatorie con quello delle prenotazioni e con il sistema di preparazione del paziente che deve sottoporsi a un intervento programmabile». Con un investimento di circa 100 mila euro, si è potenziata l'infrastruttura del sistema informatico, creando un registro informatizzato dei pazienti e un'interfaccia che consente a chirurghi e anestesisti di «dialogare» con il modulo di gestione delle sale operatorie. «Per la prima volta — sottolinea Maria Lucia Giorgetti, della Direzione medica — siamo riusciti ad avere liste d'attesa trasparenti, a livello aziendale e non più suddivise per reparto». Artefice del salto tecnologico, il Dipartimento interaziendale gestionale ICT, guidato da Andrea Toniutti assieme a Luca Chiarini e Alessandra Marchi. «L'obiettivo primario raggiunto — sottolinea Toniutti — è una maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse assieme alla gestione del paziente in sicurezza. In termini di risparmio, questo si traduce nell'eliminazione delle degenze preoperatorie e nella riduzione della degenza media». Entro luglio, sarà messa a punto anche un'agenda informatizzata per la gestione diretta degli appuntamenti (i reparti danno la disponibilità, il CUNICO la riempie) e a fine anno entrerà in funzione anche il braccialetto identificativo del paziente, con codice a barre. Come funziona il percorso? Dopo l'inquadramento da parte dello specialista, il paziente viene preso in gestione dalle 10 infermiere del nuovo Centro unico pre-operatorio. Sono loro a occuparsi degli appuntamenti, concordandoli con il paziente e a seguirlo «tenendolo per mano» lungo tutto l'iter che lo porterà fino al rilascio dell'idoneità all'intervento da parte dell'anestesista. «Rispondiamo a quelle che sono le 5 parole chiave che determinano il nostro percorso: — elenca con orgoglio Ornella Antoniolli, referente del CUNICO — eticità, equità (soprattutto), efficienza, efficacia ed economia». Non sono parole vuote. Le infermiere si occupano anche dei prelievi di sangue e per mettere i pazienti a proprio agio le pensano tutte: dall'aromaterapia, ai poster dei fiori sui muri per catturare l'attenzione e scongiurare svenimenti da siringa. «I pazienti si sentono accolti e ringraziano — racconta Ornella Antoniolli — e anche per noi è molto gratificante». _____________________________________________________________ Il Sole24ore 24 Mag. ’13 SANITÀ, DAL GOVERNO 2 MILIARDI A SEI REGIONI DEL CENTRO-SUD Piano anti-deficit. L'ok dell'Economia dopo le verifiche sui servizi SUPERTICKET Attesa per il tavolo annunciato dal ministro Beatrice Lorenzin in vista dei rincari che dovrebbero scattare a gennaio ROMA In attesa dello sblocco per l'ecobonus e l'agevolazione per le ristrutturazioni edilizie l'Esecutivo ha dato il via libera a un anticipo di quasi due miliardi a sei regioni (118 milioni all'Abruzzo, 411 alla Calabria, 287 alla Campania, 540 al Lazio, 63 Molise e 500 alla Sicilia) per il rientro dal deficit sanitario. Risorse che sono ossigeno anche per le imprese del settore. La misura è scattata dopo il buon esito dell'istruttoria di aprile con il Tavolo di verifica degli adempimenti ed il Comitato permanente per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Si tratta di un primo passo avanti nella direzione di un alleggerimento su un sistema, quello della sanità, che da solo conta ben 40 dei 90 miliardi di debiti verso i fornitori fin qui calcolati (per difetto) di tutta la Pa, è in mezzo al guado. Il recupero delle fatture in sospeso è linfa indispensabile per il sistema delle imprese, alle prese anche col credit crunch e con previsioni di liquidità finanziaria in prospettiva sempre più al lumicino per il Ssn che a sua volta vede decrescere le risorse a disposizione. Tanto più che i 14 miliardi messi sul piatto dal Governo potrebbero rivelarsi insufficienti. Secondo stime dell'ufficio studi di Assobiomedica (si veda Il Sole 24 Ore del 20 aprile), nella migliore delle ipotesi nel 2015 resteranno in sospeso (perché intanto si accumuleranno altri ritardi) ancora 28 miliardi di crediti. Nella peggiore delle ipotesi, considerata però più realistica, i debiti nel 2015 saranno invece pari a 34 miliardi di euro. Il ministro delle Salute, Beatrice Lorenzin, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione al termine del Consiglio. Resta l'obiettivo delle prossime settimane, vale a dire quello di lavorare a quel «patto della salute», come ha spiegato qualche giorno fa, che riesca a combinare la garanzia dei servizi sul territorio nazionale con un più efficiente utilizzo delle risorse «e un efficiente recupero degli sprechi». Stando ai contenuti del decimo Rapporto Osservasalute 2012, elaborato da un pool di 184 esperti di sanità pubblica coordinati dall'Università Cattolica di Roma, le aziende sanitarie negli ultimi anni hanno preso molto seriamente l'esigenza di contenere i costi per la salute ma resta la spaccatura in due dello Stivale, con mezz'Italia al Centro Nord che presenta già dal 2011 risultati economici consolidati positivi (tranne che in Liguria) e l'altra metà, al Centro Sud, che segna il passo con l'eccezione dell'Abruzzo L'altro dossier caldo su cui è impegnato il ministro è quello dei superticket da due miliardi in più che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2014. Quasi la metà in più di quanto oggi già pagano gli italiani in varie forme non esenti dalla partecipazione alla spesa sanitaria. Una partita delicatissima. La volontà è quella di aprire un tavolo ad hoc e si tratta di capire se a quel tavolo verrà recuperata l'ultima proposta che aveva avanzato il predecessore della Lorenzin, Renato Balduzzi, ovvero quella di introdurre una franchigia per reddito applicando il nuovo Isee familiare. _____________________________________________________________ Il SoleSanità 21 Mag. ’13 OSPEDALI ITALIANI, ICT SOLO A METÀ FORUM PA 2013/ Confronto internazionale sull’introduzione della Sanità elettronica Strumentazioni nell’88% delle strutture ma l’utilizzo è basso e c’è ancora troppa carta Gli ospedali italiani hanno le tecnologie giuste per l’e-health, ma anche (ancora) troppa carta in circolazione. Sono pronti a fornire ai medici sistemi clinici ausiliari per tenere sotto controllo tutti i dati del paziente, ma sono carenti di formazione e controlli digitali. In Italia, circa 560 strutture sanitarie (il 40% degli ospedali, tra pubblico e privato accreditato) sono state scandagliate con il metodo di valutazione internazionale «Emram» (Electronic medical record adoption model), messo a punto da Himss analytics Europe. Una sorta di termometro dell’e-health che valuta il grado di digitalizzazione in Sanità, i cui risultati fanno da sfondo al dibattito sulla Sanità digitale che caratterizza l’edizione 2013 di Forum Pa, l’annuale rassegna sulla pubblica amministrazione, organizzato con Himms Europe e il supporto di Upmc, azienda leader mondiale nella Sanità, nella ricerca e nella telemedicina. Dal confronto con i principali partner “tecnologici” europei e in generale con i risultati medi del Continente, le nostre strutture non raggiungono mai il livello massimo di digitalizzazione, il cosiddetto «stage 7», che implica l’assenza completa di documentazione clinica cartacea, l’implementazione totale della cartella clinica elettronica, un sistema di supporto alle decisioni basato su protocolli standardizzati, in grado di migliorare la qualità delle cure segnalando conformità e variazioni nella pratica clinica, un sistema di somministrazione dei farmaci ad anello chiuso perfettamente integrato con l’e-prescription. In sostanza un’isola quasi deserta, ma non solo in Italia. Il top della Sanità digitale è infatti un club per pochi: in Europa vi accede solo lo 0,1% degli ospedali. Incominciano a intravedersi invece segnali positivi se si scende al livello precedente, lo «stage 6». In Italia sono 3 gli ospedali che hanno ricevuto il via libera su tale valutazione (Ismett, Ospedale San Luca di Trecenta, Ospedale Santa Maria della Misericordia), che significa comunque strutture dotate delle migliori pratiche. A parte queste eccezioni tuttavia, la Sanità elettronica nel nostro Paese stenta a prendere quota. Sette strutture su dieci non vanno oltre il secondo «stage», immettono cioè dati nel sistema digitale (che può essere identificato con la cartella clinica elettronica), ma poi si fermano lì. E dalle analisi comparate, si evidenzia come sul fronte dell’ospedale digitale, l’Italia stia perdendo il contatto con i Paesi europei più avanzati come Svezia, Paesi Bassi e Spagna. Gli investimenti italiani in It sono infatti al momento abbastanza bassi. La quota di spesa sanitaria ospedaliera dedicata all’It è pari all’1,4% del totale. Una quota appena superiore rispetto alla Germania (1,3%) ma inferiore a Spagna e Olanda. In termini assoluti, tuttavia, a spendere di più nella Sanità digitale è la Germania, con quasi 2 miliardi di euro tra budget annuale dedicato e investimenti strutturali. A seguire l’Italia, con 1,3 miliardi. Le voci a più alta intensità di spesa sono i sistemi di comunicazione relativi alla diagnostica per immagini, i sistemi di somministrazione elettronica dei farmaci, l’e-prescription. I «grandi assenti» dell’e- health in salsa italiana - definiti dall’Himss come elementi chiave da non trascurare per migliorare la sicurezza dei pazienti - sono il ciclo chiuso della somministrazione dei farmaci e i sistemi a supporto delle decisioni cliniche. Più che altrove, in Italia si utilizzano fornitori e software nazionali prodotti su misura. Rispetto all’organizzazione «regionale» della Sanità italiana, tale struttura, secondo gli analisti Himss, potrebbe potenzialmente rivelarsi vantaggiosa per una piena digitalizzazione (si pensi alla necessità di scambiare informazioni tra ospedali e tra Regioni e Governo centrale), a patto che le singole realtà locali non vadano ognuna per conto suo, come finora è accaduto nei fatti. I sistemi centralizzati a livello regionale, quindi, sono l’ingrediente principale secondo gli analisti internazionali della ricetta che può migliorare l’e-health italiana, ma è necessario frenare sul fai-da-te aziendale che finora ha prodotto qualche best practice del tutto isolata. Ed è questa la strada che porta a quei risparmi che le ultime stime del Politecnico di Milano a esempio (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 18/2013) hanno quantificato dal punto di vista operativo in non meno di 5,7 miliardi, una volta che il sistema sarà a regime. Con ricadute anche sulle tasche (e sul benessere) degli assistiti che spenderebbero almeno 6,5 miliardi in meno tra carta e burocrazia. L’obiettivo c’è, ma a quanto pare senza un cambio di rotta nella programmazione regionale e nazionale, non sono ancora vicini i presupposti per raggiungerlo. Paolo Del Bufalo _____________________________________________________________ Il SoleSanità 21 Mag. ’13 CERTIFICATI MALATTIA: IL 99% È ON LINE L’ultima rilevazione del dipartimento per la digitalizzazione della Pa e l’innovazione tecnologica Superata ad aprile la soglia complessiva dei 50 milioni - Dipendenti pubblici: Lazio al top I certificati malattia on line superano quota 50 milioni in tre anni (da aprile 2010, avvio del sistema, ad aprile 2013). L’ultima rilevazione del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica del ministero dell’Innovazione ha appena reso noti i dati del primo quadrimestre 2013 e nel mese di aprile - quando si sta esaurendo il picco annuale legato alle epidemie influenzali - si sono aggiunti ai 48.457.248 del primo trimestre altri 1,65 milioni di invii on line (il 18% di quelli del quadrimestre 2013) portando il totale a 50,108 milioni di certificati digitali. I certificati on line rappresentano ormai quasi il 99% di tutti i certificati malattia (da inizio anno sono rimasti sempre tra il 98,7% e il 98,1%) e sono in costante aumento. Il residuo di circa l’1% è legato soprattutto a situazioni di malfunzionamento momentaneo delle linee internet e a quei casi, previsti anche nelle indicazioni operative, di interventi in emergenza in cui non c’è disponibilità di collegamenti informatici. Il maggior numero è nelle Regioni più grandi, Lombardia e Lazio, mentre il minore nelle piccole Valle d’Aosta, Molise e Basilicata. In realtà però l’aumento di certificazioni (e quindi di assenze per malattia) nell’ultimo mese è stato maggiore in altre realtà locali. In testa per il totale dei certificati c’è la Calabria: in aprile rappresentano il 21,02% di tutti quelli del quadrimestre, mentre in coda c’è Trento con il 16,34 per cento. Ma analizzando nel dettaglio l’andamento delle certificazioni si nota che quelle private Inps di aprile (la maggior parte delle certificazioni) sono ancora il 19,5% in Calabria - ancora in testa - ma si fermano a poco meno del 9,8% nelle Marche. Per quanto riguarda i certificati sempre privati, ma non Inps (il numero minore) invece, il mese di aprile pesa per ben il 30,4% sul quadrimestre in Basilicata e “solo” per il 23,5% a Trento. Infine i certificati malattia dei dipendenti pubblici. Quelli dell’ultimo mese sono stati di più in Calabria, dove rappresentano il 33,4% di tutti i certificati del quadrimestre, di meno nelle Marche con il 26,3 per cento. In valori assoluti il maggior numero di certificati malattia nel primo quadrimestre 2013 tra i dipendenti pubblici lo registra il Lazio (130.627), seguito dalla Sicilia (122.246) e con la Lombardia solo al terzo posto (106.917). Le altre voci mantengono invece, con poche eccezioni il trend del numero complessivo delle certificazioni (v. tabella). "http://www.w3.org/TR/xhtml1/DTD/xhtml1-transitional.dtd"> A PAG. 24 TRASPARENZA. Nuove regole: on line consulenze, intramoenia e liste d’attesa A PAG. 25 PERSONALE. Tutte le incompiute che bloccano l’efficacia delle ultime riforme A PAG. 26 TUMORI. Favo: quinto rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici P.D.B. _____________________________________________________________ Il Sole24ore 24 Mag. ’13 SSN, GLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA Gli adempimenti delle amministrazioni sanitarie per l’applicazione del Dlgs 33/2013 Vanno on line consulenze, collaborazioni, intramoenia e liste d’attesa Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in vigore dal 20 aprile, concerne il «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», emanato in ottemperanza a quanto disposto dalla legge 6 novembre 2012 n. 190, cosiddetta anticorruzione, mediante la modifica o l’integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità. Il decreto prevede per le amministrazioni pubbliche, le società partecipate e per quelle controllate una serie di obblighi di pubblicità, diversi a seconda delle categorie di enti, che includono, oltre al programma per la trasparenza e l’integrità, gli atti generali, l’organizzazione, i consulenti e i collaboratori, il personale e i bandi di concorso, la performance, gli enti controllati, l’attività e i procedimenti, i provvedimenti degli organi di indirizzo e dei dirigenti, i controlli sulle imprese, i bandi di gara e i contratti, le sovvenzioni e i contributi, i bilanci, i beni immobili e la gestione del patrimonio, i servizi erogati e i pagamenti dell’amministrazione. Il decreto prevede norme sull’attuazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza, attraverso Dpcm, nonché sanzioni in caso di inadempimento, e rappresenta uno sforzo completo di apertura all’esterno dei principali fatti organizzativi e contabili degli enti pubblici. D’altronde, dal 1990 in poi, gli anni di tangentopoli, è stato stravolto il sistema di controlli, che non era stato in grado di intercettare fatti di corruzione e malversazione e da quasi un decennio, con forte accelerazione a partire dal 2009, la normativa si sta spostando verso un controllo diffuso anche da parte degli stakeholders, attraverso la trasparenza dei principali fatti organizzativi e contabili, di cui il decreto 33 del 2013 rappresenta l’ultimo atto. Esso prevede, all’articolo 41, norme specifiche per il Servizio sanitario nazionale e stabilisce che le amministrazioni e gli enti del servizio sanitario nazionale, dei servizi sanitari regionali, ivi comprese le aziende sanitarie territoriali e ospedaliere, le agenzie e gli altri enti e organismi pubblici che svolgono attività di programmazione e fornitura dei servizi sanitari, sono tenute all’adempimento di tutti gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Il comma 2 dell’articolo 41 statuisce che le aziende sanitarie e ospedaliere pubblicano tutte le informazioni e i dati concernenti le procedure di conferimento degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo (tale disposizione appare incomprensibile, dal momento che il direttore generale viene nominato dalla Regione e la nomina del direttore amministrativo e sanitario è fiduciaria), nonché degli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse, ivi compresi i bandi e gli avvisi di selezione, lo svolgimento delle relative procedure, gli atti di conferimento. La norma aggiunge che alla dirigenza sanitaria di cui al comma 2, fatta eccezione per i responsabili di strutture semplici, si applicano gli obblighi di pubblicazione di cui all’articolo 15, concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza che includono: gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico; il curriculum vitae; i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali. Per attività professionali si intendono anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario; i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di lavoro, di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato. I commi 4, 5 e 6 coinvolgono anche le strutture sanitarie private accreditate. Deve essere pubblicato e annualmente aggiornato l’elenco delle strutture sanitarie private accreditate. Sono altresì pubblicati gli accordi con esse intercorsi. Di grande impatto innovativo la previsione che le Regioni includono il rispetto di obblighi di pubblicità previsti dalla normativa vigente fra i requisiti necessari all’accreditamento delle strutture sanitarie. Infine, gli enti, le aziende e le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni per conto del servizio sanitario sono tenuti ad indicare nel proprio sito, in una apposita sezione denominata «liste di attesa», il tempi di attesa previsti e i tempi medi effettivi di attesa per ciascuna tipologia di prestazione erogata. Tiziana Frittelli Direttore generale Associazione Cavalieri italiani Sovrano militare Ordine di Malta _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Mag. ’13 GLI SCHERZI DELLA TIROIDE Funzionalità ridotta o aumentata: domani un convegno in città Le patologie colpiscono più di 80mila sardi VEDI LA FOTO Quarantamila sardi prendono una pastiglia mezz'ora prima di colazione, altrettanti rischiano di doverlo fare. Sono gli ipotiroidei, cioè le persone che soffrono di una ridotta funzionalità della ghiandola che abbiamo nella gola. In totale sono 82 mila: moltissimi in rapporto alla popolazione, e stiamo parlando solo della patologia tiroidea più comune. Si sommano agli altri tireopatici. L'ISOLA La Sardegna, per motivi geografici, ha altissimi picchi di gozzo (l'alterazione del volume e della forma della tiroide), noduli e malattie tiroidee autoimmuni: per errore, gli anticorpi aggrediscono la ghiandola come se fosse un corpo estraneo. Inoltre, «spesso i sardi soffrono di tutte queste patologie associate», sottolinea Stefano Mariotti, professore ordinario di Endocrinologia e direttore del Dipartimento di Scienze mediche “Aresu” dell'Università di Cagliari: «Il picco è per le donne: il 20 per cento, rispetto al 5 per cento degli uomini». Tra l'altro, durante la gravidanza la carenza di iodio (diffusa in Sardegna) ha gravissimi effetti sul bambino e sulla madre. Ecco perché nei negozi di alimentari è obbligatorio vendere anche il sale iodato, che è lo strumento migliore per la prevenzione: dovremmo utilizzarlo tutti. RIMEDIO PARZIALE L'ipotiroidismo e altre patologie della ghiandola si combattono con un ormone che si chiama levotiroxina (la sua sigla è L- T4): è la pastiglia che i pazienti con certe diagnosi di tireopatia assumono tutti i giorni mezz'ora prima di colazione. O, almeno, così dovrebbero fare, ma spesso non succede: non tutti sono disposti a svegliarsi mezz'ora prima, e poi bambini e anziani hanno difficoltà a ingerire le pastiglie. LA NOVITÀ Una nuova formulazione del farmaco sta portando una piccola rivoluzione: è liquido, non richiede di restare a digiuno per mezz'ora dopo l'assunzione e deglutirlo è semplicissimo. Di questo e altro si parla sabato alle 9, all'hotel Mediterraneo, al convegno “Ipotiroidismo e noduli della tiroide: novità, dubbi e certezze nella terapia con l- tiroxina”, organizzato dallo stesso professor Mariotti nella Giornata mondiale della tiroide. L'altro ieri, nel Reparto di Endocrinologia del Policlinico universitario che dirige, sono stati sottoposti a visita gratuita i cittadini che l'avevano prenotata. Al convegno partecipano noti specialisti come Salvatore Benvenga (Università di Messina), Paolo Vitti (Ateneo di Pisa) e Bernadette Biondi (Università di Napoli). È prevista anche una tavola rotonda con l'associazione sarda Tireopatici: un confronto diretto tra medici e pazienti. (red. cro.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Mag. ’13 FARMACI, CALA LA SPESA NELL'ISOLA Oltre 2 milioni di ricette in più (il 14,6%) in Sardegna dal 2008 al 2012: da 16,3 a 18,7 milioni. La spesa lorda farmaceutica è arrivata a 373,9 milioni (più 2,8%: ma quella netta, di 323,7 milioni, è scesa del 3,7). Sono i dati del rapporto Federfarma 2012. In Italia la spesa lorda è calata di quasi il 10%, quella netta del 18,4. «Questo perché l'Isola - precisa Giorgio Congiu, presidente regionale di Federfarma - è tra le 5 regioni che non fanno pagare ticket su farmaci e ricette», che porterebbero 30-35 milioni in più «ma con un insostenibile aggravio di costi per gli utenti». Anche l'assessorato regionale della Sanità sottolinea i mancati ticket, e il calo della spesa ospedaliera nel 2012: 151 milioni dai 194 del 2011. Ma per il leader Pd Silvio Lai «sulla spesa farmaceutica si è sbandato, abbandonando i risparmi impostati nel 2005». _____________________________________________________________ Il Sole24ore 23 Mag. ’13 STAMINALI, ESPERIMENTI CON MENO VINCOLI Sanità. Via libera definitivo al decreto Via libera alla sperimentazione clinica del metodo Stamina «anche in deroga alla normativa vigente», purché siano rispettate le regole sulla sicurezza dei pazienti nella produzione dei medicinali per terapie avanzate con cellule staminali mesenchimali. Della sperimentazione si farà carico il ministero della Salute, avvalendosi dell'Agenzia italiana del farmaco, dell'Istituto superiore di sanità e del Centro nazionale trapianti. Per mesi ha tenuto viva, tra mille polemiche, l'attenzione di opinione pubblica, parlamentari e scienzati. Ora è legge - la prima della XVII Legislatura - il decreto che consente a chi abbia già iniziato le terapie con il metodo Stamina di continuarle e che dà il via al test per 18 mesi in 13 centri autorizzati, con un finanziamento fino a 3 milioni di euro. Dopo il varo di ieri in terza lettura al Senato, il Ddl di conversione del decreto «Disposizioni urgenti in materia sanitaria» - che porta la firma dall'ex ministro della Salute, Renato Balduzzi, e che proroga anche la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari al 1° aprile 2014 – va in Gazzetta avendo trovato la "quadra" rispetto al testo originario. La legge conferma emendamenti già apportati dalla Camera: modifiche che miravano proprio a contemperare, da un lato, il forte pressing per l'accesso alle cure di pazienti affetti da malattie gravissime e, dall'altro, il rigore della medicina basata sull'evidenza scientifica. Uno sforzo riuscito, secondo il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha espresso «apprezzamento» per l'equilibrio raggiunto. Sulla legge, di cui ancora ieri molti parlamentari e scienziati hanno continuato a parlare come di un "male minore" rispetto al rischio di un far west scientifico, è arrivato anche il parziale placet di Davide Vannoni, inventore del metodo Stamina. «Siamo disponibili alla sperimentazione - ha detto - purché la metodica non venga cambiata». Per garantire la «ripetibilità delle terapie», infatti, «le modalità di preparazione sono rese disponibili all'Aifa e all'Iss», che «cureranno la validità della sperimentazione». Che potrà avvenire solo nel rispetto delle linee guida fissate a livello europeo nel 2007. Associazioni di familiari ed esperti comporrano il nuovo Osservatorio con compiti consultivi e di garanzia di trasparenza delle informzioni e delle procedure. B.Gob. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mag. ’13 STAMINA: LA POLITICA BUTTA VIA 3 MILIONI Si è deciso incredibilmente di finanziare una pseudocura inventata da un laureato in lettere esperto di psicologia. Mentre la ricerca vera annaspa Lucio Luzzatto È quasi un luogo comune che in Italia la ricerca bio-medica è tenuta indietro da almeno tre tipi di ostacoli: 1) burocrazia e cavilli regolamentari, 2) lo strapotere delle baronie accademiche, 3) carenza di fondi. Molti scienziati – me compreso – hanno ritenuto da tempo che fosse non solo giusto, ma doveroso denunciare questo stato di cose. Accade oggi che dobbiamo riconoscere di colpo di esserci sbagliati. 1) Immaginate che un ricercatore abbia avviato una sperimentazione con cellule vive coltivate senza seguire le norme intese ad evitare ad esempio infezioni da virus potenzialmente mortali, e che le abbia iniettate e proponga di iniettarle come una panacea in pazienti con malattie disparate, senza un protocollo preventivamente approvato dagli organismi a questo preposti. 2) Immaginate che quel ricercatore, laureato in lettere e specializzato in psicologia, non abbia mai lavorato in un laboratorio, non abbia alcuna esperienza né di cellule staminali né delle malattie che intende curare, e che non abbia alle spalle alcun Istituto Universitario o altro Istituto di ricerca. 3) Immaginate ancora che quel ricercatore, titolare di una ditta privata, non avendo a disposizione fondi ad hoc sufficienti, sia riuscito sinora a portare avanti la sperimentazione di cui sopra usando le risorse pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale (in alcuni casi per ordine di un Tribunale). Ed infine, immaginate che a quel ricercatore (senza che egli abbia fatta alcuna grant application, del tipo che ognuno di noi faticosamente deve redigere e corredare di esperimenti preliminari e di bibliografia per ottenere un finanziamento, ad esempio, di 150 mila euro all'anno) venga concesso, senza alcun vaglio né delle sue ipotesi né dei suoi risultati, e tramite legge, un finanziamento forfettario di tre milioni di euro. In sostanza, qualcuno che ha violato regolamenti e forse leggi e che non ha al suo attivo né qualifiche né pubblicazioni scientifiche pertinenti viene premiato per un progetto che non si conosce. A prima vista la sequenza è inspiegabile; ma guardando un po' più in là non è forse difficile da spiegare. L'autocoscienza è uno dei prodotti più alti dell'evoluzione della specie umana; con questa si sono sviluppate la compassione e l'amore, e perciò non accettiamo che i nostri cari vadano incontro a un destino terribile. Se vedo mia figlia indebolirsi progressivamente per l'atrofia muscolare spinale, o mio fratello devastato dal Parkinson, devo fare di tutto per aiutarli: e qui entra in gioco un'altra caratteristica della specie umana, la dialettica tra il razionale e l'irrazionale. Una volta molte malattie si curavano con le sanguisughe; oggi nessuno curerebbe la polmonite con le sanguisughe anziché con gli antibiotici. Quando invece non conosciamo ancora una cura valida, c'è il rischio di tornare ad essere irrazionali, come è avvenuto in questo caso. Storicamente la dialettica che ho citato si è sempre risolta a favore del razionale; ma è difficile prevedere i tempi. Sono passati tre secoli dalla scoperta della circolazione del sangue al primo trapianto di cuore; mezzo secolo dalla scoperta della funzione endocrina del pancreas all'insulina in farmacia; vent'anni dall'identificazione del gene della fibrosi cistica al primo farmaco specifico per questa malattia ereditaria. Nessuno che fa ricerca ha diritto ad un'apertura di credito a priori; invece, chi ha prodotto buoni risultati di solito continua a produrne. Per curare malattie gravi penso che sia meglio investire in corridori disciplinati piuttosto che in cow-boys. _____________________________________________________________ TST 22 Mag. ’13 I BATTERI SI TRASFORMANO IN COMPUTER Un team del Massachusetts Institute of Technology è riuscito a trasformare le cellule di alcuni batteri in computer viventi in grado di calcolare logaritmi, fare divisioni ed estrarre radici quadrate. Gli scienziati – secondo quanto raccontano su «Nature» - hanno creato circuiti computazionali sintetici, combinando parti genetiche naturali con geni ingegnerizzati dei batteri stessi, secondo una forma del tutto nuova. I «chip» così ottenuti sfruttano una serie di operazioni, ricorrendo a funzioni biochimiche naturali che sono già presenti nella cellula, piuttosto che reinventarle con la logica digitale. «Così - ha spiegato Rahul Sarpeshkar, che ha condotto gli esperimenti - sono decisamente più efficienti rispetto ai circuiti digitali sviluppati dalla maggior parte dei biologi sintetici». _____________________________________________________________ TST 22 Mag. ’13 IL TEST: COSÌ LO SMOG ALTERA IL COLESTEROLO «BUONO» Respirare le emissioni dei veicoli a motore innesca cambiamenti nel colesterolo Hdl (quello cosiddetto «buono»), alterandone le proprietà cardiovascolari protettive che contribuiscono a scongiurare le ostruzioni delle arterie. Lo studio della University of California di Los Angeles rivela che, dopo appena due settimane di esposizione alle emissioni dei veicoli, i topi mostravano danni ossidativi nel sangue e nel fegato, danni che non venivano invertiti dalla successiva esposizione per una settimana all'aria filtrata. «Questo processo - ha spiegato David Geffen - potrebbe essere uno dei meccanismi con i quali l'inquinamento induce coaguli che causano infarti e ictus». _____________________________________________________________ Sanità News 23 Mag. ’13 STUDIATA UNA PROTEINA CHE ARRESTA LO SVILUPPO DEL DIABETE Identificata una proteina immunitaria che ha il potenziale di fermare o invertire lo sviluppo del diabete di tipo 1 nelle sue fasi iniziali, prima che le cellule che producono insulina siano distrutte. La scoperta ha ampie ripercussioni perche' la proteina e' responsabile della protezione del corpo contro le risposte immunitarie eccessive e potrebbe essere utilizzata per curare o addirittura prevenire disordini del sistema immunitario come la sclerosi multipla o l'artrite reumatoide. La proteina in questione e' la CD52 ed e' stata rilevata da un team di ricercatori australiani del Walter and Eliza Hall Institute. Lo studio e' stato pubblicato sulla rivista Nature Immunology e condotto da Leonard Harrison che ha spiegato: "La proteina CD52 si candida ad essere in futuro un agente terapeutico per la prevenzione ed il trattamento delle malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1. La soppressione immunitaria effettuata dalla CD52 e' un meccanismo precedentemente inedito che il corpo utilizza per autoregolarsi e proteggersi contro le risposte immunitarie eccessive o dannose". Una premessa che costituira' la base per sperimentazioni sull'uso della proteina nel trattamento, la prevenzione e la cura delle patologie autoimmuni. Lo studio ha dimostrato che la rimozione delle cellule che producono la CD52 porta ad un rapido sviluppo del diabete. _____________________________________________________________ Le Scienze 25 Mag. ’13 LUCE ARTIFICIALE, TUTTI I RISCHI PER LA SALUTE L'esposizione sempre più intensa e prolungata alla luce artificiale dopo il tramonto è strettamente associata alla deprivazione di sonno, una condizione che predispone a problemi di salute quali obesità, diabete e malattie cardiovascolari. E la diffusione delle luci LED può peggiorare la situazione (red) Da conquista tecnologica a rischio per la salute: sarebbe questa la parabola storica della luce artificiale secondo un articolo di commento apparso sulle pagine di “Nature” a firma di Charles Czeisler, del dipartimento di Medicina del sonno della Harvard Medical School. La luce artificiale è uno dei fattori più strettamente associati alla deprivazione di sonno, una condizione molto comune nella nostra società e che costituisce uno dei fattori di rischio per condizioni patologiche che assumono sempre di più dimensioni epidemiche, come l'obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari, la depressione e l’ictus. Recenti ricerche in questo campo, condotte sia sul modello animale sia direttamente sull’uomo, hanno mostrato per esempio che stare svegli più a lungo altera l'espressione di centinaia di geni. A livello comportamentale, si è visto invece che la veglia prolungata induce a mangiare di più, ben oltre le necessità energetiche dell’organismo. E ci sono effetti misurabili anche sul sistema immunitario: per mantenere il suo equilibrio, l’organismo necessita di un congruo numero di ore di sonno per notte. Ancora più evidenti sono gli effetti sulle facoltà psichiche: a essere più colpite sono la capacità di attenzione, di concentrazione e di apprendimento, e anche l’umore può farne le spese; inoltre, si determinaun incremento dello stato di ansia e di depressione che alcuni studi hanno correlato addirittura a un maggior tasso di suicidi. A lamentare un numero insufficiente di ore di sonno (tipicamente la soglia per gli adulti è di sei ore per notte), secondo le statistiche è ormai circa un terzo degli statunitensi adulti attivi, mentre era il 3 per cento solo 50 anni fa. Non va meglio ai più piccoli, se è vero, come mostrano i dati, che in tutto il mondo i bambini dormono in media 1,2 ore per notte in meno rispetto a un secolo fa. Le cause di questo spostamento vanno senz'altro ricercate nella tendenza sociale a spostarsi sempre più verso una produzione di beni e di servizi 24 ore su 24 e sette giorni su sette, le cui conseguenze sono evidenti dagli studi su soggetti che lavorano su turni di notte. Ma non è da trascurare la deprivazione di sonno volontaria e per attività ricreative, come restare svegli davanti alla televisione. In tutto questo, il ruolo della luce artificiale viene raramente sottolineato, ma è fondamentale: così come l'orecchio ha due funzioni, quella dell'udito e quella dell'equilibrio, l'occhio ha, oltre alla funzione della visione, anche quella di trasmettere al cervello, tramite le cellule gangliari della retina, le informazioni circa la presenza di luce dell'ambiente, il più importante dei segnali che regolano i ritmi circadiani, il nostro “orologio interno”. Una volta giunti nel cervello, questi segnali innescano una serie di effetti diversi: inibiscono i neuroni che promuovono il sonno, sopprimono il rilascio dell'ormone melatonina, importante per la regolazione dei cicli sonno-veglia da parte dell’ipofisi, e attivano i neuroni orexina nell'ipotalamo che promuovono lo stato di veglia. Dunque il quadro complessivo è il seguente: l'essere umano si è evoluto secondo i ritmi circadiani regolati sulla luce naturale. Ma da poco più di un secolo, dopo il tramonto si accendono le luci artificiali, che riproducono anche durante le ore notturne i segnali che sarebbero propri del giorno. E il fenomeno è sempre più intenso e pervasivo, al punto che nelle zone abitate il buio assoluto quasi non esiste più: all’illuminazione artificiale viene destinato attualmente il 19 per cento dell'energia prodotta nel mondo. E quanto più illuminiamo l'oscurità, sintetizza Czeisler, tanto meno dormiamo. Inoltre, l'avvento dell'illuminazione a LED, più efficiente di quella delle classiche lampadine a incandescenza e anche delle alogene, non potrà che peggiorare le cose. La luce LED bianca è infatti ricca delle componenti blu-verde dello spettro, che sono proprio quelle a cui sono più sensibili le cellule gangliari della retina. Risultato: l’illuminazione artificiale segnalerà sempre di più al nostro cervello che non è ancora ora di dormire, e in questo faranno la loro parte anche televisori e monitor di computer, da qualche anno basati anch’essi sulla tecnologia a LED. Fortunatamente, i meccanismi con cui la luce artificiale sopprime il sonno sono sempre più chiari, e ciò aiuta anche a porre rimedio a questo effetto: per esempio, già si pensa a correggere la componente blu-verde delle luci LED con un’emissione più spostata verso le tonalità giallo- arancio. Ma nulla vale quanto lo sforzo che possiamo fare tutti, per organizzare in modo diverso la nostra giornata, magari evitando di restare davanti a uno schermo fino alle ore piccole. _____________________________________________________________ Sanità News 23 Mag. ’13 CURARE LE APNEE NOTTURNE MIGLIORA IL DIABETE Secondo una ricerca condotta da Sushmita Pamidi della McGill University di Montreal presentata alla conferenza internazionale dell'American Thoracic Society a Philadelphia, le terapie contro l'apnea ostruttiva del sonno possono ridurre il rischio cardio-metabolico. "L'apnea del sonno, una condizione associata a disturbi respiratori durante il sonno, e' nota per essere correlata ad anomalie nel metabolismo del glucosio - ha spiegato la Pamidi -. Abbiamo coinvolto nello studio pazienti con apnea del sonno e prediabete, una condizione definita da livelli di glucosio nel sangue superiori ai limiti normali ma non abbastanza da permettere la diagnosi di diabete. I risultati hanno dimostrato che il trattamento dell'apnea del sonno con pressione positiva continua alle vie respiratorie per due settimane ha portato a significativi miglioramenti nei livelli di glucosio nel sangue nei partecipanti prediabetici", ha concluso. _____________________________________________________________ Il SoleSanità 21 Mag. ’13 «PEDIATRIE, ROTTA DA INVERTIRE» Monitoraggio della Sip su 237 reparti: assistenza ancora frammentata e inappropriata Gap Nord/Sud - Età pediatrica fai-da-te - Pochi letti dedicati - Migliora l’Obi I grandi cambiamenti che in questi ultimi anni si sono verificati in ambito sanitario e sociale, legati soprattutto al progresso tecnologico, ai nuovi bisogni di salute della popolazione, alla diversa epidemiologia delle patologie pediatriche e alla congiuntura economica, impongono un adeguamento strutturale e organizzativo della pediatria ospedaliera del nostro Paese. A tal proposito un recente studio della Società italiana di pediatria (Sip) che ha coinvolto 237 reparti di Pediatria e Neonatologia italiani offre numerosi spunti di riflessione. Il primo dato che emerge abbastanza chiaramente e con pochissime eccezioni, è che i parametri presi in considerazione evidenziano un gradiente di qualità, in senso decrescente, Nord-Centro-Sud. A cominciare dalla guardia attiva. La presenza di un medico H 24 è assicurata, in Italia, nell’83% dei casi, un dato fortunatamente in aumento rispetto a un’analoga indagine del 2007 (69%), che evidenzia il costante impegno dei pediatri ospedalieri disposti non di rado a numerose ore di straordinario, spesso non retribuito. Se però si esamina il dato nelle diverse aree geografiche del Paese si scopre che nel Mezzogiorno ben il 43% dei reparti pediatrici ha un numero così esiguo di medici (meno di 5) da non consentire una guardia attiva 24 ore su 24. Sempre più adolescenti ricoverati con adulti. Un dato eclatante che desta preoccupazione è la difficoltà crescente che incontra la realizzazione dell’Area pediatrica, ovvero il ricovero in Pediatria di tutti i pazienti in età evolutiva (0-17 anni), indipendentemente dalla patologia presentata. Infatti, solo il 26% delle Pediatrie ricovera fino ai 17-18 anni, percentuale che nel 2007 era pari al 38 per cento. In parallelo è significativamente aumentata la percentuale delle Pediatrie che ricoverano solo fino ai 14 anni, passata dal 26% del 2007 all’attuale 60% su base nazionale. L’abbassamento dell’età di pertinenza pediatrica è comune a tutte le aree geografiche, ma è prevalente nelle Regioni del Sud, dove addirittura l’80% delle strutture ricovera solo fino all’età di 14 anni. Si tratta di un dato allarmante che mette seriamente a rischio il concetto stesso di specificità pediatrica e limita gravemente la professionalità del pediatra. La perdita della competenza dell’età adolescenziale costituirebbe una grave sconfitta non solo per la Pediatria, ma anche e soprattutto per l’adolescente. Un sistema frammentato. Una delle critiche che più frequentemente vengono mosse al sistema ospedaliero pediatrico è la sua eccessiva frammentazione. Questa osservazione è confermata dal fatto che ben il 68% dei reparti ha meno di 16 letti e solo il 12% ne ha più di 20. La situazione, in realtà, appare ancora più grave se si considera che ben il 25% delle strutture pediatriche ospedaliere ha meno di 10 letti. Il ridotto numero di posti letto spiega il basso numero di ricoveri di molti reparti: il 18% ne effettua meno di 300 l’anno, poco meno della metà arriva a 700, mentre i reparti che ricoverano più di 1.000 pazienti sono solo il 25 per cento. Anche in questo caso il Sud Italia presenta una situazione più critica con il 28% dei reparti che ricovera meno di 300 bambini l’anno contro il 14% del Centro e del Nord. Un altro dato preoccupante è il basso numero di stanze singole presenti nei reparti di pediatria. Ciò oltre a ridurre il comfort alberghiero, comporta serie difficoltà nell’isolamento dei bambini con patologie trasmissive e causa quindi un aumento delle infezioni nosocomiali. Ben il 23% delle Pediatrie, su base nazionale, non possiede neppure una stanza singola, mentre il 57% ne ha meno di 5. Irrilevante è l’attività di Day surgery offerta solo da un quarto dei reparti, tanto più a volumi bassissimi (circa la metà ne esegue meno di 50 l’anno). Pronto soccorso: pochi accessi più ricoveri. Anche l’attività di Pronto soccorso denota una grave frammentazione: solo nel 27% dei casi esiste un Ps pediatrico, soltanto il 18% delle Pediatrie effettua più di 10.000 visite di Ps, mentre il 21% ne fa meno di 2.000. La situazione appare particolarmente grave al Sud, dove solo il 7% delle Uo fa più di 10.000 visite e ben il 34% ne fa meno di 2.000. Probabilmente questa situazione è responsabile, più o meno direttamente, dell’elevato numero di ricoveri che afferiscono dal Ps, nel senso che tanto minore è il numero di accessi al Ps tanto maggiore è la tendenza a ricoverare. In ambito nazionale, il 45% delle Pediatrie ricovera correttamente meno del 10% dei pazienti visti in Ps (66% al Nord, 28% al Centro, e 20% al Sud). Osservando la tabella, si nota che, sempre al Sud, dove gli accessi di Ps per Uo sono in generale molto bassi, si arriva anche a percentuali di ricovero da Ps elevate (> 40%). Migliora l’Obi. Nota positiva è l’Osservazione breve intensiva (Obi) che si sta imponendo in ambito pediatrico come un regime assistenziale in grado di ridurre i ricoveri impropri, assicurando la sicurezza del paziente, prolungandone la permanenza in Ps, in ambiente idoneo e confortevole. Per le sue caratteristiche, infatti, il ricovero pediatrico è in genere breve e, in molti casi, potrebbe esaurirsi in 24-48 ore. Anche in questo caso, la distribuzione per area geografica non è omogenea (la sua diffusione al Nord è quasi doppia rispetto al Sud). In conclusione, la realtà italiana fotografata da questo studio è estremamente variegata e offre ampi margini di miglioramento. Negli ultimi 5 anni la realtà pediatrica ospedaliera non ha subito significative modifiche, anzi le criticità rilevate nel 2007 non sono state corrette e in alcuni casi sono peggiorate. La necessità di un cambiamento strutturale e organizzativo emerge a più riprese. Se è vero che il compito di prepararlo e affrontarlo è dei pediatri è altrettanto vero che spetta alle Regioni guidare il cambiamento, recependo le istanze dei professionisti e preparando il terreno con scelte, legislative e di riorganizzazione, mirate e coraggiose. di Riccardo Longhi * e Domenico Minasi ** Distribuzione parametri su base nazionale e per macroaree Italia Nord Centro Sud Organico <6 medici 14% 3% 24% 43% Guardia 24 ore 83% 90% 79% 77% Età ricovero <>17 anni 26% 35% 30% 7% Età ricovero <>14 anni 60% 52% 53% 80% Posti letto <10 25% 19% 25% 35% Posti letto <16 68% 40% 53% 42% Posti letto >20 12% 17% 8% 6% Numero ricoveri <300 18% 14% 14% 28% Numero ricoveri <700 48% 48% 53% 44% Numero ricoveri >1.000 26% 30% 11% 28% No stanze singole 33% 14% 20% 41% Stanze singole <5 57% 55% 72% 52% Pronto soccorso pediatrico 27% 36% 17% 18% Visite Ps pediatrico >10.000 18% 28% 11% 7% Visite Ps pediatrico <2.000 21% 11% 19% 39% Presenza Obi 66% 80% 67% 43% Numero Obi <250 33% 24% 37% 56% Numero Obi >500 37% 44% 34% 22% _____________________________________________________________ Sanità News 21 Mag. ’13 PER L’OMS MIGLIORA LA SALUTE DEL MONDO ANCHE SE PERSISTONO DISUGUAGLIANZE Le differenze nella salute tra i Paesi meno sviluppati e quelli più ricchi si sta restringendo, in qualche caso in modo 'tremendo'. Lo afferma il rapporto World Health Statistics 2013 pubblicato dall'Oms, secondo cui però i miglioramenti non sono sufficientemente veloci per centrare gli 'Obiettivi del millennio' fissati dall'Onu per il 2015 I progressi ottenuti sono visibili in particolare per la mortalità infantile, spiega il documento. Se nel 1990 la differenza tra il 25% dei Paesi più in salute e il 25% nelle peggiori condizioni era di 171 morti ogni mille abitanti, nel 2011 era sceso a 107, con diversi paesi che sono risaliti molto dal fondo della classifica. La probabilità di un bambino di morire entro cinque anni però rimane 16 volte maggiore nei paesi più poveri. "Gli sforzi intensi di questi anni per raggiungere gli obiettivi hanno chiaramente migliorato la salute della popolazione mondiale - commenta Margaret Chan, direttore generale dell'Oms - ma con meno di mille giorni che mancano alla scadenza è il momento di chiedersi se questi sforzi siano riusciti a fare la differenza". Accanto alle luci, sottolinea il rapporto, ci sono ancora diverse ombre quando si tratta di disparità. Più di 800 donne muoiono ogni giorno per complicazioni della gravidanza o del parto, l'80% dei casi di malaria è concentrato in 14 Paesi e il 50% dei Paesi censiti dall'Oms ha accesso a metà dei farmaci essenziali di cui avrebbe bisogno. http://www.who.int/gho/publications/world_health_statistics/EN_WHS2013_Fu ll.pdf _____________________________________________________________ Sanità News 21 Mag. ’13 SEMPRE MENO STUDI PRIVATI PER I DENTISTI ITALIANI Addio al sogno dello studio privato per i giovani dentisti neo laureati. Si stima che circa 1 su 3 finisca ‘impiegato’ nei centri privati in franchising che offrono cure dentali a prezzi stracciati. Una trasformazione dell’odontoiatria, frutto anche della crisi del settore, che ultimamente ha visto ritoccare verso il basso gli introiti degli specialisti a fronte di un costo per aprire uno studio sempre costantemente alto. “Oggi possiamo stimare che circa il 30% dei dentisti freschi di specializzazione finiscano a lavorare nei grandi centri privati presenti in tante citta’”, afferma Massimo Gagliani, docente di malattie odontostomatologiche dell’universita’ degli studi di Milano. “Aprire uno studio con due poltrone attrezzate – prosegue Gagliani – al di la’ della locazione puo’ costare tra 50 e 70 mila euro. Un spesa enorme per chi non ha alle spalle tradizioni familiari. Mentre – aggiunge – in questi centri un giovane puo’ arrivare a prendere dai 3 ai 3.500 euro lordi. Uno stipendio piu’ che dignitoso”. “Negli ultimi anni abbiamo ritoccato verso il basso i fatturati del settore del 30% – sottolinea Carlo Ghirlanda, segretario culturale dell’Andi, l’Associazione nazionale dentisti italiani – c’e’ una marcata sotto-occupazione giovanile con un problema di formazione universitaria, soprattutto pratica, solo in parte colmato con la recente riforma che prevede un sesto anno di pratica ‘alla poltrona’. Molti di loro – osserva – non riescono neppure ad affacciarsi alla libera professione e aprire uno studio rimane molto costoso”. Ecco che le catene che offrono cure dentali ‘low cost’ diventano una soluzione per un mercato in difficolta’. “Ma non senza qualche rischio – osserva Ghirlanda – per la tenuta del posto di lavoro e per il riconoscimento professionale”. “Come Andi – aggiunge Ghirlanda – sosteniamo il modello libero professionale, che fino ad oggi ha prodotto un’offerta di salute di grande qualita’ per la popolazione e non e’ sostituibile con altre pratiche, ma ci stiamo impegnando per trovare delle soluzioni migliori per chi entra nel mondo del lavoro. Anche – precisa – con un patto generazionale, ad esempio, con il reclutamento dei neolaureati negli studi gia’ avviati”. “Oggi rispetto al recente passato c’e’ sicuramente una maggiore difficolta’ per chi esce dall’universita’ e vuole avviare una propria attivita’ – sostiene Marco Ferrari, presidente della Conferenza permanente dei Corsi di laurea magistrale di odontoiatria e protesi dentaria – i grossi centri in ‘franchising’ sono delle palestre per i neolaureati. Ma spesso non offrono quelle possibilita’ di evolvere professionalmente e quindi dopo un certo periodo il giovane cerca altri stimoli”. I dati della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, ci dicono che attualmente gli odontoiatri che esercitano in Italia sono 58 mila. “Ma di questi, circa 30 mila hanno una doppia iscrizione – avverte Ferrari – ovvero sono medici che lavorano come odontoiatri. Una possibilita’ che da 20 anni non c’e’ piu’. Questo vuol dire che nel prossimo futuro avremo 30 mila colleghi in procinto di andare in pensione. Con un dimezzamento progressivo del numero di professionisti ”. ”Attualmente – riflette Ferrari – i posti nelle universita’ italiane riservati agli odontoiatri sono 950. Ed escono due tipologie di laureati: il 70-75% non sono figli di dentisti, poi abbiamo circa 1.500 studenti localizzati soprattutto in Spagna e Romania, nella quasi totalita’ figli di dentisti, che pero’ non andranno ad aprire nuovi studi. E’ chiaro quindi che avremmo un buco di professionisti nei prossimi anni a cui dover dare una risposta”. Ma i giovani dentisti italiani sembrano anche non disprezzare i richiami dell’Europa, soprattutto provenienti dall’Inghilterra. “I nostri laureati – conclude Ferrari – non rimangono necessariamente nella Regione dove hanno studiato. In molti stanno optando per altri Paesi dell’Ue dove sono meglio pagati”. _____________________________________________________________ Il SoleSanità 21 Mag. ’13 DENTISTI, SELL OUT A STUDIO -6% AMICI DI BRUGG/ Ricerca Key Stone sul mercato 2012-2013 dei prodotti di consumo del settore Calo strutturale del business - Stretta creditizia sulle nuove attrezzature Indubbiamente la crisi economica e sociale in atto ha avuto un impatto negativo anche nel settore dentale. È quanto dimostrano, tra l’altro, le ricerche annuali Key-Stone che, basandosi su quanto dichiarato da un campione di circa 1.000 dentisti, hanno rilevato a partire dal 2009 una progressiva e costante riduzione dei pazienti negli studi odontoiatrici privati. Pur in questo contesto negativo, il mercato dei prodotti di consumo dei dentisti aveva sostanzialmente resistito fino ai primi mesi del 2012. Per la prima volta, però, secondo quanto registrato da Key-Stone, il mercato di sell-out - ovvero gli acquisti complessivi di dentisti e odontotecnici - ha avuto un andamento negativo, chiudendo il 2012 con un decremento che sfiora il -5%. A questo proposito, osserviamo inizialmente il trend dei consumi di prodotti nel 2012 sul 2011. La ricerca “Sell-out Analysis” - realizzata grazie alla collaborazione con importanti depositi dentali - consente di calcolare in modo molto affidabile il dato di tendenza che indica una riduzione contenuta dei consumi, poco più del -2%, e un forte decremento nelle apparecchiature, con punte che arrivano al -15% per quelle destinate agli odontotecnici. Ma il 2013 si presenta più cupo. L’analisi congiunturale del primo trimestre presenta infatti una contrazione del mercato molto preoccupante, ancor più marcata nell’ambito degli investimenti in tecnologie. Al termine del primo trimestre Key-Stone rileva un segno negativo in tutti i segmenti, con un -6% complessivo. Nel grafico congiunturale primo trimestre 2013 sono indicati i trend del solo primo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2012 e la tendenza dell’anno mobile, ovvero gli ultimi 12 mesi comparati con quelli precedenti. Quest’ultimo indicatore è molto utile per valutare quanto le performances del trimestre siano “strutturali” nonostante il breve periodo analizzato. Più il trend mensile è vicino a quello dell’anno mobile, maggiore è la stabilità dell’informazione. Entrambi gli indici confermano un calo importante del business, manifestandosi in modo assai marcato laddove la fiducia nel futuro è elemento essenziale, quello degli investimenti in nuove tecnologie. Le attrezzature hanno infatti risentito enormemente della situazione congiunturale proprio a causa del clima di sfiducia che caratterizza una parte di dentisti e odontotecnici italiani, oltre a una certa stretta creditizia che riduce le possibilità di finanziamento anche per gli operatori di questo settore. Il fenomeno del calo del mercato nelle attrezzature ha peraltro un’ulteriore conseguenza, quella dell’indebolimento della leva finanziaria del sistema distributivo che, ricordiamo, fattura in Italia oltre 700 milioni. La distribuzione del dentale è infatti caratterizzata da due differenti ambiti di business, uno di prodotti di consumo, essenzialmente stabile nei suoi trend e che solo nell’ultimo anno sta subendo una contenuta situazione recessiva, ma che necessita di forti immobilizzazioni finanziarie dovute al forte impatto delle scorte di magazzino, che rappresentano circa un quarto del giro d’affari complessivo. L’altro business è quello delle apparecchiature, certamente più soggetto a trend maggiormente volatili ma che offre spesso la possibilità di ottenere flussi di cassa positivi, grazie al differenziale positivo nei termini di pagamento, con vendite generalmente supportate da sistemi di finanziamento del credito. La riduzione del mercato delle apparecchiature, che peraltro riguarda in modo particolare microimprese radicate sul territorio, rischia quindi di provocare danni ben più gravi di quelli derivanti dalla riduzione dei fatturati, creando una sorta di asfissia finanziaria letale soprattutto per le imprese più piccole o meno capitalizzate. Roberto Rosso _____________________________________________________________ Sanità News 21 Mag. ’13 I DIABETOLOGI CONTRO IL MINISTERO DELLA SALUTE E L’AIFA Lettera aperta delle associazioni dei diabetologi e dei pazienti al ministero della Salute e all'Aifa per esprimere '' forte disagio e contrarieta''' in merito al fatto che AIFA ''si appresta a modificare le indicazioni di prescrivibilita' delle terapie anti-diabetiche piu' nuove''. ''Modifiche - sottolineano l' Associazione Medici Diabetologi (AMD), la Societa' Italiana di Diabetologia (SID) e Diabete Italia - definite senza aver consultato le societa' scientifiche diabetologiche, ne' le associazioni dei pazienti''. ''Le decisioni assunte - denunciano specialisti e malati - sono in netto contrasto con i dettami delle linee guida nazionali e internazionali, oltre che con la filosofia della 'personalizzazione' del trattamento che le organizzazioni indicano come via da perseguire per migliorare outcome clinici, ridurre le complicanze, le ospedalizzazioni e, in ultima analisi, i costi ingenerati dalla malattia''. Di qui, la richiesta e l'auspicio di ''sospensione del processo di revisione'' e di ''apertura di un tavolo di confronto tra AIFA, Societa' Scientifiche e Associazioni dei pazienti per contribuire a definire indicazioni condivise di prescrivibilita' delle terapie basate sulle incretine''. _____________________________________________________________ La Stampa 23 Mag. ’13 CANCRO AL POLMONE SENPRE PIÙ FEMMINILE Tumore al polmone: 38.500 nuove diagnosi in Italia. Più colpite le donne Il tumore al polmone colpisce sempre più donne. Foto: ©photoxpress.com/Martina Delle decine di migliaia di nuovi casi di cancro al polmone registrati nel 2012, vi è stato un aumento d’incidenza nelle donne. Le nuove efficaci alternative alla chemioterapia LM&SDP Complici il vizio del fumo – ma anche il fumo passivo – l’inquinamento atmosferico e altri fattori di rischio, i tassi d’incidenza del carcinoma polmonare sono in costante aumento. A oggi, i tumori ai polmoni rappresentano uno tra i “big killer” mondiali. Solo in Italia sono 38.500 le nuove diagnosi registrate nel 2012. A esserne interessate in maggiore misura, poi, sono le donne: nel nostro Paese, dove rappresenta il terzo tumore più diffuso, un quarto delle nuove diagnosi sono infatti state registrate tra la popolazione femminile. «I progressi fatti nel corso degli ultimi anni sulla biologia del tumore al polmone – spiega il prof. Federico Cappuzzo, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica “Istituto Toscano Tumori - Ospedale Civile” Livorno – consentono oggi di usare farmaci biologici che risultano non solo più efficaci della chemioterapia ma anche meno tossici e con il vantaggio della somministrazione orale». Durante le giornate nazionali del malato oncologico, l’associazione Walce Onlus intende lanciare un appello: «Piuttosto che stigmatizzare la malattia – sottolinea Silvia Novello pneumo oncologa presso l’A.O.U. San Luigi di Orbassano (TO) e presidente di Walce Onlus – andrebbero attuate campagne contro il fumo a livello capillare e questo andrebbe fatto sin dall’età infantile, visto che molti approcciano la prima sigaretta già in età adolescenziale». I dati parlano chiaro. Nel 2012 vi è stato un aumento del 14,6% del numero di casi si tumore al polmone rispetto al 2000, quando erano 33.570. La differenza è ancora più marcata se si prende in considerazione la popolazione femminile: dal 2000 al 2012 i casi di tumore al polmone sono aumentati del 57,8% passando da 6.080 a 9.600*, anche se i più colpiti restano gli uomini con 28.900 casi**. L’aumento dell’incidenza di tumore al polmone nella popolazione femminile può essere messa in relazione all’andamento del principale fattore di rischio, il fumo di sigaretta. Negli ultimi decenni, infatti, mentre l’abitudine al fumo mostra un trend in discesa per gli uomini, si assiste viceversa a un aumento della percentuale delle fumatrici***. «Considerata la stretta correlazione fra il tumore del polmone e l’abitudine tabagica – ricorda Silvia Novello – il tumore polmonare viene ancora considerato “una colpa”, soprattutto rispetto ad altre malattie tumorali in cui non vi siano fattori di rischio legati a un “vizio” . Oltre a ciò, non va trascurato che il 15% circa dei pazienti affetti da questa malattia non ha mai fumato e che di questi pazienti la maggior parte sono donne». Le opzioni terapeutiche per il trattamento del tumore al polmone variano in base al tipo e allo stadio del tumore, alle sue dimensioni, alla posizione all’interno del polmone, alla sua possibile diffusione ad altre parti del corpo e alla condizione fisica del paziente. Nei casi di tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC) un’alternativa alla chemioterapia è costituita dalla terapia biologica che stimola il sistema immunitario per inibire la crescita e la diffusione del tumore colpendo il “bersaglio” contro cui è diretta, presente solo nelle cellule tumorali. «In particolare – sottolinea il prof. Cappuzzo – l’erlotinib si è rivelato particolarmente efficace nei pazienti con la mutazione di uno specifico gene, l’EGFR, ma anche in pazienti privi di tale mutazione». A breve erlotinib sarà disponibile anche per il trattamento in prima linea del NSCLC localmente avanzato o metastatico con mutazioni attivanti dell’EGFR, una proteina che si estende per tutta la membrana cellulare e che, legandosi al fattore di crescita epidermico (EGF), può condurre ad una crescita del tumore e allo sviluppo di metastasi. «La registrazione di erlotinib come trattamento di prima linea – spiega Cappuzzo – rappresenta un’importante nuova possibilità terapeutica per tutti i pazienti affetti da carcinoma polmonare con mutazione di EGFR. Il farmaco offre infatti la possibilità di controllare per un tempo più lungo rispetto alle altre terapie tradizionali, e con scarsa tossicità, una malattia estremamente aggressiva per la quale in passato esistevano solo trattamenti endovenosi difficilmente tollerati dal paziente». FATTORI DI RISCHIO E SINTOMI Il tumore al polmone si divide in due forme principali: il carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC) e il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), che costituisce la forma più comune con l’85% dei casi****. Il fumo di sigaretta rappresenta il più consistente fattore di rischio al quale sono ascrivibili l’85-90% di tutti i carcinomi polmonari. Inoltre il fumo passivo fa aumentare del 20% la probabilità di sviluppare il cancro al polmone nei coniugi di fumatori. Oltre al fumo gli altri fattori di rischio sono l’inquinamento atmosferico, l’esposizione a sostanze tossiche (es. radon, metalli pesanti) e i processi infiammatori cronici (come ad esempio la tubercolosi)*****. I sintomi più comuni del tumore al polmone non sempre si manifestano con chiarezza e possono essere simili a quelli di altre malattie. Ciò significa che a volte sono trascurati, e questo è uno dei motivi per i quali molti pazienti si recano dal medico solo nella fase avanzata della malattia. I sintomi più comuni del cancro al polmone sono mancanza di respiro e/o affanno, tosse cronica e/o ripetuti attacchi di bronchite, raucedine della voce, dolore toracico, perdita di peso e di appetito senza una ragione apparente******. Mutazione dell’EGFR Alcune forme di tumori NSCLC sono caratterizzati da mutazioni attivanti del recettore del fattore di crescita epidermico (EGF) che modifica le strutture della proteina EGFR conducendo ad una accelerazione della crescita e della divisione cellulare e allo sviluppo di metastasi (con diffusione del tumore ad altre parti dell’organismo). Il tumore NSCLC con mutazioni attivanti dell’EGFR è considerato una forma geneticamente distinta ed è più comune nei non fumatori, nei pazienti con adenocarcinoma, nelle persone di origine asiatica e nelle donne*******/*. * “I numeri del cancro 2012”, AIOM-AIRTUM ** www.tumori.net *** http://www.iss.it/binary/pres/cont/fumatori%202010- 2020.1131448004.pdf **** Barzi A and Pennell NA. Targeting angiogenesis in non-small cell lung cancer: agents in practice and clinical development. EJCMO (2010). 2:(1). 31 – 42 ***** “I numeri del cancro 2012”, AIOM-AIRTUM ****** www.airc.it ******* Paz-Ares, et al. J Cell Mol Med, 2010. ******** Mitsudomi T, Yatabe Y. Cancer Sci 2007;98:1817–24 _____________________________________________________________ La Stampa 23 Mag. ’13 LE INFEZIONI VIAGGIANO NELLE BORSE DELLE DONNE Le borse delle donne sono state trovate essere un bacino di germi patogeni. Foto: ©photoxpress.com/Nathalie P Secondo una ricerca, le borse delle donne possono contenere più germi che una toilette. Tutte le donne dovrebbero praticare una pulizia regolare della propria borsa e, più spesso, lavarsi le mani dopo averle infilate dentro. Creme, rossetto e mascara i più contaminati LM&SDP La toilette è il luogo che per antonomasia si ritiene essere un bacino di germi e batteri. Ma ci sono anche altri luoghi che possono farle una degna concorrenza: uno di questi pare sia la borsetta femminile che, secondo una recente ricerca, è spesso abitata da inquilini poco graditi e potenziale causa di infezioni. Gli esperti, dopo aver constatato che le borse delle donne sono spesso contaminate da un discreto numero di batteri dei più diversi tipi, consigliano di lavarsi le mani ogniqualvolta le si infilano dentro per prendere qualcosa. Ma c’è di più: a essere contaminati, altrettanto spesso, sono i prodotti di bellezza in esse contenuti come, per esempio, le creme per il viso o le mani, i rossetti. Va da sé, che utilizzare un rossetto infettato, passandolo sulle labbra, è un modo assai certo di potersi incidentalmente infettare. Ad aver scoperto che le borse delle donne sono degli incubatori di germi viaggianti sono stati i ricercatori della Initial Washroom Hygiene, i quali hanno eseguito dei tamponi per l’analisi batteriologica di un certo numero di borsette. L’esame dei tamponi ha permesso di scoprire che tutte le borse in misura minore o maggiore erano contaminate, tuttavia il 20 per cento delle borse presentava livelli di contaminazione batterica piuttosto elevati. Secondo la CBS, le zone più contaminate erano quelle in cui vi erano riposti il telefono cellulare, e quelle dei cosmetici con crema viso e mani al primo posto per contaminazione, seguite da rossetto e mascara. Tra i diversi tipi di borsa, le più contaminate erano quelle di cuoio o pelle – trovate essere le più ricche di germi patogeni. Quelle in tessuto spugnoso, infine, sono state giudicate essere il perfetto terreno di coltura batterica. Insomma, un oggetto di uso comune che si tende a non prendere in considerazione quale potenziale bacino di infezione può invece essere il motivo per cui una persona si ammala, senza magari comprenderne il perché. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 Mag. ’13 DOLORI DEL CICLO MESTRUALE, SE IL MASCHIO NON CAPISCE STUDIO. Il 30% degli uomini ritiene, erroneamente, che questi disturbi siano usati come scusa M al di testa, dolori mestruali, disturbi gastrointestinali e da stress sono compagni di vita del 70% delle donne che, almeno due volte al mese, fanno i conti con piccoli disturbi ricorrenti. Per risolverli, oltre la metà delle donne ricorre ai farmaci di automedicazione. L'INDAGINE Secondo un'indagine promossa da Anifa (Associazione nazionale dell'industria farmaceutica dell'automedicazione) su un campione di donne adulte, infatti, il mal di testa è il primo fra i disturbi più ricorrenti: quasi il 70% delle intervistate dichiara di soffrirne con regolarità. Seguono i dolori mestruali (45,5%), i disturbi da stress (citati nel 41,5% dei casi), il gonfiore alle gambe e i disturbi gastrointestinali di cui soffre quasi il 40% delle intervistate. I fastidi condizionano la vita e l'umore: quasi il 50% delle donne intervistate ammettono di diventare più lunatiche e suscettibili, di provare disagio nelle relazioni con gli altri (26%) e di avere anche difficoltà sul lavoro (20%). A risentirne sono in particolare le giovani: il 59% delle under 25, infatti, dichiara di avere disturbi dell'umore e una su tre difficoltà di concentrazione, mentre con il passare degli anni si impara evidentemente meglio a convivere con il proprio disagio. EQUILIBRIO «Il benessere psico-fisico femminile è frutto di un equilibrio meraviglioso ma complesso, che coinvolge la sfera ormonale della donna con sintomi ciclici e ricorrenti di natura fisica come gonfiore, sintomi dolorosi come cefalea e dolori muscolari, comportamentali come impulsività, senso di perdita di controllo e affaticamento ed emozionali come irritabilità, labilità emotiva, depressione, ansia, che spesso si amplificano a causa dello stress, frutto dei ritmi frenetici di vita e nemico numero uno della regolarità del ciclo mestruale», spiega Rossella Nappi, professore associato di Clinica Ostetrica e Ginecologica Irccs Policlinico San Matteo, Università di Pavia. «È così che sempre più donne hanno problemi dovuti proprio ad un'alterazione di questo delicato equilibrio, con sintomi che meritano di essere trattati poiché causano disagio e interferiscono con la vita della donna». Fortunatamente la donna di oggi è molto attenta alla salute e per questo, da un lato, sempre alla ricerca di rimedi che preservino il benessere nella speranza di tenere il più possibile lontano le malattie vere e proprie e, dall'altro, anche ben disposta ad assumere i farmaci se si rendono necessari in alcune occasioni. Fra questi, i farmaci di automedicazione, quelli riconoscibili grazie al bollino rosso che sorride apposto sulla confezione e acquistabili senza obbligo di ricetta medica, sono i primi rimedi cui le donne ricorrono nel 56 per cento dei casi, seguiti da riposo (36%) e vecchi rimedi della nonna come canarini, borse dell'acqua calda o tisane. In particolare è all'aumentare dell'età che le donne fanno sempre più uso di farmaci di automedicazione per alleviare il disagio (63,3% delle over 55). E se è vero che la maggioranza sa autogestirsi con i farmaci di automedicazione, le donne sono anche consapevoli che spesso è bene rivolgersi comunque al medico (44,8%) o chiedere consiglio al proprio farmacista (38%). IN FAMIGLIA Il problema maggiore, in alcuni casi, sta nella scarsa comprensione degli uomini che non sembrano cogliere con attenzione il disagio delle loro compagne: secondo lo studio, circa il 30% di loro ritiene che questi disturbi siano usati come scusa o espediente per potersi lamentare. Federico Mereta _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 Mag. ’13 OSPEDALI PSICHIATRICI. VISITE ALLE NUOVE STRUTTURE IN TUTTA L'ISOLA DAL GIAPPONE PER IMPARARE Una delegazione in città per studiare la riforma Com'è che l'Italia ha potuto eliminare gli ospedali psichiatrici? Se lo chiedono in Giappone, con curiosità e grande interesse, considerando che questo è l'unico Paese al mondo che ha avuto l'intelligenza e la forza di attuare un progetto così innovativo e delicato. Per poter capire meglio come sono state prese queste delicate decisioni, una delegazione giunta da Kyoto è stata ospite a Cagliari dell'Associazione sarda per l'attuazione della riforma psichiatrica (Asarp) e intende ora portare l'esperienza all'attenzione del mondo sanitario e sociale di quel lontano paese. Il gruppo, guidato dall'antropologo Takeshi Matsushima (docente all'università di Kioto), è formato da due psichiatre, una terapista e un'infermiera: nel volgere di un'intensa settimana ha visto come la riforma della legge 180 proceda fra tante difficoltà, ha conosciuto il sistema organizzativo, ha visitato le strutture di Cagliari e Sassari, ha preso atto del percorso emancipativo di chi vive la condizione di sofferenza mentale, ha preso atto dei problemi e del dibattito sempre aperto fra la battagliera Asarp, il mondo sanitario, l'ambiente politico, la cittadinanza. Infatti «in Italia il processo non è concluso, ma questo è un percorso rivolto a sostenere le persone più fragili e confidiamo che porterà al benessere di tutti», ha affermato Gisella Trincas presidente dell'Asarp da sempre in prima linea per difendere i diritti delle persone più fragili. Quel che maggiormente ha colpito gli ospiti è come il sistema psichiatrico italiano ponga al centro la persona: «In Giappone - ha osservato il professor Matsushima - manca ancora questo senso di autentica democrazia. Ovviamente ci vorrà del tempo, ma la speranza è che possa nascere anche da noi una situazione nuova». Non è un caso che la visita “investigativa” dei giapponesi sia avvenuta nel trentacinquesimo anniversario della legge 180, riformatrice di un sistema psichiatrico antico e inadeguato: la normativa varata il 13 maggio 1978 (che prende il nome del suo promotore Franco Basaglia) ha imposto la chiusura dei manicomi e regolamentato il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Una svolta senza dubbio storica, su cui sono stati aperti vari dibattiti in tutti questi anni. Nella stessa circostanza è tornata la voce pubblica dell'Asarp: il periodico “Onde Corte”, inaugurato assieme a “Casamatta” nel 1995 e diffuso come giornale stampato, nei giorni scorsi è rinato in forma di sito web. È adesso un portale di vasta potenzialità divulgatrice, che alimenta e approfondisce il dibattito sulla salute mentale, occupandosi anche di cronaca, politica, cultura, attualità in maniera critica. Si trova digitando www.ondecortenews.it . Lo hanno esaminato anche i giapponesi. Mauro Manunza _____________________________________________________________ Corriere della Sera 24 Mag. ’13 IL ROBOT CHE OPERA IL CUORE SENZA LASCIARE CICATRICI ROMA — Operarsi al cuore e non portarne i segni. Affrontare un intervento che imporrebbe al fisico e al morale un grande impegno per il numero di giorni di ricovero, la convalescenza, le ferite da rimarginare. E superare la prova senza cicatrici, dettaglio fondamentale soprattutto per le donne, attente a preservare il loro corpo da insulti e tagli. Una nuova frontiera aperta al Campus Biomedico di Roma dove il cardiochirurgo Francesco Musumeci ha sperimentato con successo per la prima volta, su una paziente di 68 anni, una metodica che permette di «correggere» la valvola mitrale nel pieno rispetto della psicologia femminile. Il tutto grazie a un piccolo robot, il Da Vinci, manovrato dal chirurgo. Il vantaggio è di poter agire attraverso un'incisione di pochi centimetri effettuata attorno al capezzolo nella quale si introducono minuscole telecamere che rimandano immagini ad altissima risoluzione. Chi opera, muove gli strumenti dalla consolle con una precisione millimetrica. In termini tecnici si parla di accesso peri-areolare, la stessa via utilizzata per le protesi estetiche al seno. Musumeci ha operato con Paolo Persichetti, primario di chirurgia estetica del Campus: «Negli Stati Uniti è un'alternativa già affermata. A giugno noi la porteremo anche all'ospedale San Camillo di Roma. Un approccio mininvasivo, meno stressante per il paziente da tutti i punti di vista». Bisogna pensare ai vantaggi per gli anziani: minor rischio di complicanze, meno giorni di ricovero. Il robottino risparmia manovre dolorose. L'apertura dello sterno, la divaricazione delle costole, l'eredità di una cicatrice di almeno 20 centimetri. La prima paziente a sperimentare questa tecnica soffriva di insufficienza severa alla valvola mitrale, normalmente si sarebbe intervenuti attraverso il torace. L'uso della robotica in chirurgia nasce agli inizi del 2000. Obiettivo, ridurre l'invasività e riparare le valvole con un gesto chirurgico più preciso di quello della mano dell'uomo. L'impiego del robot è ancora limitato in Italia per gli alti costi che costituiscono l'ostacolo principale. Alla spesa per gli strumenti occorre infatti aggiungere la formazione del personale sanitario. In compenso, se l'attività raggiunge un certo livello quantitativo si possono recuperare risorse grazie alla minore incidenza di ricovero e complicanze. «Un'esperienza confinata a centri selezionati — dice Musumeci — ma che si sta diffondendo nel mondo e da noi. Dal 2008 sono stati installati 867 robot, il 75% in Usa. L'Italia, con 54 apparecchi, in Europa è preceduta solo da Germania e Francia». Tra gli interventi che potrebbero giovarsi del Da Vinci in cardiochirurgia potrebbe aggiungersi in futuro l'esecuzione di by pass aorto-coronarici con risultati superiori alle metodiche tradizionali. L'applicazione della video assistenza robotica alla chirurgia delle coronarie è attualmente in sperimentazione. Per la prima volta sull'uomo, bisognerà aspettare. Margherita De Bac mdebac@corriere.it _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 Mag. ’13 BREVETTARE LA VITA, DILEMMA AMERICANO di Massimo Gaggi M a la vita si può brevettare? La decisione di Angelina Jolie di sottoporsi a una doppia mastectomia preventiva ha fatto discutere in tutto il mondo. È giusto autoinfliggersi la mutilazione di una parte del corpo ancora sana? Un interrogativo angoscioso, una scelta di forte impatto emotivo. Ma il dilemma chirurgico e il dibattito sull'elevato costo di test e interventi operatori hanno fatto passare in secondo piano un'altra delicata questione, quella con maggiori implicazioni per il futuro: è ammissibile che il test che consente di identificare chi corre un pericolo così grave possa essere fatto da una sola compagnia, la Myriad Genetics? La società di Salt Lake City, Utah, ha brevettato i geni in questione ed è letteralmente proprietaria della mutazione genetica incriminata. Ha, quindi, un monopolio: fissa il prezzo dei test e solo lei può fare ricerche ulteriori. Anomalia incredibile, direte, ma il caso non è affatto anomalo, i diritti della Myriad non sono una stranezza. Sono trent'anni che lo US Patent and Trademark Office, l'agenzia federale dei brevetti, concede alle imprese diritti esclusivi su migliaia di geni del nostro corpo: quasi il 20 per cento del nostro patrimonio genetico è brevettato. La prima impressione è quella di trovarsi davanti a una mostruosa degenerazione del capitalismo. E infatti la Lega per i diritti civili e l'associazione dei patologi molecolari sono da tempo all'offensiva nei tribunali contro Myriad e il costo del suo test (oltre 3.000 dollari) che giudicano assurdamente alto. A fine giugno la Corte Suprema, che ha tutti i riflettori addosso per l'attesa decisione sui matrimoni gay, dovrà intervenire anche su questa materia. E non è detto che revocherà il brevetto. La questione è più controversa di quello che appare a un primo sguardo. Intanto molti si chiedono se senza i brevetti concessi per anni, gli Usa avrebbero oggi l'industria biotech più avanzata al mondo: test e farmaci costosi ma che nessun altro è riuscito a creare. I «padri fondatori» i brevetti li hanno messi nella Costituzione americana riconoscendo la necessità di proteggere e stimolare gli inventori. «Il fuoco del genio — diceva Abramo Lincoln — va alimentato col carburante dellìinteresse». Ma, oltre alla convenienza, contano i principi: si può brevettare una mutazione genetica che esiste in natura? Il giudice Samuel Alito, in un'udienza preliminare davanti alla Corte Suprema ha obiettato: «Il fatto che un esploratore ha vagato per anni nella foresta amazzonica prima di scoprire una nuova pianta non gli dà il diritto di brevettarla». L'avvocato della società ha risposto con un altro esempio forestale: «Una sequenza genetica non esiste in natura, bisogna decidere dove inizia e dove finisce: non stiamo cercando di brevettare l'albero ma la mazza da baseball che non esiste fino a quando non viene ricavata dal suo tronco». Dilemmi affascinanti e spaventosi per nove supergiudici costituzionali a digiuno di studi biologici dalle cui decisioni dipenderà l'indirizzo della ricerca genetica in campo medico in tutto il mondo. massimo.gaggi@rcsbnewyork.com _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 Mag. ’13 NUOVE PROPOSTE PER LEGGI PIÙ LIBERALI SUL SUICIDIO ASSISTITO LE reazioni alla scelta del costruttore Roberto Gandolfi «Necessarie norme contro l’accanimento terapeutico» di Pier Giorgio Pinna wSASSARI Fa ancora discutere il caso del costruttore Roberto Gandolfi che a 88 anni ha scelto il suicidio assistito in Svizzera. Un tema delicatissimo. Che si riapre spesso di fronte a vicende esistenziali contrassegnate da aspetti umani particolarmente toccanti. E che in queste ore spinge tanti a riproporre nuove norme per far cessare in Italia l’accanimento terapeutico e per consentire di esercitare un diritto a chi sceglie in maniera autonoma di porre fine alla propria vita. Sulla questione intervengono oggi la consigliera regionale Maria Grazia Caligaris, del Gruppo misto, il medico anestesista sassarese Giuseppe Maria Saba e, da Porto Torres, Paolo Ruggiu, della associazione radicale “Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica”. «Ci sono casi che tra loro possono rivelarsi molto differenti – spiega Ruggiu – La vicenda dell’imprenditore raccontata dalla “Nuova”, per esempio, è del tutto diversa da quella del malato di Sla Giovanni Nuvoli, che ad Alghero per anni ha chiesto sino alla fine, senza mai ottenerla, l’interruzione del trattamento sanitario basato sulla respirazione artificiale. «In proposito voglio comunque ricordare la proposta di legge d’iniziativa popolare promossa dalla nostra associazione – prosegue – Perché il 55-60% degli italiani, secondo diversi sondaggi, è a favore dell'eutanasia legale. Vuole insomma poter scegliere, in determinate condizioni, una morte opportuna invece che imposta nella sofferenza. Ma i vertici dei partiti e la stampa nazionale preferiscono non parlarne. Niente dibattiti su come si muore in Italia. Tranne quando alcune storie personali si impongono: appunto quella di Giovanni Nuvoli, di Eluana e Beppino Englaro, dei leader radicali Coscioni e Welby». «E invece questi sono temi dei quali si dovrebbe parlare sempre, non solo di fronte a situazioni che di volta in volta suscitano un dibattito», afferma Ruggiu. «Sì, perché ancora oggi chi aiuta un malato terminale a morire, magari un genitore o un figlio che implora di porre fine alla sofferenza del proprio caro, rischia molti anni di carcere – prosegue – In questo modo però si viola il diritto costituzionale a non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la propria volontà. E, anche solo per paura o ignoranza, si fa protrarre la diffusione dell’eutanasia clandestina e di altre gravi conseguenze per i pazienti e i loro familiari». «Spero solo che d’ora in avanti i politici italiani non siano più succubi della Chiesa, e del resto dal nuovo pontificato mi sembra d’intravedere qualche possibilità d’apertura nuova», è la conclusione di Paolo Ruggiu. Di fronte alle rivelazioni sugli ultimi casi, a ogni modo, la posizione delle gerarchie ecclesiastiche non muta: «La vita è sempre sacra, senza eccezioni, e i metodi che consentono all’uomo di sostituirsi a Dio non sono ammissibili», continuano a ripetere vescovi e sacerdoti nell’isola. Del tutto opposte le considerazioni di Maria Grazia Caligaris. Promotrice di una mozione in consiglio regionale per la sospensione dell’accanimento terapeutico, da presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, continua a farsi carico della controversa problematica legata al fine- vita. «Certo, qui si parla di argomenti estremamente complessi, ma io resto convinta che tutte le libertà consentite per legge accrescono una società civile e non tolgono nulla a nessuno», sostiene. «Sia per l’eutanasia sia per l’accanimento dei trattamenti sanitari è giunto il momento di consentire a chi lo desidera di porre fine alla propria esistenza con dignità, senza più che il corpo da strumento di vita si trasformi in organismo schiavo di una macchina», osserva Caligaris. Assolutamente sicuro dell’urgenza di un cambiamento legislativo è Giuseppe Maria Saba. Il medico, a suo tempo direttore della clinica di anestesia e rianimazione della Sapienza di Roma, da Cagliari, dove ormai vive da diverso tempo, fa sapere di aver probabilmente conosciuto a Oristano Roberto Gandolfi, quando l’imprenditore la sua attività professionale con la Sarda Costruzioni Srl. «A ogni modo non ho dubbi sul fatto che ciascuno di noi debba avere la possibilità di scegliere», puntualizza Saba, che oggi ha 86 anni e appartiene a un’antica famiglia di repubblicani mazziniani sassaresi. «Non lo nego: io sono schierato apertamente a favore della dolce morte e sono sempre stato contrario all’accanimento terapeutico sui pazienti», precisa in conclusione Giuseppe Maria Saba. ©RIPRODUZIONE RISERVATA