RASSEGNA STAMPA 05/06/2011 UNIVERSITÀ IMMOBILE PER STATUTO ATENEI, 7 ITALIANI TRA I PRIMI 200 CAGLIARI: GLI UNIVERSITARI E I PROBLEMI INSOLUTI STATALE: TASSE, METÀ DEI NOSTRI STUDENTI POTRANNO ESSERE ESONERATI VALORIZZARE LA CONOSCENZA BERLINGUER: UN PAESE CHE STUDIA POCO LA QUESTIONE MERIDIONALE E IL BUSINESS DELLA FORMAZIONE CANZIO STANA I FURBONI TRA LE TOGHE, GLI OSPEDALI E ATENEI UFFICI PUBBLICI, CROLLO DELLE ASSENZE STUDENTI: DEPRESSI MA NON PIGRI SIETE PRONTI PER L'IPV6? NAVIGATORI E «CLOUD» RIDANNO SLANCIO ALL'ICT LA FLESSIBILITÀ INTELLIGENTE LE METODICHE DI MISURA DELLE EMISSIONI DEGLI IMPIANTI RADAR MA PERCHÉ IL FOTOVOLTAICO HA IL DIRITTO DI INQUINARE? COSÌ I TAPPI DEL VINO ITALIANO CI SALVERANNO DAI GAS SERRA BELLI, IMPERFETTI E MOLTO LANA DI PECORA, IL NUOVO BUSINESS QUESTIONI DI LANA CREATIVA ORO BLU, RIFIUTI, UNIVERSITÀ I PADRONI DEI BENI COMUNI EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA IN FORTE CRESCITA NONOSTANTE KYOTO COME TI ELUDO IL PRINCIPIO DI COMPLEMENTARITÀ ========================================================= LA REGIONE STA DISTRUGGENDO LA SANITÀ LE SCELTE DEI MEDICI, L'INCUBO DELLE DENUNCE NUORO: IL PROJECT DELLA DISCORDIA MONSERRATO: ARGIOLAS: «VOGLIAMO CONTINUITÀ CON L ATENEO» BRUNETTA CONTROLLA GLI SCIOPERI, BACCHETTATE DUE ASL PIANO ANTIDEFICIT LAZIO: OTTO OSPEDALI CHIUSI SAN RAFFAELE, ECCO IL PIANO PER LE BANCHE PS: L’IPOTESI: «CODICI VERDI» DAI MEDICI DI FAMIGLIA PS: AMBULANZE LENTE E DIAGNOSI SBAGLIATE PS: LA LUNGA ATTESA PER LA VISITA PS: LA GIUNGLA DEI TICKET: SI PAGANO DAI 25 AI 50 EURO SANITÀ, IL FUTURO E NELLA RETE L'OSPEDALE A PROVA DI ERRORE? UNA QUESTIONE DI SOFTWARE IL LIBRETTO SANITARIO RIDUCE SPESE E TEMPI IL TABLET IN CORSIA ELIMINA GLI ERRORI DI COMPRENSIONE LA SECOND OPINION? ORA DISPONIBILE IN TEMPO REALE L’IMAGING SVELA TUTTI I SEGRETI DEL CORPO DIAGNOSI COSTANTE VIA SMARTPHONE LA CELLULA NON È UNA FABBRICA FORDISTA MA UN LUNA PARK I NOSTRI SOGNI? LI DECIDE UNA SCOSSA ELETTRICA THEBERA: STRATEGIA EUROPEA PER LO SVILUPPO DEI TRAPIANTI NOI, RIFESSI NELLA MENTE DEGLI ALTRI E.COLI E LA RISCOSSA DEL RAME IN CUCINA RICORDO DI FALASCHI: ABBIAMO BISOGNO DI SCIENZIATI UMANISTI NUOVE RACCOMANDAZIONI PER L'USO DELLA TOSSINA BOTULINICA GLI ENDOCRINOLOGI PROMUOVONO L’USO DEL SALE IODATO POCO AFFIDABILI I TEST GENETICI 'FAI DA TE' UN FARMACO PER IL CARCINOMA PROSTATICO RESISTENTE ALLA CHEMIO ========================================================= _____________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Giu. ’11 UNIVERSITÀ IMMOBILE PER STATUTO Come e perché il partito dei presidi sta vanificando la riforma in corso di Daniela Venanzi Le università stanno riscrivendo i loro statuti in applicazione della legge 240/2010. Le prime evidenze che emergono mostrano la tendenza degli atenei ad arroccarsi sulla conservazione dello status quo. Questa riforma, presentata dalla maggioranza di governo come "epocale", rischia così di tradursi in un nulla di fatto. Alcune prime attuazioni sembrano tradire i principi definiti fondanti della riforma, quali la centralità della ricerca, la semplificazione organizzativa, il focus sulla qualità dei risultati e sulla loro valutazione come metro per assegnare risorse, l'efficienza decisionale, il richiamo all'etica dei processi della comunità universitaria. Principi ampiamente condivisibili, che nella legge però sono meri proclami cui è facile aderire, ma per i quali è molto meno facile trovare una metrica adeguata per tradurli in regole decisionali, in organizzazioni funzionanti, in meccanismi operativi virtuosi. Qui sta la causa prima dei vizi che alcuni atenei stanno introducendo. Basta leggersi i verbali e documenti istruttori (in itinere) delle commissioni statuto di alcuni atenei, accessibili sui siti web, quali per esempio Basilicata, Calabria, Genova, Napoli, Pisa, Roma Tre, Siena, Trieste, 'Verona, per avere esempi di alcune criticità. In primo luogo, le modalità con cui è stata organizzata la fase costituente e sono stati designati gli organi deputati a svolgerla. Qui si va dal massimo della democrazia e condivisione a estremi di stampo dirigistico e autoritario. I primi sono processi che stimolano la partecipazione di tutte le componenti dell'ateneo, la massima trasparenza dei processi e dei documenti, prodotti, riservandosi i vertici attuali solo un ruolo di garanzia sul processo. All'estremo opposto, i vertici di ateneo, spesso scaduti e in prorogatio per effetto della riforma, dettano linee guida molto stringenti alla commissione statuto su quello che il nuovo statuto dovrà essere. A volte i componenti della commissione statuto sono indicati dagli organi che la riforma esautora. In numerosi atenei i verbali e documenti della commissione sono resi accessibili solo dall'interno dell'ateneo oppure mantenuti riservati (oppure prima resi pubblici e poi oscurati). E veniamo alla governance. I dipartimenti, che la legge vuole ridefiniti secondo criteri di omogeneità scientifica, spesso non vengono ridefiniti affatto, ma sono mere aggregazioni degli attuali dipartimenti per facoltà, replicandole tali e quali sotto diverso nome, trasformando così l'omogeneità da scientifica a didattica. Il "partito dei presidi" mira a impacchettare nello stesso dipartimento i corsi di laurea offerti dalle attuali facoltà, limitando al minimo le interazioni tra i "nuovi" dipartimenti per quanto attiene alla didattica. L'omogeneità scientifica dei dipartimenti è, invece, indispensabile per il rilancio della ricerca e per una seria valutazione dei risultati, cui legare l'assegnazione delle risorse e la responsabilità primaria dell'offerta formativa. Come pure è gestibile (oltreché utile) l'interazione tra i dipartimenti che contribuiscono allo stesso progetto formativo, se si vuole migliorare la didattica, legandola allo sviluppo della ricerca nei diversi ambiti scientifici: soluzioni organizzative idonee allo scopo s'insegnano da anni nelle aule universitarie dei corsi di management. Si teme, forse, che lo scardinamento delle attuali recinzioni in dipartimenti e facoltà e la successiva libera riaggregazione di docenti per progetti di ricerca e affinità scientifica possa intaccare l'attuale mappa del potere o cancellare i confini degli attuali "orticelli"? A volte, neppure si definiscono i criteri per formare i nuovi dipartimenti, ma si stabiliscono direttamente quanti (e quali) saranno, per garantirne piena rappresentanza nel senato accademico, ricavando ex post il numero minimo degli afferenti. Alla faccia dell'evoluzione del sapere e degli ambiti scientifici e di ricerca! Ma emerge anche una strategia alternativa: dipartimenti attuali (adeguati ai minimi di legge) e strutture di raccordo - che la legge Gelmini immagina snelle con compiti puramente tecnici di coordinamento e razionalizzazione didattica-forti, sovraordinate rispetto ai dipartimenti, capaci di avocare a sé l'allocazione delle risorse, in un gioco di proposta, vaglio e riproposta con ì dipartimenti degno della peggiore burocrazia degli apparati. Si chiamino scuole o strutture di raccordo, sono le attuali facoltà, governate però non da un organo collegiale (come ora), bensì da un consiglio di presidenti e direttori, strutture quindi non tecniche ma politiche, intermedie tra senato accademico e dipartimenti, con rappresentanza di diritto nei vertici di governo, così forzando il principio dell'elettività della rappresentanza e il divieto di cumulo di cariche nel senato accademico, fissati dalla legge (articolo 2, comma i, lettere f e s). L'attuale mappa del potere, insomma, non cambia, ma si rafforza e si verticalizza. Gli organi si moltiplicano e si moltiplicano i livelli decisionali. Altro che semplificazione. Ma perché la "nomenclatura accademica" dovrebbe lasciarsi sfuggire questa ghiotta occasione di una svolta centralista e autoritaria che la legge Gelmini, in nome di un decision-making più efficiente e finalizzato, consente e forse incentiva? E che dire della tendenza a limitare ruolo degli esterni, quando la legge li impone, nel consiglio di amministrazione o nel nucleo di valutazione? Che si tratti di fissarne il numero al minimo, oppure di far proporre o approvare i nomi dai vertici a composizione interna, oppure di rinviarne i criteri di designazione dallo statuto al regolamento interno, sono varianti dello stesso vizio di autoreferenzialità. Si farà ingannare il Miur da statuti (che dovranno passare il suo vaglio) snelli e deliberatamente reticenti? Dietro non ci saranno organizzazioni snelle, ma regolamenti interni (che non dovranno passare il suo vaglio) pesanti e dirigisti, necessari a regolare i potenziali conflitti di attribuzione che la moltiplicazione di ruoli e livelli comporta, che regolamenteranno tutto quanto lo statuto lascia indefinito. Basterà al Miur poter dire di avere atenei riformati e virtuosi, ma solo sulla carta degli articoli e commi della legge? Userà il bastone della "legge dei principi" e la carota dell'autonomia attuativa (maglie larghe della legge e vaglio soft degli statuti) per salvare capra e cavoli? E consentire, oltre qualunque gattopardesca previsione, che tutto resti come è (o peggio)? Daniela Venanzi è ordinario di Finanza aziendale all'Università di Roma Tre _____________________________________________________ Il Messaggero 2 Giu. ’11 ATENEI, 7 ITALIANI TRA I PRIMI 200 Bologna e la Sapienza le migliori UNIVERSITÀ Per stilare la classifica. Qs ha intervistato 15mila professori Bene Lingue moderne, Padova primeggia per Filosofia di ALESSANDRA MIGUOZZI ROMA - In cima alla classifica ci sono le solite Harvard, Berkeley, Oxford e Cambridge, che mantengono inalterata la loro fama di università al top. Ma nel campo delle discipline umanistiche anche l'Italia non sfigura a livello internazionale, piazzando 7 atenei fra i primi 200 al mondo, con Bologna che fa la parte del leone e la Sapienza che le sta alle calcagna. Sono i risultati della classifica stilata da Qs, Quacquarelli Symonds, società che dal 2004 pubblica i ranking degli atenei migliori. Per la prima volta Qs ha scandagliato le scienze umanistiche. Bologna è 42esima al mondo per le Lingue moderne (la prima è Harvard) e 48esima per la Storia (primeggia Harvard). La certificazione arriva dal mondo accademico e dalle imprese: Qs ha dato peso soprattutto al giudizio dei professori. Ne sono stati sentiti 15.000, ognuno poteva citare le università al top, fatta eccezione per la propria. In seconda battuta ha pesato il giudizio delle aziende: hanno segnalato le università che preparano i migliori. Infine si è tenuto conto della ricerca, ma solo per Storia, Geografia, Filosofia e Linguistica. Nell'area della Filosofia l'ateneo al top in Italia è quello di Padova, fra i primi 150 al mondo. Fra i primi 200 c'è l'università Cattolica del Sacro Cuore. Per le Lingue Moderne dopo Bologna c'è la Sapienza di Roma, seguono Padova e Pisa a pari merito, poi c'è l'ateneo di Firenze. Per la Geografia Firenze e Bologna garantiscono la stessa qualità: sono fra i primi 150 atenei al mondo. La Sapienza è fra i primi 200. In Storia. primeggia Bologna (48esima), segue la Sapienza (fra le prime 100 università), e Siena (fra le prime 150). Per la Linguistica si piazza solo Padova nelle prime 100 posizioni. «Bologna conferma la propria reputazione», spiega Ben Sowter, responsabile della divisione ricerca di Qs che parla di un risultato di «tutto rispetto» per l'Italia. Ma «la tradizione culturale italiana risente della competizione con università di paesi dove la lingua è l'inglese. Inoltre, anche se le scienze umanistiche non producono molta ricerca, per molte altre discipline questa è un aspetto fondamentale dell'attività universitaria e in Italia non è sufficientemente finanziata sia a livello pubblico che privato». __________________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 Giu. ’11 L'ATENEO DI CAGLIARI: GLI UNIVERSITARI E I PROBLEMI INSOLUTI Giuseppe Marci Tanti anni fa, nel corso dell'indagine parlamentare, la Commissione d'inchiesta sui fatti di criminalità in Sardegna, avendo bisogno di dati, chiese una relazione a un mio vecchio professore. Era d'estate, faceva caldo, c'era fretta; quel simpatico sornione volle, e ottenne a tamburo battente, l'installazione di un condizionatore nello studio universitario in cui operava. C'era fra noi una gran differenza d'età, ma godevo della sua confidenza. Mi raccontava l'episodio con divertimento. Lo consideravo un Maestro; di quello che non si deve fare. Tant'è: anche dagli esempi negativi si ricavano lezioni, forse le più efficaci. Da lui ho imparato che, troppe volte, il mondo della cultura si è avvicinato alla politica col cappello in mano, chiedendo poco e male, chiedendo non tanto per sé, quanto fuori da ogni disegno d'assieme; ignorando la spinta che viene dalla consapevolezza di muoversi mirando al massimo vantaggio possibile per la collettività. Per questo, se dovessi domandare qualcosa al neoeletto sindaco di Cagliari, gli direi che voglio la luna. A fronte alta, perché so che non sarebbe per me ma per tutti: per le migliaia di giovani che frequentano il nostro Ateneo e per la città che, ignorando gli studenti e considerandoli solo come possibili inquilini per esose locazioni, non sempre fiscalmente regolari, sbaglia due volte: in danno dei ragazzi e di se stessa. Massimo Zedda ha le qualità intellettuali, l'intuito e l'istruzione politica necessari per capire il problema: si tratta di vedere se avrà la voglia e la possibilità di affrontarlo considerandolo una priorità. Al di là delle chiacchiere tante volte ripetute, gli universitari sono una risorsa effettiva e immediatamente spendibile, qualora si abbia il coraggio di costruire un progetto che li veda al centro. In primo luogo servono gli alloggi, le mense, le aule e i laboratori: può essere un investimento oneroso, ma l'intera città ne ricaverebbe vantaggio. Poi occorre impiegare la loro competenza e le loro intelligenze: subito, già mentre studiano, ideando efficaci forme di tirocinio che li rendano vincenti nel mercato del lavoro, una volta laureati. Non è facile; non è neppure impossibile. È comunque necessario, se si intende onorare l'aspettativa di cambiamento che essi hanno manifestato con fiducia. Coraggio, proviamoci. __________________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Giu. ’11 STATALE: TASSE, METÀ DEI NOSTRI STUDENTI POTRANNO ESSERE ESONERATI UNIVERSITÀ ALLA STATALE VANTAGGI PER 30 MILA ISCRITTI Esonero per metà degli studenti (meritevoli) della Statale. E sulle tasse nuovi vantaggi per le fasce economicamente più deboli: per loro nessun aumento, i rincari, «contenuti ma necessari per i tagli», vengono scaricati soltanto sugli studenti con Iseu superiore ai 40 mila euro. Queste le nuove regole che oggi verranno approvate dal consiglio di amministrazione dell' Università degli Studi di Milano, su un piano elaborato e condiviso da docenti e studenti. «Di fronte ai tagli dei fondi statali abbiamo deciso di utilizzare risorse libere interne perché crediamo nel riconoscimento del merito - spiega il prorettore della Statale, Dario Casati -. Allargando la platea degli aventi diritto, oltre alla spesa per gli esoneri che già grava sull' ateneo per 700mila euro, abbiamo messo in conto un minor gettito di altri centomila euro. E abbiamo messo a disposizione per 321 borse di studio da 4700 euro, una cifra superiore a quella stanziata lo scorso anno». Per l' esonero però regole più severe sul merito: alle matricole non basterà più il voto di maturità (come è stato fino ad oggi), dovranno tenere la media del 27 e superare il 35% dei crediti alla fine del primo anno (negli anni successivi l' 80% dei crediti). D' altra parte la soglia di Iseu minima si sposta da 20mila a 23mila euro: «È l' Iseu del nostro studente "mediano" - spiegano in via Festa del Perdono -. Quindi se avranno i requisiti di merito, la metà dei nostri 60mila iscritti potrebbe avere diritto all' esonero». F. C. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Giu. ’11 VALORIZZARE LA CONOSCENZA L'innovazione è una proiezione sul futuro: ci aiuta a immaginarlo, mentre le idee diventano produttive DI MASSIMIANO BUCCHI Alla fine degli anni Sessanta, numerosi laboratori cercavano di sviluppare modelli di laser a gas di maggiore potenza. Attraverso una serie di tentativi, un laboratorio di ricerca legato al settore della difesa canadese sviluppò un modello innovativo, il cosiddetto Tea laser (sigla di Transversely excited atmospheric pressure laser), notevolmente diverso da quello originariamente progettato, e lo stesso personale impiegò alcuni mesi per approfondire le basi effettive del suo funzionamento. Il gruppo canadese pubblicò i propri risultati in un articolo su una rivista specializzata e li presentò in alcuni convegni del settore. Ma per quasi due anni, gli sforzi di altri laboratori di costruire un laser identico sulla base di quegli articoli e presentazioni andarono a vuoto. La costruzione di altri laser dello stesso tipo diventò possibile solo dopo una lunga serie di incontri tra i gruppi di ricerca, visite di. I cercatori e tecnici ai laboratori al- uni, scambi di materiale e di strumenti. In altre parole, quando fu condivisa quell'imponente mole di conoscenza tacita e difficilmente verbalizzabile che è spesso cruciale anche nei settori tecnologici più sofisticati. Il caso del Tea laser introduce alcune delle ragioni per cui il tema del cosiddetto "trasferimento tecnologico" può trarre beneficio da una riflessione più ampia da parte delle scienze sociali nel loro insieme. Una riflessione sulla natura dell'oggetto del trasferimento, sui limiti, gli ostacoli e le svolte inattese che caratterizzano i percorsi della tecnologia, sulle modalità di valorizzazione, sugli impatti economici e sociali. Una riflessione che vada oltre la sempre più diffusa - e dunque inevitabilmente sempre più vuota- retorica dell'innovazione. Una simile retorica è diventata, negli ultimi decenni, un elemento ricorrente nelle dichiarazioni programmatiche di politici, imprenditori, ricercatori e commentatori: «più innovazione» è divenuta la ricetta comune per affrontare il declino economico del nostro Paese e dell'Europa; «non fermare l'innovazione» è l'appello abituale sui temi e sugli ambiti tecnologici più controversi. Considerando l'innovazione quasi come un fatto scontato, la retorica dell'innovazione non ne mette mai in discussione i contenuti, ma solo gli aspetti "esterni": le risorse necessarie a promuoverla e le ricadute economiche e sociali. Questo discorso sull'innovazione può essere inteso come un surrogato di più ampie e profonde visioni. Come ha affermato la sociologa della scienza (e presidente dello European Research Council) Helga Nowotny, «l'innovazione occupa un vuoto concettuale nella nostra immaginazione del futuro»; ne placa l'ansia e la trasforma in proiezione di un futuro che appare così, almeno parzialmente, pianificabile e addomesticabile. A questo obiettivo risponde anche l'inusuale struttura del volume «Trasformare conoscenza, trasferire tecnologia. Dizionario critico delle scienze sociali sulla valorizzazione della conoscenza», un dizionario in 58 voci, scritte dai maggiori esperti del settore (da «aiuti di Stato» a «valutazione di impatto degli incentivi alle imprese per ricerca», «sviluppo e innovazione») con l'idea di offrire lo stato dell'arte sugli aspetti centrali di questo tema, ma al tempo stesso di stimolare una riflessione critica con voci quali «COMMOIIS», «conoscenza personale», «controversie scientifico-tecnologiche», «errore», «immagini della tecnica», «rischio e incertezza». Il volume, realizzato nell'ambito delle attività del Consiglio per le Scienze Sociali, utilizza gli strumenti dell'economia, del diritto, della sociologia, dell'antropologia, della scienza politica e della filosofia per offrire una visione d'insieme dei temi implicati nella trasformazione e nella circolazione dei saperi tecnologici. Per giungere alla provocatoria conclusione che l'espressione stessa «trasferimento tecnologico» andrebbe forse abbandonata e sostituita con quella, più ricca e problematica, di «trasformazione produttiva della conoscenza». massimiano Bucchi insegna Scienza, tecnologia e società all'Università _____________________________________________________ Europa 4 Giu. ’11 BERLINGUER: UN PAESE CHE STUDIA POCO LUIGI BERLINGUER La recente indagine Istat non va superficialmente archiviata. Sono d'accordo con coloro che definiscono quei numeri «una lezione per la politica» perché rivelano moti e patologie profonde della nostra società. Quel rapporto è un grido d'allarme sullo spreco di risorse e una sfida sociale. Tra gli altri aspetti, quello che personalmente mi preoccupa di più riguarda la "questione sociale" dell'istruzione che va insieme alla "questione economica". Liberiamo il campo dalla passione per l'ovvio, ribadendo che la cultura è un bene in sé, che non si studia per produrre ma per sapere e, infine, che una società senza cultura non ha civiltà. La cultura realizza la persona, attraverso lo studio dell'interessato. Sì, l'intero campo di scienze e cultura sono prima di tutto no profit. Tale architrave, però, non è scalfito se si aggiunge la certezza che, se in un paese si studia di più, crescono redditi e Pil. Non significa infatti che lo studio debba essere schiacciato sul Pil. Ma, allo stesso tempo, non si può non essere profondamente soddisfatti se l'aumento delle risorse per studio e ricerca aumenta la ricchezza complessiva dell'Italia. Dispiace, semmai, che una classe dirigente di governo non abbia capito tale ovvietà e che ci siano ancora coloro che sono convinti che con la cultura "non si mangia". Costoro ignorano che una fetta consistente del nostro Pil proviene dalle imprese e dalle attività culturali. Tullio De Mauro ha di recente ricordato che «il paese cresce se studiano tutti». Eric A. Hanushek, economista dell'università di Stanford, sostiene (non da oggi) che «dove l'istruzione è di qualità migliore il Pil corre di più». Alcuni leader illuminati lo hanno ben compreso. Il presidente Obama sostiene che nei prossimi 10 anni «quasi la metà dei nuovi posti di lavoro» richiederà un livello di istruzione più elevato della licenza di scuola secondaria superiore, e ha aggiunto che «non esiste politica economica migliore di quella che produce più laureati con le competenze necessarie per avere successo». E in Italia? Aggiungo qualche dato: l'Italia è al quartultimo posto in Europa per numero di laureati (32,2% la media europea rispetto al 19,8% in Italia). Nel nostro paese, dal 2005 al 2008, si sono ridotti i diplomati negli istituti tecnici (da 181.099 a 163.918). Si registra, inoltre, un "calo potenziale" della aspirazione a proseguire nell'educazione post-secondaria e si registra un calo effettivo delle immatricolazioni universitarie. Il profilo economico è intimamente connesso al profilo sociale. Solo la metà di coloro che finiscono nel (consistente) fenomeno definito degli Esl — Early school leaver, cioè gli abbandoni scolastici — trovano un lavoro. Tra coloro che abbandonano il 44% sono figli di genitori che hanno solo la licenza elementare e il 25% solo la licenza media. E da qualche giorno abbiamo (ri)scoperto i Neet (Not in Education, Employment or Training), ovvero quel grande numero di giovani che non studia, non lavora, non si aggiorna. In Italia questo esercito è il doppio della media europea. Due terzi di questi giovani provengono da famiglie in condizioni "disagiate". Da ultimo, aggiungo un dato che mi ha molto colpito (reso noto dall'Ocse): le persone più istruite vivono di più, sono più attive nelle proprie comunità e partecipano di più alla politica, commettono meno crimini. In questa particolare classifica dell'Ocse ai primi posti ci sono i soliti noti: Finlandia, Corea, Canada, Giappone. E agli ultimi Italia, Spagna, Cile, Portogallo, Turchia e Messico. Da qui deve ripartire la nostra riflessione. L'istruzione così organizzata conserva discriminazioni sociali profondamente ingiuste (e anti-produttive). Coloro che abbandonano, coloro che non lavorano, coloro che non si aggiornano testimoniano il rischio di fallimento dell'istituzione scolastica, il rischio di un fallimento sociale e un fallimento individuale. Non si può dunque abbassare la guardia sulla "questione sociale" dell'istruzione. C'è un punto però che viene ancora messo poco in rilievo accanto alla richiesta di maggiori investimenti e di maggiori risorse: è quello che riguarda la qualità e la natura del modello educativo. Anche qui, per tornare all'ovvio, non c'entra nulla la sottovalutazione delle eccellenze e del merito. Un paese che non coltiva e non sostiene i suoi talenti è un paese che sbrana i propri figli e il proprio futuro. Credo che non si faccia mai abbastanza per le eccellenze. Ma una politica dell'eccellenza che significhi solamente selezione ed espulsione (verso la sottooccupazione) di chi non ce la fa è una bestemmia. Oggi è impensabile contrapporre qualità e quantità. Le statistiche ci dicono che i paesi emergenti ottengono insieme più inclusione e più qualità. È per questo che occorre stimolare le diversità. Come sostiene Alain Touraine: libertà, uguaglianza e diversità. L'istruzione modellata sul soggetto, fondata sull'apprendimento, è assente dal dibattito politico italiano. occorre stimolare di più i giovani, con un'istruzione capace di valorizzare le diversità trasformandole in ricchezza, capace di sollecitare le vocazioni e le attitudini di ciascuno. Una scuola senza gerarchie interne tra cultura nobile e quella dei poveracci. Ciò fornisce capacità di ragionamento e, insieme, capacità di scoperta, gioia di creare. Logos, scienza, arte. Accanto alle indispensabili risorse proviamo a discutere anche di quale modello di scuola? Sarebbe il modo migliore di rispondere a numeri da brivido. _____________________________________________________ Europa 4 Giu. ’11 LA QUESTIONE MERIDIONALE E IL BUSINESS DELLA FORMAZIONE ALESSANDRO BIANCHI Per risolvere i problemi del Sud bisogna partire da una campagna di contro-informazione È necessario riaffermare il ruolo delle università meridionali nello sviluppo Il 30 maggio scorso la Svimez ha tenuto una giornata di studio per presentare i tre volumi predisposti per il 150° dell'Unità d'Italia: 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud, 1861- 2011, Federalismo e Mezzogiorno a 150 anni dall'Unità d'Italia e Le università del Mezzogiorno nella storia dell'Italia unita. 1861-2011. Le relazioni che si sono succedute nella parte inaugurale, tenuta nella sala della Lupa alla camera, oltre a ricostruire un quadro dei caratteri via via assunti dalla "questione meridionale" a partire dalla fase unitaria in avanti, hanno segnato i punti fissi sui quali la Svimez ritiene debba essere posta attualmente sotto forma di questione di interesse nazionale. Questo aspetto è stato messo in evidenza in particolare dal presidente Giannola che, a partire da una stringente disamina degli aspetti strutturali della crisi economica italiana, ha smascherato la ricorrente vulgata secondo cui senza il gravame del Sud il Centro-nord sarebbe pronto per una forte ripresa della crescita. Si tratta, nella migliore delle interpretazioni, di una posizione basata su informazioni sbagliate perché i dati dicono che fatta 100 la media della Ue a 27, tra il 1998 e il 2007 in termini di prodotto pro-capite il Nord- Ovest ha perso il 9,3%, il Nord-Est il 9,6%, il Centro il 6,5% e il Sud il 6,8%. Dunque il problema è di ben diversa natura e portata, e per affrontarlo bisogna sgomberare il campo da pericolose illusioni, a partire dal federalismo fiscale che è la strada attraverso cui le regioni settentrionali mirano a recuperare risorse a danno di quelle meridionali. Allora è più che mai necessario, ha sottolineato Giannola, aprire e coltivare filoni di analisi a sostegno di una controinformazione «che inizi a mettere sabbia nell'ingranaggio ben lubrificato dell'informazione nazionale e del conformismo politico e mediatico, insofferente di ogni analisi che proponga da Sud scomode evidenze». In questa medesima logica si colloca l'approfondimento sulla questione universitaria, oggetto del citato volume che chi scrive ha curato per conto del "Forum delle Università del Mezzogiorno", un’aggregazione di venti università ubicate nelle regioni meridionali, che si è costituito da circa un anno all'interno della Svimez. Nella prima parte del volume è tracciato un panorama delle vicende che hanno caratterizzato le università italiane dall'Unità ad oggi, mettendo in evidenza gli aspetti particolari riguardanti quelle meridionali viste fin dalla fase risorgimentale. Ma l'aspetto che più si collega al carattere attuale della questione meridionale è quello affrontato nella seconda parte del lavoro, riguardante "Il ruolo dell'Università per lo sviluppo del Mezzogiorno". È su questo aspetto che si pone il tema di fondo che sembra sfuggire alla comprensione di chi si occupa del mondo universitario dal versante politico e legislativo, come dimostra l'ultima legge di riforma, un provvedimento farraginoso, gravemente lesivo del principio dell'autonomia universitaria, che sottrae risorse ad un sistema già fortemente sotto finanziato, che agevola in modo irresponsabile le cosiddette università telematiche (che università non sono, per il semplice fatto che non fanno ricerca) e che discrimina le università meridionali introducendo criteri di valutazione che ignorano i fattori legati al contesto territoriale in cui sono ubicate. È solo prestando attenzione a questo contesto che si capisce che quelle università non sono soltanto sedi istituzionalmente preposte alla ricerca e all'alta formazione, ma centri di attivazione di processi di crescita economica, di promozione sociale, di sviluppo territoriale e di innalzamento del livello culturale. Basti pensare allo straordinario ruolo svolto in questo senso dalle sedi universitarie aperte tra gli anni settanta e ottanta in quattro regioni che da sempre ne erano prive: l'Abruzzo, la Basilicata, la Calabria e il Molise. In quelle realtà, non solo si è drasticamente ridotto il defatigante e oneroso pendolarismo di migliaia di giovani verso le sedi più attrattive — Napoli, Roma, Bologna, Milano — ma si sono visti nell'arco di pochi anni gli effetti positivi dell'innesto nella società di un luogo di elaborazione di idee, programmi e progetti; di promozione di aggregazioni giovanili; di avvio di attività imprenditoriali. E si sono viste ricadute positive anche sulla qualità urbana ed edilizia di alcune importanti parti di città, come a Campobasso, a Cosenza, a Reggio Calabria. Su questo linea continuerà a muoversi il Forum costituito entro la Svimez, con l'obiettivo di salvaguardare il principio dell'autonomia dell'università, di ribadire la centralità dell'istruzione pubblica contro il businnes della formazione e di riaffermare il ruolo delle università meridionali come soggetti attivi dello sviluppo economico, dell'avanzamento sociale e della qualità ambientale dei territori meridionali. _____________________________________________________ MF 2 Giu. ’11 CANZIO STANA I FURBONI TRA LE TOGHE, GLI OSPEDALI E ATENEI LA RAGIONERIA GENERALE DENUNCIA GLI SPRECHI NELLE PROCURE, NEGLI OSPEDALI E NEGLI ATENEI Per gli 007 della Rgs non tornano i conti sugli straordinari delle prefetture (15 minuti per timbrare il cartellino) e i premi in tribunale. In ospedali e forze armate buchi neri nei servizi DI CARMINE SARNO La Ragioneria generale stana i furbetti di Stato e fustiga magistrati, medici e forze armate. Lo fa in uno speciale dossier che rappresenta un bestiario delle principali irregolarità commesse dagli enti pubblici: dalle procure alle forze armate, dagli enti di previdenza al sistema sanitario nazionale, passando per le università e le prefetture. Non c'è apparato che si salvi. Estensori di questa sorta di elenco degli orrori sono gli uomini dell'Ispettorato generale di finanza della Rgs, che ogni anno passano in rassegna e classificano i rilievi più significativi riscontrati nel corso delle ispezioni effettuate Ce n'è per tutti i gusti, con casi al limite del paradosso proprio in quegli apparati dove il senso del dovere e l'etica non dovrebbero essere messi in discussione. Nelle prefetture, ad esempio, la timbratura del cartellino è una vera faticaccia perché porta via la bellezza di 15 minuti. E così i dipendenti hanno pensato bene di ridursi l'orario di lavoro di un quarto d'ora per espletare la pratica; una situazione, però, non contemplata dal contratto di lavoro, hanno fatto notare gli ispettori della Ragioneria generale. Se da una parte si riduce l'orario di lavoro per timbrare il cartellino, dall'altra si fa un «illegittimo» ricorso al lavoro straordinario utilizzato come un vero e proprio «strumento di pianificazione dell' attività dei dipendenti» e non per fronteggiare situazioni eccezionali. Non bastasse, visto che mancano i soldi per retribuire gli straordinari, ai dipendenti vengono concessi recuperi compensativi. Orari e retribuzioni sono un problema anche presso gli uffici dell' Inail. Dalle parti dell'Istituto nazionale infortuni del lavoro, infatti, sono state erogate in modo irregolare competenze per lavoro straordinario ai medici che però non utilizzavano i sistemi di rilevazione automatica delle presenze. Sempre all'Inail, gli ispettori di Mario Canzio, appena confermato Ragioniere generale dello Stato, hanno riscontrato l'assenza di controlli sul rispetto, da parte del personale medico, del monte-ore settimanale da dedicare all'attività libero- professionale intra-moenia. Irregolarità non mancano nemmeno nei luoghi deputati all'amministrazione della giustizia. Come emerge dal «massimario dei rilievi ispettivi», non sono pochi i casi che riguardano le procure e i tribunali. Sebbene nelle prime non siano presenti né piani né progetti strumentali di risultato, sono stati elargiti compensi al personale a titolo di premio per la produttività. Non solo. Sempre nelle procure, presentarsi in ritardo al lavoro o non recuperare i permessi richiesti non sono ritenuti motivi sufficienti per subire alcuna decurtazione in busta paga, come invece avviene in ogni altro luogo di lavoro. Gli 007 hanno pizzicato anche le forze armate. Sebbene i militari più volte si siano lamentati per l'esiguità delle risorse economiche a loro disposizione, quando si tratta di fare acquisti e rifornimenti vige la massima latina melius abundare quam deficere. Dalla Ragioneria hanno invitato i militari ad essere più precisi, evitando di fare richieste «in esubero rispetto alle esigenze manifestate». Dolenti note anche per quanto riguarda l'Università e la scuola, settori dove le irregolarità legate all'utilizzo di risorse pubbliche non si contano. In alcuni atenei, per esempio, le spese per i pasti di professori ed assistenti sono «indebitamente» messe in conto al bilancio già striminzito dell'università. In altre, pur di non lasciar spazio a giovani docenti e ricercatori si assegnano incarichi (e denari) a vecchi baroni già in pensione. Non mancano i casi di rettori con il pallino del mattone che fanno acquistare all'università immobili e terreni senza però reali necessità istituzionali, lasciandoli così all'incuria del tempo. Non manca la sanità. La Ragioneria generale critica l'eccessiva onerosità delle condizioni contrattuali per l'affidamento alle farmacie convenzionate, mentre sono stati definiti del tutto irregolari i rinnovi dei contratti esterni per i servizi di pulizia, di ristorazione, mensa e manutenzione. _____________________________________________________ Polis Quotidiano1 Giu. ’11 UFFICI PUBBLICI, CROLLO DELLE ASSENZE Anche a Parma è "Effetto Brunetta" A Langhirano il crollo più significativo: -66,2%. Percentuali in nettissimo calo anche in Provincia, nel Comune di Salsomaggiore Terme e nel capoluogo. Crescono invece le astensioni dal lavoro a Fidenza e a Collecchio Anche in Provincia di Parma diminuiscono le assenze dei dipendenti pubblici. E' questo il dato che emerge dalla rilevazione statistica realizzata dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione in collaborazione con l'Istat e basata sui dati trasmessi in via telematica a Palazzo Vidoni da 4.882 amministrazioni pubbliche. Il calo più significativo nel mese di aprile 2011 e in confronto all'analogo periodo del 2009 si è verificato nel Comune di Langhirano, dove il crollo è un imponente -66,2%. Scendono anche le assenze nella Provincia di Parma (-18,4%), nel Comune di Salsomaggiore (6,3%), e sia pure di poco nel comune di Parma (-0,2%). Crescono invece i giorni di assenza dal lavoro nel Comune di Fidenza (+18,2%), presso l'Ospedale di Parma (+5%), presso l'Asl di Parma (+25,6%) e nel Comune di Collecchio, che conquista un record negativo (+41,2%). Con riferimento alle assenze per malattia, e sulla base dei dati nazionali, si può dire che nello scorso mese di aprile i casi più importanti di contrazione del fenomeno sono stati registrati negli Enti di Previdenza (-11,3%), nelle Amministrazioni provinciali (-9,4%) e nelle Aziende Sanitarie Locali (-6,6%). Quanto agli eventi di assenza superiori a 10 giorni, si rilevano consistenti diminuzioni nel comparto che comprende Ministeri, Presidenza del Consiglio e Agenzie fiscali (30,7%) e, in misura più contenuta, nelle Aziende sanitarie locali (-2,8%). Per quanto riguarda invece le assenze per altri motivi, si osservano riduzioni significative negli Enti di previdenza (-20,3%), nel comparto Sanità (-8,5% nelle Aziende Sanitarie Locali e -1,0% nelle Aziende ospedaliere) e nelle Amministrazioni comunali (-3,8%). Nelle diverse macro-aree del Paese le assenze per malattia registrano contrazioni in tutte le aree del Paese: dal -7,3% del Mezzogiorno al - 3,3% del Nord Est. Gli eventi di assenza per malattia superiori a 10 giorni mostrano invece riduzioni consistenti solo nelle aree centrali del Paese (-21,7%). Le assenze per altri motivi registrano infine ad aprile riduzioni nel Centro (-7,7%), nel Nord Ovest (-7,5%) e nel Nord Est (- 2,1%) mentre aumentano lievemente nel Mezzogiorno (+2%). Le Regioni e le Province autonome in cui si registrano le diminuzioni più sensibili di assenze per malattia sono invece Molise (-56,0%), Liguria (-37,0%), Valle d'Aosta (-24,6%), Abruzzo (24,4%), Provincia autonoma di Trento (-18,6%), Campania (-17,0%) e Friuli Venezia Giulia (- 14,2%). Quanto alle Province, clamorose riduzioni del fenomeno si registrano in quelle di Ogliastra (-74,7%), Prato (-61,0%), Rimini (- 44,9%), Reggio Emilia (-44,0%), Medio Campidano (-42,1%), Campobasso (40,2%), Padova (-38,1%), Como (-37,7%), Varese (36,1%) e Taranto (- 35,5%). Tra i Comuni con più di 500 dipendenti si segnalano i casi di Caltanissetta (-58,4%), Asti (-47,1%), Pozzuoli (-32,6%), Torre del Greco (-28,1%) e Pisa (27,9%). Per quanto riguarda invece i Comuni con 100-499 dipendenti, spiccano i dati di Certaldo (-90,0%), Saluzzo (-77,2%), Fermo (-75,3%), Signa (-72,7%) e Chivasso (72,0%). Infine, tra quelli con 50-99 dipendenti altrettanto clamorosi sono i casi di Tavarnelle Val di Pesa (- 95,7%), Ittiri (-95,6%), Alfonsine (- 94,9%), Ferla (-94,6%) e Veglie (-92,5%). Record mensile di riduzione dell'assenteismo per malattia anche nelle Asl del Friuli Occidentale (-59,5%), di Foggia (-42,7%), della Provincia di Bergamo (-33,8%), della Provincia di Mantova (-33,6%), di San Donà del Piave (-25,1%) e di Trieste (-25,1%). Cali altrettanto vistosi sono stati registrati nell'Azienda Ospedaliera G. Pini di Milano (-32,4%), dell'Azienda Ospedaliera G. Rummo (-29,3%), dell'Azienda Ospedaliera Sant'Antonio Abate di Gallarate (-20,9%) e dell'Azienda Ospedaliera Riuniti "Villa Sofia-Cervello" (-20,7%). Una consistente riduzione delle assenze per malattia si registra anche tra il personale di INPS (-15,9%), INAIL (-13,5%) e INPDAP (-3,1%) mentre appare in controtendenza il dato presso ENPALS (+16,1%). Infine, notevoli riduzioni del fenomeno sono state registrate tra i lavoratori della Stazione Zoologica "Anton Dohrn" (-47,8%), dell'Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica sperimentale (-47,5%), del CNR (-18,1%), di ISTAT (-17,5%), dell'Istituto Superiore di Sanità (-16,3%) e dell'ENAC (- 12,1%). (Pi.Zav) _____________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 2 Giu. ’11 STUDENTI: DEPRESSI MA NON PIGRI di Eleonora Voltolina Perché i giovani italiani preferiscono le università sotto casa? Gli ultimi dati di Alma- laurea evidenziano che più della metà dei neodiplomati, al momento di scegliere in quale ateneo studiare, opta per quello più vicino. Sul Corriere della Sera Giorgio De Rienzo, illustre italianista prossimo ai settant'anni, propone un'interpretazione ben rappresentata dal titolo dell'editoriale: "Studenti pigri contro avventurosi, ecco perché spariscono i fuorisede". Ma i motivi per i quali i giovani sono restii ad allontanarsi da casa, e quando scelgono di trasferirsi altrove varcano i confini nazionali, sono un po' più complessi. Primo, l'estero offre un vantaggio enorme: l'apprendimento della lingua del Paese prescelto. E forse politica e imprese non martellano - giustamente - da anni che gli italiani non parlano abbastanza bene le lingue? Quindi se una famiglia bellunese o cagliaritana deve mettere a budget l'investimento per far studiare un figlio lontano da casa, e scegliere se a Roma o Barcellona, Bologna oppure Lione, spesso si opta per la terra straniera proprio per questo primo valore aggiunto. Poi, se è vero che trasferirsi costa, affitto per affitto meglio pagarlo in una città dove i prezzi sono sensati (a Berlino, Dublino, Madrid un appartamento costa da un terzo alla metà rispetto non solo a Milano o Roma, ma anche a Bologna o Padova). Col particolare che mentre la maggior parte degli appartamenti agli studenti in Italia viene affittata in nero, all'estero di solito si utilizzano regolari contratti: evitando il doping tipicamente italiano del mercato immobiliare sommerso delle città universitarie. Ma Londra e Parigi sono carissime, almeno tanto quanto Roma e Milano. Vero, ma lì la tradizione degli studentati è molto più radicata: e gli studenti vivono nei campus, o negli alloggi ad affitto calmierato, oppure beneficiano di borse di studio. In Italia - sempre dati Almalaurea - le borse di studio non arrivano a coprire nemmeno un quarto degli studenti, e tra i beneficiari un imbarazzante 34,5% giudica l'importo insufficiente. Per quanto riguarda l'alloggio, un misero 4,1% riesce ad ottenerne uno grazie all'università: gli altri si arrangino. Terzo, per chi ha velleità accademiche la realtà anti-meritocratica ed economicamente depressa dell'università italiana è un orizzonte poco allettante. Andare all'estero vuol dire anche poter accedere a un dottorato o a un assegno di ricerca per meriti e non per raccomandazioni; poter ambire a una cattedra prima dei quarant'anni e fare il ricercatore senza patire la fame. Quarto, anche chi non ha in mente la carriera accademica può preferire Paesi dove ai giovani laureati vengano offerte più opportunità e i raccordi tra università e mondo del lavoro siano più saldi. E dove, per inciso, la giovane età non sia vista come un ostacolo all'accesso a un buon contratto, a uno stipendio decente, a una posizione di responsabilità. I tassi di occupazione parlano chiaro. Dai dati Eurostat 2009 sull'occupazione dei giovani nella fascia d'età 15-30 emerge che l'Italia è ultima, dietro addirittura a Bulgaria, Lituania e Ungheria. Noi siamo tra l'altro l'unico grande Paese in cui l'istruzione universitaria non ha statisticamente un buon riflesso sull'occupazione: mentre nella media europea essa aumenta del 15,1% per i 25-29enni con un titolo di studio alto (in Paesi come Inghilterra e Germania addirittura +24%), in Italia il valore rilevato è scandalosamente negativo : -0,5%. Insomma, quella che De Rienzo definisce la "contrapposizione tra giovani pigri e invece avventurosi" è una dualità ben più amara, da cui nessuno esce vincitore. I giovani che scelgono di restare a studiare in Italia lo fanno iscrivendosi alle università vicine a casa - sacrificando anche talvolta la qualità dei propri studi - per evitare il dissanguamento di una fuoriseditudine senza controllo che grava pressoché per intero sulle spalle delle famiglie. Quelli che optano per l'estero, lo fanno non per spirito di avventura, ma spesso per la frustrazione di non poter trovare in patria opportunità e prospettive adeguate. _____________________________________________________ Wired.it 2 Giu. ’11 SIETE PRONTI PER L'IPV6? Ma voi ce l’avete IPv6? Siete pronti per il World IPv6 Day? Non siete sicuri? Non avete idea di cosa sto parlando? Prima operazione: aprire il browser e digitare l’indirizzo http://test-ipv6.com/ Il vostro risultato è una bella X rossa. Non vi preoccupate, se siete in Italia quasi sicuramente il vostro computer parla soltanto 'Internet Protocol versione 4 e non è pronto per il futuro di Internet L’inizio della fine per gli indirizzi IPv4, il numero che serve a identificare la vostra macchina sulla Rete, è arrivato inesorabilmente il 1 febbraio 2011. Le organizzazioni che ne gestiscono la distribuzione verso gli Internet Service Provider, i RIR (Regional Internet Registry), in questo momento stanno distribuendo gli ultimi indirizzi IPv4 a loro disposizione, che, a detta di tutti, dovrebbero terminare entro la fine del 2011. Quando anche 'ultimo indirizzo IPv4 sarà esaurito i registri assegneranno solo indirizzi IPv6. Particolare da non sottovalutare: una macchina con un numero solo IPv4 non parla con una macchina con un numero solo IPv6, salvo che non si usi un traduttore. E allora bisogna correre ai ripari, cominciare a parlare questa nuova lingua che è IPv6, per non rischiare di rimanere senza parole nel nuovo mondo di Internet. Per questo si sono moltiplicate le azioni in tutto il mondo per promuovere il passaggio a IPv6. Quella più significativa, grazie al coinvolgimento dei più grossi fornitori di contenuti della rete come Google, Facebook, Akamai, Yahoo, sarà 18 Giugno 2011, il World IPv6 Day. Si tratta di una giornata dedicata ai test su IPv6, sotto la guida di ISOC (Internet Society), durante la quale un grande numero di siti web, dai più famosi ai meno noti, fornirà i propri contenuti sia in IPv4 che in IPv6 ma saranno presenti anche i fornitori di connettività e i produttori di apparati, tutti insieme per promuove il nuovo protocollo. L’obiettivo è principalmente motivare chi ancora non ha scelto di attivare il nuovo protocollo sulla propria rete o per i propri servizi. Anche RIPE (il RIR europeo) ha predisposto una pagina per testare la propria connettività IPv6 in vista del World IPv6 Day. Questo test riguarda la raggiungibilità in IPv6 di alcuni siti web già configurati con doppi indirizzi (IPv4 e IPv6) e quindi visibili da entrambi gli scenari di Internet . Ma perché è importante il World IPv6 Day? Se tutti i fornitori di infrastrutture e di servizi non si muoveranno in tempi ragionevoli, cè il rischio che si alzino i costi e tendano a peggiorare le funzionalità e le prestazioni della Rete per tutti gli utenti di Internet in qualsiasi parte del pianeta. Questa giornata dedicata ad IPv6 vuole soprattutto far riflettere chi ha sottovalutato il problema e cercare di far lavorare tutti insieme con un unico obiettivo, preparare internet alla transizione che non promette soltanto un numero maggiore di indirizzi, ma anche nuove funzionalità. Anche l’Italia si sta muovendo e alla fine del mese di Maggio è stata annunciata la nascita dell’IPv6 Forum Italia che vede come chair Marco Sommani, uno dei padri di Internet in Italia, ricercatore del CNR-IIT di Pisa. La presenza italiana nell’IPv6 Forum mondiale è una iniziativa nata con la speranza di riuscire a smuovere anche le stagnanti acque italiane. La situazione vede ancora la scarsa disponibilità per gli utenti italiani per 'utilizzo di IPv6. Diversa la situazione in Spagna, dove addirittura il governo ha varato un piano per la transizione a IPv6. _____________________________________________________ Il sole24Ore 31 mag. ’11 NAVIGATORI E «CLOUD» RIDANNO SLANCIO ALL'ICT A Torino nasce il 20% dei brevetti nazionali Marco Ferrando Una rete di 600 sensori sparsi per 5o incroci e governati da un unico "cervellone", incaricato di generare e organizzare la tanto ambita onda verde semaforica, il sogno di ogni automobilista urbano. Erano gli anni '8o, ma nella Torino invasa dalle auto, simbolo per eccellenza del fordismo a quattro ruote, si lavorava sulle frontiere dell'infomobilità: «Nel giro di pochi mesi riuscimmo a elevare la velocità media delle auto da 25 a 35 chilometri l'ora, mentre per i tram si passò da 12 a 19; nel 98% dei casi, quando si presentavano davanti a un semaforo scattava il verde», ricorda Francesco Donati, il docente del Politecnico di Torino che trent'anni fa fu incaricato di coordinare il progetto. «Eravamo tra i pochi al mondo a disporre di una tecnologia così avanzata - aggiunge - e nel nostro caso era stata creata da zero unicamente sulla base di competenze sviluppate all'interno del distretto torinese». L'esperienza dei semafori intelligenti è stata ricostruita qualche giorno fa proprio al Politecnico, dove si sono celebrati i primi 5o anni di Ict dell'ateneo. Che è come parlare di mezzo secolo di Ict torinese, e per molti aspetti italiano: «Buona parte delle competenze che si sono sviluppate in Italia ha ricevuto un contributo determinante dalla nostra università», intervine Rodolfo Zich, rettore del Politecnico dal 1987 al zon e oggi presidente di Torino wireless, la fondazione creata nel 2000 per coordinare le collaborazioni e il trasferimento tecnologico all'interno del distretto torinese dell'Ict. I numeri dicono che oggi sotto la Mole le aziende del settore sono 7mila, per lo più aziende piccole, spesso piccolissime, nate per fornire servizi ai tre grandi committenti locali: Fiat, Intesa Sanpaolo e poi il Csi, consorzio nato a fine anni '70 per coordinare le attività informatiche delle pubbliche amministrazioni locali. In gran parte servizi a medio- basso valore aggiunto, ma non senza eccezioni: oggi il 20% dei brevetti italiani del settore ha come referente un'impresa o un laboratorio torinese, come a dire che qui l'innovazione s'è sempre fatta. «Ed è qui che abbiamo dato i natali alla televisione digitale», ricorda il direttore del Centro ricerche Rai, Alberto Morello: «Accadde in occasione dei Mondiali di Italia '9o, quando la Rai insieme con Telettra fu in grado di trasmettere immagini ad alta definizione in diretta», dice ancora Morello, tra i coordinatori di un progetto che vide gli italiani - con una spesa di cento miliardi di vecchie lire - centrare per primi un traguardo per cui all'estero se ne erano già investiti, invano, 2mila. Sono storie di successo che hanno scandito una storia partita in quel di Ivrea con l'Olivetti e poi costruita pezzo per pezzo in tutto un distretto che oggi si estende dal Canavese fino a Torino, dove avevano sede i grandi acquirenti di tecnologia e, non ultima, l'accademia. Oggi di quell'eccellenza resta molto: realtà come l'Istituto superiore Mario Boella, centro di ricerca applicata nel settore delle tecnologie wireless fondato da Politecnico e Compagnia di San Paolo, il Centro ricerche Rai con il suo staff di 6o tecnici alta-mente specializzati, ma anche aziende come Reply, che - dopo aver rilevato tra l'altro il centro ricerche Motorola due anni fa - dal cloud computing all'Internet degli oggetti si è ormai ritagliata un ruolo di primo piano a livello continentale. Un distretto che oltre a lavorare ha imparato a collaborare, e a fare dei diversi saperi presenti sul territorio un pezzo importante del suo valore aggiunto. Un esempio? La nuova tecnologia per l'ottimizzazione dello spargimento del sale sulle strade durante periodo invernale grazie a tecnologie di navigazione e di comunicazione a bordo dei veicoli, idea nata all'interno del Polo Ict coordinato proprio da Torino wireless. Oppure, sempre da Reply, che per un'altra realtà tutta torinese come la catena di gelaterie Grom ha creato un portale web che consente di gestire in tempo reale tutte le interazioni tra i negozi sparsi per il mondo e la sede; morale: dal fior di latte al pistacchio di Bronte, non c'è ordine o approvvigionamento che non passi per la piattaforma web creata su misura da un'azienda del gruppo Reply. L'elemento chiave resta il Politecnico. Ancora oggi vede impegnati nelle telecomunicazioni 3.200 studenti di primo livello, 1.500 specialisti, 200 dottorandi. Un vero " esercito" al quale l'ateneo è in grado di affiancare 600 persone, tra docenti e ricercatori: «Sono numeri di assoluto rilievo, anche su scala europea», sottolinea Enrico Macii, vicerettore del Politecnico con delega alla ricerca: «Da qui ai prossimi 20 anni abbiamo tutte le carte in regola per giocare un ruolo da protagonisti». _____________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Giu. ’11 LA FLESSIBILITÀ INTELLIGENTE Scena Un'analisi di Manageritalia spiega come stanno cambiando le professioni nel nostro Paese Le tendenze: retribuzioni legate al merito e sempre più formazione Giacomo Bassi MILANO Addio al posto fisso, sempre più spazio alla flessibilità contrattuale, retribuzioni legate al merito, età lavorativa sempre più elevata. E poi home-office, mobilità internazionale crescente, formazione continua in azienda. Che il mondo del lavoro sia in una fase di profondi cambiamenti è sotto gli occhi di tutti. Ma le aziende e gli organi di governo del mercato occupazionale sono (stati) in grado di governare queste novità? E riescono a conciliarle con il bisogno di competitività del sistema Paese? Una risposta a queste domande ha provato a darla un'analisi compiuta da Manageritalia, la federazione nazionale che raccoglie i dirigenti del terziario, che ha analizzato tutti i principali indicatori sociodemografici del Paese e li ha appunto messi in correlazione con le tendenze del mercato del lavoro. Dal rapporto, che è stato redatto in collaborazione con il professor Alessandro Rosina dell'Università Cattolica di Milano e da Giuseppe Gesano del Cnr, emerge che negli ultimi anni in Italia si sono registrati enormi mutamenti sia sul fronte della composizione della popolazione sia su quello del mondo del lavoro: la vita media degli individui è aumentata di oltre 17 anni, si vive più a lungo nella casa dei genitori, si tarda l'ingresso nell'età adulta e di contro si lavora ben oltre la soglia minima per l'accesso alla pensione. Con contratti flessibili, retribuzioni legate ai risultati e con un'organizzazione aziendale rivoluzionata rispetto al passato. Addio al tradizionale posto fisso, in sintesi, anche a causa del fatto che sempre più le aziende vivono meno degli individui, e spazio a nuove forme del lavorare: «Il rapporto - spiega Guido Carella, presidente di Manageritalia -mostra come l'Italia, negli ultimi 60 anni, sia molto cambiata: non solo si vive di più e meglio, ma aumentano anche le aspettative della popolazione. Dal punto di vista professionale, poi, c'è stata un vero e proprio ribaltamento di prospettiva, sia per quanto riguarda i tempi sia per i modi dell'impiego: per tanti di noi l'obiettivo era quello di un posto fisso, che durava quindi tutta la vita, nella stessa azienda. Oggi questo non è più possibile per le imprese né ricercato dai lavoratori». Che, spiega l'analisi, dal 1960 a oggi sono aumentati di circa tre milioni di unità (sono 23 milioni) grazie all'ingresso massiccio delle donne (+44%), sono nella stragrande maggioranza dei casi impiegati nel terziario (nel 2009 erano il 67% degli occupati) e soprattutto sono sempre più avanti con l'età: gli under 25 hanno perso un milione di unità dall'inizio degli anni Novanta a oggi e gli under 35, che rappresentavano quasi il 4o% del totale degli occupati, ora sono scesi a poco più del 29%. Una nuova composizione della forza lavoro nazionale che si riflette anche sul tipo di rapporto contrattuale: i dipendenti sono oggi il 76% del totale (contro il 56% de11959), e i113% dì essi è a tempo determinato. «Se il posto fisso e sicuro, il lavoro dipendente a tempo indeterminato, è stato il mito dell'ultima parte del secolo scorso - spiega l'analisi - l'ingresso nel nuovo millennio propone un arretramento di questo mito con una forte crescita dei contratti a termine Basti pensare che nel 1992 solo il 7% dei lavoratori dipendenti era a tempo determinato: sono diventati il 10% nel 2000 e pressoché raddoppiati (13%) nel 2010». Flessibilità come cardine contrattuale del nuovo mercato occupazionale, dunque, che si è rivolta soprattutto ai giovani: nonostante negli ultimi cinquant'anni il livello di scolarizzazione sia aumentato (ha una laurea il 20% degli under 35), per essi le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro sono sempre di più. Nel giro di quattro generazioni, inoltre, l'età media per il primo impiego è passato dai 18,9 ai 21,9 anni, con conseguenze anche sulla vita lavorativa degli individui, che per maturare il diritto alla pensione dovranno rimanere in servizio anche oltre i 65 anni di età. «Questi dati dimostrano che il sistema economico italiano deve adeguarsi al più presto a questi cambiamenti - prosegue Carella -. Se non lo dovesse fare, il rischio per il Paese è quello dover affrontare delle difficoltà sociali ed economiche di difficile soluzione, che avranno un impatto profondo anche sulla competitività dell'Italia». Un compito, quello dell'adeguamento ai nuovi scenari, demandato appunto ai manager, che devono individuare formule alternative ai modelli tradizionali di organizzazione del lavoro e governare dall'alto questo cambiamento di prospettiva: bene la flessibilità contrattuale, insomma, ma che sia di qualità e che non sia applicata in funzione della riduzione dei costi aziendali ma di un rinnovamento dei rapporti tra impresa e lavoratori. «Un esempio virtuoso in questo senso è quello delle retribuzioni legate al raggiungimento di determinati obiettivi - conclude il presidente dei dirigenti del terziario -, con la parte variabile proporzionalmente maggiore rispetto a quella fissa. Dal punto di vista dell'organizzazione, invece, servono nuove modalità di impiego come il telelavoro, e la formazione (non solo interna all'azienda) deve diventare un cardine per ogni impresa. Solo attraverso queste forme di rinnovamento le aziende italiane potranno tornare ad essere competitive, e allo stesso tempo governare positivamente il mercato del lavoro nazionale». CAMBIAMENTI EPOCALI Carella: «Il posto fisso, fino a qualche decennio fa obiettivo di molti, ora non viene nemmeno ricercato dai lavoratori» DIMINUISCONO i GIOVANI Gli occupati sono sempre più avanti con l'età: dall'inizio degli anni Novanta, gli under 35 sono passati dal 40% a poco più del 29% _____________________________________________________ ArpatNews 2 Giu. ’11 LE METODICHE DI MISURA DELLE EMISSIONI DEGLI IMPIANTI RADAR II seminario organizzato da ISPRA: lo stato dell'arte ed il contributo di ARPAT Lo scorso 29 marzo si è svolto presso la sede ISPRA di via Vitaliano Brancati a Roma, il Seminario dal titolo "Caratterizzazione delle emissioni elettromagnetiche delle sorgenti radar: individuazione delle metodiche e delle specifiche tecniche degli strumenti di misura". II seminario, organizzato da ISPRA, aveva lo scopo di fare il punto sulle caratteristiche della strumentazione e sulle tecniche di misura delle emissioni elettromagnetiche generate da sorgenti che determinano esposizioni di tipo pulsato. All'interno di questa tipologia di sorgenti, rivestono particolare importanza da un punto di vista espositivo gli impianti radar di potenza utilizzati principalmente per la sorveglianza aerea ed a supporto del servizio meteorologico. LA MISURA DEI SEGNALI RADAR Già nel 2008, il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) ha emanato l'Appendice B della norma tecnica CEI 211-7 "Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettromagnetici nell'intervallo di frequenza 10 kHz-300 GHz" dal titolo "Misura e valutazione del campo elettromagnetico emesso dagli impianti radar di potenza". Con essa, il CEI ha inteso specificare i requisiti strumentali e metodologici per la misura del campo elettromagnetico prodotto dalle sorgenti pulsate ed in particolar modo dai radar di potenza, completando in tal modo le indicazioni metodologiche di carattere generale contenute nella norma tecnica. Nel 2009, ISPRA, ha dato incarico all'Istituto di Fisica Applicata "Nello Carrara" (IFAC) del CNR di Firenze di individuare una procedura che, tramite l'utilizzo di strumentazione facilmente reperibile sul mercato, permettesse di misurare le quantità significative per la protezione delle persone dell'esposizione ai campi elettromagnetici emessi da impianti radar. I CONTENUTI DEL SEMINARIO La presentazione dei risultati della collaborazione ISPRA-IFAC/CNR è stato lo spunto per l'organizzazione del Seminario che è stato occasione per fare il punto anche sulla legislazione in materia. Dal punto di vista legislativo, è stato sottolineato, come ad otto anni dall'uscita del DPCM 8 luglio 2003 che stabilisce i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità per l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici prodotti dalle sorgenti ad alta frequenza (frequenze comprese nell'intervallo tra 100 kHz e 300 GHz), lo specifico decreto previsto dall'art.1 comma 3 per l'applicazione di quei limiti alle sorgenti pulsate non sia ad oggi stato ancora emanato. In attesa dell'emanazione di tale decreto, lo stesso DPCM 8 luglio 2003 stabilisce che "per i campi elettromagnetici generati da sorgenti non riconducibili ai sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi, si applica l'insieme completo delle raccomandazioni stabilite nella raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea del 12 luglio 1999" (Racc. 1999/512/CE G.U.C.E n. L199 del 30/07/ 1999). AI riguardo, si ricorda che per le sorgenti di tipo pulsato l'emissione avviene per un tempo t (tON) a cui segue un tempo in cui la sorgente è spenta, normalmente dedicato alla ricezione (tOFF). II tempo di accensione e di spegnimento si ripetono continuativamente ogni periodo di ripetizione T (si veda figura 2). L'esposizione risulta caratterizzata pertanto da un campo elettrico di picco (durante il tempo di accensione t) e da un campo elettrico medio sul periodo di ripetizione T. La raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea, accogliendo le indicazioni contenute nelle linee guide dell'ICNIRP (International Commitee for Non-lonising Radiation Protection) pubblicate nel 1998 indica dei valori limite da non superare sia per il campo elettrico di picco che per quello medio (media su 6 minuti) che sono riportati in figura. Lo stato dell'arte relativo alle metodiche di misura delle emissioni dovute alle sorgenti pulsate è stato presentato dapprima con l'illustrazione delle attività del Gruppo di lavoro del CEI e del contenuto dell'Appendice B della Norma CEI 211-7 e successivamente con i risultati della collaborazione ISPRA-IFAC/CNR. Lo studio dell'IFAC ha avuto come oggetto anche il radar dell'aeroporto di Firenze. Nel pomeriggio sono state presentate le esperienze nella materia di diversi soggetti quali i costruttori di apparati (SELEX in collaborazione con l'istituto ISIB-CNR), gli enti di controllo (ARPA Toscana ed ARPA Emilia Romagna) ed i gestori degli aeroporti (SEA - Aeroporti di Milano). ARPA Toscana è stata invitata a presentare la propria ventennale attività sulla materia a cura di Gaetano Licitra del Settore Tecnico Promozione e Produzione delle Attività e dei Servizi ed Alberto Maria Silvi del Dipartimento provinciale di Pisa.ln particolare sono state illustrate le attività di controllo sul sito radar dell'ENAV di Poggio Lecceta, nel comune di Livorno e quella presso i radar metereologici dell'Emilia Romagna. Negli ultimi anni ARPA Toscana ha concentrato la sua attività, oltre che sulle misure di esposizione della popolazione, anche sullo studio delle metodiche di misura delle sorgenti radar di potenza. ARPAT ha partecipato alla stesura dell'Appendice B della norma CEI 211/7, ed ha effettuato prove in laboratorio e sul campo per verificare l'applicazione della stessa Appendice B ai radar di potenza. I risultati di questo lavoro sono stati presentati nel 2009 al IV Convegno Nazionale sul controllo degli Agenti Fisici "Controllo ambientale degli Agenti Fisici: nuove prospettive e problematiche emergenti" svoltosi a Vercelli e pubblicati successivamente sul numero 137/2009 della rivista scientifica Radiation Protection Dosimetry. II seminario si è concluso con l'invito di ISPRA ad una revisione dell'Appendice B della norma CEI 211/7 alla luce dei risultati presentati. Le presentazioni dei relatori sono disponibili presso la sezione Agenti Fisici del sito ISPRA. Testo a cura di Gaetano Licitra ed Alberto Maria Silvi Per chi vuole approfondire Norma CEI 211-7 "Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettromagnetici nell'intervallo di frequenza 10 kHz-300 GHz con riferimento all'esposizione umana", 2001. Norma CEI 211-7 - Appendice B "Misura e valutazione del campo elettromagnetico emesso dagli impianti radar di potenza", 2008. DPCM 8 luglio 2003 "Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualita' per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz" Raccomandazione. 1999/512/CE del 12 luglio 1999 (G. U. C. E n. L199 del 30/07/1999) "Raccomandazione del Consiglio relativa alla limitazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300"Linee guida ICNIRP "Guidelines for Limiting Exposure to Time-Varying Electric, Magnetic, and Electromagnetic Fields (up to 300 GHz)" Health Physics 74 (4): 494-522; 1998 (http://www.icnirp.de/documents/emfgdl.pdf) Atti del Seminario: http://www.agentifisici.isprambiente.it/documenti- cem/cat view/70-documenti -cem/73-prese ntazioni-convegni-e-seminari.html A.Barellini, L.Bogi, G.Licitra, A.M.Silvi, A.Zari "Applicazione della norma CEI 2117B per la misura con analizzatore di spettro del campo elettrico prodotto da impianti radar di potenza", Atti del IV Convegno Nazionale sul controllo degli Agenti Fisici: Controllo ambientale degli agenti fisici: nuove prospettive e problematiche emergenti - Vercelli, 24-27 marzo 2009 (http://www.arpa.piemonte.it/upload/dl/Pubblicazioni/Controllo ambientale agenti fisici/Ba rellini1.pdf)A.Barellini, L.Bogi, G.Licitra, A.M.Silvi, A.Zari "Measurement of electromagnetic fields generated by air traffic control radar systems with spectrum analysers", Radiation Protection Dosimetry - vol. 137(3-4), 210-213, Ed. Nuclear Technology Publishing, Ashford, England, 2009LE _____________________________________________________ Il Giornale 1 Giu. ’11 MA PERCHÉ IL FOTOVOLTAICO HA IL DIRITTO DI INQUINARE? L'Unione europea vieta l'uso del cadmio negli apparecchi elettrici perché tossico e pericoloso. Ma per i pannelli c'è una deroga Una nuova normativa dell'Ue vieta, nella fabbricazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, l'uso di una mezza dozzina di nuove sostanze, ritenute pericolose. Tra esse v'è il cadmio, che, come telluluro, è molto usato nella fabbricazione dei pannelli foto- voltaici: col cadmio dentro quei pannelli dovrebbero essere smaltiti con maggiore cautela delle scorie radioattive. A differenza di queste, che decadono nel tempo e perdono la loro radioattività, il cadmio rimane tale per sempre. È un metallo estremamente tossico e sono già occorse parecchie morti per esposizione acuta a esso, principalmente tra lavoratori che lo usavano. Personalmente, sono convinto che il nostro moderno sistema industriale sia perfettamente in grado di affrontare il problema e usare il cadmio in modo sicuro, per la salute e per l'ambiente. Esattamente come per i rifiuti radioattivi, che pongono, sì, un problema, ma di ingegneria elementare perfettamente risolto, contrariamente alla leggenda metropolitana che li vuole, invece, problema irrisolvibile. Curioso, però, il sistema dei due-pesi e due-misure: i ministri dell'Ue, che di questi tempi, come dei novelli Amleto, si stanno interrogando su nucleare -sì o nucleare-no, sul cadmio non hanno dubbi. Hanno deciso di esentare i pannelli solari dal divieto, che imporrebbe la nuova normativa, di usare il cadmio. Sentite perché i pannelli fotovoltaici non sono tenuti a rispettare la limitazione: «Al fine di conseguire gli ambiziosi obiettivi dell'Ue in materia di energie rinnovabili e di efficienza energetica», ci dicono i signori Ministri. Ci corre l'obbligo di ricordare che gli «ambiziosi» obiettivi sono motivati dal fatto che si vorrebbero ridurre le emissioni di anidride carbonica, che non è un inquinante, anzi è il cibo degli alberi, che di anidride carbonica e acqua sono fatti. Anidride carbonica no, ma cadmio sì. Boh. E sorvolo sul fatto che quelli che i ministri chiamano obbiettivi «ambiziosi» sono in realtà obbiettivi che il fotovoltaico, anche centuplicasse la propria consistenza come per incanto, neanche lontanamente sfiorerebbe. L'impressione, forte impressione, è che in Ue comandino i tedeschi e a costoro tutti gli altri debbano inchinarsi. I tedeschi sono i principali produttori di moduli fotovoltaici (e di turbine eoliche). La metà dei pannelli fotovoltaici del mondo è in Germania, e danno alla Germania appena lo 0,5% della elettricità che essa consuma, e ciò a prova, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto la tecnologia sia, ai fini della produzione elettrica, una colossale frode. Ma la Germania deve vendere agli allocchi del mondo i pannelli che produce: e che essi inquinino o no o se essi siano una frode o no, ai tedeschi poco importa. L'altro giorno stavo a dibattere col presidente di Legambiente, l'On. Realacci (Pd), che sosteneva che il suo modello di produzione elettrica è la Germania. La vera verità è che quasi il 90% dell'elettricità tedesca è prodotta da, nell'ordine, car-bone, nucleare, e gas: la Germania, nel settore di produzione elettrica è uno dei Paesi che, se-condo i parametri ambientalisti, inquinerebbe più di tutti al mondo. Ha devastato il proprio paesaggio con oltre 20mila torri eoliche; peraltro inutil-mente, perché l'eolico le dà appena il 6% dell'elettricità che le serve e la tiene in continuo rischio di blackout. Recentemente la Merkel ha ribadito di voler uscire dal nucleare entro il 2022. Balle. Mente spudoratamente, sapendo di mentire. La vera verità è che essa mira a in-dirizzare la politica energetica dei Paesi del mondo (incluso il nostro), ai quali le industrie tedesche progettano di ammollare quelle fraudolente tecnologie - eolico e fotovoltaico - che i tedeschi producono. Lo ha detto chiaro e tondo, la Cancelliere: «Noi intendiamo essere di esempio per quei Paesi che decidono di abbandonare il nucleare e per quei Paesi che decidono di non cominciare ad usarlo». Il nostro Paese sta impegnando nel fotovoltaico 100 miliardi di euro per i prossimi 20 anni. Produrranno poco più di un gigawatt dei 40 che consumiamo. Con 100 miliardi si installerebbero 20 gigawatt nucleari, pari alla metà del nostro fabbisogno. I tedeschi brindano, qualche nostro furbetto compatriota gioisce di qualche briciola, tutti noi resteremo con un pugno di mosche in mano. I più penalizzati saranno i nostri figli cui non avremo saputo garantire la sicurezza di approvvigionamento energetico. _____________________________________________________ La repubblica 1 Giu. ’11 COSÌ I TAPPI DEL VINO ITALIANO CI SALVERANNO DAI GAS SERRA ANTONIO CIANCIULLO Nei prossimi 5 anni 17 produttori d'eccellenza pianteranno in Sardegna un bosco di 3.750 sughere Questo tipo di querce è in grado di assorbire l'inquinamento da CO2 prodotto dall'industria viticola Nel Meditenraneo questo materiale è di casa: 2,2 milioni di ettari di foreste si concentrano qui. Ogni anno vengono venduti 14 miliardi di pezzi 24 volte meno inquinanti di omologhi a vite Un brindisi per difendere il clima e il vino. L'istituto che racco glie i Grandi Marchi, 17 tra le maggiori aziende italiane, ha deciso di azzerare le emissioni di anidride carbonica legate alla promozione del vino italiano all'estero piantando alberi speciali: querce da sughero. A Badde Manna Su Crastu, vicino a Nuoro, a tutela di un' area di grande pregio paesaggistico, nascerà un bosco di 3.750 querce da sughero che toglieranno gas serra dal cielo e contribuiranno a fornire i tappi necessari a mantenere, assieme al piacere degustativo, un elemento della tradizione enologica. «Vogliamo restituire alla natura una piccola parte di quello che la natura fa per noi», spiega il presidente dell'Istituto, Piero Antinori. «E nello stesso tempo vogliamo difendere il sughero come componente irrinunciabile del vino di qualità». Una decisione — sottolinea Giuseppe Gamba, il presidente diAzzero CO2, la società che certifica l'abbattimento delle emissioni di anidride carbonica — importante anche perché cade nell'anno internazionale delle foreste e rappresenta il primo esperimento di questo tipo nel settore vinicolo. L'impegno a difesa delle sugherete è stato assunto dall'Istituto Grandi Marchi per due motivi. Il primo, quello ambientale, è che un tappo di sughero (14 miliardi di pezzi venduti ogni anno) inquina dal punto di vista dei gas serra 24 volte meno di un tappo a vite e 10 volte meno di uno di materiale sintetico. Il secondo, legato alla qualità del prodotto, è che l'elasticità del sughero permette al tappo di svolgere la sua funzione di chiusura ermetica all'interno della bottiglia garantendo una pressione costante lungo la superficie interna del collo della bottiglia e ritornando alle dimensioni originali, una volta estratto, in pochi minuti. Inoltre il sughero nel Mediterraneo è di casa. Gran parte delle 300 mila tonnellate prodotte ogni anno nel mondo si concentra nell' area compresa tra Portogallo (52,5 per cento del sughero mediterraneo), Spagna (29,5 per cento), Italia (5,5 per cento), seguiti da Algeria, Marocco, Tunisia e Francia. Le foreste di quercus suber rappresentano dunque un elemento che da sempre caratterizza il nostro paesaggio, ma senza l'alleanza con i vignaioli (il 70 per cento del sughero viene utilizzato dall'industria del vino), la loro sopravvivenza potrebbe farsi molto difficile. Come ha denunciato recentemente anche una campagna condotta da Wwf, Assoimballaggi e Federlegno, i 2,2 milioni di ettari di foreste da sughero nel Mediterraneo che assorbono ogni anno 14 milioni di tonnellate di anidride carbonica sono assediati dalla speculazione e dagli incendi dolosi. Ora, per la prima volta, le aziende icona del vino (Antinori, Cà del Bosco, Jermann, Donna Fugata,Alois Lageder, Lungarotti, Mastroberardino, Biondi Santi, Tasca d'Almerita, Carpené Malvolti, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Ambrogio e Giovanni Folonari, Tenuta San Guido, Rivera, Umani Ronchi, Masi) hanno deciso di fare un primo concreto passo in direzione della tutela delle sugherete sarde che rappresentano quasi il 90 per cento del patrimonio italiano e che rischiano — ricorda il preside della facoltà di Agraria di Sassari, Pietro Luciano — di perdere un quarto della superficie nei prossimi 30 anni. «Il bosco a Badde Manna è il primo passo in direzione di uni percorso di sostenibilità che si potrà sviluppare con progetti di azzeramento delle emissioni complessive delle più importanti cantine italiane», prevede Andrea Seminara, direttore diAzzeroCO2.«Anche perché sempre di più nel marketing internazionale del vino di alta qualità comincia a contare il profilo di responsabilità sociale e ambientale delle aziende. Produrre l'eccellenza è la condizione indispensabile per competere a livello globale, ma se le cantine danno un contributo concreto per garantire la stabilità del clima che regolerà le prossime annate il vino acquista valore». _____________________________________________________ La repubblica 1 Giu. ’11 BELLI, IMPERFETTI E MOLTO ECOLOGICI SI SPOSANO ALLA BOTTIGLIA E ALL'AMBIENTE Josè Rallo dell'azienda Donna Fugata, tra i promotori del progetto anti- inquinamento IRENE MARIA SCALISE Piantare 4 mila sughere in Sardegna, In provincia di Nuoro, per riuscire a compensare, in dieci anni, l'emissione di 250 tonnellate di CO2. A parlare dell'iniziativa anti CO2, dell'azienda Donna Fugata, è la titolare Josè Rallo. Donna Fugata ha da tempo un anima green, ce la racconta? «In questi anni abbiamo fatto di tutto per puntare a diventare un'azienda sostenibile, dalla vendemmia notturna alla creazione di uno dei primi impianti di fotovoltaico, e questo ci ha fatto iscrivere di diritto nel Kyoto club». E adesso la sfida del sughero. Come mai? «Ci è sembrata la migliore iniziativa sia per un fatto simbolico, perché oggi sono proprio i boschi di sughere quelli più abbandonati, sia perché i tappi in sughero sono i nostri preferiti. La cosa bella è che per una volta siamo riusciti a stringere un'alleanza con altre aziende». Ci spiega la differenza tra i vari tipi di tappi? «Non tutti amano i tappi in sughero, tra i consumatori e i commercianti, perché sono ritenuti non così perfetti tecnicamente. E così molti prediligono quelli a vite, o quelli in silicone, dimenticando che inquinano da 10 a 24 volte in più di quelli in sughero. Noi abbiamo scelto di puntare sulla qualità del sughero scegliendo i migliori pezzi unici per i vini pregiati e quelli assemblati per le altre». Come si ottengono quelli assemblati? «Sono prima polverizzati e poi ricomposti con due rondelle a pressione, questo dovrebbe compensare il vino da eventuali perdite di aria che possono alterare il sapore in una percentuale che varia dall'1 al 2%». _____________________________________________________ L’Unione Sarda 2 Giu. ’11 LANA DI PECORA, IL NUOVO BUSINESS Sassari. L'iniziativa punta a reintrodurre sul mercato un sottoprodotto negli ultimi anni inutilizzato Export verso Cina, India e Inghilterra di una coop di cento allevatori Un interessante progetto per riproporre sui mercati la lana di pecora. È stato presentato ieri dalla Camera di Commercio e da una coop di allevatori ovini del sassarese. Riutilizzare la lana di pecora e esportarla sui mercati esteri. L'iniziativa è della Coldiretti, in collaborazione con la Camera di commercio e otto cooperative di allevatori. L'iniziativa si propone di reintrodurre nel mercato un sottoprodotto dell'allevamento ovino che fino a qualche decennio fa costituiva un introito certo nei bilanci aziendali. RACCOLTA DELLA LANA. Due, per ora, i passaggi previsti: la raccolta della lana, che verrà stoccata e pulita presso un'azienda di Alghero, e successivamente l'esportazione all'estero. Fra l'altro la Asl n.1 ha ottenuto dal Ministero della Salute l'autorizzazione a esportare la lana perché proveniente da animali di allevamenti assolutamente integri. Tre i mercati di riferimento: India, Cina e Inghilterra. Per le procedure di export il nuovo organismo verrà assistito da funzionari del Banco di Sardegna. IL CONSORZIO. Il consorzio, che associa un centinaio di allevatori per un milione di capi ovini complessivi, è stato presentato nel corso di una conferenza stampa dai vertici della Coldiretti e dal presidente della Camera di commercio. L'INTESA. Secondo Battista Cualbu, presidente provinciale della Coldiretti di Sassari, «siamo di fronte ad una iniziativa importante per le imprese agro zootecniche del nord Sardegna. L'intesa fra le cooperative - ha detto ancora Cualbu - è in grado di far ripartire un micro settore economico che negli ultimi anni era stato praticamente abbandonato per l'impossibilità di remunerazione». UNA RISORSA. La lana veniva buttata via perché rappresentava un costo e non una risorsa. Non è più così da qualche anno. Risale al 2008 l'accordo siglato tra l'azienda di Angelo e Giuseppe Crabolu di Nule e quella dei fratelli Ruggeri di Guspini per la realizzazione di una materassino coibente da utilizzare in edilizia come isolante. Il prodotto ha ottenuto tutte le certificazioni, nazionali e europee. E nato così Eclilana, un prodotto entrato ormai a pieno titolo nel settore della bioedilizia. LE APPLICAZIONI. Il rapporto fra i Ruggeri e i Crabolu ha consentito di mettere insieme professionalità differenti con un obiettivo comune: trasformare la lana di pecora in una risorsa commerciale ed estendere i campi di applicazione: dall'edilizia al verde alla nautica. Il consorzio promosso dalla Coldiretti si limiterà all'esportazione della lana? «Oggi abbiamo fatto il primo passo - ha precisato Gavino Sini, presidente della Camera di commercio - ma è indubbio che la lavorazione e la trasformazione del prodotto è un nostro obiettivo. Con il Cnr abbiamo già un progetto su cui lavorare. Le prime operazioni che vedranno attivo il consorzio sul mercato ci daranno le indicazioni necessario per capire quando e dove vogliamo andare». _____________________________________________________ ALMANACCO DELLA SCIENZA 1 Giu. ’11 QUESTIONI DI LANA CREATIVA Trovare una soluzione creativa per quello che, allo stato attuale, è considerato un rifiuto speciale: oltre 4.000 tonnellate di lana prodotte dalle quasi 13mila aziende agro-pastorali presenti in Sardegna. È l'obiettivo del concorso di idee Tura lana sarda', ideato dall'Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Sassari, dalla Provincia di Sassari e dalla Camera di commercio di Sassari, e rivolto a piccole e medie imprese, designer, artigiani nati o residenti in Sardegna. Saranno premiati i prototipi che presentano forti caratteristiche di innovazione estetica e tecnologica e che possano inserirsi in maniera competitiva sul mercato, facendo leva su qualità, tipicità, tradizione e sostenibilità. Al vincitore un premio di 4.000 euro, mentre vanno rispettivamente 2.500 euro e 1.500 euro al secondo e terzo classificato. Tura lana sarda' rappresenta un'iniziativa di supporto e integrazione al progetto di ricerca e sviluppo rurale 'MED Laine - A la recherche des couleurs des et tissus de la Méditerranée", per la caratterizzazione tecnico-scientifica della lana sarda e di alcune specie officinali- tintorie reperibili in Sardegna. Modalità di ammissione: i candidati, piccole e medie imprese, designer, artigiani, residenti o nati in Sardegna, sono chiamati a presentare progetti ispirati a elementi estetici o funzionali chiaramente ricollegabili alla cultura, alle tradizioni e al paesaggio della Sardegna. La progettazione dei prototipi potrà riguardare prodotti configurabili nei diversi settori quali, a titolo esemplificativo, abbigliamento e accessori, arredamento e complementi d'arredo, bio-edilizia. Al fine di agevolare la realizzazione dei progetti partecipanti al concorso, sono messe a disposizione (scaricabili dal sito www.medlaine.eu) tutte le informazioni inerenti i prodotti e i temi in oggetto, elaborate durante le attività del progetto MED Laine. Inoltre, presso la sede Ibimet-Cnr di Sassari, ogni partecipante può prendere visione di un campione di lana in fiocchi, di filato e/o di tessuto di lana di pecora sarda. Il concorso scade il 13 giugno 2011 e il bando è reperibile sul sito della Provincia di Sassari. Elena Campus _____________________________________________________ Il Manifesto 5 Giu. ’11 ORO BLU, RIFIUTI, UNIVERSITÀ I PADRONI DEI BENI COMUNI Gli affari in Italia delle multinazionali francesi Suez e Veolia Andrea Palladino Seguendo il corso dell'acqua si arriva lontano. Si scoprono le fonti, nascoste negli appennini italiani, gli antichi acquedotti romani, i pozzi contaminati del Lazio, le silenziose guerre per l'acqua che si combattono attorno alle sorgenti. Per chi ha pazienza e curiosità, le tubature oggi gestite dai colossi italo- francesi possono, però, sbucare nei posti più inaspettati, come il nuovo campus universitario di Tor Vergata, inaugurato da qualche mese con le gran casse delle tivù. O può capitare di ritrovarsi tra i rifiuti della Calabria, o tra le ceneri del bruciatore della Versilia, contenute in impianti che non funzionano e che, probabilmente, mai funzioneranno. GESTIRE LA VITA Le due sorelle francesi Gdf Suez e Veolia sulla gestione del nostro quotidiano non temono confronti. Hanno saputo vincere la concorrenza degli inglesi e degli spagnoli, hanno convinto governi di cinque continenti, hanno avuto la capacità di rendere docile la Banca mondiale e l'establishment di Bruxelles. Loro semplicemente gestiscono la vita: l'acqua quando si nasce, i rifiuti che produciamo, i nostri primi passi nell'università, accompagnandoci negli anni passati nei campus. E poi i trasporti, le scorie che producono le fabbriche chimiche e farmacologiche, la monnezza che - come è noto - in Italia è un bel business. Siamo clienti, dalla nascita alla morte. Questa è la partita che si giocherà il 12 e 13 giugno, partendo dalla critica radicale al core business delle grandi sorelle dei servizi, scardinando il sistema creato più di dieci anni fa nelle grandi École de administration francesi, il PPP, ovvero il partenariato pubblico privato. Alleanza strana, dove lo Stato mette i suoi cittadini e loro - Suez e Velia - mettono la capacità di capitalizzare il reddito estraibile dalla nostra vita. Dalla nascita alla morte. STUDIARE SOTTO IL SEGNO DI VEOLIA Cosa lega le bollette di Acqualatina alle università italiane? Jean Louis Marie Pons, manager di lungo corso di Veolia, oggi dirige la Siram Sì, società del gruppo francese che gestisce la città universitaria annessa a Tor Vergata, secondo ateneo romano. La realizzazione è stata affidata al gruppo Caltagirone, presente a sua volta in Acea - in teoria un concorrente diretto di Veolia - ben rappresentato dal cognato Marco Staderini, amministratore delegato del gruppo romano. Caltagirone da un paio d'anni ha iniziato una vertiginosa scalata in Acea, passando dal 4 al 15%, sperando con tutto il cuore di avere il via libera per diventare il vero successore del comune di Roma nella holding dei servizi romani. Per Veolia la gestione di pezzi delle università è uno dei tanti servizi diversificati, in grado di fare cassa, magari approfittando del clima friendly di un campus universitario per far capire che privato è bello. Il valore della gestione del campus universitario di Roma - che Veolia si è aggiudicata - si aggira attorno ai 170 milioni di euro é include l'amministrazione di ogni aspetto della vita interna al campus, dagli affitti alla tutela della privacy. Il modello privato si vede e si sente: tutti gli accessi sono controllati, la vigilanza affidata a istituti di sicurezza privati, «che percorrono tutta l'area, all'aperto e all'interno delle palazzine 24 ore su 24», mentre ogni visitatore dovrà essere munito di apposito badge. Qui, nel campus gestito da Veolia, entri solo se sei invitato. Le palazzine che ospitano gli studenti - e che coprono il 60% dei posti universitari di Roma - sono state realizzate con un accordo pubblico-privato, che ha visto coinvolto il Fondo Aristotele dell'Inpdap, gestito da Fabrica Immobiliare Sgr spa, società partecipata dal gruppo Caltagirone. Il fondo Aristotele ha accumulato interventi milionari nelle infrastrutture degli atenei - pubblici e privati - italiani. Oltre alla residenza di Tor Vergata, il fondo d'investimento gestito dal principale azionista privato di Acea ha finanziato la facoltà di agraria di Napoli, l'università degli studi di Modena e Reggio Emilia, l'Ifo di Milano e il campus universitario di Bari. LA MONNEZZA ALLA FRANCESE «In cima alla piramide dei rifiuti ci sono le grandi imprese mondiali, come la Generale des eaux», raccontava nel 1998 un bizzarro personaggio, Guido Garelli, che amava presentarsi con il grado di Commodoro del Sahara Occidentale. Ha scontato una pena dì 14 anni dì reclusione e ai magistrati di Milano ed di Asti ha raccontato molto sul mondo dei rifiuti, partendo dall'Italia e arrivando in Somalia. Ora la Generale des eaux si chiama Veolia e di rifiuti se ne intende. In Italia - oltre ai campus universitari, alla gestione dell'acqua a Latina, in Calabria e in Sicilia - ha espresso una particolare vocazione per la monnezza. Da diversi ,anni Veolia gestisce gli inceneritori di Gioia Tauro in Calabria, di Falascaia in Versilia, di Brindisi, di Potenza e di Vercelli, molti dei quali acquistati dalla società spezzina Termomeccanica. E non sempre le cose sono andate per il verso giusto. Quando i tecnici mandati dalla sede di La Spezia del colosso parigino sono entrati negli impianti di incenerimento in provincia di Lucca si sono accorti che qualcosa non funzionava. I dati delle emissioni erano truccati, grazie alla correzione che veniva effettuata dagli operatori. Un sistema intollerabile, ha scritto l'ingegner Rossi - cognome italianissimo, ma datore di lavoro francese - che spiegava in un memorandum interno che era meglio ottimizzare quel sistema: «Si è rivelato necessario introdurre un nuovo artificio, al fine di poter mantenere l'impianto in funzionamento, consistente nel raccogliere i dati rilevati al camino e trasformarli, in modo continuo tramite l'inserimento del fattore di correzione (K) del valore 0,1», scriveva Paolo Rossi in un internai memo nel 2008. Oggi quell'impianto è definitivamente chiuso, divenuto una sorta di monumento a quella gestione della vita tanto cara alle multinazionali dell'acqua, dei rifiuti e dei servizi. Il caso di Falascaia non è il solo. Nel 2009 l'inceneritore di Brindisi - sempre gestito da Veolia - fu sequestrato dal Noe. Anche in questo caso il sistema di controllo delle emissioni aveva seri problemi, secondo le analisi dei carabinieri. E accanto agli impianti il Noe trovò mille fusti di scorie non identificate, di cui non fu possibile capire la provenienza. IL CAVALLO DI TROIA L'acqua è dunque solo la punta dell'iceberg, un cavallo di Troia che renderebbe accettabile ogni tipo di privatizzazione. La legge Ronchi punta - grazie anche alla consegna del silenzio - dritto al cuore dei servizi essenziali per la vita, aprendo culturalmente la strada alla privatizzazione diffusa e invasiva. Il referendum è una sorta di ultimo appello, di battaglia finale per bloccare la cessione della gestione dell'acqua potabile alle società multinazionali. C'è una ricorrenza che fa ben sperare: i 65 anni della Repubblica. Il mese di giugno del 1946 fu un referendum a sancire il valore repubblicano della nostra Costituzione. Dal 13 giugno probabilmente potremmo dire che l'Italia si fonda non solo sul lavoro, ma sulla difesa dell'essenziale della vita. Dalla nascita alla morte. _____________________________________________________ Il Messaggero 5 Giu. ’11 EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA IN FORTE CRESCITA NONOSTANTE KYOTO di LUCIANO CAGLIOTI TEMPESTA sul nucleare, I vuoi perla decisione tedesca di uscire entro il 2021, giudicata dai francesi come «totalmente politica», vuoi per l'ammissione del relati-vo referendum qui da noi, vuoi per la pubblicazione da parte dell'Agenzia internazionale dell'energia dei valori relativi alle emissioni totali di anidride carbonica. Emissioni che, semplicemente, invece si diminuire aumentano. Nel 2010, infatti, esse hanno registrato un aumento, rispetto al 2008, del 5%. In altri termini a quel che sembra esistono due scenari, quello di una ottimistica speranza e quello dei numeri. Il primo scenario parla di protocolli di Kyoto, di fonti rinnovabili, di confinamento della CO2 in caverne sotterranee, di risparmio e di efficienza energetica, il secondo si limita a dare un numero che nella sua brutalità spiazza ogni ottimismo ed ogni velleitaria attesa. Difficile il ruolo degli esperti, che devono prendere atto del fatto che per rientrare nello scenario ottimista occorre che «le emissioni aumentino, in dieci anni, meno di quanto non abbiano fatto in un solo anno, dal 2008 al 2009». Un sogno, uscendo dal quale ci si deve rendere conto di tutta una serie di fatti, che non piacciono ma che esistono. Il tempo passa, la ricerca nei settori cosiddetti puliti viene incentivata, ma ancora non si è verificato quel breakthrough che dovrebbe, nelle speranze di tutti, permettere di avere a disposizione una fonte di energia realmente pulita e paragonabile, per efficienza e competitività di costo, al nucleare, ai combustibili fossili o all'idroelettrico. Sono doverose alcune considerazioni, elencate senza una priorità. Innanzitutto, guardando a quel che accade, occorre considerare che, al di là di ogni dichiarazione, la realistica valutazione della evoluzione energetica del futuro induce i Paesi industrializzati a crearsi delle riserve potenziali di idro- carburi.' Il che provoca anche turbolenza nelle zone cosiddette calde del pianeta (guerre del Golfo, Iran-Iraq , Libia , Kuwait, ecc.) e sembra significare che coloro che operano sul campo si riferiscono, come da sempre, agli idrocarburi (e al carbone) come fonte primaria reale oggi e in prospettiva nel tempo. È significativo l'approccio dell'India, terzo inquinatore del pianeta, che utilizza il carbone avvalendosi in partenza di tecnologie mirate all'efficienza energetica, in collaborazione con esperti statunitensi, istituendo una sorta di borsa che privilegia l'impiego di tecnologie mirate al carbone pulito. Una miscellanea di comporta-menti diversi, spesso antitetici, che vanno dal sofisticato impianto fotovoltaico sul tetto che permette di risparmiare un po' di anidride carbonica, da parchi di pale eoliche ai mostri di carbone diretto della siderurgia cinese. Mentre nei laboratori statunitensi ed europei ci si attende dalle ricerche sulle nanotecnologie un balzo nei rendimenti della conversione del solare in elettricità. Tranquillo in tutto questo l'atteggiamento dei francesi, che producendo oltre I'80% del fabbisogno di elettricità con il nucleare ed avendo messo a punto una tecnologia consolidata ritengono di attenersi al «quieta non movere» che consente loro di operare pagando l'energia la metà degli altri. Mentre l'unico parametro consolidato è l'aumento continuo su scala mondiale della anidride carbonica, l'Europa non riesce a concordare una politica energetica comune. Soprattutto non accetta il principio che non esistono benefici senza rischi, e questo vale per le emissioni di particelle, per le dighe, per il carbone, per il nucleare, per le lotte per impossessarsi di una zona ricca di giacimenti. E così agisce in ordine sparso e si comincia a presentare come ineluttabile in qualche telegiornale il fatto che di qui a qualche anno il Polo Nord sarà navigabile. __________________________________________________________________ Le Scienze 3 Giu. ’11 COME TI ELUDO IL PRINCIPIO DI COMPLEMENTARITÀ Applicando sofisticate tecniche di misurazione allo storico esperimento della doppia fenditura, un gruppo di ricercatori è stato in grado di osservare le traiettorie particellari medie che sottostanno all'interferenza di tipo ondulatorio Un gruppo di ricercatori dell'Università di Toronto diretto da Aephraim Steinberg ha sviluppato un modo per applicare sofisticate tecniche di misurazione allo storico esperimento delle due fenditure - in cui un fascio di luce che passa attraverso due strette fenditure fra loro vicine forma figure d'interferenza su uno schermo posto dietro di esse - che portò a un famoso dibattito fra Albert Einstein e Neils Bohr sulla natura della meccanica quantistica e alla formulazione, da parte del secondo, del cosiddetto principio di complementarità. Secondo questo principio, non è possibile ottenere contestualmente l'informazione sul cammino percorso dal fascio e una figura d'interferenza, poiché si tratta di "aspetti complementari", riconducibili al dualismo onda-corpuscolo, in quanto il formarsi di una figura d'interferenza fa riferimento alla natura ondulatoria del fascio, mentre l'informazione relativa alla traiettoria fa riferimento alla sua natura corpuscolare. "Per tutto il secolo passato la misurazione quantistica è stata come un elefante filosofico nella cristalleria della meccanica quantistica", ha osservato Steinberg, che con i collaboratori firma in proposito un articolo pubblicato su Science. "Tuttavia negli ultimi 10-15 anni la tecnologia ha raggiunto il punto in cui è divenuto possibile fare effettivamente esperimenti dettagliati su specifici sistemi quantistici, con potenziali applicazioni nella crittografia e nel calcolo." Nel nuovo esperimento, i ricercatori sono riusciti per la prima volta a ricostruire sperimentalmente le traiettorie complete che forniscono una descrizione del modo in cui le particelle di luce si muovono attraverso due fenditure e formano le figure d'interferenza. La tecnica utilizzata si basa sulla teoria della misurazione debole sviluppata da Yakir Aharonov della Tel Aviv University, dove una misura è considerata "debole" se ha una grossa indeterminazione, tale cioè da lasciare lo stato del sistema quasi imperturbato. Sulla base di questa teoria, Howard Wiseman della Griffith University aveva ipotizzato che combinando l'informazione sulla direzione del fotone in vari punti attraverso misure deboli fosse possibile ricostruire le traiettorie che portano il flusso luminoso su uno schermo. "Nel nostro esperimento è stata usata una nuova fonte di singoli fotoni sviluppata al National Institute for Standards and Technology. in Colorado, per inviarli uno alla volta in un interferometro costruito a Toronto. Abbiamo poi usato un cristallo di calcite, che sulla luce ha un effetto che dipende dalla direzione in cui essa si propaga, per misurare la direzione come funzione della posizione. Come Wiseman aveva previsto, le nostre traiettorie misurate sono consistenti con l'interpretazione realista e non convenzionalista della meccanica quantistica di pensatori come David Bohm e Louis de Broglie", ha detto Steinberg. "Applicando tecniche di misurazione moderne allo storico esperimento della doppia fenditura, siamo stati in grado di osservare le traiettorie particellari medie che sottostanno all'interferenza di tipo ondulatorio, ed è la prima osservazione di questo tipo. Questo risultato dovrebbe contribuire a far avanzare il dibattito sulle diverse interpretazioni della teoria quantistica", ha aggiunto Steinberg. (gg ========================================================= __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 mag. ’11 LA REGIONE STA DISTRUGGENDO LA SANITÀ L’allarme bipartisan: ai tagli indiscriminati non seguono i progetti di sviluppo Maninchedda: federalismo finto che non serve Deriu: aiutano solo l’asse Cagliari-Olbia mortificando gli altri GIOVANNI BUA NUORO. Sanità sotto scacco. Di una Regione che distrugge senza costruire. E favorisce sempre i più forti. Di una riforma federalista iniqua. Di una provincia che non produce più reddito. E non riesce a far ripartire la sua economia. Di una competizione «truccata» da cui non si può uscire vincitori. Questa l’allarmante fotografia scattata ieri nel convegno della Fp Cgil. Dedicato alle prospettive della prima (e praticamente unica) «industria» rimasta nel territorio: la sanità. Con un ricco parterre. Che, nonostante le defezioni dell’assessore Liori e del manager dell’Asl Soru, ha potuto contare sull’ ex commissario Asl Mariano Meloni. Su Paolo Maninchedda e Roberto Deriu, Francesca Barracciu e Rocco Celentano. Sul sindaco di Teti Pietro Galisai e il segretario Cgil Gianfranco Mussoni. Sulla segretaria nazionale della fp Cgil Rossana Dettori e quello provinciale Sandro Fronteddu. Un incontro articolato, dove non sono mancati momenti di scontro (soprattutto, come prevedibile, sul project financing) ma sono stati più i momenti di incontro. A «mettere i piedi nel piatto» Michelangelo Gaddeo. Che, in un’articolata relazione, ha toccato tutti «gli oggetti dello scandalo». Sintetizzati in tre domande: quali prospettive per la sanità nuorese in una regione dove c’è la necessità di razionalizzare la spesa? Quali di fronte ai cambi della classe dirigente, divisa sulla strada da intraprendere? Quali in una provincia impoverita, spopolata, invecchiata, ormai marginale? Domande a cui gli invitati hanno provato a rispondere. A iniziare da Maninchedda. Che ha spiazzato tutti, mettendo da parte l’attacco a testa bassa al project («che comunque così come è non va bene. E va profondamente rimodulato. Anche perché tiene fuori le imprese locali. E fa in modo che un grande gruppo internazionale controlli di fatto gli enti locali. Facendo cassa con soldi che non possiamo permetterci di regalargli»). E concentrandosi sul «falso fedralismo scelto dal governo. Non associativo ma devolutivo. In cui ognuno si paga i diritti con le ricchezze che produce. E, siccome noi non produciamo ricchezze, non ci possiamo permettere i servizi. A meno che non ci rendiamo contro che bisogna produrre ricchezza. E farlo in una provincia in cui il capoluogo è il primo a non produrne. E a consumarne soltanto. Non ci possiamo più permettere una borghesia parassitaria. Né possiamo diventare una provincia di infermieri». Analisi rafforzata da Deriu: «Le otto province sono in competizione tra loro. Ma la gara è truccata. La Regione rafforza i forti. Intervendo per livellare e rendere omogenei i servizi che gli interessano. E mortifica i deboli. Un’omologazione sperequativa. Che accresce le diseguaglianze privilegiando l’asse Cagliari-Olbia. E annulla le peculiarità di Nuoro. Tra cui deve spiccare una sanità forte. Se ci fosse davvero perequazione dovrebbero darci il doppio dei soldi che ci danno. Solo per coprire lo svantaggio di Pil che Olbia guadagna da porto e aeroporto. E Cagliari dalla macchina amministativa che ospita. Altro che un nuovo ospedale a Olbia». «Anche perché - attacca Barracciu - la famosa riforma regionale non è mai stata fatta. E il vecchio piano sanitario è stato abbattuto con furia iconoclasta. La spesa cresce. Ma nessuno ha un piano per organizzarla. E il disavanzo si è triplicato in due anni». Le soluzioni: far riprendere a correre l’economia. E nel mentre «tenersi» il project. Per tutti: «frutto di un’idea politica con motivazioni nobili». «Da rimodulare perché così non serve, anzi è dannoso» spiega Maninchedda. «Da controllare, ma unico strumento per attrarre capitali esterni in un quadro di arretramento dello Stato», dice Deriu. «Comunque - chiude la Barracciu - da difendere. Cosa purtroppo non tutti hanno fatto». __________________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 mag. ’11 LE SCELTE DEI MEDICI, L'INCUBO DELLE DENUNCE Preciso ed essenziale, Gaetano Di Chiara ha denunciato il dilagare del contenzioso, che crea all'amministrazione della Sanità un enorme aggravio di spesa e costringe i medici a operare sotto l'incubo di complicazioni legali. Nella gente si è insinuata la convinzione che la Costituzione della Repubblica «garantisca» la salute, mentre (si rilegga l'articolo 32), la Repubblica «tutela» la salute: può sembrare la stessa cosa, ma non lo è. Non stupisce che il caso della povera giovane morta di parto all'ospedale di San Gavino abbia un seguito giudiziario. L'Unione ha dedicato il 26 maggio un'intera pagina al racconto di una signora di Villacidro che si è presentata al magistrato, per riferire di un suo caso personale, avvenuto tre anni fa. A suo dire identico a quello di questi giorni. Differenza non trascurabile: lei è viva. Che poi il caso della signora Cristina sia stato risolto dai medici del Marino di Cagliari, che è un ospedale ortopedico traumatologico, richiederebbe qualche spiegazione. Nella stessa pagina si ricorda un caso mortale di 10 anni fa: «stessi medici, stesso ospedale». A segnalarlo alla magistratura sono state «alcune persone», non meglio identificate. Anche i medici hanno diritto alla presunzione di innocenza. Al tavolo operatorio, ci sono un uomo armato dei suoi strumenti e del suo bagaglio di cognizioni e un organismo che non sempre si comporta secondo le previsioni. In pochi secondi, l'uomo deve trovare una soluzione. Non sempre è sicuro che sia quella giusta. Giuseppe De Ferrari Appena il 10 per cento delle denunce contro i medici si conclude con una condanna. L'Unione lo ha scritto più volte. Ma sinché le denunce ci sono, e la magistratura indaga, dobbiamo darne conto: questo è il dovere di cronaca. (d. p.) __________________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 mag. ’11 NUORO: IL PROJECT DELLA DISCORDIA Dibattito organizzato dalla Cgil senza l'assessore regionale Confronto in attesa del Consiglio di Stato Il botta e risposta finale riassume la diversità di posizioni sul project financing della Asl, approdato all'esame del Consiglio di Stato che deciderà dopo l'estate. «Va rimodulato perché così non è conveniente, non è un grande affare per il territorio», dice il consigliere regionale sardista Paolo Maninchedda, da sempre critico sul progetto. «La relazione della Sfirs risponde a tutti i dubbi, perché avvocati pagati con soldi pubblici omettono di presentarla al Tar?», sottolinea il consigliere regionale del Pd Francesca Barracciu. È il momento più vivace del convegno organizzato dalla Cgil Funzione pubblica sulle prospettive della sanità nuorese che riunisce ieri a Nuoro tanti relatori sebbene senza gli interlocutori fondamentali, l'assessore regionale Antonello Liori e il direttore generale dell'Azienda Antonio Soru, entrambi assenti. IL SINDACATO Anche alla Cgil il project non piace. Lo dice in apertura Michelangelo Gaddeo: «È il fallimento della sanità pubblica, solo un grosso affare per i privati». Lo ribadisce al termine della tavola rotonda - coordinata da Giovanni Pinna - Rossana Dettori, segretaria nazionale della Funzione pubblica, parlando di progetto di finanza allegra ma raccomandando l'obiettivo fondamentale: «Riportare le prestazioni sanitarie in questa regione scegliendo il sistema pubblico come erogatore dei servizi». La Cgil è presente ai massimi livelli con il leader provinciale Gianfranco Mussoni che interviene e il segretario regionale Enzo Costa che ascolta in prima fila. IL DIBATTITO L'ex commissario della Asl Mariano Meloni sgrana i limiti del project. «Se non è gestito in modo stringente può sfuggire di mano», dice richiamando il canone di 24 milioni di euro da sborsare per la Asl, gli alti costi delle forniture elettromedicali per cui erano previsti oltre 11 milioni. «Con una ricerca di mercato abbiamo fatto un risparmio del 20-30 per cento». E poi la gestione di alcuni servizi come la ristorazione, il portierato, il cup, le pulizie. «Abbiamo proposto di fare le gare per trovare i partner, avremo risolto il problema», dice Meloni. Linea rilanciata da Maninchedda che bacchetta «il sistema parassitario di Nuoro» puntando l'indice su Pd e Pdl. E sottolinea: «Nuoro ha bisogno di investimenti che producano ricchezza, altrimenti non può sostenere il livello dei servizi e dei diritti». Parole condivise dal presidente della Provincia Roberto Deriu (Pd) che invoca “una politica regionale perequativa”. E sul project aggiunge: «È l'unico tentativo per cercare scampo rispetto alla contrazione del welfare». Marilena Orunesu __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 Giu. ’11 MONSERRATO: ARGIOLAS: «VOGLIAMO CONTINUITÀ CON L ATENEO» MONSERRATO. Fatta la giunta, domani c’è la prima riunione del consiglio comunale e, adempiuti i compiti istituzionali, il nuovo sindaco Giovanni Argiolas chiederà subito un incontro al rettore, tema: Monserrato e l’università. Spiega il sindaco: «Una delle tre priorità dell’azione amministrativa, l’ho detto nel programnma, sarà il rapporto con l’università». Il vicesindaco ha una delega proprio per i rapporti con l’ateneo, ma il sindaco ha intenzione di dare subito l’impostazione al nuovo corso. «Sino a oggi - dice il primo cittadino - Monserrato dall’insediamento universitario non ha avuto benefici ma soltanto disagi. All’università per crescere servono altre porzioni di territorio, noi lo intendiamo come un servizio ma è necessario che la cittadella universitaria e il policlinico abbiano una continuità con la nostra comunità e così Monserrato deve averla con queste due importanti strutture. La statale 554 - continua il sindaco Argiolas - vista sotto questo aspetto costituisce una barriera». Che non viene cancellata dal ponte strallato: «Perché è ancora un passaggio per le auto - dice Argiolas -, la continuità è vera e concreta se è pedonabile, ciclabile, insomma a portata di tutti i cittadini di Monserrato e quindi di tutti coloro che lavorano e frequentato a vario titolo i complessi universitari. Noi vogliamo che l’utenza universitaria si accorga di Monserrato e venga qui, ma perché questo succeda bisogna rendere accessibili uno con l’altro questi due mondi separati ora da una strada molto trafficata. E’ necessario che Monserrato e l’università abbiano un rapporto culturale, sportivo, economico. Naturalmente non può essere messa in discussione l’autonomia dell’università, il punto è un altro: è il nostro rapporto con questa entità che chiediamo finalmente cominci. Non si discute l’autonomia, ma questa è una condizione di legge, non politica: per questo chiedo all’istituzione università un confronto, sereno e costruttivo». Materialmente il sindaco chiederà un incontro al rettore Giovanni Melis la prossima settimana». __________________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 mag. ’11 BRUNETTA CONTROLLA GLI SCIOPERI, BACCHETTATE DUE ASL Il ministero invia gli ispettori negli enti che non hanno comunicato le adesioni alla mobilitazione del 6 maggio CAGLIARI. Non sfugge più nulla, all’occhio attento del ministro Brunetta. Dopo le assenze per malattia, è il turno degli scioperi. Gli enti pubblici devono comunicare i nomi dei dipendenti che hanno aderito, e per le inadempienti, fa sapere il ministero per pubblica amministrazione e innovazione, sono pronti gli ispettori. E così si scopre che, per lo sciopero generale del 6 maggio, tra le trenta Asl da mettere dietro la lavagna ci sono quelle di Cagliari e Carbonia, e che il capoluogo è inadempiente anche con l’università. «Come noto - dice una nota del ministero -, l’articolo 5 della legge 146 del’90 prevede che in caso di sciopero le singole amministrazioni siano tenute a trasmettere tempestivamente al Dipartimento della Funzione Pubblica il numero dei lavoratori dipendenti in servizio, dei dipendenti che vi hanno aderito, degli assenti per altro motivo e l’ammontare delle retribuzioni trattenute». E per la grande mobilitazione di tre settimane fa gli smemorati erano in tanti: una trentina di Asl (tra le quali le due isolane), dodici atenei (compreso quello retto da Giovanni Melis), tre Camere di commercio (ma senza sarde in elenco). Puntuali, i controllori di Brunetta «hanno invitato i responsabili a verificare i motivi che non hanno consentito al responsabile del procedimento di corrispondere al dettato normativo, assumendo i necessari provvedimenti sanzionatori». Ma niente paura. Il futuro riserva Perla Pa, un sistema che da giugno gestirà e rileverà gli scioperi. A quel punto, davvero, al Grande Fratello ministeriale non sfuggirà più niente. __________________________________________________________________ Corriere della Sera 31 Mag. ’11 SAN RAFFAELE, ECCO IL PIANO PER LE BANCHE IL DOCUMENTO PAGAMENTI AI FORNITORI IN TRANCHE ANNUE DEL 20% SENZA INTERESSI. L' 8 GIUGNO IL CONSIGLIO DELLA FONDAZIONE MONTE TABOR Bond da 120 milioni e immobili a un fondo Mps-Caltagirone. Pressing per i nuovi manager Le candidature Le ipotesi Cannatelli e Lucchina per la realizzazione del riassetto MILANO - Pagamento del debito con i fornitori a tranche del 20% annuo senza interessi; emissione nel 2012-2013 di un prestito obbligazionario convertibile da 120 milioni; quotazione in Borsa nel 2014; crescita dei ricavi da 630 milioni del 2011 a 900 del 2016 rafforzando in particolare oncologia, cardiologia, urologia e neurologia; conferimento degli immobili del gruppo San Raffaele in un fondo immobiliare (Aristotele) gestito da Fabrica sgr (Mps-Caltagirone); il settore ricerca concentrato in una nuova società; vendita di tutto ciò che non è core business. Ecco le tappe delineate nella bozza di piano finanziario 2011-2016 che l' ospedale San Raffaele, oberato da oltre 900 milioni di debiti, ha appena inviato alle banche per trovare un accordo scaccia-crisi. Per l' 8 giugno è convocato un consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor, l' ente presieduto dal fondatore don Luigi Verzè che governa il polo ospedaliero e della ricerca. Nel documento inviato alle banche vi è anche la chiara indicazione, come era atteso, di un futuro ricambio del management di vertice. Ed è qui che si gioca una partita fondamentale. Le banche, ovviamente, vogliono avere voce in capitolo, così come la Regione Lombardia (principale cliente dell' ospedale) e il fondatore don Verzè, la cui influenza resta fortissima. Serve la figura di un manager della sanità che sappia destreggiarsi tra bisturi, alambicchi e bilanci, poiché il San Raffaele è oggi un mix tra cura delle persone, ricerca scientifica, cura dei debiti e rianimazione della cassa. Qualche nome circola come possibile capoazienda. Per esempio Pasquale Cannatelli da oltre otto anni alla guida del Niguarda, il più grande ospedale pubblico di Milano. È un manager in quota Comunione e Liberazione, tra i più stimati dal presidente della Regione Roberto Formigoni. Altro nome è quello di Carlo Lucchina, dal 2003 capo operativo della sanità lombarda (oltre 17 miliardi di budget annuo) che ha portato al pareggio di bilancio. Solo ipotesi per ora. Ma è evidente quanto sia centrale il ruolo di Formigoni che sta lavorando anche alla ricerca di nuovi soci e finanziamenti. All' inizio lo aveva fatto anche don Verzè, andando a bussare, si dice, ai big della sanità lombarda come Giuseppe Rotelli (gruppo San Donato), Gianfelice Rocca (Humanitas), Daniele Schwarz (Multimedica). L' obiettivo, mancato, era quello di evitare il commissariamento di fatto delle banche. Piuttosto sono da registrare da parte di alcuni istituti di credito e fornitori perplessità su modalità e tempistica del piano di ristrutturazione. In sostanza si ritiene che un piano di risanamento finanziario e rilancio industriale di queste dimensioni sarebbe assai più credibile se a presentarlo e firmarlo fosse già il nuovo management. Ovvero coloro (o colui) che avranno il compito e la responsabilità di portarlo a compimento. Invece è la vecchia gestione, ovvero don Verzè con il cda della Fondazione, che chiede soldi alle banche e dilazioni ai fornitori dopo aver determinato la situazione di inadempienza. A proposito di fornitori e delle loro fatture ingiallite: risulta per certo che una multinazionale della farmaceutica abbia presentato a febbraio un decreto ingiuntivo che poi però è stato respinto dal giudice. Vedremo quale sarà la risposta delle banche al piano ma i tempi saranno probabilmente più lunghi del previsto e comunque dovrebbe essere percorsa la strada del concordato preventivo per garantire i creditori. Le banche (Unicredit, Intesa, Bnp, Bpm, Mps, Cariparma, Popolare Sondrio) hanno nominato un loro advisor: Roland Berger. La Fondazione «gioca» con Arnaldo Borghesi, Bain & Co e Deloitte. Il progetto di rilancio è coordinato dal banchiere Carlo Salvatori, presidente di Lazard Italia e nel consiglio di amministrazione del San Raffaele. Mario Gerevini Simona Ravizza __________________________________________________________________ Corriere della Sera 2 Giu. ’11 PIANO ANTIDEFICIT LAZIO: OTTO OSPEDALI CHIUSI SANITÀ IL PIANO ANTIDEFICIT SANITÀ SCAMBIO DI ACCUSE TRA OPPOSIZIONE E MAGGIORANZA. ASSOLTI I VERTICI DEL SAN RAFFAELE PER ABUSI A MONTECOMPATRI Otto ospedali chiusi: scambio di accuse tra Montino e Brozzi Montino (Pd): cittadini abbandonati. Brozzi (Lista Polverini): servizi più efficienti «Chiusi 8 ospedali». «No, è un rilancio» È scattata ieri «la chiusura di 8 ospedali: Acquapendente, Montefiascone (Vt), Amatrice (Ri), Zagarolo (Rm), Arpino, Pontecorvo (Fr), Sezze, Gaeta (Lt) e di interi reparti negli ospedali romani e in provincia». La denuncia arriva da Esterino Montino (Pd) in base al decreto 113 che fa parte dei provvedimenti varati dalla presidente della Regione, Renata Polverini, per eliminare il deficit della sanità. Mario Brozzi (Lista Polverini) replica: «Montino continua a seminare panico ingiustificato disegnando falsi scenari catastrofici di ospedali chiusi e cittadini abbandonati al loro destino». Tra i «condannati» c' era anche Bracciano, ma si è salvato perché protetto da una sentenza del Tar. «L' applicazione militare di queste direttive da parte dei direttori generali delle Asl produrrà una nuova ondata di caos nel sistema sanitario di questa regione soprattutto nelle province - sostiene Montino -. A queste chiusure ci sono da aggiungere quelle di interi reparti negli ospedali romani come al Grassi di Ostia e a Subiaco. Si è scelto di procedere nonostante tutto e tutti in scelte evidentemente sbagliate, come certificato in molti casi dal Tar del Lazio». Intanto le liste di attesa «esplodono in tutta le Regione - rincara la dose Montino -. I cittadini sono costretti a pagare di tasca propria le prestazioni e vengono ulteriormente colpiti dalle tasse più alte d' Italia». «Da 6 mesi chiediamo che il Consiglio regionale sia convocato per discutere ciò che sta avvenendo nella sanità, proprio per evitare i disastri annunciati - ricorda l' esponente del Pd - . La maggioranza di centrodestra, in tutti questi mesi, ha ritenuto fosse più urgente perdere tempo in liste nuove, comizi fuori regione, polemiche su poltrone ancora non assegnate, guerre tra bande». Non la pensa così Brozzi (Lista Polverini): «Il piano di riorganizzazione della rete ospedaliera che la presidente Polverini sta portando avanti prevede percorsi che rispondano realmente ed efficacemente alle necessità dei cittadini, i quali troveranno sul loro territorio un' offerta sanitaria adeguata ed efficiente anche in termini di emergenza». «Volendo dare un nome ad alcuni degli ignoti 8 ospedali a cui fa riferimento Montino - precisa Brozzi - possiamo dire che l' ospedale di Montefiascone diventerà una struttura integrata funzionalmente al Belcolle di Viterbo; Subiaco è interessato da un processo di razionalizzazione delle attività e non di chiusura, mentre per quello che riguarda il Grassi continuiamo ad assistere a una speculazione sterile su un argomento inesistente portato avanti da medici che si occupano principalmente di far politica». Sempre ieri il Tribunale di Velletri ha emesso una sentenza di assoluzione piena per alcuni dirigenti del Gruppo San Raffaele spa, in riferimento alle gravi ipotesi di reato formulate dalla Procura a carico della clinica San Raffaele di Montecompatri. Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente Carlo Trivelli, pure lui assolto pienamente dalle accuse di falso ideologico e abuso d' ufficio formulate dai magistrati in riferimento a presunte irregolarità urbanistiche e falsi condoni riscontrati tra il 2007 e il 2008 nella clinica di Montecompatri «che è perfettamente in regola»: la struttura, accogliendo molti servizi e reparti da altre case di cura del Gruppo (Velletri, Nomentana e Villa dei Fiori), potrà così diventare un importante polo, come previsto nell' accordo stipulato il 27 maggio tra la Regione e San Raffaele spa, di proprietà della famiglia Angelucci. Con quell' intesa sono stati scongiurati oltre 3 mila licenziamenti di medici, fisioterapisti e infermieri del Gruppo e la chiusura di 2.300 posti letto. Inoltre la palestra della clinica San Raffaele di Velletri «è stata dissequestrata dal Tribunale del riesame - ha aggiunto Trivelli - dopo che nel 2009 era stata dichiarata inagibile e pericolosa. E ribadisco piena fiducia nel lavoro della magistratura». Francesco Di Frischia Di Frischia Francesco __________________________________________________________________ Corriere della Sera 5 Giu. ’11 PS: L’IPOTESI: «CODICI VERDI» DAI MEDICI DI FAMIGLIA Sanità Allo studio uno schema per rinnovare il sistema per le cure urgenti Allo studio uno schema per rinnovare il sistema per le cure urgenti Pronto soccorso malato: scarso personale e pochi mezzi U n’eresia. Per decongestionare i pronto soccorso italiani sempre più affollati e ormai al collasso, come testimonia anche una recente indagine conoscitiva della commissione Igiene e sanità del Senato (vedi grafico), ci vogliono idee e soluzioni "eretiche"? Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, sostiene la necessità di cambiare la cultura ospedalocentrica del Sistema sanitario nazionale. Da tre anni, Fazio propugna un’idea: il 70-80%di codici verdi e bianchi che si riversano nelle sale d’attesa dei pronto soccorso, a suo dire «impropriamente» , devono invece essere gestiti dai medici di medicina generale sul territorio. «Bisogna individuare una serie di strutture, vicine e lontane ai pronto soccorso, attraverso le quali attivare un’assistenza 24 ore su 24» diceva Fazio già nel 2008 lanciando il dibattito sul riordino delle Cure primarie. Nel piatto della nuova sanità territoriale, che richiede un ripensamento del ruolo dei medici di famiglia ma anche di guardia medica (la cosiddetta continuità assistenziale) il ministro ha messo 350 milioni di euro. I medici di medicina generale e gli ospedalieri fanno però parte di due mondi che dialogano a fatica. I primi vedono nella riforma a favore del territorio una possibilità di riscatto professionale e anche un futuro. Gli altri sono scettici, temono duplicazioni inutili e non risolutive dei complessi problemi dei pronto soccorso. In mezzo c’è anche il Sistema 118, la struttura del soccorso sul territorio, preoccupata di mantenere la propria autonomia. Ma la missione di spostare il baricentro del sistema sanitario, è molto più ardua. Perché bisogna anche convincere le persone a rivolgersi a queste nuove strutture e non al pronto soccorso. «Culturalmente sarebbe la vera rivoluzione — ragiona Alberto Zoli, direttore dell’Azienda regionale emergenza e urgenza 118 della Lombardia —. Certo non si può pretendere che un cittadino si faccia il triage e decida da solo se il suo caso è da codice bianco o verde. Trovo anche molto critico che il 118, nato per fare trasporti d’urgenza, possa convogliare in queste nuove strutture del territorio. In base a che cosa? Un triage fatto da un operatore della centrale per telefono?» . Anna Maria Ferrari, past president della Società italiana di medicina d’emergenza urgenza invita però a concentrarsi sui veri problemi del pronto soccorso: «Credo che nel tempo sia la guardia medica che gli ambulatori dei medici di famiglia debbano avere una maggiore disponibilità per i pazienti che necessitano di cure nell’ambito delle 24 ore— dice—. Ma non dobbiamo aspettarci dei risultati a breve termine» . Secondo i medici dell’emergenza, oltre alle carenze nelle infrastrutture e nel personale, la questione più assillante che oggi devono affrontare i pronto soccorso è un altra: «La difficoltà a ricoverare malati seri, perché non si trovano letti disponibili — spiega Daniele Coen, responsabile della Medicina d’urgenza e pronto soccorso all’ospedale Niguarda di Milano —. In tutta Italia c’è stata una forte riduzione di posti letto per acuti. Però a questa riduzione si sarebbe dovuta affiancare una crescita dell’offerta di strutture intermedie, di letti per subacuti, di residenze sanitarie assistite sul territorio e invece non si è visto niente» . Dovendo agire da filtro sui ricoveri, chi lavora in pronto soccorso si trova così ad aumentare tempi di osservazione, numero e qualità degli esami. «In molti posti probabilmente c’è anche una componente di medicina difensiva» non nasconde Coen. Dunque, a detta dei medici, se si trovasse uno sbocco per i pazienti critici e soprattutto per quelli con malattie croniche che si riacutizzano, si riuscirebbe a velocizzare anche l’assistenza ai codici cosiddetti minori. In questa cornice troverebbe spazio anche una serie di soluzioni alternative che si stanno sperimentando in varie parti d’Italia. Come l’apertura di ambulatori gestiti da medici di medicina generale direttamente in pronto soccorso, in atto da 10 anni negli ospedali Molinette e San Giovanni Bosco di Torino o sperimentata tra il 2008 e il 2009 al Grassi di Ostia. «Il pronto soccorso direttamente dal medico di famiglia sarebbe però una catastrofe — sottolinea Francesco Enrichens, vice presidente della Società italiana sistemi 118 —, perché rischieremmo di mandare il cittadino in un posto storicamente non attrezzato per l’emergenza e l’urgenza» . Per il suo collega di Ares 118 Lazio, Antonio De Santis, si potrebbe pensare però di mandare medici dell’area dell’emergenza come tutor dei colleghi di medicina generale per un certo tempo. Regione Toscana prima, e Emilia Romagna poi, hanno scelto di affidare agli infermieri in pronto soccorso una piccola parte di codici minori, secondo la prassi anglosassone del See and Treat (vedi e tratta), provocando così anche un esposto alla magistratura da parte dell’Ordine dei medici di Bologna. Gli infermieri, dopo aver seguito un corso specifico, sotto la supervisione di un medico possono eseguire una serie di medicazioni previste in appositi protocolli o anche mandare il paziente dallo specialista. I risultati sono soddisfacenti. «Stiamo finendo i sei mesi di sperimentazione — racconta Alessandro Rosselli, a capo del Dea Asl 10 di Firenze —. Mediamente, nei sei ospedali coinvolti è stato trattato dagli infermieri circa l’ 8%dei casi. I tempi di attesa e permanenza nell’ambulatorio infermieristico sono inferiori rispetto a quelli dei percorsi normali» . Ruggiero Corcella __________________________________________________________________ Corriere della Sera 5 Giu. ’11 PS: AMBULANZE LENTE E DIAGNOSI SBAGLIATE Un caso al mese finisce sotto inchiesta L’ ultimo caso risale a metà maggio: una donna di 67 anni morta all’ospedale Versilia di Lido di Camaiore non appena uscita dal pronto soccorso dove era arrivata nel pomeriggio a causa di un malore. I parenti hanno presentato un esposto alla Magistratura, che ha avviato un’indagine, e anche la Regione Toscana ha disposto accertamenti. Negli ultimi due anni, il sistema dell’emergenza è entrato più volte nell’occhio del ciclone. In particolare, 24 casi sono finiti sotto la lente della Commissione parlamentare sugli errori sanitari, presieduta da Leoluca Orlando. Praticamente uno al mese, di cui sette in Calabria e altrettanti in Sicilia. Ventitrè pazienti hanno perso la vita, tra cui due neonati e quattro bimbi. Due episodi sono legati a personaggi del mondo della televisione e dello sport: c’è il presunto ritardo con cui sarebbe giunta l'ambulanza che il 23 aprile scorso ha soccorso a Roma il giornalista Lamberto Sposini. E la scarsa tempestività potrebbe essere la causa della morte dell’ex cestista Pino Brumatti, il 21 gennaio 2011 a Gorizia. I familiari dell’ex guardia dell’Olimpia Milano hanno presentato una denuncia, lamentando ritardi nei soccorsi da parte degli operatori del 118. Le magagne portate alla luce sono di natura diversa. Come l'esposto dell’ottobre 2010 con il quale si segnala che all'interno del Policlinico di Messina le ambulanze destinate al solo trasporto dei malati verrebbero usate anche per i cadaveri, violando così le norme sanitarie previste per legge. Sul tavolo di Orlando c’è poi l’esposto del luglio 2010 che prende in esame le anomalie del 118 della provincia di Ragusa riguardo patenti e targhe. In questo caso è lo stesso estensore che si autodenuncia, dichiarando di aver guidato lui stesso ambulanze senza avere la patente idonea. Un altro esposto, questa volta su presunti disservizi e illeciti relativi al servizio 118 di Foggia, è stato presentato nel febbraio scorso. Sempre al Sud, c’è il caso del decesso di una donna avvenuto al pronto soccorso di Castrovillari (Cosenza) che potrebbe aver pagato a caro prezzo la mancanza del borsone con i tubi orotracheali sulla prima ambulanza che l’ha soccorsa. A Lamezia Terme è invece morta una donna che ha avuto la sfortuna di essere soccorsa da un’ambulanza con il defibrillatore guasto. Un defibrillatore non funzionante, sempre a Lamezia, potrebbe essere la causa del decesso di una ventenne con problemi cardiaci. Un caso anche a Ivrea, dove a gennaio di quest’anno una donna è morta dopo che al pronto soccorso dell’ospedale cittadino era stata sottoposta agli esami di routine e dimessa la notte stessa. Migliorare l'efficienza della rete dell’emergenza è considerata una priorità dal presidente della Commissione, Leoluca Orlando: «Il funzionamento del 118, strettamente collegato al sistema integrato di emergenza e urgenza— sottolinea — costituisce uno strumento essenziale per garantire la tutela della salute dei cittadini, con riferimento in particolare a quanti vivono in territori disagiati e distanti dalle strutture sanitarie» . R. Cor. __________________________________________________________________ Corriere della Sera 5 Giu. ’11 PS: LA LUNGA ATTESA PER LA VISITA Barelle nei corridoi, rifiuti, poche informazioni Pazienti costretti a dormire su una sedia o in barella nei corridoi, ancora vestiti, fianco a fianco, senza nessun rispetto della privacy. Altri che aspettano il loro turno in piedi, perché mancano le sedie. Familiari che, soprattutto nei giorni festivi, non riescono ad avere notizie dei loro cari sottoposti a visita ed esami. E ancora, ambulanze ferme a lungo, in attesa che si liberino le loro lettighe. Poi, segni di incuria e di sporcizia qua e là. Disagi purtroppo all'ordine del giorno in parecchi dei pronto soccorso di tutta Italia, come hanno rilevato lo scorso aprile, in una giornata come tante altre, i volontari del Tribunale dei diritti del malato -Cittadinanzattiva, in collaborazione coi medici ospedalieri del sindacato Anaao-Assomed (vedi dati a sinistra). «Siamo andati in circa cento pronto soccorso per verificare le segnalazioni dei cittadini — dice Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale del malato —. Non si tratta di un'indagine statistica, ma si sono rilevate disfunzioni che sono allarmanti, a prescindere dal numero degli episodi» . «È gravissimo, per esempio, che un paziente cui è stato attribuito il codice giallo, quindi in condizioni serie, debba aspettare fino a 5 ore prima di essere visitato. O che un malato rimanga su una barella in corridoio anche per due giorni — sottolinea Moccia —. In un ospedale di Roma abbiamo trovato sette ambulanze ferme in attesa che si liberassero le loro lettighe per poter andar via: significa che nel frattempo non erano a disposizione per soccorrere altre persone. E di casi come questo ne abbiamo riscontrati parecchi» . Tra i punti critici emersi dal monitoraggio, oltre alla solita nota dolente delle attese, la carenza di posti letto nei reparti e il numero esiguo di personale medico e paramedico soprattutto in giorni festivi e di notte. «In un pronto soccorso con accessi superiori a 25 mila l'anno, abbiamo trovato un solo medico presente durante il turno di notte» sottolinea la coordinatrice del Tribunale del malato. Un po'dappertutto strutture e mezzi inadeguati per accogliere, far attendere, trasportare i pazienti lungo il percorso di diagnosi e cura dell'emergenza. «Non dovrebbero esserci pazienti in piedi in attesa della visita, o "parcheggiati"in una stanzetta anche per giorni, in attesa di un posto letto per il ricovero— incalza Moccia —. In un caso su dieci, i malati o i familiari sono invitati a rivolgersi ad altre strutture per carenza di posti. In una stanza di breve osservazione abbiamo trovato addirittura ventidue barelle aggiunte, coi pazienti l'uno accanto all'altro, senza alcuna possibilità di riservatezza. E nella maggior parte dei casi, poi, le persone vengono chiamate ancora per nome» . «Le carenze strutturali risultano accentuate dal fatto che i pronto soccorso diventano spesso luoghi di vera e propria degenza e che spesso i medici sono sotto organico — fa notare Sandro Petrolati, coordinatore nazionale della commissione "emergenza"dell’Anaao-Assomed —. I cittadini non attendono tanto per la visita, quanto per il posto letto che non c'è. Così, il pronto soccorso non è più un luogo "di passaggio", ma un reparto. La riprova? Una volta sarebbe stato impensabile distribuire il vitto alle persone in attesa, ora, invece, succede anche questo: del resto, i pazienti sostano per ore, se non addirittura per giorni» . Altro dato inquietante è la scarsa comunicazione coi malati e con i loro parenti. «Alcuni miglioramenti ci sono stati, ma in un caso su tre abbiamo trovato ancora familiari che non riuscivano ad avere informazioni sullo stato di salute dei loro cari — riferisce Moccia—. E i pazienti in attesa spesso non sanno quante persone hanno davanti, per cui devono chiedere continuamente informazioni al personale, impegnato in altro» . Problemi, infine, anche per gli immigrati che, una volta giunti al pronto soccorso, non riescono a spiegare i loro disturbi: poche le strutture che hanno il mediatore culturale. Maria Giovanna Faiella __________________________________________________________________ Corriere della Sera 5 Giu. ’11 PS: LA GIUNGLA DEI TICKET: SI PAGANO DAI 25 AI 50 EURO Regione che vai, ticket di pronto soccorso che trovi. È la fotografia dell’ultimo rapporto realizzato da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), che ha monitorato la partecipazione dei cittadini ai costi del pronto soccorso. Di norma si paga sui codici bianchi (vedi grafico) non seguiti da ricovero e l’unica Regione a non applicarlo è la Basilicata. Ma sulle cifre poi ci sono differenze. In alcune regioni (Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Trento, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Molise, Sicilia e Sardegna) si l’applica soltanto la quota fissa nazionale di 25 euro, mentre nella Provincia autonoma di Bolzano e in Campania la quota fissa arriva a 50 euro. Ma non è finita qui, perché, sempre sui codici bianchi, in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Calabria e a Bolzano, oltre al pagamento della quota fissa, il cittadino compartecipa alla spesa anche per eventuali prestazioni diagnostiche di laboratorio, o altre terapie erogate in concomitanza con la visita in pronto soccorso. Per questi casi alcune a Bolzano e in Liguria, Toscana, Puglia, Calabria sono previsti massimali del ticket. Infine, Bolzano, Toscana e Sardegna prevedono il pagamento di una quota fissa anche sui codici verdi non seguiti da ricovero. In Emilia Romagna, almeno, l’hanno pensata in modo originale: «Se il paziente è mandato in pronto soccorso dal medico di base— spiega Eugenio Di Ruscio, responsabile dei Servizi ospedalieri della Regione — non paga anche se si tratta di un codice bianco. Questo perché il cittadino ha almeno rispettato il percorso giusto» . R. Cor _____________________________________________________ Avanti 1 Giu. ’11 SANITÀ, IL FUTURO E NELLA RETE Trasferendo la burocrazia e una parte dell'assistenza sul web si abbattono i costi e si aumenta l'efficienza Controllo dei pazienti a distanza, cartelle cliniche on-line, risultati di analisi in rete: le tecnologie hanno completamente trasformato il concetto di cura e assistenza sanitaria. Attualmente in Italia circa il 7 per cento del Pil è assorbito dalla sanità, una percentuale destinata ad aumentare, che rischia di compromettere da un lato le finanze pubbliche, dall'altro, considerata la necessità di ridurre le spese, l'efficienza del nostro sistema sanitario che pur nelle forti differenze regionali viene considerato oggi uno dei migliori al mondo. Una risposta può arrivare da un maggiore sviluppo della "sanità elettronica": di questo si è discusso nel corso del convegno "La sanità del futuro. La sfida dell'e-health", che si è tenuto giovedì 26 maggio a Torino, promosso dai giovani imprenditori dell'Aiop, Associazione italiana ospedalità privata, e realizzato in collaborazione con Uehp - Union Européenne de l'hospitalisation Privée, con l'Osservatorio Ict in sanità" della School of Management del Politecnico di Milano e con il patrocinio del Politecnico di Torino. In Italia gli investimenti in Ict delle strutture sanitarie, pubbliche e private, raggiungono in media 1'1,05 per cento (pari a 920 milioni di euro) della spesa complessiva. Una forte differenza si registra tra il Nord e il Sud: gli investimenti, infatti, sono concentrati per il 79 per cento dei casi tra le strutture del Nord, dove la spesa in Ict è di 21 euro pro capite contro i soli 9 euro per abitante nel Sud e nelle Isole. Anche se destinati ad aumentare nei prossimi tre anni, tali investimenti risultano limitati e la sanità elettronica è una sfida ancora tutta da giocare soprattutto se si tiene conto che laddove è maggiore l'utilizzo degli strumenti di informazione e comunicazione tecnologica in sanità cresce la soddisfazione dei cittadini sulla qualità dei servizi ed è minore la spesa sanitaria pro capite. Ad esempio, in Regioni quali Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - caratterizzate da una bassa spesa pubblica pro capite per la sanità e da un'elevata qualità percepita del servizio sanitario — si registra un livello di investimenti in Ict tra i più elevati. Mentre, dall'altro lato, Regioni come il Lazio e il Molise — contraddistinti da un'alta spesa pubblica pro capite e da un tasso di soddisfazione ai minimi livelli — la spesa per l' e-health è tra le più basse (Fonte: IV Osservatorio Ict in Sanità). La sanità elettronica, secondo l'Aiop, è dunque un settore chiave che può aumentare l'efficacia nella gestione e nell'offerta di sanità, contribuendo alla razionalizzazione delle spese e realizzando il concetto di medicina centrata sul paziente. Nel corso del- l' incontro è intervenuto tra gli altri Martin Curley, direttore di Intel Labs Europe, network di 22 laboratori e con circa 900 ricercatori in Europa e senior principal engineer di Intel Corporation, la più grande multinazionale produttrice di microprocessori. Curley ha offerto un quadro sugli investimenti in tecnologie per la salute in Europa dove ad esempio si distinguono la Gran Bretagna (investimenti pari a 1,48 per cento, la Finlandia, 1,46 per cento, Belgio e Irlanda 1,1 per cento, Francia 0,8 per cento, Germania 0,6 per cento, seguono Italia, Spagna e Austria, con lo 0,4 per cento, il Portogallo, 0,3 per cento e la Grecia 0,2 per cento). Aiop Giovani in particolare Averardo Orta, coordinatore nazionale di Aiop Giovani e Fabio Miraglia, docente di Economia Sanitaria all'Università Mediterranea di Reggio Calabria, hanno presentato la nuova applicazione per i-phone e i-pad, "i-Aiop", il primo passo verso un vero e proprio centro unico di prenotazione interattivo che mette in rete le oltre 500 strutture Aiop. Grazie all'applicazione con funzione gps è possibile individuare la struttura sanitaria più vicina al luogo in cui ci si trova e prenotare una prestazione nel minor tempo possibile. La ricerca potrà essere effettuata specificando un luogo oppure filtrando per tipologia e specialità della visita che si richiede. Le case di cura visualizzate in elenco, su una mappa, con una scheda informativa multipagina possono essere contattate direttamente tramite e- mail o telefono per verificare in tempo reale la disponibilità e i tempi di attesa. Sono inoltre intervenuti Maria Carla Gilardi, direttore dell'Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Cnr ed esperta del ministero della Salute in materia di e-Health e Claudio Vella responsabile scientifico dell'Osservatorio "Ict in Sanità", Politecnico di Milano con approfondimenti sullo stato dell'arte in Italia; Mauro Moruzzi, responsabile di Cup 2000 Spa, Stephen Yeo, Marketing Director Panasonic Europe, che ha illustrato i device medicali a oggi disponibili e i vantaggi per i pazienti e per i costi sanitari; Francesco Nesci di Healthcare Management e Francesco Nicosia dell'Ospedale Galliera di Genova, per approfondire le opportunità dell'e-health per le aziende sanitarie. _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 L'OSPEDALE A PROVA DI ERRORE? UNA QUESTIONE DI SOFTWARE di Elena Correggia Compilare la cartella clinica del paziente, condividere gli esami diagnostici, prenotare visite specialistiche e gestire le liste d'attesa nonché la somministrazione dei farmaci in pochi clic. Grazie ai software sviluppati per le esigenze del settore sanitario, è possibile gestire numerosi processi ospedalieri e ambulatoriali in modo più efficiente, liberando tempo e risorse per migliorare la qualità dei servizi al paziente. «Una delle sfide che un'azienda ospedaliera deve affrontare riguarda la progressiva dematerializzazione di documenti con l'obiettivo di sostituire il supporto cartaceo con quello elettronico in tutti gli ambiti, dai referti alle lettere di dimissione, dalle anamnesi alle prescrizioni fino alle cartelle cliniche», ha spiegato Edgarda Fenga, responsabile del business development per l'area sanità, pubblica amministrazione locale ed education di Ibm Italia, «in questo modo si garantisce una riduzione dei costi connessi alla carta e soprattutto degli errori, favorendo un aggiornamento tempestivo e la condivisione delle informazioni inerenti al paziente fra gli operatori Questo processo, scalabile e quindi realizzabile in maniera graduale, può interessare anche le operazioni amministrative di un ospedale come la gestione degli ordini e del magazzino o i cedolini del personale al fine di incrementare la trasparenza amministrativa e la tracciabilità delle operazioni». La soluzione di Ibm per la gestione dei documenti, FileNet, è in grado di gestire il trattamento informatico della cartella clinica, il cosiddetto fascicolo sanitario elettronico che accompagna il paziente dall'accettazione ospedaliera fino alle dimissioni. Tramite la piattaforma Lotus Ibm è inoltre possibile definire sessioni di web collaboration in modo che due medici operativi in due luoghi diversi, come il professionista che ha eseguito un esame e lo specialista, possano scambiarsi informazioni, immagini e documenti, anche in chat, accelerando l'iter diagnostico. Ibm Maximo è invece la soluzione di asset management per monitorare costantemente gli asset principali di un ospedale, dalle apparecchiature diagnostiche e biomedicali agli strumenti di information technology fino alle attrezzature di base come i letti o le sedie a rotelle. Identificando ogni asset attraverso metodologie informatiche, quali i codici a barre, la soluzione consente di tenere traccia della localizzazione delle diverse apparecchiature. Inoltre, in base al proprio ruolo il personale può accedere a un portale personalizzato e verificare la disponibilità di un determinato apparecchio o strumento. «Si tratta di un vantaggio molto importante in un'organizzazione strutturata e complessa come un ospedale, dove si calcola che vadano smarriti mediamente il 10-20% degli apparati bio- medicali ogni anno», ha concluso Eenga. Nell'ambito dell'informatizzazione sanitaria è stato messo a punto dalla società Onit Group per conto della Regione Veneto un progetto pilota innovativo per la definizione di un software applicativo che gestisce le vaccinazioni obbligatorie e facoltative, consentendo l'accesso e la registrazione da remoto dei singoli eventi anche ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta e al personale di pronto soccorso. Si tratta di un software basato su di un'interfaccia web, a cui tutte le Asl della regione accedono tramite un portale. «Benché la titolarità delle informazioni dell'anagrafe vaccinale di ogni assistito sia riservata all'Asl di competenza, è stato creato un unico archivio a livello regionale che permette di valutare la condizione vaccinale del proprio territorio e verificare se in ciascuna area è stato garantito un adeguato livello di copertura per ogni malattia», ha spiegato Claudio Magnani, responsabile commerciale Onit Group, «alcune Asl come Pieve di Soligo e Bassano del Grappa hanno introdotto gli sms al posto dell'invio di lettere cartacee alla popolazione come promemoria per le vaccinazioni successive alla prima Un sistema che, oltre al risparmio economico, ha ridotto l'assenteismo dei prenotati del 30% circa, migliorato la copertura e la qualità percepita del servizio». Questa applicazione è uno dei moduli integrabili del sistema Erp On.Health, sviluppato da Onit Group per gestire l'intero processo ospedaliero e territoriale (come ambulatori e medici di base). L'azienda ospedaliera di Cesena ha adottato l'infrastruttura software completa per gestire tutta la filiera, dalla prenotazione di esami e visite all'accettazione fino all'erogazione della prestazione. ll medico può inserire nel sistema anche la refertazione finale allegando all'anamnesi esami di laboratorio, radiografie o altri esami diagnostici in formato digitale, tutti integrati quindi in una soluzione unica senza problemi di compatibilità tra file. L'applicazione comprende anche la cassa e la fatturazione, sia per i servizi del Sistema sanitario nazionale sia per quelli erogati in regime di libera professione intra o extramoenia «Questo consente di distinguere, nella ripartizione dei pagamenti, quanto spetta all'ospedale, quanto al medico e quanto alla struttura poliambulatoriale dove è awenuta la prestazione, aumentando l'efficienza della rendicontazione», ha proseguito Magnani. L'investimento iniziale per i moduli, dal Cup alla refertazione, si aggira intorno ai 200-300 mila euro e la riduzione di sprechi e inefficienze è stimata intorno al 30-40%. L'accesso a questi applicativi web-based avviene tramite browser e collegamento alla intranet aziendale, mentre la modalità pay per use consente l'utilizzo delle licenze software per un tempo determinato dietro pagamento di un canone, comprensivo della manutenzione del software accessibile da remoto. L'applicazione web SimplyMobile sviluppata da Var Group ha infine consentito a Croce Italia Marche di migliorare la logistica degli oltre 600 trasporti interni di pazienti effettuati giornalmente presso l'azienda ospedaliera-universitaria di Panna Grazie a un'interfaccia web visualizzata sui pc di reparto, i medici o gli infermieri ordinano i servizi di trasporto indicando i dati del paziente e l'attrezzatura di supporto necessaria La richiesta perviene alla centrale operativa di Croce Italia Marche e un addetto associa la richiesta al personale e ai mezzi disponibili II personale in campo, dotato di palmare, riceve i dettagli dei servizi richiesti e segnala in tempo reale alla centrale l'inizio e la fine del servizio, in modo che anche i medici possano tracciare sulla piattaforma software lo stato di avanzamento del servizio prenotato. Questa riorganizzazione del trasporto interno ha ridotto in pochi mesi del 70% i tempi di attesa del servizio, eliminando i colli di bottiglia che ritardavano in alcuni casi l'attività medica dei reparti. Inoltre, l'azienda ospedaliera ottiene da Croce Italia Marche report informatici dettagliati per valutare il rispetto dei livelli di servizio definiti in sede di appalto e per effettuare analisi contabili più precise. _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 CON MEDIC4ALL SERVIZI MEDICI SEMPRE A DISPOSIZIONE H.24 MedicalConcierge, l'innovativo servizio tecnologico di Medic4all che offre servizi medici interattivi 24 ore su 24: la salute sotto controllo in qualsiasi momento ed in maniera immediata. Migliorare l'efficacia delle cure e della prevenzione con servizi interattivi di monitoraggio dei parametri vitali, controllo medico, video consulti, e servizi di concierge medicale: è la telemedicina, l'innovativa soluzione che associa i moderni sistemi di tele- comunicazione, consente di rilevare e trasmettere informazioni mediche e di fornire servizi sanitari a distanza, così che a spostarsi siano le informazioni e non le persone. I vantaggi sono molteplici: da un lato i pazienti che dovrebbero recarsi in ospedale periodicamente ottengono una sostanziale riduzione della frequenza delle visite di controllo; dall'altro eventuali problematiche vengono rilevate in tempo reale consentendo un intervento tempestivo, con una terapia adeguata e senza dover aspettare la visita ambulatoriale. Grazie ai servizi inclusi nel "Medical-Concierge", sofisticato servizio offerto da Medic4all Group - azienda svizzera leader in Europa nei settori della tele- salute e del tele-benessere - manager e dirigenti che ricoprono posizioni di responsabilità all'interno delle principali aziende e istituzioni italiane, e che spesso a causa dei ritmi serrati di la-voro non hanno tempo da dedicare alle visite mediche, hanno così a disposizione una soluzione che consente di poter contattare un medico tramite un consulto telefonico o video, per qualsiasi tipo di esigenza medica, 24 ore al giorno tutti i giorni dell'anno. Grazie a "Wrist Clinic", uno strumento unico coperto da vari brevetti, i clienti possono monitorare i propri parametri vi-tali e condividere, in tempo reale, i risultati con un medico della centrale di MedicalConcierge che è così in grado di elaborare un'opinione medica completa, sicura e immediata. Il supporto medico viene garantito dai medici della centrale MedicalConcierge che si avvale della collaborazione di professionisti di diverse specialità, abilitati dall'Ordine dei medici italiani e certificati da Medic4all Services International per offrire servizi di telemonitoraggio e audio o video consulto medico. Il servizio comprende inoltre una vasta gamma di servizi di concierge medicale: dalla prenotazione di visite ed esami presso strutture convenzionate e non, alla richiesta di visite ed esami a domicilio, dalla gestione dei check up periodici, alla consulenza medica specialistica per la cura di specifiche patologie. Un supporto attivo 24 ore su 24 anche durante i viaggi all'estero: i clienti di MedicalConcierge possono infatti tra- dune automaticamente le proprie informazioni mediche in 18 lingue, possono conoscere il nome commerciale di un farmaco nel Paese straniero in cui si trovano e, in caso di necessità, è possibile inviare una ricetta medica o una lettera di referto redatte nella lingua del Paese straniero di permanenza. "Il pacchetto MedicalConcierge - spiega Shai Misan, medico chirurgo e amministratore delegato di Medic4all - è stato sviluppato per soddisfare le principali esigenze di supporto nella gestione quotidiana della salute: l'offerta include infatti una vasta gamma di servizi studiati con particolare attenzione alle attività di prevenzione senza tralasciare il supporto alla cura in caso di necessità e quindi la gestione più efficiente delle cure mediche e la possibilità di assicurare livelli più elevati di sicurezza, sempre ed ovunque ci si trovi". _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 IL LIBRETTO SANITARIO RIDUCE SPESE E TEMPI Mentre il progetto del fascicolo elettronico è giunto a un punto di svolta, alcune iniziative territoriali, come quella in Veneto, mostrano i benefici di una gestione informatizzata della storia del paziente SE E- health Grazie alla refertazione online e alla condivisione dei dati clinici diminuiscono i costi per ospedali e cittadini di Cristina Cimato Un investimento ancora limitato, che sta però mostrando già i suoi effetti benefici sulla salute delle strutture ospedaliere. Da un recente incontro organizzato da Aiop Giovani, l'associazione dei giovani imprenditori dell'ospedalità privata, è emerso che il 7% circa del pii è assorbito dalla sanità e che gli investimenti in Ict delle strutture sanitarie nel loro complesso, ossia sia pubbliche sia private, sono pari a circa 11 ,05% (ossia 920 milioni di euro) della spesa complessiva. Nonostante siano destinati ad aumentare nei prossimi anni gli investimenti sono ancora esigui, anche se non mancano diversi progetti che hanno mostrato efficacia nella gestione e nell'offerta di sanità, nonché una razionalizzazione delle spese e un miglioramento del trattamento dei pazienti. In occasione dell'incontro «La sanità del futuro. La sfida dell'e-healtb», Martin Curley, direttore dell'Intel Labs Europe e senior principal engineer di Intel Corporation, ha delineato un quadro degli investimenti in tecnologia per la salute all'interno della Ue. La Gran Bretagna ha destinato l’'1,48% del pii, la Finlandia 1'1,46% mentre l'Italia è dietro a Francia (0,8%) e Germania (0,6%). In Italia attualmente è a un punto di svolta il Fascicolo sanitario elettronico con l'approvazione lo scorso febbraio, durante la Conferenza Stato-Regioni, delle linee guida nazionali proposte dal Ministero della Salute, e il rilascio entro il 2012 per tutti i cittadini italiani su tutto il territorio nazionale. «Il fascicolo sanitario, che ogni italiano porterà con sé come una vera e propria carta di identità sanitaria, consentirà di migliorare l'assistenza», ha commentato il ministro della Salute Ferruccio Fazio, «permetterà di intervenire rapidamente in caso di emergenza e farà risparmiare notevoli risorse al sistema sanitario». Il fascicolo coprirà l'intera vita del paziente e sarà aggiornato da chi prende in cura l'assistito. L'accesso al fascicolo potrà avvenire mediante l'utilizzo della carta d'identità elettronica e della carta nazionale dei servizi. Nelle urgenze rappresenterà inoltre uno strumento utile per condividere le informazioni tra gli operatori. I principali vantaggi della cartella clinica e del libretto elettronico consistono proprio nella condivisione delle informazioni riguardanti il paziente, nonché nella possibilità per quest'ultimo di scaricare direttamente da Internet dati che lo riguardano e avere sottomano in ogni momento elementi utili, anche sotto forma di immagini. Presso la Ulss 9 di Treviso è stato da tempo adottato il libretto sanitario elettronico come ultimo passo di un vasto processo di informatizzazione, incentrato nella digitalizzazione dei referti, che ha permesso una riduzione immediata di organico di 16 persone agli sportelli e un rientro dell'investimento, pari a 650 mila euro, in poco più di un anno. Il progetto Escape, sviluppato in collaborazione con Postesalute (dal 2011 il progetto è gestito interamente dalla Ulss e il servizio sarà gratuito per il cittadino), attualmente è stato esteso a tutte le Ulss venete e laziali e riguarda la smaterializzazione di tutto il processo di gestione dei referti, così da rendere omogenei i modelli organizzativi di tutte le aziende sanitarie della regione. All'interno dell'iniziativa si è inserito il Libretto sanitario elettronico, strumento per i cittadini che possono disporre di un accesso digitale ai propri dati clinici. «La sperimentazione è ancora in atto, terminerà tra un anno ed è stata positiva dal punto di vista organizzativo», ha commentato Gianluigi Scannapieco, direttore del dipartimento di innovazione, sviluppo e programmazione della Ulss 9 di Treviso, «Ci attendevamo un maggior riscontro da parte dei cittadini, visto che solo alcune centinaia hanno attivato il libretto, ma è un servizio che riteniamo valido e che è ancora offerto gratuitamente». «Uno studio dell'università Bocconi di Milano ha stimato in circa 72 milioni di euro il risparmio per i cittadini di una gestione informatizzata di questo tipo», ha commentato Michela Gahrieli di Arsenàl, consorzio delle 23 aziende sanitarie venete dedicato alla ricerca e all'innovazione per la sanità digitale, «il costo è stato calcolato in base ai costi di trasporto e al tempo speso per il ritiro fisico dei referti». Entro un anno si prevede una piena operatività dell'iniziativa Escape. Un altro progetto, denominato Doge, permetterà invece di collegare i medici di medicina generale alle aziende sanitarie della regione _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 IL TABLET IN CORSIA ELIMINA GLI ERRORI DI COMPRENSIONE L'adozione di tablet e dispositivi mobili consente a medici e infermieri di accedere ai sistemi infarinativi in cui sono contenuti i dati clinici sempre aggiornali. E firmati in forma digitale di Diana Bin Addio pagine fuori posto nella cartella clinica e ritardi nella notifica dì una richiesta di prestazione a un degente. L'utilizzo dell'informatica direttamente in corsia è ormai una realtà per diversi ospedali italiani, grazie all'implementazione di un sistema informativo integrato all'interno del quale reparti e laboratorio sono in costante comunicazione, in modo da evitare duplicazioni di esami e ritardi onerosi in termini di sicurezza del malato come di costi. Un notevole supporto al lavoro di medici e operatori, che possono così consultare il quadro clinico del paziente in qualunque momento attraverso dispositivi fissi, portatili e mobili, inclusa la nuova generazione dei tablet «Il processo clinico era il meno informatizzato non solo per la complessità, ma anche perché non vi erano strumenti utilizzabili sul campo», ha spiegato Matteo Tiberi, amministratore delegato di Laserbiomed. Nata come start-up del Politecnico di Milano per iniziativa di un gruppo di ingegneri tra cui lo stesso Tiberi, la software house medicale Laserbiomed (che dal 2009 fa parte del gruppo Lutech) sta lavorando dal 2002 al progetto wHospital per la digitalizzazione della cartella clinica «wi Iospital è una piattaforma web che si propone come strumento di supporto decisionale con tutte le informazioni sulla storia clinica del paziente. Il fine è aumentare la leggibilità delle informazioni ed evitare decisioni sbagliate», ha spiegato Tiberi, «che punta a gestire integralmente il rapporto tra assistito e struttura sanitaria con la raccolta e trascrizione dell'intera documentazione prodotta in una cartella clinica digitale: anamnesi, anagrafica, diario clinico e terapia». Per esempio, se un paziente post-infartuato è stato curato in un ospedale dove è utilizzato wHospital, tutti i suoi dati vengono caricati nel sistema informativo e, una volta dimesso, i parametri rilevati da eventuali controlli successivi condotti da infermieri che si recano a casa del degente andranno anch'essi a confluire nella sua cartella clinica informatizzata. Ma non solo. L'ambiente è progettato come un sistema operativo clinico nella logica del framework, che possa integrarsi in modo naturale con i sistemi informativi ospedalieri. «Non possiamo avere competenze per seguire tutte le discipline», ha osservato Tiberi, «noi creiamo un motore di sviluppo e lo mettiamo in mano ad aziende specializzate che sviluppano applicazioni ad hoc: ormai abbiamo già una decina di partner». Il cliente che avesse esigenze specifiche per coprire un determinato settore di attività può decidere di acquistare l'applicazione che gli interessa sul portale www.whaspitaistoirit. Qualunque applicazione creata in un framework può essere trasferita da una struttura a un'altra: per fare un esempio, Tiberi cita il caso di un'applicazione ambulatoriale per le reti di patologia sviluppata presso l'ospedale San Matteo di Pavia che è stata trasferita anche all'Istituto Europeo di Oncologia di Milano. wHospital è pensato tra l'altro per operare una effettiva sostituibilità della cartella clinica cartacea con quella digitale, applicando a tutti i documenti la firma digitale. «Ogni atto medico e infermieristico che viene riversato sulla cartella clinica è un atto pubblico, e come tale deve prevedere firma digitale e conservazione sostitutiva», ha osservato Tiberi. Un'iniziativa che incontra il favore degli operatori sanitari. «La qualità della cartella clinica informatizzata è migliore dal momento che si rende tracciabile qualunque operazione», ha commentato la dottoressa Tiziana Quirino, primario del reparto malattie infettive dell'Ospedale di Busto Arsizio che segue wHospital fin dalla sua nascita, avendo contribuito a svilupparlo adottandolo già nel 2005 in via sperimentale. Con la cartella digitale medici e infermieri sono infatti guidati in tutte le fasi della cura: «la prescrizione del medico arriva nelle mani dell'infermiera completa di tutti i dati necessari, scritti in maniera leggibile. E l'infermiera trova sulla stessa schermata uno schema che la guida nella somministrazione, dove può spuntare la somministrazione fatta e motivare un'eventuale sospensione. Ci sono una serie di resistenze da parte di medici e infermieri, perché implicano cambiamenti nell'organizzazione del lavoro. Ma la carta è molto meno precisa, non credo che nessuno tornerebbe indietro», ha concluso la dottoressa Quirino, precisando che l'ospedale ha deciso di implementare la cartella clinica inizialmente a tutto il presidio di Busto Arsizio e poi all'intera azienda ospedaliera _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 LA SECOND OPINION? ORA DISPONIBILE IN TEMPO REALE Più medici; anche in strutture diverse, possono refertare le immagini come se si trovassero in ospedale, offrendo consulti specialistici in ogni momento. Anche di notte dalla propria casa di Diana Bin Nel campo della salute è naturale sentire l'esigenza di valutare al meglio la situazione, avvalendosi dell'opinione di diversi specialisti per avere conferma della diagnosi e della terapia da seguire. In un momento delicato come quello in cui si entra in contatto con una struttura ospedaliera è indispensabile per il paziente avere la consapevolezza di essere in mani esperte e di disporre della consulenza dei migliori medici. E nell'era dell'informazione, dove la comunicazione e lo scambio di dati a distanza sono realtà possibili in molti campi, questa esigenza è ancora più lampante. Non a caso la second opinion medica è una delle applicazioni più comuni nell'ambito della telemedicina. In pratica si tratta di fornire un'opinione clinica a distanza grazie al collegamento telematico tra i diversi reparti specialistici, che consente a più medici di visionare in tempo reale gli stessi referti diagnostici producendo di fatto una seconda valutazione clinica su un paziente. Piattaforme tecnologiche adeguate sono essenziali per lo scambio di dati medici in tempo reale e per velocizzare la definizione delle diagnosi, mettendo i medici in condizione di confrontare le proprie opinioni e o chiarire eventuali dubbi. In alcuni casi costituiscono anzi l'unico mezzo per accedere velocemente alla consulenza di esperti o centri di eccellenza, specie in aree remote o poco assistite da strutture sanitarie. Un esempio di second opinion in tempo reale è offerto dalla clinica Humanitas di Rozzano, alle porte di Milano, che ha cablato in fibra ottica tutto il reparto di radiologia. «Il fatto di poter avere una trasmissione delle immagini per via digitale, che prescinde dalla presenza del radiologo davanti al monitor, consente la trasmissione e la valutazione a distanza delle stesse aprendo nuovi scenari, dalla second opinion fino alla refertazione reale a distanza», ha spiegato Luca Balzarini, responsabile dell'Unità Operativa di radiologia diagnostica di Humanitas, precisando che nella clinica tutto il reparto della clinica è filmless, cioè basato sulle solo immagini digitali. Un considerevole aiuto anche nell'organizzazione del lavoro: il cablaggio in fibra ottica «ci ha messo in condizione di affiancare ai medici presenti al pronto soccorso di notte i radiologi che, da casa, refertano davanti a un monitor le immagini provenienti dagli strumenti di diagnostica in maniera identica a quanto farebbero dalle postazioni in ospedale», ha spiegato Balzarini. Ma il principale vantaggio è che, essendo tutti cablati, se c'è un problema di consulto o un dubbio clinico lo stesso può essere affrontato da più contemporaneamente. L'immagine appare infatti sul sistema di archiviazione dell'ospedale e i radiologi vi possono accedere dalla console periferica del sistema direttamente da casa. Lo stesso accesso al sistema di archiviazione è inoltre consentito, naturalmente senza possibilità di repertare se non per i radiologi, anche a tutti i clinici di Humanitas: i medici presenti in sale operatorie, ambulatori e studi medici possono visualizzare le immagini per formulare pareri e valutazioni da tutti i terminali della clinica. Sempre in termini di second opinion, Humanitas mette poi a disposizione dei pazienti un servizio che con-sente loro di accedere, direttamente dal sito web 2.1rww.humanitasit, ai curricula dei medici della clinica in modo da poterli contattare e fissare un appuntamento. L'obiettivo è quello di fornire il quadro completo della situazione clinica mediante la valutazione approfondita di tutta la documentazione di cui il paziente è in possesso. Ma le piattaforme di telemedicina favoriscono anche applicazioni di formazione distanza, nelle quali il medico in remoto può istruire e formare i medici che chiedono una second opinion su un caso clinico attraverso tecniche di e-learning. _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 L’IMAGING SVELA TUTTI I SEGRETI DEL CORPO Philips ha appena presentato una tecnologia che digitalizza in tempo reale il segnale nelle bobine Siemens ha realizzato un macchinario che combina Rm e Pet per acquisizioni ancora più dettagliate dì Giulia Silvestri Strumenti sempre più evoluti e precisi, definizione di immagine in continuo miglioramento, dosi radiogene contenute e dunque esami accurati e meno invasivi. Il corpo umano è sempre meno un segreto e la diagnostica, grazie anche all'imaging, sta evolvendo rapidamente e aprendo la strada a terapie tempestive e sempre più mirate al bersaglio, nonché a esami veloci anche per ampie aree del corpo. L'osservazione dettagliata dell'interno del corpo è il fine della nuova macchina di Philips, Tngenia, un innovativo sistema di risonanza magnetica a banda larga digitale. Con questa soluzione, nuova per la tecnologia della risonanza magnetica, non vi è un'evoluzione in termini di bobina o magnete ma proprio di tecnologia digitale all'interno delle bobine, denominata dStream. La tecnologia permette, una volta che il segnale è stato rilevato, di convertirlo in tempo reale e dunque di migliorare la qualità dell'immagine (tradizionalmente il segnale analogico viene convertito in digitale a distanza dalla sorgente). Philips ha creato un microconvertitore situato all'interno delle bobine e in questo modo ha permesso un aumento del rapporto segnale- rumore fino al 40%. La macchina è stata già installata in tre siti europei, all'università di Utrecht e in quella di Leuven in Belgio e a Nimes in Francia, dove è stato registrato un aumento di produttività fino al 30% (in media gli esami giornalieri in una radiologia specializzata variano da un minimo di 15 a 30). I risvolti qualitativi sono relativi alla niti-dezza delle immagini ma anche alla rapidità (si stima fino al 50% di riduzione nell'acquisizione del segnale, che influisce sul tempo complessivo dell'esame). La macchina ha un costo maggiorato rispetto a strumentazioni di fascia alta pari al 20% circa ed è realizzata con due diverse intensità del campo magnetico, da 1,5 e 3 Tesla, quindi disponibile per un utilizzo clinico e di ricerca. Un'altra soluzione innovativa per quanto riguarda l'acquisizione dei dati è quella di Siemens. Il sistema Biograph mMR è infatti dotato di una tecnologia di acquisizione simultanea dei dati, attualmente in fase di test in ambito clinico. La macchina è equipaggiata con uno scanner per la risonanza magnetica e con un sistema di rilevazione Pet. Questo sistema ibrido a 3 Tesla, installato presso un ospedale che fa parte della Munich technical university, ha permesso di raccogliere dati Rm e Pet simultaneamente con il fine di diagnosticare lo stato iniziale delle patologie. «L'obiettivo è anche quello di seguire l'evoluzione di una malattia e poter utilizzare queste informazioni per sviluppare un ciclo di terapia specifico per il singolo paziente», ha commentato Markus Schwaiger, direttore della clinica di medicina nucleare presso l'ospedale universitario, «abbiamo in progetto di utilizzare il sistema per eseguire follow-up a lungo termine del cancro, riducendo l'esposizione alle radiazioni con l'uso di questa nuova macchina che permette di acquisire al contempo dettagli morfologici e funzionali dei tessuti, nonché il livello di attività e metabolismo cellulare». I primi dati di utilizzo del sistema dimostrano la possibilità di una scansione totale del corpo in 30 minuti, a fronte del doppio del tempo per i due esami separati. Una delle priorità in ambito diagnostico è quella della riduzione dell'invasività dell'esame, un aspetto che acquisisce rilevanza per Io più nelle diagnosi che utilizzano la Tac. Ge Healthcare ha sviluppato ASiR (adaptive statistical iteractive reconstruction), una tecnica sofisticata di ricostruzione delle immagini che permette una riduzione della dose radiogena del 50% nel caso degli esami total-body e dell'83% per quelli cardiaci, pur preservando un'elevata qualità d'immagine. In pratica viene eliminato il cosiddetto «rumore» direttamente sui dati grezzi. Al congresso Rsna 2010 a Chicago è stata introdotta un'evoluzione di questo algoritmo di ricostruzione delle immagini, che ha permesso una riduzione ancora più copiosa della dose a fronte di un'immagine perfino più nitida. _____________________________________________________ Italia Oggi 31 mag. ’11 DIAGNOSI COSTANTE VIA SMARTPHONE La diffusione massiccia degli smartphone in tutti i segmenti di mercato, e in modo particolare di presso gli utenti consumer di ogni fascia di età, sta ponendo le basi per una vera e propria rivoluzione dei servizi più disparati, dai pagamenti elettronici alla fruizione delle notizie, fino al rapporto tra medici e pazienti. Proprio l'informatizzazione della sanità in tutte le sue sfaccettature, dalla cartella clinica elettronica ai sistemi di gestione delle strutture ospedaliere, fino alla nuova frontiera della telemedicina, permette infatti non solo di abbassare i costi di gestione liberando risorse preziose da investire nel miglioramento dei servizi sanitari veri e propri, ma anche di abbattere l'incidenza di errori umani potenzialmente fatali e innalzare al tempo stesso la qualità di vita dei pazienti, in modo particolare quelli affetti da patologie croniche. Una rivoluzione che società di primo piano nel settore della medicina e della farmacologia, come Sanofi-Aventis, hanno subito compreso sviluppando accessori e programmi per smartphone come iPhone e tablet come iPad, che permettono di rilevare facilmente, conservare, elaborare e trasmettere in tempo reale informazioni su parametri vitali come pressione sanguigna e glicemia. Proprio questo genere di informazioni è stato finora gestito dai milioni di persone sofferenti di ipertensione o diabete attraverso misuratori privi di una propria intelligenza, lasciando così al paziente stesso il compito di annotare diligentemente i valori misurati, eseguire spesso manualmente i calcoli per il dosaggio dei medicinali necessari alla cura della patologia e trasmettere poi, a scadenze regolari, i dati raccolti al proprio medico curante. Un processo quindi tutt'altro che ideale per via dei possibili errori nella trascrizione dei dati e nel dosaggio dei farmaci, e soprattutto nell'impossibilità dì informare istantaneamente il medico curante in caso di valori molto al di fuori dei normali parametri, che rendono consigliabile quando non indispensabile una variazione della terapia o, nelle situazioni più gravi, perfino il ricovero immediato per scongiurare l'insorgere di gravi complicazioni. La piattaforma iBGStar messa a punto da SanofiAventis, che vanta 85 anni di esperienza e ricerca nella cura del diabete, permette di eseguire istantaneamente la misurazione della glicemia tramite un piccolo dispositivo collegabile a iPhone e iPod Touch, sfruttando poi la capacità di calcolo dello smartphone di Apple per effettuare le valutazioni sulla dose di insulina da assumere tenendo conto delle esigenze specifiche di ogni singolo paziente, impostate dal medico curante. D piccolo accessorio da collegare a iPhone si abbina infatti a un'applicazione, da scaricare da iTunes sul telefonino, che gestisce tutte le informazioni raccolte e le presenta anche in una forma grafica dì facile lettura all'utente. Inoltre la comunicazione dei dati avviene in forma sicura attraverso un file allegato a un messaggio di posta elettronica al proprio medico curante, che può avere un quadro completo delle condizioni anche grazie all'indicazione da parte del paziente sull'eventuale ingestione di carboidrati. Un'altra patologia tanto diffusa quanto spesso trascurata che può trarre grandi vantaggi da soluzioni di telemedicina è l'ipertensione arteriosa, che ancor più del diabete necessita di un costante monìtoraggio dei valori di massima e di minima nel corso della giornata. Dispositivi come il tensiometro Withings o iHealth sostituiscono gli sfigmomanometri elettronici privi di un sistema intelligente e di connessione a internet con piattaforme capaci non solo di misurare con precisione i dati della pressione sistolica e diastolica e i battiti cardiaci, ma anche di memorizzare queste informazioni in file archiviabili facilmente. In entrambi la misurazione avviene tramite un bracciale collegato a un sistema di misurazione completamente automatizzato, che trasferisce i valori a iPhone, iPod Touch o iPad per la memorizzazione ed elaborazione in forma grafica, che offre già un'indicazione su eventuali scostamenti potenzialmente pericolosi. I file con tutti i dati possono essere inviati al proprio medico in file standard, facilmente leggibili e archiviabili, e nel caso del tensiometro Withings compatibili anche con il formato stabilito dai libretti sanitari virtuali messi a punto da colossi come Microsoft e Google. Il software da installare sui dispositivi mobili Apple, scaricabile gratuitamente da iTunes, facilita inoltre il backup di questi dati sia nel pc del paziente, sia su un sito web in forma criptata a tutela della privacy. di Maria Monni _____________________________________________________ L’Unità 31 mag. ’11 LA CELLULA NON È UNA FABBRICA FORDISTA MA UN LUNA PARK Un nuovo studio Usa sconfessa il «dogma centrale della biologia».. L'Rna non è un semplice «messaggero» degli ordini dati dal Dna Su «Science» una nuova ricerca di un gruppo di scienziati di dell'università di Filadelfia dimostra che nella cellula c'è molto più caos crativo di quanto stabilito dal «dogma centrale della biologia molecolare». PIETRO GRECO GIORNALISTA SCIENTIFICO E SCRITTORE L'Rna non deve fare altro che copiare il codice genetico scritto a chiare lettere nel Dna e portarlo fuori dal nucleo, nei ribosomi, la fabbrica delle proteine, affinché l'ordine del Dna possa essere fedelmente tradotto e gli amminoacidi possano essere assemblati nella giusta sequenza per la produzione delle molecole che servono alla cellula. Questo pretende il «dogma centrale della biologia». E per questo l'Rna viene chiamato «messaggero». Niente affatto, sostengono Vivian Cheung e un gruppo di suoi collaboratori in forza allo Howard Hughes Medical Institute della University of Pennsylvania di Filadelfia. L'Rna non è un mero esecutore di ordini. L'Rna è un autore in proprio. La prova di questa funzione creativa dell'«Rna messaggero» sta — secondo quanto Cheung ha scritto su Science—in 27 sequenze di Dna, Rna messaggero e proteine appartenenti a 27 diverse persone la cui genomica è stata studiata nell'ambito del «1000 Genomes Project» e dell'«International HapMap Project». Il gruppo di Filadelfia ha, in particolare, verificato che ci sono almeno 10.000 siti negli esoni — ovvero nella parte dell'Rna trascritta dal Dna — le cui sequenze non corrispondono. Eppure queste sequenze sono codificanti. Ovvero contengono informazioni utili alla costruzione, nei ribosomi, delle proteine. E questo può voler dire solo una cosa: che nel tragitto dal nucleo ai ribosomi l'Rna può cessare di fare da semplice messaggero degli ordini impartiti dal Dna e si trasforma in editore in proprio. La tesi è avvalorata dal fatto che i cambiamenti nella sequenza nucleotidica dell'Rna non è casuale. I medesimi mutamenti si verificano nell'Rna appartenenti a tutte le 27 persone considerate. Vivian Cheung ha dato un ulteriore colpo al già acciaccato «dogma centrale della biologia». Oggi sappiamo che il rapporto tra gene e proteina non è di 1:1 ma piuttosto di «un gene molte proteine». D'altra parte già sapevamo della «ribellione dell'Rna messaggero», perché sia nei batteri sia nelle piante era stato provata la non perfetta corrispondenza tra le sequenza del Dna e quelle dell'Rna messaggero. La novità rilevata dal gruppo di Vivian Cheung è che negli esoni di ogni persona ci sono almeno 1.065 siti diversi in cui la sequenza dell'Rna non corrisponde a quella del Dna eppure codifica per una proteina. Dunque, concludono i ri-cercatori americani, deve esistere un meccanismo a noi ancora ignoto che consente all'Rna di ordinare la produzione di proteine che non sono codificate nel Dna. L'articolo di Vivian Cheung è dunque un vero e proprio «inno alla diversità». Nella cellule che loro disegnano c'è molto più caos creativo di quanto immaginasse Francis Crick quando, ormai più di mezzo secolo fa, immaginò un flusso rigido e monodirezionale di informazione dal Dna alle proteine ed enunciò il «dogma centrale della biologia molecolare». La cellula immaginata da Francis Crick aveva l'aspetto ri-gido e gerarchizzato di una fabbrica fordista. Quella riproposta da Vivian Cheung ha l'aspetto flessibile, gioioso e democratico di un Luna Park. _____________________________________________________ Il GIornale 31 mag. ’11 I NOSTRI SOGNI? LI DECIDE UNA SCOSSA ELETTRICA Sono le oscillazioni cerebrali durante la fase Rem del sonno a determinare se e cosa si ricorderà al risveglio Il cervello, quando dormiamo, è in grado di «trattenere» lefantasie piacevoli, scartando quelle sgradevoli Enza Cusmai È tutta una questione di elettricità, altro che segni del destino. Quante volte ci alziamo al mattino «storti» per aver fatto un brutto sonno? E quante di buon umore per aver rievocato una vecchia fiamma o una persona cara scomparsa che ci regala dei numeri da giocare al Lotto, non si sa mai? Se la risposta è tante volte, allora avete una modulazione elettrica della corteccia cerebrale molto attiva. Ma se la risposta è che ricordate i sogni poche volte, non demoralizzatevi, rientrate nella norma. Luigi Ferini Strambi, direttore del Centro di medicina del sonno del San Raffaele di Milano spiega che «tra i 50 e i 70 anni si ricordano mediamente 4-5 sogni al mese». E, secondo l'esperto, è meglio così. «A volte è preferibile non ricordarli, perché spesso sono brutti e sarebbero ricordi negativi». Dunque, meglio che alla mente emergano solo sensazioni piacevoli, per cominciare la giornata in modo positivo. Ma attenzione, non c'è nulla di fatalistico nel ricordare quello che la nostra psiche mette a fuoco di notte. I sogni notturni, infatti, si ricordano solo in presenza di precise oscillazioni elettriche del cervello, le stesse che permettono di immagazzinare i ricordi veri. Lo ha scoperto uno studio pubblicato dal Journal of Neuroscience messo a punto dal dipartimento di Psicologia della Sapienza e dell'Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca in collaborazione con i ricercatori delle università dell'Aquila e Bologna. Lo studio ha dimostrato che le persone ricordano il sogno appena prima del risveglio solo se la corteccia cerebrale presenta oscillazioni elettriche lente (onde theta), durante la fase Rem del sonno. Gli esnerti hanno dimostrato che si tratta dello stesso meccanismo che si riscontra anche in stato di veglia per la cosiddetta memoria episodica, fenomeno già noto agli studiosi: «Quando si chiede a una persona di ricordare fatti e situazioni - spiega Luigi De Gennaro, coordinatore della ricerca - la presenza di specifiche oscillazioni elettriche nelle aree frontali rende possibile il ricordo. Se questo non accade, la memoria dell'evento apparentemente sarà perduta per sempre». C'è dell'altro. Il ricordo di un sogno dipende anche dal momento in cui ci si sveglia. «Durante il sonno abbiamo una frequenza di fasi Rem non rem - spiega Ferirli Strambi - La fase Rem è quella collegata all'attività onirica ed è presente soprattutto nella parte finale della notte, quindiverso il mattino». Dunque, se ci svegliamo subito dopo la fase Rem, ci ricordiamo il sogno, se invece prima di svegliarci facciamo 10 minuti di sonno non rem, allora cancelliamo la capacità di ricordare il sogno. E chi si sveglia all'alba o in piena notte è favorito rispetto a chi si alza tardi al mattino. «Questa ricerca - precisa F erini Strambi - dimostra che per ricordare il sogno, al di là della fase in cui ci si risveglia, è importante che nella corteccia cerebrale ci siano delle oscillazioni lente dell'attività elettroencefalografica che trattiene la memoria del sogno». Ma non tutti siamo uguali in fatto di sogni. Le oscillazioni lente cerebrali possono variare come quantità a seconda del soggetto: chi ne ha molte ha più memoria e ricorda più sogni. Anche gli smemorati però sognano tutte le notti e questo meccanismo psicofisico è importantissimo perché, spiega Ferivi Strambi «è una sorta di filtro che pulisce le nostre emozioni». _____________________________________________________ Il Giornale 5 Giu. ’11 THEBERA: STRATEGIA EUROPEA PER LO SVILUPPO DEI TRAPIANTI IN TUTTI I PAESI Ignazio Mormino I trapianti rappresentano, nella storia della Medicina, un importante esempio di crescita (scientifica e culturale) e dimostrano come un problema sanitario possa, se risolto, migliorare la società. Per questo non interessano soltanto i dipartimenti di chirurgia ma gli Stati. Per questo l'Unione Europea - nel 2010 - ha emanato una direttiva sui trapianti che esorta alla collaborazione internazionale per diffondere e migliorare tutti i risultati ottenuti in ambito trapiantologico. Primo obiettivo di questa strategia è il Progetto Thebera presentato nei giorni scorsi a Firenze in apertura del congresso della Società italiana per la sicurezza e la qualità nei trapianti. Il presidente di questa Società, Franco Filipponi - cattedratico di chirurgia generale nell'università di Pisa e direttore del dipartimento di trapiantologia epatica - ha ricordato che i traguardi finora raggiunti ci hanno permesso di superare i livelli di donazioni di altri Paesi, come Germania e Inghilterra. Oggi l'Italia - seconda solo alla Spagna - garantisce a tutti i pazienti grandi risultati in termini qualitativi e quantitativi nei trapianti di organi, tessuti e cellule. Ciò le permette di elaborare programmi di formazione, di ricerca e di innovazione tecnologica capaci di favorire l'avanzata medico-sociale di molti Paesi in via di sviluppo. Thebera vedrà - almeno per due anni - una grande collaborazione tra l'Università di Pisa e il più noto Centro di ricerca egiziano sulle malattie epatiche. Oggi l'Egitto detiene il primato mondiale di diffusione dell'epatite C (nel 13-14 per cento della sua popolazione). Tenendo conto del fatto che in quasi la metà dei casi i trapianti di fegato sono dovuti a questa patologia, si capisce come sia nata la scelta di Pisa, che occupa i primi posti nella scala mondiale della chirurgia epatica. Oggi, in Italia, la possibilità di sopravvivenza dei pazienti trapiantati è molto alta (86 per cento dopo un anno).11merito principale è della ciclosporina, che annulla la possibilità di rigetto, ma anche delle accresciute tecnologie interventisti- che. In questa direzione l'Unità dei trapianti di fegato dell'Università di Pisa e il professor Filipponi che la dirige vantano primati a livello internazionale. I quattrocento specialisti presenti al convegno fiorentino hanno parlato anche della diversa offerta di organi da regione a regione. «Le logiche che sono alla base di ogni donazione - è stato detto -devono essere perfezionate con una stretta colla- b orazione fra le università e il territorio per salvare molte vite». _____________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Giu. ’11 NOI, RIFESSI NELLA MENTE DEGLI ALTRI A 20 ANNI DALLA SCOPERTA DEI NEURONI SPECCHIO Nel 1991 «Nature» lo rifiutò giudicandolo «non di interesse generale» ma quel lavoro rivoluzionò la comprensione dei comportamenti umani di Giacomo Rizzolatti Era l'inverno del 1991 quando mandai una nota a «Nature» nella quale descrivevo le proprietà funzionali di un sorprendente tipo di neuroni che Giuseppe Di Pellegrino, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e io stesso avevamo scoperto nella corteccia premotoria di scimmia. La caratteristica fondamentale di questi neuroni era quella di diventare attivi sia quando la scimmia compiva un determinato atto motorio (ad esempio afferrare un oggetto) sia quando osservava un altro individuo (scimmia o uomo) compiere lo stesso atto. Questi neuroni sono ora noti come neuroni specchio. «Nature» non accettò il nostro lavoro per il suo «lack of general interest» e suggerì la pubblicazione in una rivista specializzata. Così avvenne. La nota venne pubblicata pochi mesi dopo su «Experimental Brain Research» e il lavoro in extenso su «Brain» nel 1996. Nonostante il loro «lack of general interest», i neuroni specchio suscitarono, fino dalla loro prima descrizione, un grande interesse non solo tra i neuroscienziati, ma anche tra persone che lavorano in campi lontani dalle neuroscienze: filosofi, sociologi, etologi, artisti, e perfino gente di teatro. Perché? La ragione è semplice: la scoperta indicava una nuova maniera di capire gli altri. Immaginate la scena seguente. Entrate in un bar. La vostra attenzione si concentra su una persona che afferra un boccale di birra. Voi capite immediatamente che cosa questa persona sta facendo e, a seconda di come afferra il boccale, capite subito quali siano le sue intenzioni: ad esempio capite se vuole bere la birra o se ha preso il boccale per darlo a un amico. Come fate? Una maniera possibile è mediante un processo logico inferenziale. Ragionate su ciò che vedete e infine arrivate a una conclusione. Agite come degli Sherlock Holmes. Un'altra maniera possibile è quella di capire gli altri mettendosi nei loro panni. È ancora un processo cognitivo ma meno astratto. Questi atteggiamenti cognitivi sono certamente importanti in certe situazioni, ma non è quello che facciamo nella vita di tutti i giorni. Quando osserviamo un'azione altrui, questa "intrude" nel nostro sistema motorio, automaticamente, e noi capiamo cosa fa l'altro senza alcuno sforzo cognitivo perché dentro di noi si attiva uno schema motorio simile a quello di chi fa l'azione. I neuroni specchio sono il meccanismo che permette questa comprensione (gli esperimenti che provano che i neuroni specchio permettono la comprensione diretta degli atti altrui sono stati pubblicati e li riassumerò a New York). La scoperta dei neuroni specchio è stata fatta nella scimmia. Successivamente, mediante varie tecniche per lo più non invasive (elettro-encefalografia, tecniche di neuroimmagini, stimolazione magnetica transcranica eccetera) si è visto che le informazioni sensoriali (visive, acustiche o addirittura olfattive) che caratterizzano un'azione, si trasformano nello schema di quell'azione anche nell'uomo. L'uomo possiede quindi il meccanismo specchio. Sia nella scimmia, sia nell'uomo i neuroni specchio sono presenti non solo nelle aree premotorie, ma anche in altre aree tra cui quelle che controllano le emozioni come ad esempio l'insula e il giro del cingolo. Non esiste quindi solo un sistema dei neuroni specchio limitato all'area premotoria e alle aree a questa collegata. Esiste un meccanismo generale di trasformazione sensori-motoria. Quando il meccanismo specchio si attiva nelle aree emozionali, vivremo l'emozione degli altri, mentre quando si attiva in circuiti che controllano le azioni cosiddette "fredde" (non emozionali), capiremo queste azioni e le intenzioni di chi le compie. Il primo e fondamentale motivo dell'esistenza del meccanismo specchio è quindi quello di mettere in contatto il mondo esterno con le nostre esperienze. È un meccanismo che ci permette di capire gli altri clan- interno". Qui bisogna chiarire però un punto che ha spesso generato confusione. Si è spesso detto che l'attivazione dei neuroni specchio permette, quasi per magia, di capire gli altri. Non è così. Non c'è niente di magico nella scarica dei neuroni specchio. Molto più semplicemente quando i neuroni specchio si attivano, determinano l'eccitazione di neuroni in altre aree motorie corticali, inclusi, come recentemente dimostrato da Kraskov e Lemon a Londra, neuroni conico- spinali e neuroni del sistema extra piramidale. Questo complesso schema motorio attivato dall'esterno è simile a quello che si attiva quando volontariamente decidiamo di compiere un'azione. Sappiamo quindi, senza alcun intervento inferenziale cosa l'altro sta facendo e intende fare. La stessa cosa vale per i sistemi emozionali. Un recente lavoro di Caruana e collaboratori ha dimostrato che la stimolazione dell'insula nella scimmia determina, a secondo del luogo di stimolazione, diversi comportamenti emotivi. Caruana e collaboratori hanno quindi iniettato dei traccianti nelle zone stimolate e hanno ricostruito i circuiti anatomici delle varie zone stimolate. Si è visto che ognuno di questi include specifici centri motori e vegetativi. Questi circuiti emozionali sono alla base delle emozioni causate da stimoli naturali (ad esempio, odore sgradevole: disgusto). Quando vediamo il disgusto espresso nella faccia di una persona, grazie ai neuroni specchio, si attivano gli stessi circuiti motori e vegetativi che si attivano in risposta a stimoli naturali e noi abbiamo la stessa emozione che prova l'altro. Recentemente in collaborazione con Guy Orban dell'Università di Lovanio e Giuseppe Luppino del nostro Istituto abbiamo identificato nella scimmia i circuiti che portano alla formazione dei neuroni specchio (si tratta di un esperimento tecnicamente complesso. La descrizione verrà fatta con diapositive a New York). I risultati (fMRI e anatomici) hanno mostrato che il circuito specchio per il movimento della mano consta di due branche: una che parte dal labbro superiore dell'area Sts (un'area visiva di ordine superiore) e fornisce informazioni generali sul movimento osservato, l'altra che parte dal labbro inferiore della stessa area e dà informazioni precise sui rapporti mano-oggetto. Entrambi i circuiti sono a doppio senso. Non vanno, in altre parole, solo dalla periferia visiva verso i centri motori, ma anche dai centri motori verso le aree visive. Questa osservazione ci permette di spiegare un esperimento, appena pubblicato, che abbiamo condotto assieme ai ricercatori dell'Università di Tubinga. Abbiamo esaminato se i neuroni dell'area premotoria di scimmia codificassero solo il fatto che l'individuo osservato compiva un'azione, o distinguessero azioni osservate da diversi punti di vista (visione di lato, visione egocentrica eccetera). I risultati hanno mostrato che un'alta percentuale di neuroni, tutti motori, codificava gli aspetti visivi dell'azione. È stato un risultato inatteso. Bisogna tenere presente, infatti, che i neuroni funzionano come una rivoltella. Quando il grilletto è stato premuto (cioè l'intensità dell'attivazione è sufficiente), la pallottola (l'informazione in uscita dal neurone ossia il potenziale d'azione) parte. Una volta che la pallottola è partita, l'informazione su chi ha premuto il grilletto è persa, così anche nel caso dei potenziali d'azione l'informazione su chi li abbia generati è persa. Allora a cosa serve avere neuroni motori sensibili a un orientamento visivo, specifico? L'ipotesi che abbiamo avanzato è che i neuroni che codificano un determinato orientamento sono legati mediante connessioni "top- down" con neuroni delle aree visive, ad esempio con i neuroni Sts. Quindi quando un neurone specchio "spara" avvengono due processi. Il primo attiva, come discusso sopra, i centri motori e permette la comprensione del significato generale dell'azione; l'alta o mediante connessioni discendenti (top-do wn) determina l'attivazione dei neuroni posti nelle aree visive mettendo in luce i dettagli dell'azione osservata. Il legame ("binding") tra attivazione motoria che ci fa capire il senso generale dell'azione e quella delle aree visive che ci permette di capire i dettagli delle azioni determina la piena percezione degli stimoli Spinti da queste considerazioni, abbiamo esaminato la dinamica delle attivazioni corti nell'uomo durante l'osservazione di azioni, ando la registrazione elettroer cefalogranca &lita densità. Il risultato più importante è stato t,e, dopo un'iniziale attivaisione delle aree visive motorie, ricompare un 'eccitazione delle aret visive. Interferire con questa onda (stimolazine magnetica tra nscranica) compromette l''-curatezza con cui il soggetto riconosce l'aziG, e. Questi dati suggescono che la percezione degli atti motori altro si svolge in tre stadi: 'n'elaborazione prean scia degli stimoli visivi• l'a ttivazione mediane I meccanismo "Inrror" del sistema inli-orio dell'individuo (questo è il momer to h cui il soggetto diventa cosciente di ciò che \re- de); ritorno alle aree visive per acquisire coscienza dei dettagli degli stimoli. È ovvio che questa descrizione di come avviene la percezione degli atti motori altrui ribalta la visione classica della percezione che asse- il, gnava un ruolo predominante alle aree sensoriali e associative, mentre negava ogni importanza nella percezione all'artivazione motoria. È da notare però una somiglianza tra questo modello percettivo e quello di Hochstein e Ahissar, che qualche anno fa proposero una gerarchia "inversa" nella percezione visiva con la percezione globale cosciente che precede quella dei dettagli, nonostante che siano questi, i dettagli che, in forma automatica (non cosciente), permettono la visione globale. Un aspetto importante della scoperta del meccanismo specchio è la dicotomia tra comprensione degli altri dall'interno (una partecipazione empatica con quanto gli altri fanno o provano) e una comprensione oggettiva inferenziale delle intenzioni degli altri. È stata avanzata l'ipotesi che l'incapacità di capire gli altri dall'interno sia un "landmark" di certe malattie e in particolare dell'autismo. Mentre sono convinto 1:he questo concetto sia fondamentalmente giusto, mancano ancora molti elementi, descrittivi delle varie sintomatologie che formano lo spettro autistico e soprattutto concernerti i rapporti causali tra i deficit motori presenti nell'autismo e i sintomi classici dello spettro autistico (deficit della comunicazione, delle interazioni sociali, comportamenti stereotipati) per definire un convincente quadro anatomo- funzionale dell'autismo, inclusivo del deficit del meccanismo specchio. Questa è la sfida che ci aspetta nei prossimi anni. Gli ultimi studi mostrano che area visiva e motoria collaborano nei processi cognitivi dell'empatia __________________________________________________________________ Corriere della Sera 31 Mag. ’11 RICORDO DI FALASCHI: ABBIAMO ANCORA BISOGNO DI SCIENZIATI UMANISTI OMAGGIO. PER IL GENETISTA SCOMPARSO IL 1° GIUGNO DELLO SCORSO ANNO IL SAPERE NON ERA IL «GRIGIO ALBERO» DELL' ERUDIZIONE, MA QUELLO SEMPREVERDE DELLA VITA Ricordo di Arturo Falaschi, uomo delle due culture Era di fraterna umiltà, sia quando teneva lezione, sia nelle sue gite sul Carso triestino S e c' è una persona che ha incarnato l' unità, il dialogo e la compenetrazione delle cosiddette due culture, scientifica e umanistica - sulla cui scissione e reciproca incomunicabilità tanto si è scritto -, questo è Arturo Falaschi, il grande biologo molecolare e genetista morto improvvisamente il primo giugno dello scorso anno. Versatile e appassionatamente curioso di tutto, Falaschi era goethianamente aperto all' universale delle cose e della loro comprensione e allo stesso tempo si dedicava da protagonista - con la specializzazione rigorosa, senza la quale non v' è scienza né conoscenza - alla biologia molecolare e alla genetica, le scienze più rivoluzionarie, più ricche di promesse e più inquietanti della nostra epoca. Come è stato ripetutamente ricordato in occasione della sua morte, Arturo Falaschi, laureato in Medicina e specializzatosi in ricerche nucleari e soprattutto di genetica, ha lavorato, insegnato, svolto e guidato attività di ricerca nei più diversi e prestigiosi istituti del mondo, dall' Università del Wisconsin a quella di Stanford, da quella di Pavia alla Scuola Normale di Pisa; ha diretto scuole di perfezionamento e progetti di ricerca presso le più varie istituzioni internazionali, quali ad esempio l' International Center for Genetic Engineering and Biotechnology con sedi a Trieste e a New Delhi; è stato rettore dell' Ics dell' Unido, membro del consiglio direttivo del Cnr e molte altre cose ancora. Le sue indagini lo hanno condotto a risultati fondamentali, ad esempio sull' uso di polideossinucleotidi sintetizzati chimicamente per la sintesi di Rna in vitro o sulle proprietà degli enzimi della replicazione del Dna nelle spore batteriche, ma Falaschi, pur ovviamente nell' assoluta libertà della ricerca, non ha mai dimenticato che l' uomo, prima di essere oggetto è il soggetto della ricerca e non ha mai perso di vista la sua dignità e il suo bene. Il Centro di Trieste e New Delhi, voluto da 26 Paesi cui più tardi se ne sono aggiunti molti altri, ha perseguito sotto la sua guida studi e sperimentazioni capaci di avere ricadute a beneficio dello sviluppo dei Paesi stessi, come la soluzione di malattie ereditarie e infettive (specialmente Tbc e Aids) o la lotta al cancro. Di particolare effetto benefico per le popolazioni è stata l' identificazione di certi geni che rendono alcune piante capaci di crescere nonostante l' alta concentrazione di sale nel terreno, altrimenti dannosa o letale per la loro crescita. Tutto ciò è stato di grande aiuto per combattere il deficit alimentare di molti Paesi poveri di suolo coltivabile a causa dell' alta salinità. Al ritorno a Trieste dai suoi viaggi in India, dove combatteva questa battaglia scientifica e umanitaria, quelle cose diventavano affascinante racconto nella cerchia di amici e familiari al caffè. Arturo Falaschi è umanista anche nel suo senso forte della dignità e del bene degli uomini cui va indirizzata la ricerca scientifica, pur nella totale autonomia del suo procedere. La sua visione completa della vita si nutriva di un' eccezionale cultura letteraria, storica e filosofica, tanto più profonda quanto più amabile e discreta, mai intellettualistica, bensì fresca come l' acqua, spontaneamente fusa nel suo modo di essere. È in questo che consiste la cultura, nell' organica armonia fra ciò che si sa, ciò in cui si crede e ciò che si è. Fra le persone che ho conosciuto, forse solo Paolo Zellini - matematico, filosofo e scrittore - può competere con la cultura di Falaschi. A parte il suo campo, di letteratura ne sapeva almeno quanto i più ferrati competenti del mestiere, anche ampliando lo sguardo alle letterature lontane nel tempo e nello spazio, come ad esempio le saghe islandesi, che aveva iniziato ad amare in un viaggio fatto da giovane in Islanda, dormendo nelle ospitali e isolate fattorie di quell' ultima Thule. Una sua collaboratrice di Pavia, Alessandra Albertini, ricorda che l' istituto in cui lavoravano si affacciava su un grande giardino in cui c' era una magnolia giapponese dalla splendida ed effimera fioritura, e che un giorno Falaschi, vedendola, si era messo a recitare a memoria una poesia di François Malherbe, poeta rinascimentale francese: «elle a vécu ce que vivent les roses, L' espace d' un matin...». E poi la matematica, la medicina, la politica... Ma non avrebbe mai fatto proprio il monologo di Faust che, all' inizio del poema goethiano, narra la vanità del sapere e il rimpianto per la vita sacrificata al sapere, perché la scienza non era per lui il «grigio albero» dell' erudizione, come depreca Faust, bensì lo stesso albero sempreverde della vita, che egli studiava, ma anche amava e rispettava, con fanciullesca e fraterna capacità di incantarsi per quelle trasformazioni della vita stessa che sapeva indagare così sapientemente, con una semplicità ed un amore per il creato che pervadeva la sua esistenza e da cui nascevano il suo entusiasmo per le cause nobili e la sua aperta concezione politica. Non so dove trovasse il tempo per leggere tanti libri di letteratura e di storia, vista l' intensità della sua ricerca e l' enorme sacrificio di tempo richiesto dall' attività organizzativa e da quel meccanismo dell' istituzione culturale che è probabilmente inevitabile, come la morte, ma che, appunto come la morte, spegne e stritola la vita. In partenza per l' India o di ritorno da chissà dove, era sempre disponibile per le gite sul Carso triestino o la chiacchierata in birreria la sera, prima di cena. Quante volte l' ho perseguitato con le mie domande sulla clonazione, il Dna e tutte le altre nozioni fondamentali su chi siamo e come siamo divenuti quello che siamo, che non osavo nominare senza il suo imprimatur. A lui si devono realizzazioni scientifiche di grande importanza, quali - sono solo alcuni esempi - l' isolamento e la caratterizzazione di un batteriofago, la dimostrazione della replicazione discontinua nel Dna umano, lo studio degli enzimi del Dna in cellule di pazienti affetti da malattie ereditarie e molte altre ancora. In un' intervista, Arturo Falaschi ha rilevato come le biotecnologie siano destinate a modificare la percezione della nostra persona, a rendere possibile la conoscenza delle sequenze del Dna che più influenzano lo sviluppo dell' individuo e a prevedere dall' analisi del genoma di ogni individuo stesso le malattie cui questi è più predisposto, l' attività fisica a lui più congeniale e la sua probabile attesa di vita. Ma all' annuncio di queste «magnifiche sorti e progressive», come dice ironicamente Leopardi, ha subito aggiunto la preoccupazione che ciò possa portare a discriminazioni pesanti (per esempio la privazione di copertura curativa e sanitaria di certi individui da parte delle assicurazioni) e la necessità di regolamentazioni giuridiche che garantiscano al solo individuo la conoscenza dei propri dati biologici. Autore di circa 130 pubblicazioni, Falaschi era umanista anche nei suoi scritti di divulgazione; sotto questo profilo da lui dovrebbero imparare molti scienziati, spesso invece alteramente sprezzanti nelle loro risposte, esatte ma non efficaci, a tante domande e paure, magari ingenue ma inevitabili, che noi ignoranti esprimiamo spesso in modo scorretto, come è diritto della nostra ignoranza, e cui sarebbe doveroso, da parte degli scienziati, rispondere con pacatezza e umiltà, correggendo gli errori senza sarcasmi e senza la sicumera di essere depositari della verità. Ad esempio, di recente, la catastrofe dello tsunami che ha coinvolto il reattore nucleare ha destato comprensibilmente molte paure, che spesso sono state espresse in modo confuso e sbagliato e che, proprio per questo, chi sa ha il dovere di chiarire, spiegare, correggendo errori inevitabili da parte di chi non ha studiato a fondo quei problemi così ardui, e con la disponibilità a correggere pure se stesso, con umiltà. Non l' umiltà untuosa, ma quella robusta e schietta che nasce - come dice l' etimo della parola, humus - dalla vicinanza alla terra di cui siamo tutti egualmente fatti. Quella robusta e fraterna umiltà che aveva Arturo Falaschi, sia quando teneva lezione o seguiva i suoi esperimenti, sia quando nelle gite sul Carso triestino o nel giardino della sua casa in Borgogna, si metteva a spaccare legna o a preparare il fuoco per la cena. RIPRODUZIONE RISERVATA * * * Percorsi La ricerca nei più prestigiosi istituti Arturo Falaschi (Roma 1933 - Montopoli in Val d' Arno 2010), laureato in Medicina e specializzato in ricerche nucleari e genetiche, ha lavorato nei più prestigiosi istituti del mondo, dall' Università del Wisconsin a quella di Stanford, a quella di Pavia alla Scuola Normale di Pisa. Ha diretto scuole di perfezionamento e progetti di ricerca presso varie istituzioni internazionali. Il Centro di ingegneria genetica e biotecnologia di Trieste e New Delhi, voluto da 26 Paesi, ha sviluppato, sotto la sua guida, studi e sperimentazioni utili nella lotta contro malattie ereditarie e infettive, come Tbc e Aids, e contro il cancro. Magris Claudio __________________________________________________________________ Le Scienze 3 Giu. ’11 E.COLI E LA RISCOSSA DEL RAME IN CUCINA Su una superficie di rame asciutta 10 milioni di batteri E. coli vengono eliminati in 10 minuti L'epidemia da E. coli sviluppatasi in Germania ha portato le autorità sanitarie di tutti i paesi a sottolineare come il lavarsi le mani e l'attenersi a una preparazione igienicamente attenta degli alimenti debba rappresentare la prima misura da osservare per evitare il rischio di infezioni da E. coli. Un'altra cosa a cui bisogna fare attenzione è non provocare un trasferimento di batteri da un cibo all'altro, cosa che può succedere se si pone un alimento contaminato su un piano di lavoro e successivamente se ne appoggia un altro senza una adeguata pulizia. A ricordarlo è Bill Keevil, direttore della divisione di microbiologia e dell'Unità di salute ambientale dell'Università di Southampton, che aggiunge un suggerimento. "E' stato appena completato uno studio sull'efficacia del rame contro i nuovi ceppi di E. coli. Anche se non aveva di mira specificamente il ceppo O104, tutti i ceppi studiati sono rapidamente morti sul rame." L'uso di superfici d'appoggio in rame ridurrebbe quindi drasticamente il rischio di contaminazioni incrociate fra alimenti: su una superficie di rame asciutta lo studio ha mostrato che 10 milioni di batteri E. coli vengono eliminati in 10 minuti, mentre se la superficie è umida il tempo è di circa 45 minuti. Questa proprietà è condivisa anche dalle leghe, come il bronzo e l'ottone. __________________________________________________________________ Sanità News 3 Giu. ’11 NUOVE RACCOMANDAZIONI PER L'USO DELLA TOSSINA BOTULINICA La tossina botulinica è una neurotossina la cui azione si esplica a livello della giunzione neuromuscolare: interrompe la comunicazione tra cellula nervosa e cellula muscolare penetrando nella terminazione nervosa e bloccando il rilascio di acetilcolina, interrompendo così la contrazione del muscolo interessato. Otto presidenti di società scientifiche hanno stilato un documento di raccomandazioni per l'uso della tossina botulinica di tipo A che è stato diffuso ai medici che impiegano tale sostanza nella loro pratica clinica. “Il documento esprime e raccoglie alcune riflessioni che in questi anni la comunità scientifica ha ampiamente manifestato e si concretizza nella raccomandazione di eseguire le iniezioni di tossina botulinica sotto la guida di un’elettromiografia”, afferma Antonino Di Pietro, Presidente Fondatore ISPLAD, Società di Dermatologia Plastica e Rigenerativa e direttore di botulinfree.com, il sito che raccoglie le testimonianze di pazienti che hanno avuto eventi avversi da tossina botulinica. A firmarlo sono i vertici delle società scientifiche Agora - Società di Medicina ad Indirizzo Estetico, AIDA - Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali, E.S.P.R.M. - Società italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione, SIDEC - Società Italiana di Dermatologia Estetica e Correttiva, SIME - Società Italiana di Medicina Estetica, SIMFER - Società italiana Medicina Fisica e Riabilitativa, SIN - Società Italiana di Nefrologia, SIRN - Società Italiana di Riabilitazione Neurologica, SOI - Società Oftalmologica Italiana. Il documento inoltre raccomanda la somministrazione del farmaco esclusivamente da parte di medici esperti. Il medico dovrà rilasciare al paziente, per ogni ciclo terapeutico, certificazione del principio attivo impiegato e del quantitativo totale espresso in Unità internazionali. (Sn) __________________________________________________________________ Sanità News 30 Mag. ’11 GLI ENDOCRINOLOGI PROMUOVONO L’USO DEL SALE IODATO Il 55% degli italiani soffre di carenza di iodio, ma, nonostante i benefici del sale iodato nella prevenzione delle malattie della tiroide siano noti, il prodotto vende poco in Italia e si ferma al 44% ben lontano dal 90% richiesto dall'Oms. Le cifre sono state fornite durante la conferenza organizzata a Roma dall'associazione dei malati di tumore della tiroide del Lazio (Atta) in occasione della giornata mondiale dedicata alla prevenzione. In Italia sono 6 milioni le persone colpite da malattie della tiroide, mentre nel mondo sono 200 milioni. In tutta Italia sono 40 gli eventi principali organizzati per l'intera settimana con lo slogan 'Poco sale ma iodato', dalle visite gratuite alla distribuzione del sale iodato nelle piazze. "La carenza di iodio riguarda il 55% della popolazione - ha spiegato la presidente di Atta Lazio Paola Polano - bisogna intervenire sia sulla profilassi che sull'assistenza ai malati, che possono aspettare una visita endocrinologica anche per 6-8 mesi". L'importanza dell'alimentazione nella profilassi e' stata sottolineata anche da Aldo Pinchera, presidente onorario dell'associazione italiana della Tiroide: "Negli altri paesi si stanno usando anche altri alimenti, come il latte iodato o alcune piante, per la profilassi - ha spiegato - da noi il veicolo principale di prevenzione resta il sale, che e' fondamentale soprattutto per le donne in gravidanza e in allattamento, quando la carenza influisce anche sullo sviluppo del bambino". __________________________________________________________________ Le Scienze 31 Mag. ’11 POCO AFFIDABILI I TEST GENETICI 'FAI DA TE' Tendono a dare un'indicazione di rischio di malattia eccessivo e per le patologie multifattoriali non valutano i molti fattori di rischio modificabili I test genetici "fai da te", rivolti direttamente al consumatore, danno risultati poco accurati circa il rischio di malattia e secondo molti genetisti alcuni di essi andrebbero addirittura banditi dal mercato. E' quanto affermato da alcuni ricercatori nel corso del convegno annuale della European Society of Human Genetics sulla base di due distinti studi. In uno studio, diretto da Rachel Kalf dell' Erasmus University Medical Centre a Rotterdam è stata saggiata la reale capacità predittiva di questi test, simulando i dati del genotipo di 100.000 persone e usando le formule e i dati relativi al rischio forniti dalle compagnie produttrici per ottenere i rischi predetti relativi a otto comuni malattie multifattoriali: la degenerazione maculare retinica, la fibrillazione atriale, la celiachia, la malattia di Crohn, l'infarto, il cancro della prostata e il diabete di tipo 1 e 2. La critica si appunta sul fatto che per un ampio gruppo di persone questi test tendono a dare sistematicamente un'indicazione di rischio di malattia più elevato del dovuto, e ben poche informazioni sul collegamento fra informazione genetica e rischio di malattia. Inoltre. "tengono conto solo di fattori genetici nel predire il rischio del consumatore, laddove nelle malattie multifattoriali ci sono molti altri fattori di rischio modificabili, come dieta, ambiente attività fisica, fumo", ha osservato Cecile Janssens, che ha partecipato allo studio. Uno dei test permetteva di prevedere un rischio superiore al 100% per 5 delle 8 malattie: "Già questo dovrebbe bastare a sollevare notevoli dubbi sull'accuratezza delle previsioni, visto che un rischio non può mai superare il 100%. Nel caso della degenerazione maculare un soggetto su 200 del gruppo avrebbe ricevuto una previsione di rischio superiore al 100%, indicando la certezza di sviluppare la malattia", ha stigmatizzato la Kalf. Nel secondo studio Heidi Howard dell'Università di Lovanio, in Belgio, ha invece analizzato l'esperienza di un campione rappresentativo di genetisti clinici di 28 paesi europei. "Le preoccupazioni dei genetisti clinici sono principalmente collegate al fatto che questi test sono solitamente clinicamente poco utili e validi. Inoltre sono per lo più eseguiti senza la consulenza di un genetista. Secondo l'esperienza clinica dei genetisti, i pazienti spesso non sanno interpretare i risultati ottenuti e ne restano confusi", ha osservato la Howard. (gg) __________________________________________________________________ Sanità News 1 Giu. ’11 UN FARMACO AUMENTA LA SOPRAVVIVENZA NEL CARCINOMA PROSTATICO RESISTENTE ALLA CHEMIO Il New England Journal of Medicine ha pubblicato uno studio condotto su pazienti affetti da cancro alla prostata metastatico sottoposti a chemioterapia e trattati successivamente con abiraterone acetato, un inibitore della biosintesi degli androgeni, associato a prednisone; i risultati hanno mostrato un aumento della sopravvivenza complessiva rispetto ai pazienti trattati con placebo e prednisone. Lo studio è stato sviluppato da Ortho Biotech Oncology Research & Development, Unit of Cougar Biotechnology, Inc., società affiliata di Janssen Pharmaceutical. Gli androgeni sono ormoni che favoriscono lo sviluppo e il mantenimento dei caratteri sessuali maschili, ma nel cancro alla prostata possono stimolare la crescita tumorale. Se, infatti, la produzione di androgeni avviene generalmente nei testicoli e nelle ghiandole surrenali, nel carcinoma prostatico, il tessuto tumorale si inserisce come ulteriore fonte di rilascio degli stessi. Abiraterone acetato è un inibitore orale della biosintesi degli androgeni, che agisce attraverso l’inibizione selettiva dell’enzima complesso CYP17, necessario a queste tre fonti di produzione di testosterone. Abiraterone and Increased Survival in Metastatic Prostate Cancer Johann S. de Bono, M.B., Ch.B., Ph.D., Christopher J. Logothetis, M.D., Arturo Molina, M.D., Karim Fizazi, M.D., Ph.D., Scott North, M.D., Luis Chu, M.D., Kim N. Chi, M.D., Robert J. Jones, M.D., Oscar B. Goodman, Jr., M.D., Ph.D., Fred Saad, M.D., John N. Staffurth, M.D., Paul Mainwaring, M.D., M.B., B.S., Stephen Harland, M.D., Thomas W. Flaig, M.D., Thomas E. Hutson, D.O., Pharm.D., Tina Cheng, M.D., Helen Patterson, M.D., John D. Hainsworth, M.D., Charles J. Ryan, M.D., Cora N. Sternberg, M.D., Susan L. Ellard, M.D., Aude Fléchon, M.D., Ph.D., Mansoor Saleh, M.D., Mark Scholz, M.D., Eleni Efstathiou, M.D., Ph.D., Andrea Zivi, M.D., Diletta Bianchini, M.D., Yohann Loriot, M.D., Nicole Chieffo, M.B.A., Thian Kheoh, Ph.D., Christopher M. Haqq, M.D., Ph.D., and Howard I. Scher, M.D. for the COU-AA-301 Investigators N Engl J Med 2011; 364:1995-2005May 26, 2011 BACKGROUND Biosynthesis of extragonadal androgen may contribute to the progression of castration-resistant prostate cancer. We evaluated whether abiraterone acetate, an inhibitor of androgen biosynthesis, prolongs overall survival among patients with metastatic castration-resistant prostate cancer who have received chemotherapy. METHODS We randomly assigned, in a 2:1 ratio, 1195 patients who had previously received docetaxel to receive 5 mg of prednisone twice daily with either 1000 mg of abiraterone acetate (797 patients) or placebo (398 patients). The primary end point was overall survival. The secondary end points included time to prostate-specific antigen (PSA) progression (elevation in the PSA level according to prespecified criteria), progression-free survival according to radiologic findings based on prespecified criteria, and the PSA response rate. RESULTS After a median follow-up of 12.8 months, overall survival was longer in the abiraterone acetate–prednisone group than in the placebo–prednisone group (14.8 months vs. 10.9 months; hazard ratio, 0.65; 95% confidence interval, 0.54 to 0.77; P<0.001). Data were unblinded at the interim analysis, since these results exceeded the preplanned criteria for study termination. All secondary end points, including time to PSA progression (10.2 vs. 6.6 months; P<0.001), progression-free survival (5.6 months vs. 3.6 months; P<0.001), and PSA response rate (29% vs. 6%, P<0.001), favored the treatment group. Mineralocorticoid-related adverse events, including fluid retention, hypertension, and hypokalemia, were more frequently reported in the abiraterone acetate–prednisone group than in the placebo–prednisone group. CONCLUSIONS The inhibition of androgen biosynthesis by abiraterone acetate prolonged overall survival among patients with metastatic castration-resistant prostate cancer who previously received chemotherapy. (Funded by Cougar Biotechnology; COU-AA-301 ClinicalTrials.gov number, NCT00638690.)