RASSEGNA STAMPA 12/06/2011 APPELLO AL MINISTRO: «SERVONO PIÙ DOCENTI» I RETTORI: «NELL’ISOLA SERVONO DOCENTI» BILANCI SU MISURA PER LE UNIVERSITÀ PER LE UNIVERSITÀ BILANCIO UNICO DAL 2014 SE LE RIVISTE DETTANO LA SCIENZA GLI UNIVERSITARI STUDIANO DI PIÙ E 4 SU 10 HANNO UN «LAVORETTO» IN AUMENTO GLI STUDENTI LAVORATORI ATENEI, IL CDA BLOCCA LE ATTIVITÀ COMMERCIALI L'ANCI AIUTA I COMUNI IN CUI SONO PRESENTI SEDI UNIVERSITARIE «ULTIMI IN EUROPA» I RAGAZZI BOCCIANO LA RIFORMA LO STATO ACCUSA LE UNIVERSITÀ CHE IMPOVERISCE DISSESTO ANCHE PER GLI ATENEI CARRIERA? LO STAGE? NON È PIÙ UN OPTIONAL IN TURCHIA COME IN ITALIA: ESAMI TRUCCATI ALL'UNIVERSITÀ FONDI UE, ITALIA SOTTO IL PODIO A OGNI CLIC SPORCHI IL PIANETA MERITOCRAZIA E STRATEGIE: RICETTA VINCENTE DALLA CINA ALL'INDIA FACOLTÀ TEDESCHE PIENE DI STRANIERI CITTADINI PIÙ RAZIONALI DEL RE CROLLA UN MITO VERDE: L'AUTO ELETTRICA INQUINA COME QUELLE A BENZINA PER TUVIXEDDU A GIUDIZIO IN SEI L'ICT SARDO HA GRANDI OBIETTIVI ========================================================= I TEST D'INGRESSO PUNTANO SULLA LOGICA NUMERO CHIUSO? PREPARATEVI ONLINE TAMPONI E SEQUI ALL'AZIENDA MISTA AZIENDA MISTA, IL RETTORE POLEMIZZA CONTRO SEQUI POLICLINICO, IL RETTORE CONTESTA LE ULTIME NOMINE «ANATOMIA, MISTRETTA TOLLERÒ DEGENERAZIONI» SANITÀ, UN PIANO PLAGIATO IEO TAGLIA IL RICOVERO: SOLO 12 ORE IN CORSIA PER IL TUMORE AL SENO ZANZARE, CIMICI E TERMITI GLI INSETTI TORNANO IN CITTÀ IN SEI REGIONI LA SANITÀ È SOTTO I «LIVELLI MINIMI» AUTISMO, RICERCHE SARDE APPREZZATE NEGLI USA SAN RAFFAELE, VICINISSIMO IL VIA LIBERA CORDOTOMIA CERVICALE, IN ITALIA SI FA SOLTANTO QUI E A TORTONA IL CERVELLO NON VUOLE RIMPIANTI SIARED FISSA DIECI PUNTI PER LA SICUREZZA IN SALA OPERATORIA CHIUDERE GLI OPG SENZA TOCCARE LA LEGGE BASAGLIA ========================================================= ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 07 giu. ’11 APPELLO AL MINISTRO: «SERVONO PIÙ DOCENTI» La formazione di insegnanti di qualità è un'esigenza non più rimandabile per le Università di Cagliari e Sassari e per il futuro della Sardegna. Lo scrivono in un documento congiunto i rettori dei due Atenei, Giovanni Melis e Attilio Mastino, chiedendo un intervento della Regione per la programmazione e il sostegno per la formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado. All'origine del documento i tagli annunciati dal ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca che di fatto azzereranno per i prossimi tre anni nell'isola la formazione di giovani laureati per l'insegnamento. Saranno autorizzati pochissimi posti soltanto per le graduatorie già esaurite e per il sostegno. «Una situazione che - scrivono i due rettori - avrà per effetto il continuo progressivo invecchiamento del corpo docente, la demotivazione e l'allontanamento dall'insegnamento dei giovani migliori, a causa della chiusura dei percorsi formazione di insegnanti per la scuola secondaria». ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 07 giu. ’11 I RETTORI: «NELL’ISOLA SERVONO DOCENTI» Un documento congiunto di Attilio Mastino e Giovanni Melis sulla crisi della scuola CAGLIARI. La formazione d’insegnanti di qualità è un’esigenza non più rimandabile per le Università di Cagliari e Sassari e per il futuro della Sardegna. Lo scrivono in un documento congiunto i rettori dei due Atenei, Giovanni Melis e Attilio Mastino, chiedendo un intervento della Regione per la programmazione e il sostegno per la formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado. Obiettivi particolarmente rilevanti in Sardegna, fortemente condizionata dall’insularità e dalle difficoltà di collegamenti. All’origine del documento i tagli annunciati dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che di fatto azzereranno per i prossimi tre anni nell’isola la formazione di giovani laureati per l’insegnamento. Saranno autorizzati pochissimi posti soltanto per le graduatorie già esaurite e per il sostegno. «Una situazione che - scrivono i due rettori - avrà per effetto il progressivo invecchiamento del corpo docente, la demotivazione e l’allontanamento dei giovani migliori a causa della chiusura dei percorsi formazione di insegnanti per la scuola secondaria. Con la conseguenza di far pagare alle giovani generazioni errori di politica del personale degli anni decorsi, i cui effetti si vedono poi anche nei risultati di apprendimento degli studenti». «Per questo, concludono Melis e Mastino, è necessaria un’inversione di rotta per ripristinare una fisiologia nel turnover di insegnanti che consenta di immettere nella scuola docenti preparati e giovani, non precari e non pendolari in fuga». __________________________________________________________________ Italia Oggi 8 Giu. ’11 BILANCI SU MISURA PER LE UNIVERSITÀ DI LUIGI CRIARELLO In preconsiglio un dlgs sulla contabilità Presto le università italiane avranno un apposito sistema di contabilità economico- patrimoniale e analitica. È quanto prevede uno schema di dlgs, ieri al vaglio del preconsiglio in vista del prossimo consiglio dei ministri. Il provvedimento punta dichiaratamente a «garantire trasparenza ed omogeneità dei sistemi e delle procedure contabili» degli atenei e a «consentire l'individuazione della situazione patrimoniale e la valutazione dell'andamento complessivo della gestione» di ogni singola università. Così, il dlgs impone che il nuovo quadro informativo economico- patrimoniale delle università vada a poggiare su tre pilastri: - primo: la redazione di un bilancio unico d'ateneo di previsione annuale autorizzatorio, composto da budget economico e da un budget degli investimenti unico di ateneo; - secondo: il bilancio unico d'ateneo di esercizio, redatto con riferimento all'anno solare. Esso sarà composto da stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa. E sarà corredato da una relazione sulla gestione; - terzo: il bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri enti controllati con o senza titoli partecipativi, qualunque sia la loro forma giuridica. Il nuovo consolidato d'ateneo sarà composto da stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Le università, inoltre, dovranno far fronte ad altre due incombenze: redarre un bilancio preventivo unico d'ateneo non autorizzatorio e stilare un rendiconto unico d'ateneo in contabilità finanziaria. Quindi, il dlgs allo studio del preconsiglio, impone alle università di dotarsi «nell'ambito della propria autonomia, di sistemi e procedure di contabilità analitica, ai fini del controllo di gestione». E, in relazione ai principi contabili da utilizzare, avverte: le università dovranno attenersi ai principi contabili e agli schemi di bilancio stabiliti e aggiornati da un decreto del Miur, elaborato di concerto con il ministro dell'economia e sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane. Decreto, che indica quali principi seguire per procedere al consolidamento e al monitoraggio dei conti delle amministrazioni pubbliche. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 Giu. ’11 PER LE UNIVERSITÀ BILANCIO UNICO DAL 2014 Incentivi per chi anticipa ROMA Bilancio unico per gli atenei dal 1°gennaio 2014. A prevederlo è il decreto attuativo della riforma Gelmini che impone alle università pubbliche di adottare uno schema contabile preventivo e uno consuntivo secondo le regole di contabilità economico- patrimoniale oltre a un consolidato con le uscite degli enti controllati. Il decreto legislativo, che ha superato l'esame del preconsiglio dei ministri di ieri e dovrebbe essere domani sul tavolo di Palazzo Chigi obbliga gli atenei e rinvia a un successivo Dm di Istruzione e Miur la fissazione dei principi contabili e degli schemi di bilancio. Ogni C da dovrà adottare, entro il 31 dicembre, il «bilancio unico di previsione annuale» con l'indicazione del budget e degli investimenti complessivi e quello dei centri di spesa autonomi. In allegato ci sarà un prospetto delle spese articolate in missioni e programmi. Entro 1130 aprile dovrà poi arrivare il «bilancio unico di esercizio» con i risultati di gestione. Tutta la documentazione andrà trasmessa al Miur (e ciò vale anche per le università non statali). Incentivi sotto forma di una quota aggiuntiva del fondo di finanziamento ordinario (Ffo) infme per chi applicherà le nuove regole già dal 2013. Per un plafond che la relazione tecnica stima in 500mila euro. __________________________________________________________________ Corriere della Sera 9 Giu. ’11 SE LE RIVISTE DETTANO LA SCIENZA Il peso di editor e referee su scelte e destino dei ricercatori di GIUSEPPE REMUZZI Non ho più lacrime, dopo tutto quello che abbiamo fatto, a che serve tutto? A niente. E dove va la scienza? Il mio futuro dipende da questo lavoro, mi sento già senza forze.., non voglio leggere, sarà domani». Chi scrive è Carlos, un giovane medico argentino, la lettera che lui non ha il coraggio di leggere è quella dell'editor (da noi si dice direttore) di un grande giornale di medicina. Per capire bisogna conoscere le regole della scienza e quelle che governano le pubblicazioni scientifiche da cui però dipende tutto: carriera, soldi per poter lavorare, successo e molto d'altro. Vediamo: finiti gli esperimenti si prepara un rapporto di quanto è stato fatto e si comincia a pensare al giornale che potrebbe essere interessato a pubblicare i tuoi dati. Ma i giornali non sono tutti uguali. Dei giornali di medicina il Lancet pubblica il 6% dei lavori che riceve, il New England »urna! of Medicine poco più del 4%. Ma come fanno i direttori dei giornali a decidere cosa accettare e cosa no? Per grandi giornali — Nature e Science, per esempio, e poi per la biologia e la medicina Cell, PNAS, l'AMA — la prima decisione la prende il comitato editoriale. La metà dei lavori sottomessi non supera nemmeno questo primo vaglio. Quelli che resistono vengono mandati a esperti del settore, li chiamano «referee» proprio come gli arbitri del calcio. Sono loro che suggeriscono cosa si può pubblicare e cosa no. La chiamano revisione tra pari, chi oggi giudica domani è giudicato. E più si restringe il campo meno esperti ci sono che possano giudicare con cognizione di causa, in certi casi tutto si riduce a una decina di persone che rivedono l'uno il lavoro dell'altro. Più che tra pari è una revisione fra persone in competizione fra loro, protetti da un rigoroso anonimato. È un sistema molto criticato ma siccome nessuno ha saputo inventare niente di meglio si va avanti così. Adesso però le cose potrebbero cambiare. Hidde Ploegh, un grande immunologo olandese che lavora al Mit a Boston, ha avuto il coraggio di scrivere su Nature quello che tutti pensano. Ploegh non ha dubbi, «invece di entrare nel merito di quello che hanno davanti i referee chiedono nuovi esperimenti che non servono quasi mai a cambiare la sostanza del lavoro». Per i giovani è un disastro, i nuovi esperimenti posso richiedere un anno di lavoro e anche di più, chi deve arrivare alla tesi di dottorato aspetta, chi è vicino a trovare un lavoro lo perde e ne va di mezzo anche la carriera dei professori. «Così non va — scrive Ploegh —, dobbiamo istruire i referee a criticare quello che hanno di fronte e dare suggerimenti per migliorare, ma non a chiedere agli autori di fare un secondo lavoro». C'è persino il rischio che ci sia qualcosa di perverso in questi comportamenti, anche i referee sono autori e anche a loro succede di incontrare qualcuno che gli chiede un sacco di lavoro in più per niente. E allora perché continuano a farlo? Mah forse perché «così fan tutti» o per togliersi la soddisfazione di infliggere agli altri quello che hanno patito loro. Così però si uccide la scienza e si fa un pessimo servizio agli ammalati. E gli editor dei giornali dove sono? Se c'è differenza di opinioni invece di prendere loro una posizione mandano il lavoro a altri referee, si arriva a quattro o cinque dice Ploegh (anche sei o sette dico io, ma come si fa a mettere d'accordo sei persone?). E gli autori dei lavori? La parola d'ordine è compiacere i referee, sempre e comunque. Sono soldi sprecati e tempo perso, ma guai a dirlo. La settimana dopo Nature risponde con grande fair play: «Abbiamo tutti una lezione da imparare dalle accuse di Ploegh». A Carlos, il ragazzo dell'inizio di questa storia, sembrava essere andato tutto bene: tre referee di un grande giornale, tutti e tre favorevoli. Uno però vuole introdurre certe sofisticazioni statistiche, eleganti ma di poco interesse pratico. Sono sei mesi di lavoro senza che le conclusioni dello studio cambino di una virgola, ma il manoscritto è più elegante adesso. Carlos è raggiante. Ma ha fatto i Conti senza l'oste (o meglio senza l'editor). Che si è molto compiaciuto del lavoro fatto, ma poi ha sentito altri referee, diversi da quelli di prima. La lettera che Carlos non voleva leggere subito dice: «Questo lavoro è bello, e anche importante per gli ammalati ma la statistica è troppo complicata, nonio possiamo proprio pubblicare, sorry». __________________________________________________________________ Il Manifesto 8 Giu. ’11 GLI UNIVERSITARI STUDIANO DI PIÙ E 4 SU 10 HANNO UN «LAVORETTO» Quattro studenti su dieci lavorano, ma salgono a sei se la famiglia è debole economicamente. Tutti studiano di più e anche se la crisi morite, la laurea viene sempre considerata un «ascensore sociale». È stato presentato ieri la «Sesta Indagine Eurostudent sulle condizioni di vita e di studio degli studenti universitari italiani», un rapporto cui contribuiscono 25 paesi europei e realizzato dalla Fondazione Rui in collaborazione con il Miur, che indica dove va il sistema. Vediamo i dati. Si studia di più - in termini di tempo - ed è più ampia la fetta di chi si laurea «vivendo a casa», cioè 3 su 4, tendenza cominciata nel 2000. 1139% degli studenti universitari italiani dichiara di avere un «lavoretto», cioè 4 su 10 lavorano e studiano. Studiare è comunque un lavoro da 41 ore alla settimana, sempre secondo l'indagine: era di 32 all'inizio degli anni '90. Chi è fuori sede studia di più, con oltre 42 ore alla settimana, e segue anche di più i corsi universitari. Se l'Istat ha già rilevato che la crisi «ha portato indietro le lancette della crescita di quasi dieci anni», l'indagine Eurostudent racconta poco dell'impatto della crisi, dato che il rapporto si riferisce al solo 2009. Tuttavia, i segnali vengono raccolti: secondo l'indagine, gli stu denti e le loro famiglie non rinunciano a investire in formazione, ma modificano le scelte verso soluzioni compatibili con le risorse disponibili. Come? Scegliendo sedi di studio più vicine, oppure rinunciando al trasferimento - più dispendioso - a favore di una meno costosa mobilità giornaliera. Sempre secondo Eurostudent, il 50,6% degli studenti in Italia è pendolare, confermando una tendenza che si è manifestata fin dall'avvio della riforma. Il pendolarismo viene qui considerato come una vera e propria «strategia di sopravvivenza» adottata dagli studenti, in particolare da chi ha meno mezzi economici e non può permettersi dì fare ìl fuori sede. Ma anche chi studia nella città dì residenza non se la passa benissimo: tre su quattro vivono con le famiglie di origine. Nel 2009, gli studenti che non hanno ricevuto alcuna forma di aiuto economico, hanno speso in media 1.160 euro di tasse universitarie. Per Eurostudent, oltre 6 studenti su 10 non hanno ricevuto nulla. Un segno positivo è che la mobilità internazionale degli studenti (Erasmus e altro) è tornata ai livelli di dieci anni fa, dopo un netto calo segnalato soprattutto per gli studenti del triennio. Dove si va, chi riesce? Paesi anglofoni in testa, seguiti da Spagna e Germania _________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 Giu. ’11 IN AUMENTO GLI STUDENTI LAVORATORI Gli universitari italiani studiano più che in passato, credono ancora nel titolo di "dottore", cercano di raggiungere la laurea per migliorare la propria condizione economica e sociale e quasi il 40% di essi lavora per contribuire alle spese per gli studi. Che sempre più spesso sono completati da un'esperienza all'estero. A fotografare situazioni e tendenze legate alla vita degli iscritti negli atenei nazionali nell'anno accademico 2008-2009, ci ha pensato la "Sesta Indagine Eurostudent sulle condizioni di vita e di studio degli universitari italiani", che ha analizzato alcuni dei principali indicatori internazionali per cercare di capire dove va il nostro sistema universitario anche alla luce delle riforme che ne hanno cambiato il volto. «L'indagine, segnalando le scelte e i comportamenti degli studenti e delle loro famiglie - spiega Giovanni Finocchietti, direttore di Eurostudent e coordinatore della ricerca - mette in luce le aspirazioni .e le aspettative che muovono quelle scelte. Da questa, emerge che nonostante la crisi abbia eroso i risparmi delle famiglie e quindi la capacità di finanziare gli studi dei figli, i ceti meno abbienti continuano ad investire nella formazione universitaria, vedendo nella laurea un veicolo di mobilità sociale. E dove i costi degli studi diventano troppo onerosi, si mettono in atto strategie di sopravvivenza». L'analisi di Eurostudent, che è stata presentata ieri a Roma, è partita proprio dal tempo che i giovani italiani passano sui libri di testo: un tempo che in dieci anni è cresciuto di oltre nove ore settimanali, passando dalle 32 dell'inizio dei primi anni Novanta alle 41 attuali, e che comprende sia lo studio individuale sia le lezioni in aula. Incremento che non dispiace agli universitari: interpellati sulla "sostenibilità" dei corsi di studio e sulla loro qualità, «hanno dato una valutazione esplicitamente positiva rispettivamente nel 43% e nel 61% dei casi». Segnale, secondo l'analisi, che dopo un primo momento di difficoltà dovuto alle novità introdotte dalle riforme Berlinguer e Moratti, tutti gli attori del sistema (studenti e docenti) hanno trovato un buon bilanciamento e una maggiore stabilità rispetto al passato. Scalfita, ma solo in parte, dalla crisi economica, che ha inciso negativamente su questo scenario: gli studenti e le famiglie, infatti, «non rinunciano a investire informazione, ma modificano le scelte verso soluzioni compatibili con le risorse disponibili. Optano a favore di sedi di studio più vicine, anche se di minor prestigio, oppure rinunciano al trasferimento a favore di una meno costosa mobilità giornaliera». Studenti pendolari (nel 50,6% dei casi), e anche lavoratori: proprio per far fronte alle maggiori difficoltà economiche, il 4o per cento degli iscritti negli atenei italiani ha un lavoro che gli consente di non pesare sulla famiglia d'origine, con la quale per altro continua a vivere (è questa la condizione di tre studenti su quattro). Ma per allontanare i sospetti sulla natura "bambocciona" di questi giovani, l'analisi di Eurostudent spiega che il vivere nella casa paterna è una scelta - obbligata - dettata da tre fattori: la diffusione dell'offerta formativa sul territorio, l'ingresso all'università di studenti adulti e l'aumento dei costi degli studi, scoglio insormontabile per molti giovani. Anche perché, contestualmente, sono crollati i sostegni al diritto allo studio: il 64% degli iscritti negli atenei italiani, infatti, non ha mai ricevuto alcun contributo o esenzione. __________________________________________________________________ Italia Oggi 11 Giu. ’11 ATENEI, IL CDA BLOCCA LE ATTIVITÀ COMMERCIALI Il Consiglio di stato limita i casi in cui le università possono agire sul mercato co e operatori economici DI ANDREA MASCOLINI Le Università non possono costituire società commerciali che operino per acquisire contratti da enti pubblici e per erogare servizi contendibili sul mercato, facendo concorrenza ai i soggetti privati; sono legittime soltanto quelle società funzionali al perseguimento dei propri fini istituzionali (ricerca e didattica); le università possono agire come operatori economici sul mercato, ma solo se tale ruolo è strumentale alla ricerca e all'insegnamento o a procacciare risorse da destinare a tali attività istituzionali. È quanto afferma la puntuale e approfondita decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di stato del 3 giugno 2011, n. 10 (relatrice Rosaria De Nictolis), sulla legittimità della costituzione e dell'operato di una società commerciale (di engineering) costituita dall'Università Iuav di Venezia. L'ordinanza di rimessione aveva ritenuto che le Università, aventi finalità di insegnamento e di ricerca, potessero dare vita a società, nell'ambito della propria autonomia organizzativa e finanziaria, solo per il perseguimento dei propri fini istituzionali, e non per erogare servizi contendibili sul mercato. Tale posizione viene totalmente condivisa dall'Adunanza plenaria che, fra le altre cose, richiama l'art. 27, comma 3, della legge n. 244/2007, disposizione che «evidenzia un evidente disfavore del legislatore nei confronti della costituzione e del mantenimento da parte delle amministrazioni pubbliche (ivi comprese le università) di società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dall'ambito delle relative finalità istituzionali, né risulti comunque coperto da disposizioni normative di specie (secondo il modello delle c.d. "società di diritto singolare")». Il Consiglio di stato rileva che una cosa è una società in house, che opera come modulo organizzativo dell'ente pubblico, altra cosa è la costituzione, da parte di un ente pubblico, di una società commerciale che non operi con l'ente socio, ma sul mercato, in concorrenza con operatori privati e accettando commesse sia da enti pubblici che da privati. In quest'ultimo caso sarebbe necessaria «una previsione legislativa espressa, e non può ritenersi consentita in termini generali, quanto meno nel caso in cui l'ente pubblico non ha fini di lucro», come è il caso delle università. Secondo i giudici vige il «divieto per tali istituzioni di istituire società di capitali con scopo meramente lucrativo (le cui finalità, per definizione, esulano dal perseguimento delle tipiche finalità istituzionali)». Vengono ritenute inconferenti anche due norme (l'art. 7, 1. n. 168/1989 e l'art. 66, dpr n. 382/1980) spesso invocate per legittimare l'acquisizione di proventi derivanti da contratti con enti pubblici e privati da parte di università: deve sempre trattarsi di «compatibilità e pertinenza della ricerca e consulenza, rispetto ai fini istituzionali» i contratti devono essere stipulati «tramite le ordinarie strutture dell'Università, non mediante società commerciali». Infine, chiosando la determina dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici n. 7 del 2011, la decisione afferma che le Università possono operare sul mercato non «nei limiti di compatibilità» con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica, ma in limiti di «stretta compatibilità»; in altre parole le università possono anche partecipare a gare pubbliche quale operatore economico ma tale partecipazione deve «giovare al progresso della ricerca e dell'insegnamento, procacciare risorse economiche da destinare a ricerca e insegnamento». __________________________________________________________________ Italia Oggi 11 Giu. ’11 L'ANCI AIUTA I COMUNI, IN CUI SONO PRESENTI SEDI UNIVERSITARIE L'Anci interviene a favore degli studenti attraverso un bando di contributo ad hoc per i comuni universitari. La domanda di aiuto può essere presentata dai comuni che ospitano sul proprio territorio la sede di uno o più corsi di laurea in cui risultano iscritti, per l'anno accademico 2010/2011, complessivamente non meno di mille studenti. Sono molteplici le finalità dei progetti finanziabili, a titolo esemplificativo citiamo l'istituzione di consulte studentesche, tavoli di concertazione territoriale, iniziative di calmieramento delle spese per l'affitto; istituzione di «Agenzie casa» per favorire l'incontro tra domanda e offerta di alloggio; affitto sociale; ampliamento dell'offerta di sale stadio, biblioteche, internet point; messa a disposizione di luoghi condivisi inter-facoltà; agevolazioni nei trasporti pubblici urbani e «carte studente». Le attività progettuali dovranno avere inizio con la sottoscrizione della Convenzione a seguito dell'approvazione del progetto ed essere riferite all'anno accademico 2011/2012 e concludersi entro il 31 dicembre 2012.11 contributo destinato a ciascun progetto non potrà essere superiore a 200 mila euro. Lo stanziamento per questo bando ammonta a 2,45 milioni di euro. La quota di co-finanziamento locale garantita dai comuni e/o dai partners per la realizzazione delle attività non può essere inferiore al 30% del valore complessivo del singolo progetto, pertanto il contributo massimo raggiunge il 70% del progetto. La scadenza del bando è fissata al 1° luglio 2011.11 finanziamento è garantito dal ministero della gioventù, attraverso il «Fondo per le politiche giovanili», istituito con legge n. 248 del 4 agosto __________________________________________________________________ Unità 10 Giu. ’11 «ULTIMI IN EUROPA» I RAGAZZI BOCCIANO IL GOVERNO ANCHE SULL'UNIVERSITÀ «Cerchiamo 110 giovani che frequentano l'Università...». Tutto è nato da un messaggio messo sul sito web del Pd dal responsabile Università e ricerca del partito Marco Meloni. Quelli selezionati si sono ritrovati ieri a Roma, per discutere di quel che vedono e vivono in prima persona. Qualcuno ha anche difeso la legge Gelmini, ma la stragrande maggioranza dei ragazzi e ragazze intervenuti ha raccontato le proprie esperienze per evidenziare i difetti e le ingiustizie di questa riforma. E non solo, visto che l'intero impianto del governo per quel che riguarda gli investimenti pubblici per l'istruzione e il diritto allo studio è stato ampiamente criticato. E a ragione, a giudicare da una serie di ricerche effettuate dal dipartimento Università del Pd prendendo come fonti I'Ocse, l'Eurostat, l'Istat. Gli slogan scelti dal Pd per questa iniziativa, fortemente voluta dal vicesegretario Enrico Letta, erano «la nuova Italia nasce all'Università» e «cambiare l'aria per non cambiare aria». Un riferimento ai cervelli in fuga. Ma dalle ricerche mostrate ieri è evidente che resistere alla tentazione di espatriare non è semplice. L'Italia con il suo 0,8% del Pil per investimenti pubblici per l'Università è nettamente al di sotto della media Ocse (1,2%), Ue (1,3%) e dietro i principali paesi europei. Anche per quanto riguarda i dati sul diritto allo studio ne usciamo male: abbiamo 1,8 milioni di universitari, contro i 2,2 di Francia e i 2 di Germania, e abbiamo 151 mila beneficiari di borse di studio, contro i 525 mila di Francia e 510 mila di Germania. Un quadro tutt'altro che rassicurante, e che spiega anche come mai da un sondaggio curato da Termometro politico emerga che i giovani under 35 sono molto più conservatori di quanto si potrebbe pensare: l'87% potendo scegliere preferirebbe un lavoro fisso ma con stipendio più basso. Oltre a Letta non è voluto mancare all'appuntamento Pier Luigi Bersani, che ha risposto con una battuta a chi gli ha chiesto dell'annunciata riforma del Fisco entro l'estate da parte di Berlusconi: «Sì, è il famoso "fisco per l'estate"...». E poi ha voluto solo rispondere alle domande dei ragazzi Che hanno parlato di temi molto concreti. Il leader Pd ha insistito sulla necessità di una «nuova fase», in cui a governare sarà chi ha già dimostrato di saperlo fare. «L'ultimo sforzo collettivo del paese è stato per l'Euro. E meno male che ci siamo entrati altrimenti saremmo in mezzo al Mediterraneo con in tasca la carta straccia. Ora occorre un nuovo grande sforzo collettivo per dare prospettive alla nuova generazione». __________________________________________________________________ Gazzetta del Mezzogiorno 12 Giu. ’11 LO STATO ACCUSA LE UNIVERSITÀ CHE IMPOVERISCE Il decreto legislativo che disciplina il dissesto finanziario delle università, approvato nell'ultimo Consiglio dei ministri, merita una riflessione a causa del processo di illusione finanziaria che caratterizza la cosiddetta riforma universitaria Gelmini. A differenza della famosa imposta sui celibi (1927-1943 ) che fu un successo di cassa e di efficienza, questa volta il ricorso a schemi psicologici determina, attraverso un insuccesso di efficienza e di cassa, i presupposti del dissesto. Il legislatore mentre illude i cittadini che si possa realizzare una riforma universitaria senza copertura finanziaria e relativa valutazione dei costi, impone agli atenei un adeguato livello di efficienza ed efficacia che tuttavia, impedisce, praticando ogni anno robusti tagli ai finanziamenti ministeriali (EEO.) e abolendo lo scorporo virtuale del terzo della spesa sostenuta per il personale universitario adibito anche ad attività ospedaliere. Il risultato è che ben 32 atenei rischiano il commissariamento perchè se si continua tagliare i FFO non si riesce a capire come possano essere reperite le entrate economiche e patrimoniali necessarie per finanziare il piano di rientro: aumenti per le tasse degli studenti non sono ipotizzabili mentre la dismissione di cespiti patrimoniali, difficilmente realizzabile, risolve solo problemi di liquidità. E legittimo il comportamento dello Stato che crea uno squilibrio strutturale nei bilanci degli Atenei e poi li commissaria imputando loro un dissesto che lui stesso ha provocato? Certamente no perche la legge delega n.240/2010 si ispira al principio della revisione della spesa, dipinto dalla letteratura economica come un percorso iniziato e concluso insieme dai controllori e dai controllati. Ne risulta cosi più chiaro il legame tra di ANTONIO TROISI azioni e finalità e, quindi, più af fidabile la valutazione ex post dei risultati e dei meriti e dei demerito dei responsabili. Pertanto l'individuazione delle responsabilità delle criticità emerse non può prescindere dai demeriti dello Stato che ricorre ad una strutturale discontinuità nell'erogazione del F.F.O. Poichè analoga discontinuità non può rilevarsi nei decreti delegati della legge delega sul federalismo fiscale 42/09, anch'essa basata sul superamento del costo storico, andrebbe sottoposta ai giuristi la valutazione dell'esistenza di un eccesso di delega nel decreto delegato de quo. Mi auguro che su questo interrogativo si avvii subito una discussione equilibrata che consenta alla commissione parlamentare competente di trarne, in tempo utile, le debite conclusioni. Bisogna intervenire sùbito perché in questo modo si rischia lo sfascio del sistema universitario, soprattutto nel Mezzogiorno. E di tutto ha bisogno il Sud tranne che di una retrocessione della sua offerta formativa. La classe politica dovrebbe intervenire. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Giu. ’11 DISSESTO ANCHE PER GLI ATENEI ROMA Costi del personale insostenibili e grave indebitamento. Sono i principali presupposti per dichiarare il dissesto finanziario degli atenei. Che dovranno varare un piano di rientro e, in caso di inadempimento, prepararsi al commissariamento. A prevederlo è il decreto attuativo della riforma Gelmini che ha ottenuto ieri l'ok di Palazzo Chigi e che dovrà ora superare il vaglio delle commissioni parlamentari. In abbinata il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento che introduce il nuovo bilancio unico per le università. I due decreti legislativi vanno letti in tandem. Il testo che sancisce il passaggio degli atenei alla contabilità economico-patrimoniale di fatto rappresenta la base su cui si innestano le disposizioni sullo stato di default. Dal 204 in poi - ma chi lo farà entro il 2013 otterrà incentivi espressi in quote di fondo del finanziamento ordinario - il Cda di tutte le università pubbliche dovrà approvare: il bilancio di previsione annuale con allegati il budget economico e degli investimenti e il prospetto della spesa articolata in programmi e missioni; il bilancio d'esercizio; il consolidato con i risultati di enti, società e fondazioni partecipate. Tutto ciò rispettando i principi contabili che saranno individuati da un decreto di Istruzione ed Economia. Le novità destinate a incidere di più sulla vita (e sulle finanze) del nostro sistema universitario sono quelle sul dissesto finanziario. Che, dopo l'arrivo del bilancio unico, potrà essere dichiarato dal collegio dei revisori quando «la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ateneo raggiunge un livello di criticità tale da non poter assicurare la sostenibilità e l'assolvimento delle funzioni indispensabili» ovvero non si riesca più a «far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi». In pratica servirà che si rivelino deficitari i parametri sulla sostenibilità delle spese di personale rispetto alle entrate complessive, sul costo dell'indebitamento e sull'andamento. Il dissesto sarà pronunciato dal Cda e "vagliato" dal Miur. Si dovrà procedere a un piano di rientro di durata massima quinquennale dove troveranno posto, ad esempio, l'impegno a non indire nuovi concorsi o a non corrispondere la retribuzione di risultato ai dirigenti. Se i conti non dovessero migliorare il dicastero potrebbe decidere la nomina di un commissario straordinario (o di un collegio di tre membri negli atenei con più di 500 dipendenti) fino al superamento del dissesto. Eu.B. Dissesto finanziario Indica l'incapacità dell'università di svolgere le proprie funzioni indispensabili nel campo della didattica e della ricerca e l'impossibilità di far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi. A dichiarare il dissesto sarà il Consiglio di amministrazione in presenza di valori deficitari sia nella sostenibilità delle spese di personale che nel costo dell'indebitamento. Il dissesto sarà formalizzato con una delibera che andrà trasmessa entro cinque giorni al ministero dell'Istruzione e alla Corte dei conti e poi pubblicata in «Gazzetta» NORME E TRIBUTI' ,(23 __________________________________________________________________ Corriere della Sera 6 Giu. ’11 CARRIERA? LO STAGE? NON È PIÙ UN OPTIONAL Indagini Dai voti all'età della laurea molte differenze tra le varie facoltà. Ma tutte sono più vicine al mondo del lavoro Cammelli (Almalaurea): «Ormai il 60% degli universitari fa esperienze formatine in azienda. E sono soddisfatti» DI ISIDORO TROVATO La laurea non è uguale per tutti. È probabilmente questo il dato più forte che emerge dall'ultima indagine condotta da Almalaurea sul mondo delle università. Evidenti e profonde le differenze tra le facoltà in tutti i campi. A cominciare dall'età dei diplomati: i più giovani a concludere gli studi risultano i laureati dei percorsi linguistico (24,6 anni), geo-biologico ed ingegneristico (entrambi a 24,7 anni) mentre l'età più elevata si riscontra fra i laureati dei gruppi insegnamento (28,5 anni) e giuridico (29,2). La frequenza alle lezioni varia fra 1'83 e il 94 per cento dei laureati del gruppo chimico-farmaceutico, dei neoingegneri e di quelli nelle professioni sanitarie e all'estremo opposto, il 35 per cento dei laureati del gruppo giuridico. «Differenze troppo marcate per non denotare qualche disfunzione del sistema — denuncia Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea —.Il fenomeno diventa ancora più preoccupante quando queste differenze emergono tra atenei diversi, ma negli stessi corsi. Se laurearsi nella stessa disciplina in due parti diverse d'Italia comporta differenze così accentuate è chiaro che il sistema ha bisogno di correzioni». Valutazioni Per esempio la creazione di un ente super partes capace di valutare la qualità e le eccellenze dei singoli corsi di laurea. «L'ente esiste già, si chiama Anvur — precisa Cammelli — ma deve insediarsi e valutare con parametri nuovi. Non bisogna dimenticare, infatti, che gli atenei giudicati migliori saranno quelli che riceveranno maggiori finanziamenti statali. Perché il meccanismo sia equo però, bisogna valutare anche il miglior, valore aggiunto: in pratica. Alla Bocconi o alla Normale di Pisa arrivano già i migliori della classe, ben selezionati e motivati; lì diventa più semplice raggiungere certi standard di eccellenza. Bisognerà, invece, premiare certe università considerate minori che, con mezzi limitati, garantiscono alti livelli di preparazione ai loro studenti». Gli stage Altro dato fondamentale messo in evidenza dalla ricerca è rappresentato dalla crescita delle esperienze lavorative per gli universitari. Anche in questo caso con valori diversi tra i vari corsi di studio. Le esperienze di stage e tirocinio infatti entrano nel bagaglio formativo di 92 su cento neodottori in agraria, 87 laureati del gruppo insegnamento, 85 di quello psicologico e delle professioni sanitarie, ma anche 48 laureati su cento del gruppo economico-statistico e perfino 31 neodottori su cento nelle materie giuridiche. «Prima della riforma — ricorda il direttore di Almalaurea — solo il 20% degli universitari poteva vantare un'esperienza di stage aziendale, oggi la media è salita al 60% e questo è un grande risultato. Anche perché in un'indagine di qualche tempo fa abbiamo verificato che è sensibilmente cresciuta la qualità dei tirocini: non c'è più quasi nessuno che viene relegato a fare fotocopie. Gli studenti ci dicono di essere soddisfatti e arricchiti dalla loro esperienza lavorativa. Credo che questo sia il giusto premio per la disponibilità al colloquio e alla collaborazione dimostrati dal mondo accademico e da quello del lavoro». Buone notizie Ma i parametri positivi sono diversi: gli studi all'estero, il voto di laurea e il rapporto con i docenti. In particolare, quest'ultimo è il dato più discordante: poco più di un quinto dei laureati è rimasto decisamente soddisfatto dei rapporti con i docenti (soprattutto fra i laureati del gruppo medico-professioni sanitarie) e di quello giuridico. Più severo il parere dei laureati in architettura e ingegneria che solo nel 12 e 14 per cento dei casi, rispettivamente, si dichiarano pienamente soddisfatti. «Però dire che tutto funziona bene — ammonisce Cammelli — sarebbe penalizzante per chi ha raggiunto l'eccellenza e premiante per chi mantiene una pessima organizzazione. Le differenze sono ancora evidenti ed è a quelle che bisognerà lavorare». __________________________________________________________________ L’Unità 6 Giu. ’11 IN TURCHIA COME IN ITALIA: ESAMI TRUCCATI ALL'UNIVERSITÀ In Turchia come in Italia. Sospetti di test truccati per l'ammissione di giovani studenti all'università. Test molto selettivi: i posti disponibili negli atenei pubblici sono circa 600.000. I giovani che hanno fatto domanda sono stati 1,7 milioni. Un milione e centomila sono rimasti fuori. E si sono arrabbiati quando, lo scorso mese di marzo, hanno scoperto che nei questionari loro somministrati c'era l'inghippo. A saperlo leggere, infatti, potevi trovare, in codice, l'algoritmo per individuare le risposte giuste. Vuoi vedere che alcuni la chiave di lettura di quel codice la possedevano? Vuoi vedere che gli esami di ammissione erano truccati? In Turchia, come in Italia, sospettare è peccato, ma quasi sempre come ricordava Giulio Andreotti — ci si indovina. Per questo è montata la protesta. Gli studenti sono scesi in piazza. E i giornali ne hanno parlato come di un vero e proprio scandalo. Il prossimo 12 giugno in Turchia ci saranno le elezioni. E, come in Italia, che ha denunciato lo scandalo è stato accusato a sua volta di volere strumentalizzare la vicenda per attaccare il governo. Anzi, di più. È stato accusato di voler complottare contro il governo legittimamente eletto. Rileva la rivista Nature che la scorsa settimana — proprio come succede in Italia — è sceso direttamente in campo il Primo Ministro, Recep Tayyip Erdogan, per accusare con tanto di nome e cognome il giornalista che più di altri sta indagando sul caso: vuole screditare il governo. E per questo «La pagherà a caro prezzo, non ora ma in futuro». Tutto come in Italia. La Turchia è una potenza scientifica emergente. Sta investendo molto in ricerca e alta educazione. Se vuole che questi investimenti diano frutto, conviene che segua gli standard di rigore (e di democrazia) internazionali. Non gli standard della politica italiana. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 Giu. ’11 FONDI UE, ITALIA SOTTO IL PODIO Dal 2003 al 2010 ci siamo aggiudicati i finanziamenti europei per 51 progetti sanitari Seguiamo Olanda, Germania, Francia e Uk Iss e Spallanzani al top Niente podio, piuttosto si può parlare di un piazzamento onorevole con un quinto posto tra i ventisette dell'Unione europea. L' Italia in otto anni ha aperto 51 volte il forziere Ue conquistando così i fondi che ogni anno Bruxelles promette a chi presenta progetti per difendere la salute degli europei. Per gli stanziamenti distribuiti dal 2003 al 2010 - sia dal precedente programma sanitario europeo che da quello attuale partito nel 2008 e in scadenza nel 2013 - è l'Olanda ad aggiudicarsi la medaglia d'oro con ben 69 progetti finanziati in cui c'è un ente dei Paesi Bassi a fare da capofila (l'Unione incoraggia le reti tra organismi di più Paesi). Al secondo posto segue la Germania con 63 progetti in cui un team di tedeschi guida il progetto che si può concretizzare in ricerche, studi, organizzazione di conferenze internazionali e altro. Nell'ultimo posto del podio c'è la Francia con 60 progetti, seguita al quarto posto dall'Inghilterra (56). Mentre l'Italia, come detto, si piazza al quinto posto. La chiamata alle armi in questa "competizione" europea riguarda praticamente quasi tutti i protagonisti del pianeta cure e dintorni. I bandi sono destinati a un'ampia platea: per l'Italia in pole position ci sono le aziende sanitarie, gli ospedali, i centri di ricerca, le università, gli Irccs e le Ong. Ma anche lo stesso ministero e le Regioni. Un'occasione che già molti in Italia hanno colto al volo: tra i 51 progetti in cui è sventolata alta la bandiera italiana, con centinaia di migliaia di euro di finanziamenti conquistati, spiccano in particolare l'Istituto superiore di Sanità che fa da capofila in ben 10 progetti e l' Irccs Lazzaro Spallanzani di Roma specializzato in malattie infettive con cinque progetti. Bene anche il Consiglio nazionale delle ricerche e l'Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano con tre progetti ciascuno. Oltre alle università e agli Irccs si segnala anche qualche Asl tra i vincitori dei fondi europei: dall'Ulss 20 di Verona all' azienda sanitaria di Brescia. Che tra l'altro si aggiudica uno dei finanziamenti più cospicui: oltre 1,3 milioni di euro per un progetto di 36 mesi, partito nel 2006, con l'obiettivo di studiare un sistema di allerta e risposta per le emergenze sanitarie, in particolare per i casi di pandemie influenzali. Va infine detto che, per tradizione, l'Italia è tra i primissimi Paesi per numero di progetti presentati, ma vanta, purtroppo, anche il non tanto invidiabile primato di quelli bocciati. In media, tra quelli inviati in Europa, ha successo un progetto su quattro, ma quando a presentarlo è un organismo italiano le possibilità si dimezzano: praticamente incassa i fondi una richiesta su otto. Per questo è importante redigere bene il proprio progetto perché anche i piccoli errori o semplicemente un progetto scritto leggermente meno bene possono comportare una bocciatura. I suggerimenti per redigere al meglio la propria richiesta sono diversi. Prima di tutto occorre partire da un'idea su di una materia su cui si è molto ferrati. Oltre a studiare bene le regole del programma, bisogna verificare - mediante la banca dati dell' Agenzia Ue che gestisce il programma di Sanità (http://ec.europa.eu/ eahc) - l'esistenza di altri progetti finanziati in passato sugli stessi argomenti o se ci sono già "network" europei che sono leader su quegli stessi temi. Cruciale, poi, è dotarsi di una solida rete di collaborazioni con partner di altri Paesi Ue. Mentre se si è alla prima esperienza forse è meglio appoggiarsi a qualcuno più esperto perché chi vince non avrà solo i fondi, ma anche numerose incombenze amministrative __________________________________________________________________ Tst 8 Giu. ’11 A OGNI CLIC SPORCHI IL PIANETA La Rete è diventata il quinto consumatore di energia del mondo GIUSEPPE BOTTERO Un clic per cercare il film giusto, una decina per sfogliare le recensioni di chi l'ha visto prima di te, uno per noleggiarlo e poi due ore con il pc acceso sulle ginocchia, la pagina Facebook aperta per poter commentare le immagini. Difficile da credere, ma anche la più tranquilla delle serate casalinghe può aiutare ad uccidere il pianeta. Per anni abbiamo pensato che bastasse sostituire la posta elettronica alle vecchie lettere stampate su carta e i documenti in pdf alle dispense per dare una mano all'ambiente. Bene, non è così: una semplice ricerca online sprigiona da uno a 10 grammi di anidride carbonica. E’ come scaldare una tazza di te con un bollitore: un piccolo ma significativo contributo al riscaldamento globale. FAME SPAVENTOSA Internet ha fame, una fame spaventosa: oggi brucia dal 2 al 3% dell'energia elettrica mondiale e il tasso cresce a un ritmo vertiginoso. Se la Rete fosse un Paese, sarebbe al quinto posto tra quelli che consumano di più, davanti a Germania e India. Un Paese, tra l'altro, iperattivo, e in espansione continua: ogni giorno le ricerche su Google sono un miliardo, gli aggiornamenti di Facebook 60 milioni, i messaggini su Twitter 50 milioni, le mail più 250 miliardi. A tradire la «promessa verde» della Rete è la mole gigantesca di informazioni che i colossi del Web devono custodire ed elaborare in continuazione. Pensate ad una ricerca su Google: basta digitare una parola, aspettare due decimi di secondo e si apre un mondo. Ma per ottenere una pagina di risultati si devono mettere in moto almeno mille server, custoditi in data center grandi come centri commerciali, stipati di computer al lavoro 24 ore su 24. Computer che vanno alimentati, ma soprattutto raffreddati per evitare che vadano in tilt, con un investimento energetico spaventoso. E gli investimenti sulle rinnovabili, terra promessa anche per il settore della tecnologia, fino ad oggi sono rimasti al palo, o quasi. Il primo dei cybercolossi a finire nel mirino degli ambientalisti è stato Facebook, che ha costruito in Oregon due enormi centri dati alimentati a carbone. Insieme consumano quanto 80 mila case americane: in pratica, una cittadina. Sulla Rete è partita la campagna «Facebook ci piaci verde»: una mobilitazione con tanto di azione dimostrativa davanti alla sede del social network or chestrata da Greenpeace per chiedere un cambio di rotta al fondatore Mark Zuckerberg. Finora, nessuna risposta. Ma sul banco degli imputati c'è anche la Apple di Steve Jobs: il centro che sta per aprire in North Carolina, 46 mila metri quadrati, ha bisogno di 100 megawatt di potenza: appena il 5% - stima l'associazione ecologista - arriva da fonti rinnovabili. Non soltanto social network, tra i cattivi, comunque: per la società di antivirus McAfee l'elettricità che ogni anno serve per spedire le e-mail è la stessa necessaria ad alimentare due milioni e mezzo di case e produce i gas serra di tre milioni di auto. A guidare la lista dei virtuosi, invece, c'è Google: il suo data center costruito in una vecchia cartiera degli Anni 50 ad Hamina, in Finlandia, è diventato un caso di scuola: costato 200 milioni di euro, è a bassissimo impatto ambientale ed è raffreddato ad acqua marina. «E si può applicare la stessa logica su qualsiasi scala di grandezza», ragiona Urs Hoelzie, dirigente dell'azienda di Mountain View. «Ambiente ed energia possono andare avanti insieme - conferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia- e Clima di Greenpeace Italia -. Google, inoltre, è stata convinta ad annunciare pub blicamente che taglierà le emissioni di CO2 del 30%. Una cifra importante». Anche Yahoo! si muove nella stessa direzione: il prossimo archivio dati sarà alimentato dall'acqua delle cascate del Niagara. Il rischio concreto è che ora con il «cloud computing», la nuova tecnologia che permette di accedere a musica e documenti dagli smartphone e dai tablet senza bisogno di hard disk e chiavette usb, la situazione possa peggiorare ancora: secondo una ricerca di Green Grid, l'elettricità consumata dal cloud - che stipa tutte le informazioni in giganteschi archivi - passerà dai 632 miliardi di chilowatt l'ora del 2007, l'anno in cui si è iniziato a parlare della «nuvola», ai 1963 miliardi del 2020. Svolta controcorrente Eppure c'è chi va controcorrente. La svolta verde paga, spiegano al «Vancouver Sun» i canadesi di GreenStar Network, che coordina una rete di aziende che si affidano solo a data center alimentati con energia rinnovabile, dall'eolico al solare. «Ci stanno contattando da tutto il mondo - dice Bill St. Arnaud, l'ingegnere che ha curato il progetto -. I centri puliti si stanno moltiplicando in fretta: siamo sbarcati in Europa e siamo pronti a raggiungere Africa e Cina». L'alternativa - conclude - esiste ed è affidabile e sicura». Sotto accusa i social network: «I loro centri dati bruciano energia come intere città» __________________________________________________________________ Tst 8 Giu. ’11 MERITOCRAZIA E STRATEGIE ECCO LA RICETTA VINCENTE DALLA CINA ALL'INDIA GABRIELE BECCARIA La scienza continua a parlare inglese, ma con inflessioni sempre più marcate: cinesi, indiane, brasiliane e anche russe. Provengono dall'universo in espansione del «Bric», l'osannato acronimo di Brasile Russia-India-Cina, quello che indica l'area del pianeta in impetuosa crescita e che sta scardinando equilibri che si credevano consolidati. Oggi la Repubblica Popolare è l'emblema della rapidissima metamorfosi, entusiasmante (per Pechino) e terrorizzante (per gli altri): i suoi ricercatori sono saliti .a 1.4 milioni, uguagliando quelli americani e superando gli europei, e la rincorsa non smette di accelerare. In un decennio gli investimenti in ricerca si sono dilatati a un ritmo del 18% l'anno e oggi sei università cinesi e quattro di Hong Kong (oltre quella di San Paolo) sono ascese nell'Olimpo dei migliori istituti mondiali. «La spesa dei "Bric" in ricerca&sviluppo è cresciuta del 111% dal 2002 contro una media mondiale del 45%», spiega Andrea Gold-stein, economista all'Ocse e autore del saggio omonimo «Bric», appena uscito per II Mulino, in cui analizza i processi che trasformano le economie dei quattro giganti. La ricetta - che molte nazioni del primo (e invecchiato) Primo Mondo faticano a emulare - non ha in realtà nulla di eccezionale, se non la determinazione per applicarla, senza mai cedere alle esitazioni. Fiumi di denaro e iniezioni dì meritocrazia. «Dalla Cina al Brasile la lezione è evidente - aggiunge lo studioso -: questi Paesi, che hanno conosciuto una diaspora dei talenti, oggi applicano politiche mirate per farli tornare e creare contatti sempre più stretti con chi rimane all'estero. "Brain drain" - la perdita di cervelli - e "brain gain" - il guadagno di cervelli - si intrecciano, innescando un circolo virtuoso». Esemplare è il caso del russo André Geim, vincitore con Konstantin Novoselov del Nobel 2010 per la fisica grazie agli esperimenti sul grafene: «Sebbene insegni da anni a Manchester, ha raccolto un gruppo di connazionali intorno a sé e mantiene contatti stretti con i colleghi in patria». I talenti, in questo caso, non «fuggono», ma «circolano», e - sottolinea Goldstein - nel «Bric» «agli scienziati viene riconosciuto uno status elevato, tanto che a circondarli c'è spesso un forte senso d'orgoglio nazionale». Sono loro i nuovi eroi e il fenomeno non è casuale: sono tra i protagonisti di un «gioco» a più livelli, la «politica scientifica». «Si tratta di una strategia complessa, che coinvolge governi, università e industrie e si basa su una sofisticata capacità di programmazione e pianificazione a lungo termine», conclude l'economista. Una vertiginosa visione d'insieme che in Italia non ha ancora diritto di cittadinanza. __________________________________________________________________ Italia Oggi 11 Giu. ’11 FACOLTÀ TEDESCHE PIENE DI STRANIERI La Germania è al terzo posto nel mondo per numero di studenti dall'estero dopo Usa e Gb Ma dopo la laurea si fa fatica a tenerli per colpa dei sindacati da Berlino ROBERTO GIARDINA La congiuntura rallenta, ma di poco. Il boom, in realtà, continua e cominciano a mancare i lavoratori qualificati. La Germania avrebbe bisogno di tecnici stranieri, ma la burocrazia tedesca sui permessi di soggiorno finisce per spaventare i giovani disposti a venire in Germania o a restarci. Il pii tedesco dovrebbe aumentare nel 2011 del 3,5%, nessuno fa meglio nell'Unione europea. E, grazie soprattutto all'export verso Cina e India, i disoccupati continuano a diminuire. Sono scesi sotto i 3 milioni, mai così pochi negli ultimi vent'anni, ma l'industria ha bisogno di lavoratori ben addestrati e non riesce a trovarli. Anche le università non riescono a fornire diplomati a sufficienza, anche a causa del basso livello di natalità. Non ci sono abbastanza giovani tedeschi per l'industria nazionale. È vitale riuscire a invogliare gli stranieri, ma ci si trova davanti a un paradosso. La Germania si dimostra accogliente verso gli studenti che vengono da fuori, offre alloggi e corsi moderni. Poi li spaventa con la sua burocrazia relativa ai permessi di soggiorno. Nel 2009 gli stranieri che studiavano negli atenei tedeschi erano 235 mila, e di questi il 10% viene dalla Cina, seguita dalla Turchia, dalla Russia e dalla Polonia. La percentuale nelle facoltà tecniche supera 1'8%, ed è addirittura dell'Il% in ingegneria. La Germania è al terzo posto per numero di studenti stranieri dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. È importante per la Germania avere studenti da paesi come Cina o Russia, perché, una volta tornati a casa e inseriti nel mondo del lavoro, è probabile che finiscano per favorire il made in Germany. Saranno il ponte tra la vecchia Europa e i paesi emergenti. Ma ancora più importante sarebbe se, conclusi gli studi, decidessero di restare nella Repubblica Federale. Oggi, nei settori tecnici, da matematica a ingegneria alle scienze naturali, mancano 117 mila laureati. «È paradossale», commenta Carola Beckmeyer, responsabile dell'ufficio per gli studenti stranieri alla Technische Universitàt di Berlino. «Li facciamo studiare per quattro anni, e poi di fatto li obblighiamo ad andarsene, quando sono preparati e parlano la nostra lingua» L'anno scorso sono rimasti in appena 5 mila. Troppo pochi. Tutta colpa della burocrazia: per concedere il permesso di soggiorno ai giovani che non provengono dall'Unione, è necessario dimostrare di avere un contratto di lavoro. Ma per un laureato di fresco non è automatico trovare subito il posto più adatto. Non gli viene concesso il tempo di riflettere e di scegliere l'offerta che gli conviene. Non è possibile neanche accettare un'occupazione qualsiasi per pagarsi le spese. Le autorità tedesche controllano se il lavoro è all'altezza degli studi seguiti. Un ingegnere, per esempio, non può fare il cameriere d'estate, in attesa che a settembre gli giunga la proposta adatta. Ora il ministro all'economia, il liberale itainer Bruderle, progetta di offrire un premio in denaro a chi decide di restare, anche se i sindacati sono contrari. Vogliono tutelare i diritti dei disoccupati tedeschi ma, di fatto, non esistono se hanno una buona qualifica e sono disposti a trasferirsi all'interno del paese. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Giu. ’11 CITTADINI PIÙ RAZIONALI DEL RE SECONDO LA FILOSOFA Hannah Arendt LA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO NON È LA CONOSCENZA; È L'ATTITUDINE A DISCERNERE IL BENE DAL MALE DI RICCARDO VIALE Uno degli errori in cui cadono abitualmente uomini di governo e dei media è quello di pensare che le persone siano dei burattini eterodiretti da passioni e impulsi irrazionali. A parer loro basta trovare la leva giusta e si riesce a manipolare senza difficoltà le opinioni della gente. Questo errore di ipersicurezza e illusione di controllo di "opinion leader" e "policy maker", a prima vista, sembrerebbe trovare riscontro nelle ultime teorie e risultanze empiriche delle scienze cognitive. La focalizzazione sugli aspetti emozionali e affettivi rispetto a quelli del ragionamento sembra offuscare le capacità di autonomia di pensiero e decisionale dell'individuo. Se la mente è come un iceberg in cui la parte sommersa implicita, tacita, non cosciente e legata all'intuizione ed emozione sopravanza e guida quella emersa, di tipo analitico, esplicito e cosciente, allora messaggi manipolatori di tipo subliminale possono eterodirigere il comportamento individuale. Ad esempio nell'accettazione o meno di una data tecnologia, basta creare dei collegamenti a immagini che stimolino la paura e l'ansia per fare in modo che il soggetto tenda a rifiutala. O se si accentuano associazioni fra una tecnologia e incidenti catastrofici allora si porterà l'individuo a rifiutarla. Spiace per i manipolatori occulti, ma la mente dell'uomo non è così succube. Come dimostra Gerd Gigerenzer, famoso psicologo di Berlino, l'individuo segue la sua "pancia" (o "gut feeling"), ma questa è molto più razionale di quello che sembra. Il nuovo volume sulla cultura dell'innovazione della Fondazione Cotec e di Wired sembra confermare questa premessa. Sulla base di un lavoro empirico compiuto dall'Irpps del Cnr si sono riscontrati una serie di interessanti fenomeni che sfatano molti miti sulla volubilità degli italiani. Lo studio ha avuto la fortuna di registrare le risposte prima, durante e dopo il terremoto dell'11 marzo in Giappone. Ciò ha permesso di analizzare la percezione dei rischi e benefici del nucleare in questo periodo drammatico. Ricordiamoci che nei mesi precedenti vari esponenti di primo piano, come affidabilità e credibilità, del mondo politico, ad esempio il presidente Obama, e scientifico ad esempio l'oncologo Veronesi, si erano pronunciati a favore del nucleare. A ciò si somma la mancanza di incidenti rilevanti negli ultimi anni e la necessità impellente dell'Italia di abbassare il costo dell'energia e dipendere meno dall'estero. Ciononostante dalla ricerca non si è riscontrato un cambiamento significativo della percezione del rischio e dei benefici fra prima e dopo Fukushima. In una scala di 5 punti si è riscontrato un aumento del rischio di 0,40 e una diminuzione dei benefici di o,50. Quindi la forbice si è allargata molto poco. Non vi è stato in definitiva un fenomeno di negativismo tecnologico generalizzato. Questi dati dimostrano come le opinioni precedenti sul nucleare in generale erano basate su valutazioni e convinzioni ragionate. Altri due interessanti dati confermano questa immagine meno volubile degli italiani. È noto che uno dei luoghi comuni più in voga nel discutere di beni pubblici tecnologici è l'effetto Nimby (Not in my back yard, cioè non nel mio cortile). Questo è un fenomeno che fa parte della categoria inclusiva del "free rider". Il fenomeno del free rider ha luogo quando, all'interno di un gruppo di individui, si ha un membro che evita di dare il suo contributo al bene comune poiché ritiene che il gruppo possa funzionare ugualmente nonostante la sua astensione. In questo modo evita i costi individuali e approfitta dei benefici collettivi. Si dice da tempo che gli italiani siano famosi per comportamenti pervasivi di "free riding". Dallo studio, invece, emerge un'immagine completamente diversa. Non solo per quanto riguarda le centrali nucleari o lo stoccaggio delle scorie radioattive, ma anche nei confronti degli impianti di termovalorizzazione non vi è differenza significativa fra la scelta di allocazione sul proprio territorio rispetto ad altri lontani dal luogo di residenza. Infine dallo studio emerge, anche qui sfatando un luogo comune, che sono più forti i benefici percepiti (3,5o) che i rischi (2,87) nella scelta degli impianti di termovalorizzazione che il 55% del campione sarebbe propenso ad attivare nel proprio comune. In conclusione, il messaggio che emerge da questo studio di Cotec e Wired è la necessità da parte di media e uomini di governo di convincersi che il cittadino italiano non è facilmente condizionabile con escamotage mediatici di tipo emozionale. Il valore di una cultura tecnologica e dell'innovazione costruita attraverso un'informazione corretta e pluralista che sappia, con metodo socratico, confrontare tesi e opzioni contrapposte, è un bene pubblico irrinunciabile per la crescita del Paese. __________________________________________________________________ Libero 11 Giu. ’11 CROLLA UN MITO VERDE: L'AUTO ELETTRICA INQUINA COME QUELLE A BENZINA Dalla produzione allo smaltimento Studio inglese: per realizzare, mantenere e rottamare le vetture "eco" e quelle tradizionali si emette la stessa quantità di CO2 ALESSANDRO CARLINI LONDRA Da anni esaltano le auto elettriche come soluzione di tutti i mali di un mondo inquinato che secondo gli ambientalisti è sempre sull'orlo della catastrofe. Sono pulite, dicono, non bruciano combustibili fossili, non emettono CO2, e si possono ricaricare tranquillamente collegandole a un cavo della corrente, come si fa con un cellulare o un computer portatile. Tutto il contrario delle macchine che funzionano a diesel o benzina, bandite dai centri cittadini perché inquinano troppo e sporcano, fanno ammalare la gente, e poco importa se si stanno realizzando motori e biocarburanti che rispettano l'ambiente. Uno studio britannico, realizzato dal Low Carbon Vehicle Partnership, istituto di ricerca finanziato dal governo del Regno Unito e dall'industria automobilistica, ha sconvolto tutto questo teorema. Sul lungo periodo, le macchine elettriche inquinano come quelle che vanno a diesel o benzina, anzi, in certi casi, sono più no - cive per l'ambiente. La causa è da ricercare nelle grandi batterie montate su questo tipo di veicoli, con alloro interno litio, rame e silicone, che richiedono molta energia per essere trattati. Secondo il britannico Times, si deve partire dal presupposto che un'auto non inizia ad inquinare quando circola in strada ma molto prima. Nella sua produzione già c'è un certo livello di emissioni, che diventa altissimo per le auto elettriche: si parla di 12,6 tonnellate di CO2. Per quelle a benzina— considerando un'auto dalle dimensioni medie — vengono prodotte solo 5,6 tonnellate di anidride carbonica. Quindi, il 50% in meno. Una volta che viene messa su strada, l'auto elettrica è più "verde" delle altre ma non di tanto. Dopo 150.000 chilometri, la mac-china normale ha emesso 18,1 tonnellate di CO2 contro le quasi 10 di una elettrica. E in fase di rottamazione quella a benzina è ancora meno inquinante, perché non si devono smaltire le solite batterie coi loro materiali tossici. Sommando tutti questi dati, alla fine del loro ciclo, le vetture elettriche hanno prodotto 23,1 tonnellate di CO2 e quelle normali 24. C'è da dire poi che la "green car" spesso richiede la sostituzione delle batterie dopo pochi anni ed ecco quindi che il suo danno ambientale può superare quello dell'auto normale. Altro - ché "zero emissioni", come dicono certe pubblicità. Il centro inglese ha calcolato che fino a 100.000 chilometri percorsi i due tipi di propulsione producono la stessa quantità di emissioni. E con la scarsa autonomia di un'auto elettrica è difficile percorrerne di più nel corso della sua "vita". Questo studio è uno dei primi ad analizzare i consumi delle diverse automobili dalla fabbrica fino allo sfasciacarrozze. Il Committee on Climate Change, l'organismo governativo che si occupa delle politiche sull'ambiente, di recente ha auspicato un aumento delle auto elettriche in Gran Bretagna, dalle attuali poche centinaia agli 1,7 milioni di modelli entro il 2020.11ministero dei Trasporti ha stanziato per l'anno prossimo quasi 50 milioni di euro per offrire a 8600 automobilisti un maxi-incentivo da 5.700 euro per acquistare una vettura elettrica. Nel Regno ci si chiede, comunque, se abbia senso andare avanti con questi investimenti e con la cultura dell''elettrica è meglio". Greg Archer, direttore del Low Carbon Vehicle Partnership, ha commentato i risultati dello studio dicendo che le industrie automobilistiche — ma anche politici e ambientalisti — devono osservare le emissioni prodotte nel ciclo di vita dei veicoli e non solo nel periodo di attività. Secondo Archer, la cosa migliore è acquistare una piccola automobile, con bassi consumi ma a benzina o diesel. A fronte di questi risultati non hanno tanto senso i piani messi in piedi da molti Paesi europei per promuovere questo tipo di tecnologia. In un recente studio effettuato da JP Morgan viene ipotizzato che a livello globale i veicoli elettrici immatricolati entro il 2020 saranno tra i dodici e i tredici milioni. Per la "rivoluzione verde" ne servirebbero molti di più. ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 09 giu. ’11 PER TUVIXEDDU A GIUDIZIO IN SEI Presunti abusi sul colle, sotto accusa anche l’ex sovrintendente Santoni Ascolta la notizia Il magistrato Non ci sono le condizioni per decidere in udienza preliminare sul non luogo a procedere MAURO LISSIA CAGLIARI. Andranno tutti al giudizio del tribunale i sei imputati nell’inchiesta su Tuvixeddu: il gup Cristina Ornano ha stabilito che «considerata la complessità del processo» non ci sono le condizioni per decidere in udienza preliminare sul non luogo a procedere. La scelta stessa, assunta dai legali, di non richiedere riti alternativi per gli imputati significa che per mettere in luce la vicenda è indispensabile un approfondimento dibattimentale. Il giudice Ornano ha respinto tutte le eccezioni presentate dalla difesa, ma sarà poi il collegio a esaminarle quando saranno riproposte nell’aula pubblica. Rito ordinario quindi per l’ex sovrintendente ai beni archeologici Vincenzo Santoni, per l’archeologa della sovrintendenza Donatella Salvi, per il dirigente comunale Paolo Zoccheddu, per l’ingegnere del servizio pianificazione del territorio Giancarlo Manis, per l’imprenditore edile Raimondo Cocco e per il direttore dei lavori Fabio Angius. Tutti dovranno presentarsi davanti ai giudici della prima sezione il 19 settembre. L’udienza di ieri mattina è durata poco meno di due ore: il tempo per una breve replica del pubblico ministero Daniele Caria cui sono seguite quelle dei difensori, gli avvocati Benedetto Ballero, Massimiliano Ravenna, Pierluigi Concas, Massimo Delogu e Michele Loy. La vicenda è nota e ruota attorno alla grande necropoli punico-romana di Cagliari: per la realizzazione di muraglioni difformi dal progetto attorno all’area sepolcrale di Tuvixeddu - dove il Comune era impegnato nel 2008 ad allestire un parco pubblico - e per la costruzione di un complesso edilizio su viale Sant’Avendrace a ridosso delle tombe puniche sono imputati di falso l’archeologa che doveva vigilare sui lavori Donatella Salvi, il dirigente per l’area gestione del territorio Paolo Zoccheddu l’ingegnere del servizio pianificazione del territorio Giancarlo Manis, il direttore dei lavori Fabio Angius e il costruttore Raimondo Cocco. Santoni è finito davanti al giudice, accusato di abuso d’ufficio e falso, per la vicenda dei vincoli per notevole interesse pubblico che la giunta Soru aveva imposto sull’area del colle: il sovrintendente, che faceva parte di diritto della commissione regionale per il paesaggio, avrebbe attestato falsamente nella seduta del 21 febbraio 2007 che tutte le sepolture scoperte dopo il 1997 si trovavano all’interno dell’area vincolata. Santoni fu il solo a votare contro la nuova tutela che l’amministrazione Soru intendeva imporre su Tuvixeddu coi vincoli per notevole interesse pubblico nonostante la figlia Valeria fosse stata assunta dalla Nuova Iniziative Coimpresa, titolare del progetto edificatorio che l’iniziativa del governo regionale metteva in forse e che la recente sentenza del Consiglio di Stato ha fermato. Santoni è poi accusato insieme alla collega Salvi di aver autorizzato la costruzione di alcuni edifici su viale Sant’Avendrace, quelli dell’impresa Cocco, nonostante il progetto oscurasse la visibilità e la conservazione di una parte della necropoli punico-romana a due passi dalla Grotta della Vipera. Edifici che poi sono stati demoliti: i proprietari hanno concluso un accordo di permuta e hanno abbandonato il progetto, ma il fronte penale della vicenda è rimasto aperto. La Salvi con Cocco e Angius sono accusati anche di aver omesso provvedimenti per impedire la costruzione di opere abusive. La complessa vicenda di Tuvixeddu va avanti ancora oggi su binari diversi da quello penale: è atteso il giudizio del collegio arbitrale sul risarcimento richiesto dalla Nuova Iniziative Coimpresa per i ritardi alla realizzazione del progetto edificatorio provocati dai vincoli decisi dall’amministrazione Soru. Sul fronte amministrativo invece il governo Soru ha vinto la partita decisiva davanti al Consiglio di Stato, ma pendono ancora altri ricorsi davanti al Tar e agli stessi giudici di palazzo Spada che saranno trattati nei prossimi mesi. Nuove denunce per vicende successive sono infine all’esame della Procura. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Giu. ’11 L'ICT SARDO HA GRANDI OBIETTIVI Prove tecniche di rilancio. Le molte società nate sulla spinta dell'innovazione tecnologica È stato un presidente illuminato della Regione Sardegna, Mario Melis, sardista, deputato tra Montecitorio e Strasburgo, ex sindaco di un paesino della Barbagia (Oliena), a sognare «il computer nel nuraghe». Primi contatti - anni 80 del secolo scorso - col Nobel, Carlo Rubbia, la creazione del Parco tecnologico di Pula al centro della foresta più estesa d'Europa. Nacque così il Crs4 (Centro ricerche e studi superiori in Sardegna), ancora oggi attivo. Decollò poi Videonline dell'ex editore de «L'Unione Sarda», Nicola Grauso (primo in Europa a mettere un quotidiano online; oggi si rilancia con il progetto keysecurepc.com, nato da dei ragazzi ex videonline). Oggi il Crs4 - direttore Paolo Zanella - ha 212 ricercatori e sviluppa progetti innovativi nella biomedicina, biotecnologie, con eccellenze nel settore dell'Ict e delle energie alternative. E decine di aziende operano all'interno di Sardegna ricerche con collegamenti con i principali istituti di ricerca scientifica al mondo. Solo alcuni nomi: 2Bi (dispositivi medici per Chirurgia ortopedica e Neurochirurgia), Bionoor Research (branch italiana della Nuraging Ldt di Cardiff, si occupa di prodotti nutraceutici, cosmetici e farmaci), Wezen Biopharmaceuticals (immunoterapeutici nelle malattie infettive). Nella top ten dell'Ict made in Sardinia spicca ovviamente Tiscali dell'ex presidente della Regione, Renato Soru, sede al centro del golfo di Cagliari. Primo in-ternet provider a offrire gratis i collegamenti online, ha 1.020 dipendenti, fatturato di 28o milioni, dio mila clienti di cui 55o mila abbonati Adsl, 25 milioni di visitatori unici al mese del proprio portale, e quest'anno - annuncia il direttore generale, Luca Scano - «prima previsione del bilancio in utile». Nello scorso ottobre ha siglato un accordo con i cinesi della Zte. A Sassari, dal 2oo8, c'è Prossima Isola. Con i due soci ingegneri fondatori, Marcello Orizi e Daniele Idini, lavorano altre n persone. Rafforzati i contatti acquisiti in Silicon Valley come fmalisti della «Mind the Bridge Competition 2oo9-lo», ha due progetti di punta, WherelsNow (sistema per self-up dating documents) e Abbuydda (social network per gruppi d'acquisto). Intensa l'attività di consulenza professionalizzata per portali web, mobile ed embedded e a progetti software in Svizzera. Si sta imponendo nel mercato europeo The Net Value di Mario Mariani, economista, ex Crs4, ex Video online, ex Tiscali. Fa investimenti di seed capital, con sede in Sardegna, specializzato in startup di imprese dei New Media. Creata con Enrico Gaia, sono molte le startup partecipate: tra le altre Paperlit, creata da un imprenditore italo-californiano della Silicon Valley. Ha coinvolto oltre 200 testate e gruppi editoriali fra cui il «New York Magazine», Condé Nast con «Wired ITalia» e «Glamour Spagna», il Gruppo l'Espresso e RCS. AppsBuilder, realizzato con Annapurna Ventures di Massimiliano Magrini, è una piattaforma online che consente di creare, in tre passaggi e in un minuto, applicazioni per iPhone, iPad, Smartphone e tablet Android e web app. Ultima nata KeySecurePC di Bruno Spiga, definito "Grauso's boy". Ha più sedi in Italia, Cagliari come principale, una filiale in California, Cupertino. «KeySecurePC - dice Spiga - consente di raggiungere sicurezza totale a portabilità del proprio ambiente di lavoro secondo livelli mai visti. È un SSD (Disco allo stato solido) dagli 8 sino a 256 GB contenente un sistema operativo e tutti gli applicativi per l'attività lavorativa professionale, ma anche ludica. Garantiti sicurezza, privacy, mobilità e inviolabilità dei propri dati. Permette a medici e avvocati, per esempio, di adempiere facilmente gli obblighi di legge sul trattamento dei dati sensibili». Con il termine start-up si intendono le imprese neonate a forte connotazione innovativa o il periodo durante il quale si avvia un'impresa. Dopo la messa a punto di una tecnologia, di un prodotto o di una metodologia da lanciare sul mercato, una start-up elabora un business plan sulla cui base muove alla ricerca di investitori. Questi possono essere venture capitalist (investitori che operano tramite fondi apportando capitali detti di rischio) o istituti di credito o angel investor (che investono capitali propri). In Italia, molte start-up nascono in ambito universitario e si sviluppano in incubatori di imprese innovative creati ad hoc dagli atenei più avanzati. o In uscita a fine giugno con la casa editrice Cuec di Cagliari di Giacomo Mameli (giornalista e sociologo) è una rassegna delle eccellenze sarde. Una Sardegna che non si piange addosso ma si dà da fare: da la Maddalena e Capo Carbonara, giovani e meno giovani apprezzati nel mondo, dall'Mba di Harvard al cantiere dello stadio Arsenal a Londra. Artigiani, agroalimentare di qualità e molte storie di vita, imprenditoria e successo ========================================================= __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Giu. ’11 I TEST D'INGRESSO PUNTANO SULLA LOGICA Gianni Trovati MILANO «Carneade, chi era costui?». La domanda su cui si arrovellava Don Abbondio ha impegnato 380 anni dopo frotte di aspiranti medici, impegnati nel test d'ingresso all'università nel 2008, che si sono anche dovuti chiedere se il «Temporeggiatore» fosse Quinto Fabio Massimo (corretto) o Publio Cornelio Scipione mentre i loro colleghi di due anni prima si erano dovuti interrogare fra l'altro sull'habeas corpus, l'umiliazione di Canossa e sull'autore dell'Oratio de hominis dignitate (Pico Della Mirandola). I 200 mila studenti che a settembre (dal 5 all'8, a seconda delle facoltà) proveranno a passare il test per medicina, veterinaria o architettura non dovrebbero incontrare ostacoli di questo tipo. Il ripensamento dei test d'ingresso, ultimato in questi giorni dalla commissione ministeriale che ha lavorato al tema, cambia l'impostazione della «cultura generale», che dovrebbe puntare tutto sugli aspetti di logica e comprensione del testo. L'obiettivo, per completare un'evoluzione che ha mosso i primi passi nel 2010, è chiaro: il test deve essere il più possibile «neutrale» rispetto alla scuola di provenienza, per offrire le stesse chance di partenza a chi viene da licei o istituti tecnici. Per far questo, occorre abbandonare sia la nozione tradizionale di «cultura», fondata sul "primato" del liceo (classico), che impone di non avere dubbi sul fatto che la Coscienza di Zeno sia un romanzo di Italo Svevo e non la tesi di laurea di Carl Gustav Jung (domanda A5 del test 2008), sia la nozione pop che in passato ha infilato nei test anche domande sulla storia dei Beatles. Test logici, sillogismi, testi da comprendere saranno dunque i protagonisti indiscussi della prima parte del test, che per il resto non cambia il mix degli ingredienti. Questa parte, seppur rinnovata, dovrebbe continuare a occupare 40 domande a medicina, 20 a veterinaria e 32 ad architettura, mentre il resto sarà dedicato ai temi specialistici con un'articolazione diversa per ogni disciplina. Nulla cambia, anche per quest'anno, nemmeno sul versante della valutazione, che continuerà a non tenere in considerazione i risultati ottenuti negli ultimi tre anni delle superiori e all'esame di maturità. L'ingresso del curriculum scolastico nei punteggi del test d'ingresso è previsto da più di tre anni, ma puntualmente il «Milleproroghe» rinvia al futuro la traduzione pratica di questa regola. Il problema, ancora da risolvere, riguarda in particolare le banche dati sui voti di maturità, che registrano solo gli ultimi anni e quindi non contengono i dati degli immatricolati «tardivi», cioè di chi si è diplomato qualche anno fa e prova solo oggi la strada accademica. Si tratta di una tipologia di studenti sempre più diffusa (nel 2010, secondo l'ultimo rapporto AlmaLaurea, solo il 65,7% dei neodiplomati si è presentato subito all'ufficio matricola dell'università, contro il 73,5% del 2004), e che insieme ai diplomati all'estero non sono censiti dai database ministeriali. ________________________________________________________________ Corriere della Sera 06 giu. ’11 NUMERO CHIUSO? PREPARATEVI ONLINE Riuscirò a passare il test d' ammissione all' Università? E' questo il grande dilemma che affligge gli studenti italiani alle prese con una delle scelte più importanti della loro vita lavorativa futura: quale facoltà scegliere? Fino a settembre, il sito del primo quotidiano on line d' informazione universitaria www.universita.it permette ai neo-diplomati di simulare le prove di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso, esercitandosi gratuitamente come se si trattasse di un vero e proprio test. Basterà cliccare su «Esercitati con le simulazioni dei test d' ammissione» e grazie a questionari fac-simile e simulazioni virtuali, sarà possibile allenarsi con due prove per facoltà formate da 20 domande ognuna. La speranza è trovare qualche chance in più per superare il tanto temuto test ed arrivare tra i primi in graduatoria. Ogni anno, circa 250.000 ragazzi si ritrovano sui banchi universitari nel tentativo di superare gli esami d' ingresso. Ma solo pochi ce la fanno. BA. MILL. ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 giu. ’11 TAMPONI E SEQUI ALL'AZIENDA MISTA Piero Tamponi direttore amministrativo e Roberto Sequi (ex Brotzu) direttore sanitario. Saranno loro ad affiancare il direttore generale Ennio Filigheddu ai vertici dell'azienda mista ospedaliero-universitaria. L'assetto dirigenziale è stato definito ieri mattina con il sì dei diretti interessati e risponde all'esigenza di una dirigenza monocolore indicata dai vertici della Regione. I tre fanno riferimento ai Riformatori sardi. Via, dunque, Gianbenedetto Melis, il ginecologo- manager che sino ad oggi ha governato il settore sanitario dell'azienda mista e con il quale il rettore, Giovanni Melis, aveva avviato una serie di progetti. Fumata nera, invece, per la Asl 8 e il Brotzu, dove è dato per imminente l'arrivo di Attilio Murru e Ugo Storelli, rispettivamente alla direzione amministrativa e a quella sanitaria. ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 giu. ’11 AZIENDA MISTA, IL RETTORE POLEMIZZA CONTRO SEQUI Storelli e Serra all'Asl Quasi tutti i tasselli sono al loro posto. Giovedì sera il direttore generale della Asl 8 Emilio Simeone ha nominato con due delibere distinte (la 732 e la 733) il nuovo direttore amministrativo e quello sanitario. Il primo incarico andrà a Vincenzo Serra, responsabile dell'unità di Programmazione e controllo di gestione dell'azienda sanitaria cagliaritana e per dieci mesi (da marzo a dicembre 2010) direttore amministrativo della Asl di Sanluri. La seconda è in realtà una conferma: Ugo Storelli proseguirà il suo lavoro all'interno dell'azienda, dove dall'ottobre del 2009 ricopriva il ruolo di direttore sanitario. L'incarico sarà quinquennale. Sulle nomine di Piero Tamponi (direttore amministrativo) e Roberto Sequi (direttore sanitario) nell'azienda universitaria ospedaliera, invece sono arrivate le critiche del rettore dell'ateneo cagliaritano Giovanni Melis. La scelta di Tamponi e Sequi sarebbe dettata solo dalla convenienza politica. «Dopo il positivo superamento del regime commissariale e la conferma del direttore generale, fondamentale per dare stabilità e capacità progettuale e programmatica al processo di riequilibrio economico e funzionale dell'azienda», scrive Melis, «la recente decisione sulle nomine del direttore sanitario e del direttore amministrativo sceglie di privilegiare mere esigenze politiche e sconfessa la continuità gestionale». A rischio, ci sarebbe l'immediato futuro dell'azienda: «Tale circostanza, al di là della professionalità, non in discussione, dei nuovi dirigenti, risulta del tutto incomprensibile sul piano dell'esigenza prioritaria di garantire efficienza ed economicità al servizio ospedaliero-universitario. Si auspica che il progetto di completamento del presidio ospedaliero non subisca ulteriori ritardi». Chiaro il riferimento a Gianbedetto Melis, ex direttore sanitario, che aveva avviato una serie di progetti fondamentali per l'Aou. Tamponi e Sequi - area Riformatori sardi - affiancheranno il direttore generale Ennio Filigheddu ai vertici dell'azienda mista. Ancora in ballo le nomine per il Brotzu, dove potrebbero andare Attilio Murru e Gianmbenedetto Melis. Quest'ultimo è stato sostituito da Sequi nell'azienda mista. ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 giu. ’11 POLICLINICO, L’UNIVERSITÀ CONTESTA LE ULTIME NOMINE CAGLIARI. Il rettore dell’Università Giovanni Melis non ha gradito le scelte dei vertici dell’azienda mista fatte dal direttore generale Filigheddu, dopo la decisione della Regione di rendere tutte le Asl “monocolori”. Nel caso dell’Azienda mista Asl-Università il partito di riferimento è quello dei Riformatori, ma al di là della scelta dei nomi, giudicati comunque di profilo, il rettore Melis contesta la scelta che «va nella direzione opposta a quella della stabilità, proprio in un momento nel quale il progetto di completamento del Policlinico è a un punto delicato». Policlinico, il rettore insorge CAGLIARI. La politica del monocolore nelle aziende sanitarie varata qualche giorno fa dalla giunta regionale se non ha trovato particolari dubbi tra i partiti, ha invece suscitato le forti perplessità dell’Università, che si trova a dover gestire, insieme alla Regione, l’azienda mista università-Asl. L’ex direttore amministrativo di Sassari Piero Tamponi e Roberto Sequi, già direttore sanitario del Brotzu, affiancheranno il manager Ennio Filigheddu alla guida dell’azienda mista ospedaliero-universitaria. Una scelta “monocolore”, e in questo caso riconducibile al partito Riformatori, che non trova del tutto convinto il rettore Giovanni Melis, che in una nota dichiara di non comprendere la logica alla base della scelta e teme che il naturale rodaggio dei nuovi vertici possa far perdere tempo prezioso nel difficile lavoro per il completamento del polo sanitario di Monserrato. Melis, pur con la diplomatica prudenza dovuta al ruolo e alla funzione di essere uno dei referenti dell’azienda, (l’altro e la Asl) giudica negativamente la scelta di avere accomunato anche l’azienda mista alle altre asl. Come si si trattasse di una azienda sanitaria normale e non un organismo complesso e delicato, dove il ruolo dell’università non può essere ridotto a mera facciata e dove la presenza dei docenti è l’essenza stessa della specificità aziendale. E così nella nota, dopo aver ritenuto «positivo il superamento del regime commissariale e la conferma del direttore generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria fondamentale per dare stabilità e capacità progettuale e programmatica al processo di riequilibrio economico e funzionale dell’Azienda, la recente decisione sulle nomine del direttore sanitario e del direttore amministrativo - ammette Melis in una nota - sceglie di privilegiare mere esigenze politiche e sconfessa la continuità gestionale». Non è un caso che il predecessore di Sequi fosse stato Gianbenedetto Melis, non solo uomo legatissimo a Oppi, ma medico universitario. Una nomina in qualche modo interna all’Università, e nei confronti della quale non c’erano state opposizioni da parte del mondo accademico. «Al di là della professionalità non in discussione dei nuovi dirigenti - continua il Rettore - risulta del tutto incomprensibile sul piano dell’esigenza prioritaria di garantire efficienza ed economicità al servizio ospedaliero-universitario. Auspico che il progetto di completamento del Presidio ospedaliero non subisca ulteriori ritardi». È questo il timore principale dell’Università: che le nomine rompano la “diversità” accademica e facciano rientrare anche l’azienda mista in una girandola di nomine che distolgano i protagonisti, Regione e Università, dal compito primario. Rendere totalmente funzionale il Policlinico, integrandone i servizi con quelli offerti dal sistema sanitario regionale.(g.cen.) ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 08 giu. ’11 «ANATOMIA, MISTRETTA TOLLERÒ DEGENERAZIONI» L’ex rettore a processo alla Corte dei Conti per il reparto fantasma CAGLIARI. «Sono venuti alla luce fatti emblematici di un complesso di responsabilità intrecciatesi tra loro, estrinsecatesi in gravissimi fatti di mala gestio e di uso dissennato delle pubbliche risorse». È pesante l’atto d’accusa con il quale la procura della Corte dei Conti porta a processo l’ex rettore dell’Università Pasquale Mistretta, il docente di Anatomia patologica in pensione Giuseppe Santa Cruz, e gli allora vertici del laboratorio di Anatomia al Policlinico di Monserrato, i dirigenti Rosa Cristina Coppola (ex direttore generale), Andrea Corrias (allora direttore sanitario) e Ennio Filigheddu (ex direttore amministrativo). La vicenda al centro del dibattimento davanti alla Corte che inizierà il 13 dicembre è quella del mancato funzionamento del Servizio Diagnostico di Anatomia Patologica istituito nel 2002, mai utilizzato fino al 2007. Provocando un danno erariale - è la valutazione del sostituto procuratore Mauro Murtas - di 2 milioni 351 mila euro: li chiede in parte a Mistretta e Santa Cruz (oltre 1 milione) in parte ai tre dirigenti (1 milione e 200 mila euro). Il quadro è semplice: il primario si rifiutava di eseguire biopsie e analisi da laboratorio per i reparti di Monserrato, imponendo l’esternalizzazione del servizio. Da rettore, Mistretta sarebbe stato a conoscenza della situazione e non avrebbe fatto nulla per arginare gli sperperi. «Le ragioni di questa incredibile vicenda sono rinvenibili in una lunga sequenza di arbitri, illeciti e inammissibili tolleranze - scrive il pm nella citazione inviata alle parti - tutti connotati dal comune denominatore dell’indifferenza verso la salute del cittadino quale bene primario da tutelare». E ancora, a proposito della posizione di Santa Cruz, il suo comportamento negli anni viene definito «orientato a creare una situazione ambientale di estrema invivibilità, della quale astutamente si lamentava vittima, contrassegnata da gravissima avversione verso i doveri di medico e di docente, verso le iniziative da altri intraprese per tentare di rendere autonomo e funzionale il Servizio». Dall’analitica e documentata ricostruzione effettuata dai carabinieri del Nas, guidati dal capitano Giovanni De Iorgi, è emerso un dato per la procura erariale inconfutabile: «Il rettore ha sempre avuto piena e tempestiva conoscenza della totale inoperosità del Santa Cruz e del Servizio la cui direzione era stata a lui assegnata, degli illeciti da questi consumati, della loro gravità, dei gravissimi disservizi da lui creati in danno del Policlinico Universitario sin dalla data di istituzione del Servizio». Il magnifico, infatti, conosceva ognuna delle lamentele dei medici nei singoli reparti, che restavano senza analisi e dovevano rivolgeri a laboratori esterni. Ecco perché il pm ritiene che Mistretta abbia «tollerato scientemente un’ autentica degenerazione gestionale». L’ex rettore, difeso dall’avvocato Costantino Murgia, ha sempre sostenuto di non avere avuto il potere di contenere i danni provocati da Santa Cruz. Lo spiegherà ai giudici della Corte dei Conti, dal 13 dicembre. (e.l.) ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 giu. ’11 SANITÀ, UN PIANO PLAGIATO Liori si difende: «Le linee guida sono del ministero» Ascolta la notizia CAGLIARI. Battaglia sul copyraight del piano della sanità: Roberto Capelli ha denunciato che il documento elaborato dall’assessore Liori ricalcava quello del Piemonte che, a sua volta, aveva ripreso il piano nazionale; Marco Espa, consigliere regionale, ricorda che il Pd aveva già denunciato a suo tempo che intere parti erano state «prese» dalla sanità del Veneto. L’assessore Liori replica: «Le linee guida sul Trattamento sanitario obbligatorio sono state formulate sulla base delle raccomandazioni approvate dalla Conferenza Stato-Regioni del marzo 2009. Altro che copiate da quelle del Veneto»! L’assessore giustifica così come sia possibile pensare in un piano regionale di parlare di «regioni confinanti». «Si tratta di raccomnadazioni finalizzate a rendere l’organizzazione degli interventi per l’emergenza-urgenza coordinati e omogenei sul territorio garantendo il rispetto dei diritti fondamentali e le opportunità di cura», dice Liori. A giudizio dell’assessore regionale alla sanità si tratta di un tetso elaborato in un tavolo naizonmale comune con le altre regioni e approvato dall’assessore precedente, quindi la Dirindin - afferma Liori - «che non ho ritenuto di dover disconoscere e modificare. L’ho solamente adattato alla realtà sarda arricchendolo ulteriormente con alcuni punti estrapolati da esperienze di Regioni all’avanguardia sul tema, come la Lombardia, le Marche, il Veneto, la Toscana». L’assessore Liori conclude ricordando che la Sardegna a livello nazionale ha da qulach emese un suo riconoscimento di professionalità in quanto riveste la vice presidenza del gruppo tematico della «salute mentale» della commissione sanità della Conferenza Stato-regioni. Di diverso avviso il consigliere regionale del Pd Marco Espa: «Prima di offrire repliche superficiali e generiche, l’asessore Liori che copia, dovrebbe prendere atto della nostra interrogazione urgente sul tema delicatissimo del trattamento sanitairo obbligatorio. Se noi confrontiamo i testi ci rendiamo conto che il piano dell’isola è copiato di pari passo da quello del Veneto. E allora l’asessore farebbe bene a spiegarci dove la Sardegna? E dovrebbe dirci chi governa la sanità dell’isola». Nell’interrogazione del Pd si chiede alla giunta di rivelare quali siano le strategie, i programmi, le azioni e i provvedimenti che si intendano adottare per promuovere, ad esempio, gli interventi per la salute mentale. __________________________________________________________________ Libero 7 Giu. ’11 IEO TAGLIA IL RICOVERO: SOLO 12 ORE IN CORSIA PER IL TUMORE AL SENO Medicina all'avanguardia Operarsi di cancro al seno ma passare in ospedale solo dodici ore. Una vittoria della chirurgia ma anche un sollievo psicologico enorme per la donna, che riduce allo stretto necessario l'impatto emotivo che deriva dal passare in corsia almeno due-tre giorni tra analisi ed esami. Una possibilità del tutto nuova che lo Ieo -Istituto europeo di Oncologia -ha presentato ieri durante lo "leo day 2011". Sino a oggi sono state 500 le donne selezionate per questo tipo di operazione eseguita nel nuovo leo Day Centre, pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di cancro al seno precoce grazie alla quale il tumore ha dimensioni ridotte a 4-5 millimetri. In pratica la donna entra in sala operatoria al mattino e subisce subito l'intervento, dopo il quale viene eseguita la terapia radiologica; esce dalla sala operatoria e dopo qualche ora può tornare a casa o -come capita al 60 % delle pazienti - può alloggiare nell'albergo che fa parte dello Ieo stesso, rimanendo in contatto telefonico con gli specialisti Così si spezza la catena ospedaliera che inizia il giorno prima con le analisi in day hospital e si conclude quello dopo con le osservazioni post operatorie. «Anticipare la diagnosi, per curare il tumore con la massima efficacia e con il minor impatto sul corpo e sulla mente, è il nostro motto», ha detto Umberto Veronesi. «Per il tumore al seno siamo riusciti a estendere questo modello fino alla cura completa in un solo giorno, nuova frontiera per l'Europa. E pensiamo che l'anticipazione della diagnosi, fino a scoprire lesioni impalpabili trasformerà questo cancro» - che oggi colpisce circa 37 mila donne e ne uccide 10 mila - «in una malattia controllabile». La cura in 12 ore «è molto gradita alle donne» ha precisato Alberto Lui, direttore della Senologia, «la proposta di poter entrare al mattino e alla sera tornare già a casa rende la diagnosi più "lieve" e la malattia, con le sue cure, è accettata più serenamente. Inoltre questo ci permette di ridurre la lista d'attesa, che ha sempre un impatto negativo sulla paziente». ________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 giu. ’11 ZANZARE, CIMICI E TERMITI GLI INSETTI TORNANO IN CITTÀ Moltiplicati dai condizionatori, ecco come conviverci MILANO— Subdole e invincibili, le zanzare tigre guidano l’esercito degli insetti che stanno invadendo le città. Acquattate nell’erba troppo cresciuta di parchi e giardini, attaccano quando il sole è caldo e gli umani sono distratti e indifesi. Le loro uova, disseminate nei luoghi più improbabili, capaci di resistere un anno intero all’asciutto e al gelo, a contatto con la prima occasionale pozza d’acqua, ricordo di un temporale o raccolta in un sottovaso, si schiudono. Gli esperti sono concordi nel metterle al primo posto tra le emergenze dell’entomologia urbana. Ma anche tra quelle sanitarie, perché potenziali vettori di malanni alieni per il mondo occidentale, dalla febbre gialla al Chikungunya. Sola difesa, repellenti al posto della crema di bellezza. «Se non vogliamo essere sopraffatti, dobbiamo tornare noi alla natura, smettere di vivere con il mito del condizionatore d’estate e del troppo caldo d’inverno. Per gli insetti le nostre case rappresentano l’eterna primavera» , dice Luciano Suss, docente alla facoltà di Agraria di Milano e autore del libro Gli intrusi dedicato agli insetti urbani infestanti. La natura si riprende le metropoli. Da tempo falchi, nutrie, scoiattoli e anche volpi — uno zoo intero è nascosto tra i palazzi — hanno capito che le città sono oasi sicure, meglio ancora riserve, dove proteggersi da chi li caccia e sfamarsi. I gabbiani volano lenti sulle discariche come a pelo d’acqua. I falchi pellegrini colonizzano gli stadi e fanno i nidi in cima ai grattacieli, lanciandosi in picchiata a 300 chilometri orari artigliando altri piccoli volatili. Come loro, gli insetti. Seicento e passa specie se ne contano nelle realtà urbane, dal Nord al Sud. «Poche, se pensiamo che se ne conoscono oltre un milione» . Piccoli, spesso invisibili come le cimici da letto, o capaci di travestimenti come la tèrmite che si «mimetizza» da formichina volante, sono ignorati finché l’invasione non è compiuta. C’è una seconda emergenza nell’agenda degli entomologi, che domani si riuniscono a Genova per il meeting annuale: quella delle cimici da letto. «Ci vuole poco, un lungo viaggio in un treno notte, si intrufolano in una piega della valigia, entrano nelle case o negli alberghi. O saltano da un vecchio materasso lasciato per strada all’auto parcheggiata. Te ne accorgi quando ti hanno punto. Due, tre ponfi uno accanto all’altro. Ma ormai c’è una colonia» , continua Suss. Liberarsene è allora lavoro da professionisti. E perché non prevenire con una spruzzata di insetticida sulla valigia? Le mosche sono scomparse dalle grandi città. Quasi tutte. «Di quel che sarà dove lasciano i rifiuti per strada non oso pensare— dice ancora l’entomologo — . Il conto si farà tra un po’» . Si sa già, invece, cosa accade dove i pappataci, che sembrano moscerini ma pungono come zanzare, incontrano i randagi, in molte città del Sud. «E trasmettono la filaria agli umani come ai non umani, con il cane a fare da ospite intermedio» . La cura è nota. Ordine e pulizia. Poco preoccupa al confronto la popolazione crescente di tignola fasciata, la farfallina bulimica, che si nutre di tutto, dai cioccolatini al riso, o la tarma dei tessuti. Poco, rispetto all’altra farfalla, la Licenide del geranio, arrivata dal Sudafrica con il commercio di talee e ormai diffusa ovunque nel Belpaese: scava gallerie nei fusti dei gerani e i bruchi corrodono le foglie. O come la Cerambice dalle lunghe antenne, contro le quali le Regioni allertano la popolazione, perché ogni albero intaccato dai piccoli mostri venuti dalla Cina va abbattuto e incenerito. Altra cura non c’è. Ed effetto della globalizzazione delle merci— così uova e larve compiono le traversate del globo — nelle retrovie di questo esercito di minuscoli esserini apparire lo Scleroderma domesticum. «Parassita del tarlo. Un affarino che punge brutalmente e sta diventando nelle nostre città una malattia professionale di antiquari e restauratori» , conclude Suss. Squilla il telefono. Risponde. Un assistente fa rapporto. «È un signore qui di Milano, quartiere Gallaratese, bella casa, bel giardino. L’altro giorno ha aperto la portafinestra e gli si è sbriciolata in mano» . Tèrmiti. Nel dopoguerra era stato organizzato un Comitato di lotta antitermitica, finanziato dal governo. «Ci sono da sempre in Italia, come nel mondo. In natura hanno un compito preciso, degradare la cellulosa. Ma se si trasferiscono in città, diventano incompatibili. Non dobbiamo illuderci. Se non vogliamo perdere la battaglia contro questi mostriciattoli, serve conoscenza e prevenzione» . Paola D’Amico pdamico@corriere. it ________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 giu. ’11 IN SEI REGIONI LA SANITÀ È SOTTO I «LIVELLI MINIMI» Rapporto Il ministero della Salute registra forti disparità fra Nord e Sud Il ministero della Salute registra forti disparità fra Nord e Sud Sono le prestazioni e servizi sanitari cui hanno diritto tutti i cittadini, ma i Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono ancora un miraggio in tutto il Meridione e nel Lazio. A scovare le regioni inadempienti, sulla base di specifici indicatori del rispetto dei Lea, è questa volta un rapporto del Ministero della Salute. Vediamo allora in dettaglio i risultati. Sono tutte del Centro-Nord le regioni "virtuose": otto sulle 17 monitorate. «La verifica del rispetto dei Lea non ha riguardato Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Bolzano e Trento, perché non partecipano alla ripartizione del 3%del Fondo sanitario nazionale (una "riserva"che viene attribuita dal Comitato di gestione Lea dopo la ripartizione del Fondo, ndr)» precisa Lucia Lispi, della Direzione generale Programmazione sanitaria, Livelli di assistenza e principi etici di sistema, del Ministero della Salute. Il rapporto evidenzia invece situazioni "critiche"in Molise, Abruzzo, Sicilia, Campania, Lazio e Calabria; Regioni sottoposte a piani di rientro. "Sorvegliate speciali"Basilicata, Puglia e Sardegna, perché parzialmente inadempienti. «Sono ancora troppi i ricoveri inappropriati per scarsa o inadeguata assistenza territoriale e manca quasi del tutto l’assistenza domiciliare per gli anziani — sottolinea la dirigente del Ministero —. Nelle regioni "virtuose", dove i servizi per curare patologie croniche (per es. asma, diabete) funziono, si possono prevenire complicanze ed evitare il ricorso all’ospedale » . Secondo il rapporto, usufruisce dell’assistenza domiciliare integrata poco più dell’ 1%degli anziani calabresi, campani e pugliesi. E appena lo 0,02%degli over 75 campani riceve cure in strutture residenziali, mentre in Veneto si arriva al 74,5%. Cittadini meridionali penalizzati anche se si fratturano il femore: spesso sono operati in ritardo (dopo 48 ore), per cui si riducono le possibilità di recupero. Riguardo alla prevenzione, infine, sono quasi inesistenti al Sud i programmi di screening per individuare precocemente tumori a mammella, cervice uterina e colon retto. «Il rapporto conferma ciò che denunciamo da tempo — commenta Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale delle Associazioni che rappresentano i malati cronici —. La responsabilità, però, non è solo delle Regioni: il Ministero deve essere il garante dell’applicazione dei Lea. Inoltre, si è dato il via libera a piani di rientro che puntavano solo su tagli alla spesa, senza riprogrammare l’assistenza sul territorio» . Maria Giovanna Faiella © R ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 giu. ’11 AUTISMO, RICERCHE SARDE APPREZZATE NEGLI USA La ricerca sull'autismo e sui disturbi pervasivi dello sviluppo, il confronto con i centri nazionali e internazionali più avanzati, una stretta rete di collaborazione con la medicina di base, in particolare con i pediatri, sono gli elementi che permettono di affrontare al meglio queste patologie molto complesse. I risultati in Sardegna non mancano, come dimostra la sempre più ridotta migrazione dei pazienti fuori dall'isola ma anche una capacità sempre più precoce di diagnosi e intervento. Di questo e di quello che ancora si può e si deve fare si è parlato mercoledì al Brotzu nel seminario “Nuove prospettive di ricerca sui Disturbi dello spettro autistico”, iniziativa promossa dal Centro per i disturbi pervasivi dello sviluppo dell'Azienda ospedaliera, diretto da Giuseppe Doneddu, in collaborazione con Alessandro Zuddas, dirigente del Centro di Terapie farmacolologiche in Neuropsichiatria dell'infanzia dell'Università di Cagliari. L'incontro ha costituito un'occasione per presentare gli studi che il gruppo sardo ha portato a San Diego in Califronia durante l'Imfar, il meeting sull'autismo che riunisce annualmente i ricercatori di tutto il mondo. I relatori si sono concentrati sugli aspetti legati alla diagnosi con l'uso sperimentale di strumenti standardizzati e il ricorso a nuovi indicatori comportamentali. A questo proposito, nelle loro presentazioni, Sara Congiu e Maria Foscoliano hanno evidenziato la relazione tra la gravità dei sintomi e i modelli di attenzione visiva verso gli stimoli. L'indagine di questi aspetti fondamentali è possibile grazie anche all'uso dell'Eye tracker (in dotazione al Brotzu grazie a un finanziamento della Fonazione Banco di Sardegna) strumento che permette di studiare i modelli di esplorazione visiva. ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 08 giu. ’11 SAN RAFFAELE, VICINISSIMO IL VIA LIBERA Ottimismo del numero 2 dell’ospedale dopo il blitz in città. Tra 10 giorni il sì della Regione Ascolta la notizia Ieri è ripresa a Cagliari la discussione dell’emendamento per aiutare don Verzè STEFANIA PUORRO OLBIA. Gli hanno dato tempi certi, a Cagliari: entro il 20 giugno il San Raffaele avrà l’accreditamento dei posti letto. Senza più nessun rinvio. Il vice presidente della fondazione, Mario Cal, è fiducioso. Vuole esserlo. Il gigante privato della sanità d’eccellenza è quasi pronto per entrare in funzione, e dopo 23 anni di attesa è stanco di pensare all’eventualità che possano esserci ulteriori intoppi o rinvii dell’ultimo minuto. Per sincerarsene ha sentito un importante assessore della giunta di Cappellacci e proprio da lui sono arrivate le assicurazioni. Oggi (ieri per chi legge) è cominciata in consiglio regionale la discussione sull’emendamento alla finanziaria che prevede la concessione di più posti letto alle province al di sotto dei parametri ed è proprio qui che rientreranno quelli promessi all’ospedale di don Verzè. «L’assessore è stato chiaro - ha detto ieri Mario Cal all’aviazione generale, al termine del suo blitz in città -. Ci ha detto che entro il 20 giugno otterremo l’accreditamento. E’ l’ultimo necessario via libera, dopo il quale la strada sarà tutta in discesa. I lavori sono a un ottimo punto, mancano solo i dettagli. Entro l’anno, e questa è una certezza, il San Raffaele di Olbia aprirà». Ma Mario Cal ha voluto fare anche una precisazione, non di poco conto. «Il San Raffaele, e lo dico a chiare lettere per fugare ogni dubbio, non ha debiti con nessuna impresa. Noi lavoriamo in questo modo: attraverso le banche, con regolare fattura, paghiamo i nostri fornitori i quali, però, affidano a loro volta i lavori in sub appalto. Vengo al punto. La società Progetti srl di Milano, che si occupa di impiantistica per il San Raffaele, ha subappaltato i lavori alla Stea srl di Olbia che ha sua volta ha dato in sub appalto alcune opere a un’impresa di costruzione metalliche di Giuseppe Baire. Non siamo noi, dunque, a dover pagare quest’ultima impresa che si è lamentata per non aver ricevuto diverse centinaia di migliaia di euro. E, ripeto, non dobbiamo niente a nessuno». Un flash polemico per poi guardare di nuovo avanti. «Il nostro unico interesse è aprire al più presto il San Raffaele. Per offrire a questa città, al suo territorio e a tutta la Sardegna una sanità di altissimo livello, unita alla ricerca, sempre in perfetta sinergia con gli ospedali pubblici». Manca quindi solo l’ostacolo del consiglio regionale. L’equivoco dell’emendamento spuntato improvvisamente di un mese fa, prima presentato e poi ritirato dal Pd e interpretato inizialmente da Renato Lai (Pdl) come un tentativo di bloccare il San Raffaele, sembra superato. Sempre che dall’aula non arrivino altre sorprese. ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 08 giu. ’11 CORDOTOMIA CERVICALE, IN ITALIA SI FA SOLTANTO QUI E A TORTONA Sergio Mameli affronta così sofferenze altrimenti non più gestibili Ascolta la notiziaCAGLIARI. Si chiama «cordotomia cervicale percutanea», all’Oncologico ne fa circa cento all’anno l’anestesista Sergio Mameli, responsabile del neo inaugurato servizio di terapia antalgica dell’ospedale. La cordotomia in parole molto povere interrompe il passaggio della sensazione del dolore ma lascia la sensibilità degli arti o della parte del corpo colpita dal dolore. La cordotomia non si fa su qualunque tipo di dolore: spiega il dottor Mameli che è riservata ai malati di certi tumori. Questi pazienti, quando camminano, muovono le braccia oppure si alzano in piedi, soffrono di dolori impossibili che nessuna medicina riesce a lenire. «Sono dolori che si scatenano col carico e col movimento - dice ancora l’anestesista - questa tecnica consente di controllare il dolore». Mameli la pratica in casi di invasione tumorale dei nervi degli arti inferiori o del polmone. Non si praticano tagli: si usa un ago, il punto di accesso è uno solo, nella colonna cervicale. Quando questa è compromessa da deformazioni, eventualmente aumentano le difficoltà, ma l’intervento si può fare comunque. In tutti i casi ci vuole una grande esperienza. Ieri durante l’inaugurazione qualcuno diceva che in Italia sono soltanto due i medici in grado di praticare la cordotomia cervicale, intervento di neurochirurgia che ha una sua percentuale di rischio nell’esecuzione. I «due» sono Mameli e Guido Orlandini, ora a Tortona, ma con grandi frequentazioni cagliaritane: Mameli ha imparato la cordotomia da lui che veniva all’Oncologico per praticarla. Mameli ha anche pazienti non sardi. Cosa cambia col nuovo servizio di terapia antalgica? «L’accoglienza di sicuro - spiega l’anestesista - la quantità di casi trattati per ora no, siamo sottodimensionati come organico. Qui si è fatta una scelta: i pazienti tumorali non hanno attese, tutti gli altri purtroppo sì». Lunghe. (a.s.) ________________________________________________________________ Corriere della Sera 07 giu. ’11 IL CERVELLO NON VUOLE RIMPIANTI NEUROPSICOLOGI ED ECONOMISTI SCOPRONO I PROCESSI CHE PORTANO AD EVITARE SGRADEVOLI EMOZIONI Così sfugge al senso di colpa. E accetta anche scelte egoiste Guadagni Una ricerca era mirata a capire il perché alcuni erano disposti a rinunciare anche a lauti guadagni Europa e Usa Lo studio condotto negli Usa e in Europa è stato definito la «neurobiologia del buon samaritano» Tutti conosciamo la sensazione di rimpianto che si accompagna al pensiero «Ah, se solo avessi ....». E conosciamo l' imbarazzo, a questa intimamente legato, di non essere stati all' altezza di quanto altri si aspettavano da noi. Ebbene, nell' ultimo numero della rivista specializzata Neuron, un gruppo di economisti e neuropsicologi dell' Università dell' Arizona, delle Università di Nimega e di Goteborg e del California Institute of Technology, riporta di aver scoperto le basi cerebrali dei processi che portano ad evitare queste sgradevoli emozioni e delle decisioni sottostanti. In sostanza, mediante la risonanza magnetica funzionale, hanno scoperto che la scelta di cooperare con un partner economico attiva zone cerebrali diverse da quelle attivate dal rifiuto di cooperare, quando, cioè, si fanno scelte squisitamente egoiste, con conseguente senso di colpa. Una complessa serie di esperimenti di laboratorio, caratterizzata da questi autori come una «triangolazione» (economica, psicologica e neurologica), costituisce oggi il più recente anello scientifico di una lunga catena di dati e di ipotesi sui motivi dei comportamenti di cooperazione, ovvero di competizione, e del senso di colpa generato da quest' ultimi. Lascio la parola all' economista svedese Martin Dufwenberg, docente all' Università dell' Arizona. «Evitare il senso di colpa è un processo psicologico studiato da gran tempo. In collaborazione con l' economista italiano Pierpaolo Battigalli della Bocconi, abbiamo costruito in questi ultimi anni un modello matematico complesso dell' impatto che questi processi psicologici possono avere sulle decisioni economiche. Il lavoro adesso pubblicato su Neuron rivela per la prima volta le basi cerebrali di questi processi». Passo a intervistare il suo co-autore (con Luke Chang e Alex Smith) e collega Alan Sanfey che divide il suo tempo tra l' Università dell' Arizona, l' Università di Nimega e l' Università di Trento a Rovereto (insignito l' anno scorso con il premio scientifico della Provincia di Trento), uno dei massimi rappresentanti del campo chiamato neuro-economia. Mi risponde: «Ci si chiede da tempo come mai la gente cooperi così spesso con altri, anche quando una scelta egoista porterebbe loro maggiori guadagni. Evitare il senso di colpa per la mancata cooperazione sembra essere una buona spiegazione. Adesso abbiamo visto, in situazioni sperimentali ben controllate, che le decisioni di tipo altruistico sono correlate all' attivazione cerebrale specifica dell' insula, dell' area motoria supplementare, la corteccia prefrontale dorso laterale, e la giunzione temporo-parietale. Invece, le decisioni di tipo egoista accompagnate da senso di colpa attivano la corteccia ventromediale e dorsomediale e il nucleus accumbens». Chiedo a Dufwenberg e Sanfey di tradurre in termini comprensibili il significato di queste attivazioni cerebrali. In sostanza, l' insula è una regione associata al dolore e al disgusto e tiene quindi conto dei guadagni perduti e del relativo rimpianto. Altre regioni cerebrali sono invece sensibili all' ottimizzazione dei guadagni, all' autocontrollo e a quanto i risultati collimano con le aspettative. I segnali cerebrali ottenuti rivelano un conflitto decisionale tra trasmettere parte dei fondi ricevuti a un fiduciario, nella speranza che questo li restituisca moltiplicati, o invece tenere tutti i fondi per sè. Questi dati rivelano anche un segnale di senso di colpa se il fiduciario, a sua volta, si tiene tutti i fondi ricevuti dall' investitore, violando la fiducia che questo aveva riposto in lui. Quale sarà la svolta successiva? Dufwenberg mi dice che si è rivelato sempre più importante, nelle teorie economiche, tener conto dei fattori psicologici e costruire modelli matematici esatti dell' influenza delle aspettative dei partecipanti sulle decisioni. Non solo, adesso si passa ad un calcolo ancora più complesso, cioè le aspettative sulle aspettative degli altri soggetti. «Diventa possibile - nota - introdurre modelli sugli stati psicologici successivi alle decisioni, il senso di colpa in particolare, una prospettiva di enorme interesse. Per le scelte ripetute nel tempo questo fattore diventa molto importante». Sanfey aggiunge che è importante aver collegato i circuiti cerebrali coinvolti nella valutazione delle aspettative e negli stati affettivi negativi con la decisione di cooperare con altri. «L' altruismo non è solo una faccenda di buoni sentimenti, ma è anche il risultato del senso di colpa conseguente a una scelta egoistica. Infine, i dati neurobiologici e i modelli matematici rendono concetti come colpa, imbarazzo, invidia molto più precisi». Parrebbe, aggiungo io, che si sia scoperta la neurobiologia del buon samaritano. RIPRODUZIONE RISERVATA Piattelli Palmarini Massimo ________________________________________________________________ Sanità News 11 giu. ’11 SIARED FISSA DIECI PUNTI PER LA SICUREZZA IN SALA OPERATORIA Nel corso dell’8° Congresso Nazionale della SIARED, Società Italiana di Anestesia Rianimazione Emergenza e Dolore, (emanazione scientifica dell’AAROI-EMAC, Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica) sono stati fissati alcuni punti fondamentali per la sicurezza delle sale operatorie. Il documento sottolinea in particolare l’importanza della cultura della sicurezza e di alcuni fattori quali la comunicazione, la professionalità medica, l’organizzazione e le regole. Tutti elementi necessari per la riduzione del rischio all’interno delle sale operatorie. Paolo Gregorini dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Maggiore di Bologna e consigliere nazionale Siared fa un esempio: “Per ridurre il rischio di un incidente automobilistico è necessario avere un pilota competente, ma molto spesso questo non basta. E’ importante avere una macchina e un ambiente circostante (codice della strada, cartelli, strade, etc) che siano il più possibile sicuri. Traslando questo esempio alle sale operatorie, per incrementare la sicurezza dovremo agire sia sulla professionalità del personale sanitario, sia su leggi, regolamenti e linee guida che ne condizionano l’attività e l’organizzazione. Ma ancora non basta – continua Gregorini –, il principale punto di forza per la riduzione dei rischi è la diffusione della cultura della sicurezza, ognuno deve conoscere il ruolo che ricopre, saper svolgere la propria attività e lavorare in gruppo con un obiettivo comune: la sicurezza del paziente”. In sintesi alcune indicazioni per una sala operatoria sicura: 1. Tutti devono conoscere i nomi delle persone con cui lavorano e la comunicazione tra gli operatori deve essere strutturata. In sala operatoria, ad esempio, ogni richiesta deve essere preceduta dal nome dell'operatore interessato che, a sua volta, dovrà rispondere al comando ricevuto. 2. Bisogna inoltre conoscere quello che si sta facendo in ambito anestesiologico (e chirurgico) e le possibili conseguenze. In altre parole tutti i componenti dell’equipe devono avere cognizione di quello che sta accadendo in sala operatoria ed essere in grado di svolgere la propria attività sia in una situazione di normalità, sia di emergenza. “In questo senso – spiega Gregorini – è fondamentale il briefing pre- operatorio. I dati mostrano che l’abitudine a studiare l’intervento da fare in equipe può diminuire gli errori di comunicazione del 64%, aumenta la sicurezza del paziente e migliora la qualità del lavoro del team. E’ inoltre dimostrato che aumenta l'efficienza delle sale operatorie riducendo i ritardi del 36%”; 3. Gli allarmi dei monitor non devono essere mai spenti né deve esserne abbassato il volume. “Spesso non è così – sottolinea Gregorini -. Negli Stati Uniti è stata fatta una campagna pubblicitaria per diffondere l’importanza di tali allarmi che, per quanto rumorosi, possono salvare una vita”; 4. Sono necessari momenti formativi on work e simulazioni periodiche su ruoli e azioni da compiere in caso di trattamento di un evento avverso; 5. Deve essere presente una figura di riferimento che gestisca tutte le fonti di distrazione.(cellulari, telefonate interne, telefonate dal pronto soccorso) per poi trasmettere le informazioni alla fine della seduta operatoria, a meno che non si tratti di effettiva emergenza; 6. Sono inoltre necessarie riprese video delle attività degli operatori da usare esclusivamente per migliorare le prestazioni ed individuare eventuali fattori di rischio. In Italia attualmente non è possibile limitare la raccolta dati unicamente in funzione della qualità, perché ogni registrazione, in caso di incidente, dovrebbe essere acquisito dai giudici. 7. Devono essere utilizzate le check list di controllo in accettazione e in dimissione dei pazienti, con il pieno coinvolgimento degli operatori. 8. Deve essere individuato un responsabile delle sale operatorie e delle procedure da applicare (in genere l’anestesista rianimatore); 9. Deve essere presente una recovery room nelle immediate vicinanze della sala operatoria per osservare i pazienti dopo l’intervento. In Italia sono pochissimi gli ospedali che hanno a disposizione questo tipo di ambienti dove accertarsi che il risveglio vada nel migliore dei modi; 10. I servizi di supporto (amministrazione, farmacia, radiologia e in generale i fornitori interni) devono collaborare con gli operatori: per tutti gli attori vicini o lontani dall’azione terapeutica l’obiettivo primario deve essere la migliore cura del paziente. (Sn) ________________________________________________________________ Sanità News 11 giu. ’11 CHIUDERE GLI OPG SENZA TOCCARE LA LEGGE BASAGLIA E' necessario non confondere assolutamente i piani di azione. Dal convegno nazionale di oggi dedicato agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg), del resto, e' emersa una sola inequivocabile volonta': chiudere gli Opg senza toccare la legge Basaglia''. A sottolinearlo durante il primo convegno nazionale dedicato agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari '''Se questo e' un ospedale'', svoltosi oggi alla Sala Zuccari (Senato della Repubblica), Ignazio Marino, presidente della Commissione d'inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale; i senatori Michele Saccomanno e Daniele Bosone rispettivamente relatore di maggioranza e di minoranza dell'inchiesta sulla salute mentale e la senatrice Donatella Poretti, membro della Commissione d'inchiesta. ''Non vi e' alcuna necessita' - aggiungono i senatori commissari - di riformare la legge Basaglia, ma eventualmente regolamentare e rendere efficaci le parti inapplicate, come la chiusura degli Opg. In 42 interventi che si sono susseguiti oggi lo hanno ribadito tutti: operatori e direttori sanitari degli Opg, associazioni e rappresentanti delle Asl e dei Dipartimenti di salute mentale. Il diritto alla salute e' un diritto di tutti: negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si e' smarrito e dobbiamo ritrovarlo''. (Sn)