RASSEGNA STAMPA 19/05/2013 LE UNIVERSITÀ E IL BINOMIO TRA FONDI ED EFFICIENZA GLI ATENEI IN DEFAULT CRUI, VIA MANCINI MA IL DOPO È BUIO LE FABBRICHE DELLE ÉLITE LA SAPIENZA, STOP AI «110 FACILI» MASTER&BACK, I FONDI CI SONO PANIZZA NUOVO RETTORE DI ROMA TRE AL PRIMO TURNO CORSI DI RECUPERO UN GIRO D'AFFARI IN NERO DA 70 MILIONI DI EURO L'HABITAT DEI GENI TEENAGER TEST D'INGRESSO ALL'UNIVERSITÀ SONO UNA SCOMMESSA DIFFIDENZA VERSO LE VALUTAZIONI FERITA PER LA SCUOLA (E LA SOCIETÀ) LA VERA FORZA USA CONSISTE NELLA QUALITÀ DELL'ISTRUZIONE LA SINCRONIA È LA TRAMA DEL MONDO MORES: IL SEGRETO DEL POSTINO CHE NASCONDEVA LE LETTERE NUMERI PRIMI, ALTRO CHE SOLITUDINE LA BUSINESS INTELLIGENCE TAGLIA SPRECHI ED ERRORI ========================================================= ADDIO AL PROFESSOR GALANELLO, LO STUDIOSO DELLE MALATTIE RARE AOUCA: CLINICA MACCIOTTA, TASK FORCE PER IL TRASLOCO AOUCA: MACCIOTTA VIGILI DEL FUOCO 120 MILA EURO AL MESE AOUCA: FINANZIATO IL NUOVO BLOCCO R DEL POLICLINICO ASL8: TRAPIANTI DI MIDOLLO, NUOVO CENTRO SARAS: ALLARME EMISSIONI, INTERROGAZIONE DEL M5S SARAS: IL PETROLCHIMICO DANNEGGIA IL DNA SARAS: I BAMBINI AVVELENATI NELL’ISOLA CONTAMINATA INPS: NUOVE PROCEDURE PER GLI ATTESTATI DI MALATTIA L'ORO NERO DEL «FARMA-TRAFFICO» SPERIMENTAZIONI E PRINCIPI ETICI VERONESI: RESPONSABILITÀ, IL SEGRETO DELLA VITA IEO: UN NUOVO MODELLO DI SANITÀ CONTRO I TUMORI PIÙ CURE A CASA E PIÙ «ECCELLENZE» L'ESORDIO DEI GIORNALI MEDICI SUBITO FRA ASPRE POLEMICHE TROPPE OMBRE SU STAMINA E LA CURA COSTA UN MILIARDO STAMINALI EMBRIONALI DALLA PELLE «PASSO VERSO LA CLONAZIONE UMANA» PERSONE, NON PECORE BASTA MANIPOLAZIONI SENZA LE STAMINALI LA RICERCA SI FERMA LA TAC GUARDA AVANTI IL BILINGUISMO SALVA DALL'ALZHEIMER IL CERVELLO CREATORE IL MOVIMENTO È UNA CURA CHE RICHIEDE TEMPI E DOSAGGI GIUSTI NUOVA SARS, ALLERTA OMS «IN ITALIA NESSUN CONTAGIO» TUMORI CHI È PIÙ ESPOSTO E PERCHE'? COME PREVENIRLI? PRIMI PASSI DEL REGISTRO REGIONALE TUMORI SCLEROSI MULTIPLA: NUOVO FARMACO PER DANNI CERVELLO TUMORI AL SENO: GLI ESPERTI: CASI IN CRESCITA UN BATTERIO PER CONTRASTARE L’OBESITA’ IDENTIFICATA UNA PROTEINA IN GRADO DI RINGIOVANIRE IL CUORE CON LA DIETA MOLECOLARE SI PUO’ MANGIARE SENZA PENSARE ALLE CALORIE LE SIGARETTE ELETTRONICHE AIUTANO REALMENTE A SMETTERE DI FUMARE? MALATTIE SESSUALI: ADOLESCENTI A RISCHIO ========================================================= _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Mag. ’13 LE UNIVERSITÀ E IL BINOMIO TRA FONDI ED EFFICIENZA Luigi Guiso Fra poco più di un mese si concluderà la valutazione delle Università e degli enti di ricerca condotta dall'Anvur (l'agenzia indipendente di valutazione del sistema universitario) dopo un lungo periodo di lavoro imponente che ha coinvolto gruppi di ricercatori delle varie discipline. Grazie a questo sforzo si disporrà una mappa completa della ricerca in Italia e di un insieme di ranking che daranno una idea abbastanza precisa della qualità accademica dei vari dipartimenti e università, così come avviene ad esempio in Inghilterra. L'esercizio dell'Anvur non è stato privo di problemi. In un settore dove si annidano rendite di posizione e dove si pretende di valutare ma non si accetta di essere valutati, il lavoro è stato fortemente criticato, a volte in modo capzioso (a parole nessuno si oppone alla valutazione, ma molti la vogliono fare a modo loro). Ma alla fine l'esercizio è stato portato a termine. Poiché gli indicatori di qualità della ricerca saranno resi pubblici, potranno essere osservati da tutti e, per questo, incidere sulla reputazione delle università (e degli enti di ricerca, a partire dal Cnr) e dei rettori che le governano. Potranno essere consultati dagli studenti e guidare la scelta dell'ateneo dove iscriversi (ed eventualmente la disciplina a cui dedicarsi). Già questo potrà avere un effetto rilevanti sul comportamento delle università. Perché, se un rettore tiene alla reputazione del proprio ateneo eserciterà un po' di sforzo in più per migliorare la qualità accademica dell'istituzione che governa. E perché, influenzando la capacità di attrarre studenti (e quindi fondi), i rankings inietteranno semi di concorrenza tra le università che saranno maggiormente motivate a perseguire come obiettivo il miglioramento della qualità. Ma la valutazione potrà dare un contributo ancor più rilevante a migliorare il funzionamento e la qualità delle università se verrà usata per graduare i trasferimenti ai vari atenei/dipartimenti. Questo è ciò che è accaduto da tempo in Inghilterra, dove la valutazione ha come scopo principale quello di fornire una classifica della qualità degli atenei che viene usata per ripartire i trasferimenti pubblici. E da quando questa politica è stata attuata si è assistito a un miglioramento delle istituzioni accademiche che competono strenuamente per preservare e migliorare il loro ranking. Lo stesso dovrebbe esser fatto in Italia. La legge Gelmini stabilisce infatti che una quota rilevante dei trasferimenti statali alle università deve essere legata alla qualità degli atenei e che parte dei trasferimenti dipenderà dalle valutazioni dell'Anvur. In che modo congegnare questo legame non è stato esplicitato (forse per paura che ciò facesse affondare l'esercizio di valutazione fin dall'inizio). Ciò che non è stato chiarito ex ante deve essere fatto ex post dal ministro Maria Chiara Carrozza. Le disponibilità finanziarie, anche per lo stato delle finanze pubbliche, da destinare all'incentivazione del merito non sono tante (al più il 10% del totale dei trasferimenti alle università). Ma proprio per questo bisogna distribuire i "fondi per il merito" nel modo più efficace possibile per iniziare a inserire incentivi abbastanza potenti per innalzare la qualità degli atenei. Un incentivo è potente se è "sostanzioso" e se premia in modo significativo i buoni risultati. Per funzionare non si deve premiare tutti e tra i premiati bisogna premiare chi consegue risultati migliori. Il ministro Carrozza potrebbe ad esempio adottare una regola che assegna "fondi premiali" solo alle università che sulla base degli indicatori Anvur della qualità accademica dei dipartimenti (eventualmente integrati con altri indicatori di qualità – l'Anvur ne calcola 7) si collocano nel top 25% della distribuzione. E all'interno di questo gruppo, ripartire i fondi secondo una funzione crescente della qualità. Quanto ripida dipende da quanto si vuole premiare la qualità. Può essere poco ripida all'inizio e più elevata negli anni successivi in modo da dare tempo alle università di reagire al sistema di valutazione e di organizzarsi per gareggiare meglio per l'assegnazione dei fondi. Questo è il secondo punto cruciale. Se la valutazione serve per disegnare uno schema di incentivo, lo schema di incentivo serve per modificare il comportamento. Ma perché il comportamento possa essere modificato occorre liberta decisionale. Se si adotta un sistema di trasferimenti basati sulla performance, alle università dovrà essere restituito il potere di decidere le politiche del personale, sia in entrata che (e, questa sarebbe la novità) in uscita. L'errore commesso nel passato non fu quello di passare ai concorsi locali. L'errore fu quello di non averli accompagnati con un sistema di trasferimenti condizionati alla performance del singolo ateneo/dipartimento in modo che chi assumeva un asino ne pagava le conseguenze. Fu questo errore a provocare il fallimento di quella riforma. Adottare un sistema di trasferimenti basati sulla performance, senza dare autonomia gestionale, sarebbe un errore simmetrico: chi oggi sta nella parte bassa del ranking, pur volendo, non potrebbe reagire per migliorare; chi sta nella parte alta e riceve i trasferimenti, non avrebbe interesse a migliorare perché non si sentirebbe minacciato. Non facciamo fallire anche questa occasione di riforma. _____________________________________________________________ Left 18 Mag. ’13 GLI ATENEI IN DEFAULT di Francesco Sylos Labini università e la ricerca italiana affondano: la riforma Gelmini, i tagli di Tremonti e i provvedimenti del governo Monti stanno portando il sistema al collasso. Non è una casualità, né frutto d'insipienza, ma un attacco molto ben preparato. Condotto per anni dal governo Berlusconi con una determinazione pari solo all'attacco verso la magistratura. Grazie a un'opposizione che quando non è stata complice non ha certo brillato per capacità di contra- sto. Il ministro Profumo, prima di lasciare il go- verno, ha firmato il decreto con un taglio di 300 milioni di euro al finanziamento ordinario delle università per il 2013, che cala così di quasi il 20 per cento rispetto al 2009. Dunque, si passa da una situazione in cui si riusciva a stento a stare in piedi a una situazione in cui ci sono ben trenta atenei a rischio default, senza le risorse per gli stipendi. Le università più a rischio sono, co- me prevedibile, quelle meridionali: Foggia, Cassino, Napoli, Bari, Palermo, ecc. Il nuovo primo ministro Enrico Letta ha recentemente dichiarato che si dimetterà se si dovranno fare tagli alla cultura, ricerca, università: ma i tagli sono stati già fatti. E ormai, anche in assenza di nuovi tagli, il sistema si avvia al collasso. Il rischio default si somma a una serie di storiche emergenze, aggravate nella scorsa legislatura: il fondo del diritto allo studio è crollato, così come le immatricolazioni; le risorse per la ricerca di base si sono dimezzate mentre le tasse universitarie continuano ad aumentare. Il nuovo ministro dell'Istruzione opererà in una situazione di estrema criticità. Il problema chiave è che il ministero dell'Economia verrà con ogni probabilità amministrato con la stessa logica del recente passato, che è quella della destra più ottusa e reazionaria: per ridurre le tasse la ricetta consiste nel tagliare e privatizzare il Welfare state. Come se lo sviluppo potesse nascere dal taglio dell'Imu piuttosto che dall'investimento in innovazione e ricerca. Tuttavia l'ampia maggioranza di questo governo non riflette un consenso diffuso nel Paese. I due principali partiti hanno chiesto i voti pro- mettendo un governo in contrasto l'uno con l'altro. In particolare, il centrosinistra propone- va una netta discontinuità con il recente passa- to: si è verificato l'opposto. La situazione politi- ca è fragile: al primo serio scoglio, che può ben essere costituito dal default degli atenei meridionali, le contraddizioni di questo governo non mancheranno di saltare fuori. _____________________________________________________________ Il Mondo 24 Mag. ’13 CRUI, VIA MANCINI MA IL DOPO È BUIO Dentro la Crui. potente parlamentino dei rettori, l'unica certezza è Marco Mancini. Il presidente, che è anche magnifico della Tuscia, si appresta a lasciare la poltrona. A fine ottobre terminerà l'incarico a Viterbo: non è più rieleggibile. Automaticamente, decadrà dalla Crui con un anno d'anticipo sul termine naturale del mandato. Difficile dire che cosa potrà succedere: si sta creando una situazione inedita, quindi delicata. Perché? Finita la giostra delle proroghe, di cui hanno beneficiato numerosi capi di ateneo, il rinnovo sarà poderoso. In queste settimane circa 40 università stanno scegliendo il nuovo capo. In pratica, dall'autunno la Crui cambierà faccia. Escono di scena nomi di un certo peso: uno (dei due) vicepresidenti come Corrado Petrocelli di Bari, alcuni membri della giunta Mancini da Angionno Stella (Pavia) ad Alessandro azucco (Verona). Che cosa accadrà adesso? Naturalmente, la via maestra è rappresentata dalle elezioni, che però non si possono tenere prima di novembre, quando i nuovi saranno insediati. Nessuno pensa di lasciare scegliere il futuro presidente a un'assemblea oramai decaduta per metà. Così, in pratica la poltrona più alta rischia di restare vuota. Tra le strade possibili c'è quella di una reggenza temporanea. Affidata a chi? L'altro vicepresidente è Giovanni Puglisi (lulm) che conosce bene la macchina della Crui, c'è poi il decano Giuseppe Dalla Torre (Lumsa): entrambi guidano atenei privati e questo potrebbe non trovare tutti d'accordo. Difficile perfino individuare l'identikit del successore di Mancini. Tra i membri della giunta che restano in carica, Alberto Tesi (Firenze), Stefano Paleari (Bergamo), Giacomo Deferrari (Genova) o Francesco Rossi (Napoli seconda), nessuno ha davanti a sé più di tre anni di governo a casa propria. Se eletti in Crui, dove il mandato è triennale, dovrebbero lasciare comunque anzitempo la poltrona romana di Palazzo Rondanini. _____________________________________________________________ Repubblica 14 Mag. ’13 LE FABBRICHE DELLE ÉLITE Princeton, Ena, Bocconi: sono gli istituti dove si studia per diventare leader e che formano presidenti e amministratori delegati, Ora l'Occidente li inette sotto accusa: perché lì nascono i nuovi clan di potere, oligarchie dove si entra con i conoscenze rinate NEW YORK allarme più recente viene dall'Inghilterra. Dal Guardian al New Statesman, i media denunciano la tendenza del premier David Cameron a circondarsi di collaboratori "etoniani". Cioè usciti dallo stesso Eton College dove si formò lui. Selezionare gli alti dirigenti dello Stato e i leader politici da quella esclusiva "boarding school", denunciala stampa inglese, significa costruire nuove oligarchie, calpestando la meritocrazia e ostacolando la mobilità sociale. La controversia non è solo inglese. Al contrario, in tutto il mondo occidentale serpeggiano sospetti e diffidenze verso i nuovi clan di potere, spesso formati sui banchi di scuole e università élitarie, prestigiose, inaccessibili per la maggioranza dei cittadini (o dei loro figli). Aquest' accusa se ne affianca un' altra, non meno grave: se i nostri governanti vengono formati e selezionati in istituzioni troppo selettive, veri e propri club per privilegiati, come possono capire i problemi della gente comune? Da una parte c'è il risentimento verso i privilegi delle "caste" superiori — fenomeno non solo italiano — dall'altro una crescente sfiducia nelle loro capacità di risolvere la crisi economica. In Italia il governo "bocconiano" di Mario Monti è stato sostituito da quello di Enrico Letta, formatosi alla Scuola Sant'Anna di Pisa. Inevitabile, che nella cerchia dei loro collaboratori figurino dei "compari" con curriculum accademici simili Per fino in un paese come il nostro, le cui università non figurano in cima alle classifiche mondiali, esistono comunque degli atenei percepiti come "élitari", abituati a sfornare pezzi di classe dirigenti, e quindi a creare una mentalità da "clan", reti di amicizie, cordate utili per fare carriera nella politica o altrove. Le polemiche divampano anche in Francia. Le fortune politiche declinanti di Frarwois Hollande vengono sottolineate con una sorta di insulto: «Enarca». Se questo presidente socialista ha deluso le aspettative degli elettori, e la sua popolarità è crollata, per i suoi detrattori la causa è anche quella: come troppi "grand commis" dello Stato francese, Hollande è un tipico prodotto dell'Ecole Nationale d'Administration (Ena), la fucina della classe dirigente. Un corpo separato, insomma, una sorta di palestra dei leader troppo avulsa dalla società civile, dall'economia reale. È un paradosso, perché l'Ena venne fondata nel 1945 dal presidente Charles de Gaulle e dall'intellettuale-ministro Michel Debré, proprio con lamissione di «democratizzare l'accesso ai vertici della pubblica amministrazione». Attraverso regole di reclutamento puramente meritocratiche, l'Ena doveva spalancare le porte del governo ai francesi più bravi, indipendentemente dal ceto sociale di origine. In parte c'è riuscita, ma il suo successo ha un prezzo. L'Ena è diventata il simbolo di un establishment auto-referenziale, abituato a promuovere i propri simili. Fino aformare un suo "pensiero unico", una serie di valori e di regole condivise dai gollisti ai socialisti. Nella storia della QuintaRepubblica, l'Ena ha sfornato tre presidenti dellaRepubblica, sette primi ministri, la maggioranza assoluta dei prefetti, e anche tanti Présidents Directeurs Généraux, chief executive di multinazionali e banche. A lungo questa sembrò una forza del sistema francese: da una parte la sua attenzione alla formazione delle classi dirigenti; dall'altra una certa omogeneità tra destra e sinistra, su alcuni valori comuni fondamentali della République. Oggi, in tempi di recessione e con una società civile disillusa sui governanti, anche l'Ena finisce sul banco degli imputati. Se questa storia ha un inizio, bisogna cercarlo qui inAmerica. Perché nessun'altra nazione al mondo ha costruito la sua leadership investendo così tanto nel sistema universitario. E nessun'altra superpotenza ha mai innalzato, glorificato, idolatrato a tal punto gli "esperti" al governo. Chiamateli tecnocrati, se preferite il neologismo corrente. Negli anni Trenta, il presidente Franklin Delano Roosevelt si circondò delle celebri "teste d'uovo", professori universitari usciti dai migliori atenei d'America, per concepire le politiche anti- depressione del NewDeal. Sotto John Kennedy li ribattezzarono "the Best and the Brightest", i migliori e i più brillanti. Erano gli uomini incaricati di elaborare la politica estera della CasaBianca. Spesso il presidente li reclutava dalla stessa università dove si era laureato lui. E questa tradizione non si è mai interrotta. L'unica differenza, rispetto all'Ena francese o al fenomeno degli "etoniani" in Inghilterra, è che negli Stati Uniti la schiera delle superscuole è più vasta e concorrenziale, a immagine e somiglianza dellanazione. C'è una rivalità antica in questo campo: fra Harvard e Yale. In vantaggio rimane Harvard, con otto presidenti degli Stati Uniti che vi si sono laureati, oltre a 75 premi Nobel, e 62 imprenditori miliardari (tra questi ultimi contando solo i vivi). Da Harvard sono usciti con un diploma i presidenti John Adams, John Quincy Adams, i due cugini Theodore e Franklin Roosevelt, John Kennedy.Mapiù di recente Barack Obama, pur avendo preso la sua prima laurea alla Columbia University di New York, finì col conseguire il diploma di Law School anche lui a Harvard. Mentre Yale ha formato i due George Bush padre e figlio, nonché (alla sua Law School) Gerald Ford e Bill Clinton. Il panorama americano è più competitivo grazie a Princeton, Stanford, Berkeley, Johns Hopkins, e vari altri super-atenei che hanno prodotto anch'essi generazioni di vip, dirigenti politici o economici. E tuttavia anche negli Stati Uniti questo sistema viene messo sotto accusa. A riprova, il direttore delle relazioni esterne di Harvard,JeffNeal, è stato costretto a scrivere una lunga lettera al New York Times, per rispondere alle critiche sempre più pesanti sul suo sistema di selezione degli iscritti. «Harvard accoglie studenti di talento da ogni ambiente etnico e sociale — ha scritto Neal — e noi garantiamo un esame olistico, completo, che guarda ai risultati accademici, alla leadership, alle referenze, al carattere, alle esperienze di lavoro». Questa lettera, che dovrebbe placare le polemiche sulla iper-selettività di Harvard (meno del 10% delle domande di ammissioni ricevono una risposta positiva), al contrario le ha rinfocolate. Perché è proprio dietro l'approccio "olistico" che si nascondono ingiustizie, discriminazioni, favoritismi. I figli di "alunni", rampolli di buona famiglia i cui padri e nonni già uscirono da Harvard e ne sono generosi donatori, hanno delle corsie preferenziali implicite. Lo stesso vale per tutte le università di élite: non si spiega altrimenti il fatto che George W. Bush fu accettato nell'università del padre pur essendo (per sua stessa ammissione) uno studente mediocre. Il vantaggio per Yale, di avere un figlio di presidente? Sta tutto in una parola: "Networking". Nelle superscuole non si va soltanto per ricevere un'istruzione di alta qualità dai migliori docenti del pianeta, ma anche per conoscere le persone "giuste". Networking, cioè letteralmente "lavoro direte", è l'investimento in relazioni umane, conoscenze: spesso il più redditizio nel lungo termine. Questo spiega perché perfino i rampolli dei presidenti cinesi finiscono a Harvard... Ma il pericolo è identico a quello che si corre nella vecchia Europa. Una requisitoria implacabile è nel saggio "Perché le nazioni falliscono", di Daron Acemoglu e James Robinson (tradotto ora in Italia dal Saggiatore). Il declino colpisce quelle nazioni che si trasformano da "società inclusive" a "società estrattive". Ovvero, quando diventano oligarchiche, governate da élite che si auto-perpetuano. Il rischio di un mondo dominato dalle super scuole è proprio questo: società ingessate, incapaci di ricambio, dove la mobilità sociale si blocca. LA CLASSIFICA 201-3 prime dieci al mondo e posizione dell'Italia In base a: reputazione accademica e professionale, classe docente, ricerca, internazionalità di studenti e professori _____________________________________________________________ Il Messaggero 15 Mag. ’13 LA SAPIENZA, STOP AI «110 FACILI» (Rivoluzione in arrivo per gli studenti in Lettere cambiano i parametri Troppi 110 tra i neolaureati in Lettere e la Sapienza corre ai ripari. I vertici della nuova maxi-facoltà che ha unito Filosofia, Studi Orientali, Lettere e Scienze umanistiche sono pronti a varare norme più severe per gli studenti dei corsi triennali arrivati alla prova finale. Alcuni dipartimenti, come quello di Studi Greco-latini e scenico musicali, si sono già adeguati, per tutti gli altri è solo questione di tempo. Da dicembre si cambia musica: il punteggio massimo che la commissione di laurea potrà attribuire per la tesi triennale non supererà i 3 punti, mentre in passato alcuni corsi di studio ne prevedevano addirittura 8. «Nessuno vuole danneggiare gli studenti, anzi queste regole servono proprio a rendere la loro laurea più qualificata», spiega il vicepreside della Facoltà, Roberto Nicolai. «Non è possibile che per ogni laureato con 110 a Ingegneria ce ne siano dieci nella facoltà di Lettere. Continuando in questo modo si darebbe l'idea di una laurea regalata, di una materia facile. È difficile riequilibrare completamente il divario con le facoltà scientifiche, ma almeno dobbiamo provarci». LA TESI Dietro la stretta sul punteggio di laurea c'è una ragione tecnica: i voti nei singoli esami sono troppo alti rispetto a quelli di altre facoltà. Un 27, che per molte materie scientifiche o giurisprudenziali può essere il risultato di un'ottima prova, in alcuni corsi di Lettere si concede anche a studenti non troppo preparati. E così i ragazzi arrivano all'appuntamento 'con la tesi con una media molto alta rispetto agli altri colleghi. Ecco perché l'abbassamento del punteggio collegato alla tesi permette di «contenere» il voto finale. Molti professori poi sostengono che la laurea triennale debba trasformarsi soltanto in un passaggio formale e che la tesi debba ridursi a un elaborato molto semplice, di natura compilativa. La vera laurea, insomma, rimarrebbe quella specialistica che si ottiene al termine del quinquennio. Le nuove regole dovrebbero entrare in vigore a partire dalla sessione di laurea invernale: i tesisti di dicembre alla cosiddetta media ponderata - che si ottiene calcolando in centodecimi la media in 30esimi degli esami- potranno aggiungere al massimo 3 punti. Non cambierà nulla agli studenti di Filosofia, che già oggi hanno questo tetto massimo. È un brutto colpo invece per gli studenti di Archeologia o di Lettere classiche che finora di punti a disposizione per agganciare il 110 ne avevano 6. Con le nuove normative che dovrebbero essere approvate entro fine mese, cambieranno anche le modalità di assegnazione dei relatori. Fino ad oggi i tesisti della triennale potevano scegliere il professore, da dicembre invece l'indicazione del docente spetterà ai Dipartimenti. CORO DI NO I cambiamenti sono vissuti dalle matricole con qualche mugugno. Il sindacato studentesco Link ha avviato una raccolta firme contro le nuove regole perché, spiegano, «non si possono stravolgere i punteggi in corso d'opera. Uno studente porta avanti il proprio percorso universitario tenendo conto dei criteri vigenti al momento della sua immatricolazione. Così si danneggia chi si trova nel momento di passaggio da un regolamento all' altro». «Spero che i professori aprano un tavolo con noi ragazzi», spiega Luca Bombieri, candidato all'assemblea di Facoltà di Lettere per Studenti democratici. Lorenzo De Cicco _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 Mag. ’13 MASTER&BACK, I FONDI CI SONO Stanziati 21,5 milioni dalla Giunta regionale per i percorsi di rientro L'odissea dei quaranta giovani borsisti, che hanno partecipato al bando integrativo 2010-2011 per i percorsi di rientro del progetto Master and Back, si è conclusa con lo stanziamento di 21,5 milioni di euro. La Giunta regionale, su iniziativa dell'assessore del Lavoro Mariano Contu, ha deliberato ieri l'assegnazione dei fondi per sbloccare i percorsi di rientro 2010/2011 e l'alta formazione 2011. Il documento, approvato dall'esecutivo regionale, assegna all'Agenzia regionale del Lavoro il compito di avviare l'istruttoria delle domande e di predisporre le nuove graduatorie. LA DENUNCIA Tra la fine del mese scorso e l'inizio di maggio, alcuni rappresentanti del comitato Master and Back, avevano manifestato preoccupazione a causa dei ritardi sull'erogazione delle risorse. Dalle aziende continuavano a chiedere notizie sull'erogazione dei contributi e il dilatamento dei tempi, secondo alcuni borsisti, rischiava di far perdere a tanti di loro preziose opportunità lavorative. La spinosa situazione si è chiusa con la votazione della delibera regionale e l'assegnazione dei 21,5 milioni di euro. «Con l'adozione di questo provvedimento», ha spiegato l'assessore Contu, «si completa così il programma per il 2012, e si dà una risposta a tutti i potenziali beneficiari. Il presidente Cappellacci e la Giunta hanno sempre puntato sulla valorizzazione del capitale umano e delle esigenze di professionalizzazione del mondo produttivo». L'assessore del Lavoro conclude con l'auspicio che «questi percorsi possano aiutare i giovani ad acquisire nuove competenze e a favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro». L'AGENZIA L'approvazione del documento è stata accolta con soddisfazione anche dal direttore dell'Agenzia regionale del Lavoro, Stefano Tunis. «L'istruttoria, che scadeva lo scorso 31 marzo, era completa da tempo. Questa delibera ci consente ora di procedere con l'invio delle lettere di concessione. Ricordo che era rimasto indietro l'avviso pubblico integrativo, relativo alla graduatoria. I giovani che hanno aderito al percorso di rientro adesso potranno avere la grande opportunità di un rapporto di lavoro, avvalendosi dell'importante contributo della Regione». Tunis aggiunge che è pronto pure l'avviso pubblico per l'apertura dei nuovi bandi anche se «i tempi per l'avvio delle procedure dipendono, ovviamente, da eventuali modifiche che la Giunta potrebbe decidere di effettuare rispetto ai precedenti». È stata, inoltre, predisposta una bozza per l'avviso pubblico del 2013, che riguarderà il bando per l'auto-imprenditorialità “Back impresa”, per cui sono previsti 5 milioni di euro. Eleonora Bullegas _____________________________________________________________ Il Tempo 15 Mag. ’13 PANIZZA NUOVO RETTORE DI ROMA TRE AL PRIMO TURNO Gli altri sfidanti erano il professor Pietro Grilli Di Cortona, presidente del Corso di laurea magistrale in Relazioni internazionali e il professore Settimio Mobilio, Direttore del Dipartimento di Scienze e la professoressa Giulia Caneva, docente di Botanica ambientale ed applicata e componente del Senato Accademico come rappresentante dei docenti. la Il professor Mario Panizza, direttore del Dipartimento di Architettura, senatore accademico e docente di Progettazione architettonica, è stato eletto rettore dell'Università degli Studi Roma Tre al primo turno, con oltre il 60% delle preferenze da parte di tutte le categorie dei votanti. Il mandato avrà la durata di 6 anni, non rinnovabile, dal 2013 al 2019. «Sono felice di essere stato eletto con un'ampia maggioranza di tutte le componenti dell'Ateneo. Questo permetterà di lavorare bene e con tranquillità - ha dichiarato il Prof. Panizza - come Rettore-Architetto cercherò dimettere in atto l'abitudine al lavoro di squadra e la capacità di saper coordinare competenze di tipo diverso. Questo risultato contribuirà a creare un clima di fiducia che ci potrà aiutare a cogliere i difficili obiettivi che ci siamo posti. Ringrazio il Rettore uscente e i colleghi candidati». Le operazioni di scrutinio si sono concluse ieri sera nella sede del Rettorato ín via Ostiense 161 (le votazioni si sono svolte lunedì scorso e il giorno seguente).Alle urne si è presentato 1'88% degli aventi diritto al voto (ne120081'affluenza è stata dell'83% e ne12004 del 62%). Gli aventi diritto al voto erano 870 docenti e ricercatori di ruolo, 33 ricercatori a tempo determinato, 694 unità del personale TAB- Tecnico Amministrativo e Bibliotecario e 100 rappresentanti degli studenti per un totale di 1697 aventi diritto. _____________________________________________________________ Il tempo 19 Mag. ’13 CORSI DI RECUPERO UN GIRO D'AFFARI IN NERO DA 70 MILIONI DI EURO Già impossibile trovare un prof libero Richiestisismi i laureandi a costi contenuti Valentina Conti Parte la corsa di genitori e ragazzi al recupero debiti formativi. E caccia alle ripetizioni. Un vero salasso nella Capitale, considerati i prezzi per lezioni extrascolastiche di ogni materia. Dalla non masticatile matematica all'ostico latino, passando per le lingue e le materie scientifiche come fisica e chimica, sono migliaia gli studenti di medie e superiori che devono mettersi a pari con le loro mancanze scolastiche. Colpa anche dei corsi di recupero organizzati dalle scuole, mai in numero sufficiente alle esigenze a causa delle esigue risorse. E allora via a cercare su internet o contattare amici per scovare insegnanti di buon livello o ex studenti. Una questione che tocca anche gli allievi dell'ultimo anno delle superiori, bisognosi dí aiuto per riscattare punti in vista della maturità, che quest'anno si preannuncia più restrittiva del solito. Qualche giorno fa, l'Associazione nazionale presidi (Anp), guidata da Giorgio Rembaldo, ha inviato una lettera al ministro, Maria Chiara Carrozza, per chiedere l'acquisto di rilevatori elettronici capaci di disturbare le frequenze dei portatili. Insomma, un tentativo per adottare un sistema in grado di neutralizzare scopiazzature via smartphone e tablet. Ci si penserà meglio fra qualche settimana, prima dello start del 19 giugno. Sulle ripetizioni, la scelta delle famiglie ricade molto più su ragazzi in gamba neolaureati in vetrina in rete, con foto e curriculum studiorum, che su professori di calibro. Anche perché già di questi tempi trovarne uno disponibile è diventato impossibile. Sotto ai 20 euro l'ora per matematica non si scende, 28/30 euro per greco e latino. Ma parliamo di laureandi. Se sono dottorandi o insegnanti in erba il costo aumenta in media del 10%. 30 euro mediamente per inglese e le altre lingue straniere, si va giù a 18/20 euro se il «docente» è uno studente o un neolaureato. I prezzi di fisica e chimica ricalcano più o meno quelli di matematica. Per i prof «veri» si sale di parecchio: tra i 40 e i 60 euro, soprattutto per la «bestia nera» latino, e pure oltre, in base al servizio effettuato a domicilio o meno. Anche se, ad interpretare alla lettera la normativa vigente, si pone il dilemma dell'incompatibilità con il lavoro svolto. Tradotto: i prof non possono dare ripetizioni a studenti dell'istituto in cui insegnano senza autorizzazione del dirigente (e non è così scontato che la firmi). Intorno alle 1.300 euro, la cifra che una famiglia sborsa per un figlio /a con lacune in un paio di materie, considerando due ore a settimana per ciascuna. Un giro d'affari di oltre 70 milioni di euro. In nero. Perché ricevute e scontrini nel 94% dei casi non sono da mettersi in conto. Tutto pagato cash. Un'attività che sfugge al fisco, conveniente ad entrambi i partner dello scambio• genitori e professori o studenti/neolaureati che sbarcano il lunario in questo modo. I modi per trovarle? La rete, nella stragrande maggioranza dei casi, popolata di numerosi siti che pullulano di richieste e proposte. Poi, le classiche bacheche nelle scuole. E il passaparola fra le mamme, soprattutto dei ragazzi delle medie e dei primi anni del liceo, resta il metodo più gettonato per chi voglia affidarsi a un bravo insegnante. Puntando sul low cost, i rimedi per risparmiare esistono: lezioni di gruppo (20% off) e i «pacchetti» (come in palestra e alla Spa) : un forfait pagato su almeno 20 ore di lezione con riduzione di 18-20%, specialmente quando si «tratta» con neo- laureati o studenti. Gli insegnanti doc sono più tradizionalisti anche nel non praticare sconti. Costano il 30% in meno le lezioni via skype. Recuperare si può anche in modo alternativo. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Mag. ’13 L'HABITAT DEI GENI TEENAGER La passione dei giovani crea innovazione, come mostra l'Isef di Phoenix. Ma i governi lungimiranti devono coltivare questi talenti Tra le invenzioni un algoritmo per i terremoti e una possibile cura per il melanoma Marco Magrini Nicolas Marone ha scritto un algoritmo per calcolare il Tec, il contenuto totale di elettroni nella ionosfera, usando i dati che arrivano in tempo reale dai ricevitori Gps a terra: secondo i suoi studi, il valore aumenta 40 minuti prima di un terremoto ed è quindi un affidabile campanello d'allarme. Andrii Konovalenko ha sviluppato un sistema per trasformare qualsiasi superficie in un'interfaccia: il pc proietta l'immagine su un cartone e lui, con un puntatore infrarosso, muove il mouse, scrive e disegna. Invece, Hannah Wastyk ha sperimentato che l'inibizione di un gene (chiamato Aldh18A1) può servire a curare il melanoma, uno dei tumori più letali, e senza effetti collaterali. Ma il bello è che questi scienziati – un israeliano d'origine argentina, un ucraino e un'americana – hanno rispettivamente 17, 16 e 18 anni. Sono tre dei 1.600 teenager di oltre 70 paesi arrivati a Phoenix, in Arizona, per la finale dell'Isef, vera e propria competizione della ricerca con un montepremi di 3 milioni di dollari, ideata e promossa dalla Intel da 64 anni a questa parte. «Non lo facciamo per futili questioni d'immagine – sentenzia Wendy Hawkins, direttrice esecutiva della Intel Foundation – ma perché è l'innovazione, la linfa vitale di Intel». Se è per questo, è anche la linfa della crescita economica. «Nel 1960 – osserva Sue Khim, fondatrice di Brilliant.org, community di giovani geni planetari che lei stessa ha presentato a Phoenix – il Pil di Giamaica e Singapore era quasi identico. Poi, la prima ha deciso di scommettere sul turismo e la seconda sull'istruzione avanzata. Da allora, la Giamaica ha raddoppiato il Pil, ma Singapore l'ha moltiplicato 18 volte». Certo, il ritorno su questo genere di investimento è di lungo periodo, va ben al di là della durata di una legislatura. Ma è un ritorno assicurato, che fatalmente finisce per segnare i destini economici delle nazioni. «Per la mia ricerca – racconta la liceale Wastyk – avevo bisogno di cellule tumorali e di un laboratorio per esaminarle. Alla Penn State University mi hanno dato tutto, in cambio di un bel po' di lavoro da volontaria». Dovreste vedere la determinazione, ma anche la passione, che sprigionano i suoi giovani occhi. Come ti è venuto in mente di occuparti di terremoti? «Beh, per cercare di salvare migliaia di vite all'anno», risponde candidamente Marone. «No, il brevetto non l'ho ancora depositato, ma lo farò questa estate», dice con piglio imprenditoriale il sedicenne Konovalenko, che assicura di aver "visto" uno dei suoi algoritmi durante il sonno. Probabilmente, perché non smetteva di pensarci da sveglio. Con nove miliardi di esseri umani a bordo, il pianeta Terra non scarseggia certo di cervelli freschi. «Dipende solo da quanto e come vengono incoraggiati alla ricerca e alla creatività», commenta Ed Finn, che all'Arizona State University è direttore di un particolare dipartimento: il Centro per la scienza e l'immaginazione. «Creatività significa mettere insieme tante conoscenze diverse per immaginare qualcosa di nuovo», ha detto Sir Harry Kroto, durante il dibattito insieme ad altri tre premi Nobel con gli scienziati teenager: alla fine, erano tutti lì a chiedere loro l'autografo, come di solito si fa con le rockstar. A girovagare per gli stand della International Science and Engineering Fair, si può chiedere agli imberbi scienziati l'origine della loro passione. Ma non c'è grande varietà: o in famiglia, o dentro la scuola. È l'ambiente che induce passioni e curiosità. Un nuovo propellente per missili, capace di non aggiungere protossido di azoto (un gas-serra) nell'atmosfera, è uscito dal cappello di due dei nove concorrenti italiani: Davide Zilli e Massimo Cappelletto dell'Ises Malignani di Udine, il più grande liceo d'Italia per numero di studenti e quantità di laboratori a disposizione. «Con gli stimoli giusti, si ottengono risultati incredibili», commenta Eliana Ginevra la prof di scienze che all'Isef c'è venuta per tredici anni di fila. «Non sono solo i licei d'eccellenza a fare la differenza – osserva Alberto Pieri, segretario generale di Fast, la fondazione che seleziona i progetti italiani per l'Isef – molto spesso basta l'entusiasmo di un professore di un liceo qualunque». Se è la forza delle idee, che trascinerà la storia di questo secolo più di qualsiasi altro secolo precedente, non c'è posto per le esitazioni: piccoli scienziati crescono e finiscono per fare la differenza. I governi che non coltivano con cura queste pianticelle, non lo fanno a loro rischio e pericolo. Ma dei governi che verranno. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 Mag. ’13 TEST D'INGRESSO ALL'UNIVERSITÀ SONO UNA SCOMMESSA Sono uno studente di quinta liceo. Sto per iscrivermi al test d'ingresso per l'ammissione al corso di laurea in Odontoiatria, che si svolgerà a fine luglio, come altri test per le facoltà a numero chiuso programmato a livello nazionale. Sono perplesso, non tanto per l'anticipo del testa luglio (una bella fatica, a pochi giorni dalla maturità), ma per i ristretti tempi tecnici entro i quali è previsto il perfezionamento dell'iscrizione all'università, in base alla graduatoria nazionale che verrà pubblicata i126 agosto. In pratica, al momento dell'iscrizione al test devo indicare tutte le sedi dove potrei ripiegare se non riuscissi a conquistare un posto a Milano, la mia città. Se riuscirò a passare il test, ma non ad avere un posto a Milano, avrò solo quattro giorni per iscrivermi nella sede dove risulterò "prenotato". Sarà dura decidere in così poco tempo, considerato anche il trasferimento. Sarebbe stato meglio far fare i test e dopo procedere all'assegnazione dei posti, lasciando scegliere la sede agli studenti, in ordine di graduatoria, sulla base dei posti ancora disponibili. M. B. Milano _____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 Mag. ’13 DIFFIDENZA VERSO LE VALUTAZIONI FERITA PER LA SCUOLA (E LA SOCIETÀ) In queste settimane nelle scuole italiane si stanno somministrando agli studenti i test Invalsi (l'ente di valutazione del sistema formativo italiano), volti a verificare il livello di preparazione degli scolari in alcune materie chiave. Modalità ormai consolidata in tutti i Paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), anche in ottica di comparazione tra sistemi differenti. Con i test, però, come ogni anno, sono arrivate a raffica anche le polemiche che nascondono, in realtà, un grave e ampio problema tipicamente italiano: l'incapacità di farsi valutare e di valutare seriamente. Abbiamo sempre dubbi sui metodi utilizzati, sull'autorevolezza dei valutatori, abbiamo costantemente un metodo migliore e sentiamo uccidere la nostra pseudo creatività. Con l'aggravante che troppo spesso gli esiti non si trasformano in incentivi per chi ottiene risultati migliori e li neghino a chi ne ottiene di insufficienti. Il vero nemico di una società aperta e basata su logiche meritocratiche è la non valutazione, molto più del malcostume delle raccomandazioni che tanto, giustamente, scandalizza. Si tratta di un percorso di modernizzazione che ha ancora una lunga strada e che proprio dal sistema scolastico può partire per coltivare una diversa e più moderna cultura negli studenti e negli insegnanti, in buona parte ben più restii dei primi. A partire da qui, per arrivare al mondo universitario e poi al lavoro, la diffidenza, se non la assoluta contrarietà a farsi valutare da enti esterni blocca ogni iter di selezione positivo di pratiche, persone, processi. Rende ogni cosa, ogni risultato uguale e giustificabile. A questo si affianca un atavico scetticismo, se non, in taluni casi, analfabetismo per i numeri e quindi per ogni metrica di misurazione. Valutare nella scuola e in università è il primo passo per costruire una società in cui la valutazione divenga strumento per indicare processi di miglioramento, incentivi e promozioni professionali e anche per intercettare processi o ruoli che non funzionano al meglio. Stefano Blanco @blancostefano Direttore generale Fondazione Collegio delle università Milanesi _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Mag. ’13 LA VERA FORZA DI UN PAESE CONSISTE NELLA QUALITÀ DELL' ISTRUZIONE La scuola pubblica della middle-class dove nasce la coesione americana media di CLAUDIO MAGRIS Chicago. Accompagno Silvio Marchetti, che dirige con rara creatività l'Istituto italiano di Cultura, a tenere una lezione sull'Unione Europea in una scuola pubblica della città, il liceo classico — se così si può tradurre highschool — Foreman. La scuola si trova nel quartiere Belmont, alla periferia alquanto isolata e scialba di quella che forse è la più bella città degli Stati Uniti e quantomeno vanta una delle vie più belle del mondo, il Magnificent Mile. Il liceo Foreman è frequentato soprattutto da studentesse e studenti ispanici — per lo più di provenienza o di origine messicana — e neri; alcuni, specialmente alcune ragazze, musulmani. È la prima volta che metto piede in una scuola secondaria pubblica americana, di cui spesso si lamentano la bassa qualità, il modesto stipendio e lo scarso prestigio sociale degli insegnanti nel Paese del business, ancorché ora vacillante, e delle grandi università, perfettamente organizzate e attrezzate come in nessun altra parte del mondo, in cui premi Nobel sdottorano come guru e in cui sussiegosi studenti in divisa assomigliano a giocatori di golf. I racconti che riguardano la scuola pubblica si soffermano spesso sulle situazioni peggiori nelle zone più disagiate, che rendono tanto più difficile il lavoro dei docenti con classi di alunni socialmente sbandati e disadattati, la cui scuola talvolta è più la strada che l'aula, anche con la violenza che ciò può comportare e che non favorisce certo, per usare un eufemismo, l'inclinazione allo studio e alla disciplina. Ma ogni giudizio generalizzato è un pregiudizio, come dimostra quella mattina trascorsa al liceo Foreman, per me uno dei più begli incontri con la realtà americana. A parte i controlli all'entrata — necessari per la demenziale circolazione delle armi anche nelle mani più immature, ma sbrigati con cordiale ancorché scrupolosa lievità, diversamente da quanto accade talora nei contatti con la polizia all'ingresso nel Paese — mi sono trovato, di colpo, in una delle atmosfere che più amo e in cui più mi sento a casa, non troppo dissimile da quella del mio liceo triestino Dante Alighieri, dove hanno studiato pure mio padre e i miei figli e di cui ho celebrato un paio di mesi fa i centocinquant'anni (venendo, ahimè, definito dal giornale «illustre ex allievo ancora vivente»). Un liceo che ci ha insegnato ad amare lo studio e gli insegnanti, ma anche a ridere di essi pur sapendoli migliori di noi; che ci ha dato le coordinate fondamentali dell'esistenza e le amicizie fondanti per la vita, che ci ha insegnato a impegnarci nello studio pur non prendendolo troppo sul serio, a credere e insieme a non credere alle cose. È per questo che, come dice un personaggio di Fontane, il classico, con la sua ironia, «rende liberi». Alcuni di noi erano anche molto bravi con gli aoristi, la perifrastica passiva o l'estetica di Croce, ma quando un professore commetteva l'errore pedagogico di definirli «cavalli di razza» rispetto agli altri, essi ristabilivano subito le cose e l'unità fraterna della classe mettendosi a ragliare rumorosamente. È quest'aria che ho trovato fra gli insegnanti e gli studenti di quella scuola pubblica americana. Un'atmosfera rispettosa e scherzosa, sciolta e aliena da presuntuosa protesta come da quella saccente supponenza che si ritrova in certi club studenteschi esclusivi di famosi campus universitari americani. Silvio Marchetti illustrava la storia dell'Unione Europea, i suoi meccanismi istituzionali, i suoi organi, le sue competenze, le sue difficoltà. Le domande erano precise, concrete; talune anche elementari, tuttavia mai vaghe o ideologiche. Nelle discussioni, rispettose ma vivaci e senza fronzoli, non emergeva affatto quell'ignoranza, sempre più crescente ovunque, che mi è capitato di incontrare pure in studenti di qualche università americana che non sapevano chi fosse Stalin. Sguardi vivaci e affettuosamente maliziosi illuminavano quei volti per lo più bruni e quei sorrisi sotto i fazzoletti nient'affatto monacali delle alunne islamiche; alcuni, come è giusto, chiacchieravano, ma con discrezione, ridendo di qualcosa forse non meno importante, nella vita di un ragazzo, del trattato di Schengen o ridendo forse di noi, com'è altrettanto giusto, ma l'interesse generale, stimolato dall'illustrazione di Marchetti, era autentico e le domande rivelavano un'istintiva capacità di cogliere i problemi essenziali. Come appaiono fasulle, di fronte a quella gaia e semplice scolaresca, sia la petulanza delle nostre assemblee studentesche ideologico-pulsionali che chiedevano l'esame di gruppo o il trenta politico, sia l'ingenua arroganza di quei costosissimi percorsi scolastici americani che iniziano alla scuola materna o elementare quella pretesa selezione — intellettuale ed economica — che deve portare dall'asilo di lusso a Harvard, una programmazione grigiamente sovietica nello spirito anche se perfettamente organizzata, diversamente dalla sgangherata inefficienza sovietica. È su scuole come questa che si basa la vera cultura di un Paese, che consiste nella qualità del suo livello medio, non nelle punte d'eccezione. Un Paese che avesse un Dante e milioni di sottosviluppati sarebbe un Paese barbaro. Occorre certo potenziare, dovunque, i centri di eccellenza da cui dipende la ricerca scientifica e tecnologica, fondamentale per ogni società, ma anche l'istruzione e la civiltà del cittadino medio, lasciando magari perdere, se la tasca è vuota e il piatto piange, festival, eventi e convegni. Quelle classi accanto a me, quella mattina a Belmont, rappresentavano, contrariamente all'asfittica endogamia dei campus di eccellenza, la varietà della vita vera, in cui si studia e si fa chiasso, in cui ci sono secchioni e discoli, Pinocchio e Lucignolo. Una selezione diversa da quella ridicola dei test attende certo quella garrula scolaresca; una selezione difficile — per le difficili condizioni di partenza della maggior parte di quei giovani — incerta e inevitabilmente per qualcuno dolorosa, in un futuro che non è roseo per nessuno e tantomeno per chi è duramente esposto, senza alcun parapetto o privilegio, alla nuda durezza della vita. Ma la fresca allegria della maggior parte di quei volti non sembrava inerme. In quelle classi che ci salutavano, uscendo dalla grande aula, chiacchierando e raccontandoci qualcosa della loro esistenza, delle loro famiglie, di ciò che loro piace o non piace, c'era l'America, l'americana varietà delle origini — anche degli insegnanti, una docente ad esempio proveniente dal Kazakhstan — e l'unità che alla fine ne risulta. «Quali sono veramente i confini dell'Europa?», ha chiesto una ragazza proveniente dalla Giamaica. Non è grave che né Marchetti né io sapessimo rispondere, ma che probabilmente non lo si sappia neanche a Bruxelles. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Mag. ’13 LA SINCRONIA È LA TRAMA DEL MONDO Calcio, lucciole e moti celesti: ecco la forma dell'informe di SANDRO MODEO Per spiegare l'accesso delle due squadre tedesche, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, all'imminente finale di Champions (Wembley, sabato prossimo, 25 maggio) sono state evocate soprattutto componenti extra- calcistiche, dalla programmazione ai bilanci oculati. E anche tra le spiegazioni specifiche (complessione fisica e/o condizione atletica) si è sorvolato su una connotazione non riducibile alla pura tattica: la sincronia, o meglio il sincronismo, dei movimenti d'insieme. Con modulazioni diverse ma con uguale rigore (il Bayern con un presidio più coercitivo, come a chiudere l'avversario in una camicia di forza, il Borussia con una sintassi più sinuosa e sfuggente), tutte e due producono sequenze coordinate nello spazio e nel tempo: per esempio, pressano (o scalano) con tutti i reparti simultaneamente, in modo da non lasciare corridoi e zone scoperte. È una dinamica che innesca nell'avversario, all'opposto, una de-sincronizzazione, inibendolo o mandandolo fuori giri. Lo si è visto nelle semifinali, col Barcellona degradato a squadra evanescente, ologramma muto di un team che sotto Pep Guardiola è stato il vertice proprio di un calcio altamente sincronico; e con il Real, specie a Dortmund, per larghi tratti sconnesso e frammentato. Simili ensemble calcistici sono solo uno tra i tanti casi di sincronia al nostro livello di organizzazione della materia (a mezzo tra il macro e il micro), insieme al canto all'unisono dei grilli e alle frequenze radio, al flusso elegante di un volo di storni (o di un banco di pesci) e al ticchettio degli orologi. Ma se rileggiamo un libro notevole del matematico Steven Strogatz (Sincronia, Rizzoli), vediamo come il principio della sincronia (un po' come la sua gemella spaziale, la simmetria) penetri a ogni grandezza scalare del mondo animato e inanimato, che si tratti di processi meccanici o scelte pianificate, di fenomeni spontanei o artifici culturali come la coreografia di un balletto. A livello fisico, la sincronia è estesa dalla dimensione cosmologica a quella quantistica. Da un lato, agisce silenziosa nei moti di rotazione- rivoluzione dei pianeti e dei loro satelliti; quelli della Luna, in particolare (che gira sul proprio asse alla stessa velocità angolare con cui ruota intorno alla Terra), spiegano perché ne vediamo solo la faccia e mai la nuca (il dark side). Dall'altro, si manifesta in modo controintuitivo e spiazzante nel «comportamento» delle particelle subatomiche, come succede nei superconduttori (dove gli «asociali» elettroni, a differenza che nei fili della nostra corrente domestica, viaggiano a coppie) e nei flussi-laser, dove i fotoni corrono a miliardi in un unico coro di luce. Ogni applicazione della superconduttività (dalle risonanze magnetiche alla memoria informatica) o del laser (dai lettori cd-dvd alle operazioni chirurgiche oculari) dipende quindi da sincronie-sincronizzazioni inaccessibili ai nostri sensi, e di cui sperimentiamo solo gli effetti. A livello etologico-biologico, il caso più suggestivo e istruttivo è quello delle lucciole che popolano le mangrovie lungo i fiumi del Sudest asiatico, descritte già dagli esploratori secenteschi come un'immensa estensione luminescente in accensioni/spegnimenti sincronizzati. Istruttivo perché ogni suo aspetto rivela una modalità del «respiro» sincronico: il ripetersi periodico di accensioni/ spegnimenti mostra come la sincronia sia spesso sovrapposta a una cadenza ritmica; la matrice sessuale del richiamo (emesso dai maschi) ricorda come sia invece uno schema adattativo (in questo caso una strategia riproduttiva); e il carattere progressivo della luminescenza (prima estesa a due lucciole, poi a tre, poi a piccoli gruppi, fino a saldarsi nell'unisono) ricorda come la sincronizzazione, a ogni livello, sia l'esito di un «assestamento», di una mediazione tra segnali emessi e ricevuti. Al riguardo, Strogatz trova un'analogia efficace: quella di un gruppo di jogging in mutuo aggiustamento, con alcuni corridori che rallentano e altri che accelerano. Nello specifico della biologia umana, la sincronia agisce in molte dinamiche quotidiane, affinate in milioni di anni: nelle cellule- pacemaker cardiache, cadenzando un'attività elettrica la cui sospensione si traduce in aritmie e a volte in fibrillazioni fatali; nell'orologio biologico con cui il nostro cervello (in particolare l'ipotalamo) coordina il ritmo sonno-veglia rispetto a quello luce-oscurità determinato dai movimenti della Terra (il celebre «ritmo circadiano» sfalsato dal jetlag); e nell'attività dei geni, specie di quelli regolatori, che plasmano l'embrione e il feto attivandosi o inibendosi, cioè ordinando alle cellule, attraverso i geni «strutturali», di dividersi-specializzarsi-morire, secondo luoghi e tempi prestabiliti, in un'orchestrazione finemente sincronizzata. Anche se forse l'esempio più insinuante (e perturbante) di sincronia biologica è l'emersione di una scena cosciente nel cervello, resa possibile — come dimostra il neuroscienziato Christoph Koch — dalla sincronizzazione dell'attività di neuroni di diverse regioni e di quella dei neurotrasmettitori. Una sincronizzazione (intesa come un'integrazione di informazione) posta a un preciso livello, sotto il quale il coro neurale rimane allo stato di cacofonia (come in certe fasi del sonno o nell'anestesia), e sopra il quale (come nell'attacco epilettico) il cervello viene sommerso da «scariche neurali iper-sincronizzate e autoalimentate». Utilizzando anche gli strumenti più rigorosi delle teorie del caos e della cosiddetta «fisica sociale» (lo studio delle regolarità e delle invarianze nei comportamenti collettivi, riconducibili a modelli geometrico-matematici) è possibile veder affiorare la sincronia addirittura in molti fenomeni socio-culturali, come i flussi del traffico stradale, l'aggregarsi della folla e la simpatia-empatia che contagia e diffonde una moda o una tendenza. Qui la sintesi è concentrata nello «strano caso» del pubblico dei concerti dell'Europa orientale (Ungheria e Romania): suonata l'ultima nota, gli spettatori-ascoltatori si producono in un progressivo aggiustamento-assestamento, sincronizzando via via i battimani isolati (asincroni ed entusiastici) in un unisono «più cadenzato e cupo» (riconducibile, secondo una tesi maliziosa, a un retaggio dell'irreggimentazione sovietica). È un caso che richiama, di nuovo, l'accensione luminescente delle lucciole, sia per il carattere progressivo dell'affinamento sincronico, sia per l'auto-organizzazione flessibile prodotta dal basso, senza gerarchie né leader-guida. Del resto, gli ingegneri informatici, a metà degli anni Novanta, si sono ispirati proprio alle lucciole nell'elaborare «architetture decentralizzate» per temporizzare i circuiti di computer in modo più efficiente ed economico. Una simile trasversalità della sincronia ne rivela, alla fine, la natura profonda: insieme ad altri stati e dinamiche della materia (a partire dall'informazione), il respiro sincronico cerca di scremare ordine dal disordine in cui viviamo immersi, da un contesto cosmico tiranneggiato dall'entropia e teso ineluttabilmente alla «morte termica». Spontanea o cercata (che si tratti delle modifiche dei rapporti gravitazionali tra i moti planetari o del semplice unisono di una squadra di calcio), la sincronia è uno strumento per ricavare la forma dall'informe; per isolare arcipelaghi di senso (ma non necessariamente di significato) dal nonsenso. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 15 Mag. ’13 MORES: IL SEGRETO DEL POSTINO CHE NASCONDEVA LE LETTERE Quattro quintali di buste e plichi trovati in casa di MARCELLO FOIS Quattro quintali di posta mai recapitata trovati in casa di un postino di Mores (Sassari). Agli inquirenti non ha spiegato perché. Uno scrittore ne immagina la storia. N on se ne sono accorti a Mores che la posta non arrivava, così quando il maresciallo dei carabinieri della compagnia di Bonorva è entrato dentro al garage del postino è rimasto assolutamente basito. Cose che si possono raccontare ai nipoti, pensò. Infatti davanti a lui impilate in bell'ordine c'erano centinaia di cassette gialle che pareva di essere entrati in un campo di girasoli o in una limonaia cubista, e dentro quelle cassette tutta quella posta che a Mores non arrivava più da quattro anni. A pensarci bene, si disse il maresciallo, era come entrare nel cuore segreto del paese con tutte quelle bollette, multe, ingiunzioni di pagamento, riviste, vaglia postali, assegni circolari, persino lettere archiviate in ordine perfetto, che nessuno aveva ricevuto. Tutte lì ad attendere una mano che le aprisse, degli occhi che le leggessero, magari lacrimando un poco, delle labbra che ne mimassero il contenuto nel segreto di una stanza. Se gli chiedi perché l'ha fatto, perché anziché consegnare la posta, l'ha stivata in bell'ordine nel suo garage, il postino di Mores non sa che dire. Forse non vuole riconoscere di aver peccato di indolenza. O forse il suo silenzio dipende dal fatto che chi si incarica di mutare le sorti del destino non ha una perfetta coscienza del suo mandato. Tutt'al più può raccontare che una mattina di quattro anni prima, nella strada che da Thiesi, dove si trovava il centro smistamento, lo conduceva a Mores, si è fermato ad ascoltare un sibilo di vento tra le rocce, o un campanaccio lontanissimo nella campagna, o il fruscio di una biscia tra i cespugli, constatando quanto vicina sia la campagna al paese, solo un passo. E quanta pace ci sia nella circolarità ostinata dell'esistenza. E quanta poesia ci sia nel rendere imperturbabile quella fissità. E racconta che questo fermarsi improvviso a osservare le minuzie, gli abbia fatto percepire il peso dei segreti che si portava nella sacca. E certo è possibile che abbia capito, all'improvviso, che poteva fare qualcosa per conservare intatto quel senso di nulla che amava anche se non sapeva spiegare perché. Così anziché consegnare la posta, che è esattamente come rompere quel meraviglioso silenzio, per la prima volta rovescia la sua sacca sul tavolo di casa e vede come possa essere prosaica, esigente, disturbante la realtà. Ecco una busta gialla, con un indirizzo scritto a macchina, lo conosce bene quell'indirizzo, lo sa che se consegnasse quella lettera una vita potrebbe cambiare radicalmente; oppure quell'altra col logo di una grande industria da cui si sta aspettando l'esito di un colloquio di lavoro, se la consegnasse, il destinatario vivrebbe momenti d'ansia terribili prima di aprirla; o ancora la piccola busta rosa profumata, segnale e risposta di una profferta amorosa per cui era stata chiesta una dilazione, un certo tempo per pensarci, ecco: se la consegnasse, quella lettera, potrebbe determinare una felicità insopportabile, ma anche una insopportabile infelicità. Tutto questo e altro ancora non sa dire il postino di Mores al maresciallo di Bonorva, ma preciso da una cassetta in cima a una pila estrae una lettera che lo riguarda e gliela porge. Il maresciallo la prende e legge il suo nome, poi legge l'intestazione di un laboratorio medico, erano mesi che aspettava quel referto e si era illuso che il fatto che non fosse mai arrivato significasse che non c'era niente di cui preoccuparsi, ma adesso il suo referto è lì e lui non vorrebbe mai averlo ricevuto. Il postino gli sorride come fa il colpevole quando, con una confessione completa, si è liberato della sua colpa. _____________________________________________________________ Le Scienze 18 Mag. ’13 NUMERI PRIMI, ALTRO CHE SOLITUDINE Esistono coppie infinite di numeri primi gemelli, ovvero di numeri primi la cui differenza è due. La dimostrazione, in corso di pubblicazione su una delle riviste dI matematica più prestigiose, conferma una congettura secolare, enunciata addirittura da Euclide. In particolare, è stata dimostrata una versione debole di questa congettura, stabilendo un limite fissato e finito alla distanza fra numeri primi gemelli (red) Con buona pace dell'accattivante titolo di un recente romanzo, i numeri primi non vivono affatto in solitudine: esistono invece infinite coppie di numeri primi gemelli, in base a una congettura - detta appunto dei numeri primi gemelli - enunciata già da Euclide nel III secolo a.C. A dispetto della sua antichità, tuttavia la congettura non è dimostrata, almeno fino ad ora: ad annunciare un teorema che fa compiere un significativo passo in avanti verso la sua dimostrazione è Yitang Zhang dell'Università dello New Hampshire a Durham, che nel corso di un seminario alla Harvard University ne ha delineato ai colleghi le linee fondamentali, in corso di pubblicazione sugli “Annals of Mathematics”, una delle riviste più importanti del campo. I numeri primi gemelli sono quei numeri primi (ovvero i numeri naturali divisibili solo per 1 e per se stessi) la cui differenza è 2: per esempio 3 e 5, o 11 e 13. La congettura avanzata da Euclide afferma che esiste un numero infinito di questi numeri primi gemelli. Purtroppo, come capita abbastanza spesso nella teoria dei numeri, il fatto che un'ipotesi sia semplice da formulare ha ben poco a che fare con la facilità di dimostrarla o confutarla, e infatti anche la congettura dei numeri primi gemelli finora ha resistito agli assalti. Di fronte a situazioni di questo tipo i matematici tentano spesso di avvicinarsi alla soluzione passo passo, cercando di dimostrare una congettura affine ma più “debole” - per esempio quella che afferma l'esistenza di un'infinità di coppie di numeri primi per i quali vi sia comunque un qualche limite alla distanza che li separa, sia pure più grande di 2 - per poi procedere a rafforzarla, ossia a rendere sempre più stringente il limite. Un primo risultato importante in questo senso è stato ottenuto nel 2005 da Dan Goldston, della San Jose State University, Cem Yildirim, dell'Università di Istanbul, e Janos Pintz, dell'Accademia delle scienze ungherese. Se si eccettuano i numeri primi gemelli, in genere l'intervallo tra un numero primo e il successivo aumenta via via che i numeri sono più grandi. Goldston, Yildirim e Pintz riuscirono ianzitutto a dimostrare che esiste un'infinità di numeri primi per i quali quell'intervallo è piccolo rispetto alla media degli intervalli precedenti. In seguito mostrarono che, assumendo come valida una particolare ipotesi, deve esistere numero infinito di coppie di primi che differiscono di non più di 16. L'ipotesi che avevano fatto, però, si dimostrò essa stessa una congettura non dimostrata! Ora Zhang sembra aver trovato una dimostrazione che evita il ricorso a quell'ipotesi e a stabilire un chiaro limite alla distanza fra primi gemelli, sia pure meno stringente di 16. Questo limite è... 70.000.000. Può sembrare un valore spropositatamente grande, ma in realtà il risultato è davvero notevole visto che si tratta comunque di un valore fissato e finito, mentre il limite precedentemente trovato da Goldston, Yildirim e Pintz faceva riferimento a una media via via crescente. Detto in altri termini, la differenza fra 2 e 70.000.000 è insignificante in confronto a quella fra 70 milioni e l'infinito. Adesso si tratta di aspettare che il rigoroso controllo della comunità dei matematici assicuri che nella dimostrazione proposta non si annidi ancora una volta qualche piccola ipotesi indimostrata. Un lavoro, questo, che più di una volta - come nel caso del teorema di Fermat o della congettura di Poincaré - ha richiesto mesi di lavoro a un gran numero di esperti. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Mag. ’13 LA BUSINESS INTELLIGENCE TAGLIA SPRECHI ED ERRORI Il Politecnico di Milano rileva che il 77% delle strutture ha investito in queste tecnologie Alessandro Longo Anche le aziende ospedaliere italiane cominciano a usare software di business intelligence per fare tesoro dei propri dati. E così non solo tagliare i costi ma anche migliorare le cure. Lo dice un rapporto, ancora inedito, degli Osservatori Ict del Politecnico di Milano. Ha investito in queste tecnologie il 77% delle strutture sanitarie, nel 2012, per un totale di 19 milioni di euro e per il 2013 è prevista una crescita del 3,7 per cento. È vero, sono piccole cifre, ma iniziano a emergere buone pratiche interessanti. «La business intelligence è uno dei modi più innovativi di usare la tecnologia in ambito clinico», conferma Mariano Corso, responsabile dell'Osservatorio Ict in Sanità. In sostanza sono software che, pescando nei dati archiviati nei sistemi informatici delle strutture ospedaliere o in Regione, aiutano i responsabili a prendere le decisioni giuste. Agiscono in due ambiti: finanziario-amministrativo o clinico. In Italia, la business intelligence è utilizzata quasi soltanto nel primo: i software analizzano i dati per rilevare sprechi, ritardi, inefficienze nei processi gestionali o nell'allocazione di risorse umane e finanziarie. Per esempio, analizzano lo stato delle sale operatorie, il livello di saturazione delle prenotazioni, la degenza media, i tempi di attesa. E poi suggeriscono ai direttori sanitari dove intervenire: come riallocare il personale, quali processi snellire e in che modo. Il Politecnico ha premiato l'Ospedale Meyer di Firenze, a maggio, per un sistema che, monitorando gli approvvigionamenti, ha consentito di identificare le sacche di inefficienza e di ridurre il consumo di farmaci e delle giacenze. Il secondo ambito di azione è più evoluto, ma in Italia è ancora agli inizi: la business intelligence che analizza i dati clinici per migliorare le cure ai pazienti. «All'estero è abbastanza comune. Un caso di eccellenza è il Karolinka Institutet di Stoccolma», aggiunge Luca Gastaldi, che si occupa di questi temi presso gli Osservatori Ict del Politecnico di Milano. Esempio: «L'ospedale ha gli esami radiologici in formato digitale e, con la business intelligence, li incrocia con le tomografie: per fare diagnosi più efficaci e individuare con più precisione alcune malattie. Funziona grazie a modelli matematici, che scovano correlazioni statistiche significative tra diversi dati», continua. La business intelligence può consigliare anche i farmaci più efficaci per quella patologia, in base a uno storico di casi simili. L'Ismett di Palermo è una delle poche strutture italiane che usa la tecnologia in questo modo evoluto, per la cura del cancro. Per ora però è solo una sperimentazione: in un solo reparto e non è integrata con altre soluzioni informatiche. «I principali ospedali milanesi, invece, usano queste tecnologie per controllare le inconsistenze nelle prescrizioni di farmaci», aggiunge Gastaldi. Per esempio, se sono incompatibili con altri farmaci prescritti al paziente o con le allergie riportate nella cartella clinica. È evidente che tutto questo è possibile solo con la diffusione delle cartelle cliniche elettroniche contenenti tutti i dati di un paziente. Secondo il Politecnico, queste consentirebbero alla Sanità italiana di risparmiare 1,37 miliardi di euro, riducendo i tempi delle attività mediche e infermieristiche. La normativa italiana (dopo il decreto Crescita 2.0 di ottobre 2012) solo consiglia di adottare le cartelle cliniche elettroniche, ma non le impone. «Però tutti gli ospedali medio- grandi saranno costretti a passare a queste tecnologie, per tagliare i costi senza compromettere la qualità dell'assistenza», prevede Gastaldi. ========================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Mag. ’13 ADDIO AL PROFESSOR GALANELLO, LO STUDIOSO DELLE MALATTIE RARE Era l'erede di Antonio Cao al Microcitemico. I talassemici: «Grave perdita» VEDI LA FOTO Aveva un sogno: «Vorrei sconfiggere la talassemia». Con la ricerca nella genetica molecolare era riuscito a imboccare la strada della speranza: «Troviamo la serratura», ripeteva, «poi potremo cercare la chiave per vincere la malattia». Un male se l'è portato via a 65 anni: Renzo Galanello lascia un segno indelebile nella storia della sanità sarda. Prima allievo e poi erede di Antonio Cao, se ne va neanche un anno dopo e un nuovo lutto pesantissimo colpisce l'Ospedale microcitemico. Nell'Isola da quasi quarant'anni (di origini umbre), ha scelto di combattere contro l'anemia mediterranea, «che toglie il sorriso a troppi bambini». SANITÀ SARDA IN LUTTO Direttore della clinica pediatrica e del day hospital del presidio di via Jenner, è autore di 170 pubblicazioni sulla talassemia, sui disturbi del metabolismo, sulle patologie ematologiche ereditarie. Tra i risultati raggiunti dopo anni di studi sulle terapie legate alla genetica spicca il riconoscimento del Microcitemico - da parte dell'Organizzazione mondiale della Sanità - come centro di controllo di riferimento delle malattie ereditarie in Italia. IL MONDO DELLA TALASSEMIA È immediato il commento dell'associazione Thalassa Azione, legata a filo doppio all'ospedale di via Jenner e all'attività del professor Galanello: «Desideriamo ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per noi. Ha raccolto la grande eredità e la sapienza del professor Antonio Cao». Il presidente della onlus Ivano Argiolas parla «di passione e dedizione profuse nella cura della talassemia» e si sofferma sulla «forza con cui ha sostenuto lo sviluppo di nuove terapie farmacologiche e genetiche per combattere la malattia». IL CORDOGLIO DELL'ASSESSORE «Con Renzo Galanello ci lascia un'altra personalità della nostra medicina». Sono le parole dell'assessore regionale alla Sanità Simona De Francisci: «È uno scienziato che ha dedicato la vita professionale allo studio e alla cura delle malattie rare, della microcitemia. Migliaia di pazienti sardi gli sono grati». Naturale l'accostamento col suo predecessore: «Oggi piangiamo un professionista di prima grandezza, il continuatore del mai dimenticato Antonio Cao». L'assessore si dice però «sicura» che il Microcitemico, «pur senza l'apporto dei due luminari, saprà proseguire nel suo percorso sanitario di alta specializzazione». IL RICORDO DELLA ASL La notizia della morte di Galanello è subito comparsa sull'homepage dell'Azienda sanitaria cagliaritana: «È morto un medico di assoluta eccellenza umana e professionale, un uomo che ha dedicato la vita alla ricerca per la prevenzione e la cura delle talassemie, delle patologie tipiche dell'età pediatrica e delle malattie genetiche». Toccante il commento dei colleghi: «Una grande perdita per la medicina sarda, lascia un vuoto incolmabile tra chi lo ha stimato, apprezzato e amato». (g. z.) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 Mag. ’13 AOUCA: CLINICA MACCIOTTA, TASK FORCE PER IL TRASLOCO Duecento persone per trasferire a Monserrato la terapia intensiva neonatale In giugno pediatria e neuropsichiatria al Microcitemico ristrutturato CAGLIARI Duecento persone in un sabato di fine maggio o dei primi di giugno garantiranno un trasferimento sicuro per i piccoli ospiti della clinica Macciotta diretti al blocco Q del policlinico di Monserrato. La terapia intensiva neonatale cambia casa, si affianca fisicamente all’ostetricia e l’operazione di trasferimento sarà assicurata da un esercito di vigili del fuoco, guardie municipali, polizia stradale, medici, infermieri, ambulanze. Poi c’è la novità del blocco R: sono arrivati i soldi per aggiungere un altro edificio al policlinico di Monserrato e quindi portare qui gli insegnamenti che finora non avevano trovato posto nella cittadella sanitaria dell’università.La facoltà di Medicina, insomma, avrà il suo ospedale a Monserrato e completerà il pacchetto dell’assistenza sanitaria ai cittadini aprendo anche un pronto soccorso. Il momento è importante, sia l’assessore regionale alla Sanità che il rettore hanno divulgato la loro personale soddisfazione per un punto d’arrivo (la costruzione del blocco Q è durata 15 anni) come il finanziamento dell’ultimo edificio necessario per il quale entro l’estate si programma l’appalto. Ma il rettore Giovanni Melis e il prorettore Alessandro Uccheddu hanno anche un’altra urgenza: il trasferimento della pediatria e della neuropsichiatra infantile oggi attive nella clinica Macciotta alMicrocitemico ristrutturato per diventare ospedale pediatrico generale. L’edificio della clinica Macciotta ha già pronto il suo destino: sarà un polo di servizi didattici. Il rettore spiega che ci saranno una serie di aule per dare ristoro al polo economico-giuridico di viale Fra Ignazio, aule e laboratori di informatica, la biblioteca storica dell’ateneo formata dai libri più antichi delle biblioteche di facoltà, così da liberare spazi per aggiornare i titoli. Qui all’ex Macciotta sarà la direzione per la ricerca e si avvierà un incubatore per le imprese. Il rettore ha annunciato che il progetto è quasi pronto e i finanziamenti (fondi Fas) già in cassa. Dal loro osservatorio, rettore e prorettore non vedono ostacoli alla felice conclusione del trasloco: entro giugno «l’Asl 8 ci ha assicurato che i lavori al Microcitemico saranno conclusi – sottolinea il professor Uccheddu – l’università vuole che si continui il lavoro dei professori purtroppo scomparsi Cao e Galanello, nel progetto del nuovo ospedale si è pensato a due unità che conservino l’identità attuale rappresentata dalle malattie rare del Microcitemico e dalla clinica pediatrica della Macciotta, tutti sullo stesso piano, con ottimizzazione delle risorse. La forma gestionale sarà il dipartimento interaziendale. In futuro, la Asl 8 deve creare i locali, si trasferirà qui anche la pediatria del Brotzu». (a.s.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Mag. ’13 AOUCA: MACCIOTTA VIGILI DEL FUOCO 120 MILA EURO AL MESE POLEMICHE SUL SERVIZIO ATTIVATO A METÀ APRILE VIGILI DEL FUOCO, UN PRESIDIO DA OLTRE 120 MILA EURO AL MESE Centosettantadue euro all'ora, centoventitremila euro al mese. È il costo del servizio tecnico di sicurezza che i Vigili del fuoco garantiscono dal 18 aprile all'esterno della clinica Macciotta. Un servizio richiesto dall'azienda mista e dall'assessorato regionale alla Sanità dopo che proprio un sopralluogo dei Vigili aveva certificato una situazione «molto critica» sul piano della sicurezza. È stato allora che l'assessorato regionale alla Sanità ha decretato una sorta di stato di emergenza concordando con l'Azienda ospedaliero-universitaria un piano di sicurezza e un cronoprogramma con tempi strettissimi per il trasferimento dei reparti della clinica in parte al blocco “Q” del policlinico universitario e in parte nel nuovo polo pediatrico del Microcitemico. POLEMICHE Ma il costo del presidio dei Vigili, per quanto necessario, suscita polemiche. Perché in tempi di crisi e di costi sanitari da contenere, spendere tra 250 e 400 mila euro (i tempi si stanno allungando e alcuni reparti che sarebbero dovuto essere trasferiti a fine aprile cambieranno sede entro metà giugno, altri probabilmente entro luglio) non sembra opportuno. «Quando abbiamo accertato la situazione di estrema criticità dell'edificio, che avrebbe messo in pericolo i neonati anche in caso di evacuazione, abbiamo prospettato due opzioni», spiega il comandante provinciale dei Vigili del fuoco Renato Cardia: «effettuare alcuni lavori urgenti o garantire un servizio tecnico di sicurezza. Azienda mista e assessorato hanno optato per la seconda ipotesi. Si tratta di un servizio che noi svolgiamo a pagamento », aggiunge Cardia, «e i costi sono stabiliti dal ministero. Abbiamo messo a disposizione un'autopompa con serbatoio e una “campagnola” e quattro squadre che si alternano per 24 ore al giorno. Il costo per le casse pubbliche? Da cittadino mi rendo conto che sia elevato», evidenzia Cardia, «ma senza il nostro servizio avrebbero dovuto obbligatoriamente e immediatamente fare lavori di adeguamento alla sicurezza. In ogni caso», conclude Cardia, «stiamo contestualmente collaborando per abbreviare i tempi di apertura del blocco “Q”». ULTIMATUM O NO? Intanto è polemica su una lettera inviata dalla Regione all'azienda mista che avvia il procedimento amministrativo di revoca dell'accreditamento della clinica pediatrica e dà 15 giorni (più 30) per comunicare le misure di sicurezza sostitutive rispetto a quelle previste dalla legge per garantire la sicurezza dei piccoli pazienti. Un atto dovuto, secondo l'assessorato. Fabio Manca _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 Mag. ’13 AOUCA: FINANZIATO IL NUOVO BLOCCO R DEL POLICLINICO Finanziato un nuovo blocco del Policlinico, bandito un concorso di idee Macciotta, tempi rispettati per il trasferimento Procede l'iter per il trasferimento di alcuni reparti dalla clinica Macciotta (in particolare quello di Terapia intensiva neonatale) al “Blocco Q” del Policlinico di Monserrato. Nei giorni scorsi l'assessore regionale della Sanità Simona De Francisci ha fatto un nuovo sopralluogo e l'impresa ha assicurato che consegnerà i lavori entro maggio. Subito dopo saranno avviati i necessari collaudi, considerato che la struttura ospiterà piccoli pazienti. Al momento è prematuro parlare di date certe per il trasferimento anche se l'ipotesi è che entro metà giugno possa essere completato. Intanto il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha assegnato all'Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari i fondi per la realizzazione nel campus di Monserrato di un nuovo blocco, che sarà chiamato “R”. Per acquisire le idee progettuali, d'intesa con l'Università di Cagliari proprietaria delle aree, è stato deciso di bandire un concorso di idee. Il bando sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale nei prossimi giorni. «Il concorso» spiega il direttore generale dell'Aou, Ennio Filigheddu, «è finalizzato all'acquisizione di una pluralità di proposte per la realizzazione di un nuovo complesso ospedaliero che dovrà accogliere le strutture universitarie ancora ospitate in diverse strutture cittadine, come ad esempio Urologia e Ortopedia. La proposta ideativa dovrà riferirsi a un importo totale massimo di 30 milioni di euro, in un unico lotto». Il Rettore dell'Università Giovanni Melis esprime «soddisfazione per l'avanzamento dei lavori, che consentiranno di procedere nella direzione intrapresa rendendo disponibili importanti locali nel centro storico di Cagliari, la cui ristrutturazione consentirà di migliorare la logistica per le altre facoltà e dipartimenti». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Mag. ’13 ASL8: TRAPIANTI DI MIDOLLO, NUOVO CENTRO BINAGHI. Inaugurati ieri gli spazi. «Ospiteremo pazienti da tutto il mondo» «Un'eccellenza della sanità sarda» Negli anni è diventato un centro che ospita pazienti da tutto il mondo: Irlanda, Cipro, Albania, Arabia Saudita, Libano, Siria. Ma anche tanti italiani, sardi e cagliaritani su tutti. Dal 2000 il centro trapianti midollo osseo del Binaghi è un'eccellenza della sanità sarda, riconosciuta a livello internazionale. Da oggi lo sarà ancora di più, visto che ci sono nuovi spazi a disposizione, inaugurati ieri al primo piano del corpo staccato della struttura di via Is Guadazzonis. I NUMERI Quattro camere sterili, tre semi-sterili, 8 posti di degenza tradizionale e 12 letti per il day hospital. Senza contare l'attività ambulatoriale per i pazienti seguiti dopo la dimissione o per quelli che vi accedono tramite il Cup. «Abbiamo iniziato nel 2000, allora era più che altro un centro a vocazione trapiantologica - spiega Giorgio La Nasa, responsabile della struttura - Dal 2007 è diventato anche sede della cattedra di Ematologia, quindi è frequentato da studenti e specializzandi della materia». Oggi all'interno operano tra gli altri 13 dirigenti, una coordinatrice infermieristica con 21 infermieri, 3 operatori di supporto, 3 tecnici da laboratorio. I PAZIENTI Nel centro vengono seguiti attualmente 105 pazienti affetti da linfoma di Hogkin, dal 2000 a oggi sono stati eseguiti 338 trapianti di cellule staminali ematopoietiche. Solo l'anno scorso 212 ricoveri ordinari, 5.499 in day hospital, 5.475 visite ambulatoriali. Numeri importanti: «Avevamo necessità che questa struttura si espandesse ulteriormente - spiega Emilio Simeone, direttore generale della Asl 8 - Abbiamo cercato di potenziare la parte ambulatoriale. Questi centri costano, stiamo parlando di una Sanità di grosso valore e pregio, pesa economicamente sul sistema. Ma guai a pensare che non vada sostenuta». In particolare, per i nuovi spazi sono stati spesi 260 mila euro. STAMINALI Un vero e proprio centro di eccellenza internazionale quello di via Is Guadazzonis, dunque. «Sull'attività con cellule staminali esistono tanti studi sperimentali e clinici che ci dicono che la terapia funziona - ha proseguito La Nasa - ma servono anni di verifica medica perché una sperimentazione si possa validare, altrimenti si finisce con dare false illusioni e speranze ai pazienti. Sarà sicuramente la terapia del futuro e delle prossime generazioni, si stima che almeno 10 milioni di persone potranno beneficiare di questo nuovo strumento terapeutico». PNEUMOLOGIA Simeone ha anche fornito chiarimenti sullo spostamento di alcuni spazi di Pneumologia dal Binaghi al Santissima trinità: «Una parte è già operativa a Is Mirrionis - ha spiegato - il resto entrerà in funzione a partire dalla prossima settimana». Piercarlo Cicero _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Mag. ’13 SARAS: ALLARME EMISSIONI, INTERROGAZIONE DEL M5S Dopo la causa civile avviata da Liliana Mura e da suo figlio Carlo Romanino per i danni che avrebbe subito l'azienda di famiglia (10mila metri quadri di terreno in località Leonaxi, Sarroch) a poche centinaia di metri dalla raffineria della Saras (le emissioni avrebbero contaminato le produzioni agricole dell'azienda agricola), il senatore del M5S Roberto Cotti ha presentato ieri un'interrogazione parlamentare. «Le risultanze del recente studio epidemiologico sui bambini di Sarroch pubblicato sulla rivista di epidemiologia Mutagenesis dell'università di Oxford - ha dichiarato Roberto Cotti - così come le evidenze scientifiche pregresse che hanno lanciato l'allarme sui rischi per la salute delle popolazioni, per l'ambiente e le attività agricole, non possono più rimanere senza risposta». Per il senatore Cotti «occorre avviare subito le necessarie indagini per accertare senza ombra di dubbio la sussistenza di un nesso causa-effetto sulla salute delle popolazioni e sulla contaminazione del territorio rispetto alla presenza del polo industriale di Sarroch». _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 Mag. ’13 SARAS: ALTERAZIONI DEL DNA, ALLARME PER I BAMBINI NELL’AREA DI SARROCH Studio di otto specialisti pubblicato su “Mutagenesis” La ricerca è stata acquisita dalla Procura di Cagliari di Mauro Lissia CAGLIARI La Procura ha in mano un documento che potrebbe aprire una fase nuova nell’inchiesta sullo stato ambientale della costa orientale tra Cagliari, Pula e Teulada: è uno studio epidemiologico condotto da otto ricercatori di fama internazionale su 75 bambini di Sarroch. Dimostra come i piccoli che abitano vicino al polo industriale e sono esposti agli effetti sull’atmosfera delle guerre simulate condotte ogni anno al poligono interforze «presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del Dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna». Al di là dei dati, che possono essere valutati solo dagli scienziati del settore, allarma una delle affermazioni conclusive dello studio: «I nostri risultati - scrivono i ricercatori - sono in linea con quelli ottenuti da altri studi simili come quelli compiuti alla centrale termica di Taichung in Taiwan e a Pancevo, dove si trova il più grande polo petrolchimico della Serbia». Due siti che gli epidemiologi di tutto il mondo indicano come aree a forte rischio di neoplasie e di altri mali provocati dall’inquinamento atmosferico. Stavolta non si tratta di un’indagine isolata e priva di certificazioni scientifiche: a pubblicarla è “Mutagenesis”, una prestigiosa rivista di epidemiologia edita dall’università di Oxford. I ricercatori sono autorità assolute nel campo come Marco Peluso, Armelle Munnia, Marcello Ceppi, Roger W. Giese, Dolores Catelan, Franca Rusconi, Roger W.L. Godschalk e Annibale Biggeri. Lo studio - pubblicato il 27 febbraio 2013 - illustra in sette cartelle fitte di dati il metodo seguito per giungere alle conclusioni clamorose oggi all’attenzione del pm Emanuele Secci, che conduce da circa tre anni l’inchiesta giudiziaria sull’area industriale di Sarroch, ora estesa fino al poligono di Teulada. Scrivono i ricercatori: «La qualità dell'aria rappresenta una questione ambientale di importanza primaria nelle aree industrializzate, con potenziali effetti sulla salute dei bambini residenti nelle aree circostanti. La zona industriale di Sarroch, in provincia di Cagliari, ospita la più grande centrale elettrica del mondo e la seconda più grande raffineria di petrolio e parco petrolchimico d'Europa. Il sito industriale produce una complessa miscela di inquinanti atmosferici che comprendono benzene, metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici». «A tal proposito - è scritto ancora su Mutagenesis - abbiamo condotto uno studio trasversale per valutare l'entità della diffusione di malondialdeide-deossiguanosina nell'epitelio nasale di un campione composto da 75 bambini di età compresa tra i sei e quattordici anni frequentanti le scuole elementari e medie di Sarroch, mettendoli a confronto con un campione di 73 bambini delle zone rurali. Inoltre, sono stati analizzati i livelli di alterazioni consistenti del Dna in uno studio composto da un sottocampione di 62 bambini». Prosegue la relazione: «Sono state rilevate le concentrazioni di benzene ed etil- benzene nell'aria dei giardini della scuola di Sarroch e in villaggio rurale attraverso campioni diffusivi. Le misurazioni esterne sono state effettuate anche in altre aree di Sarroch e in prossimità del sito industriale. I livelli esterni di benzene e di etil-benzene sono risultati significativamente più alti nei giardini della scuola di Sarroch rispetto al villaggio rurale. Elevate concentrazioni sono state inoltre rilevate nelle vicinanze del polo industriale». «Sia i livelli medi di malondialdeide-deossiguanosina, sia i livelli di alterazioni del Dna - è scritto nello studio - sono risultati significativamente più elevati nei bambini delle scuole di Sarroch rispetto al campione di confronto». Le conclusioni non sembrano lasciare spazio ai dubbi: «Il nostro studio - scrivono gli otto ricercatori - dimostra che i bambini residenti in prossimità del polo industriale di Sarroch presentano incrementi significativi di danni e alterazioni del dna» rispetto agli standard di riferimento. Infine: «I nostri risultati - è scritto - sono in linea con quelli ottenuti da altri studi simili come quelli effettuati nella centrale termica di Taichung in Taiwan e a Pancevo (nota come la città dei tumori, ndr). Essi riportano un incremento dei livelli del fenomeno di stress ossidativo», ovvero la condizione patologica causata dalla rottura dell'equilibrio fisiologico in un organismo vivente, fra la produzione e l'eliminazione, da parte dei sistemi di difesa antiossidanti, di specie chimiche ossidanti. Lo studio, firmato anche dal fiorentino Biggeri, che già in passato si è occupato a lungo dell’area di Sarroch, è destinato ad arricchire i risultati ottenuti finora dall’Università di Cagliari, incaricata dalla Procura di indagare le condizioni delle acque nella costa orientale e di recente dell’atmosfera: nel corso della prima fase è stata accertata una concentrazione anomala di derivati degli idrocarburi nei mitili e negli organismi filtratori. È ancora lontano dalla conclusione lo studio sulle condizioni dell’atmosfera. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 Mag. ’13 SARAS: I BAMBINI AVVELENATI NELL’ISOLA CONTAMINATA di STEFANO DELIPERI Da Sarroch a Porto Torres i dati sugli effetti prodotti dalle attività industriali disegnano un quadro che rende colpevole ogni silenzio o reticenza Nell'immaginario collettivo dei continentali, la Sardegna è l'isola del sole, del mare e delle vacanze, dove si respira aria buona e ricca di iodio. Magari i trasporti sono costosi e difficili, ma è un paradiso. Forse non è proprio tutto così. Avvengono cose che altrove avrebbero determinato quasi certamente reazioni ben più determinate. Qui il silenzio di quasi tutti. I 75 bambini delle scuole elementari e medie di Sarroch costituenti il campione della ricerca «presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna» (Burcei, in Provincia di Cagliari). Questo è uno dei passaggi fondamentali della ricerca svolta da otto ricercatori di assoluta fama internazionale (Marco Peluso, Armelle Munnia, Marcello Ceppi, Roger W. Giese, Dolores Catelan, Franca Rusconi, Roger W.L. Godschalk e Annibale Biggeri) e pubblicata recentemente sulla prestigiosa rivista internazionale di epidemiologia dell’Università di Oxford "Mutagenesis". Risultati altamente preoccupanti (per non dire altro) «in linea con quelli ottenuti da altri studi simili, come quelli compiuti alla centrale termica di Taichung in Taiwan e a Pancevo, dove si trova il più grande polo petrolchimico della Serbia», due fra i siti più conosciuti dagli epidemiologi quali luoghi a rischio di neoplasie e altre malattie provocate dall'inquinamento atmosferico. Non è una novità, purtroppo. Nel 2008 L'Università di Cagliari (Dipartimento di sanità pubblica, Sezione Medicina del lavoro) nel corso di una ricerca (Plinio Carta, Costantino Flore) affermò chiaramente la sussistenza di deficit cognitivi in un campione di bambini di Portoscuso, dovuto a valori di piombo nel sangue superiori a 10 milligrammi per decilitro. La letteratura medica indica un'associazione inversa statisticamente significativa tra concentrazione di piombo ematico e riduzione di quoziente intellettivo, corrispondente a 1.29 punti di QI totale per ogni aumento di 1 µg/dl di piomboemia. Qualche reazione almeno «vivace»? Neanche per sbaglio. Ma che società è quella che permette silente l'avvelenamento dei propri bambini? Rispetto ai deficit cognitivi e alle alterazioni del d.n.a. infantili è quasi un «sollievo» la semplice maggiore incidenza di tumori, leucemie e mortalità degli adulti determinati dall'inquinamento industriale. Per esempio, a Porto Torres, fra i lavoratori dell'area industriale, «sia per gli uomini sia per le donne sono presenti eccessi per il tumore del fegato … e la leucemia mieloide», mentre nella popolazione residente dei Comuni interessati dall'area industriale «sono stati osservati eccessi di mortalità per tutte le cause, le malattie dell'apparato digerente, i tumori maligni e il tumore del fegato», inoltre «si trovano eccessi significativi per tumore del fegato, tumore polmonare e tumore della prostata». Infine, dal Registro tumori sassarese, si riscontrano «sia negli uomini sia nelle donne, aumenti per tutti i tumori maligni e tumore del colon, fegato e polmone" (Rapporto S.E.N.T.I.E.R.I. - studio epidemiologico, Ministero della salute, aree industriali di Porto Torres, 2012). Non è un caso che in Sardegna vi sia la maggiore estensione nazionale di siti contaminati: complessivamente 447.144 ettari rientrano nei due siti di interesse nazionale (S.I.N.) per le bonifiche ambientali del Sulcis-Iglesiente- Guspinese (D.M. n. 468/2001) e di Sassari-Porto Torres (L.n. 179/2002). Recentemente (31 gennaio 2013) è stato riclassificato quale sito di interesse regionale (S.I.R.) l'Arcipelago della Maddalena (O.P.C.M. 19 novembre 2008). Evitiamo una volta tanto vittimismo e ignavia, è necessario realizzare bonifiche ambientali, riconversioni economico- sociali e anche almeno un po' di giustizia. Con un impegno in prima persona. Gruppo d'intervento giuridico _____________________________________________________________ Sanità News 16 Mag. ’13 IN ARRIVO NUOVE PROCEDURE PER GLI ATTESTATI DI MALATTIA Entra in vigore dal 4 giugno 2013 la nuova procedura per la consultazione online degli attestati di malattia dei dipendenti, da parte di aziende e lavoratori. Con il Messaggio n.7485, l’INPS annuncia infatti un nuovo formato per l’invio telematico dei certificati al SAC, il sistema di accoglienza centrale. Gli attestati di malattia inviati dall’INPS ai datori di lavoro tramite posta elettronica certificata o scaricabili tramite l’apposito servizio di consultazione, accessibile con PIN, potrebbero dunque richiedere un adeguamanto tecnico laddove le aziende avessero realizzato sistemi automatici per la trattazione di questi file XML. Le novità interessano dunque sia il medico che invia i certificati sia il datore di lavoro che li consulta. Le modifiche tecniche riguardano nello specifico lo schema di validazione XSD (XML Schema Definition), necessario per la descrizione del contenuto dei file XML: i datori di lavoro che utilizzano sistemi automatici per la trattazione dei suddetti file, dovranno quindi apportare i necessari adeguamenti. Tutte le relative specifiche sono contenute nell’allegato 2 . Servizi per la comunicazione di inizio ricovero: consente alla struttura sanitaria, attraverso l’inserimento del codice fiscale del lavoratore, di acquisire le informazioni relative al lavoratore e trasmettere al SAC la comunicazione di inizio ricovero. L’operatore riceve conferma dell’accettazione e l’assegnazione da parte dell’INPS del numero di protocollo univoco della comunicazione di inizio ricovero (PUCIR). Può, su richiesta del lavoratore, stampare la comunicazione di inizio ricovero, che comunque viene messa a disposizione del dipendente e dell’azienda con le stesse modalità del certificato di malattia telematico. Invio di un certificato di malattia in sede di dimissione: il servizio consente almedico ospedaliero di richiamare la comunicazione di inizio ricovero, attraverso il PUCIR, recuperato dal software gestionale della struttura sanitaria, e il codice fiscale del lavoratore, e di certificare diagnosi ed eventuale prognosi per la convalescenza. Dopo la ricezione, tramite SAC, dell’accettazione dell’invio e l’assegnazione da parte dell’INPS del numero di protocollo univoco del certificato (PUC), si possono stampare copia cartacea del certificato di malattia telematico e dell’attestato di malattia daconsegnare al lavoratore _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Mag. ’13 L'ORO NERO DEL «FARMA-TRAFFICO» Il business dei farmaci falsi rappresenta oltre il 10% del mercato e uccide un milione di persone l'anno. A Tours il centro d'eccellenza contro le pillole illegali Francesca Cerati Non lontano da Shanghai, nella provincia di Zhejiang, le autorità hanno scoperto che gli operatori ospedalieri conservavano le scatole dei farmaci, tra cui quelli di fascia alta, per rivenderle ai contraffattori. All'Ospedale di Bamako, in Mali, dove circolano sempre più medicinali contenenti impurità, sono aumentati i pazienti che hanno bisogno di dialisi, con conseguenze terribili viste le scarsissime risorse a disposizione. Sono due facce dello stesso problema, quello della contraffazione dei farmaci, che, dati Oms, uccide da 500mila a un milione di persone all'anno. E se pensiamo che il fenomeno interessi soprattutto i Paesi in via sviluppo, con internet nessuno è al sicuro: oltre il 50% dei farmaci venduti in rete risulta contraffatto e, l'anno scorso, sono stati sequestrati 3,75 milioni di farmaci pericolosi per un valore complessivo di 10,5 milioni di dollari. E a differenza di qualche anno fa, quando la contraffazione si concentrava su medicinali "lifestyle", come le pillole dimagranti, gli steroidi o il Viagra, ora comprendono anche i salvavita: antitumorali, antipertensivi, antibiotici, anche in forma iniettabile. Del resto il mercato dei farmaci "fake" garantisce profitti elevatissimi – superiori addirittura ai proventi del narcotraffico – a fronte di un minimo rischio, cioè quello di violare le norme sulla proprietà intellettuale. Il calcolo è presto fatto: il criminale che investe mille dollari in eroina ne guadagna 20mila, se lo investe nei farmaci contraffatti, l'introito è di 400mila dollari. La Fda statunitense ha valutato che la contraffazione di farmaci rappresenta più del 10% del mercato farmaceutico mondiale (che è stato nel 2012 pari a 963 miliardi di dollari, dato Ims, maggio 2013). Per arginare il fenomeno, ormai fuori controllo, serve inasprire le pene o applicare strumenti giuridici che in parte già esistono. Ma al momento chi produce un farmaco falso incorre in una truffa al pari di chi tarocca una borsa. E nonostante l'Oms snoccioli dati allarmanti, sta ancora disquisendo sulla differenza tra farmaci non in regola e falsificati, definizione che sta rallentando la lotta a questo mercato illegale. Che quindi prospera e si specializza. Finora soltanto il Consiglio d'Europa ha adottato nel 2011 una convenzione per combattere il farmatraffico, con Medcrime, il testo non vincolante è stato firmato da 22 paesi, tra cui l'Italia. Quello che invece sta avendo un impatto significativo nella lotta ai fake drugs è la tecnologia messa in campo dai centri di ricerca e dalle aziende farmaceutiche che, per responsabilità sociale, si sono attivati fornendo strumenti per identificare i falsi. La Fda, per esempio, sta testando un dispositivo portatile per la rilevazione dei farmaci contraffatti in Ghana, per poi allargarlo al resto dell'Africa e nel Sudest asiatico. Tra le Big Pharma, in prima linea c'è il Gruppo Sanofi, che ha anche istituito la Prima giornata mondiale anti-contraffazione, che si ripete quest'anno il 27 giugno per sensibilizzare sul tema. Ma la multinazionale francese è stata anche la prima ad aprire un laboratorio ad hoc cinque anni fa, che a oggi ha analizzato 20mila prodotti, ed è diventato punto di riferimento per i funzionari della sanità, della polizia e delle dogane. «Che il mercato della farma-contraffazione si sia intensificato in poco tempo, lo verifichiamo costantemente nel nostro laboratorio – racconta Caroline Atlani, che ne è direttore –. In 5 anni abbiamo più che raddoppiato il numero dei dipendenti ed elevato il livello di protezione dei nostri prodotti. In più, abbiamo creato un team di coordinamento centralizzato composto da esperti di varie aree, compresi specialisti di cyber-crimini, in network con tutti i nostri siti nel mondo». Il laboratorio francese di 400 mq si trova nel sito produttivo Sanofi di Tours ed è dotato di tecnologia all'avanguardia, come il visioscan, che ha uno schermo capace di evidenziare anche il più piccolo dettaglio. Ma senza la competenza l'impresa è ardua. L'addetto ci mostra infatti come la scritta sulla confezione sia praticamente identica all'originale, a smascherare il falso è solo un impercettibile distacco tra una lettera e l'altra. Impossibile notarla. «Anche la produzione di medicinali falsi deve avere conoscenze di chimica e dotarsi di tecnologia, al pari dei falsari di banconote» fa notare Atlani –. Ora però abbiamo sviluppato una specifica etichetta, nota come Sasl, che contiene elementi visibili e invisibili (noti solo a noi) a garanzia dell'autenticità del farmaco». L'analisi analitica dei principi attivi viene gestita dalla spettrometria, in grado di scovare le minime tracce di sostanze. Il Gruppo ha poi dotato i farmaci di un sistema di identificazione Data Matrix, un codice a barre bidimensionale stampato su ogni confezione che consente la tracciabilità e permette l'individuazione automatica dei falsi. «In tutte le nostre sedi – spiega Bernard Frahi, vice-presidente Corporate economic security – un network di coordinatori condivide le informazioni e in caso di sospetta contraffazione si invia un report al team centrale e un campione al laboratorio. Una volta avuta la conferma che si tratta di un falso vengono informati tutti i servizi coinvolti e si avvia un'azione investigativa e legale, ma soprattutto di tutela della salute pubblica». Un impegno quello di Sanofi che andrebbe esteso e condiviso, perché a essere a rischio è la salute di tutti i pazienti nel mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA 1 su 10 è il rapporto sulla vendita dei farmaci falsi nel mondo. In alcuni paesi arriva a 7 su 10 75 mld di dollari è il ricavo dei farmaci contraffatti nel 2010, più dei proventi del narcotraffico 3, 75 mln di farmaci fake sequestrati nei siti online illegali (2012), pari a 10,5 milioni di dollari _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Mag. ’13 SPERIMENTAZIONI E PRINCIPI ETICI di ADRIANA BAZZI La Dichiarazione di Helsinki compie, nel 2014, cinquant'anni. Adottata dall'Assemblea Generale della World Medical Association (Wma) nel 1964 ha fissato, per la prima volta nella storia, una serie di principi etici per i ricercatori coinvolti in sperimentazioni sull'uomo, facendo propri alcuni concetti già presenti nel Codice di Norimberga, nato dal processo contro i medici nazisti. Nella sua prima versione, la dichiarazione era composta da 11 articoli e 713 parole ed era unica. Oggi contiene 35 articoli e 2.045 parole e, nel frattempo, sono proliferati documenti, linee guida, leggi e regolamenti che vogliono mettere ordine nella ricerca biomedica sull'uomo. Ed è questo il punto. In quasi cinquant'anni la Dichiarazione di Helsinki ha subito alcune revisioni e ora la Wma sta studiando l'ottava: via via sono stati modificati alcuni principi del documento originale, soprattutto per quanto riguarda il consenso informato del paziente alla sperimentazione, l'uso del placebo o la ricerca nei Paesi in via di sviluppo. Certo, questi aggiornamenti hanno voluto tener conto dei cambiamenti avvenuti in campo sociale, economico e scientifico, ma non tutti sono d'accordo con le modifiche. L'Fda, l'ente americano di controllo sanitario, riconosce solo la terza versione, la Commissione Europea fa riferimento alla quarta, l'Organizzazione Mondiale dellaSanità accetta, invece, tutte le direttive della Dichiarazione di Helsinki. L'anniversario dell'anno prossimo potrebbe allora diventare un'occasione per decidere qual è il vero significato futuro di questo documento. Deve stare al passo con i tempi oppure deve ritrovare il suo spirito originario e concentrarsi su alcuni principi etici universali cui tutto il resto si deve adeguare? La seconda ipotesi (che vorrebbe un documento paragonabile al Giuramento di Ippocrate, valido dopo duemila anni, anche se rivisitato) è forse più interessante in un momento di grande confusione dove i conflitti d'interesse sono all'ordine del giorno, la trasparenza dei risultati scientifici non è sempre garantita e molte sperimentazioni sono condotte in Paesi dove le regole etiche sono facilmente disattese. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 Mag. ’13 VERONESI: RESPONSABILITÀ, IL SEGRETO DELLA VITA Reale: «L'uomo è creato da Dio». Veronesi: «Ciascuno dispone di se stesso» di ARMANDO TORNO di GIOVANNI REALEdi UMBERTO VERONESI Lo Stato non può togliere all'individuo la libertà di morire secondo natura e non può imporre il prolungamento artificiale della vita. Né può levargli in modo violento la libertà: questo sarebbe pensabile soltanto in un regime assolutistico. Non soltanto simili imposizioni sono da considerare antiliberali, ma anche e soprattutto antiumane. Abbiamo cercato di riassumere un concetto che Giovanni Reale e Umberto Veronesi condividono nel libro che hanno scritto insieme e che uscirà mercoledì, Responsabilità della vita. Nove densi capitoli e un'appendice dove il filosofo e lo scienziato discutono tra l'altro del significato di vita e morte, di quel grande mistero che continua a essere la salute, del medico o delle cure («curare l'anima per curare il corpo»), del caso Welby o di Eluana Englaro. Con l'importanza morale e sociale che hanno avuto e continuano ad avere. Potremmo aggiungere che il pensiero condiviso da Reale e Veronesi collima con quanto sosteneva ne Il sistema tecnico (tradotto da Jaca Book) Jacques Ellul. Lo studioso francese metteva in evidenza quel che governa alcuni momenti topici della vita: «Non è praticamente mai il paziente a essere chiamato a decidere. È il tecnico. La Tecnica aumenta la libertà del tecnico, ossia il suo potere, la sua potenza. Ed è a questa crescita di potenza che viene sempre ricondotta la sedicente libertà dovuta alla Tecnica... Essa permette di modificare, di deviare, di respingere il processo naturale (che ad esempio porterebbe alla morte), è evidente che la decisione dell'uomo si sostituisce alla "decisione" della "Natura". Ma questa decisione non è quella dell'uomo interessato dal fenomeno, è quella dell'uomo detentore della Tecnica. Potere dell'uomo sull'uomo». Il prolungamento artificiale, se volessimo arrivare a una prima conclusione, significa negare all'uomo uno dei momenti più sacri della vita, giacché la morte è l'esatto contrario della nascita. Il libro è una riflessione senza infingimenti sul vivere e sul morire, sul significato delle cure, sul ruolo che ha la tecnica in questa materia che è parte dell'uomo. Al di là delle considerazioni degli autori e di quelle di Ellul, va aggiunto che viviamo in un tempo in cui i confini della vita e della morte si sono spostati rispetto al passato. Reale, per esempio, dopo aver ribadito che «la tecnica non va divinizzata», chiama «caco-tanasia» ciò che «lo Stato minaccia di imporre», ovvero un accanimento terapeutico sui moribondi che non può certo recare una fine «felice»: la considera soltanto un prolungamento dell'agonia. E in tal caso la tecnologia, anziché offrire una porzione di paradiso sulla terra, realizza l'inferno. Veronesi in questo «confronto tra un credente e un non credente» sottolinea che la scienza si differenzia essenzialmente dalla tecnica. Quest'ultima è «semplicemente uno strumento della scienza» e «risponde solo al mercato»; in altre parole, la scienza «è un sistema di pensiero», mentre «la tecnologia mira a un obiettivo di applicabilità, e non si pone problemi etici». Ricorre poi all'efficace distinzione di Umberto Galimberti: «La scienza mira a conoscere tutto ciò che si può conoscere per migliorare la condizione umana, mentre la tecnica mira a fare tutto ciò che si può fare in un orizzonte privo di finalità». È un confronto serrato, continuo. Il medico e il filosofo un tempo erano la medesima persona, in questo libro ritornano in mille occasioni a esserlo. Confessa Veronesi: «Ho imparato più in cinquant'anni di professione che il medico dovrebbe pensare più spesso che il suo compito non è soltanto quello di curare una malattia, ma quello di "comporre le dissonanze" e riportare ordine nel caos che essa crea a livello individuale». Da parte sua Reale ricorda che l'uomo moderno ha perso quelli che nella tradizione erano considerati, in modo emblematico, i momenti sacrali: il matrimonio, la nascita, la morte. Lo smarrimento del senso della morte, il non riconoscerne la natura, è l'uguale e contraria confusione che si è diffusa sul senso della vita. C'è comunque, e non poteva non esserci, un disaccordo tra i due: riguarda l'eutanasia. Per Reale nel momento finale l'uomo va aiutato a lenire i dolori del trapasso ma non accetta che si interrompa la vita con strumenti o con farmaci in modo aggressivo e violento. Ciò non toglie che chi desiderasse accettare gli accorgimenti che la tecnologia è capace di mettere in atto, deve essere libero di farlo; ma allo stesso modo sia libero di respingerli colui che li rifiuta. Reale è un cattolico convinto; ribadisce: la natura l'ha creata Dio, la tecnologia l'uomo. Veronesi va oltre e sostiene che ogni individuo ha diritto di disporre della propria vita. Scrive, tra l'altro, che se un uomo «non vuole andare oltre in un dolore insopportabile, la medicina deve trovare il coraggio di anticipare la morte, scelta e agognata, e nessuno dovrebbe ergersi al ruolo di guardiano di una vita torturata e rifiutata come un incubo peggiore della morte». In margine è il caso di evidenziare che il termine «eutanasia» ricopre ormai un'area semantica molto ampia. Occorre distinguere i vari significati che include. Lo staccare la spina, per Reale, non rientra in essa: è semplicemente non essere vittima di un inferno che non è la natura. Sia Reale che Veronesi invitano a meditare a fondo su un argomento che potrebbe portare, senza particolari problemi, a un abbraccio tra chi crede e chi no. _____________________________________________________________ MF 15 Mag. ’13 IEO: UN NUOVO MODELLO DI SANITÀ Istituto Europeo di Oncologia fondato da Veronesi ha raccolto 4,7 mln nel 2011. Nel 2012 inaugurato nuovo centro di radioterapia DI FRANCO CANEVESIO Nato nel 1994 da un'idea di Umberto Veronesi e inaugurato nel maggio dello stesso anno, lo Ieo, Istituto europeo di oncologia di Milano è un ente di diritto privato senza fini di lucro che eroga prestazioni anche in convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Lo leo vanta azionisti del calibro di Medio- banca, Unicredit, e Unipol. Tutti, specifica Barbara Cossetto, direttore comunicazione e marketing di leo, «hanno investito e investono nella struttura». Padre nobile e direttore scientifico dell'istituto è il professor Umberto Veronesi, che quest' anno ci ha messo la faccia pur di apparire nella campagna a sostegno del 5xmille a favore della struttura. Se allo Ieo si fa «tutto ciò che è oncologia», al Centro cardiologico Monzino, nato nel 1981 e oggi di proprietà dello Ieo, sí fa «tutto quanto è cura cardiovascolare». Frutto di una donazione del cavaliere del lavoro Italo Monzino, ancora oggi il Centro è l'unico esempio di istituto cardiologico monotematico di ricerca e di cura in Europa. Ieo e Monzino utilizzano in modo autonomo e in sinergia tutte le risorse di cui dispongono al servizio della ricerca e della cura nei rispettivi settori di attività oncologica e cardiovascolare. «Il 5xmille nel 2011 ha fruttato 4,7 milioni di euro allo Ieo e 645 mila euro al Monzino, soldi che vengono reimpiegati tutti nella ricerca». Un settore fondamentale per il gruppo che vi investe circa 40 milioni di euro ogni anno. In questo senso, essendo indirizzati esclusivamente alla ricerca, la legge consente anche a un istituto come il Monzino, che è a fine di lucro, di partecipare alla raccolta del 5xmille, i cui proventi sono off limits per gli enti finalizzati a produrre utili. Anche per questo lo Ieo rappresenta in Italia un modello nuovo di sanità, fatto soprattutto di ricerca avanzata, in questo caso nell'oncologia. Il personale proviene da diversi Paesi del mondo, perché, sostengono all'istituto, «l'abbattimento dei confini geografici è il cuore della ricerca e della cura, all'insegna dell'integrazione e dell'eccellenza». Non a caso lo leo è diventato, con decreto rninisteriale del gennaio 1996, un Irccs, un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, cioè un ospedale di eccellenza nel quale vengono svolte attività di ricerca clinica insieme a quelli di gestione dei servizi sanitari, uno dei 45 presenti sul territorio italiano. L' anno scorso, proprio attraverso l'integrazione tra tecnologia avanzata e ricerca, lo Ieo ha inaugurato il nuovo centro Arc di radioterapia avanzata, nato per combattere il tumore alla prostata in cinque giorni: riunisce le più moderne apparecchiature per i trattamenti radioterapici dí alta precisione in campo oncologico come l'Image guided radiotherapy, la stereo- tassi cranica ed extracranica, la radioterapia conformazionale tridimensionale, la radioterapia intraoperatoria e la brachiterapia. (riproduzione riservata) _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Mag. ’13 IN «FUGA» PER GARANTIRSI UNA SANITÀ MIGLIORE Sono più di 800 mila gli italiani che si spostano ogni anno da una regione all'altra nella speranza di ricevere cure migliori o più tempestive. Lo dicono i dati del Ministero della Salute e dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). I pazienti si muovono dal Sud verso il Nord, ma anche tra regioni vicine. «La mobilità sanitaria in circa il 70% dei casi è di confine — afferma infatti Paolo Di Loreto, coordinatore del gruppo dedicato a questo tema nella Commissione salute della Conferenza delle Regioni —. Per esempio, per un cittadino veneto che abita ai confini con l'Emilia Romagna può essere più comodo ricoverarsi in un ospedale emiliano piuttosto che in una struttura della sua regione ma distante parecchi chilometri. Da alcune regioni del Sud, poi, molti vanno a curarsi in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana». In base ai dati del Ministero della Salute, il Censis ha elaborato "indici di fuga" e di "attrazione" per ciascuna regione. «La nostra analisi conferma che alcune regioni, soprattutto settentrionali, continuano a essere meta dei viaggi della salute perché hanno più ospedali ad alta specializzazione — afferma Carla Collicelli, vicedirettore della Fondazione Censis — . Ma anche altre regioni, come Molise e Lazio, hanno un alto "indice di attrazione": la prima per la presenza di un Centro di eccellenza in neurologia (Neuromed, a Pozzilli, Isernia, ndr), l'altra perché ha un ospedale pediatrico di riferimento a livello nazionale (il Bambino Gesù, di Roma, ndr)». Ma la scelta di curarsi fuori Regione avviene anche quando le prestazioni sono disponibili nel proprio luogo di residenza. Spiega Isabella Morandi di Agenas: «Sono i casi di ricoveri potenzialmente inappropriati: per esempio, ci si ricovera in un'altra regione per un intervento di cataratta perché nella propria la stessa operazione è fatta in day hospital o in ambulatorio». Il rapporto dell'Osservatorio sul Federalismo in sanità, di Cittadinanzattiva, segnala inoltre la migrazione per la procreazione assistita. «Si fugge dal Sud dove i Centri sono perlopiù privati — riferisce Maria Paola Costantini, consulente legale di Cittadinanzattiva —. In Sicilia, per esempio, la maggior parte delle coppie deve sostenere interamente i costi delle procedure». «I dati sulla mobilità sanitaria, se interpretati correttamente, permettono di capire se i pazienti vanno lontano per curarsi perché nella loro regione mancano i servizi o perché non si fidano di quelli che ci sono — sottolinea Fulvio Moirano, direttore di Agenas —. Questi dati, quindi, possono servire per riqualificare la rete dell'offerta di prestazioni». Maria Giovanna Faiella _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Mag. ’13 CONTRO I TUMORI PIÙ CURE A CASA E PIÙ «ECCELLENZE» La salute ai tempi della crisi: i tagli possono essere un'opportunità. Lo suggerisce l'ultimo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato al Senato in occasione dell'ottava Giornata nazionale del malato oncologico (domani 20 maggio), organizzata dalla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo). Da un lato ci sono i costi in aumento per curare un numero crescente di casi di tumore, dall'altro la revisione e la riduzione delle spese a carico del Servizio sanitario nazionale. In mezzo un esercito di pazienti, familiari, oncologi, chirurghi, radioterapisti, specialisti della riabilitazione e psiconcologi, che temono di non poter più ricevere, o garantire a tutti, le migliori terapie possibili. Nelle oltre 200 pagine del Rapporto (realizzato da Favo con le maggiori Società scientifiche oncologiche, Censis, Inps, Federazione dei medici di medicina generale, Federsanità ANCI e Ministero della Salute), però, viene tracciata una strategia per affrontare questa situazione. «Delineare un nuovo modello di cura, meno centrato sull'ospedale e più orientato a forme alternative — spiega Francesco De Lorenzo, presidente del Favo —. Un modello che privilegi ad esempio i servizi domiciliari (preferiti dai malati e meno costosi rispetto al ricovero,ndr) e gli hospice, e che coinvolga di più i medici di famiglia quando il paziente torna a casa». Per capire le dimensioni del problema basti pensare che in termini di costi sanitari e perdita di produttività, la spesa per i tumori è pari allo 0,6 per cento del PIL, per un costo complessivo che supera gli 8 miliardi di euro all'anno (circa 25.800 euro per paziente). Considerando anche l'invecchiamento generale della popolazione, tutte le statistiche dicono che il numero di casi di tumore è destinato ad aumentare: grazie ai progressi fatti nella prevenzione e nella ricerca, sempre più pazienti possono guarire o essere curati per molti anni, rendendo il cancro una "malattia cronica". Dai dati presentati emerge infatti una riduzione significativa della mortalità per tumore in entrambi i sessi (il calo è del 12% nei maschi, del 6% tra le donne) e anche i cosiddetti big killer (i tumori di colon retto, polmone, mammella, prostata), che ogni anno fanno registrare il maggior numero di decessi, oggi fanno meno paura. È dunque fondamentale continuare a garantire ai malati le migliori cure disponibili, pur procedendo alla riduzione dei costi, imposta dalla spending review. Ma secondo gli esperti che hanno lavorato al Rapporto è concreto il rischio che, in assenza di verifiche, le Regioni realizzino riduzioni lineari. Un primo modo intelligente per risparmiare potrebbe essere, invece, quello di incrementare ricoveri diurni, servizi ambulatoriali, domiciliari e residenziali, coinvolgendo di più i medici di base. «Un terzo dei pazienti con cancro muore in strutture ospedaliere destinate al contrasto di patologie acute — aggiunge Francesco De Lorenzo —. È chiara l'inappropriatezza di questi ricoveri. Vanno poi considerati gli alti costi giornalieri delle degenze in centri complessi e ad alto tasso tecnologico, con il rischio aggiuntivo di sottrarre posti letto a malati oncologici in fase acuta». Un gruppo di lavoro formato da esperti della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (Sico), dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), di Favo e da rappresentanti del Ministero della Salute ha inoltre individuato i parametri (con riferimento a quelli internazionali) per stabilire i volumi minimi di attività per singola neoplasia, al di sotto dei quali le strutture chirurgiche non dovrebbero essere abilitate ad affrontare le varie patologie. Si evidenzia così che dei 1.015 Centri che ora si occupano di cancro del colon retto, solo 196 sono adeguati; dei 906 Centri per il tumore al seno, quelli adeguati sono solo 193; dei 702 che curano tumori al polmone solo 96 rientrano nei parametri, cosi come 118 dei 624 che curano tumori alla prostata. «Ci sono reparti di chirurgia e oncologia medica presenti in piccole strutture, prive degli indispensabili servizi di supporto e con casistiche inferiori al minimo necessario per garantire esperienza e trattamenti adeguati — spiega Stefano Cascinu, presidente Aiom —. Evidenze scientifiche dimostrano che Centri con bassi volumi di attività presentano maggiori rischi per i malati». Insomma, si potrebbero eliminare strutture inadeguate ed evitare tagli in quelle eccellenti. Incrementando anche i servizi che ancora mancano, come riabilitazione e terapia del dolore, e colmando il divario persistente fra Nord e Sud. Vera Martinella _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Mag. ’13 L'ESORDIO DEI GIORNALI MEDICI SUBITO FRA ASPRE POLEMICHE di ANTONIO ALFANO Seicento e Settecento: secoli del progresso nelle scienze e in medicina, e anche dell'esordio del giornalismo medico, il cui sviluppo fu però ostacolato da furenti polemiche e diatribe tra «antichi» e «moderni». Il precursore fu un medico-giornalista, Théophraste Renaudo (o Renaudot) che fondò e diresse il primo giornale politico d'Europa: laGazette de France, pubblicata per la prima volta a Parigi il 30 maggio 1631. Il giornale, settimanale, poté godere dell'appoggio del Cardinale Richelieu (1585-1642), il potente primo ministro del Re di Francia, che aveva conosciuto Renaudot intorno al 1610. La Gazette, pur non occupandosi direttamente né di medicina, né di scienze, si trovò al centro di polemiche legate all'ambiente medico. Renaudot, che aveva studiato medicina a Parigi e a Montpellier, diventò medico del Re e «Commissario generale dei poveri del Regno di Francia» (su nomina di Richelieu), nonché fondatore del primo Monte di pietà francese, che garantiva assistenza medica gratuita ai poveri non ricoverati in ospedale. Nella professione fu un fiero sostenitore delle nuove scoperte scientifiche e tra i primi prescrittori dei nuovi farmaci chimici in Francia, nonché protagonista di un'aspra polemica con il decano della Facoltà di Medicina di Parigi, Guy Patin, che animò le cronache dell'epoca. Al contrario di Renaudot, Patin era infatti un accademico conservatore, molto potente nella Facoltà parigina e strenuo sostenitore di teorie mediche ormai superate dai tempi, come quelle ippocratiche del grande medico greco Claudio Galeno, a discapito di teorie più attuali, come le tesi di William Harvey (si veda box) su sistema circolatorio e funzione cardiaca, che al tempo rappresentarono una vera rivoluzione copernicana. La contesa tra «antico» e «moderno» finì per coinvolgere tutta la Facoltà di Medicina di Parigi e continuò a lungo con toni molto accesi, tanto da provocare l'intervento del Cardinale Richelieu, protettore di Renaudot. I l sacro furore contro il «nuovo» che avanzava non risparmiò neanche il Journal des Sçavans, giornale degli scienziati o dei dotti, il primo completamente dedicato ad argomenti di scienza e medicina. Fondato e diretto dal magistrato e consigliere parlamentare Denis de Sallo, con lo pseudonimo di Sieur d'Hédouville, uscì a Parigi il 5 gennaio 1665. Pubblicò articoli a sostegno di moderne teorie: quello sul Cerebri anatome di Thomas Willis, medico e anatomico inglese, che descriveva le strutture cerebrali legate alle emozioni e al comportamento dell'uomo, nonché scritti del filosofo e matematico René Descartes (meglio noto come Cartesio), come L'Homme, sulle funzioni «che appartengono al corpo e quelle dell'anima», e il Traité de la formation du foetus. A pochi mesi dalla sua uscita, leJournal des Sçavans fu costretto a sospendere le pubblicazioni: i contenuti irritarono il clero francese che lo fece chiudere. Ancora una volta ci fu l'intervento di un potente, il ministro delle Finanze Jean-Baptiste Colbert, che si impegnò perché il giornale potesse riprendere le pubblicazioni l'anno successivo. Con la nuova direzione del più moderato abate Jean Gallois, il Journal, però, si interessò di argomenti letterari, giuridici ed ecclesiastici. Dal 1792 al 1816 interruppe di nuovo la pubblicazione e dal 1909 passò all'Académie des Inscriptions et Belles Lettres, occupandosi di archeologia e storia antica e medievale. Anche l'Inghilterra ebbe il suo giornale medico. Il 6 marzo 1665 fu dato alle stampe il Philosophical Transactions giving some account of the present undertakings studies, and labours in many considerable parts of the world, diretto da Henry Oldenburg, primo segretario della Royal Society di Londra. E ancora oggi questa pubblicazione è l'organo ufficiale della prestigiosa Società scientifica. Tra i suoi collaboratori vi fu anche l'anatomista e fisiologo italiano Marcello Malpighi. In Italia, i primi articoli di medicina apparvero verso il XVII secolo, all'interno della stampa letteraria. Il medico, per il suo livello culturale, era infatti considerato un letterato. Non a caso, il primo periodico medico italiano fu il Giornale dei Letterati, pubblicato nel 1668 a Roma per le stampe di Nicolò Angelo Tinassi e diretto dall'abate bergamasco Francesco Nazzari, docente di filosofia a La Sapienza. Anche in questo caso non tutto andò liscio: per divergenza di opinioni tra stampatore e direttore, nel 1675, la stessa testata uscì in due diverse edizioni, una stampata da Tinassi e diretta dallo storico e naturalista Giovanni Giustino Ciampini, l'altra curata direttamente dall'abate Nazzari. G iornali con argomenti di medicina furono stampati oltre che a Roma, pure a Firenze, Bologna, Ferrara, Padova e Venezia, dove, ad esempio, fu pubblicato nel 1671 il Giornale veneto dei letterati, a cura di Pietro Moretti. E fin dagli albori il sale della polemica fu presente in dosi sostanziose anche nel giornalismo medico italiano. Lo conferma, per esempio, un'aspra querelle che coinvolse, tra il 1681 e il 1682, Giovanni Cinelli Calvoli, medico e bibliografo fiorentino, Giovanni Andrea Moniglia, medico alla corte del Granduca di Toscana Cosimo III dè Medici, e Bernardino Ramazzini, medico di fama considerato tra l'altro il «padre» della medicina del lavoro. Bernardino Ramazzini era collaboratore del giornaleBiblioteca volante, diretto da Cinelli Calvoli. Tutto nacque da un controverso caso clinico che si verificò a Modena nel luglio 1681 e si concluse con la morte, dopo il parto, della paziente, la nobildonna Maria Maddalena Martellini. La nobildonna era stata seguita dal Ramazzini e al centro della polemica vi furono le modalità di assistenza, sulle quali si «scontrarono» Moniglia e Ramazzini stesso. Nella diatriba s'inserì il giornalista Cinelli Calvoli, che scrisse numerosi articoli a favore di Ramazzini, provocando una violenta reazione da parte del Moniglia. Questi, infatti, non esitò a denunciare Cinelli Calvoli per ingiurie e diffamazione, richiedendo un consistente risarcimento morale. G iovanni Cinelli Calvoli venne incarcerato e l'11 marzo 1683, nel cortile del Bargello a Firenze, il boia diede fuoco ai numeri sequestrati del giornale. Ottenuta la libertà dopo più di tre mesi di carcere, Cinelli Calvoli — anche per evitare possibili ritorsioni da parte del Santo Uffizio, coinvolto da Moniglia — scappò da Firenze: si rifugiò prima a Venezia poi a Modena, dove, con l'aiuto dell'amico Ramazzini, ottenne una cattedra di lingua toscana. Seguì per Giovanni Cinelli Calvoli un lungo periodo di esilio durante il quale il medico- giornalista, invece di calmare la polemica, continuò a bersagliare Moniglia con i suoi critici articoli. Il giornalismo medico proseguì il suo percorso di alti, bassi, contrasti e polemiche anche nei secoli successivi, ma questa è un'altra storia.... _____________________________________________________________ Il Giornale 14 Mag. ’13 TROPPE OMBRE SU STAMINA E LA CURA COSTA UN MILIARDO Il trattamento con le staminali proposto contro le malattie più crudeli Ma per i ricercatori «è una non terapia». E non è nemmeno economica il caso di Enza Cusmai i auguro la Camera modifichi il decreto sul metodo Stamina: se non lo farà, approverà solo una non-terapia, non solo non provata dal punto di vista clinico, ma anche senza razionale scientifico, che potrebbe avere serie conseguenze sulla spesa sanitaria nazionale». Michele De Luca, è stato il primo ricercatore in Europa ad applicare, più di vent'anni fa, le cellule staminali epidermiche per la cura delle grandi ustioni. E ora il suo appello contro il decreto allunga la lista degli scienziati che a livello internazionale sono contrari al protocollo Vannoni, quello diventato famoso per aver curato (ma non guarito) «la malattia di Celeste», la bambina affetta da Sma, atrofia muscolare spinale. Ma il metodo Stamina non si ferma qui. Si pone come metodo salvifico per tutte le malattie degenerative, per le malattie rare, per la gente in coma. Ed è come dire: un farmaco per tutti i mali peggiori in circolazione, attualmente incurabili. È mai possibile? E chi ha ragione? Lo psicologo Vannoni o l'intera comunità scientifica che si occupa di staminali da decenni? Per il momento questa terapia «miracolosa» è riuscita a far breccia non solo tra i malati gravi e i loro parenti, ma anche dall' ex ministro Balduzzi infatti l'ha autorizzata con un bel decreto legge. Ora si tratta di capire se riuscirà a sopravvivere alla Camera dove i nuovi onorevoli dovranno documentarsi molto bene prima di accendere luce verde su qualcosa velato da troppe ombre. Innanzitutto non esistono pubblicazioni scientifiche né relazioni sull'andamento della terapia sui malati. E De Luca, come molti altri scienziati si chiedono: «Ma perché questi signori non fanno richiesta di sperimentazione clinica? O perché non hanno mai pubblicato i dati ottenuti con il loro metodo? Perché c'è questa resistenza passiva a sottostare alle regole internazionali sull'efficacia e sulla sicurezza di un farmaco?». Belle domande a cui non ci sono risposte. Che peraltro nessuno sarebbe mai obbligato a dare se il Parlamento approvasse il testo senza modificarlo. Attualmente, infatti, il decreto «riclassifica» le infusioni di colture di cellule mesenchimali da terapie avanzate (quindi prodotti medicinali) a trapianti. Risultato: non dovrà mai sottostare al rigido protocollo previsto per l' approvazione dei farmaci. E i responsabili potranno continuare a somministrare la «terapia» senza condurre una sperimentazione clinica, senza che le colture vengano fatte in cell factories per questo autorizzate, senza doverne dimostrare la efficacia. Chi difende Stamina sostiene che la cosa è logica perché questa terapia viene applicata singolarmente solo per 18 mesi e per i pazienti già in attesa di provare la cura, cioè migliaia. E a far due conti vengono i brividi. Stamina dice di avere, ad oggi, 15 mila richieste e siccome il costo della sola preparazione di cellule mesenchimali conformi alla legge europea, è di circa 30 mila euro a paziente siamo già a quota 450 milioni, pari al 3% del gettito Imu. Inoltre, per quanto è dato saperne, il «metodo Sta- mina» prevede almeno 5 infusioni per paziente. Anche considerando una economia di scala perle 5 infusioni, il costo per ciascun paziente sarebbe di almeno 60.000 euro, per un totale di quasi 1 miliardo di euro. E questo vale solo peri 15 mila pazienti. D'accordo, qualcuno dirà che la salute non ha prezzo. Ma qui non esiste certezza dei risultati. E De Luca spiega: «Le cellule staminali mesenchimali producono cartilagine, osso e il midollo osseo, dunque non sono pluripotenti e non producono tutte le parti del corpo. Di conseguenza non possono curare la pletora di patologie che propone Stamina. Purtroppo i pazienti che vanno compresi perché portatori di malattie incurabili, ma l'olio di serpente non lo passa la mutua!». Le contraddizioni scientifiche sono evidenti. A cui si aggiungono anche quelle a sfondo economico. Stamina, infatti, ha ceduto a Medestea Internazionale S.p. a. il «know-how» esclusivo (peraltro solo presunto, perché non esistono brevetti) del metodo Stamina, per il suo sviluppo commerciale. Medestea, un'impresa attiva nel settore cosmetici, «herbal medicine», nota per aver ricevuto ben 15 censure dall'Antitrust per la pubblicità ingannevole di un integratore alimentare spray per spegnere gli attacchi di fame in pochi minuti. Ma anche lo studio universitario richiamato per l' efficacia del prodotto, era stato condotto, secondo il Ministero della Salute, «senza criteri di serietà scientifica». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Mag. ’13 STAMINALI EMBRIONALI DALLA PELLE «PASSO VERSO LA CLONAZIONE UMANA» «Stesso metodo della pecora Dolly». Si riapre il dibattito etico ROMA — All'inizio fu Dolly. La nascita della prima pecora clonata attraverso una tecnica capace di riprogrammare cellule adulte, dimostrò ai ricercatori che era possibile ottenere staminali indifferenziate, cioè capaci di trasformarsi in ogni tessuto, senza la necessità di utilizzare l'embrione. Succedeva sedici anni fa e col passare del tempo si sono spenti gli entusiasmi degli scienziati di servirsi dello stesso sistema per ottenere staminali umane e immaginare di avere a disposizione una fonte inesauribile di «farmaco» per curare malattie degenerative. Ian Wilmut, che aveva coordinato al Roslin Institute di Edimburgo il lavoro su Dolly, ha in più occasioni affermato: «Con i primati lo stesso metodo non funziona. Non sappiamo perché. I risultati non sono quelli sperati. Per fortuna ci sono tecniche alternative che lasciano sperare in un futuro più roseo». Sembrava una approccio superato, quello di Wilmut. Invece pare riaprirsi una nuova strada. In un articolo pubblicato sulla rivista Cell di ieri un gruppo di ricercatori dell'Università dell'Oregon diretto da Shoukhrat Mitalipov ha annunciato di aver tagliato un traguardo inseguito a lungo. Cellule della pelle sono state riportate indietro fino allo stadio di cellule embrionali. Quelle che sono all'origine di ogni parte del nostro corpo. Le chiamano bambine. Secondo molti commentatori internazionali si è riacceso il sogno della clonazione terapeutica che consente di produrre riserve di cellule riparatrici di singoli pazienti. Parkinson, sclerosi multipla, lesioni spinali. Molte malattie oggi senza soluzione potrebbero essere trattate. E si riaccende anche la miccia delle polemiche. La clonazione, sia pur ottenuta senza la distruzione di embrioni, suscita sempre timori di esperimenti spregiudicati e di prospettive eticamente discutibili. In questo caso il nucleo di una cellula di pelle è stato trasferito in un ovocita a sua volta svuotato del nucleo che contiene il Dna. Grazie alle informazioni provenienti dall'interno dell'uovo, la cellula è tornata indietro nello sviluppo fino ad assumere le caratteristiche primordiali. Secondo Mitalipov «queste staminali sono capaci di trasformarsi in ogni tipo di tessuto come le embrionali, dando origine a tessuti di cervello, fegato o cuore». Sarebbero inoltre stati risolti i problemi di rigetto perché all'origine di questa sorgente ci sono le cellule della persona da curare. Il ricercatore ha però ammesso che «c'è ancora molto da fare prima di arrivare a cure sicure ed efficaci basate su questa tecnica. Riteniamo in ogni modo il nostro lavoro molto significativo per il progresso della medicina rigenerativa». Commenta senza eccessivo ottimismo la notizia, lanciata con grande risalto dai maggiori media internazionali, Giulio Cossu, oggi all'University College di Londra: «A me sembra un avanzamento tecnico che non rivoluziona le attuali conoscenze. Lo stesso protocollo servì per creare Dolly nel '97. Qui però si tratta dell'uomo. A mio giudizio è un metodo più costoso e complicato rispetto a quello messo a punto nel 2006 da Shinya Yamanaka al quale lo scorso anno è stato assegnato il premio Nobel proprio per queste ricerche». Lo scienziato giapponese ha utilizzato una cellula adulta nella quale ha inserito quattro fattori di trascrizione propri dell'embrione ed ha ottenuto la riprogrammazione, il ritorno allo stato originale. Giuseppe Novelli, genetista dell'Università di Tor Vergata, giudica al contrario innovativo il lavoro apparso su Cell: «Il protocollo è originale. L'aggiunta di due sostanze rende stabili le staminali a differenza di quelle di Yamanaka la cui riprogrammazione non è completa». Margherita De Bac mdebac@corriere.it _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Mag. ’13 PERSONE, NON PECORE BASTA MANIPOLAZIONI di ADRIANO PESSINA Non si comprende la radicale problematicità etica dell'esperimento pubblicato dalla rivista Cell se ci si ferma alle promesse terapeutiche e alla falsa notizia che sono state ottenute cellule staminali dalla pelle. La pelle è il punto di partenza per mettere in atto un metodo che è quello che ha fatto nascere la pecora Dolly: una clonazione. La tragica differenza è che qui si è clonato un essere umano, un vivente appartenente alla nostra specie, quello che di solito chiamiamo figlio. Alla parola clonazione si aggiunge l'aggettivo «terapeutico» perché lo scopo non è quello di far nascere qualcuno, ma di ricavare cellule per future terapie: e per ottenere questo è necessario distruggere proprio l'embrione che si è generato. Si crea e si distrugge per avere materiale per curare. Tragico paradosso. Se quell'embrione fosse stato accolto, come con la procreazione medicalmente assistita, nel corpo di una donna, sarebbe nato un bambino, gemello di chi ha fornito la cellula che, opportunamente trattata, è stata inserita nell'ovocita privato del nucleo. Sembra che si sia riusciti in quella clonazione umana finora fallita, mentre ora si giunge allo sviluppo della blastocisti. Dal punto di vista etico resta la questione centrale: è legittimo manipolare le cellule umane per clonare un essere umano da distruggere per ricavarne altre cellule? Non è un problema di natura religiosa, è una questione etica che riguarda tutti, e in primo luogo la comunità scientifica. Possiamo permettere che la donna sia utilizzata come fornitrice di ovuli per la ricerca? Possiamo accettare che si generino esseri umani per scopi di ricerca? Possiamo manipolare la coscienza pubblica valorizzando solo le future promesse terapeutiche senza spiegare che non è dalla pelle ma dall'embrione umano che si ottengono questi risultati, rendendo l'umano puro oggetto di laboratorio? Non faccia velo al problema etico il fatto che ci si trova di fronte a fasi iniziali dell'esistenza umana, invisibili a occhio nudo, o che il risultato ottenuto avvenga attraverso manipolazioni che stravolgono il modo della riproduzione umana: resta il fatto che abbiamo clonato «uno di noi». Ci si aspetta un chiaro no, dai cittadini e dai ricercatori, in nome di una medicina e di una scienza rispettose dell'esistenza umana. Un no peraltro già espresso in Europa dalla Convenzione di Oviedo. Docente di filosofia morale, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Mag. ’13 SENZA LE STAMINALI LA RICERCA SI FERMA di CARLO ALBERTO REDI Assistiamo ogni giorno a piccoli avanzamenti nelle tecniche per ottenere cellule staminali embrionali. L'esperimento degli scienziati dell'Oregon migliora la metodologia capace di riprogrammare geneticamente le cellule differenziate (della pelle, del sangue, etc). Lo stesso Nobel per la medicina di quest'anno è stato assegnato a Gurdon e Yamanaka proprio per aver sviluppato studi pionieristici a questo riguardo. Va dunque ribadito che le staminali embrionali sono una necessità dell'impresa scientifica, non una alternativa alle cellule staminali somatiche (chiamate «adulte») che impieghiamo oggigiorno per le terapie cellulari di diversi tipi di leucemie, per le grandi ustioni, per la cornea, e nel prossimo futuro per il diabete di tipo I, il Parkinson e l'infarto del miocardio. La priorità sull'impiego delle staminali embrionali oggi non è per terapie (va detto per non creare falsi ottimismi). Le staminali embrionali sono una necessità per saggiare le attività farmacologiche di nuove molecole, per le prove di tossicità, per «portare» in provetta e studiare diverse patologie (risparmiando prezioso tempo e la vita degli animali), ma soprattutto sono una necessità per capire su quali meccanismi molecolari si basa la riprogrammazione genetica delle cellule differenziate: i tumori sono lì a dimostrare che in natura, «in vivo», le cellule differenziate sono in grado di compiere tragicamente molto bene questo processo. Le tecniche per ottenere staminali embrionali comportano un confronto con il mondo cattolico sulla natura di queste entità cellulari, ritenute erroneamente degli embrioni. Ma va detto che le staminali embrionali non sono l'equivalente degli embrioni; queste entità non si trasformeranno mai in embrioni poiché l'ambiente dei terreni di coltura nel quale vengono ottenuti non permette questo tipo di sviluppo. È un dato empirico che può aiutare la riflessione del mondo cattolico al quale viene chiesto di riposizionare i propri legittimi convincimenti nelle nuove acquisizioni concettuali sul vivente. E così anche gli embrioni crioconservati, altra sorgente di staminali embrionali ma destinati in Italia, Austria, Germania e Irlanda alla morte, chiedono a tutti noi un dovuto rispetto al di là di quello che legittimamente ciascuno di noi possa ritenere essi siano: chiedono di partecipare alla vita come cellule, di essere impiegati e non di lasciarli morire. Biologo, insegna Zoologia all'Università di Pavia ed è accademico dei Lincei _____________________________________________________________ MF 14 Mag. ’13 LA TAC GUARDA AVANTI Salute Esperti a confronto all'Humanitas sui progressi della diagnostica per immagini Studi sulle malattie neurodegenerative grazie a nuovi radiofarmaci di Cristina Cimato Da Monaco di Baviera a Parigi fino a Bergamo, oR..,4 e domani un gruppo di esperti si riunisce negli spazi dell'Istituto clinico Humanitas di Milano per discutere delle più recenti innovazioni nell'ambito delle soluzioni Pet/Tac realizzate da GE Healthcare e disponibili in alcuni centri di riferimento per l'oncologia, ma non solo. «Si stanno aprendo ambiti di applicazione nuovi grazie al fatto che le macchine di ultima generazione garantiscono maggiore sensibilità, consentendo di vedere lesioni più piccole», ha spiegato Arturo Chiti, direttore del dipartimento di medicina nucleare dell'Istituto clinico Humanitas, «mentre nuovi radiofarmaci consentono di visualizzare neoplasie o alterazioni metaboliche, per esempio in ambito neurologico sull'Alzheimer». La Pet sta dunque migrando da una metodica diagnostica in senso stretto a una strumentazione per la valutazione della risposta alle terapie e di caratterizzazione metabolica «Questo ci permette di selezionare anche i pazienti che possono beneficiare di alcune terapie rispetto ad altri», ha aggiunto Chiti, «e ci consente, in ambito oncologico, di localizzare meglio il tumore e le sue parti più aggressive». Il nuovo sistema di Ge è progettato per acquisire immagini dettagliate in modo molto veloce e con una bassa dose di radiazioni. «La diagnostica precoce in oncologia è di fondamentale importanza per consentire maggiore sostenibilità al percorso di cura delle patologie tumorali», ha affermato Marco Campione, presidente di Ge Healthcare Italia, «ecco il perché di questo evento internazionale sui recenti sviluppi delle indagini in ambito oncologico». Fra gli esperti invitati a Milano, Peter Bartenstein del dipartimento di Medicina Nucleare Lmu di Monaco, che sta utilizzando queste soluzioni in ambito neurologico, cercando di valutare in modo precoce la riduzione delle funzioni cerebrali. «Un altro ambito di vasto interesse consiste nell'uso dei radiofarmaci in oncologia per effettuare una caratterizzazione biologica non solo dei tumori in generale, ma di ogni specifico tumore di ciascun paziente», ha aggiunto Chiti. In ambito cardiologico, invece, sono in atto lavori clinici sull'utilizzo di una combinazione di diversi tipi di diagnostica, ossia in aggiunta a Pet/Tac anche Rm ed ecografia, ma anche studi sulle occlusioni coronariche. «Non è solo interessante riuscire a valutare le persone che sono a rischio infarto, ma anche capire quali pazienti che non manifestano ancora un'occlusione completa a livello coronarico sono comunque a rischio, a causa della presenza della cosiddetta placca instabile». I nuovi scanner di Ge sono disponibili con la gamma Q.Suite, ossia una piattaforma che riunisce strumenti di ultima generazione per ottenere valutazioni più affidabili "e ottimizzare il trattamento in base alla risposta del singolo paziente. Al suo interno Q.Freeze combina i benefici dell'imaging 4D in una singola immagine, cosi da usare tutti i dati raccolti per creare un'istantanea ed eliminare il movimento. QAc, invece, è una generazione evoluta di algoritmi progettata per ottenere dati riproducibili e consentire di ridurre la dose erogata al paziente. Q.Check è poi un software che crea una connessione tra la console e la stazione di lavoro per assicurare che i dati del paziente siano salvati nella cartella digitale prima che l'esame sia terminato. Q.Core, infine, gestire il processo di ricostruzione dell'imaging in modo molto veloce. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Mag. ’13 IL BILINGUISMO SALVA DALL'ALZHEIMER Jared Diamond L'Alzheimer è la forma di demenza senile piú diffusa e colpisce il 5 per cento circa degli ultrasettantacinquenni e il 17 per cento degli ultraottantacinquenni. (...) A oggi, tutti i trattamenti farmacologici e i vaccini si sono dimostrati inefficaci. In generale, chi conduce una vita fisicamente e mentalmente stimolante – soggetti che fanno piú esercizio fisico, piú istruiti, con lavori piú complessi, attività sociali e hobby interessanti – soffre meno di demenza. Tuttavia, il lungo periodo di latenza (fino a 20 anni) tra l'inizio del processo di accumulo proteico e la successiva insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer solleva interrogativi circa le relazioni di causa ed effetto esistenti fra questi ultimi dati: davvero la stimolazione in sé diminuisce i sintomi dell'Alzheimer, oppure i soggetti non colpiti dal morbo erano in grado di condurre una vita stimolante proprio perché non soffrivano dei primi effetti dell'accumulo proteico, o per vantaggi di ordine genetico che li proteggevano dalla malattia? Nella speranza che una vita ricca di sollecitazioni possa essere causa, e non risultato, del minore instaurarsi di processi patologici, spesso gli anziani che temono di poter sviluppare l'Alzheimer vengono invitati a giocare a bridge o ad altri stimolanti giochi online, oppure a darsi alle parole crociate e al sudoku. Negli ultimi anni, alcuni risultati interessanti autorizzano però ad attribuire al bilinguismo protratto un effetto protettivo nei confronti dei sintomi dell'Alzheimer. Su 400 pazienti di varie cliniche di Toronto, in Canada, quasi tutti ultrasettantenni e con una probabile diagnosi di morbo di Alzheimer (o, in qualche caso, di altra demenza), i soggetti bilingui avevano registrato i primi sintomi in media 4 o 5 anni dopo i loro omologhi monolingui. In Canada la speranza di vita è di 79 anni, dunque un ritardo di 4 o 5 per persone che ne hanno già 70 si traduce nel 47 per cento in meno di probabilità di sviluppare i sintomi del morbo prima di morire. Tutti i pazienti avevano lo stesso status occupazionale, ma in media i soggetti bilingui avevano ricevuto un livello di istruzione inferiore (non superiore!) ai monolingui. (...) la minore incidenza dell'Alzheimer si verificava nonostante i soggetti avessero un grado di istruzione piú basso. Un altro risultato interessante è che, a parità di livello di deterioramento cognitivo, le risonanze magnetiche rivelavano una maggiore atrofia del cervello nei soggetti bilingui rispetto ai monolingui. Per dirla anche questa volta in parole povere, a parità di atrofia cerebrale i pazienti bilingui soffrivano di un grado di deterioramento cognitivo minore rispetto ai pazienti monolingui, segno che il bilinguismo offre parziale protezione dalle conseguenze dell'atrofia cerebrale. Una protezione di questo tipo non solleva le incertezze interpretative sul rapporto causa-effetto poste invece da fattori quali l'istruzione e le attività sociali stimolanti. Queste ultime potrebbero infatti essere il risultato e non la causa delle prime lesioni dell'Alzheimer, mentre anche i fattori genetici predisponenti allo studio e alla ricerca di attività sociali possono proteggere dal morbo. Ma il bilinguismo è qualcosa che si acquisisce nella prima infanzia, con un anticipo di decenni sulla comparsa delle prime lesioni cerebrali dell'Alzheimer e a prescindere dai geni. La maggior parte dei soggetti bilingui diventano tali non per decisione o per corredo genetico, bensí grazie al fatto di crescere in una società bilingue o al trasferimento dei genitori dal proprio Paese natale a un Paese di lingua diversa. La riduzione dei sintomi dell'Alzheimer nei pazienti bilingui suggerisce quindi che il bilinguismo stesso costituisca un fattore di protezione nei confronti di questo morbo. Ma come può essere? Si potrebbe rispondere con un semplice «L'uso sviluppa l'organo». In effetti l'esercizio migliora la funzione di qualunque sistema corporeo, e la sua mancanza comporta invece un deterioramento nelle relative funzioni: per questo artisti e atleti praticano e si allenano, e per questo ai pazienti che soffrono di Alzheimer viene consigliato di fare le parole crociate o il sudoku. Ma il bilinguismo è in assoluto la pratica piú assidua che possa esistere per il cervello. Mentre un giocatore di bridge o un appassionato di enigmistica può infatti dedicarsi alle carte o al sudoku per una quantità ridotta di tempo giornaliero, i bilingui sottopongono la loro materia grigia a un superallenamento in ogni minuto della loro giornata. Consciamente o inconsciamente, in pratica il loro cervello continua a chiedersi: «Devo parlare, pensare e interpretare i suoni che mi circondano in base alle regole arbitrarie della lingua A o B?». Immagino che, a questo punto, alcuni di voi condivideranno con me l'interesse verso qualche altro interrogativo, tanto ovvio quanto privo di risposta. Se una lingua in piú offre una certa protezione, non è per esempio logico pensare che due lingue oltre a quella madre ne offrano ancora di piú? E, se sí, il livello di protezione aumenta in modo direttamente proporzionale al numero delle lingue, di piú o di meno? Se i bilingui godono, poniamo, di quattro anni di protezione in piú grazie alla seconda lingua, un guineano, un aborigeno australiano, un indio del Rio Vaupés o un commesso scandinavo che di lingue in tutto ne parla cinque godrà sempre di quattro anni di protezione, o di quattro volte tanto, cioè di sedici? Oppure, nel caso le quattro lingue extra valgano piú di quattro anni di protezione ciascuna, si può immaginare di arrivare anche a cinquant'anni di «garanzia»? Se si ha avuto la sfortuna di non nascere e non essere allevati come bilingui, e se non si è iniziato a studiare una seconda lingua fino al liceo, quindi a 14 anni, si può sperare di raggiungere comunque il grado di beneficio ottenuto dai bilingui di nascita? Entrambe le domande susciteranno sia l'interesse teorico dei linguisti, sia quello pratico dei genitori che si ritrovano a valutare il tipo di educazione da offrire ai loro pargoli. Comunque sia, tutto lascia pensare che il bilinguismo o il plurilinguismo possano comportare grossi vantaggi pratici per i parlanti, oltre a quelli meno concreti di una vita culturalmente piú ricca e a prescindere dal fatto che la diversità linguistica sia un bene o un male per il mondo nel suo complesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA il libro Proponiamo in anteprima un brano del nuovo libro di Jared Diamond, intitolato Il mondo fino a ieri. Cosa possiamo imparare dalle società tradizionali? che sarà edito da Einaudi ed è in uscita questa settimana (pagg. 520, € 19,00, traduzione di Anna Rusconi) _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Mag. ’13 IL CERVELLO CREATORE meccanismi cognitivi La teoria della mente estesa di Andy Clark e David Chalmers ha fornito importanti stimoli filosofici ma non aiuta la mente che si studia a capire sé stessa Arnaldo Benini Secondo il «modello della mente estesa» (Mme), scrivono i filosofi Michele Di Francesco e Giulia Piredda, «I fenomeni mentali pur essendo perfettamente naturali ... hanno luogo solo nel cervello: vi è un senso chiaro e basato sull'osservazione empirica per cui talvolta ha senso dire che essi si estendono al di là del confine del cranio e della pelle». Il Mme nega «tanto che la mente sia fuori dal mondo, quanto che essa sia (sempre) dentro il cervello.... Il ruolo di corpo, ambiente fisico e sociale ...diviene almeno altrettanto rilevante di quello delle strutture neurali». Il Mme rifiuta quindi «l'identificazione ontologica ed epistemo-logica di mentale e cerebrale». Senza esagerazione il Mme può essere considerato, sostengono gli autori, «come il più radicale tentativo di ridefinizione del concetto di mente dai tempi di Cartesio in poi». Mente estesa non significa che la mente si estende nel mondo alla ricerca di cose e d'eventi, ma che una parte dei meccanismi della mente lavora non dentro, ma fuori «dal cranio e dalla pelle». La domanda "importante" è allora «Dove finisce la mente e dove comincia il resto del mondo?». Il «resto del mondo», in cui la mente si estenderebbe, è diverso dal luogo pieno di rumori, colori e odori in cui i meccanismi cognitivi del cervello (cioè della mente) ci fanno vivere. Il resto del mondo è un silenzioso e grigio contenitore di molecole senza odori, sapori, colori e temperatura, d'atomi e molecole in vibrazione e di campi elettromagnetici, che i meccanismi cognitivi del cervello trasmettono alla coscienza come luce e buio, colori, suoni, musica, odori, temperatura. La coscienza che abbiamo del resto del mondo dipende dal funzionamento dei meccanismi cognitivi del cervello. Ictus del cervello possono distorcere il senso del tempo fino alla sua scomparsa temporanea o definitiva, lasciando la persona in una timeless life impossibile da concepire. Una lesione circoscritta del lobo parietale destro può provocare un disorientamento spaziale per cui il paziente non sa più dov'è e dove andare. Una lesione della parte inferiore dello stesso lobo provoca la scomparsa della rappresentazione mentale della metà sinistra del corpo e del mondo, come se non fossero mai esistiti, anche se vista e udito e aree sensitive primarie funzionano normalmente. Un difetto di sviluppo di una frazione di millimetro della corteccia cerebrale della parte superiore del lobo parietale destro provoca, già dall'infanzia, l'insofferenza verso la propria gamba sinistra. Solo l'amputazione di un arto sano ripristina l'identità del corpo e porta sollievo. Questi sono esempi della fragilità dei meccanismi della mente. Che cosa sappiamo del nostro corpo e del resto del mondo oltre a ciò che ci fanno conoscere i meccanismi cognitivi del cervello? Niente. Se il mondo e il senso del nostro corpo sono prodotti dalla mente, dove e come può essa estendersi fuori dai meccanismi nervosi che la producono? Il libro traccia la storia delle controversie filosofiche suscitate dai lavori dei filosofi Andy Clark e David Chalmers sulla Extended Mind, con presentazione di sostenitori, critici e oppositori. «La mente umana», dice Clark, «se deve essere intesa come l'organo fisico della ragione, semplicemente non può essere vista come confinata nell'involucro biologico. Di fatto essa non è mai stata soggetta a tale vincolo o restrizione. Ma questo antico inizio ha acquistato progressivamente energia con l'avvento dei testi, dei PC, degli agenti software... La mente è sempre meno nella testa». E ancora: «...noi diverremo simbionti umano-tecnologici: sistemi che pensano e ragionano, le cui menti e i cui io sono distribuiti tra cervello biologico e circuiteria non biologica». David Chalmers, in una conferenza, raccontò dello sgomento da cui era stato colto per aver smarrito il telefonino: era come se avesse perso una parte della mente. La metafora non era felice, perché il telefonino è prezioso solo se c'è una mente che lo crea e l'inserisce nei meccanismi cognitivi, non se è smarrito e inattivo. Avesse avuto anche solo un barlume di coscienza, avrebbe cercato da solo la strada per tornare al suo posto. Ciò vale per le protesi, descritte nel libro, che aiutano pazienti paralizzati: le protesi sono strumenti che funzionano solo se la mente li crea, li guida e li controlla. Alison Abott ha ammonito che possiamo pensare di aiutare persone paralizzate con braccia e gambe robotiche, ma solo dopo aver capito la sensibilità propriocettiva, grazie alla quale la mente crea il senso del corpo, perché le protesi devono simulare i meccanismi della mente, e non viceversa. Il libro si propone di individuare «i nuclei filosofici più significativi della mente estesa, per capire fino a che punto i dati empirici forniti e i ragionamenti proposti ci permettono di parlare di una genuina estensione della mente nel mondo». Si tratta di «approfondire ...gli argomenti filosofici (corsivo nel testo) a favore di Mme e valutarne...la validità». A "dati empirici" non si fa cenno. Il presunto evento della mente che si estende fuori dai meccanismi nervosi non ha riscontri scientifici. L'unica citazione di un testo scientifico riporta il pensiero di Eric Kandel, uno dei maggiori neuroscienziati viventi, il quale, circa il rapporto fra mente e resto del mondo, dice che «Il cervello non elabora... una replica del mondo esterno, quasi fosse una macchina fotografica tradizionale. Ma costituisce una rappresentazione interna degli eventi fisici...Perciò il fatto che le nostre percezioni ci appaiano come immagini dirette e accurate del mondo è il risultato di un'illusione». Al dato della mente che crea il mondo in cui viviamo è contrapposta l'"eloquenza" del filosofo Alfa Noë con argomenti del tipo: «La nostra capacità di mantenere nel tempo un contatto percettivo con l'ambiente ..non è riconducibile (AD) un'immagine della scena nel nostro cervello; si tratta piuttosto di una questione di accesso. (…) L'idea (…) secondo cui ciascuno di noi non sarebbe altro che il proprio cervello (…) somiglia all'immagine fantastica di un'orchestra che suona da sola». Gli strumenti suonano perché i cervelli dei suonatori li fanno suonare. E chi e che cosa se non loro? Il filosofo sembra ignorare le ricerche sui meccanismi nervosi della volontà. E ancora: «(…) Il mondo non è una costruzione del cervello, non è un prodotto dei nostri sforzi coscienti. La mente cosciente non è dentro di noi: essa rappresenta una forma di attiva sintonia con il mondo, un'integrazione realizzata». Con questa disinvoltura si può proporre qualsiasi ipotesi, anche se contraddice due secoli di ricerche. Il neuro-scienziato Giorgio Vallortigara, alla luce d'esperienze fra le più sofisticate sui meccanismi della conoscenza, sostiene ben altro, e cioè che «Trucchi e scorciatoie fanno del nostro mondo percettivo non un'approssimazione a come il mondo è davvero, ma a come sia più conveniente rappresentarlo. Un teatrino, una grande illusione. La nostra prigione». (La mente che scodinzola, Mondadori Università, 2011, pag. 10). Per capire la mente, ammonisce Patricia Churchland, bisogna capire il cervello. La mente estesa è la tautologia della mente che si estende nel mondo che essa stessa crea. Il Mme, dicono gli autori, ha «fornito importanti stimoli filosofici»; può essere, ma non aiuta la mente che si studia a capire sé stessa. ajb@bluewin.ch _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Mag. ’13 IL MOVIMENTO È UNA CURA CHE RICHIEDE TEMPI E DOSAGGI GIUSTI L'attività fisica è ormai considerata una vera terapia per accompagnare e sostenere gli altri trattamenti F are sport perché è divertente, per mantenersi in forma o dimagrire, per prevenire le malattie. Oppure per curarsi, scegliendo di nuotare, correre o allenarsi in palestra. L'attività fisica è sempre più considerata un vero farmaco, e i medici la prescrivono spesso come parte integrante della terapia: se ne è parlato in un convegno dedicato all'argomento nell'ambito di Rimini Wellness, la più grande manifestazione italiana dedicata al fitness. «Lo sport è una medicina da assumere con dosaggi preciso perché farne poco non serve a molto, ma esagerare può dare effetti collaterali — spiega Gianfranco Beltrami, docente del corso di laurea in Scienze motorie dell'Università di Parma e membro del consiglio direttivo della Federazione Medico Sportiva Italiana (Fmsi) —. Le conseguenze di un sovradosaggio vengono pagate di solito dall'apparato muscolo-scheletrico: caviglie, ginocchia, anche, spalle possono risentire di sovraccarichi eccessivi e risultarne danneggiate. Perciò la prima regola è individualizzare la terapia a base di sport, prescrivendo prima un lavoro leggero e poi, man mano che il paziente è più allenato, incrementando i carichi e gli sforzi». Chi dovrebbe scrivere la "ricetta" dell'attività fisica? «In chi non è del tutto sano non si può improvvisare — risponde Beltrami —. Se c'è una malattia cronica in corso, la scelta migliore è avvalersi di uno specialista in medicina dello sport, che dovrebbe poi affidare il paziente a un laureato in scienze motorie preparato per seguirlo e far sì che l'esercizio prescelto venga praticato nel modo giusto». Nel nostro Paese non c'è ancora la consapevolezza della necessità di affidarsi a un esperto per scegliere lo sport giusto, ancora meno ci si rivolge al personal trainer come "coach di salute". Questo accade soprattutto perché anche se tutti, ormai, sappiamo che con l'attività fisica si prevengono le malattie e che la sedentarietà fa male (diversi studi ad esempio hanno sottolineato che stare seduti troppo a lungo aumenta la mortalità per malattie cardiovascolari e non solo), pochi però hanno davvero capito che lo sport è una terapia vera e propria, da seguire per stare meglio se si soffre di patologie croniche perfino serie. L'elenco delle malattie "curabili" con il movimento è lungo: «Il caso più eclatante è l'infarto, perché fino a vent'anni fa chi ne era colpito stava un mese a letto e anche dopo poteva fare movimento solo fra mille precauzioni: oggi facciamo salire su una bicicletta i nostri pazienti pochissimi giorni dopo l'attacco di cuore — fa notare Beltrami, che è anche specialista in cardiologia —. Naturalmente servono visite mediche e test accurati, per capire il livello di attività sostenibile da una persona che ha avuto un infarto: la prescrizione non sarà la stessa per un cinquantenne o un settantenne, ma in generale si devono sempre inserire una parte di lavoro aerobico, una parte di tonificazione, esercizi di allungamento e per favorire l'equilibrio. Le dosi di ciascuna fase della sport-terapia variano a seconda delle caratteristiche del paziente e della patologia di cui soffre». Così per le malattie cardiovascolari come lo scompenso cardiaco, l'infarto o l'ipertensione si prediligono sport aerobici: nuoto, corsa, marcia e bicicletta possono essere ideali, nei "dosaggi" indicati dal medico, per migliorare le condizioni di cuore e vasi. L'ipertensione, ad esempio, è una malattia che si cura molto bene con lo sport: alcune evidenze indicano che è possibile ridurre la pressione anche di 10 mm Hg praticando regolarmente un'attività fisica, in media attraverso sessioni di allenamento di un'ora per tre volte alla settimana. L'esercizio aerobico è quel che ci vuole anche per chi è obeso o soffre di patologie del metabolismo, dalle iperlipidemie al diabete: in quest'ultimo caso il medico ricorda che è sempre opportuno fare esercizio monitorando la glicemia per evitare di andare in crisi ipoglicemica. Per i diabetici di tipo 2, che sono in genere persone più attempate, sedentarie e con qualche problema di chili di troppo, lo sport aerobico è un grande alleato, perché allena il cuore e tiene sotto controllo il peso: sì quindi a nuoto, corsa, bicicletta, ginnastica, sci di fondo, danza da praticare per 30-60 minuti 3 o 4 volte alla settimana. Meglio evitare invece sport esclusivamente anaerobici, come il sollevamento pesi o attività troppo intense, che possano ridurre drasticamente la glicemia. «Del tutto diverse invece le raccomandazioni per chi soffre di osteoporosi — interviene lo specialista —. In questo caso l'attività fisica serve perché favorisce la deposizione di osso rinforzando lo scheletro, ma il nuoto ad esempio non aiuta: occorre dedicarsi soprattutto alla tonificazione muscolare, il lavoro in palestra con carichi leggeri può essere ideale». Anche chi soffre di mal di testa può giovarsi dell'attività fisica: poiché la maggior parte delle cefalee è muscolo-tensiva, dovuta cioè alla contrazione eccessiva dei muscoli del collo e delle spalle per colpa dello stress o di posture sbagliate, una ginnastica adeguata che aiuti a rilassare e sciogliere queste zone (ad esempio yoga o arti marziali) funziona da vero antidolorifico. C'è uno sport giusto anche per chi soffre di depressione o ansia: il lavoro aerobico, magari in gruppo (come pallavolo, calcio, basket, ma anche la danza), è utilissimo per regalare una buona dose di benessere. «Con l'esercizio fisico, nel cervello si producono endorfine che sono potenti antidepressivi naturali — spiega Beltrami —. Numerosi studi dimostrano che in diversi casi, tramite un buon programma di attività fisica, si riesce a stare bene senza prendere medicinali. Anche in caso di malattie respiratorie l'esercizio non deve essere escluso, anzi: una buona ginnastica respiratoria, che aiuti a espandere la gabbia toracica, associata a un'attività aerobica, può migliorare la funzionalità polmonare di chi soffre di enfisema o asma. Lo sport è utile pure nei pazienti con un tumore: sono ormai innumerevoli i dati che dimostrano come il movimento possa prevenire le ricadute dopo un cancro al colon, al seno, al polmone, alla prostata». Non ci sono controindicazioni per nessuno? «Lo sport è vietato quando la malattia è di grado severo: se c'è un grave scompenso, se un tumore è in una fase di terapia difficile. Ma l'attività fisica fa bene quasi sempre: l'importante, se si soffre di una qualsiasi patologia cronica, è non improvvisare, ma farsi prescrivere l'attività fisica da un medico e praticarla secondo le sue indicazioni — risponde lo specialista —. Come per le terapie a base di farmaci, il vero problema dello sport come medicina è l'aderenza alla cura da parte del paziente: perché funzioni davvero l'attività fisica deve essere praticata in modo costante e regolare, con sedute di durata prefissata dal medico e una cadenza come minimo bi- o trisettimanale. Fare sport una volta alla settimana serve a poco o nulla. Se però riusciamo a convincere i pazienti ad allenarsi almeno per un pò con assiduità i risultati si fanno vedere ed è più probabile che poi si perseveri nell'esercizio: il benessere che i pazienti provano è indiscutibile, per cui continuano e sono entusiasti» conclude Beltrami. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 Mag. ’13 NUOVA SARS, ALLERTA OMS «IN ITALIA NESSUN CONTAGIO» Nel giorno in cui si registrano un altro caso di «nuova Sars» in Francia e due decessi negli Emirati Arabi Uniti, l'Organizzazione mondiale della Sanità ha lanciato l'allerta nei confronti del coronavirus responsabile delle infezioni. Ma il ministero della Salute tranquillizza: «In Italia nessun contagio». Il virus si è diffuso negli Emirati e finora ha infettato oltre 30 persone, causando 18 vittime. Anche il nuovo malato segnalato in Francia è stato contagiato a partire dallo stesso focolaio: si tratta di una persona che alla fine di aprile aveva condiviso la stanza di ospedale a Valencienne con il primo francese infettato, un uomo di 65 anni di ritorno da Dubai. Ora tutti e due sono ricoverati in un centro specializzato a Lille. In Europa c'erano già stati altri casi in Gran Bretagna e in Germania. Il nuovo coronavirus, individuato l'anno scorso in Medio Oriente, fa parte della famiglia della Sars, l'infezione respiratoria che nel 2003 causò 775 morti. In questo caso, però, la malattia desta minori preoccupazioni e il contagio è comunque ridotto: «Gli ultimi casi fanno capire che passa attraverso un contatto stretto fra persone come i familiari», spiega Gianni Rezza dell'Istituto Superiore di Sanità. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Mag. ’13 TUMORI CHI È PIÙ ESPOSTO E PERCHE'? COME PREVENIRLI? a cura di MARIO PAPPAGALLO 1 Perché alcune donne rischiano più di altre? A causa di un'ereditarietà, spiega la genetista dell'università di Firenze Laura Papi, che riguarda il 5-10% dei casi. Se uno dei genitori presenta una mutazione nei geni coinvolti nell'insorgenza di un determinato tumore, i figli possiedono il 50% di probabilità di ereditare quella mutazione. I tumori ereditari della mammella possono essere associati a mutazioni in geni che conferiscono un alto rischio (Brca-1, Brca-2, Tp53) o un rischio moderato (Check-2, Pten, Atm). Le sindromi ereditarie da Brca-1 e 2 possono presentare nell'albero genealogico solo casi di carcinoma della mammella, o di mammella e ovaio, o meno frequentemente casi di solo ovaio. 2 Come si individuano queste donne a rischio genetico? L'American society of clinical oncology (Asco) ha individuato alcuni criteri per sospettare l'ereditarietà in tre generazioni: presenza di più di due casi di neoplasia mammaria e uno o più casi di tumore dell'ovaio; presenza di più di tre casi di carcinoma mammario prima dei 50 anni; presenza di una coppia di sorelle che abbiano manifestato prima dei 50 anni entrambe una neoplasia mammaria, o entrambe una neoplasia ovarica, o una sorella una neoplasia mammaria e l'altra una neoplasia ovarica. Poi: una precoce età di insorgenza del tumore; la bilateralità della malattia; la comparsa sia del carcinoma al seno sia dell'ovaio nella stessa persona a qualsiasi età. Più raro: un tumore della mammella in un maschio della famiglia. 3 Quanto costa il test genetico? In Italia tra i 1.500 e i 1.800 euro, a carico del servizio sanitario nazionale. Si fa quando c'è il sospetto di un'ereditarietà. Negli Usa è a pagamento: circa 2.500 dollari per il primo componente della famiglia, intorno ai 300 dollari per gli altri. Il risultato si ha nell'arco di un mese. La consulenza genetica può essere attivata non solo per i familiari, ma anche per le pazienti stesse: la presenza di una mutazione dei geni Brca-1 e Brca-2 determina un alto rischio di seconda neoplasia. 4 Se ci sono le mutazioni, di quanto aumenta il rischio? Le donne portatrici dei geni mutati corrono un rischio tra il 50-85% di sviluppare un carcinoma della mammella, del 40-60% di sviluppare anche un carcinoma della mammella controlaterale e tra il 15% e il 45% di un carcinoma ovarico. Senza, il rischio è del 10%. 5 Quante sono le donne con questa ereditarietà? Dall'8 al 10%. Le ebree ashkenazite sono molto più portatrici delle altre donne del gene Brca-1. 6 Quali sono le strategie di prevenzione? Una è la mastectomia preventiva bilaterale. Spiega Alberto Luini, chirurgo senologo: «Si esegue una mastectomia bilaterale con rimozione completa del parenchima mammario, con o senza asportazione del rivestimento cutaneo delle mammelle. Resta un 5% della ghiandola mammaria. È una procedura drastica, va considerata solo in donne portatrici di entrambe le mutazioni, Brca-1 e Brca-2, e molto motivate». Anche l'asportazione bilaterale delle ovaie dovrebbe essere proposta alle donne con entrambe le mutazioni. La mastectomia bilaterale ha un'efficacia del 90% nel prevenire il carcinoma. 7 Quali sono invece i controlli a cui sottoporsi? Nei soggetti ad alto rischio è opportuno adottare programmi di sorveglianza che inizino a 25 anni, e a intervalli brevi (massimo 6 mesi) tra un controllo e l'altro. Di volta in volta, a cadenze diverse, ecografia, mammografia, risonanza magnetica. Anche dopo la chirurgia preventiva la sorveglianza deve continuare, con ecografie e risonanze. 8 E se il test, in un soggetto sospetto, risulta negativo? La negatività del test genetico per le mutazioni Brca-1 e 2 non esclude completamente la possibilità che la paziente affetta da una neoplasia mammaria presenti una forma ereditaria: esiste un 25% di casi di tumori al seno familiari legati a geni non ancora identificati, dice Gabriella Sozzi dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano. La positività del test impone invece la necessità di sottoporre all'indagine anche i familiari, per instaurare adeguate misure preventive. 9 In quante chiedono la mastectomia preventiva? In Italia la percentuale è molto bassa: meno del mezzo punto percentuale nei centri d'eccellenza. Negli Usa è invece un fenomeno in aumento: secondo uno studio pubblicato nel 2007 sul Journal of clinical oncology, dal 1998 al 2003 è più che raddoppiato. Su 150 mila donne analizzate nello studio, nel 1998 ha richiesto l'asportazione di entrambe le mammelle l'1,8% delle pazienti, ma erano già il 4,5% nel 2003. L'asportazione di un solo seno, invece, è passata dal 4,2% del 1998 all'11% del 2003. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Mag. ’13 TUMORI CHI È PIÙ ESPOSTO E PERCHE'? COME PREVENIRLI? a cura di MARIO PAPPAGALLO 1 Perché alcune donne rischiano più di altre? A causa di un'ereditarietà, spiega la genetista dell'università di Firenze Laura Papi, che riguarda il 5-10% dei casi. Se uno dei genitori presenta una mutazione nei geni coinvolti nell'insorgenza di un determinato tumore, i figli possiedono il 50% di probabilità di ereditare quella mutazione. I tumori ereditari della mammella possono essere associati a mutazioni in geni che conferiscono un alto rischio (Brca-1, Brca-2, Tp53) o un rischio moderato (Check-2, Pten, Atm). Le sindromi ereditarie da Brca-1 e 2 possono presentare nell'albero genealogico solo casi di carcinoma della mammella, o di mammella e ovaio, o meno frequentemente casi di solo ovaio. 2 Come si individuano queste donne a rischio genetico? L'American society of clinical oncology (Asco) ha individuato alcuni criteri per sospettare l'ereditarietà in tre generazioni: presenza di più di due casi di neoplasia mammaria e uno o più casi di tumore dell'ovaio; presenza di più di tre casi di carcinoma mammario prima dei 50 anni; presenza di una coppia di sorelle che abbiano manifestato prima dei 50 anni entrambe una neoplasia mammaria, o entrambe una neoplasia ovarica, o una sorella una neoplasia mammaria e l'altra una neoplasia ovarica. Poi: una precoce età di insorgenza del tumore; la bilateralità della malattia; la comparsa sia del carcinoma al seno sia dell'ovaio nella stessa persona a qualsiasi età. Più raro: un tumore della mammella in un maschio della famiglia. 3 Quanto costa il test genetico? In Italia tra i 1.500 e i 1.800 euro, a carico del servizio sanitario nazionale. Si fa quando c'è il sospetto di un'ereditarietà. Negli Usa è a pagamento: circa 2.500 dollari per il primo componente della famiglia, intorno ai 300 dollari per gli altri. Il risultato si ha nell'arco di un mese. La consulenza genetica può essere attivata non solo per i familiari, ma anche per le pazienti stesse: la presenza di una mutazione dei geni Brca-1 e Brca-2 determina un alto rischio di seconda neoplasia. 4 Se ci sono le mutazioni, di quanto aumenta il rischio? Le donne portatrici dei geni mutati corrono un rischio tra il 50-85% di sviluppare un carcinoma della mammella, del 40-60% di sviluppare anche un carcinoma della mammella controlaterale e tra il 15% e il 45% di un carcinoma ovarico. Senza, il rischio è del 10%. 5 Quante sono le donne con questa ereditarietà? Dall'8 al 10%. Le ebree ashkenazite sono molto più portatrici delle altre donne del gene Brca-1. 6 Quali sono le strategie di prevenzione? Una è la mastectomia preventiva bilaterale. Spiega Alberto Luini, chirurgo senologo: «Si esegue una mastectomia bilaterale con rimozione completa del parenchima mammario, con o senza asportazione del rivestimento cutaneo delle mammelle. Resta un 5% della ghiandola mammaria. È una procedura drastica, va considerata solo in donne portatrici di entrambe le mutazioni, Brca-1 e Brca-2, e molto motivate». Anche l'asportazione bilaterale delle ovaie dovrebbe essere proposta alle donne con entrambe le mutazioni. La mastectomia bilaterale ha un'efficacia del 90% nel prevenire il carcinoma. 7 Quali sono invece i controlli a cui sottoporsi? Nei soggetti ad alto rischio è opportuno adottare programmi di sorveglianza che inizino a 25 anni, e a intervalli brevi (massimo 6 mesi) tra un controllo e l'altro. Di volta in volta, a cadenze diverse, ecografia, mammografia, risonanza magnetica. Anche dopo la chirurgia preventiva la sorveglianza deve continuare, con ecografie e risonanze. 8 E se il test, in un soggetto sospetto, risulta negativo? La negatività del test genetico per le mutazioni Brca-1 e 2 non esclude completamente la possibilità che la paziente affetta da una neoplasia mammaria presenti una forma ereditaria: esiste un 25% di casi di tumori al seno familiari legati a geni non ancora identificati, dice Gabriella Sozzi dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano. La positività del test impone invece la necessità di sottoporre all'indagine anche i familiari, per instaurare adeguate misure preventive. 9 In quante chiedono la mastectomia preventiva? In Italia la percentuale è molto bassa: meno del mezzo punto percentuale nei centri d'eccellenza. Negli Usa è invece un fenomeno in aumento: secondo uno studio pubblicato nel 2007 sul Journal of clinical oncology, dal 1998 al 2003 è più che raddoppiato. Su 150 mila donne analizzate nello studio, nel 1998 ha richiesto l'asportazione di entrambe le mammelle l'1,8% delle pazienti, ma erano già il 4,5% nel 2003. L'asportazione di un solo seno, invece, è passata dal 4,2% del 1998 all'11% del 2003. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Mag. ’13 SCLEROSI MULTIPLA ECCO UN NUOVO FARMACO PER RIDURRE I DANNI AI TESSUTI DEL CERVELLO Più della metà delle persone con sclerosi multipla lamenta in genere rallentamento decisionale, scarsa attenzione, ridotta memoria, difficoltà ad organizzare la propria giornata. Per tutte queste persone ora c'è una speranza in più di limitare il tasso di perdita di tessuto cerebrale, che appare più accelerato negli individui malati rispetto ai sani della stessa età che pure fanno rilevare perdite progressive. Secondo quanto riportato al Congresso dell'American Academy of Neurology (Aan) il trattamento con “fingolimod”, approvato per la terapia utilizzata nelle forme recidivanti di sclerosi multipla, ha ridotto in modo significativo e costante (come confermato da vari studi) il tasso di perdita di volume cerebrale. La perdita di volume cerebrale è una conseguenza della sclerosi multipla ed è un indicatore chiave della progressione della malattia. «E l'atrofia cerebrale porta da un lato alla perdita di autonomia, dall'altro all'alterazione delle funzioni cognitive», come ha spiegato Francesco Patti, professore di Neurologia all'Università di Catania e Responsabile del Centro Sclerosi Multipla del Policlinico di Catania. ( fe.me. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Mag. ’13 Sarà operativo entro un anno e mezzo PRIMI PASSI DEL REGISTRO REGIONALE con diagnosi e schede dei tumori Faa: adesso i dati stanno arrivando L'assessore alla Sanità, Simona De Francisci, lo aveva promesso: il Registro regionale dei tumori si farà. Impegno assolto: nei giorni scorsi ha eliminato gli ostacoli che ne bloccavano il decollo. Li aveva denunciati Gavino Faa, ordinario di Anatomia patologica all'Università di Cagliari, che tre anni fa aveva ricevuto dall'assessore Liori l'incarico di predisporre il Registro. Ma il suo attivismo si era scontrato con i funzionari dell'assessorato che non fornivano i dati. Tant'è che il docente aveva minacciato di dimettersi. Non ce n'è stato bisogno: «L'assessore ha promosso per tempo una riunione, cui ho partecipato anch'io», spiega il professore «e ora i dati stanno arrivando». Lei lamentava la mancata consegna delle Diagnosi ospedaliere e delle schede di dimissioni. «Ora stanno cominciando a inviarcele: un grande passo avanti, che ci consente di lavorare bene. E di questo sono grato all'assessore De Francisci». Schede con nomi e cognomi, come lei chiedeva? «Sì, non più anonime. Proprio di questo avevamo bisogno» Quando si completerà la consegna dei dati? «L'importante è che, dopo 3 anni, abbiamo iniziato. Non ho mai chiesto di averli tutti subito». Si riferiscono a Cagliari e Oristano? «Ho l'incarico di predisporre il Registro regionale: ora ci stiamo occupando di Cagliari, Oristano, Iglesias e Carbonia». Perché i numeri di Sassari e Nuoro ci sono da tempo. «A Sassari il registro esiste da oltre 20 anni, a Nuoro dal 2010». Ora dovrete assemblarli tutti. «Si creerà una sorta di confederazione dei registri locali, dai quali nascerà il Registro regionale». Quando sarà operativo? «Entro un anno e mezzo, circa».( l.s. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 Mag. ’13 TUMORI AL SENO: GLI ESPERTI: CASI IN CRESCITA Ogni anno vengono diagnosticati in Sardegna quasi 1.500 tumori al seno, un'incidenza elevata che può essere contrastata attraverso la prevenzione e l'istituzione di una rete tra oncologi e medici di base. È stato questo il tema al centro del convegno “Il tumore della mammella: dalla prevenzione al supporto”, che si è svolto ieri alla Cittadella Universitaria di Monserrato, organizzato dall'Azienda Ospedaliero- Universitaria e dall'Ordine dei Medici. «Il nostro obiettivo è trovare nel medico di famiglia un alleato con il quale instaurare un confronto paritario di cooperazione nella prevenzione, nel percorso diagnostico- terapeutico e nel supporto della paziente», spiega Maria Teresa Ionta, direttore dell'oncologia medica dell'Aou. La nuova frontiera della terapia di supporto non si basa solo sui farmaci: «Anche le associazioni di volontariato ricoprono un ruolo fondamentale, attraverso l'informazione e un supporto “ludico” determinanti per pazienti e familiari». Sono in totale 13 mila le donne che nell'Isola hanno avuto una diagnosi di tumore al seno. La fascia di età di maggiore incidenza è quella che va dai 50 ai 69 anni e che attualmente beneficia dello screening gratuito. I dati recenti mostrano un incremento dei tumori anche in donne più giovani, un riscontro che induce a riflettere sulla necessità di estensione del target, almeno a partire dai 45 anni. I medici di base potrebbero avere un ruolo determinante nella sensibilizzazione, considerato che nel 2012, a fronte di un invito allo screening della Asl c'è stata un'adesione inferiore al 38%. Un contributo importante nella lotta contro il cancro potrebbe arrivare anche dall'istituzione del Registro Tumori. «Abbiamo finalmente ottenuto tutte le schede di diagnosi ospedaliera dei residenti dei Comuni intorno all'area di Quirra», annuncia il professor Gavino Faa, presidente del Registro. Secondo Faa «i dati epidemiologici sono fondamentali per valutare l'incidenza e pianificare azioni mirate di prevenzione». Vanessa Usai _____________________________________________________________ Sanità News 16 Mag. ’13 UN BATTERIO PER CONTRASTARE L’OBESITA’ Ricercatori dell'universita cattolica di Lovanio in Belgio hanno scoperto nell'intestino la risposta alla lotta contro l'obesita' e al diabete di tipo 2. Si tratta di un batterio, l'Akkermansia muciniphila, che nei topi si e' dimostrato in grado di ridurre l'assorbimento del cibo. Il batterio modifica la struttura che 'fodera' l'intestino, aumentandone lo spessore. In questo modo si frappone una barriera tra il cibo e i villi intestinali che assorbono le sostanze nutriente. Secondo la ricerca pubblicata su Pnas, Proceedings of the Nationale Academy of Science, i topi nutriti con un brodo contenete il batterio ha ridotto l'obesita' delle cavie e la resistenza all'insulina (che regola l'assorbimento degli zuccheri), causa del diabete di tipo 2. Lo 'Akkermansia muciniphila', che normalmente rappresenta tra il 3 e il 5% dei milioni di batteri presenti nell'intestino umano, si trova in quantita' ridotte nelle persone obese. Proprieta' che debbono pero' debbono ancora essere confermate sull'uomo Cross-talk between Akkermansia muciniphila and intestinal epithelium controls diet-induced obesity Abstract Obesity and type 2 diabetes are characterized by altered gut microbiota, inflammation, and gut barrier disruption. Microbial composition and the mechanisms of interaction with the host that affect gut barrier function during obesity and type 2 diabetes have not been elucidated. We recently isolated Akkermansia muciniphila, which is a mucin-degrading bacterium that resides in the mucus layer. The presence of this bacterium inversely correlates with body weight in rodents and humans. However, the precise physiological roles played by this bacterium during obesity and metabolic disorders are unknown. This study demonstrated that the abundance of A. muciniphila decreased in obese and type 2 diabetic mice. We also observed that prebiotic feeding normalized A. muciniphila abundance, which correlated with an improved metabolic profile. In addition, we demonstrated that A. muciniphila treatment reversed high-fat diet-induced metabolic disorders, including fat-mass gain, metabolic endotoxemia, adipose tissue inflammation, and insulin resistance. A. muciniphila administration increased the intestinal levels of endocannabinoids that control inflammation, the gut barrier, and gut peptide secretion. Finally, we demonstrated that all these effects required viable A. muciniphila because treatment with heat-killed cells did not improve the metabolic profile or the mucus layer thickness. In summary, this study provides substantial insight into the intricate mechanisms of bacterial (i.e., A. muciniphila) regulation of the cross- talk between the host and gut microbiota. These results also provide a rationale for the development of a treatment that uses this human mucus colonizer for the prevention or treatment of obesity and its associated metabolic disorders. _____________________________________________________________ Sanità News 14 Mag. ’13 IDENTIFICATA UNA PROTEINA IN GRADO DI RINGIOVANIRE IL CUORE Un team di ricercatori dell'Harvard Stem Cell Institute ha identificato una proteina, la GDF-11, in grado di indebolire gli effetti negativi dell'eta' sulla salute del cuore. La proteina è stata iniettata in topi anziani che avevano sviluppato pareti cardiache sottili in maniera simile a come accade negli esseri umani in eta' avanzata ed e' riuscita a ridurre taglia e sottigliezza del cuore, recuperando le caratteristiche di un cuore più giovane. "Attraverso i risultati del nostro studio - hanno spiegato gli autori Richard T. Lee e Amy Wagers sulla rivista Cell - siamo stati in grado di dimostrare che una proteina che circola nel sangue e' correlata ai processi di invecchiamento associati alle disfunzioni cardiache dell'eta'. Iniettando questa proteina nel corpo di topi anziani, siamo stati capaci di invertire l'invecchiamento cardiaco in un periodo di tempo estremamente breve. Una scoperta straordinaria ed eccitante che apre una nuova finestra di ricerca su una delle piu' comuni forme di patologia cardiaca" Summary The most common form of heart failure occurs with normal systolic function and often involves cardiac hypertrophy in the elderly. To clarify the biological mechanisms that drive cardiac hypertrophy in aging, we tested the influence of circulating factors using heterochronic parabiosis, a surgical technique in which joining of animals of different ages leads to a shared circulation. After 4 weeks of exposure to the circulation of young mice, cardiac hypertrophy in old mice dramatically regressed, accompanied by reduced cardiomyocyte size and molecular remodeling. Reversal of age-related hypertrophy was not attributable to hemodynamic or behavioral effects of parabiosis, implicating a blood- borne factor. Using modified aptamer-based proteomics, we identified the TGF-? superfamily member GDF11 as a circulating factor in young mice that declines with age. Treatment of old mice to restore GDF11 to youthful levels recapitulated the effects of parabiosis and reversed age-related hypertrophy, revealing a therapeutic opportunity for cardiac aging. _____________________________________________________________ Sanità News 14 Mag. ’13 CON LA DIETA MOLECOLARE SI PUO’ MANGIARE SENZA PENSARE ALLE CALORIE La nuova frontiera delle teorie dietetiche e degli studi in materia di nutrizione si chiama 'dieta molecolare'. Secondo questo approccio non è necessario limitare le calorie e gli alimenti con lo scopo di perdere peso perchè basterebbe scegliere accuratamente le molecole contenute nei cibi che assumiamo. Ad illustrare i dettagli della dieta molecolare è stato Pier Luigi Rossi dell'Università di Bologna, in occasione del recente congresso nazionale della Sime, Società italiana di medicina estetica. Qual è l’assunto della dieta molecolare? Carboidrati, grassi, proteine, vitamine, acqua e sali minerali – tutte le molecole contenute negli alimenti - interagiscono con il Dna e stimolano l’organismo a mettere peso o a perderlo agendo direttamente sull’attività dei geni. In funzione di questo processo seguire una dieta molecolare significa non dare peso alle calorie, quanto alla composizione molecolare di un piatto e al modo in cui le varie molecole influenzano l’azione di tre ormoni- chiave: insulina, cortisolo, glucagone. Un modello dietetico molecolare tende, quindi, a tenere sotto controllo gli sbalzi dellaglicemia - perché un aumento della glicemia provoca un aumento dell’insulina, che gioca un ruolo chiave nell’accumulo di grasso - ad attivare il glucagone, meglio noto come l’ormone del digiuno che favorisce il mantenimento nella norma dei livelli di insulina e glicemia, e infine a limitare l’aumento dei valori del cortisolo, l’ormone dello stress che può influenzare negativamente l’equilibrio e le funzioni intestinali.L’approccio molecolare ha avuto negli ultimi tempi una grande diffusione tra i nutrizionisti e molti ormai hanno abbandonato il tradizionale calcolo delle calorie di una pietanza in favore di una valutazione molecolare degli elementi contenuti nel piatto. E scegliere quali alimenti portare in tavola e il modo migliore per cucinarli si rivela anche un’efficace strategia per prevenire e combattere la temuta cellulite. In tutti gli alimenti è possibile calcolare la quantità dei cosiddetti Ages (advanced glycation end products), molecole tossiche che si formano a seguito di diversi tipi di cottura e possono danneggiare i tessuti connettivi. E allora, ecco che la pasta, la crosta di pane bianco, la carne arrosto, il latte UHT oppure fresco, ma bollito, i dolci preparati al forno, i dolcificanti e le bevande light sono tutti pieni di Ages. Al contrario, le verdure, il latte fresco pastorizzato, i cibi cotti a fuoco lento oppure al vapore ne contengono di meno. Gli esperti spiegano che queste molecole sono particolarmente aggressive nei confronti deirecettori delle membrane cellulari dei fibroblasti, ma anche nei confronti del collagene e degli adipociti. Questa azione rende più fragile il tessuto connettivo e la pelle maggiormente vulnerabile alla formazione di depositi di grasso. _____________________________________________________________ Le Scienze 13 Mag. ’13 LE SIGARETTE ELETTRONICHE AIUTANO REALMENTE A SMETTERE DI FUMARE? Pur essendo sul mercato da una decina di anni, finora l'efficacia delle sigarette elettroniche non era mai stata sottoposta al vaglio di una sperimentazione controllata. Ma sono in arrivo i primi risultati di studi scientifici, che potrebbero offrire nuove speranze per combattere una dipendenza tra le più difficili da Tutti sanno che le sigarette fanno male. Eppure fumano 45 milioni di americani [e circa 15 milioni e mezzo di italiani, N.d.t.*] , un'abitudine che riduce di un decennio la speranza di vita e provoca cancro e malattie cardiache e polmonari. Quasi il 70 per cento dei fumatori vuole smettere, ma nonostante le conseguenze mortali, la stragrande maggioranza di loro non ce la fa: ci riesce davvero meno del 10 per cento dei fumatori. Anche con un supporto psicologico e l'uso di farmaci approvati dalla US Food and Drug Administration, come il cerotto alla nicotina e farmaci non nicotinici, il 75 per cento dei fumatori accende di nuovo la sigaretta entro un anno. "Abbiamo bisogno di trattamenti più efficaci, perché quelli attuali semplicemente non funzionano molto bene", dice Jed Rose, direttore del Duke Center for Smoking Cessation. Per trovare terapie che aiutino davvero a smettere, i ricercatori tentano combinazioni di farmaci esistenti, guardano al ruolo della genetica nella dipendenza, e usano i social media come piattaforma di consulenza. Ora, però un nuovo metodo per smettere di fumare potrebbe essere approvato entro l'anno: le sigarette elettroniche, che esistono da una decina di anni, ma solo di recente sono state oggetto di sperimentazioni per testarne l'efficacia. La morsa della dipendenza Il fumo stimola e contemporaneamente rilassa il corpo. Pochi secondi dopo l'inalazione, la nicotina raggiunge il cervello e si lega ai recettori delle cellule nervose, inducendole a rilasciare una marea di dopamina e di altri neurotrasmettitori che si riversano sui centri del piacere. Ancora qualche tiro e aumentano frequenza cardiaca e concentrazione. L'effetto, però, non dura a lungo, inducendo i fumatori a tirare un'altra boccata di fumo. Col tempo, il numero di recettori nicotinici aumenta, e con essi la necessità di fumare di nuovo per ridurre sintomi da astinenza comel'irritabilità. Inoltre, il fumo si lega a comportamenti o stati d'animo quotidiani: bere un caffè o un attimo di noia, per esempio, possono innescare anche il desiderio di accendere per una sigaretta, rendendo difficile liberarsi dal vizio. Le e-cig a forma di sigaretta sono solo uno dei molti modelli tra cui scegliere il più adeguato alle proprie abitudini di fumo (crediti Wikimedia Commons)Le terapie più comuni aiutano gli utenti a svezzarsi gradualmente dall'abitudine del fumo o ad arginare la compulsione ad accendere la sigaretta ricorrendo a cerotti o gomme da masticare alla nicotina. Sono disponibili anche due farmaci non nicotinici: la formulazione a rilascio prolungato dell'antidepressivo bupropione riduce il desiderio e la vareniclina blocca i recettori cerebrali della nicotina, riducendo il flusso di dopamina. Recenti ricerche indicano il motivo per cui i sette farmaci approvati dalla FDA hanno avuto un successo limitato. Per esempio, è stato dimostrato che alcune persone sono geneticamente predisposte ad avere difficoltà a smettere: particolari variazioni in un cluster di geni dei recettori nicotinici (CHRNA5-CHRNA3-CHRNB4) contribuiscono alla dipendenza da nicotina e a diventare forti fumatori. Inoltre, uno studio su più di mille fumatoripubblicato nel 2012 sul “The American Journal of Psychiatry” ha scoperto che le persone con questi geni non smettono facilmente da sole, mentre chi non è portatore di queste varianti geniche è maggiormente in grado di liberarsi dal vizio senza farmaci. Nuove ricerche suggeriscono inoltre che i due sessi rispondono in modo diverso ai farmaci. Rose e colleghi hanno scoperto che la somministrazione di una combinazione di bupropione e vareniclina alle persone che hanno applicato un cerotto alla nicotina per una settimana ha aumentato il tasso di cessazione del fumo – fra gli utenti del cerotto – dal 19,6 al 50,9 per cento, ma solo negli uomini. "Non sappiamo perché l'effetto appaia limitato ai fumatori maschi", dice Rose. "A poco a poco stiamo iniziando a imparare come adattare il trattamento al sesso, alla risposta rapida ai cerotti alla nicotina, e ai marcatori genetici." Nuove speranze terapeutiche Una ragione dello scarso successo dei trattamenti alla nicotina può essere che non affrontano un aspetto cruciale del consumo di sigarette: i segnali che spingono a fumare. Per questo le sigarette elettroniche stanno diventando una valida alternativa per coloro che cercano di smettere. Gli utenti delle sigarette elettroniche inalano dosi di nicotina vaporizzata da dispositivi a batteria che sembrano sigarette. Secondo uno studio del 2010 pubblicato sul “Journal of Public Health Policy”, i livelli di sostanze cancerogene nel vapore delle sigarette elettroniche sono circa un millesimo di quelli presenti nel fumo di sigaretta. Stando all'aneddotica, questi dispositivi, sul mercato da circa un decennio, aiutano i fumatori a smettere. Eppure, non ci sono molte ricerche scientifiche che suffraghino questa pretesa, e i gadget non sono regolamentati come farmaci. (Nel 2010 un tribunale ha frustrato il tentativo della FDA di classificare le sigarette elettroniche come "dispositivi per la somministrazione di farmaci.") "Non sappiamo se sono altrettanto efficaci delle terapie di sostituzione della nicotina esistenti", dice David Abrams, direttore esecutivo dello Schroeder Institute for Tobacco Research and Policy Studies, un ente senza fini di lucro, ed ex direttore dell'Ufficio studi sul comportamento dei National Institutes of Health. Ma le cose sono destinate a cambiare. Quest'anno sarranno pubblicati due studi sulle sigarette elettroniche. Il primo è una ricerca su 300 fumatori effettuata in Italia. Si tratta del follow-up di un analogo studio in cui, dopo sei mesi, 22 su 40 fumatori irriducibili avevano smesso o ridotto il consumo di sigarette di oltre la metà. Nove hanno rinunciato del tutto alle sigarette, mentre 6 hanno continuato con le sigarette elettroniche [comunemente chiamante anche e-cig, N.d.t.]). I risultati del secondo e più ampio studio sono attualmente in fase di peer review. È' interessante notare, spiega il ricercatore Riccardo Polosa dell'Università di Catania. in Italia, che anche un gruppo di controllo di fumatori che hanno usato una sigaretta elettronica senza nicotina ha mostrato un calo significativo nel consumo di tabacco, sia pure inferiore a quello di quanti avevano usato e-cig alla nicotina. Questo declino, dice, "suggerisce che la dipendenza dalla sigaretta non sia solo una questione di nicotina, ma che sono coinvolti anche altri fattori ", come la necessità di alleviare lo stress o attività che inducono i fumatori a prendere in mano una sigaretta. Una ricerca attualmente in corso in Nuova Zelanda su 657 fumatori mette a confronto sigarette elettroniche e cerotti alla nicotina. Questo primo grande studio randomizzato e controllato per confrontare i prodotti fornirà anche alcune delle prime informazioni sugli effetti collaterali delle sigarette elettroniche, spiega Chris Bullen, che dirige la ricerca condotta presso il National Institute for Health Innovation neozelandese, e pensa di poter fornirne i risultati entro settembre. Nel frattempo, la società inglese CN Creative sta conducendo una campagna per vendere le e-cig come medicina salvavita, sottoponendo la sua nuova generazione di sigarette elettroniche, Nicadex, alle autorità britanniche preposte alla regolamentazione dei farmaci. Se supererà la prova, sarà la prima sigaretta elettronica a poter essere prescritta come terapia sostitutiva della nicotina. La società potrebbe quindi sottoporre le Nicadex all'approvazione della FDA. Nonostante l'ottimismo che circonda i risultati della e-cig, per contrastare con successo l'abitudine al fumo, in molti casi probabilmente sarà necessario ricorrere a un intervento comune in altri trattamenti delle dipendenze: il sostegno psicologico. Nell'odierno mondo digitale, “Facebook, Twitter, SMS e Internet possono essere ottimi modi per dare sostegno", spiega Abrams. Il forum di sostegno on line gratuito della sua organizzazione, BecomeAnEX.org, ha 270.000 membri che accedono alla pagina di Facebook e ad altri social media che aiutano a imparare a vivere senza sigarette. "Questo uso dei social media è ancora agli inizi", dice, "e i ricercatori sono appena cominciando a prenderli sul serio." "Non c'è un unico modo per smettere", dice Abrams. "Il miglioramento dei trattamenti di cui disponiamo ha ancora un lungo cammino da compiere per battere questa gravissima dipendenza e salvare milioni di vite." (La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com il 7 maggio 2013. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 Mag. ’13 SALUTE»POCHE PRECAUZIONI MALATTIE SESSUALI: ADOLESCENTI A RISCHIO Triste primato a Sassari, dove nel 2012 è stato diagnosticato il maggior numero di nuovi casi di infezione da Hiv di Gabriella Grimaldi e Daria Pinna SASSARI Triste primato per Sassari che nel 2012 è stata la città italiana che ha registrato il maggior numero di nuovi casi di Hiv. Ventidue per l’esattezza, quasi due al mese. Un dato su cui riflettere visto che l’infezione causata dal virus responsabile della sindrome da immunodeficienza Aids era quasi finita nell’archivio delle malattie debellate. Invece continua a colpire, con la differenza che per fortuna, con i farmaci a disposizione oggi, raramente l’infezione da Hiv degenera in Aids. Dati allarmanti. Tuttavia dai dati raccolti a Sassari per l’Osservatorio nazionale risulta che le infezioni si verificano ancora. Ad essere mutati radicalmente sono i modi della trasmissione: in tutti i casi diagnosticati il passaggio del virus si è verificato per via sessuale mentre agli esordi di questa epidemia, negli anni Ottanta, la trasmissione avveniva attraverso l’uso promiscuo di siringhe tra i tossicodipendenti. Nella clinica delle Malattie Infettive diretta da Maria Stella Mura lo scorso anno sono stati diagnosticati dunque 22 casi tutti trasmessi per via sessuale (12 con rapporti omosessuali e 10 con rapporti etero). Si trattava di persone dell’età media di 39 anni, cittadini italiani tranne due. In un unico caso si trattava di Aids conclamata, otto invece erano infezioni in uno stadio piuttosto avanzato. Giovani disinformati. «Purtroppo i nuovi casi non accennano a diminuire – commenta la professoressa Mura –. E, anche se l’età media delle persone colpite da virus non è bassissima, è il caso di fare informazione tra i giovani. Infatti non c'è più attenzione ai campanelli d'allarme. Spesso i segnali fisici vengono ignorati – ha segnalato Maria Stella Mura nel corso di un convegno organizzato dalla Fidapa con Bpw Italy sulle malattie sessuali tra i giovani –. In base a quanto emerso da recenti studi, sembra tuttavia consolidarsi l’abbassamento della soglia di percezione della gravità del rischio di contagio Hiv/Aids – continua la Mura – che si palesa attraverso una sorta di “incapacità” dell’informazione di essere interiorizzata da parte degli adolescenti. Si vuole qui intendere che i ragazzi sembrano eludere il problema, pur avendo in partenza, gli strumenti per difendersi. D’altra parte, se negli anni Ottanta la principale via di contagio Hiv/Aids era la tossicodipendenza, si assiste ora a un mutamento del tasso di incidenza per via eterossessuale che potrebbe concretizzarsi, nel caso degli adolescenti, con una malintesa “dimenticanza del preservativo. Constatata l’importanza ricoperta dalla comunicazione, si potrebbe ipotizzare un eventuale intervento proprio nelle scuole del territorio, al fine di gettare le basi per una prima forma di sensibilizzazione nei confronti delle tematiche finora trattate». Infezioni pericolose. Ma da’altra parte quello della trasmissione dell’Hiv non è l’unico pericolo per i ragazzi. Gli adolescenti sono i primi a cadere nella rete di patologie come la Chlamydia, in aumento del 2%, o la sifilide, che sembrava essersi estinta grazie alla scoperta della penicillina, facendo registrare una lenta ma incessante recrudescenza del fenomeno. Le vittime ideali? I ragazzi alla continua ricerca dell'avventura di una sera, incuranti dei rischi e “nemici” del profilattico, ma in compenso irrimediabilmente affascinati dal mondo dello sballo. Sesso e droga, un connubio che moltiplica i rischi, questa è la realtà. «L'uso di sostanze stupefacenti non fa che aggravare le malattie, interferendo anche con l'azione dei farmaci – avverte la psichiatra Liliana Lorettu – . Di particolare interesse è il fatto che la popolazione che assume droghe è sessualmente più attiva e più promiscua di quella che non le assume. Più aumentano le condotte di consumo più sono presenti comportamenti sessuali pericolosi». Droghe e sesso. L’aumento delle tipologie di sostanze assunte corrisponde infatti, alla diminuzione dell’uso del preservativo e alla minore capacità di rifiutare il rapporto se il partner non vuole usare la giusta precauzione. Il problema, secondo l’esperta, sta nella scarsa valutazione del rischio da parte dei giovani, attratti sempre di più dal “proibito”. Rapporti sessuali non protetti fanno scattare l'allarme Chlamydia per i giovani tra i 15 e i 24 anni che, specie in estate, assumono un comportamento a volte spregiudicato, come ha sottolineato Stefania Zanetti, ordinario di Microbiologia. La Chlamydia è un’infezione, che può portare alla sterilità. Nel mirino della malattia finiscono soprattutto i giovani perché hanno abbassato la guardia e che non tengono più conto lella necessità di adottare precauzioni importanti. Ecco perché è fondamentale divulgare le informazioni a scuola e nei luoghi dove i ragazzini si riuniscono. Soltanto così, sottolineano infine gli esperti, sarà possibile evitare le recrudescenza di malattie in molti casi invalidanti che si pensava fossero state debellate anche grazie alla consapevolezza.