RASSEGNA STAMPA 10/04/2011 UNIVERSITÀ MARCO MANCINI ELETTO AL VERTICE DELLA CRUI È MANCINI IL RETTORE D'ITALIA I FILOSOFI DELLE UNIVERSITÀ UNIVERSITÀ DIDATTICA E RICERCA NON PIÙ PROGRAMMATE GELMINI: UNIVERSITÀ, PUNTIAMO SULL'ECCELLENZA» ITALIA, SPRECONA «SCIENTIFICA» FINALMENTE QUALCOSA SI MUOVE SULL'INNOVAZIONE NEGLI ATENEI DOTE DA 34 MILIARDI MORIRE DI UNIVERSITÀ A CATANIA TROPPI ISCRITTI, IL PROF FA LEZIONE SOLO AI VEGETARIANI BUCO NELL'OZONO, RECORD SULL'ARTICO QUANDO LA VELA INCONTRA LA TECNOLOGIA ISTIGÒ ALL'ODIO ANTISEMITA, PROFESSORE CONDANNATO GRECIA, LO SCRITTO PIÙ ANTICO D'EUROPA LA CADUTA DELL'ANTICA ROMA?"TUTTA COLPA DEI GAY" RIVOLUZIONE INTORNO ALLA PARTICELLA DIO FOTOVOLTAICO INCENTIVI NUOVI, MA LA BOLLETTA RESTERÀ CALDA AUTO ELETTRICA? INQUINA PIU’ DEL DISEL I DATI GONFIATI SULLE FORESTE SPARITE ========================================================= E’ SANDRO CATTANI IL MANAGER DELL’AZIENDA MISTA GIUSTIZIA MEDICINA E TUTELA LEGALE, INCARICO PER LUMINOSO TEMUSSI SENZA TITOLI? APERTO UN FASCICOLO PER ABUSO D'UFFICIO SPESA SANITARIA FUORI CONTROLLO LIORI: «C’È UN’INVERSIONE DI TENDENZA» OSPEDALI, 26 MILIONI CONTRO LE LISTE D'ATTESA LIORI: BISOGNA RIVEDERE LA 162 LIORI: BISOGNA RIVEDERE LA 162 HOTEL, AEREI, FAZENDAS E OSPEDALI IL PIANO VENDITE DEL SAN RAFFAELE GLI ULTRASUONI CHE AGGIUSTANO LE OSSA LE DONNE CONSUMANO IL 30% IN PIÙ DI FARMACI STRADE DIVISE TRA SCIENZE MOTORIE E FISIOTERAPIA TUMORI TIROIDEI NUOVE TERAPIE CON I FARMACI «INTELLIGENTI» CATARATTA, CHIRURGIA SENZA BISTURI ALLARME OSPEDALI NEL 2015 MANCHERANNO QUASI OTTOMILA MEDICI IN POCO TEMPO LO SVILUPPO DELLE PLACCHE ATEROSCLEROTICHE LA MEDITAZIONE CONTRO IL DOLORE INDAGATO PER INTERVENTI «INUTILI» I MEDICI NON DEVONO OPERARE I PAZIENTI SENZA SPERANZA QUELL’ALT DEI GIUDICI ALLA CHIRURGIA ESTREMA «SCELTE MOTIVATE NON SI INTERVIENE PER FAR NUMERO» METASTASI IN FUGA PER EVITARE LA CURA SCOPERTO FARMACO CHE LE BLOCCA IL VACCINO CHE PUÒ SALVARE DALL' ALZHEIMER OSPEDALE VIRTUALE», RISCHIO CHIUSURA SOLO IL 59% DELLE DODICENNI HA EFFETTUATO IL VACCINO CONTRO L’HPV ANAAO SUL TEMA DEI CERTIFICATI ONLINE FIMMG: PER NOI VALE ANCORA L'AUTOCERTIFICAZIONE DEI PAZIENTI SE SORRIDI E VIVRAI PIÙ A LUNGO ========================================================= ___________________________________________________ Corriere della Sera 8 Apr. 2011 UNIVERSITÀ MARCO MANCINI ELETTO AL VERTICE DELLA CRUI «Libertà agli atenei di scegliere i docenti» Il neo capo dei rettori: sì alle quote rosa ROMA - «In futuro dovremo consentire alle università di chiamare i professori che vogliono». Senza graduatorie, come negli Stati Uniti? «Così gli atenei farebbero a gara a prendere i docenti migliori, alzando la qualità generale». Marco Mancini, rettore di Viterbo, è stato appena eletto presidente della Crui, la Conferenza dei rettori, con 62 voti contro i 7 dello sfidante. Ed ha già le idee chiare sulle prime mosse. Presidente, quella che lei propone è una rivoluzione. «Sì, ma si può fare. Naturalmente a patto che i professori vengano giudicati sia per la ricerca che per l' insegnamento dall' Anvur, l' agenzia di valutazione nazionale. Così le università che hanno scelto male potrebbero essere sanzionate, ricevendo meno soldi dallo Stato. Sia chiaro, è un percorso che richiede tempo». Cosa farà subito, invece, la nuova Crui? «Proporrò una mozione sulle quote rosa. Sarà l' assemblea dei rettori a decidere come intervenire, ma sono certo che troveremo un accordo». Molti rettori pensano che il vero problema siano i soldi: per il 2012 il taglio è del 15% rispetto al 2008. Cosa farà? «Quel taglio è insostenibile per buona parte degli atenei. Come risposta noi dobbiamo aiutare le università diventando un vero e proprio centro di servizi, promuovere la loro immagine visto che del mondo accademico spesso si parla solo male. E poi avanzare una richiesta, forte e chiara, di nuove risorse». Fino a ieri nella Crui lei era il numero due, segretario generale. Avete fatto abbastanza per evitare i tagli? «Abbiamo fatto tutto il possibile, recuperando una parte delle risorse. Un risultato non sufficiente, ma nemmeno da buttare vista la situazione economica». Il suo sfidante, il rettore Attilio Mastino, è stato più battagliero. Dice che i rettori dovevano scendere in piazza insieme agli studenti e ai ricercatori. «La Crui non è un sindacato ma un' istituzione. Deve esprimere le sue proposte e anche toccare argomenti delicati, ma senza diventare strumento politico di nessuno». Cinque anni fa lei stava per diventare ministro dell' Università. Oliviero Diliberto indicò il suo nome, come tecnico, insieme a quello di Asor Rosa. Avrebbe fatto la stessa riforma della Gelmini? «Per fortuna non se ne fece nulla, un ministro ha molti più problemi di un rettore». E perché non se ne fece nulla? «Equilibri fra i partiti, un problema gigantesco per quel governo». Era comunista, quindi? Ride. «Sono sempre stato amico di Diliberto, anche se da allora abbiamo avuto poche occasioni per vederci». Cosa pensa del ministro Gelmini? «Una persona dotata di grande determinazione, sono certo che ci sarà una buona collaborazione, e i primi segnali mi sembrano ottimi». La stima di Diliberto, la stima della Gelmini: difficile trovare due persone politicamente più lontane. «Forse vuol dire che qualche merito ce l' ho». Lorenzo Salvia Lorenzo __________________________________________ L’Unione Sarda 8 Apr. ‘11 È MANCINI IL RETTORE D'ITALIA «Non vi è alcuna acredine tra me e il neoeletto presidente della Crui, al quale auguro di ottenere importanti risultati nell'interesse collettivo». Lo ha detto il rettore dell'Università di Sassari, Attilio Mastino, candidato che ha ottenuto sette voti per l'elezione del nuovo presidente della Conferenza dei rettori delle università (Crui). L'incarico è andato, con 62 voti, a Marco Mancini, rettore dell'Università della Tuscia di Viterbo, segretario generale uscente. «Ho detto sin dall'inizio - ha precisato Mastino - che non mi sono candidato per battere Marco Mancini ma per affermare che negli atenei ci sono persone che la pensano diversamente da chi ha caldeggiato la riforma Gelmini e non si è opposto con fermezza ai drastici tagli fatti dal Governo al fondo di funzionamento ordinario degli Atenei. Ho voluto rappresentare il malcontento che si respira nel mondo universitario, soprattutto tra gli studenti e le categorie lavorative maggiormente penalizzate dalla legge 240, come i ricercatori e il personale tecnico amministrativo». ______________________________________________________ Il Manifesto 9 apr. ’11 I FILOSOFI DELLE UNIVERSITÀ Paolo Godanl Qualche mese fa c'è stata una fiammata d'opposizione alla cosiddetta riforma dell'università. La piazza del 14 dicembre a Roma è stata una boccata d'ossigeno per molti. Ma nelle aule universitarie si continua a soffocare, e non solo per colpa della riforma. Gli effetti di questo governo sull'università sono ormai ben evidenti: se la Gelmini non' intacca alcuna prerogativa del potere universitario (innanzitutto rispetto ai concorsi, che continuano ad essere gestiti secondo logica feudale), in compenso i tagli stanno sostanzialmente abolendo la ricerca (riducendo all'osso tanto i dottorati quanto gli assegni di ricerca e mantenendo i pochi ricercatori sopravvissuti in uno stato di precarietà permanente). Ma nelle aule universitarie, e in particolare nei dipartimenti di filosofia, l'aria è irrespirabile anche per altre ragioni. Perché, ad esempio, una buona parte dei docenti non hanno ormai alcun interesse per la materia che insegnano. Da tempo immemorabile hanno smesso di nutrire ambizioni scientifiche (o anche solo di studiare), sostituendole con la gestione di una macchina burocratica. Gli studenti che per passione si sono iscritti a filosofia troppo spesso si trovano di fronte docenti divenuti maniaci dei crediti, dediti alla pratica mirabolante di ridurre la Critica della ragion pura in dieci cartelle dieci (per poi, magari, mettere in programma «l'ampia ricognizione» del signorotto della disciplina). Quando Schopenhauer scriveva contro la filosofia accademica, opponeva una concezione della filosofia (la sua) ad un'altra (quella degli idealisti). Oggi, se volessimo rinnovare la sua critica, quasi non sapremmo con chi prendercela. Non solo la filosofia come formulazione di concetti o come analisi delle strutture del reale è bestia rara nelle nostre università, ma persino la ricerca storiografica e l'analisi dei testi sono ridotte ai minimi termini. Sembra che i filosofi dell'università si siano dati il compito di testimoniare ciò che tanti hanno sempre pensato (e che è sempre stato falso), cioè che la filosofia non serve a nulla, perché non c'è differenza tra il discorso critico rigoroso e il blaterare dell'opinione. È probabile che un atteggiamento di questo genere affondi le sue radici nella filosofia stessa e che, per quanto ci riguarda, sia figlio della deriva post-moderna, di ciò che in Italia ha preso il nome di «pensiero debole». La filosofia, in quanto votata all'estremo, in quanto priva di un ambito specifico di oggetti, ovvero in quanto distinta dalla scienza, è costitutivamente segnata dal rischio di non trovare il concetto necessario e dunque dal pericolo di girare a vuoto. Ma ora non si sta parlando di un rischio del mestiere. Qui non c'è alcun mestiere, solo la mollezza complice di chi non ha più nulla da dire, ma pretende di continuare a dirlo come se fosse qualcosa. In un libro benemerito, uscito nel 2001, Maurizio Ferraris criticava l'università ridotta a ikea dalla riforma del ministro Berlinguer. Allora come oggi si tratta di difendere l'università da governi che la considerano utile solo se è al servizio del mercato del lavoro. Ma in questi dieci anni la situazione è drasticamente peggiorata, non solo per colpa dei governi, ma anche perché - come lo stesso Ferraris, in una più recente riedizione del suo testo, non manca di notare - «con la riforma ha trionfato lo scetticismo (e spesso francamente il cinismo) di certi professori nei confronti della cultura e della stessa possibilità e dignità della scienza». Un tempo, sulla scia di una veemente questione spinoziana, Wilhelm Reich si domandava con stupore com'è che i poveri non rubino sempre. Nel nostro piccolo, c'è da chiedersi perché noi, studenti e ricercatori, continuiamo ad accettare che gente senza desideri ci propini la sua lezioncina da oratorio accademico. Se c'è una ragione per cui le lotte recenti di studenti e ricercatori sono state sconfitte, è che hanno cercato un'alleanza tattica con quei docenti che non solo hanno gestito e continueranno a gestire l'applicazione di qualunque riforma il ministero proponga loro, ma hanno ridotto la cultura a un insieme di formulette per deficienti. Non avremo scampo, se non inizieremo a ribellarci contro la minorazione del sapere, a lottare contro la stupidità dei nuovi baroni. Non ci vuole molto, almeno per iniziare. Gabriel Tarde diceva che una rivoluzione comincia quando un sottoposto smette di salutare cordialmente il suo padrone. Potremmo forse cominciare dalle nostre aule, disertando i corsi imbecilli o lasciando solo con i suoi simili il conferenziere saccente invitato per pura regola di vassallaggio. Dopo un po', quando ci si prende gusto, si impara a gridare in faccia a certi professori che se ormai non sanno che farsene della filosofia, devono accomodarsi altrove. ___________________________________________________ Corriere della Sera 4 Apr. 2011 UNIVERSITÀ DIDATTICA E RICERCA NON PIÙ PROGRAMMATE «Con la riforma Gelmini a rischio la preparazione di 7 mila futuri dottori» Il preside di Medicina lancia l' allarme Lo sfogo «La fase politica attraversata è forse la più imbarazzante a cui ho assistito nella mia vita» In gioco c' è il futuro di settemila studenti che aspirano a diventare dottori, 1.500 laureati che vogliono specializzarsi, quasi 400 docenti che lavorano in ospedale: «Con la riforma Gelmini l' insegnamento ai nuovi medici è a rischio caos». È l' allarme del preside di Medicina di Milano, Virgilio Ferruccio Ferrario. Il motivo? «Con la soppressione della facoltà - come conseguenza di un' interpretazione rigida della legge del ministro Mariastella Gelmini - viene meno un' attività di pianificazione e di programmazione delle attività di didattica, ricerca e assistenza fondamentale». Niente più facoltà, largo ai mega dipartimenti destinati a sostituirle. Ma per Virgilio F. Ferrario è un colpo di spugna pericoloso. Le sue preoccupazioni sono contenute nell' intervento fatto il 25 marzo durante una seduta straordinaria del Senato accademico, attualmente uno dei principali organi di governo dell' università con 35 rappresentanti tra presidi, ricercatori e studenti (lo presiede il rettore Enrico Decleva). In discussione ci sono i primi articoli dello Statuto che dovrà dare applicazione concreta alla riforma Gelmini. E per la commissione dei 15 che lo sta stendendo il debutto non è dei migliori: il Senato accademico, infatti, boccia le proposte avanzate. Tutto da rivedere. È in questo contesto che va a inserirsi l' intervento a gamba tesa del preside Ferrario: «La facoltà di Medicina e Chirurgia deve assicurare sia la formazione di base tramite i corsi di laurea sia la formazione specialistica per mezzo delle scuole di specializzazione - scrive Ferrario -. Un rapporto pre e post laurea imprescindibile che determina una formazione lunga 11 anni che non è riscontrabile nel panorama universitario in nessuna altra facoltà. (...) I corsi di laurea magistrale (dislocati nei poli universitari al Policlinico, Sacco, San Paolo e Humanitas, ndr) non devono essere sganciati dalle linee programmatiche unitarie che la vecchia facoltà ha dato». Ma è una battaglia di retroguardia contro la riforma Gelmini che ormai è legge? Un modo per salvare la poltrona? Un attacco contro chi a Medicina sta già muovendo le leve per i posti di potere nei dipartimenti rafforzati dalla nuova legge? Le interpretazioni che si rincorrono sono le più diverse. Una cosa è certa: in discussione c' è l' organizzazione dell' insegnamento nei confronti di chi curerà i malati nel futuro. Sullo sfondo, tutta l' amarezza del preside Ferrario. Uno sfogo messo nero su bianco in una lettera appena inviata ai docenti universitari: «In questa storia della riforma esco di fatto sconfitto: sconfitto forse due volte perché ho sempre ritenuto una riforma dell' università essenziale e mi sono adoperato, come e forse più di altri (...), perché potessimo rendere attuabile e da protagonisti il disegno. (...). Non ho potuto prevedere quel senso di fatalità che ha colpito la classe docente e che ha impedito che si trovassero forme collettive di reazione e di difesa democratica. Ma soprattutto non ho previsto che a un iter legislativo di tale importanza fosse, nella sostanza, inibita ogni forma di confronto e di discussione con le categorie coinvolte e impedita la possibilità tecnica di emendamenti: la fase politica attraversata, forse la più imbarazzante a cui mi è stato dato di assistere nella mia vita, ha reso la auspicata riforma universitaria un campo di battaglia blindato dove si è visto di tutto, e tutto con logiche estranee al problema in sé». Comunque, assicura il preside: «Ma adesso la riforma è una legge dello Stato e io mi adopererò, con la massima onestà intellettuale, alla sua attuazione». Il dibattito è aperto. Simona Ravizza sravizza@corriere.it **** Chi è In carica Virgilio Ferruccio Ferrario, classe 1945, è preside della facoltà di Medicina e Chirurgia dell' Università degli Studi di Milano dal 2005 (nella foto in alto, l' ingresso) Il mandato Il suo mandato scade il 1° ottobre 2011. Ma è possibile una proroga di 6 mesi in attesa dello statuto di attuazione della riforma Gelmini La laurea Ferrario è laureato in Bioingegneria e in Medicina. È specializzato in Idrologia Ravizza Simona ______________________________________________________ Avvenire 9 apr. ’11 GELMINI: UNIVERSITÀ, PUNTIAMO SULL'ECCELLENZA» DA ROMA LUCA MAllA Né il modello centrali- sta francese, dove è lo Stato a scegliere gli atenei sui quali puntare con più decisione, né il sistema anglosassone, strutturato secondo una logica di autonomia e competizione. Per il ministro Mariastella Gelmini la questione della governance dell'università va risolta attraverso «una via italiana che non crei confusione, ma dove l'autonomia degli atenei sia coniugata con la logica della responsabilità, nelle scelte e nella gestione delle risorse». Il convegno «L'Università possibile: esperienze in atto», organizzato dall'associazione Universitas-University e dalla Fondazione per la Sussidiarietà, è l'occasione per discutere delle problematiche che il mondo universitario si tro va a dover affrontare con l'entrata in vigore della legge Gel- mini. Alla presenza dei rettori di alcune tra le più prestigiose università italiane, il ministro ha spiegato come con l'insediamento dell'Anvur (agenzia nazionale per la valutazione dell'università e della ricerca), che avverrà il prossimo 20 aprile, si cercherà di puntare sull'eccellenza, alzando l'asticella della qualità media e superando «il divario tra Nord e Sud». Proprio l'eccellenza infatti, secondo gli esperti, rappresenta l'anello debole della «filiera» normativa universitaria. «I nostri laureati possono competere tranquillamente con i loro colleghi europei perché hanno un'ottima preparazione di base - afferma Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà - ma servono investimenti per migliorare la formazione di alto livello». Anche Luigi Frati, rettore dell'università La Sapienza di Roma, sottolinea come su master e dottorati l'Italia sia rimasta indietro rispetto agli altri Paesi europei. Ad interventi in questa direzione vanno affiancate iniziative per attrarre il maggior numero possibile di studenti dall'estero. «Bisogna istituire dei corsi di lingua - prosegue Vittadini - per consentire agli universitari stranieri di poter scegliere anche l'Italia per formarsi». Occorre insomma incrementare l'internazionalizzazione a tutti i livelli: nella formazione degli studenti e nella carriera dei docenti. Un'università che contribuisca alla crescita del Paese, secondo gli esperti, deve essere d'elite, formare eccellenze, mandare i «cervelli» ad arricchirsi all'estero e poi dare loro l'opportunità di tornare. Per Fabio Beltram, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, per avere centri d'eccellenza universitaria servono «dei criteri di selezione severi e una qualità altissima dell'insegnamento». Secondo Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale, «un'università con la U maiuscola non deve essere sola radicata sul territorio ma deve fornire orientamento e attuare politiche contro gli abbandoni». Gli atenei italiani in queste settimane stanno lavorando per adeguare i propri statuti alle norme previste dalla riforma dell'università. Per Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori, «si tratta di un processo complesso e pieno di ostacoli da superare, soprattutto ai fini dell'organizzazione didattica, perché la sovranità del potere accademico è passata dalla facoltà al dipartimento ______________________________________________________ Avvenire 7 apr. ’11 ITALIA, SPRECONA «SCIENTIFICA» Come fu che - pur essendo all'avanguardia in settori cruciali come l'elettronica, il nucleare e la chimica - abbiamo perso il primato per autolesionismo politico Un saggio di Marco Pivato Grazie a Olivetti avevamo il primo pc da tavolo 16 anni prima di Ibm; ma per la Fiat era «un neo da estirpare»... La ricerca affossata da strani incidenti e faide ideologiche DI ROBERTO I. ZANINI Enrico Mattei, che col «cane a sei zampe» in pochi anni conquista il mondo; Adriano Olivetti, capace di portare l'Italia ai vertici dell'industria elettronica costruendo con 16 anni di anticipo il primo computer da tavolo. Edoardo Amaldi e Felice Ippolito, che ridanno alla fisica italiana il primato nel nucleare. Domenico Marotta, che fa dell'Istituto superiore di sanità un centro d'attrazione per i migliori chimici e biologi del mondo. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta l'Italia giocava un ruolo di primo piano in quelli che sarebbero stati i settori trainanti dello sviluppo mondiale. Un enorme vantaggio scientifico, che però viene disperso in poco tempo, a causa di miopi scontri politici, di strategie internazionali fagocitanti, di feroci campagne mediatiche. A Marco Pivato, giornalista scientifico, va il merito di aver raccolto queste vicende in un libro (Il miracolo scippato, Donzelli, pp. 198, euro 18), «col preciso intento di mettere in guardia dal rischio che si corre non considerando la ricerca scientifica un bene pubblico da valorizzare, perché quanto più ne restiamo fuori tanto più si rimane esclusi dallo sviluppo internazionale». Leggere queste storie in sequenza, constatando che nascono e muoiono in uno strettissimo arco di tempo, fa una certa impressione. Tutto comincia il 2 maggio 1945, quando Wernher von Braun emigra armi e bagagli negli Stati Uniti. E l'uomo che ha consentito alla Germania di caricare 800 chili di esplosivo su un missile, laV2, scagliandoli a velocità impensabile per l'epoca su obiettivi britannici a centinaia di chilometri di distanza. Finisce l'epoca della scienza pionieristica e inizia quella della ricerca su scala industriale, che fa lavorare insieme i migliori cervelli garantendo loro alti investimenti: da von Braun nasce quel progetto Apollo capace di concentrare quantità di risorse fin allora mai viste, che si traducono in guadagni commerciali con ritorni più che triplicati dell'investimento iniziale. E la prova pratica di quanto teorizzato a inizio secolo dall'economista austriaco Joseph Schumpeter, che pone in stretta relazione la capacità di ricerca scientifica con la creazione di ricchezza. Ma anche il frutto di una illuminata relazione del matematico Vannevar Bush, consigliere scientifico della Casa Bianca, che nel 1945 spiega al presidente Truman la necessità che lo Stato divenga committente della ricerca. Bush porta come esempio la produttività del «Progetto Manhattan» per l'energia atomica, alla cui guida c'è Robert Oppenheimer col fondamentale apporto di Enrico Fermi. Ed ecco che entra in ballo l'Italia, con la lunga teoria delle occasioni mancate nel XX secolo, dovute a circostanze storiche, ma soprattutto a una fallace concezione della ricerca scientifica, della quale adesso si continuano a perpetuare gli errori. Dopo aver buttato il vantaggio tecnologico ottenuto negli anni Venti nella scienza aeronautica, l'Italia aveva già pagato a caro prezzo le leggi razziali anche in campo scientifico. Enrico Fermi è infatti costretto a fuggire nel '38: dopo aver ritirato il Nobel emigra negli Usa. Così negli anni Cinquanta Amaldi è costretto a lavorare duramente per il rilancio della fisica nucleare di casa nostra e trova una valida sponda in Felice Ippolito. Grazie a loro l'Italia promuove la fondazione del Cern di Ginevra e nasce il Comitato nazionale per l'energia nucleare (Cnen). Nel '62 con la nazionalizzazione dell'energia elettrica prende vita l'Enel e il Cnen sviluppa tutte le sue potenzialità. In due anni nascono tre centrali nucleari a Latina, Sessa Aurunca e Trino Vercellese. L'Italia diventa il terzo Paese occidentale per produzione di elettricità dal nucleare: il primo è la Gran Bretagna, noi seguiamo di poco gli Usa. I due enti, però, invece di collaborare si contrastano, sobillati da opposte fazioni politiche. L'ambizioso progetto di sviluppo salta quando Ippolito finisce in carcere in seguito a un'inchiesta su banali illeciti amministrativi, nata da una nota dell'agenzia di stampa del Psdi di Saragat. Un mese dopo, sempre nel '64, la stessa sorte capita a Domenico Marotta, chimico e direttore dell'Iss, presso il quale nel '48 aveva creato il «Centro internazionale di chimica e biologia», facendo dell'Italia un Paese leader nella produzione di antibiotici, tanto da suscitare l'attenzione di famosi scienziati: cervelli in arrivo invece che in fuga. Viene a studiare in Italia il Nobel Ernst Boris Chain. Per gli studi compiuti nei laboratori dell'Iss, lo svizzero Daniel Bovet riceve il Nobel per la medicina nel '57. Marotta finisce nella stessa faida politica che ha cancellato Ippolito. La campagna di stampa contro di lui la monta L'Unità, in una sorta di rivalsa ideologica comunista. In appello è assolto (Ippolito viene graziato da Saragat quando diventa capo dello Stato), ma il suo progetto è irrimediabilmente depotenziato. Così come il misterioso incidente all'aereo di Enrico Mattei, il 27 ottobre 1962, aveva tagliato le gambe all'idea di fare dell'Agip una grande e autonoma potenza del petrolio. «Anche Mattei — sottolinea Pivato — ragionava da tecnico e da imprenditore e si opponeva al collo di bottiglia nel quale la politica costringeva l'industria. Non tollerava le regole imposte dalle Sette Sorelle e dalla Guerra Fredda. Aveva collezionato successi portando all'esasperazione una politica di commerci e relazioni internazionali contraria a quelle disposizioni». Il fatto che sui rottami del suo aereo, caduto nel pieno della crisi di Cuba, siano state trovate tracce di esplosivo, se non è una prova certa è quanto meno un chiaro indizio. «In ogni caso, se l'Italia diventa qualche anno dopo il sesto Paese industrializzato il merito è in gran parte di Mattei». E la Olivetti? Alla stregua dei casi precedenti. Con gli americani che non possono permettere che un settore strategico come l'elettronica si sviluppi in un Paese col più forte partito comunista d'Occidente. Fatto sta che nel '60 muore improvvisamente Adriano Olivetti, che ha imposto il suo marchio in 117 Paesi e — primo caso in Italia — per aprirsi il mercato degli Usa ha acquistato il 30% dello storica azienda Underwood. L'anno dopo muore in un incidente Mario Tchou, capo della Divisione elettronica. Qualche tempo prima aveva pubblicamente criticato il governo italiano: «La Olivetti è allo stesso livello qualitativo dei concorrenti, ma gli altri hanno un futuro sicuro essendo aiutati dallo Stato». Orfana dei suoi leader l'azienda entra nell'orbita di un gruppo d'intervento formato da Fiat, Pirelli, Imi e Mediobanca che con la scusa del risanamento finiscono col cedere il settore elettronico (definito dal presidente di Fiat, Valletta, «un neo da estirpare») alla General Electric. Nel '65, ricorda Pivato, l'ultimo colpo di coda: «Alla Fiera dell'Innovazione di New York l'azienda presenta un piccolo calcolatore chiamato P101. I giornali americani parlano del primo computer da tavolo. Sedici anni prima di Ibm e Apple». ADRIANO OLIVETTI Figlio di Camillo, assume dopo la guerra il controllo dell'azienda fondata dal padre e alla sua morte prematura, nel 1960, la lascia leader mondiale dei prodotti per ufficio e dell'elettronica. Studia negli Usa. Il padre lo assume come operaio. Ebreo, nel '49 si converte al cattolicesimo «per la convinzione della sua superiore teologia». Nel '54 fonda un laboratorio di ricerche elettroniche e avvia un progetto che conduce alla realizzazione nel '65 del primo computer da tavolo. ENRICO MATTEI Il suo nome è legato alla rinascita dell'Agip e alla fondazione dell'Eni. Fornisce nuovo impulso alle estrazioni petrolifere nella Pianura Padana iniziando lo sfruttamento sistematico dei giacimenti di metano. Mette in moto una rete di relazioni internazionali che portano in pochi anni l'Agip a installare impianti di estrazione in mezzo mondo, soprattutto in Nord Africa, dove si scontra con interessi inglesi e francesi. Rompe l'oligopolio delle Sette Sorelle. In piena Guerra Fredda, tratta con Urss e Cina. Nel '62 muore per l'esplosione del suo aereo. DOMENICO MAROTTA Docente di Chimica all'Università di Firenze, è considerato il fondatore dell'Istituto superiore di sanità che presiede per 26 anni. Nel '47 lancia il progetto che sconfigge la malaria in Italia. Nel '48 attiva un laboratorio che attira ricercatori da tutto il mondo e infrange il duopolio Gb-Usa nella ricerca sugli antibiotici. Finisce vittima di una faida politica. Arrestato, viene assolto in appello. EDOARDO AMALDI È uno dei «ragazzi di via Panisperna». Riorganizza la fisica in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Contribuisce con Felice Ippolito alla nascita del Cern e del Cnen, ponendo le basi per fare dell'Italia la terza potenza occidentale per energia nucleare installata. Progetto che si ferma con la faida politica che coinvolge Ippolito. ______________________________________________________ MF 5 apr. ’11 FINALMENTE QUALCOSA SI MUOVE SULL'INNOVAZIONE DI RENATO UGO* La recente notizia che il Cipe ha dato via libera a 14 programmi bandiera in altrettanti settori, definiti dopo lunghe e approfondite analisi settoriali nell'ambito del Programma nazionale della ricerca 2011-2013 apre prospettive più rosee in Italia per l'innovazione, sia in ambito pubblico che privato. I settori coinvolti vanno dal nucleare, alle nanotecnologie, dai beni culturali alla genetica. Non si può quindi non essere soddisfatti di avere finalmente circa 1,8 miliardi disponibili per investimenti pubblici in ricerca e innovazione, che supereranno i 2,5 miliardi includendo la partecipazione delle imprese. Senza entrare nel dibattito sulla reale rilevanza per il Paese dei 14 settori prescelti, l' aver definito comunque alcune aree prioritarie è un risultato importante, ai fini della definizione di una base strategica su cui impostare parte della politica italiana in tema di ricerca e innovazione. Occorre ora che al più presto il Consiglio dei ministri confermi queste disponibilità finanziarie. Inoltre è molto importante che il percorso costituito da bandi, valutazioni, assegnazioni e infine erogazioni sia attuato rapidamente da parte degli organi ministeriali. Troppo spesso negli ultimi cinque-sei anni questo percorso è stato lentissimo e ha proceduto a strappi, tanto da rendere obsoleti molti progetti e sempre meno attuali le loro potenziali ricadute, soprattutto per ciò che riguarda la ricerca industriale. Una rapida ed efficiente gestione delle risorse da parte degli organi ministeriali è una conditio sine qua non per il successo di questo importante risultato raggiunto dal ministro Gelmini, che sembrerebbe inoltre anche voler aumentare di 530 milioni il sostegno alla ricerca industriale sui bandi Sud-Nord del Piano operativo nazionale (Pon) 2007-2013. Una bella ulteriore notizia in considerazione dell'enorme successo del precedente bando, che per le limitate risorse non ha potuto sostenere molti progetti validi e interessanti. È necessario però che i tempi di valutazione, selezione e accreditamento siano più rapidi di quelli che hanno caratterizzato recentemente la prima fase del bando Pon. Un insieme di segnali positivi, che hanno ricevuto il plauso del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e di Diana Bracco, delegata per Confindustria alla Ricerca e all'Innovazione, plauso cui si associa Airi. È indubbio che quanto si sta profilando può costituire, se attuato, un inizio di rilancio significativo della ricerca in Italia, sia pubblica sia privata, verso un investimento totale annuo del Paese che arrivi intorno all' 1,5% del pil. Queste nuove risorse finanziarie, e il fatto che siano allocate M settori prioritari, possono essere un punto di partenza per il riordino delle attività di ricerca nelle università e negli enti pubblici, soprattutto se i processi di valutazione e selezione saranno basati su competenza e merito. Inoltre un'ampia partecipazione delle imprese non solo al bando Pon, ma anche ai progetti bandiera, cooperando in sintonia con la ricerca pubblica, potrà costituire il volano non solo finanziario ma anche progettuale per sostenere e rilanciare la competitività tecnologica delle aziende italiane. Airi quindi dà il suo sostegno a questi risultati, volti anche a sviluppare un'attività italiana di ricerca industriale che sia sempre più produttiva di innovazione. In gioco c'è la competitività di quelle aziende che più delle altre credono nell'importanza dello sviluppo tecnologico. * presidente Associazione Italiana per la Ricerca Industriale Saranno disp onibili poco meno di 1. 800 milioni per 14 progetti di ricerca ______________________________________________________ Il Sole24Ore 9 apr. ’11 NEGLI ATENEI DOTE DA 34 MILIARDI Il patrimonio immobiliare delle università è secondo solo ai beni dello Stato Nella mappa degli asset spiccano i centri del Nord con metà del valore Paola Dezza Un patrimonio di 34,4 Miliardi di euro, oltre 14 milioni di metri quadrati, 95 gli atenei proprietari, 1.400 le sedi esaminate, 226 le località interessate. È questa la fotografia del patrimonio immobiliare delle università italiane (riferito ad aule, uffici, laboratori, biblioteche e servizi, quindi immobili a uso strumentale) sul territorio italiano Una mappa stilata sul campo da Scenari immobiliari e Fabrica immobiliare Sgr che hanno censito l'immenso patrimonio nel mattone degli atenei, anche se la proprietà degli immobili è da suddividere tra le università stesse, il Demanio (che concede i beni in uso gratuito e perpetuo), gli enti locali e territoriali e, infine, i privati. Dalla ricerca emerge che il patrimonio è concentrato al nord, dove si trovano 6,55 milioni di mq per un valore di 16,3 miliardi di euro (la Lombardia è la regione con più superficie dedicata alla didattica: 2,6 milioni di mq per un valore di 7,2 miliardi di euro). Una cifra importante, quella relativa al patrimonio in questione, seconda solo al patrimonio nel mattone delle amministrazioni centrali dello Stato (70 miliardi di euro). Basti pensare che le gestione dei fondi immobiliari ammontano a 30,5 miliardi di euro, mentre inferiori sono i patrimoni delle assicurazioni e degli enti previdenziali pubblici (complessivamente 23,2 e 14,8 miliardi di euro). A rendere interessante l'analisi sono gli sviluppi della riforma Gel- mini e i tagli dell'ultima Finanziaria, che di fatto con le loro indicazioni impongono alle università italiane di razionalizzare il patrimonio al fine di risparmiare e mantenere un comportamento virtuoso in vista della maggior trasparenza chiesta in bilancio. Non solo. «La possibilità, introdotta dalla Finanziaria del 2001, di effettuare la trasformazione in fondazioni di diritto privato comporta che agli atenei che abbiano scelto questa strada vengano trasferiti, con decreto dell'Agenzia del demanio, la proprietà degli immobili pubblici già in uso funzionale» commenta Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari. «Gli atenei da sempre hanno patrimoni ingenti, ma non ne hanno conoscenza se non in rarissimi casi - spiega Marco Doglio, consigliere delegato di Fabrica Sgr -. La riforma Gelmini ha indicato lastra- da, ma al momento mancano direttive di pianificazione in un'ottica dí trasparenza. Chi va a censire il patrimonio immenso delle università? Dovrebbe essere un direttore amministrativo avulso dalla politica». Inerzia e interessi locali spesso sono alla base di una cattiva amministrazione o di vendite poco trasparenti. «La riforma ha indicato la divisione di competenze tra rettore e direttore amministrativo, ora sono necessarie direttive sulla strada da intraprendere» termina Doglio. «La necessità di risparmiare sta spingendo le università a tagliare spazi in locazione e allo stesso tempo alcuni atenei, per sanare i bilanci, scelgono di dismettere sul mercato privato, direttamente o attraverso fondi comuni d'investimento immobiliare, parte di questo patrimonio, consistente anche in beni storici e di pregio» spiega la ricerca. In tempi brevi le università si trasformeranno da soggetti proprietari a venditori o sviluppatori. Una delle strade percorribili sarà per gli atenei scegliere partner (come i fondi immobiliari) in grado di acquisire parte del patrimonio per riconcederlo in uso alle università a canoni di livello "etico". Tra quelle che da alcuni anni stanno percorrendo la strada delle dismissioni c'è l'università di Pisa. «Dal 2006 abbiamo avviato un programma di valorizzazione delle risorse immobiliari - dicono dall'ateneo -.Dalzoo7 a oggi abbiamo concluso vendite per 1,74 miliardi di euro e al momento stiamo per porre in asta alcuni poderi ancora di proprietà» concludono. Molte università hanno investito in sedi recenti, è il caso della Bocconi e del Politecnico di Milano alla Bovisa, insieme a Ca' Foscari tra gli esempi più virtuosi. Altre hanno ristrutturato immobili storici che utilizzano come sedi, come Torino e Venezia. Questa domanda di spazi sia per la didattica che per i servizi, ha risposto finora alla crescita degli iscritti, che tra il 1990 e il 2010 sono aumentati di oltre il 3o per cento. ______________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 7 apr. ’11 MORIRE DI UNIVERSITÀ A CATANIA Chiuse le indagini sui trenta morti del laboratorio "tossico" di Farmacia Tra gli indagati figura l'ex rettore Ferdinando Latteri, oggi deputato nell'Mpa di Giuseppe Giustolisi In quel laboratorio c'erano odori sgradevoli, tossici e molto fastidiosi". Così scrisse Emanuele Patanè, giovane ricercatore della Facoltà di Farmacia di Catania, in un file memoriale ritrovato nel suo pc, salvato poco prima che morisse per cancro al polmone. Sono trascorsi otto anni dalla morte di Emanuele Patanè, una delle decine di potenziali vittime del laboratorio di Farmacia, finito nel mirino della Procura etnea. Alcuni giorni fa il sostituto procuratore della Repubblica di Catania Lucio Setola ha chiuso l'indagine per disastro colposo che coinvolge una decina di indagati, fra cui spicca il nome dell'ex Rettore dell'Università e attuale deputato Mpa Ferdinando Latteri. Al centro dell'inchiesta il sottosuolo del laboratorio dal quale provenivano quei miasmi maleodoranti di cui scriveva il giovane Patanè. Sotto accusa per discarica abusiva e disastro colposo sono finiti oltre a Latteri, l'ex direttore amministrativo dell'Università Nino Domina e il presidente e i componenti della commissione sicurezza. Secondo la Procura sarebbero state violate le norme contro gli infortuni e quelle a tutela dell'ambiente. Scrive il pm a proposito dell'ipotesi di reato di disastro colposo: "Gli indagati, pur essendo consapevoli della situazione di contaminazione del sottosuolo dei laboratori del dipartimento di Scienze farmaceutiche, pur sapendo che tale situazione era collegata allo scorretto svernamento dei reflui delle attività di laboratorio e del possibile collegamento tra tale situazione e i malesseri patiti dal personale in servizio, omettevano di attivare le competenti autorità al fine di prendere i provvedimenti dovuti". SECONDO IL PM quei laboratori andavano chiusi subito e non ci sono dubbi sulla natura di quel cattivo odore che si sprigionava dal sottosuolo. È per questo motivo che il pm procede anche per falso ideologico nei confronti dell'ex direttore amministrativo, del Rettore del tempo Latteri e del dirigente dell'ufficio Lucio Mannino Quest'ultimo scrisse in una relazione che quel cattivo odore era solo un problema di umidità. "Latteri e Domina, presenti alla lettura della relazione - sostiene il pm Setola - pur essendo consapevoli della falsità di quanto indicato nella stessa non ne contestavano il contenuto e anzi la approvavano". In quel laboratorio Emanuele Patanè ci passava almeno 8 ore al giorno e nel suo memoriale descrive condizioni di lavoro da incubo: "Le reazioni dove venivano utilizzati reattivi molto nocivi venivano eseguite sui banconi e quindi fuori dalle cappe di aspirazione". Secondo il giovane dottorando non c'erano i minimi requisiti di sicurezza per lavorare in quell'ambiente. Addirittura in un frigorifero gli ispettori avevano trovato sostanze altamente radioattive. Rimosse qualche mese dopo la diagnosi di tumore che poi condannò a morte Patanè. Nell'incidente probatorio disposto dal Gip Antonino Fallo- ne è stata depositata la perizia effettuata nell'edificio di Farmacia da tre professionisti torinesi che in via preliminare hanno accertato una circostanza singolare: lo stato dei luoghi e in particolare dei si-stemi di scarico era mutato rispetto a quello esistente al momento in cui si sono verificati i fatti incriminati Andando alle conclusioni della perizia, i tre professionisti sostengono che non è stato valutato bene il rischio chimico previsto dalle norme sulla sicurezza. Per i tecnici dell'Università si trattava di un rischio moderato. NON SONO d'accordo i periti, i quali giungono alla conclusione opposta, sia per la presenza di numerose sostanze chimiche ad elevata tossicità, sia per le numerose segnalazioni di alcuni docenti sul cattivo funzionamento del sistema di aspirazione dei locali. Emblematico l'auspicio dei periti a proposito della ripresa dell'attività: "L'utilizzo dei laboratori venga attuato mantenendo in esercizio il nuovo impianto di ventilazione". Potrebbero essere molto più di trenta i casi di morte sospetta legati al laboratorio di Farmacia di Catania e, in generale, i numeri ufficiali delle persone che si sono ammalate per aver frequentato quel posto potrebbero aumentare se altri studenti colpiti da tumore denunciassero il loro caso, superando la paura di subire conseguenze negative sul completamento dei propri studi. È ciò che spera l'avvocato Santi Terranova, difensore della famiglia di Emanuele Patanè e di altre persone che hanno lavorato in quel laboratorio, che ag-giunge: "Sono trenta i casi di morte sospetta ma il numero potrebbe essere riduttivo. Per quel che riguarda le patologie in atto ci sono molti casi di donne con tumore alla tiroide e di uomini con tumore ai testicoli. Tra le persone colpite che sono in vita, c'è un soggetto che ha fatto il ricercatore nel periodo cruciale e ha contratto la leucemia a cellule capellute, causata dal benzene presente in quei locali". In un procedimento parallelo la Procura di Catania ha aperto un'inchiesta anche per strage colposa. Saranno acquisiti i vetrini delle vittime per trovarvi tracce di materiale radioattivo e potere stabilire il nesso di causalità tra quei decessi e il laboratorio dei veleni. ___________________________________________________ Corriere della Sera 7 Apr. 2011 TROPPI ISCRITTI, IL PROF FA LEZIONE SOLO AI VEGETARIANI FIRENZE. L' INSOLITA SELEZIONE AL SEMINARIO DI FILOSOFIA DEL DIRITTO. «COSÌ SCOPRO I PIÙ MOTIVATI» Quattro giorni Il corso di Lombardi Vallauri è a numero chiuso e si tiene nel Cadore FIRENZE - Al seminario di Filosofia del diritto, quattro giorni intensivi nella casa per ferie Villa Gregoriana di San Marco di Cadore (150 euro a testa) luogo sotto le Dolomiti, quest' anno si sono iscritti 245 studenti. Numero insostenibile da gestire anche per un professore di valore quale è Luigi Lombardi Vallauri, 75 anni, ordinario alla facoltà di Giurisprudenza dell' Università di Firenze, vegetariano. Così il prof ha deciso di mettere qualche «valutazione motivazionale» per sfoltire un po' l' esercito dei seminaristi. E ha scelto il metodo più atipico per limitare gli accessi: trasformarsi in vegetariani anche se solo nei quattro giorni di lezioni. L' idea è stata discussa democraticamente con gli studenti. «Che l' hanno accettata e condivisa - spiega Lombardi Vallauri -. Non è una limitazione alla loro libertà ma solo un modo di valutare un accesso a un seminario non obbligatorio partendo dalle motivazioni. Un piccolo sacrificio che dimostra la voglia e la volontà di partecipare al seminario. Se saranno tutti a favore, sfoltiremo il gruppo partendo dalla data di iscrizione». La notizia, anticipata ieri dal Corriere Fiorentino, ha creato un dibattito anche all' interno dell' ateneo fiorentino. «Il seminario è proposto come attività facoltativa - ha precisato ieri in una nota il preside della facoltà Paolo Cappellini - e non è quindi collegato a un obbligo specifico per chi segue il corso di Filosofia del diritto». E gli studenti come la pensano? Riccardo Betti, laureando: «È una decisione intelligente, democratica ed ha una valenza pedagogica. Bravo professore». Altri ragazzi preferiscono non parlare, la sensazione e che la maggioranza sia con il docente. Luigi Lombardi Vallauri nel 1997 è stato al centro di un caso accademico che ha avuto un' eco alla Corte di Strasburgo. «Fui espulso dall' università Cattolica perché avevo sostenuto l' anticostituzionalità della pena infernale e del peccato originale e messo in dubbio il dogma inferno. La Corte di Strasburgo mi ha dato ragione per lesioni dei diritti fondamentali». Marco Gasperetti Gasperetti Marco ______________________________________________________ La repubblica 6 apr. ’11 BUCO NELL'OZONO, RECORD SULL'ARTICO lo scudo anti-Uva mai così sottile ANTONIO CIANCIULLO ROMA —A21 anni dall'accordo di Londra contro l'overdose di raggi ultravioletti, la rarefazione della fascia di ozono è tornata a raggiungere il picco sul Polo Nord. Secondo i dati dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm), lo scudo che a 25 chilometri di altezza ci protegge dall'eccesso di radiazione solare è diminuito del 40 per cento: un fenomeno che è andato al di là della fluttuazione naturale arrivando a toccare i livelli record del 1997. E rischiando di moltiplicare i casi di cancro alla pelle, cataratta e danni agli eco sistemi marini in una zona che comprende l'Alaska, la Siberia e l'alta Scandinavia. Sempre colpa dei cfc, i clorofluorocarburi utilizzati per decenni p er far funzionare i frigoriferi, le bombolette spray e i sistemi di pulizia dei computer? Sono state concesse troppo proroghe al divieto di uso? «E' stato un pro - cesso di dismissione graduale perché si è tenuto conto delle difficoltà dei paesi in via di sviluppo, ma dal protocollo del 1997, che ha perfezionato l'accordo, il p assaggio ai sostituti dei cfc è stato massiccio», risponde Guido Visconti, docente di fisica dell'atmosfera a l'Aquila.«Il problema è che quando si parla del governo di sistemi complessi come l'atmosfera non si può pensare di seminari sconquassi per decenni e poi risolvere tutto con un colpo di bacchetta magica. Le molecole di cfc restano in atmosfera a lungo e per tornare ai li-velli pre industriali di ozono bisognerà aspettare il 2050». Dunque il processo di guarigione dell'atmosfera, almeno sotto questo profilo, è in corso. Perché allora il riacutizzarsi improvviso della malattia? Colpa, rispondono all'Omm, di una serie di circostanze meteorologiche, di venti insolitamente forti, il vortice polare, che «hanno isolato la massa stratosferica sul polo Nord impedendole di mischiarsi con l'aria delle medie latitudini e generando temperature molto basse». Creando cioè le condizioni che favoriscono la distruzione delle molecole di ozono. Ma c'è anche un altro fattore che contribuisce a rallentare il risanamento del mantello di ozono che protegge la vita sulla Terra: il riscaldamento climatico. «Una delle conseguenze dell'aumento di emissioni di anidride carbonica», continua Visconti, «è che nella parte bassa dell'atmosfera il calore viene intrappolato, mentre in quella più alta, nella stratosfera, la CO2 favorisce la dispersione della radiazione infra rossa facendo diminuire la temperatura e contribuendo alla dissoluzione dell'ozono». Al di là delle fluttuazioni determinate dal meteo, il processo che ci restituirà la piena funzionalità del filtro naturale anti ultravioletti è dunque ormai avvia-to. Ma per goderne pienamente gli effetti bisognerà aspettare ancora a lungo. Ed evitare di fare passi indietro continuando ad alterare coni gas serrala composizione dell'atmosfera. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 apr. ’11 QUANDO LA VELA INCONTRA LA TECNOLOGIA Giorgia Gessner Anche nella vela, come in molti sport, per esempio la formula uno, il motociclismo, il ciclismo, i progressi fatti per rendere più veloci e sicuri i mezzi da competizione finiscono poi per ricadere, almeno in parte, sulla produzione di serie. Cosa hanno in comune un maxi racer e un tranquillo cabinato da crociera di medie dimensioni? La risposta ci viene da una regata molto particolare, la Rolex Swan Cup, svoltasi nel settembre 2010 a Porto Cervo, dove trai 92 concorrenti c'erano vecchi scafi a vela degli anni7o e modernissimi racer varati quest'anno. Naturalmente, correvano in classi separate, ma questo è un altro discorso. Eppure, molte delle innovazioni applicate nel tempo sugli scafi da regata le ritroviamo sui modelli da crociera. Primi fra tutti i nuovi materiali hightech perla costruzione degli scafi, nomex e altri tipi dipannelli a nido d'ape (per le strutture a sandwich), fibre di carbonio (per tessuti unidirezionali ad alta resistenza), pre-preg (tessuti di fibra di vetro o carbonio preimpregnati con resina), sperimentati in condizioni estreme che ora vengono impiegati anche per le produzioni in serie, naturalmente con maggiore parsimonia, dato il loro costo. I nuovi materialihanno inoltre consentito di migliorare, a parità di peso, l'isolamento termico e acustico, quindi il comfort a bordo. Alberi e boma di carbonio non sono più solo appannaggio dei racer, così come il sartiame in tessile Pbo in sostituzione dell'acciaio, con risparmi dipeso notevoli. Le carene e le appendici sono più efficienti, grazie ai programmi Cfd (Computational Fluid Dynamics) che consentono di provare e riprovare forme e modelli al computer, fino a trovare quelli ottimali. Per esempio la nuova tendenza alle fiancate e prue verticali e alle poppe larghe derivano dagli scafi progettati per i grandi oceani, come la Volvo Ocean Race, la Vendée Globe e la Route du Rhum. Lo stesso dicasi per il ritorno all'uso del bompresso per ampliare la superficie velica, spesso associato crolla-vele che permettono di portare, oltre a fiocchi e genoa, anche grandi vele di prua (gennaker, code zero) senza bisogno di un equipaggio particolarmente numeroso o esperto. Molte di queste innovazioni derivano, infatti, dallo sviluppo di attrezzature per imbarcazioni destinate alle regate in solitario. Un contributo notevolissimo alla sicurezza della navigazione lo hanno dato le apparecchiature elettroniche, che si evolvono con impressionante rapidità e che consentono di orientarsi senza tema di sbagliare la rotta e di tenere sempre sott'occhio tutte le funzioni della barca. In quanto alle vele sono stati fatti progressi enormi prima con il kevlar e il mylar poi con i tessuti tridimensionali brevettati dalla North. E vero che ben poche barche da crociera oggi le adottano a causa del loro prezzo ma è solo questione di tempo. Perché un vero velista, qualunque siano i suoi programmi, ama andare veloce. Spesso, inoltre, la velocità a vela e il migliore rendimento dell'imbarcazione rappresentano anche sicurezza, permettendo di affrontare meglio condizioni difficili di mare e di vento e di raggiungere più in fretta un riparo. Ci diceva German Frers, l'architetto argentino che dal 1980 progetta tutti gli scafi del cantiere italo-finlandese Nautor's Swan, che grazie ai progressi degli ultimi anni, un 6o piedi di oggi raggiunge le stesse velocità di un leo piedi di ieri. Vi sono invece altre tecnologie, apparse sui racer più sofisticati che non hanno ancora riscontro nella crociera, come le chiglie basculanti o i water ballast anche se alcuni tentativi in questa direzione si cominciano già a vedere. Le coperte sgombre, sulle quali non si inciampa più, sono un'altra conquista derivata dagli scafi da regata. Maforse, dalpunto di vista del crocierista, i progressi più evidenti sono quelli degli interni: non più quadrati affossati e scuri, cabine striminzite e cucine dove è difficile cucinare qualcosa che non sia un piatto di spaghetti o di patate bollite. Gli interni della nuova generazione di imbarcazioni sono più ampi, chiari e luminosi e, grazie sempre ai nuovi materiali, gli arredi sono più raffinati senza aumentare i pesi: il minimalismo imposto dalla regata è diventato una moda anche per la crociera. C'è forse una sola cosa che è stata travasata dalla crociera ai modelli più veloci: la domotica. Impianti leggeri ed efficienti consentono di intrattenere gli ospiti di bordo con musica e immagini televisive e facilitano tutte le operazioni comuni su di un'imbarcazione usata per la crociera, come alzare o abbassare le tende, aprire e chiudere i lucernari, abbassare la passerella e così via. Ma naturalmente sui veri racer tutto questo è ridotto al minimo, con la sola eccezione di quelli per le prove oceaniche. La prossima Coppa America propone un filone di ricerca molto interessante, foriero di sviluppi impensabili, perché, riconoscendo che Oracle ha rappresentato un passo gigantesco nella evoluzione della vela, prevedono l'utilizzo di un catamarano da 72 piedi munito di un'ala rigida progettata da ingegneri aeronautici e alta fino a 40 metri. __________________________________________ L’Unione Sarda 8 Apr. ‘11 ISTIGÒ ALL'ODIO ANTISEMITA, PROFESSORE CONDANNATO APPELLO. Melis, ex docente universitario, dovrà risarcire le comunità ebraiche Anche di fronte ai giudici dell'appello il professor Pietro Melis, 70 anni, ex docente all'Università cagliaritana, ha ribadito la sua bislacca tesi, che lui è intimamente convinto abbia dignità di pensiero filosofico. «La mia è una battaglia in favore degli animali e del loro diritto naturale - ha spiegato ai giudici -, per questo, nel saggio in questione, ho sostenuto, ma solo per paradosso, che se si accetta la macellazione per dissanguamento messa in pratica da ebrei e musulmani allora tutti i crimini sono ammessi, compreso lo sterminio degli ebrei nelle camere a gas». Tutto inutile: la corte presieduta da Grazia Corradini ha confermato la condanna al pagamento di una multa da 4000 euro per istigazione all'odio razziale che gli era stata inflitta nel 2008. Anche perché, nella sua arringa personale di ieri, il professor Melis si è dimenticato di aggiungere che nel gennaio 2005, quando spedì la sua fatica - dal pomposo titolo “Scontro fra culture e metacultura scientifica: l'Occidente e il diritto naturale” - al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, aggiunse pure un'affettuosa dedica: «Il mio saggio sia come un marchio indelebile sulla vostra pelle. Sulla base del diritto naturale, non dovrebbe essere un reato giustiziare un ebreo credente o un islamico, per voi dovrebbero essere usate ancora le camere a gas». A ricordarglielo ieri ci ha allora pensato il Procuratore generale: «La difesa dei diritti degli animali è una battaglia sacrosanta, ma evocare in suo nome e in quei termini lo sterminio degli ebrei è intollerabile, oltreché un reato». Va da sé che i suoi avvocati Roberto Sorcinelli e Emanuele Pizzoccheri hanno invece puntato tutto sulla libertà di manifestazione del pensiero, «che, condivisibile o no, è cosa diversa dall'istigazione all'odio razziale». Il che non è però servito: la Corte ha confermato il verdetto di colpevolezza, condannando Melis anche a risarcire 40 mila euro alle parti civili - tra cui l'Unione delle comunità ebraiche di Roma - rappresentate dagli avvocati Alberto Cocco Ortu, Enrica Anedda e Valerio Fundarò. ( m. le. ) ______________________________________________________ Avvenire 6 apr. ’11 GRECIA, LO SCRITTO PIÙ ANTICO D'EUROPA Scoperta in Grecia una tavoletta di argilla risalente a oltre tremila anni fa e considerata il più antico testo leggibile d'Europa. Lo ha annunciato un professore di archeologia dell'Università del Missouri, Michael Cosmopoulos, spiegando che la tavoletta, proveniente da un'antica città micenea, è di almeno un secolo più vecchia delle precedenti scoperte. Il ritrovamento è avvenuto nei pressi del villaggio di Iklaina, nella penisola del Peloponneso, e l'iscrizione è in «Linear B», una forma di scrittura utilizzata dai micenei nel periodo dell'età del bronzo. La lineare B è una scrittura già attestata a Creta e sul continente greco fra il XIV e il XIII secolo e utilizzata per notare una forma arcaica di greco. Il gruppo più antico di testi finora rinvenuto è databile all'inizio del XIV secolo a.C. (o tra la fine del XV e l'inizio del XIV secolo). Altri testi sono più tardivi. ______________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 7 apr. ’11 LA CADUTA DELL'ANTICA ROMA?"TUTTA COLPA DEI GAY" E' bufera su Internet per le dichiarazioni choc Roberto de Mattei, vicepresidente del Cnr. Una petizione ne chiede le dimissioni perché le sue posizioni sono incompatibili con il suo incarico scientifico Il vicepresidente del Cnr Roberto de Mattei Cartagine, la capitale dell’Africa romana, contendeva ad Alessandria e ad Antiochia il primato della dissolutezza e godeva della reputazione di essere il paradiso degli omosessuali. La caduta di Roma, dunque, è imputabile agli omosessuali, che vennero puniti dai barbari invasori per questa trasgressione morale. Non è la tesi di un esponente dell’estrema ed omofobica destra, bensì del professor Roberto de Mattei, vicepresidente del Cnr, Consiglio Nazionale di Ricerca, che già nei giorni scorsi aveva fatto parlare di sé per alcune affermazioni choc, fatte a Radio Maria, relative allo tsunami in Giappone. Lo tsunami che ha piegato il Giappone è un castigo di Dio. Un modo per purificare l’umanità peccatrice, e infatti Dio si serve delle catastrofi per raggiungere un fine alto della sua giustizia, visto che queste rispondono sicuramente a un’esigenza di giustizia divina, aveva detto alla Radio vaticana, cui seguì in Internet una petizione Manciata in questi giorni , da ricercatori e professori del CNR per far dimettere il professore, le cui opinioni, secondo gli ascoltatori, sono incompatibili con il suo incarico scientifico. Ad oggi sono più di 7.000 le adesioni. Posizioni che effettivamente riecheggiano quelle dei cattolici integralisti: se nell’intervento relativo al devastante terremoto che ha colpito il Giappone il professor De Mattei si era ispirato a Orazio Manzella (vescovo di Rossano Calabro fra il 1898 e il 1917), questa volta, sempre dai microfoni di Radio Maria, per sostenere la sua tesi sulla caduta dell’impero Romano, rispolvera alcuni passaggi di un autore latino del Quinto secolo, Salviano di Marsiglia, contenuti nell’opera De Gubernatione Dei in cui si afferma che 'Impero Romano sarebbe caduto non per problemi amministrativi, per la corruzione dilagante o per i confini troppo estesi per essere difesi, ma per colpa degli invertiti che infestavano Cartagine e la Provvidenza si sarebbe servita dei barbari per liberare 'Impero Romano dagli omosessuali. Frasi che suscitano perplessità soprattutto se si tiene conto del fatto che il professor De Mattei è anche docente di Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso 'Università Europea di Roma. Un gran bel curriculum, l’accusa che gira in rete, per uno studioso che dovrebbe essere un uomo di scienza, posto ai vertici del Centro Nazionale Ricerche, con uno stipendio che si aggira intorno ai 100 mila euro annui pagati dai cittadini. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 10 apr. ’11 RIVOLUZIONE INTORNO ALLA PARTICELLA DIO Armando Massarenti Non c'è neppure bisogno di fare appello all'onestà intellettuale per ammettere — da parte di noi profani, anche quelli che magari un po' di fisica e di filosofia della scienza l'hanno orecchiata — che è dura capire la reale importanza dell'esperimento diretto da Giovanni Punzi con l'acceleratore di particelle Tevatron del Fermilab di Chicago che ha fatto scalpore in questi giorni. Di sicuro posso dire tre cose: i) Che i fisici italiani sono un esempio di eccellenza nel mondo (e anche nel nostro Paese), e dunque ci si può fidare; 2) Che mediaticamente la notizia suona assai bene; 3) Che altri illustri scienziati hanno commentato che, «se vera», è una scoperta rivoluzionaria. «L'unica cosa di cui siamo certi», ha spiegato Punzi, è che «non si tratta del bosone di Higgs», cioè del sacro Graal della fisica, che tutti si ostinano a soprannominare "particella di Dio", mentre sarebbe assai più corretto dire, più naturalisticamente, "particella Dio". La quale «dovrebbe decadere in particelle più pesanti di quelle registrate dall'esperimento, che invece decadono in quark normali». Dunque si sarebbe scoperta una nuova particella e forse addirittura una nuova forza. Si tratterebbe insomma di uno dei risultati più rivoluzionari dell'ultimo mezzo secolo. I maligni ricordano che annunci del genere si sono già avuti in passato, nel 2004 e nel 2008, e che essi coincidono con i momenti di crisi dei finanziamenti del Tevatron. Vedi, ad esempio, www.fnal.gov/pub/presspass/ press_releases/selex_6-17.html e http://physicsworld.com/cws/ article/news/36524. Ma potete confrontarli voi stessi con il nuovo esperimento, di cui trovate online la spiegazione http://theory. fnal.gov/jetp/talks/Viviana.pdf. E anche con l'articolo originale di Punzi & C: http://arxiv. org/PS_cache /arxiv/pdf/no4/flo4.0699vi.pdf, che fornisce le statistiche usate per stabilire che il segnale è "significativamente" in disaccordo con le previsioni teoriche. Potenza di internet. Certo non posso garantire che capiate di più di quanto possa capire io. Cioè quasi nulla. Ma mai dire mai. L'unico consiglio che posso darvi è di rileggere questa Filosofia minima nel sito del Sole 24 Ore: www.sole24ore.com. Così almeno non dovrete trascrivere questi complicati indirizzi, e con quattro semplici clic potrete sognare di essere al corrente delle ricerche fisiche più all'avanguardia. O magari esserlo veramente! ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 Apr. 2011 FOTOVOLTAICO INCENTIVI NUOVI, MA LA BOLLETTA RESTERÀ CALDA Il governo studia il restyling dei bonus per sgonfiare la bolla del 2010 Il costo potrebbe superare i 5 euro al mese per famiglia per venti anni DI ELENA COMELLI U n m e r c a t o stop-and-go. Con la frenata del nucleare e le turbolenze libiche sugli idrocarburi, l'attenzione degli investitori si concentra sul solare italiano, dopo il blocco degli ultimi mesi. Gli operatori sono sulla linea di partenza per acchiappare i nuovi incentivi, il cui varo è previsto a giorni. E così la bolla del fotovoltaico, che già oggi pesa come un macigno sulle bollette, rischia di riprendere a gonfiarsi. «La corsa disordinata alle tariffe più generose, che si è scatenata nel primo periodo di transizione a fine 2010 e ha causato l'impennata dei costi del solare sulle bollette degli italiani, rischia di ripetersi ora nel passaggio alla nuova incentivazione» , prevede Vittorio Chiesa dell'Energy &Strategy Group del Politecnico di Milano, che anticipa al CorrierEconomia i dati del Solar Energy Report 2011, in uscita giovedì. Stime Nelle stime del Politecnico, l'incidenza del solare in bolletta potrebbe arrivare quest'anno ai 2,4 miliardi previsti dall’Authority e lievitare già l'anno prossimo a 4-4,5 miliardi. Di conseguenza, l'impegno che lo Stato si sarà assunto a fine 2012, prevedendo 10 gigawatt installati, arriverà complessivamente a 48 miliardi spalmati su vent’anni. Con un'incidenza, negli anni 2013-2033, di 3,5-4 euro al mese per la famiglia media. Il messaggio è unanime: gli incentivi al fotovoltaico vanno ridotti, anche perché lo sviluppo di questa fonte è in anticipo sulla tabella di marcia degli obiettivi che ci eravamo posti al 2020 (8 gigawatt e siamo a 7), mentre altre fonti rinnovabili sono rimaste indietro, come l'eolico, che dai 6 gigawatt attuali dovrebbe arrivare a 13. Le nuove tariffe sono in discussione in questi giorni tra i vari ministeri: tutto sta a vedere come verranno ridotte, non solo quanto. La base della discussione è la proposta avanzata da Confindustria, che ipotizza di aggiungere altri 2 gigawatt all'anno fino ad arrivare a un peso massimo di 6 miliardi di euro in bolletta a fine 2016, con 18 gigawatt installati, dagli 8 previsti a fine 2011. In questo modo l'impegno complessivo lieviterà da 48 a 63 miliardi attualizzati. Con un'incidenza di 5,2 euro al mese per la famiglia media nel periodo 2016-2036, secondo i calcoli della squadra di Chiesa tenendo conto che dal 2028 in poi le uscite annue diminuiranno, con la fine dell'incentivazione degli impianti installati nel 2007. La proposta di Confindustria prevede una riduzione molto graduale delle tariffe incentivanti nel periodo transitorio dal 1 ° giugno al 31 dicembre 2011, rendendole in alcuni casi addirittura più generose rispetto a quelle precedenti, che si volevano tagliare. «Ci sono tanti cantieri aperti e la riduzione di mese in mese dovrebbe spingerli a chiudere rapidamente» , spiegano in Confindustria. Un sistema di questo tipo potrebbe scatenare un'altra corsa disordinata per inserirsi nella finestra più generosa e soprattutto per rientrare nella quota annuale. «Se non verrà messo in piedi un meccanismo che automatizzi le riduzioni degli incentivi, agganciandole al raggiungimento di una certa quota d'installazioni, ma senza tetti annuali, come in Germania, ci sarà sempre una corsa per cogliere la finestra più favorevole» , ribatte Chiesa. Corsa Alla base della corsa c'è l'incertezza normativa, che caratterizza il mercato dagli ultimi mesi del 2010, quando il governo concesse anche agli impianti fuori tempo massimo una proroga di sei mesi, per accedere alle tariffe più favorevoli dell'incentivazione precedente. In quei pochi mesi sono stati installati, secondo i dati comunicati dal Gestore dei servizi energetici, quasi 4 gigawatt di pannelli, più dell'intero parco fotovoltaico italiano installato fino ad allora. Uno sproposito (con qualche irregolarità di mezzo, che sta già emergendo). Per rimediare allo scivolone del 2010, il governo ha anticipato a fine maggio 2011 la scadenza degli incentivi, inizialmente prevista per il 31 dicembre 2013. Ma provocando un effetto boomerang: le banche, irritate dall’incertezza, hanno ritirato i finanziamenti e il comparto si è bloccato, con 50 mila posti di lavoro che traballano. «Il mercato è rimasto paralizzato dal decreto varato a inizio marzo, che ha cancellato inaspettatamente gli incentivi senza spiegare cosa succede dal 1 ° giugno in poi» , fa notare Chiesa. Ora il governo promette l'avvio dei nuovi incentivi in tempi brevi: forse già questa settimana, ha detto il ministro Stefania Prestigiacomo. Stavolta è importante fare bene, non solo fare in fretta, perché queste cifre ci condizioneranno per vent’anni. E sono cifre importanti. ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 Apr. 2011 AUTO ELETTRICA? INQUINA PIU’ DEL DISEL Lo tsunami giapponese ha, forse, allontanato per diversi anni il sogno risanatore dell'auto elettrica. Fino a ieri il problema principale era studiare batterie capaci di aumentare l'autonomia, senza incidere pesantemente sul costo della vettura. Oggi, dopo il disastro delle centrale nucleari nipponiche e il conseguente congelamento del processo di aggiornamento di tutti le centrali esistenti al mondo, bisogna ripensare tutto. Perché se si torna la carbone per produrre elettricità le auto con la pila rischiano di inquinare più di quelle a benzina. Oggi sul pianeta circolano 700 milioni di veicoli (nel 2020 saranno 1,4 miliardi, nel 2050 circa 3 miliardi), responsabili del 13%delle emissioni di CO2, il gas all'origine dell'effetto serra. Queste automobili generano un problema di rifornimento di carburante fossile, a cui seguirà, inevitabilmente, una crescita del prezzo alla pompa. Fenomeno aggravato dal ricorso dei governi a colpire il carburante, per ricavare benefici fiscali. Le case costruttrici devono elaborare nuove soluzioni capaci di ridurre almeno di quattro volte le emissioni, quindi i consumi, prima del 2050. Il motore elettrico, teoricamente, era una delle soluzioni più indicate per raggiungere questo obiettivo, ora è necessario ricalcolare le emissioni complessive che partono dalla centrale di produzione elettrica fino alla spina di ricarica della vettura, confrontandole con quelle che scaturiscono dal pozzo di petrolio alla pompa di benzina. Le centrali a carbone sono in discussione. Una vettura elettrica alimentata da energia prodotta da minerale fossile produce l'equivalente di 140gr/km di CO2. Un propulsore diesel da 110 cavalli emette in media 114gr/km. Ma tenendo conto dell'estrazione, del processo di raffinamento e del trasporto del gasolio alla pompa, le emissioni risalgono sino a 140gr/km. Pari e patta con quelle dell’auto elettrica «a carbone» . Nel caso in cui venga deciso nel mondo, di smantellare tutte le centrali atomiche, l'effetto sarebbe negativo per l'economia in generale, solo lo smontaggio e la sostituzione delle centrali potrebbe richiedere più di quaranta anni. L'alternativa delle auto a pila combustibile torna di attualità: generano elettricità con il passaggio dell'idrogeno e l'ossigeno attraverso un catalizzatore. Tenendo conto dei processi industriali a monte emettono «solo» 120 gr/km di CO2. Anche la benzina ed il diesel tornano in auge. Quest'ultimo contiene in ogni litro il 10%in più di energia, quindi emette il 10%in più di CO2 per ogni litro consumato. Ma per rientrare nelle norme Euro5, è obbligatorio montare sullo scarico un filtro antiparticolato che elimina le polveri sottili di carbonio. Il diesel rimane insuperabile sulle lunghe distanze, riesce a mantenere consumi contenuti più di qualsiasi motore termico a benzina, di pari potenza. Nel 2014, quando entrerà in vigore l'omologazione Euro6, dovranno anche essere affrontati i problemi derivanti dal controllo dell'ossido di azoto. Restano valide le soluzioni ibride ed i dispositivi Start &Stop, che tendono a ridimensionare i consumi e quindi le emissioni. La catastrofe giapponese ha messo in evidenza che, l'auto elettrica, pur avendo una storia di 150 anni, è ancora all'inizio del suo cammino. L’approvvigionamento entrerà nel calcolo delle emissioni su strada, che dovranno essere tagliate del 50%o ancora di più. ____________________________________________________ Corriere della Sera 10 Apr. 2011 I DATI GONFIATI SULLE FORESTE SPARITE AMBIENTE - DALL'AMAZZONIA AL BORNEO. LA SOCIETÀ SI DIFENDE: I NOSTRI DOSSIER SONO CORRETTI Attacco verde ai super consulenti Greenpeace contro McKinsey: previsioni sbagliate per speculare sugli aiuti Le percentuali ARIGI - Una società di consulenza che incoraggia ad abbattere le foreste, e allo stesso tempo fa intascare gli aiuti contro la deforestazione, non può che essere molto amata dai governi. E infatti la McKinsey ha prodotto dal 2007 gli studi diventati di riferimento nella complicata materia della riduzione del riscaldamento globale. Congo, Guyana o Indonesia aspirano a una fetta dei 4,6 miliardi di dollari previsti dall'accordo internazionale di Cancun (2010) per salvare le foreste pluviali? Compilano dossier ispirati ai dati McKinsey, marchio passe-partout nel mondo degli affari e della governance mondiale, e sono quasi certi di ottenere gli aiuti desiderati. Solo che, secondo il rapporto «Bad Influence» di Greenpeace, le carte distribuite da McKinsey sono truccate, non hanno alcun valore scientifico. Risponderebbero, in realtà, all'esigenza di alcuni Stati di continuare lo sfruttamento economico del polmone verde del Pianeta, venendo pure pagati per farlo. La McKinsey, conosciuta anche come The Firm, fondata nel 1926 a Chicago dal professore universitario James O. McKinsey, è la più influente società di consulenza del mondo, con circa 16 mila dipendenti e una rete di «ex» impiantata ai più alti livelli della politica e dell'economia mondiale. Un bersaglio perfetto per Greenpeace, tradizionalmente poco tenera con i grandi nomi del capitalismo globalizzato. Fondata nel 1970 dai tre pionieri Jim Bohlen, Paul Cote e Irving Stowe che protestavano contro un secondo esperimento nucleare alle Isole Aleutine in Alaska, oggi Greenpeace è la più grande associazione ambientalista con uffici in oltre 40 Paesi e 2,8 milioni di donatori in tutto il mondo: nel rapporto «Bad Influence» appena pubblicato, l'organizzazione della pace verde si lancia contro l'«influenza nefasta» di McKinsey nella lotta alla deforestazione, citando alcuni casi significativi. Nella Repubblica democratica del Congo, McKinsey consiglia al governo di Kinshasa di chiedere risarcimenti perché l'industria del legname raddoppierà l'abbattimento degli alberi entro il 2030. Un sforzo da premiare, secondo la società di consulenza, altrimenti le piante tagliate potrebbero triplicare. In Guyana, in base ai dati di McKinsey, il tasso di deforestazione è del 4,3% all'anno; per evitare la totale sparizione della foresta pluviale entro il 2035, Paesi donatori come Norvegia o Gran Bretagna dovranno versare oltre 400 milioni di euro all'anno alla piccola repubblica sudamericana. Secondo Greenpeace, invece, il tasso di deforestazione attuale è molto più basso, attorno allo 0,1%: questo permetterà agli industriali del legno di aumentare gli abbattimenti, ed essere comunque risarciti. In Indonesia, per ridurre i danni alla foresta pluviale, gli studi di McKinsey consigliano di arrestare la coltivazione della terra ad opera dei piccoli agricoltori, incoraggiando invece l'allargamento delle piantagioni di alberi destinati però a essere abbattuti. In questo modo, secondo McKinsey, si ottiene la stessa riduzione di biossido di carbonio, a costi 30 volte inferiori. A guadagnarci sono il governo e ancora una volta l'industria del legname, non certo i contadini indonesiani e neanche gli oranghi del Borneo, in via di estinzione. McKinsey ribatte alle accuse: «Siamo in totale disaccordo con i risultati del rapporto di Greenpeace e ribadiamo la validità del nostro lavoro e approccio - ha dichiarato la società in una nota -. Assistendo i clienti del settore pubblico, suggeriamo misure che possono essere usate in un complesso dibattito nazionale sulle strategie per una crescita economica equa e a bassa produzione di carbonio». Una volta fugati i dubbi sull'esistenza stessa del riscaldamento globale, ecco l'incertezza sui dati usati per combatterlo o fingere di farlo. Greenpeace chiede a McKinsey di rivelare le fonti dei suoi studi. McKinsey risponde che non può farlo: comprometterebbe il «rapporto di riservatezza» con i clienti. Stefano Montefiori ========================================================= ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 Apr. 2011 E’ SANDRO CATTANI IL MANAGER DELL’AZIENDA MISTA Ieri la firma con il governatore Cappellacci dopo il parere positivo del rettore e della facoltà di Medicina «Primo obiettivo l’atto aziendale, poi comincerò a sciogliere il nodo dell’edilizia» GABRIELLA GRIMALDI SASSARI. Con il placet dell’università è ufficiale la nomina di Sandro Cattani a direttore generale dell’azienda ospedaliero universitaria. Ieri pomeriggio la firma: adesso al giovane manager spetta il compito di portare efficienza nel settore della sanità, fortemente in crisi. E proprio ieri al presidente della Regione Ugo Cappellacci è arrivata la lettera di Attilio Mastino. Oggetto della missiva è la comunicazione del parere positivo unanime del consiglio della facoltà di Medicina sulla nomina di Cattani. L’Aou viene così finalmente messa in grado di cominciare un percorso che si era interrotto a pochi mesi dall’istituzione della nuova azienda. Il primo direttore generale, Gianni Cherchi, infatti, era venuto a mancare a causa di una malattia a poco tempo dall’insediamento. Il lavoro già fatto quindi, sebbene di alta qualità, non era stato sufficiente a far decollare un’azienda del tutto nuova. Da allora alla guida dell’organismo si sono succeduti diversi commissari che, come si sa, non godono delle prerogative dei direttori. Oggi, per la prima volta lo staff dirigenziale dell’Aou avrà pieni poteri e potrà affrontare tutti i difficili compiti che lo attendono. Sandro Cattani, 51 anni sassarese, ha già al suo attivo una lunga formazione all’interno della Asl: si occupava infatti da 5 anni del settore acquisti dell’azienda, il suo compito era quindi di dare vita agli appalti e di seguirne l’iter. «Tra i primi obiettivi - dice - senz’altro l’atto aziendale, senza il quale è impossibile fare progetti e l’istituzione dell’Organismo di indirizzo che permetterà di armonizzare i rapporti con l’università e l’edilizia». Cattani è cosciente dell’enorme lavoro da svolgere in questo settore «tuttavia si tratta di vere e proprie emergenze sulle quali mettere mano al più presto. I soldi ci sono, non bisogna perdere tempo». Analisi lucida anche sulle dotazioni tecnologiche: «Non è accettabile avere tac a uno strato quando ormai si utilizzano quella a 128 strati, anche su questo piano ho avuto rassicurazioni da parte dell’assessore Liori». Un punto di forza Sandro Cattani ritiene sia il rapporto di reciproca stima con il direttore generale della Asl Giannico: «Lavoreremo in sinergia evitando doppioni e inutili sprechi». Intanto il rettore ha espresso il parere suo e dell’università a Cappellacci: «Ho il piacere di comunicarle che il consiglio della facoltà di Medicina convocato per il 5 aprile, ha espresso all’unanimità il proprio parere favorevole sul nome del dottor Alessandro Cattani come direttore generale dell’Aou - scrive il rettore -. chiedo pertanto di fissare un incontro in tempi brevi in modo da poter procedere alla firma dell’intesa, che deve partire dalla piena consapevolezza delle criticità della sanità nella Sardegna settentrionale e dall’esigenza di un forte rilancio dell’Aou in termini di risorse, attrezzature, impianti tecnologici e investimenti edilizi». Programma non da poco che l’università dichiara di voler attuare fianco a fianco alla Regione. A Sandro Cattani spetterà dunque il compito, oltre che di far quadrare i conti, di cominciare a risolvere in tempi accettabili i più grandi problemi dell’azienda mista e di gestire non solo l’assistenza ma anche la ricerca e la didattica. Lettera al commissario «Caro Cavalieri un grazie dall’ateneo» SASSARI. Parole di apprezzamento quelle espresse dal rettore nei confronti di Gianni Cavalieri, il commissario dell’Aou che ha appena lasciato il suo incarico al timone dell’azienda ospedaliero universitaria. L’imprenditore è rimasto alla guida dell’Aou per più di un anno su richiesta dell’assessore regionale alla Sanità Antonello Liori. «A conclusione del tuo incarico - scrive Attilio Mastino - volevo ringraziarti a nome di tutto l’ateneo per l’intelligente azione svolta per il rilancio dell’Aou, pur con i limiti connessi a una gestione commissariale. Molti obiettivi sono stati raggiunti e il quadro finanziario è migliorato grazie al tuo impegno e all’attenzione della Regione». _________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 Apr. ‘11 GIUSTIZIA MEDICINA E TUTELA LEGALE, INCARICO PER LUMINOSO Anche un avvocato cagliaritano (il docente universitario Angelo Luminoso) nella task force che riunisce i migliori professionisti d'Italia nella medicina e nella tutela legale, insieme per assistere e consigliare i cittadini vittime di inefficienze in ambito medico-sanitario. La nuova iniziativa, presentata ieri a Firenze, si chiama “Associazione Giustacausa”, attraverso la quale ogni cittadino potrà trovare, nella sua regione, uno dei migliori studi legali e medici che, basandosi su criteri di eticità e solidarietà, lo supporterà nel contenzioso. L'ex procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna è presidente onorario dell'associazione, che ha tra i testimonial che hanno dato adesione all'iniziativa, anche Giorgio Panariello, Marcello Lippi, Piero Chiambretti e Paolo Brosio. Trattandosi di tematiche sanitarie, i legali saranno affiancati da medici specialisti nella branca d'interesse della vertenza. Tra i professionisti che partecipano all'iniziativa quelli degli studi legali La Russa (Lombardia), Ugo Ruffolo (Emilia Romagna), Luminoso (Sardegna) e Bin (Piemonte). __________________________________________ L’Unione Sarda 8 Apr. ‘11 Sanità sotto inchiesta dopo gli esposti DIRETTORE SENZA TITOLI? APERTO UN FASCICOLO PER ABUSO D'UFFICIO Era inevitabile: lo scontro politico sulla nomina del direttore generale dell'assessorato regionale alla Sanità finisce in Procura. Abuso d'uffico contro ignoti: il pm Daniele Caria ha aperto un fascicolo dopo due esposti anonimi e una dettagliata deposizione di un consigliere regionale. Al centro dell'inchiesta c'è Massimo Temussi, 41 anni, sassarese, carriera fulminea: assunto nel 2002 all'università di Sassari con una qualifica di livello impiegatizio (elevata professionalità), diventato nel 2007 responsabile dei servizi finanziari dell'azienda ospedaliero-universitaria di Sassari, nominato nel 2008 dirigente della Asl di Lanusei, nel 2009 direttore amministrativo della Asl di Sanluri e, il 18 febbraio 2010, direttore generale dell'assessorato alla Sanità, incarico confermato il 25 febbraio 2011. L'accusa: non avrebbe i titoli per occupare quel posto perché non avrebbe un'esperienza lavorativa dirigenziale di almeno cinque anni. COMMISSIONE D'INCHIESTA L'indagine sta muovendo i primi passi: il magistrato andrà innanzitutto a guardare fra le interpellanze di diversi consiglieri regionali e fra gli atti della commissione d'inchiesta sulla mancata applicazione delle leggi regionali. La relazione istruttoria è stata trasmessa il 29 marzo dal presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo al presidente della Giunta Ugo Cappellacci: «La commissione ha evidenziato come sorgano indubbie perplessità in relazione alla procedura di nomina del dottor Massimo Temussi». Per questo ha chiesto alla Lombardo «di rappresentare il contenuto della relazione istruttoria al presidente della Regione affinché questi prenda in seria considerazione l'opportunità di adottare tutte le misure necessarie per effettuare una compiuta verifica sulla regolarità delle procedure di nomina effettuate, anche al fine di evitare che la grave irregolarità determinatasi possa riverberarsi in sfavore degli atti ufficiali posti in materia dall'assessorato». La Lombardo resta «in attesa di risposta in merito alle iniziative» che Cappellacci intende adottare alla luce dei «risultati dell'istruttoria». CARENZE E AMBIGUITÀ In effetti la commissione d'inchiesta parla di «procedura affetta da ambiguità e carenza di univocità interpretativa, vizi che determinano, oltre che una inammissibile e sostanziale superficialità e approssimazione, la inidoneità stessa a conseguire gli effetti richiesti. In particolare, la documentazione che si è ritenuto dovesse attestare il possesso in capo a Temussi del requisito del possesso di esperienza lavorativa almeno quinquennale, appare insufficiente allo scopo in quanto, ben lungi dall'attestare con chiarezza e univocità tale requisito, risulta essere al contrario di dubbia interpretazione. La circostanza era già stata rilevata dal direttore generale dell'assessorato agli Affari generali in una nota interna indirizzata all'assessore». CURRICULUM SENZA FIRMA La commissione consiliare sottolinea poi come appaia «impossibile ricondurre a Temussi sia il curriculum sia il documento di autocertificazione in quanto privi di sottoscrizione, fatto che configura quantomeno una disordinata gestione istruttoria da parte della direzione generale dell'assessorato agli Affari generali». Prima della commissione due interpellanze in Consiglio regionale - quella del 13 gennaio scorso era firmata da Ignazio Artizzu e Matteo Sanna (Fli), l'altra del primo settembre 2010 dai consiglieri Udc e sardisti - avevano già sollevato il problema. Quindi, due settimane fa, il centrodestra aveva chiesto all'assessore alla Sanità Antonello Liori un passo indietro con la revoca di Temussi. MARIA FRANCESCA CHIAPPE __________________________________________ L’Unione Sarda 7 Apr. ‘11 SPESA SANITARIA FUORI CONTROLLO LIORI: «C’È UN’INVERSIONE DI TENDENZA» CORTE DEI CONTI CAGLIARI. Spesa sanitaria fuori controllo. È duro il giudizio della Corte di Conti sulla Regione che «non ha conseguito gli obiettivi del Piano triennale di rientro dal deficit del servizio sanitario per il periodo 2007-2010 con la perdita dei finanziamenti statali, 14 milioni di euro». E il disavanzo è in crescita. Dal controllo è emerso che «la spesa annuale impegnata nel 2010 è pari a 3,647 miliardi di euro (tutta a carico del bilancio regionale). Per l’assessore Antonello Liori «la Corte dei Conti ha certificato che il Piano di rientro triennale 2007-2009 dell’era Soru-Dirindin, è fallito. I numeri dicono che il 2010 ha un’inversione di tendenza». La Corte evidenzia come il disavanzo registri preoccupanti indici di crescita. «Conti alla mano», dice Liori, «i costi di produzione della sanità nel 2007 hanno registrato un +6,22%, nel 2008 +6,24%, nel 2009 +5,55%, mentre, nel 2010 i costi sono aumentati dello 0,59%, rappresentando un blocco della spesa che nel settore della sanità, negli ultimi 10 anni, viaggia ad una media annua nazionale di incremento del 4,3%. Risultato importante nonostante sia stato un anno di gestione commissariale, che non consente un controllo severo e puntuale degli atti delle aziende, come invece sarà possibile d’ora in poi con i direttori generali appena nominati». __________________________________________ L’Unione Sarda 6 Apr. ‘11 OSPEDALI, 26 MILIONI CONTRO LE LISTE D'ATTESA Ammontano a circa 26 milioni le risorse per la Sardegna nell'ambito del programma degli interventi per la definizione del Piano regionale di governo delle liste di attesa 2010-2012. Lo strumento deve essere ancora esaminato dalla Giunta regionale che, su proposta dell'assessore della Sanità Antonello Liori, dovrà verificare la fattibilità degli interventi delle singole Asl e predisporre un provvedimento che finanzi i diversi programmi delle aziende sanitarie sarde, in vista della riduzione delle liste d'attesa nelle strutture dell'Isola. La notizia arriva a pochi giorni dalla nomina dei nuovi direttori generali da parte della Giunta, e mentre il Consiglio regionale è sempre impegnato nella discussione della legge di riordino del settore, ferma da tempo in commissione Sanità. Si discute, in particolare, della creazione di una macroarea per accentrare le questioni amministrative, e degli scorpori degli ospedali dalle Asl. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 Apr. 2011 LIORI: BISOGNA RIVEDERE LA 162 Una nota per spiegare che non si intende tagliare i fondi sulla disabilità ma distribuirli con criterio Ascolta la notizia CAGLIARI. Tagli sugli indennizzi della legge 162 per la disabilità: interviene l’assessore alla sanità Antonello Liori. «Innanzitutto - comincia Liori -, mi preme sottolineare che non c’è stato alcun taglio all’assistenza per i disabili. Infatti, anche quest’anno la copertura finanziaria dei piani personalizzati per i non autosufficienti, previsti dalla legge 162, sarà totale, superando i 100 milioni di euro, nonostante per il 2011 siano aumentati di circa 3 mila unità, diventando oltre 32.000». Nei giorni scorsi anche altre segnalazioni sono arrivati dalle famiglie dei disabili sui tagli anche della metà degli indennizzi: «Quelli che alcune famiglie hanno percepito come tagli - ha sottolineato l’assessore Liori - in realtà sono il frutto di un riequilibrio dovuto ai punteggi della ‘scheda salute’, rimasta immutata, ma quest’anno affidata più appropriatamente alla competenza di un medico e non più di un assistente sociale, ed all’accertamento di eventuali altre provvidenze pubbliche e/o servizi fruiti, un dato già richiesto negli anni precedenti che siamo finalmente riusciti a far dichiarare, così da poter assegnare meglio i soldi pubblici e quindi assistere meglio i più bisognosi. Si tratta, comunque, di una fase sperimentale, che avrà certamente le opportune modifiche anche nei criteri, così da realizzare un modello, disegnato sui bisogni della persona, che abbia pochi margini di interpretazione soggettiva ed eviti eventuali distorsioni nell’applicazione. Sono impegnato a far rispettare le regole - sottolinea l’assessore - ed a salvaguardare i livelli di assistenza finora garantiti dalla 162, individuando, però, con nuovi criteri di equità e ragionevolezza la migliore e più corretta applicazione della legge in favore delle persone in situazione di handicap grave». ___________________________________________________ Corriere della Sera 5 Apr. 2011 PROFESSIONISTI DELLA SANITÀ, LA LUNGA MARCIA PER UN ORDINE La salute non può essere abusiva. È questo lo slogan con cui sfileranno a Roma il 13 aprile i professionisti della sanità. Dai logopedisti ai radiologi, dai fisioterapisti ai dietisti, sono 600 mila i professionisti sanitari che attendono da 15 anni di essere riconosciuti attraverso un Ordine professionale. Il provvedimento servirebbe a proteggere queste figure professionali dalla concorrenza sleale degli abusivi. In realtà il disegno di legge che potrebbe risolvere finalmente il problema esiste, si chiama il ddl 1142, è pronto ormai da 3 anni. Dopo tanta attesa questa sembrava la volta buona e invece gelosie e timori di ordini professionali già esistenti probabilmente hanno stoppato di nuovo il progetto e ora il disegno di legge è nuovamente arenato, non in commissione Sanità, ma in commissione finanze. Segno che il timore possa essere quello di creare l' ennesimo ordine professionale, fonte di nuovi costi. «Niente di più falso - protesta il presidente Conaps, Antonio Bortone - non si crea nessun nuovo carrozzone, come qualcuno vuole far credere. Questo ordine non costerà nulla alle casse dello Stato e sarà gestito direttamente dalle associazioni professionali». Trovato Isidoro ___________________________________________________ Corriere della Sera 6 Apr. 2011 HOTEL, AEREI, FAZENDAS E OSPEDALI IL PIANO VENDITE DEL SAN RAFFAELE SANITÀ LA LISTA CON LE POSSIBILI DISMISSIONI CONTA AL MOMENTO UNA DECINA DI VOCI L' obiettivo: incassare subito 120 milioni per far fronte ai 900 di debiti I creditori Tamponare il pesante indebitamento servirebbe anche a tranquillizzare i creditori tentati dai decreti ingiuntivi MILANO - L' elenco delle vendite è pronto: per salvare dai debiti l' ospedale San Raffaele l' obiettivo è incassare subito almeno 120 milioni di euro. Così l' impero del sacerdote manager don Luigi Verzè, che fa capo alla fondazione Monte Tabor, è destinato a perdere alberghi, aziende agricole, proprietà terriere e, con ogni probabilità, persino due ospedali fuori Milano. È la fine di un' epoca: quella che, in 42 anni di sfide, ha visto il prete imprenditore, amico del premier Silvio Berlusconi, creare una galassia con jet, hotel e coltivazioni di mango e meloni in Brasile. Il piano di dismissioni per fronteggiare il dilagante debito di oltre 900 milioni (di cui 400 nei confronti dei fornitori) procede a passo di carica. Non c' è ancora nulla di ufficiale. Ma, al momento, la lista con le probabili vendite di proprietà conta dieci voci. Scorrerle è come ripercorrere a ritroso l' espansione di un' attività che via via ha affiancato alla sanità i business più disparati. Tra gli affari periferici di don Verzè è finito l' hotel Don Diego, un quattro stelle di fronte all' isola di Tavolara (Olbia). Nella società che gestisce l' albergo sono entrati l' attore Renato Pozzetto, Mario Cal (da sempre braccio destro del fondatore del San Raffaele) e Roberto Cusin (ex titolare della Gemeaz Cusin, ristorazione collettiva). Gli ultimi consuntivi sono in rosso, ma l' immobile è valutato in bilancio 14,5 milioni. È destinata a finire in vendita anche un' altra proprietà in condominio con Cusin (33%): quella delle fazendas di Pernambuco. Piantagioni di mango e meloni che hanno un valore stimato in 15 milioni di euro, ma le società sono, ancora una volta, in perdita. Altro (ex) socio, stesso discorso. Don Verzè condivideva con il comico Pozzetto pure una mini compagnia aerea, l' Airviaggi, sempre candidata ad essere dismessa. Non sono ipotizzabili, però, grosse soddisfazioni contabili: all' Airviaggi fa capo sia l' elisoccorso del San Raffaele (in pareggio), sia la società neozelandese Assion Aircraft & Yachting Chartering, che ha il leasing del jet privato dell' ospedale. Nel bilancio, solo nel 2009, figurano perdite per 10 milioni. Risultato: i due soci di minoranza, Pozzetto (30%) e Peppino Marascio (10%) sono usciti dal capitale l' anno scorso. E l' autore de La vita l' è bela per il suo 30% s' è dovuto accontentare di 3.000 euro. Gli è andata persino bene perché è stata la Fondazione a farsi carico della perdita milionaria neozelandese. Ore contate, poi, per la Blu Energy che controlla l' impianto di cogenerazione a metano per fornire le utilities energetiche al San Raffaele: secondo gli ultimi dati disponibili è esposta per 113 milioni, di cui 80 con banche e 23 con fornitori. Il piano di salvataggio prevede l' alienazione delle attività non strettamente collegate all' assistenza sanitaria, alla ricerca scientifica e all' università. Ma il risanamento dei conti renderà necessario, verosimilmente, mettere in vendita anche i miniappartamenti di Cologno Monzese (alle porte di Milano), nati con lo scopo di dare una casa agli infermieri e il nuovo hotel Rafael, a ridosso dell' ospedale, destinato principalmente ai familiari dei malati. E non finisce qui. Il pesante indebitamento va tamponato al più presto. Vanno tranquillizzati soprattutto i creditori, alcuni dei quali tentati da una riscossione coattiva dei soldi tramite decreti ingiuntivi. È il pericolo numero uno. Non è possibile, dunque, scongiurare l' ipotesi dell' alienazione di due ospedali, anche se chi è vicino a don Verzè non vuole neppure sentirne parlare. Il primo è a Olbia, una struttura non ancora ultimata da 200 posti letto per un investimento di oltre 150 milioni. L' altro è il Monte Tabor Hospital São Rafael a Salvador de Bahia con 300 letti. Il San Raffaele è proprietario dello stabile, ma non gestisce direttamente l' attività. Il centro sanitario Quo Vadis, destinato a sorgere tra le colline del Veneto per sviluppare la medicina preventiva e personalizzata, resterà un sogno. Ma i 500 mila metri quadrati di appezzamenti agricoli sui quali doveva sorgere entro il 2012 valgono almeno 20 milioni di euro. Cambieranno proprietario, c' è da scommettere, i terreni per la produzione di vino Monte Tabor a Illasi (paese natale del sacerdote). Ma nella fondazione Monte Tabor, al vertice del gruppo, chi ha gestito in questi anni soldi, meriti e (oggi) debiti? L' organigramma è coperto da un alone di riservatezza. Si sa che don Luigi Verzè (91 anni) è il presidente del Cda, così come Mario Cal (71 anni) è il vicepresidente. Il banchiere Carlo Salvatori è la new entry del 2009, con le deleghe sul piano di risanamento (previsti l' arrivo di nuovi soci e la trasformazione della fondazione San Raffaele in Spa). Gli altri esponenti del vertice? Ancora una volta compare Roberto Cusin (70 anni) e ci sono Laura Ziller (66), responsabile dell' ospedale brasiliano São Rafael, e Gianna Zoppei (60), sovrintendente sanitario del polo ospedaliero. Infine, Ennio Doris (70), il gran capo di Banca Mediolanum, uomo di finanza, oggi costretto a un profilo bassissimo per la piega che ha preso la crisi del San Raffaele. Mario Gerevini mgerevini@corriere.it Simona Ravizza sravizza@corriere.it **** I beni verso la cessione **** 30 Aprile la data entro la quale sarà completato il piano di risanamento dell' ospedale San Raffaele **** 900 Milioni di debito accumulati dall' ospedale San Raffaele. Ammonta a 400 milioni il debito con i fornitori **** 64 Milioni Il patrimonio netto del San Raffaele nel 2008. Nello stesso anno i debiti erano già arrivati a 690 milioni **** 137 **** 57 Mila I ricoveri annuali per un totale di 1.083 posti letto e 8 milioni di prestazioni ambulatoriali **** 575 I giorni di attesa per i pagamenti dei fornitori nei primi mesi del 2011. Nel 2010 erano 520 Gerevini Mario ___________________________________________________ Corriere della Sera 9 Apr. 2011 GLI ULTRASUONI CHE AGGIUSTANO LE OSSA Le onde acustiche pulsate a bassa intensità servono a riparare le fratture che tardano a guarire MILANO - Per saldare le ossa rotte che non ne vogliono sapere di riaggiustarsi in tempi ragionevoli possono tornare utili gli ultrasuoni pulsati a bassa intensità, una terapia non invasiva che ha ricevuto l’approvazione del National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) un’organizzazione del sistema sanitario inglese. L’ente britannico ha infatti comunicato lo scorso dicembre che esistono ormai le prove per dire che questa tecnologia è sicura ed efficace, in particolare nei casi di fratture definite dagli esperti "non-union", che tardano a consolidarsi. Gli ultrasuoni pulsati a bassa intensità possono dunque essere suggeriti dai medici come terapia a quei pazienti ritenuti adatti a riceverla dopo averli adeguatamente informati e averne raccolto il consenso. DATI DISPONIBILI - Una commissione di esperti del NICE, prima di promuovere a pieni titoli la terapia, ha esaminato studi e casi in cui questa è stata applicata per un totale di 1.900 pazienti. I dati considerati danno prova di efficacia e sicurezza degli ultrasuoni nei casi di fratture recenti e non consolidate. In alcuni studi il ricorso a questa procedura riduceva del 34 per cento il tempo di guarigione rispetto al gruppo di controllo, mentre in una serie di casi clinici registrati, circa 1.300, la percentuale di guarigione era mediamente dell’89 per cento. In tutti gli studi analizzati, inoltre, l’utilizzo di ultrasuoni pulsati non aveva provocato effetti collaterali di rilievo. ULTRASUONI E FRATTURE - Gli ultrasuoni, onde acustiche ad alta frequenza, agiscono stimolando la crescita e l’attività delle cellule responsabili della formazione dell’osso, a livello della rottura. In questo modo accelerano il processo di risanamento. La terapia presa in esame dal NICE consiste, in pratica, nel posizionare una sonda, generatrice delle onde in questione, sulla pelle in corrispondenza della lesione ossea. La durata del trattamento, che può essere fatto anche a domicilio, è di circa 20 minuti al giorno e, per arrivare a completa guarigione, il tempo stimato va delle poche settimane a qualche mese. L'FDA ha approvato già dal 1994 l’impiego degli ultrasuoni pulsati a bassa intensità per riparare le fratture recenti, successivamente nel 2000 la pratica è stata estesa anche alle fratture non-union. Quest’ultima definizione, secondo l’ente statunitense, comprende tutte quelle rotture ossee che non guariscono entro 6 mesi dal trauma. Il mancato consolidamento della frattura può essere dovuto a un’infezione o a un’inadeguata attivazione del processo di riparazione dell’osso per via dell’età del paziente o della presenza di malattie come un’osteoporosi locale. Tutto ciò potrebbe quindi richiedere ulteriori e più complessi interventi medici a danno della qualità della vita del paziente e della funzionalità dell’arto coinvolto nella lesione, nonché un costo oneroso per il sistema sanitario. Il NICE riconosce dunque negli ultrasuoni pulsati a bassa intensità una valida opzione, efficace e non invasiva nella terapia di questi traumi e fornisce, su questa procedura, un serie di linee guida ricca di informazioni che aiutano il paziente, insieme col medico, a decidere consapevolmente se avvalersene o meno. Cristina Gaviraghi ______________________________________________________ Il Giornale 6 apr. ’11 LE DONNE CONSUMANO IL 30% IN PIÙ DI FARMACI Le donne sono le maggiori utilizzatrici di farmaci, con consumi superiori del 20-30% rispetto agli uomini. Non solo: sono anche le prime consumatrici di integratori alimentarie rime di botanici, con circa il 40% in più di mariti e fidanzati. Nonostante questo, i medicinali sono poco studiati nel «gentil sesso»: sia gli studi clinici che preclinici sono eseguiti pre-valentemente su soggetti maschi e giovani. Per evidenziare le più importanti problematiche connesse a questo argomento è nato il volume «Farmacologia di genere», edito dalla Casa editrice SE- Ed con il patrocinio della Società italiana di farmacologia (Sif), presentato ieri al Senato. I grandi trial clinici per lo studio di terapie contro disturbi cardiovascolare - si legge nel volume - non hanno mai arruolato più del 26-36% di donne, rimanendo molto spesso, quindi, al di sotto della potenza statistica necessaria a evidenziarezioni che possano anticipare le reali caratteristiche di efficacia e di sicurezza in condizione d'uso sull'intera popolazione. Inoltre, il pregiudizio di genere spiega, almeno parzialmente, la maggiore frequenza e gravità delle reazioni avverse nelle donne rispetto agli uomini. Per cercare di superare questo gap di conoscenze è nata la farmacologia di genere, che evidenzia se le risposte ai farmaci sono diverse fra uomini e donne, considerando le variazioni fisiologiche della donna, che avvengono in funzione della ciclicità della vita riproduttiva, dell'età e dell'uso di associazioni estro -progestiniche. «Attraverso questo libro - ha detto l'autrice Flavia Franconi, coordinatrice del dottorato di Farmacologia di genere dell'Università di Sassari e responsabile del gruppo Farmacologia di genere della Sif - ci siamo riproposti di diffondere gli elementi di base della farmacologia di genere, per dimostrare come le donne, anche dal punto di vista farmacologico e clinico, abbiano caratteristiche e reazioni assai diverse da quelle degli uomini». ______________________________________________________ Il Sole24Ore 6 apr. ’11 STRADE DIVISE TRA SCIENZE MOTORIE E FISIOTERAPIA Stop all'equipollenza fra la laurea in scienze motorie e quella in fisioterapia. L'aula del Senato ha approvato ieri in via definitiva il disegno di legge (AS 572-B) che abroga l'articolo 1-septies del Dl 250/2005, convertito dalla legge 27/2006. Questa norma stabiliva, appunto, che «il diploma dì laurea in scienze motorie è equipollente al diploma di laurea in fisioterapia, se il diplomato abbia conseguito attestato di frequenza ad idoneo corso su paziente». L'approvazione del Ddl senza modifiche, nella versione uscita dalla Camera, è stata motivata, come si legge nella relazione, dall'esigenza di concludere in tempi brevi una vicenda cominciata nel 2005, quando l'equipollenza fra i due titoli di studio fu inserita in corsa nella conversione di uno dei tanti D1 "omnibus". Il Ddl approvato ieri stabilisce che con decreto del ministro dell'Istruzione, da emanare entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge, per il conseguimento della laurea in fisioterapia da parte di laureati e studenti dei corsi di laurea in scienze motorie, saranno definiti: la disciplina del riconoscimento dei crediti formativi; h l'accesso al corso universitario in fisioterapia, nei limiti dei posti programmati in relazione al fabbisogno previsto, previo superamento della selezione. La disciplina del periodo di formazione e tirocinio sul paziente ______________________________________________________ Il Mattino 6 apr. ’11 TUMORI TIROIDEI NUOVE TERAPIE CON I FARMACI «INTELLIGENTI» La sperimentazione La sfida della Federico II: conoscere meglio la genetica del cancro L'appuntamento è per oggi alle 15 nella sala conferenze della Fondazione Sdn in via Gianturco. Martin Schlumberger, professore di Oncologia presso l'Università di Parigi, tra i maggiori esperti mondiali sul cancro della tiroide, terrà un seminano sulle nuove terapie «molecolari» peri tumori tiroidei, incontrando medici e ricercatori napoletani coinvolti nella sperimentazione di tali farà iaci. Il seminario sarà moderato dal professore Andrea Soricelli, dell'Università degli Studi di Napoli Parthenope e direttore Scientifico della Fondazione. Ad essere colpite dalle malattie della tiroide, le più frequenti fra quelle endocrine, sono soprattutto le donne (dal 5 al 7%). Ma, a fronte di un'elevata prevalenza di noduli, risulta invece bassa (circa il 5-10%) la percentuale di forme maligne, anche se risulta essere i crescita l'incidenza dei tumori tiroidei. La prognosi di questa patologia nella maggior parte dei casi, è ottima anche se, in alcuni casi, gli strumenti terapeutici tradizionali - chirurgia, terapia radiometabolica, chemioterapia e radioterapia - risultano scarsamente efficaci rendendo così la prognosi più sfavorevole. Tanti gli sforzi compiuti negli ultimi anni per ottenere farmaci and- tumorali con una maggiore efficacia terapeutica e minore tossicità. Sono chiamati farmaci «molecolari» o «intelligenti» perché agiscono selettivamente sulle vie essenziali per la crescita e la diffusione del tumore. In pratica è come se spegnessero l'interruttore sempre acceso nella cellula tumorale, lasciando intatta quella sana. Queste molecole hanno il «compito» di riparare la cellula tumorale invece di bombardare indiscriminatamente tutto il corpo, con un conseguente rischio di effetti collaterali importanti anche per altri organi non coinvolti dalla malattia. Tali farmaci, spesso assunti dal paziente come capsula una volta al giorno, sono privi dei più comuni effetti collaterali, consueti nelle terapie chemioterapiche convenzionali. Attualmente, è in corso una sperimentazione di farmaci specifici per i tumori della tiroide ed il carcinoma midollare tiroideo, presso il Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica dell'Università «Federico II» da parte del gruppo del professore Domenico Salvatore. «I risultati finora ottenuti sono già molto promettenti - spiega infatti Salvatore - la sfida è cercare di conoscere meglio la genetica del cancro e come essa differisce nella cellula sana. Questo ci permetterà di creare classi di farmaci intelligenti che impareremo a usare, combinandoli tra di loro, cosi da aumentarne lo spettro d'azione e quindi la loro efficacia». ______________________________________________________ Il Giornale 10 apr. ’11 CATARATTA, CHIRURGIA SENZA BISTURI NUOVE METODICHE ILLUSTRATE A SAN DIEGO Il laser a fetmosecondi consente di sostituire il cristallino con risultati di altissima precisione L'intervento ambulatoriale, del tutto indolore, può correggere anche i più diffusi difetti visivi Luigi Cucchi Durante il recente congresso internazionale di chirurgia oculare (ASCRS)tenutosi in California, a San Diego, sono stati confermati gli ottimi risultati clinici di una tecnica innovativa per la chirurgia della cataratta. Invitato al congresso il dottor Carlo Vanetti microchirurgo oculare di Milano, esperto nel trattamento della cataratta, al quale chiediamo di spiegarci quali sono i punti che caratterizzano questa nuova tecnologia. «Negli ultimi anni ho visto crescere continuamente il grado di raffinatezza e sicurezza della nostra chirurgia, ma solo recentemente si è intrapresa una nuova strada che consentirà molto presto l'intervento chirurgico senza bisturi. I nuovi laser a fetmosecondi aiuteranno il chirurgo ad effettuare sotto controllo computerizzato le necessarie micro incisioni sulla cornea ed ad aprire con estrema precisione l'involucro del cristallino per poi frammentarne il nucleo opaco agevolandone così la sua asportazione. La maggior parte dei ricercatori presenti al simposio hanno dichiarato di riconoscere in questa conquista tecnologica una nuova era per la chirurgia oculare, personalmente sono convinto che tra non molto questa nuova metodica prenderà sempre più spazio uscendo dalla attuale fase di sperimentazione clinica per adattarsi alle caratteristiche personali di una buona parte dei pazienti affetti da cataratta». «La FDA americana - ci conferma il dottor Vanetti membro della American Society of cataract and refractive surgery (ASCRS) - ha approvato recentemente la sperimentazione clinica di questi laser ed entro la fine del - l'anno partirà la loro commercializzazione sia negli USA sia in Europa. Tengo a precisare - conclude il dottor Vanetti - che come ogni nuova tecnologia applicata alla microchirurgia oculare, anche questa dovrà essere guidata da mani esperte ed utilizzata, soprattutto nella prima fase di sviluppo, con grande buon senso da parte del chirurgo dopo un'attenta selezione clinica del paziente». Il dottor Vanetti, che dirige il centro di microchirurgia oculare di Milano con la sua esperienza di più di 15mila interventi di cataratta, partecipa direttamente all' evoluzione di questa tecnica e ne coglie appieno tutti gli aspetti. La chirurgia della cataratta è statisticamente l'intervento più frequente dopo il parto, in Italia ogni anno vengono effettuati circa 500mila interventi ed è prevista una sua ulteriore crescita per via del naturale invecchiamento della popolazione. Oggi è una chirurgia molto sicura che si esegue ambulatorialmente in anestesia locale con il solo uso di gocce di collirio, è totalmente indolore e permette un pronto recupero visivo già dopo qualche ora. Durante l'intervento viene sostituito il cristallino opaco con una lente intraoculare artificiale che, nella maggior parte dei casi, permette di correggere anche i difetti visivi preesistenti come miopia, ipermetropia ed astigmatismo. A chi cercasse ulteriori notizie ed approfondimenti consigliamo di visitare il sito specifico: www.lacataratta. it dove è possibile trovare risposte e suggerimenti pratici per affrontare l'intervento nel modo più sicuro ed affidabile. «Altre interessanti novità - ci informa il dottor Vanetti - riguardano la chirurgia del glaucoma che da qualche tempo si avvale dell'impianto di una micro valvola grande come la capocchia di un cerino, che consente lo scarico dell'umore acqueo prodotto in eccesso riducendo così la pericolosa ipertensione oculare tipica dei pazienti affetti da glaucoma. Anche questa tecnica viene eseguita ambulatorialmente in anestesia locale con gocce di collirio e fino ad ora sembra dare dei buoni risultati riducendo le possibili complicanze. L'oftalmologia incide sempre più nella correzione dei difetti come miopia, astigmatismo ed ipermetropia, le tecniche PRK e LASiK con laser ad eccimeri hanno raggiunto una precisione ed una affidabilità invidiabili. Le nuove generazioni di laser e le apparecchiature diagnostiche computerizzate aiutano a selezionare meglio i pazienti adatti e a personalizzare il loro trattamenti. La durata dell'intervento è di qualche minuto ed il recupero visivo è rapido e duraturo anche se in alcuni casi avviene con qualche fastidio che può durare dalle ventiquattro alle settantadue ore. Ancora numerose sono le strade per arrivare ad un risultato condiviso e sicuro. Gli oculisti di tutto il mondo sono pronti a recepire le metodiche più efficaci per i pazienti. ______________________________________________________ Corriere della Sera 10 apr. ’11 ALLARME OSPEDALI NEL 2015 MANCHERANNO QUASI OTTOMILA MEDICI Sanità Ginecologi e pediatri, già oggi è emergenza Poche borse di studio per le specializzazioni Gli ospedali si svuotano: ci sono più pensionamenti che nuovi ingressi in corsia. Così — viste le tabelle con i pochi contratti post-laurea appena assegnati per l'ennesima volta dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) — i ginecologi Enrico Ferrazzi (Buzzi) e Luigi Fedele (Mangiagalli) fanno un salto sulla sedia: «Con i medici che formiamo in Lombardia non riusciremo più neppure a fare partorire le donne: tra Milano e Monza ci vengono concesse Solo 20 borse di studio a fronte di 20 mila parti l'anno». Non sono i soli a essere preoccupati. Entro il 2015 mancheranno all'appello 7.60o medici (il 40% di quelli attualmente al lavoro nelle corsie lombarde). È la stima fatta ieri dal Pirellone in occasione di un incontro tra il governatore Roberto Formigoni, i rettori delle sei facoltà di Medicina e il sottosegretario all'Università e alla Ricerca, Alberto Cavalli. Insufficienti. Sono solo 75o i posti messi a disposizione dal Miur nelle Scuole di specializzazione della Lombardia. È un numero che non basta a coprire il turnover innescato dall'ondata di pensionamenti prevista per i prossimi anni. Con l'età dei medici in rialzo, entro il 2015 smetteranno di lavorare almeno 11.350 camici bianchi. Mentre le borse di studio da 3o mila euro l'anno ciascuna finanziate dal Miur permetteranno l'entrata di appena 3.75o futuri professionisti. E i conti sono presto fatti: «Regione Lombardia ha già chiesto di avere 527 borse di studio in più dal ministero dell'Università — dice il governatore Roberto Formigoni —. I posti annui per gli specializzandi non bastano». E un problema che si trascina da tempo. Il ministero guidato da Mariastella Gelmini decide ogni anno i contratti da assegnare alle Scuole di specializzazione, ma il loro numero limitato anche per motivi economici non soddisfa il fabbisogno degli ospedali della Lombardia (e non solo: il problema, infatti, è stato denunciato più volte anche a livello nazionale). Già nell'aprile 2009 il preside della facoltà di Medicina della Statale, Virgilio Ferruccio Ferrarlo, denunciava: «E necessario un cambiamento di rotta». Una questione sollevata anche a nome dei suoi cinque colleghi lombardi Lorenzo Alessio (Brescia), Alberto Calligaro (Pavia), Paolo Cherubino (Università dell'Insubria), Antonio Scala (Vita-Salute San Raffaele) e Andrea Stella (Università di Milano- Bicocca). E ora la protesta viene raccolta dal Pirellone. Nei prossimi giorni sarà attivato un tavolo tecnico tra la Regione Lombardia e le sei facoltà di Medicina. Allo stesso tempo saranno avviati contatti con i ministeri dell'Economia, della Salute e dell'Università per sollevare il tema a livello nazionale. Ribadisce Formigoni: «La questione della carenza del personale medico nei prossimi anni è particolarmente importante. E necessario rinegoziare il numero di posti per gli specializzandi e valutare l'aumento del numero di contratti regionali». Il Pirellone, comunque, ha già cominciato a correre ai ripari con le linee guida per il 2011: per aumentare le borse di studio messe a disposizione dal ministero dell'Università sono stati finanziati 5 milioni di euro. Del resto, in corsie come quelle pediatriche, l'emergenza si tocca già con mano: i concorsi vanno deserti, sostituire una collega in maternità si trasforma in un'odissea, idem rimpiazzare chi va in pensione. __________________________________________ Le Scienze 9 Apr. ‘11 IN POCO TEMPO LO SVILUPPO DELLE PLACCHE ATEROSCLEROTICHE Il risultato è stato ottenuto con un'ingegnosa tecnica di datazione al carbonio 14, che ha consentito di datare le lesioni aterosclerotiche Le placche aterosclerotiche si formano in un tempo abbastanza breve, di 3-5 anni, e in una fase tardiva dell'esistenza: è quanto affermano in un articolo pubblicato sulla rivista PLoS ONE i ricercatori del Karolinska Institutet, in Svezia. Il risultato è stato ottenuto con un'ingegnosa tecnica di datazione al carbonio 14, utilizzato da molto tempo in archeologia e in geologia, andando a cercare i residui di questo isotopo presenti in atmosfera, la cui abbondanza è cresciuta rapidamente in seguito ai test atomici a terra eseguiti negli anni Cinquanta e Sessanta per poi diminuire in modo graduale. Ora proprio questo fenomeno può essere sfruttato per determinare quando è stato sintetizzato un tessuto biologico, anche in epoca relativamente recente. Gli studiosi hanno raccolto campioni di placche aterosclerotiche durante gli interventi chirurgici per stenosi dell'aorta effettuati presso lo Stockholm South General Hospital (Södersjukhuset). I pazienti erano stati ricoverati a causa delle lesioni carotidee che ostruivano il flusso sanguigno verso il cervello, causando i sintomi del cosiddetto attacco ischemico transitorio (TIA) che in alcuni casi ha portato all'ictus. “Quello che ci aspettavamo era che le placche fossero notevolmente più vecchie. I pazienti avevano un'età media di 68 anni all'epoca degli interventi, mentre le placche non erano più vecchie di 10 anni”, ha spiegato Johan Björkegren, che ha guidato lo studio per il Dipartimento di biochimica e biofisica. Un altro dato estremamente interessante è la limitata variabilità dell'età delle placche, il che fa ipotizzare che la loro formazione sia avvenuta durante un periodo di tempo relativamente breve e entro pochi anni prima dell'operazione. Se queste conclusioni verranno confermate, potrebbe aprirsi una nuova prospettiva terapeutica per l'interruzione della formazione delle lesioni aterosclerotiche prima che vi siano manifestazioni cliniche. (fc) __________________________________________ Le Scienze 6 Apr. ‘11 LA MEDITAZIONE CONTRO IL DOLORE Un breve addestramento alla meditazione può ridurre drasticamente la sensazione di dolore sia l'attivazione cerebrale correlata al dolore Le tecniche di meditazione sono effettivamente in grado di indurre notevoli effetti analgesici: lo attesta uno studio condotto Wake Forest Baptist Medical Center Meditation i cui risultati sono pubblicati in articolo sul Journal of Neuroscience. "Questo è il primo studio che mostra che un breve addestramento alla meditazione può ridurre drasticamente la sensazione di dolore sia l'attivazione cerebrale correlata al dolore", ha detto Fadel Zeidan, primo autore dell'articolo. Per lo studio 15 volontari sani che non avevano mai praticato attività di meditazione, hanno seguito quattro lezioni di 20 minuti ciascuna per apprendere la tecnica cosiddetta di attenzione focalizzata, una forma di meditazione in cui le persone sono invitate a concentrarsi sul proprio respiro distraendole da pensieri ed emozioni. Prima e dopo le lezioni l'attività cerebrale dei volontari è stata controllata con una particolare tecnica di visualizzazione, la risonanza magnetica ASL (arterial spin labeling magnetic resonance imaging) che permette di rilevare processi cerebrali di più lunga durata rispetto a quella standard. Durante la scansione un'apparecchiatura posta sotto la gamba destra dei soggetti produceva per 5 minuti su una piccola area della loro pelle un calore dolorifico, raggiungendo una temperatura di 50 °C, che nella maggior parte delle persone provoca dolore. Le scansioni successive alle sedute di meditazione mostravano una riduzione del livello del dolore provato dai partecipanti variabile fra l'11 e il 93 per cento. In particolare le scansioni hanno messo in evidenza una riduzione significativa dell'attività della corteccia somato-sensoriale, un'area fortemente coinvolta nella genesi della sensazione di dolore. La ricerca ha anche evidenziato che la meditazione aumentava l'attività in altre aree, fra cui quella del cingolo anteriore, dell'insula anteriore e della corteccia fronto-orbitale. "Tutte queste aree plasmano il modo in cui il cervello costruisce l'esperienza del dolore a partire dai segnali nervosi provenienti dal corpo", osserva Robert C. Coghill, che ha diretto la ricerca. "Quanto più queste aree erano attivate, quanto più risultava ridotta la sensazione di dolore. Una delle ragioni per cui la meditazione può essere stata così efficace nel bloccare il dolore è che non agisce su una singola regione del cervello, ma su più livelli del processo." (gg) ___________________________________________________ Corriere della Sera 9 Apr. 2011 INDAGATO PER INTERVENTI «INUTILI» INCHIESTA IL CHIRURGO SPAGGIARI: MILLE CASI ALL' ANNO NEL MIO REPARTO, HO SEGUITO I PROTOCOLLI INTERNAZIONALI Medico Ieo: rispettate le regole Denunce per due operazioni ai polmoni, il pm ordina perizie Il noto chirurgo toracico Lorenzo Spaggiari, 51 anni, finisce nel registro degli indagati. L' hanno denunciato due pazienti che l' accusano di interventi inutili/dannosi. Il fascicolo aperto dalla Procura di Milano è in mano al pm Maurizio Ascione che procede, però, con estrema cautela anche per il curriculum vitae del medico coinvolto: non solo Spaggiari guida dal 2003 la Chirurgia toracica dell' Istituto europeo di oncologia, ma è anche professore associato dell' Università Statale, dopo avere lavorato dal 1988 al 1994 a Parma ed essere stato all' estero come visiting research fellow (ospite): a Madrid nel ' 90, a Parigi nel ' 91, a Bordeaux nel ' 92. Assicura Spaggiari: «Rifarei tutto. E l' inchiesta dimostrerà che io ho lavorato nel rispetto delle linee guida nazionali ed internazionali nell' interesse esclusivo della vita dei pazienti». Ieo nella bufera dopo l' articolo pubblicato ieri da il Giornale. L' inchiesta vuole fare luce su accuse pesanti per presunte lesioni aggravate. Le operazioni, costate 40 mila euro, sono state eseguite fuori dal servizio sanitario nazionale. Il primo esposto lo presentano i familiari di una donna di 60 anni operata nel gennaio 2008 e adesso deceduta. È contestata l' asportazione del polmone sinistro, definita inutile/dannosa sulla base degli esami eseguiti dopo l' operazione. Il chirurgo Spaggiari entra nei dettagli: «Dopo avere eseguito tutti gli esami del caso (Tac, Pet e broncoscopia, ndr), propongo alla donna l' intervento. La paziente ci pensa 12 giorni e poi decide di entrare in sala operatoria - racconta il chirurgo -. Il referto della biopsia eseguita durante l' operazione su un linfonodo sentinella parla di un tipo di tumore definito non microcitoma (ossia non a piccole cellule). I protocolli, in questi casi, prevedono l' asportazione del polmone». Dalla biopsia post operatoria - su una parte di tessuto polmonare più ampia - emerge invece che il tipo di tumore era di una forma mista microcitoma/non microcitoma. Di qui la contestazione: «Ma io non avrei potuto comportarmi in modo diverso - sottolinea Spaggiari -: ho eseguito le indicazioni della diagnosi intra-operatoria». L' altro esposto è di un paziente napoletano di 70 anni con un nodulo di 2 centimetri e altri micro-noduli polmonari. L' uomo presenta la denuncia dopo avere scoperto che il tumore asportato era benigno: «Ma nessuno gli aveva mai detto il contrario - spiega Spaggiari -. Il problema è che senza intervenire non si poteva avere la diagnosi. E, in ogni caso, il nodulo andava asportato».Gli esposti dei pazienti sono supportati da perizie. Ma per gli stessi consulenti tecnici d' ufficio (Ctu) è troppo presto per arrivare a conclusioni accusatorie. «Nel mio reparto vengono eseguiti mille interventi l' anno - dice Spaggiari -. Può capitare di inciampare in denunce, ma sono sicuro che le accuse si dimostreranno infondate. Nel frattempo i malati che abbiamo in cura si preoccuperanno inutilmente». Dallo Ieo ribadiscono: «Entrambi i pazienti gestiti senza alcuna irregolarità». Simona Ravizza sravizza@corriere.it **** La scheda Il medico Lorenzo Spaggiari, 51 anni, guida dal 2003 la Chirurgia toracica dell' Istituto europeo di oncologia (Ieo). È professore associato dell' Università Statale, dopo avere lavorato dal 1988 al 1994 a Parma ed essere stato all' estero come visiting research fellow (ospite): a Madrid nel ' 90, a Parigi nel ' 91, a Bordeaux nel ' 92 L' inchiesta Due esposti di pazienti per interventi inutili/dannosi hanno spinto la Procura di Milano ad aprire un fascicolo per presunte lesioni aggravate. L' inchiesta è in mano al pm Maurizio Ascione La difesa Lo Ieo è nella bufera dopo l' articolo pubblicato ieri da il Giornale. Ma il chirurgo si difende: «Rifarei tutto. E l' inchiesta dimostrerà che io ho lavorato nel rispetto delle linee-guida nazionali ed internazionali nell' interesse esclusivo della vita dei pazienti». Anche lo Ieo lo difende: «Nessuna irregolarità» Ravizza Simona ___________________________________________________ Corriere della Sera 5 Apr. 2011 IL VACCINO CHE PUÒ SALVARE DALL' ALZHEIMER RICERCA. VIA ALLA SPERIMENTAZIONE IN QUATTRO CENTRI ITALIANI, DIAGNOSI PRECOCE SUL LIQUOR DEL MIDOLLO SPINALE Giancarlo Comi «Bisognava arrivare a una vaccinazione selettiva senza reazione infiammatoria cellulare» Lo studio L' ipotesi: fra i fattori scatenanti anche virus cerebrali della famiglia dell' Herpes MILANO - Un «vaccino» per l' Alzheimer. Possibile grazie a un sistema di diagnosi precocissima sul liquor del midollo spinale. La sperimentazione è partita in 60 centri al mondo, quattro italiani. Tra cui il San Raffaele di Milano. Ne parla il francese Bruno Dubois durante il Brain Forum in corso a Milano (oggi la giornata di chiusura) nella giornata dedicata all' Alzheimer. Giancarlo Comi, direttore del Dipartimento di neurologia e dell' Istituto di neurologia sperimentale del San Raffaele è il padrone di casa. Ed è ottimista sull' Alzheimer e sulla sclerosi multipla (Sm): «Abbiamo finalmente la disponibilità di terapie che vanno ad attaccare la malattia nei suoi santuari, nei punti nevralgici. E il più precocemente possibile». Per fare questo, la novità è lo studio di criteri e metodi di diagnosi che anticipino i sintomi, che anticipino i tempi delle diagnosi attuali nell' Alzheimer come nella Sm. Ecco le immuno-terapie. Nella malattia di Alzheimer, si deve bloccare la deposizione di placche senili (concentrazione di beta-amiloide nei neuroni) e di fibre di proteine Tau. La «vaccinazione» è contro la beta- amiloide. Nelle prime sperimentazioni però si è visto che nei pazienti l' amiloide era rimossa, ma c' era un rischio di encefaliti. Questo a causa dei processi infiammatori legati all' immunità indotta. C' è stata allora una battuta d' arresto. «Bisognava arrivare a una vaccinazione selettiva senza reazione infiammatoria cellulare», aggiunge Comi. Sono stati trovati. Sugli animali hanno funzionato, e si è partiti sull' uomo. Tra le limitazioni: si tratta di una vaccinazione continua e manca evidenza assoluta che la rimozione dell' amiloide sia sufficiente. Infatti, pur bloccando l' amiloide non sempre vi è stato un miglioramento cognitivo. Spiega Comi: «In realtà si agiva troppo tardi. Allora, invece di vaccinare, si è provato con un anticorpo anti-amiloide». Ottenendo la stessa rimozione, senza però vaccinare in continuazione. Bisogna ora vedere se si associa a un miglioramento clinico. Lo studio è partito. Si chiama Scarlet Rode. Obiettivo: testare l' efficacia di gantenerumab, un anticorpo umanizzato somministrato su 360 pazienti, per due anni con iniezioni sottocute mensili di 105 milligrammi a un gruppo e di 225 a un altro. Un terzo gruppo riceve placebo (nessun farmaco). Ma importante: per la prima volta si va a utilizzare anche un marker di alterazione della beta amiloide liquorale. Cioè un segnale talmente precoce da precedere i primi sintomi della malattia stessa. Si va a vedere se nel liquor vi sono tassi ridotti di beta amiloide ha iniziato a depositarsi. Se non c' è non può essere Alzheimer. Dice Comi: «È la fase prodromica di malattia, è una potenzialità nuova, da esplorare. Molto promettente». L' evento avverso, in questo caso, sono delle micro-emorragie. Ma controllabili. Nel frattempo, la più vasta ricerca europea mai condotta sulle radici genetiche dell' Alzheimer (19 mila pazienti studiati, insieme a quasi 32 mila individui sani) ha individuato cinque geni associati alla malattia di cui quattro finora mai collegati al morbo. Secondo l' immunologo Federico Lìcastro dell' Università di Bologna, co- autore dello studio in pubblicazione sulla rivista scientifica Nature Genetics, la scoperta rafforzerebbe l' ipotesi che tra i fattori scatenanti l' Alzheimer possano esserci anche virus cerebrali della famiglia dell' Herpes. Attualmente il gruppo di ricerca di Licastro, che vede impegnate anche le giovanissime Elisa Porcellini, pure lei co- autrice dello studio, e Ilaria Carbone, sta lavorando ad una verifica sperimentale di questa ipotesi. «Stiamo cercando di scovare i virus della famiglia Herpes nelle cellule del cervello dei malati di Alzheimer - spiegano -. L' ideale sarebbe affiancare la ricerca sulle cellule umane con studi sugli animali». Nell' eventualità che l' ipotesi «infettiva» dovesse trovare conferma si aprirebbero nuove prospettive di prevenzione e cura. E tornerebbe in campo la vaccinazione precoce nei bambini o il trattamento dei malati con farmaci antivirali. L' Alzheimer è oggi la forma più frequente di demenza senile: entro gli 85 anni ne viene colpita una donna su cinque e un uomo su dieci. Mario Pappagallo Pappagallo Mario ____________________________________________________ Corriere della Sera 9 Apr. 2011 I MEDICI NON DEVONO OPERARE I PAZIENTI SENZA SPERANZA La Cassazione: inutile accanimento, anche con il consenso ROMA — C’è un confine da non oltrepassare. Dove tutti si devono fermare. I familiari, con le loro esili aspettative. Il malato, pronto a subire l’intervento pur di ritagliare un altro pezzettino di vita. E soprattutto il chirurgo. Ad ordinarglielo è una sentenza della Cassazione che stabilisce in modo perentorio un principio. Gli interventi chirurgici il cui esito è senza speranza non devono essere tentati anche se esiste il consenso informato da parte del paziente. Dunque, scrivono i giudici, i medici che in queste situazioni vanno avanti agiscono «in dispregio al codice deontologico che fa divieto di trattamenti che costituiscono forme di inutile accanimento diagnostico terapeutico» . Condannati tre professionisti dell’ospedale San Giovanni di Roma, già noti per il loro atteggiamento di apertura di fronte a casi giudicati inoperabili da altri colleghi. Situazioni limite, quando in gioco ci sono tumori in stadio avanzato e una manciata di mesi di sopravvivenza. Allora si pone una scelta. Andare avanti o mettere un freno? Il primario Cristiano Huscher e i suoi assistenti Andrea Mereu e Carmine Napolitano risposero di sì quando fecero entrare in sala operatoria una donna di 44 anni, mamma di due bambine, con un tumore al pancreas già in fase metastatica. L’endoscopia aveva mostrato quanto la malattia fosse ormai diffusa. Ogni cura sarebbe stata vana. Era il 2001. La signora Gina morì al San Giovanni la notte dell’ 11 dicembre per un’emorragia, poche ore dopo aver subito l’asportazione delle ovaie e parte del tumore. Nel tentativo di rianimarla le fratturarono sterno e due costole. I tre chirurghi sono stati condannati in appello per omicidio colposo a un anno di reclusione (Huscher) e 10 mesi i suoi colleghi. Il reato è andato in prescrizione perché sono passati più di 7 anni. Ma La Corte suprema, IV sezione penale, ha confermato la loro colpevolezza disponendo il risarcimento della famiglia. Una sentenza che respinge duramente ogni forma di accanimento chirurgico: «Nel caso concreto date le condizioni indiscusse e indiscutibili della paziente, alla quale restavano pochi mesi di vita e come tale andava ritenuta inoperabile non era possibile fondatamente attendersi un beneficio per la salute e o un miglioramento della qualità di vita» . E questo malgrado la donna avesse espresso il suo consenso, determinata a tentare l’impossibile pur di guadagnare giorni da dedicare alle figlie. Per il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella il punto critico è il consenso informato: «È necessario, ma non sufficiente. Comincia ad esserci un’idea dell’autodeterminazione che può finire per squilibrare l’alleanza terapeutica medico paziente» . Secondo Rocco Bellantone, segretario della società italiana di chirurgia, sono urgenti «leggi specifiche sull’atto medico. Assurdo limitarsi al codice Rocco» . Perplesso Pietro Forestieri, presidente del Collegio italiano dei chirurghi: «È difficile stabilire se l’intervento è senza speranza perché dipende anche dall’abilità dell’operatore» . Amedeo Bianco, presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo) non si sbilancia: «Una cura va valutata anche rispetto all’obiettivo del medico che potrebbe avere scopi palliativi giusti o prevenire conseguenze drammatiche per la qualità di vita del paziente» . «Può essere difficile decidere di fermarsi — spiega Ignazio Marino, presidente della commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario— ma a volte bisogna farlo. Questo non significa che la temerarietà degli interventi è condannabile di per sé: se ci si fosse fermati al primo trapianto di fegato fallito, oggi non potremmo salvare decine di migliaia di vite» . Margherita De Ba QUELL’ALT DEI GIUDICI ALLA CHIRURGIA ESTREMA di ADRIANA BAZZI Gli interventi chirurgici il cui esito è senza speranza non devono essere tentati anche se esiste il consenso del paziente. L’ha stabilito la Cassazione. Ma sono i medici, a questo punto, che si devono interrogare sui limiti della «medicina estrema» «A VOLTE PER SOLDI QUALCUNO SI LASCIA PRENDERE LA MANO» ROMA— Massimo Martelli, primario della divisione della chirurgia toracica del Forlanini di Roma, condivide la sentenza della Corte di Cassazione: «Non si opera tanto per operare. Ogni intervento deve portare al raggiungimento di un risultato. Non necessariamente la guarigione o il prolungamento della vita ma, ad esempio, la riduzione di un sintomo che procura sofferenze insopportabili. Non credo però questo sia il caso di cui stiamo parlando. Un tumore al pancreas presuppone soluzioni radicali» . Lei cosa avrebbe fatto? «È impossibile stabilirlo in linea teorica. Il chirurgo prende le sue decisioni sulla base di quello che ritiene più opportuno nel bene della persona. L’importante è che venga sempre spiegato per quale motivo ha scelto di operare o, al contrario, di non andare avanti. Bisogna parlare con chiarezza e trasparenza e indirizzare il paziente verso la scelta migliore per se stesso» . Quale dovrebbe essere secondo lei l’obiettivo di un buon chirurgo? L’aumento della sopravvivenza? «No, io credo che per prima cosa bisogna pensare alla qualità della vita della persona. Faccio un esempio relativo al tumore al polmone. Se c’è un versamento pleurico io opero anche se la prognosi è di cinque o sei mesi di sopravvivenza. In questo caso infatti evito inutili dolori. Chirurgia palliativa. L’importante è non illudere i familiari» . Fra i suoi colleghi c’è la tendenza all’accanimento terapeutico? «Sì, sono convinto che a volte ci si lascia prendere la mano ed è un fatto gravissimo. Ciò succede anche per il sistema retributivo non solo di cliniche private ma anche ospedaliero. E poi bisogna dimostrare al direttore generale che il reparto produce, che funziona. Da qui la tentazione di operare non sempre in modo appropriato. Situazioni comunque molto difficili da provare» . Dove si deve fermare la mano del chirurgo? «Di fronte a operazioni demolitive, radicali» . M. D. B «SCELTE MOTIVATE NON SI INTERVIENE PER FAR NUMERO» ROMA — «Mi è difficile pensare che un collega operi così, tanto per fare numero. Senza un obiettivo. Non voglio giustificare nessuno e non conosco questa storia specifica. Però ogni iniziativa del chirurgo è sorretta in genere da buone motivazioni» . Paolo Sammartino si occupa di carcinosi peritoneale al Policlinico Umberto I, in uno dei centri all’avanguardia in Italia per il trattamento di una patologia che da non molti anni può essere trattata in modo chirurgico. Ecco allora che il medico deve fare scelte impegnative, dal punto di vista tecnico e soprattutto deontologico. Dunque lei non è convinto dei contenuti della sentenza? «Non posso entrare nel merito. A volte il chirurgo è obbligato a operare anche in presenza di patologie senza speranze perché si tratta di una situazione d’emergenza, ad esempio una perforazione. In altre parole, non si può fare di tutta l’erba un fascio e affermare che quando la malattia non concede speranze il bisturi si deve fermare. E poi ripeto, chi svolge la nostra professione in una struttura pubblica non può essere sospettato di avere altri interessi. Vediamo tutti casi limite, complicati» . E se è il paziente che spinge per essere comunque operato anche quando i chirurghi non sono favorevoli? La storia al centro della sentenza della Cassazione riguarda una mamma con due figlie che avrebbe fatto di tutto per guadagnare qualche giorno di vita. «Assolutamente no, non si possono accettare condizionamenti di questo genere. Non siamo dei barbieri. Il medico non è un esecutore. E se ottiene dal paziente indicazioni contrarie a quello che lui ritiene più appropriato significa che ha già sbagliato, che non è stato sufficientemente chiaro» . Allora quando si dovrebbe tirare il freno? «Operare è inutile se non serve a migliorare la sopravvivenza. In questo caso bisogna avere il coraggio di fare un passo indietro» . M. D. B ____________________________________________________ Corriere della Sera 9 Apr. 2011 METASTASI IN FUGA PER EVITARE LA CURA SCOPERTO FARMACO CHE LE BLOCCA E’ made in Italy il primo microchip che isola le cellule tumorali circolanti nel sangue periferico e consente di prevedere l’evoluzione della malattia. E’ stato presentato pochi giorni fa al congresso di Orlando dell’American association of cancer research (Aacr). Il corrispettivo americano dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). L’Istituto romagnolo dei tumori (Irst), sede a Meldola, ha presentato i risultati della sperimentazione della tecnologia DepArray, dell’italiana Silicon Biosystems. Un micro-laboratorio in grado di isolare, identificare, manipolare e recuperare, vitali e pure al 100%, quelle rarissime cellule maligne sparse nel sangue del paziente. Il detective, lo 007 dei medici, è un microchip di un centimetro per un centimetro. Scopre la cellula e la mette a disposizione degli oncologi che così possono indagare sull’evoluzione della malattia e personalizzare gli interventi. Sul paziente e sulle sue cellule malate, smascherate in vitalità, staminalità, capacità d’infiltrazione, sensibilità e resistenza a chemio e radio-terapia. I nostri ricercatori hanno battuto sul tempo gli americani del Massachusetts General Hospital di Boston e quelli di altri centri, da tempo impegnati nel mettere a punto un chip analogo. Non è l’unica novità griffata Italia. Dalla Romagna al Piemonte. Il 4 aprile, l’autorevole Journal of the National Cancer Institute ha pubblicato, con risalto, un lavoro dell’Istituto dei tumori di Candiolo (Torino). Un team guidato da Carla Boccaccio, Pietro Gabriele e Paolo Comoglio ha scoperto come alcune cellule tumorali bersagliate dalla radioterapia mettono in atto procedure d’emergenza che ne favoriscono la sopravvivenza e addirittura la «fuga» dal campo minato, dai raggi per loro letali. Uno di quei trucchi che fa dire ai medici che il tumore è diventato resistente alle cure. Vanificando i successi terapeutici iniziali. Per fortuna non accade sempre. I ricercatori torinesi, però, non si sono fermati all’osservazione. Hanno anche individuato il modo di inattivare il sistema d’emergenza del tumore e la conseguente «fuga» dalla zona letale di quelle cellule che poi generano le metastasi. Comandante del sistema di difesa del cancro è l’onco-gene Met. Fattore essenziale per lo sviluppo embrionale, noto da tempo per la sua capacità di promuovere la sopravvivenza e la disseminazione delle cellule tumorali. I ricercatori hanno quindi sperimentato un farmaco capace di bloccare Met durante la radioterapia. Risultato: le cellule maligne sono diventate incapaci di mettere in atto il meccanismo di autodifesa dalle radiazioni. E adesso sono partiti gli studi clinici sull’uomo. Tra tre anni potrebbe essere strategia vincente. Lo studio rientra tra i progetti di ricerca finanziati dall’Airc. Sempre a Torino, alle Molinette, la radioterapia è diventata super intelligente e esa-dimensionale (in 6D). Elekta Axesse è il primo apparecchio del genere in Italia, il terzo in Europa. E’ in funzione nel reparto diretto da Umberto Ricardi. Abbina radiochirurgia e radioterapia stereotassica e mira solo i tessuti malati risparmiando i sani. Evoluzione di altre apparecchiature simili, già di per sé innovative. E’ il progresso che avanza. Imaging in 4D per prendere bene la mira e un sistema automatico (un lettino robotizzato) di ricentratura in 6D del paziente. Colpisce il bersaglio, e solo il bersaglio, anche se il corpo si muove come avviene mentre si respira. Abbinata al farmaco anti onco-gene Met potrebbe radicalmente cambiare le sorti della battaglia contro un nemico aggressivo e resistente. E, per concludere, ecco il Pap test «intelligente» . Un esame che individua le cellule tumorali e ne analizza anche il Dna. Scopre precocemente e con certezza superiore al 90%se una donna infettata dal papilloma possa avere un tumore. Tutto dipende da che tipo di papilloma virus provoca l’infezione. Il laboratorio elettronico messo a punto da Ikonisys permette di evidenziare il gene, di controllare un numero elevatissimo di cellule e di avere un risultato molto più preciso di quello di un Pap test tradizionale, anche se il prelievo iniziale è analogo: uno striscio locale con un tampone. Test approvati dall’agenzia americana per i farmaci (Fda) e rimborsati dal servizio sanitario nazionale. La tecnologia robotica CellOptics analizza kit diagnostici diversi per il cancro (onco Fish) e anche uno screening prenatale non invasivo per la sindrome di Down (fastFish fetal). Mario Pappagall ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 Apr. 2011 OSPEDALE VIRTUALE», RISCHIO CHIUSURA SANITÀ UN SISTEMA CREATO PER AIUTARE GLI ANZIANI E I MALATI CRONICI E LIMITARE I RICOVERI Pochi i fondi per l' assistenza domiciliare nella Asl Roma-A Una cinquantina di malati di tumore, Alzheimer e soggetti cronici rischiano di rimanere senza cure domiciliari nel IV Municipio (Colle Salario, Fidene, Talenti e Bufalotta). Infatti è scaduto e in attesa di essere rinnovato dalla Asl Roma-A il progetto ideato nel 2004 da un gruppo di medici di famiglia ribattezzato «l' Ospedale virtuale». L' obiettivo è quello di offrire una migliore qualità di vita ai cittadini più bisognosi, sia dal punto di vista sanitario che sociale, riducendo anche i costi della sanità pubblica, cresciuti negli anni in modo pazzesco. L' iniziativa, è stato fatto notare dai promotori, ha permesso di evitare centinaia di ricoveri negli ospedali, sempre super affollati e con liste d' attesa attesa infinite per trovare un letto libero. Ma il vantaggio più importante è stato che i pazienti sono potuti rimanere tra le mura domestiche beneficiando di un' assistenza qualificata e dell' affetto dei loro cari. «L' assistenza territoriale nel Lazio deve essere potenziata - ricorda Antonio Calicchia, presidente della cooperativa "Roma Medicina" - per aiutare concretamente le migliaia di malati, soprattutto cronici, oncologici, cardiopatici, affetti da demenze e soggetti non autosufficienti che spesso intasano i pronto soccorso». Nell' Ospedale virtuale il medico di famiglia, conoscendo la storia di ogni assistito, valuta caso per caso, in base alle esigenze del paziente e del suo contesto familiare. Ogni anno le cure a casa hanno raggiunto circa 150 malati del IV Municipio con una spesa di 1 milione di euro, «ma l' intesa tra la Cooperativa e la Asl Roma-A è scaduta da 3 mesi - ricorda Calicchia -. I vertici della Asl ci hanno promesso che presto rinnoveranno l' accordo. Aspettiamo fiduciosi». E comunque, se la Regione ha deciso di chiudere 2.800 letti e 24 piccoli ospedali nel Lazio, come prevede il Piano antideficit «i malati che noi seguiamo non possono essere abbandonati - sottolinea Luigi Michelangeli, uno dei soci della Coop "Roma Medicina" - e la Asl dovrà farsi carico di questo delicato compito senza avere personale e mezzi adeguati». Nell' ospedale virtuale il medico di base coordina l' equipe multidisciplinare (composta da infermieri, fisioterapisti, cardiologi, neurologi, internisti, psicologi, fisiatri e operatori socio sanitari). Inoltre è attiva una sala operativa 24 ore su 24, domenica e festivi compresi, che con una semplice telefonata al numero verde fa intervenire il medico al domicilio del paziente. E usando sistemi di telemedicina e visite periodiche viene monitorato lo stato di salute di ogni assistito e somministrate le terapie più adeguate. Tra qualche settimana, però, 50 malati rischiano di non poter più contare sull' ospedale virtuale. Francesco Di Frischia Di Frischia Francesco ____________________________________________________ Sanità News 7 Apr. 2011 SOLO IL 59% DELLE DODICENNI HA EFFETTUATO IL VACCINO CONTRO L’HPV Il piano vaccinale contro il papilloma virus umano(HPV), causa principale del tumore del collo dell'utero nelle donne, procede a passi lenti e ad oggi e' arrivato ''al 59% della popolazione delle dodicenni italiane, alle quali il vaccino viene offerto gratuitamente''. La percentuale di diffusione e' stata comunicata da Luciano Mariani, ginecologo dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e coordinatore nazionale del gruppo multidisciplinare sull'HPV della Societa' Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo). Il punto sullo stato di avanzamento del piano di vaccinazione e' stato fatto da un panel di esperti, nel corso di un seminario organizzato dalla Fondazione Veronesi sulla prevenzione in campo ginecologico, all'universita' Sapienza di Roma. ''Il progetto, partito nel 2007, terminera' nel 2012 ma siamo lontani dall'obiettivo che e' quello di vaccinare il 95% delle ragazze di dodici anni - ha affermato Mariani - . Occorre poi tenere presente che le stime di diffusione dell'HPV parlano di un aumento delle infezioni del 42% a livello globale. Per la precisione, una crescita dell'11% nei Paesi industrializzati e del 56% in quelli in via di sviluppo''. E' un'escalation che non si arresta, secondo Mariani e ogni anno nel mondo si registrano 500mila nuovi casi, di cui 3500 in Italia, al punto che la spesa sanitaria globale per l'HPV e' seconda solo a quella per l'HIV. ____________________________________________________ Sanità News 7 Apr. 2011 ANAAO SUL TEMA DEI CERTIFICATI ONLINE "Quanto paventato dall’Anaao Assomed riguardo alle conseguenze dell’introduzione forzata della trasmissione telematica dei certificati di malattia, si sta palesando in tutta la sua gravità nei Pronto Soccorso degli ospedali italiani. Le recenti prese di posizioni di molti direttori generali e di Regioni del nord Italia, proprio dove secondo la commissione tecnica la procedura avrebbe dovuto aver raggiunto elevati livelli di funzionalità, fanno riflettere sull’effettivo stato delle cose. E’ diventato palese che il sistema informatico non è in grado di sopportare l’enorme flusso di dati, tanto che vengono segnalati quotidianamente gravi disservizi ed impossibilità di utilizzare il sistema dagli ospedali di tutto il Paese. Allo stesso tempo sta aumentando la pressione sui Pronto Soccorso a fini puramente amministrativi con allungamento dei tempi di attesa ed aumento dei contenziosi con i cittadini. Non giovano i toni trionfalistici dei messaggi inviati dal Ministro della Funzione Pubblica e soprattutto dall’ultima circolare (n. 4-2011) che induce gli utenti a “pretendere” l’invio telematico malgrado i Pronto Soccorso non siano, nella stragrande maggioranza, ancora in grado di assicurare tale servizio o possano cimentarsi solo distogliendo molto tempo all’attività assistenziale. In condizioni di cronico congestionamento delle strutture, con tempi d’attesa sempre più lunghi, carenze di organico che costringono a turni massacranti, locali trasformati in corsie con barelle al posto dei letti, i medici di PS devono oggi far fronte anche alle richieste, peraltro legittime, di ottenere l’invio telematico delle certificazioni. Tutto ciò a scapito dei bisogni sanitari degli utenti. L’Anaao Assomed ha più volte sostenuto che, nel rispetto del codice deontologico, le certificazioni non devono determinare alcuna ricaduta negativa sui livelli assistenziali e che occorre ripensare ruoli e compiti del Pronto Soccorso individuando strategie alternative fino alle autocertificazioni per malattie di breve durata. I fatti dimostrano che non si tratta solo di difendere i medici dalla minaccia, peraltro inconsistente per riconoscimento delle stesse Regioni, di sanzioni, quanto di affrontare le ripercussioni sui tempi di cura ed assistenza in condizioni di emergenza e urgenza che il nuovo sistema comporta. Purtroppo il Ministro Brunetta ha pensato che stemperare i toni sulle sanzioni fosse l’unico obiettivo delle nostre motivate proteste a fronte di una marcia a tappe forzate per la certificazione on line. Tocca adesso alle Regioni intervenire per evitare che la rete deputata ad assistere i cittadini in condizioni di urgenza clinica non rimanga travolta da una anomala onda amministrativa con un rapporto costi-benefici negativo per cittadini ed operatori". ____________________________________________________ L’Unione Sarda 10 Apr. 2011 FIMMG: PER NOI VALE ANCORA L'AUTOCERTIFICAZIONE DEI PAZIENTI Ancora polemiche sull'inserimento dell'esenzione per il pagamento del ticket I medici di famiglia sul piede di guerra Domenica 10 aprile 2011 Polemiche anche con l'assessorato regionale alla Sanità: «Perché non dice che, sino al 30 aprile, c'è il doppio binario?». L a pubblicità istituzionale dell'Assessorato regionale alla Sanità è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. I medici di famiglia, già in stato di agitazione perché dal primo aprile devono indicare nelle ricette l'esenzione per il pagamento del ticket, contestano lo spazio pubblicitario apparso, nei giorni scorsi, sui quotidiani sardi. «Perché», puntualizza Emilio Montaldo, segretario provinciale della Fimmg, il sindacato dei medici di famiglia, «manca un'indicazione fondamentale: sino al 30 aprile, vale il doppio binario. Cioè, è ancora possibile che il paziente autocertifichi il proprio stato di esenzione». LA PROTESTA Non l'unico motivo di doglianza. Ai medici di famiglia l'innovazione non piace proprio. «Tutta questa operazione», riprende Montaldo, «non è stata concertata con la categoria». I medici, dunque, non hanno potuto esprimere tutte le loro perplessità. Il fatto, per esempio, che questa innovazione possa, in qualche modo, violare la privacy. Per indicare l'esenzione, i medici devono visitare un apposito elenco degli esenti per reddito, fornito dall'Agenzia delle entrate, per sapere se il paziente ha diritto o meno all'esenzione. «Ci basta avere il codice fiscale, facilmente recuperabile, per avere notizie di persone che, magari, non sono nostri pazienti». LE PROPOSTE In questo momento, dunque, i medici della Fimmg non stanno indicando nelle ricette l'esenzione: visto che vige il doppio binario, continuano a operare come se non ci fosse stata ancora l'innovazione. «Anche perché, visto che gli elenchi sono vecchi, corriamo il rischio di dover mandare via pazienti che, pur avendo diritto all'esenzione, non rientrano ancora in essi. Non soltanto: in questi elenchi ancora non ci sono i disoccupati». I medici di famiglia chiedono, dunque, che resti la doppia opzione sino a quando tutti i meccanismi non saranno perfettamente oliati. Fanno, però, anche una proposta: dal momento che le nuove tessere sanitarie sono dotate di chip, sarebbe sufficiente inserire in esse il diritto all'esenzione. L'ESENZIONE Ai medici di famiglia, si diceva, non è piaciuta la pubblicità istituzionale della Regione. Nello spazio, però, ci sono alcune notizie interessanti. L'elenco, per esempio, delle persone che hanno diritto all'esenzione. Sono i cittadini di età inferiore ai 6 anni o superiore ai 65 anni, appartenenti a un nucleo familiare con reddito complessivo non superiore a 36.151,98 euro; i disoccupati e loro familiari (ma anche i titolari di pensione sociale e pensione al minimo con più di 60 anni e loro familiari a carico) appartenenti a un nucleo familiare con reddito complessivo inferiore a 8.263, 31 euro, incrementato fino a 11.362,05euro in presenza del coniuge e ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico. MARCELLO COCCO ____________________________________________________ Corriere della Sera 10 Apr. 2011 SE SORRIDI E VIVRAI PIÙ A LUNGO Viva l'ottimismo! Ora c'è la prova scientifica che il cosiddetto «benessere soggettivo» ha ricadute dirette sulla salute Sorridere fa bene MILANO - Lo definiscono Benessere Soggettivo - in sigla SWB, dall’inglese Subjective Well Being - e quantifica il giudizio che ognuno dà alla sua vita, il grado di soddisfazione esistenziale e professionale. Un elevato SWB pare abbia un effetto diretto sulla salute e sulla longevità, facendola aumentare addirittura del 14 per cento. È quanto sostiene il professor Ed Diener, del Dipartimento di psicologia dell'Università dell'Illinois, che ha appena pubblicato sul Journal of Applied Psychology, Health and Well-Being la più ampia revisione mai effettuata su questo argomento, prendendo in considerazione ben 160 ricerche. Diener, che da decenni studia la felicità e i suoi effetti, ritiene che a questo effetto "salutare" concorrano soprattutto quattro fattori: soddisfazione nella vita, assenza di emozioni negative, ottimismo e presenza di emozioni positive. Queste ultime, però, devono essere moderate, perché se sono eccessive o troppo repentine - avverte Diener - hanno paradossali effetti negativi. Stiano attenti, per intenderci, i vincitori delle lotterie miliardarie, che potrebbero avere brutte sorprese. Un po' di humour, comunque, può sempre aiutare, perché come ha dimostrato lo studio norvegese HUNT 2, seguendo 53.500 persone per oltre 7 anni, prendere le cose con ironia allunga la vita. Per contro, in un’altra ricerca (presa in esame da Diener nella sua revisione) su 4.989 persone seguite dalla giovinezza per oltre 40 anni, è risultato che chi era un musone pessimista già da giovane, si ritrovava più malconcio da anziano o addirittura campava di meno. E inaspettatamente Diener si è accorto che, facendo i debiti confronti, il legame fra ridotta aspettativa di vita e infelicità risulta addirittura più forte di quello con l'obesità, la cui pericolosità è arcinota. Che un basso Benessere Soggettivo possa favorire l'insorgenza delle malattie, peraltro, è provato da altre ricerche. Quando, ad esempio, l'ottimismo è impedito da una condizione di depressione maggiore, il rischio di malattie cardiovascolari aumenta del 2,69 per cento, Anzi, basta un semplice umore depresso per far salire il rischio dell'1,49%. Sentimenti positivi come gioia, speranza, voglia di fare, soddisfazione esistenziale, speranza per il futuro, ottimismo e humor hanno invece buoni effetti anche di fronte alla malattia, come è stato evidenziato in pazienti affetti da HIV, con blocco renale, colpiti da infarto, e può migliorare perfino la risposta alle cure palliative somministrate in caso di gravi tumori. «Di recente ho presentato proprio i risultati di questi studi in una relazione sulla "Felicità al femminile" — sottolinea Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano —. Un approccio positivo aiuta senza dubbio a migliorare durata e qualità di vita, anche di fronte alla malattia e alle perdite. Secondo un recente studio dell’Università olandese di Leiden, gli anziani con un'innata disposizione ottimista vivono una migliore vecchiaia, nonostante il diradarsi dei rapporti sociali». «Nell'anziano la perdita di speranza in un progetto di vita futura — conferma Costanzo Gala, primario del Centro per la cura della depressione del San Paolo di Milano — aumenta la morbilità e la mortalità. Bisognerebbe diffondere di più l’informazione che oggi l'aspettativa di vita di coloro che arrivano a 70 anni in accettabili condizioni fisiche è di almeno 15 anni per le donne e di 12 anni per gli uomini: il solo saperlo riaccende l'ottimismo e riattiva la resilienza, ovvero la capacità di fronteggiare lo stress, con miglioramenti degni di una psicoterapia». Cesare Peccarisi