3 Aprile 2011 STATUTI: L'UNIVERSITÀ SI INTERROGA CAMBIARE GLI STATUTI PER FERMARE LA GELMINI L'UNIVERSITÀ E LA «MISTICA DEGLI STATUTI» ANARCHIA IN UNIVERSITÀ L'UNIVERSITA CANCELLATA DALLA RAGIONE ECONOMICA RETTORI, DECLEVA LASCIA IL VERTICE CRUI, MASTINO CANDIDATO ALLA PRESIDENZA RETTORI, LE QUOTE ROSA ENTRANO NELLA SFIDA CRUI CAGLIARI: DICIOTTOMILA UNIVERSITARI FUORI SEDE E SENZA DIRITTI ATENEI, COSÌ LA GELMINI SMARRISCE I 6 MILIARDI STANZIATI DALL'EUROPA RIDARE DIGNITÀ AI CONCORSI PRECARI: TUTTI DI RUOLO, NESSUNO INAMOVIBILE NASCE «UNICOMMONS», ANCHE L'UNIVERSITÀ È BENE COMUNE CINQUE PER MILLE, SI PUÒ VERSARE ANCHE ALL’UNIVERSITÀ  IL 42% LAUREATI TRIENNALI TROVA LAVORO DOPO UN ANNO. A MILLE EURO LA FOLLE PRIMAVERA DELLE UNIVERSITÀ USA UN GAMBERO CHIAMATO ITALIA: A MARCIA INDIETRO NEL DIGITALE QUANDO MANZONI SBAGLIAVA A SCRIVERE LE DOPPIE JAKE, DODICENNE CHE RISCRIVE LA RELATIVITÀ QUATTRO OSTACOLI SUL CAMMINO DEL NUOVO CNR PER IL VICEPRESIDENTE DEL CNR I TERREMOTI SONO "SEGNI DIVINI". NELLA RICERCA LA CINA INSIDIA GLI USA LE CINQUE REGOLE PER SOPRAVVIVERE ALL’ABUSO DI INTERNET &C. QUEI SUSSIDI (SBAGLIATI) ALL’ENERGIA COLONNE D ERCOLE, UNA CIVILTÀ NASCOSTA NEL FANGO ========================================================= AOUCA:ORA GLI ESAMI LI CONSEGNA IL “TOTEM”  MIUR AVVIA L’ITER DEI CONCORSI PER I MEDICI SPECIALIZZANDI  ASL, MANAGER CON MOLTE CONFERME AOUCA: FILIGHEDDU GRADITO DA MELIS SANITÀ, NUOVO CONFRONTO SUI DIRETTORI NOMINE ASL, BUFERA POLITICA SULLA GIUNTA ASSENTI LE COMPETENZE. IN SARDEGNA IL CAOS TOTALE IL CAMBIO ASL6 RESTA UNA SCELTA DAVVERO INSPIEGABILE» TICKET PER REDDITO, NOVITÀ IN VIGORE DA OGGI ESENZIONE DAL TICKET: MEDICI IN RIVOLTA «PRESTO LE TESSERE SANITARIE» SANITÀ, ACCORDO CON L'ANCI MEDICI, IL SORPASSO DELLE DONNE REFERTI ONLINE IN VENETO I CINQUE SUPERSENSI CHE NON SAPETE DI AVERE QUASI TUTTI GLI ITALIANI PAGANO IL DENTISTA DI TASCA PROPRIA COME CHIEDERE I DANNI AL DOTTORE SE C'È ERRORE PER COLPA. LA TUTELA DEL MALATO LEGGERE NELLA MENTE DEGLI ALTRI E' IL CERVELLO A DECIDERE PRIMA CHE LO SAPPIAMO I CERVELLI DI MEZZA ETÀ PIÙ IN FORMA DI QUELLI GIOVANI LE SINAPSI DEL MEDICO NEL PAZIENTE UN COMPUTER SCOPRE LE CELLULE TUMORALI LA CHIMICA DELLA BUONA MUSICA UN BRIVIDO ATTRAVERSA IL CERVELLO BASTANO 20MILA EURO PER BATTERE LA CIRROSI AL BUSINCO GUERRA ALLE RADIAZIONI CAVIE A PAGAMENTO, LA NUOVA STRADA DELLA RICERCA SCIENTIFICA QUANTI «MIGRANO» PER CURARSI DAL SUD AL NORD DEL PAESE SI FANNO TROPPE OPERAZIONI PER ERNIA DEL DISCO TETTAMANZI: IL MALATO NON È UN CLIENTE SANITÀ, IL CALL CENTER TORNA LOMBARDO ASMAR«QUANDO IL REPARTO DI REUMATOLOGIA?» LA TUBERCOLOSI TORNA NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI LE ALLERGIE AUMENTANO PER COLPA DEL BENESSERE ========================================================= _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 31/03/2011 L'UNIVERSITÀ SI INTERROGA Entro l'estate gli atenei dovranno dotarsi di nuovi statuti I docenti rilanciano il dibattito sul futuro DÍJUAN CARLOS DE MARTIN Quale università per i prossimi 20 anni? E una domanda di grande rilevanza per almeno tre motivi, alcuni strutturali e di lungo termine, altri invece contingenti. Contingente è il fatto che entro l'estate - al più tardi l'autunno - tutte le università italiane dovranno dotarsi di nuovi statuti; è uno degli obblighi introdotti dalla riforma. E quindi iniziata una fase costituente, i cui risultati definiranno gli atenei italiani per molti anni a venire. Il secondo motivo - strutturale - è che ormai è impellente provare a definire una nuova idea regolatrice di università. Le università, infatti, continuano nominalmente a vivere nella scia del modello humboldtiano, dal nome del fondatore dell'Università di Berlino (18m), ovvero un'università che coniuga ricerca e didattica nel nome del progresso della nazione, con l'esplicito mandato di formare l'elite. Ma nel secondo dopoguerra quel modello è stato travolto da tre fattori, ovvero: la proliferazione di luoghi di creazione di conoscenza, l'università di massa e l'indebolimento degli stati nazionali a favore di spazi sovranazionali. Tutti e tre processi in linea di principio positivi, perché hanno rispettivamente diffuso il sapere, democratizzato l'istruzione superiore e ricreato uno spazio cosmopolita di docenti e studenti, ma che hanno anche reso necessario definire un nuovo modello di riferimento. Infine il terzo motivo per cui è opportuno interrogarsi sul futuro dell'università è che anche gli atenei, come tante altre istituzioni, devono riflettere su come la Rete tocchi la loro missione e il loro modo di operare. Internet rappresenta solo un nuovo strumento, o invece modifica aspetti fondamentali? Come accogliere al meglio i nativi digitali? Domande, come si vede, che da una parte inducono ad andare alle radici e dall'altra spingono a guardare al futuro. In realtà, tuttavia, non stiamo semplicemente vivendo il crepuscolo del modello humboldtiano. Da circa trent'anni, infatti, una nuova idea di università si è affermata in numerosi paesi, partendo dal Regno Unito di Margaret Thatcher per arrivare all'Italia di questi giorni. Un nuovo modo di intendere l'università che in superficie non intacca il modello humboldtiano, ma che nella pratica contribuisce a sovvertirlo. Parliamo dell'università imprenditrice, ovvero, un'università in competizione esplicita con tutte le altre, con gli occhi fissi sulle graduatorie e pervasa da nuove parole d'ordine: eccellenza, innovazione, indicatori, studenti- clienti, produttività, ranking. Trasformazione che la Thatcher ottenne - ironicamente, per chi ama pensarla come purista del mercato - burocratizzando il rapporto tra Stato e Università. In particolare la Thatcher istituì burocrazie di valutazione impostate secondo modelli di provenienza business school. Dopo decenni di research assessment exercise (Rae) la situazione inglese è chiara: si pubblica quasi solo più nei modi e sugli argomenti che riceveranno un punteggio più elevato dalla burocrazia statale di valutazione. Ne va infatti non solo della carriera dei singoli ricercatori, ma anche della stessa esistenza di interi dipartimenti. A questo modello - che naturalmente incorpora anche elementi positivi, come valutazione e innovazione, ma declinati in maniera tale da frantumare l'ethos accademico - è tempo di proporre alternative. Quale università nell'età della Rete? Cosa ha di unico da offrire l'università alle società del XXI secolo? Non è semplice rispondere, ma è urgente provare a farlo. Per questo motivo chi scrive, insieme ad alcuni amici, anch'essi docenti universitari, ha lanciato Piazza Statuto (www.piazzastatuto.it), ovvero un sito web con contenuti rilasciati con licenza Creative Commons per favorire un pubblico dibattito sul futuro dell'università. Un dibattito che coinvolga non solo i professori, ma anche gli studenti e tutti coloro che si ritengano portatori di interesse nei confronti degli atenei. Per chi scrive, il cuore dell'università è che si tratta di spazi pubblici dove uomini e donne che professano il loro pensiero su argomenti che hanno a cuore (i professori) si confrontano con giovani uomini e giovani donne che vogliono farsi coinvolgere, che vogliono essere indotti a riflettere (gli studenti). Tale confronto sprigiona potenza da più di mille anni. E a esso che bisogna tornare per capire come costruire il futuro. Juan Carlos De Martin è co-direttore del Centro Nexa su Internet & Società del Politecnico di Torino _____________________________________________________________ Terra 26/03/2011 CAMBIARE GLI STATUTI PER FERMARE LA GELMINI Tutti gli atenei italiani sono ormai da un paio di mesi alle prese con la riscrittura degli statuti d'ateneo. Passata la legge Gelmini, i rettori si sono subito messi al lavoro per costituire le commissioni che avranno il compito di modificare l'intera organizzazione delle nostre università. La legge infatti prevede la costituzione di una commissione composta da quindici persone che entro nove mesi, due dei quali già passati, dovrà terminare i lavori, pena il commissariamento dell'ateneo e l'imposizione da Roma di nuovo statuto all'università refrattaria al rispetto dei tempi. La riscrittura degli statuti, le costituzioni delle nostre università, generalmente richiedeva tempi molto lunghi, la ristrettezza dei tempi voluti dal Ministro ha scatenato tutti i baronati e i potentati esistenti negli atenei desiderosi di inserire un professore compiacente ed amico nelle commissioni e di essere partecipi di questo processo costituente. In molti atenei studenti e ricercatori si sono fatti sentire, bloccando l'insediamento delle commissioni, richiedendo libere elezioni per la scelta dei membri delle stesse... In questa fase complessa, che vede ben poca chiarezza da parte dei rettori, LINK-Coordinamento Universitario ha prodotto un opuscolo sugli statuti per aiutare gli studenti a capire come sfuggire alle trappole della legge Gelmini nella riscrittura degli studenti e per spiegare agli studenti come cambierà l'università l'anno prossimo. CATANIA A Catania il rettore non si è fatto scrupoli a nominare in maniera autoritaria i due studenti ( tutti e due di area Pdl) che dovranno sedere in questa commissione senza aver avviato nessun processo democratico, malgrado il movimento studentesco catanese avesse richiesto libere elezioni studentesche. TORINO Si dovevano svolgere regolari elezioni studentesche a maggio, il rettore in accordo con Comunione e Liberazione ha cercato in tutti i modi di non farle svolgere arrivando a militarizzare l'ateneo per evitare lo svolgimento di un'assemblea promossa dagli Studenti Indipendenti in concomitanza con la commissione statuto per richiedere libere elezioni. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21/03/2011 L'UNIVERSITÀ E LA «MISTICA DEGLI STATUTI» di Dario Braga La riforma Gelmini dell'università impegna gli atenei al riordino della governance. Sei mesi di tempo, più tre di "supplementari" Ma perché cambiare gli statuti? Se è vero che molti atenei non sono stati in grado di controllare adeguatamente bilanci e reclutamento, spesso sforando i limiti di legge, è pure vero che molti altria parità di regole -hanno tenuto le cose a posto. Questa stessa differenza dimostra de facto che l'autonomia funziona e che il problema dell'efficienza del sistema non è, almeno non solo, nei meccanismi di governance. Perché cambiare allora? Perché anche chi ha operato bene lo ha fatto con grande fatica districandosi tra competenze attorcigliate e ripetute di un sistema "bicamerale imperfetto" in cui senato accademico e Consiglio di amministrazione, ma anche giunta, commissioni istruttorie e collegi vari, si occupano tutti di tutto. Intendiamoci, il fatto che molti argomenti siano discussi in più consessi non è, per sé, un male. Si potrebbe sostenere che è un modo per garantire trasparenza e verificabilità. Purtroppo non è così perché la ripetizione comporta tempi spesso incompatibili con il mutare degli eventi esterni, mentre la molteplicità dei consessi diluisce e sfuoca le responsabilità. La responsabilità, appunto. La riforma (legge 240) riassegna "ex lege" al senato accademico quella della politica culturale e scientifica e al Cda quella della spesa e del controllo digestione, inclusa la decisione finale sulla attivazione dei corsi di studio. Impone anche la composizione degli organi: massimo 35 membri al primo, e al secondo di cui almeno tre non appartenenti all'ateneo. La presenza di esterni viene letta da alcuni come un prodromo del condizionamento di privati sulle università. È un timore infondato, credo, non foss'altro perché la presenza di non-accademici è già oggi contemplata da molti statuti. D'altra parte una distinzione di funzioni molto marcata tra senato accademico e CdA e una maggiore competenza in chi deve leggere e approvare i bilanci potrebbe portare chiarezza nelle scelte programmatiche e un controllo della spesa più adeguato. Ci sono, tuttavia, altre prescrizioni che sembrano attrarre meno attenzioni e che invece avranno impatto molto significativo. Vediamone alcune: 1) i dipartimenti, oltre che della ricerca, dovranno farsi carico dello svolgimento delle attività di formazione fm qui gestite dalle facoltà attraverso i corsi di studio. Questa convergenza richiederà una profonda riorganizzazione dei processi (accoglienza studenti, attività di segreteria, piani di studio, ecc,) e in parte dei luoghi (laboratori, biblioteche, aule ecc.) attualmente gestiti in maniera separata e distinta dalle strutture didattiche e di ricerca. La conseguente riconfigurazione gestionale, soprattutto nei mega atenei, avrà un impatto non indifferente sull'organizzazione del lavoro del personale tecnico e amministrativo oltre che dei docenti. I dipartimenti saranno cosa ben diversa da quelli attuali; 2) la confluenza della didattica e della ricerca porterà nei dipartimenti anche il budget del personale docente. Si potrà così superare la attuale stravaganza di "posti" banditi dalle facoltà sulla base delle esigenze didattiche mentre i luoghi di afferenza univoca e di ricerca sono i dipartimenti. Il dualismo dipartimento-facoltà/ricerca-didattica è un po' all'origine di molti dei problemi dell'Università, non ultimo quello della valutazione della didattica e della ricerca; 3) c'è poi il compito delle strutture di coordinamento della didattica alle quali compete dare chiarezza all'offerta formativa. Bisognerà che le diverse aree o scuole o come si chiameranno mettano gli studenti in condizione di orientarsi senza "navigatore" tra percorsi ben identificabili dalla laurea triennale, alla magistrale, fmo al terzo livello della formazione, il dottorato di ricerca Il dottorato è ancora il grande assente dai nostri dibattiti mentre i grandi atenei d'Europa hanno strutture formative organizzate intorno alle scuole dottorali. Insomma, la riforma degli statuti, anche se imposta ex lege a strutture dotate di autonomia, è una occasione da non perdere per rilanciare il nostro sistema universitario. Attenzione alla "mistica degli statuti", tuttavia Statuti e regolamenti sono solo metà, a volte anche meno della metà, di quanto serve al funzionamento delle università. L'altra metà è fatta dagli uomini e dalle donne e dagli obiettivi che perseguono. _____________________________________________________________ Europa 30/03/2011 ANARCHIA IN UNIVERSITÀ GILIBERTO CAPANO Le università stanno lavorando alla predisposizione dei nuovi statuti. La legge Gelmini concede loro sei mesi (più tre di deroga) per cambiare gli assetti statutari del governo dell'ateneo e alla sua organizzazione interna. Un passaggio che potrebbe rappresentare una svolta storica per l'università italiana oppure un’occasione perduta. La legge, infatti, cerca di ridisegnare gli assetti istituzionali interni degli atenei, mirando a risolvere quell'irresponsabilità decisionale che ha caratterizzato l'università dell'autonomia. Sia chiaro: la legge, paradossalmente, lascia troppa autonomia alle università nel decidere cosa fare sulla governance istituzionale rispetto, almeno, alla legislazione di riforma introdotta negli altri paesi europei. Infatti, in Francia, Danimarca, Austria, Olanda, Portogallo, Svezia, Germania, Svizzera e Finlandia, la legge ha "imposto" agli atenei come organizzare il proprio governo interno. In Italia, invece, si è scelto di dettare dei principi generali che gli atenei possono interpretare con ampi margini di autonomia. Bello a dirsi, vero? Peccato che poi, nella realtà, si rischi davvero che gli autonomi atenei continuino a commettere gli stessi errori di prima, attuando quindi i principi di legge in modo da cambiare poco o niente la realtà. Due sono le questioni rilevanti sulle quali si rischia decisioni inutile se non dannose: la questione del governo dell'ateneo e il coordinamento della didattica. Sul primo punto, nonostante la legge sia chiara (l'organo che decide le strategie è il cda, il rettore governa, il senato accademico, rappresentando la comunità universitaria tutta, propone e suggerisce), molti atenei stanno cercando di mantenere l'assetto attuale in cui, di fatto, vige una specie di bicameralismo simmetrico (spesso, però, inclinante a favore del senato, cioè dell'autoreferenzialità accademica). Se così accadesse, se cioè senati accademici continuassero a essere organi di governo e gestione quotidiana delle attività, nulla cambierà nei meccanismi istituzionali che hanno impedito agli atenei di interpretare in modo responsabile l'autonomia. La questione del coordinamento della didattica è più complessa. Qui la legge dà una mano a creare ambiguità. Essa, infatti, attribuendo ai dipartimenti «le funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attività didattiche e formative, nonché delle attività rivolte all'esterno ad esse correlate ed accessorie», sembra configurare un assetto organizzativo in cui i dipartimenti (le strutture che dovrebbero occuparsi in primis della ricerca) abbiano la responsabilità totale di tutte le attività. Il legislatore, però, rendendosi conto che messa così ci potrebbero essere seri problemi, lascia agli atenei la possibilità di istituire «strutture di raccordo» tra dipartimenti, con «funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche, compresa la proposta di attivazione e soppressione dei corsi di studio, e di gestione dei servizi comuni». Insomma la legge dice: le facoltà sono abolite però, se necessario, qualcosa di simile bisogna che esista, altrimenti la didattica viene parcellizzata e risulta ingovernabile. Merita qui ricordare che in tutte le università del mondo occidentale esistono strutture di secondo livello (denominate facoltà, scuole, colleges) che hanno la responsabilità di coordinare e governare la didattica. Si tratta di un'esigenza funzionale che serve alle università per assicurarsi economie di scala sia nella progettazione culturale dei corsi di studio sia nella gestione delle risorse finanziarie. Non si capisce perché la legge di riforma abbia voluto rendere queste strutture di secondo livello facoltative, soprattutto tenuto conto che essa stabilisce che i professori e i ricercatori siano incardinati, come giusto, nei dipartimenti e non più nelle facoltà (quindi eliminando il potere delle facoltà sui "posti"). Su questa tematica, in molti atenei, si sta facendo una grande confusione. Si fa fatica a capire che le nuove "strutture di raccordo" non hanno niente a che fare con le vecchie facoltà (che erano non solo il modo di presentarsi all'esterno delle università ma anche la struttura che gestiva il personale docente), e non si capisce che le nuove strutture di raccordo dovrebbero essere degli organi interni di governo della didattica, senza i quali si rischiano due effetti perversi: la frammentazione della didattica, a danno degli studenti, e la "facoltizzazione" dei dipartimenti, a danno della ricerca. Come si può capire, la situazione è tale da non promettere niente di buono. C'è davvero il rischio (siamo il paese del "Porcellum") che i nuovi statuti non aiutino a risolvere i problemi della governance interna degli atenei, mantenendoli intatti se non aggravandoli. Se così fosse, sarebbe davvero una colpa grave, e definitiva, del ceto accademico italiano _____________________________________________________________ Il Manifesto 24/03/2011 L'UNIVERSITA CANCELLATA DALLA RAGIONE ECONOMICA Roberto Ciccarelli Il valore della cultura umanistica non è produrre denaro ma cittadini attivi, curiosi, critici e reciprocamente rispettosi, scrive la filosofa statunitense Martha Nussbaum in Non per profitto (Il Mulino, pp.160, euro 14). Questo antico, e nobile, obiettivo dell'istruzione pubblica e della democrazia ateniese è archeologia negli Stati Uniti e in India dove il metodo socratico elaborato dal filosofo John Dewey e dal premio nobel per la letteratura Tagore sono stati liquidati da mezzo secolo. In entrambi i paesi le materie umanistiche e artistiche sono considerate alla stregua di conoscenze tecniche da valutare sulla base di test a risposta multipla, mentre le competenze critiche e inventive servono a educare i responsabili della gestione del personale e del marketing virale. ADDESTRATI ALLA CARRIERA Anche ìn questo campo Obama ha lasciato tutti a bocca aperta quando ha scelto come ministro dell'istruzione Ar- ne Duncan, il responsabile del de finanziamento delle materie letterarie e artistiche dell'università di Chicago dove Nussbaum insegna. Il presidente evoca il «soche «stanno investendo meno tempo a insegnare cose che non servono» e preparano gli studenti «alla carriera, e non al liceo o all'università». In questi ed altri indirizzi Nussbaum lamenta l'assenza dell'apporto degli studi umanistici nella formazione dei manager che avrebbero tutto l'interesse di promuovere la cultura dell'innovazione creativa e garantire uno sviluppo rispettoso dell'essere umano. Ma nell'università globale che ragiona sui criteri di performatività stabiliti dalla classifica di Shangai o con i moduli didattici del «processo di Bologna» questo obiettivo è pura illusione. I valori a cui fa riferimento non sono molto diversi da quelli sostenuti dal governo laburista in carica fino al 2010 che ha riplasmato la ricerca umanistica sul modello di quella scientifica. Da quando la ricerca viene finanziata secondo il sistema di valutazione Research Excellence Framework, in Inghilterra il 25 per cento del valore di una proposta dipende dalla valutazione del suo impatto economico. Accade sempre più spesso che un filologo, uno storico o un filosofo per ottenere un finanziamento siano costretti ad enfatizzare la vocazione efficentista del loro lavoro. AI limite, in un modulo per la richiesta fondi basterebbe ripetere sei volte la parola «empirico» per ottenere pochi spiccioli. E quello che sta accadendo da almeno vent'anni in Europa, e in Italia in particolare, dove il sottofinanziamento della ricerca e la riorganizzazione di informazioni in base ,a criteri aridamente produttivi. La crisi dei modelli europei e indiani di apprendimento analizzata in un saggio della studiosa Martha Naussbaum. E in Italia, una ricerca sul rapporto tra scienza e società evidenzia una diffusa indifferenza verso le «scienze dure» La conoscenza ridotta a un collage gno americano» che garantisce ai cittadini uguali opportunità, ma come sempre dimentica di lasciare liberi i sognatori di sognare. «Abbiamo bisogno di sviluppare test - ha detto in un discorso pubblicato sul Wall Street Journal nel 2009 - come il problem solving e il pensiero critico, l'imprenditorialità e la creatività». Il modello da seguire è quello delle università di Singapore, prime nelle classifiche mondiali della produttività scientifica, del governo degli atenei penalizza la cultura umanistica. IN NOME DELL'AUTORITÀ L'obiettivo non confessato dell'analisi di Nussbaum, condotta sulle università del Commonwealth britannico e degli Stati Uniti, è rifondare l'università humboldtiana, il modello europeo costruito sulla divisione tra scienze dello spirito e scienze naturali che ha giustificato l'organizzazione del sapere per facoltà immaginato da Immanuel Kant. Basterebbe questo per rimediare alla destoricizzazione dei saperi trasmessi nei dipartimenti in cui la filosofia è stata sposata con l'economia e gli studenti vengono trattati come oche ingozzate di nozioni. Ma un'analisi meno influenzata dalle suggestioni di un ritorno ad un modello antico della virtù, da sempre estraneo alle università e alla scuola di massa, potrebbe creare delle sorprese. Si verrebbe infatti a scoprire che il determinismo e l'economicismo denunciati da Nussbaum sono gli obiettivi ai quali aspirava l'università prussiana che Nietzsche stigmatizzò nell'Avvenire delle nostre scuole. Ciò che l'istruzione pubblica statale non sopporta è «l'ambiguità della vita», vale a dire la vocazione alla critica di sé e degli altri alla quale invitava Socrate prima di essere messo a morte dalla democrazia che difendeva. Certo, non è possibile nascondere i benefici del suo metodo. Sin dalla più tenera età, gli studenti devono essere educati ad interrogarsi sugli eventi concreti, cercando una misura del mondo a partire dalla comprensione dei suoi problemi e dalla ricerca di una soluzione non solo individuale. Da Fròbel alla Montessori fino a Ivan Illich, tutti hanno insistito sulla necessità di criticare il ruolo che la società assegna ai suoi membri e di assumere il punto di vista dell'altro. Ma solo in pochi hanno denunciato i rischi che comporta l'educazione alla libertà. La democrazia (e lo Stato, del tutto assente nel libro della Nussbaum) la promuovono solo a condizione di conservare l'autorità esistente. Prima ancora di prendersela con l'economia, Socrate avrebbe diffidato di una democrazia che elogia i benefici sul Pil ottenuti dagli investimenti sulla cultura umanistica. Non sempre «umanità» significa sviluppo e «critica» pace sociale tra gli uomini. Se osasse mettere in dubbio questi principi - che restano il motore dell'opposizione alle politiche neo-liberiste sull'istruzione - un Socrate redivivo rischierebbe di essere ammazzato una seconda volta dalla sua democrazia. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22/03/2011 RETTORI, DECLEVA LASCIA IL VERTICE MILANO - Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano, lascia la presidenza della Conferenza dei Rettori. In anticipo di tre mesi rispetto alla scadenza del mandato: «Per evitare che si crei un vuoto in un momento così delicato per il sistema universitario», ha fatto sapere Decleva. Eletto nel giugno 2008, se Decleva fosse rimasto fino alla fine del mandato il successore sarebbe stato operativo non prima di ottobre, hanno spiegato alla Crui. Invece, nei prossimi giorni presentazione delle candidature e il 7 aprile elezione. E circola il nome del rettore dell' università della Tuscia (Viterbo), Marco Mancini, già segretario della presidenza Crui. Decleva, ordinario di Storia contemporanea, dal ' 97 era prorettore della Statale e rettore dal 2001. Un anno fa il senato accademico modificò lo statuto per poter prorogare la carica, indispensabile per conservare anche l' incarico alla Crui. F. C _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22/03/2011 CRUI, MASTINO CANDIDATO ALLA PRESIDENZA Dura polemica sull’organismo di coordinamento nazionale «È arrivato il momento di difendersi davvero. Finora risposte deboli»    SASSARI. Il rettore dell’Università, Attilio Mastino, ha deciso di di candidarsi alla presidenza della Crui (Conferenza rettori università italiane). L’annuncio è arrivato poco dopo la convocazione dell’assemblea straordinaria della Crui, il 7 aprile.  «Negli ultimi anni, l’Università italiana ha subito un fortissimo attacco mediatico telecomandato e non è stata in grado di difendersi in modo adeguato, anche sul piano della comunicazione - ha sostenuto Attilio Mastino nello spiegare la sua candidatura per l’organismo nazionale di coordinamento dei rettori - Gli ultimi avvenimenti testimoniano che la risposta agli attacchi subiti dall’Università è stata inadeguata e deludente. Debolissima. Da tempo il ministro diserta le riunioni della Crui e ha anche rinunciato al confronto con le Università.  «Ma il grido del vasto e significativo movimento di protesta che si è sviluppato negli Atenei, nelle aule e sulle terrazze delle facoltà, non è stato raccolto dalla Crui - ha insistito il magnifico rettore di Sassari -. Nonostante le proteste intendessero denunciare gli evidenti limiti della Grande riforma e il grave sotto-finanziamento del Sistema universitario italiano - ha sottolineato con decisione il professor Mastino -, restare asserragliati nel Palazzo non può essere un modo per risolvere i problemi. Non pochi Consigli di facoltà hanno invitato i rettori a bloccare il pagamento delle quote associative e sollecitato l’uscita dalla Crui. È quindi evidente che i rettori riescano a interpretare efficacemente il mondo universitario, guidando quel movimento critico che rappresenta una ricchezza, una risorsa e una speranza per il Paese.  «La Crui deve cambiare passo, acquisire più autorevolezza e capacità di incidere nella società civile, nei territori, nel rapporto con il Governo - ha insistito con piglio deciso il rettore dell’Università di Sassari -. E ciò si verificherà solo attraverso una rinnovata, più convinta e autorevole azione della Crui, tesa a garantire l’autonomia e il ruolo sociale delle Università italiane. Dovremo presto dare applicazione a una riforma universitaria che avremmo voluto profondamente diversa, più attenta al diritto allo studio e alle esigenze dei giovani ricercatori, capace di valorizzare le tradizioni accademiche e di sviluppare relazioni internazionali: più generosa e meno punitiva. E invece oggi molti Atenei rischiano la sopravvivenza e la razionalizzazione così come viene proposta comporta drastici tagli e scelte dolorose. Ma senza l’Università - ha concluso il rettore non c’è un futuro per il Paese».  Attilio Mastino, 61 anni, è rettore dell’Università di Sassari dal 2009. Professore di Storia romana nella facoltà di Lettere e Filosofia, laureato in Lettere Classiche, ha la specializzazione in giornalismo conseguita a Urbino e quella in Studi sardi. Ha studiato a Parigi (Ecole Normale Supérieure e Paris I-Sorbonne), a Bordeaux (Epigrafia e informatica presso il Centre Pierre Paris) e a Tunisi (Institut National du Patrimoine). È un epigrafista con incarichi a livello internazionale e dirige gli scavi archeologici di Uchi Maius in Tunisia.  Mastino è fondatore e presidente da 30 anni del comitato organizzatore dei convegni internazionali su L’Africa Romana che si svolgono in Tunisia, Marocco, Spagna, Sardegna e prossimamente in Algeria e che coinvolgono centinaia di università europee e del Magheb. _____________________________________________________________ Il Mondo 1/04/2011 RETTORI, LE QUOTE ROSA ENTRANO NELLA SFIDA CRUI Secondo qualche Magnifico di lungo corso, la discesa in campo di Attilio Mastino, numero uno a Sassari, non muterà gli esiti della competizione. Quindi, sulla poltrona più alta della Crui dovrebbe riuscire a sedersi Marco Mancini della Tuscia di Viterbo. Giovedì 24 marzo nella sede romana di Palazzo Rondanini si è tenuta l'ultima assemblea generale, prima del voto in programma il prossimo 7 aprile. Il professore sardo, fortemente critico nei confronti della legge Gelmini, è sbarcato nella Capitale con in tasca l'autocandidatura: secondo lui la Conferenza dei rettori deve «cambiare passo», diventare «più autorevole» e capace di «garantire l'autonomia dell'università». A Mancini rimprovera di aver tenuto una posizione filogovernativa. Attorno alle due candidature, i 40 professori presenti a fine marzo nel parlamentino Crui hanno discusso in una maniera definita «civile e costruttiva» per circa quattro ore. Ulteriori incertezze riguardano la composizione della giunta (dieci membri) che sarà eletta insieme al presidente. Qui si sono fatti avanti alcuni Magnifici del Sud come Massimo Giovannini dì Reggio Calabria, Francesco Rossi (Napoli seconda), Corrado Petrocelli (Bari) e Antonio Recca (Catania). Sembra scontata la rielezione di Alberto Tesi (Firenze), cooptato nel board da poche settimane. Mentre è scomparsa dalla scena Aquis, associazione di 11 atenei che si definivano «i più virtuosi», rischia di aprirsi una vertenza femminile. In una lettera spedita ai colleghi. Maria Chiara Carrozza (direttore della Scuola Sant'Anna di Pisa) chiede quote rosa (almeno il 30%) in cda e nei Senati accademici. Bella idea. Anche se qualche suo collega già ipotizza che la mossa di Carrozza abbia come vero obiettivo la sua candidatura per la giunta. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 03/04/2011 CAGLIARI: DICIOTTOMILA UNIVERSITARI FUORI SEDE E SENZA DIRITTI Cagliari, oltre un decimo dei residenti non possono votare e sono relegati ai margini della città Nelle case dello studente mancano almeno 1.500 posti letto per i più meritevoli CAGLIARI. Sono circa diciottomila gli universitari fuori sede dell’ateneo cagliaritano, oltre il dieci per cento dei residenti. Ma questi studenti non hanno alcuno strumento per far sentire la loro voce. Eppure contribuiscono all’economia della città: vi vivono e sostengono tante piccole botteghe (dai bar alle copisterie). Nello stesso tempo abitano per lo più in case fatiscenti con affitti in nero. In città mancano infatti almeno millecinquecento posti letto per i fuori sede meritevoli. In passato, per motivi politici, il centrodestra ha affossato due progetti di campus universitari da mille posti. Diciottomila studenti una ricchezza non valorizzata CAGLIARI. Il futuro sindaco di Cagliari, se vorrà dare una svolta alla politica comunale, dovrà occuparsi anche di quel dieci per cento di abitanti politicamente invisibili, gli studenti fuori-sede. Si tratta di persone che abitano in case senza riscaldamento, nè elettrodomestici e mobilio adeguato, e senza contratto, ma con le loro spese sostentano botteghe, negozi, bar, locali e copisterie. Eppure non hanno alcuna voce in capitolo nel governo del Comune.  Queste “presenze” vivono tra i banchi delle università e delle biblioteche cagliaritane e cercano faticosamente di far sentire la loro voce. Tra queste c’è «Unica 2.0», il comitato studentesco più rappresentativo della realtà universitaria dei fuori-sede che, tra le altre cose, non possono esprimere il loro voto alle amministrative. Si tratta di un gruppo politico disomogeneo che ancora non si è espresso ufficialmente sull’appoggio ad un eventuale candidato sindaco. Ma Enrico Lallai, il coordinatore del comitato, afferma che «il futuro sindaco dovrà riuscire a sanare le storture amministrative che rendono la vita degli studenti - soprattutto dei fuori-sede - complicata e antieconomica». Le politiche relative agli studenti, a detta del coordinatore «sono state bruscamente tralasciate dagli ultimi rappresentanti e già dai tempi del sindaco Mariano Delogu è mancata una vera programmazione». A Cagliari ad esempio non si è ancora deciso se costruire un campus localizzato in un posto preciso, oppure una struttura diffusa sull’intera area urbana, cosa che aiuterebbe a rivitalizzare interi quartieri, sia dal punto di vista sociale che da quello economico.  Il tessuto urbano è composto anche dai famosi negozi «di vicinato», che lottano (anche con successo) contro la concorrenza dei grandi centri commerciali proprio grazie alla presenza degli studenti. Per quanto riguarda i trasporti, pare che la metropolitana leggera arriverà fino alla cittadella di Monserrato e questo è un buon segno. Secondo gli studenti il trasporto pubblico funziona, ma le strade sono spesso intasate dagli ingorghi e i costi sono alti. In città inoltre i bus hanno orari in controtendenza rispetto alle altre città europee. Dopo le 23,30 diventa difficile tornare a casa, l’ultimo pullman per la casa dello studente di Mulinu Becciu arriva alle 23,20. Quindi lo studente: o torna a casa a mezzanotte o investe 10-20 euro per un taxi. Mentre una adeguata programmazione servirebbe appunto per superare tutti questi problemi.  L’università è una ricchezza. Stando alle dichiarazioni del rettore di Torino, che afferma che «gli studenti fuori-sede nell’ultimo anno, hanno portato alla città un indotto economico di 2 miliardi di euro», si può valutare che anche per Cagliari la cifra sia considerevole. In città si contano 34.000 studenti, di cui 18.000 fuori sede, più del 10 per cento dei residenti. Mancano almeno 1.500 posti letto _____________________________________________________________ Repubblica 30/03/2011 ATENEI, COSÌ LA GELMINI SMARRISCE I 6 MILIARDI STANZIATI DALL'EUROPA A fronte dei tagli, il Ministero sta per lasciare non spesi fondi Ue pari al costo dell'intera Università. Scadranno tra poco più di un anno. Niente ricerca in 4 regioni del Sud. E Bruxelles ha bocciato anche le modalità di gestionedi CORRADO ZUNINO  ROMA - Il ministero dei tagli, la Pubblica istruzione che con l'ultima riforma ha portato via 400 milioni all'università italiana, non sa spendere 6,2 miliardi che l'Europa ci offre chiedendoci di investirli nel futuro. Sono i fondi Pon (Programma operativo nazionale) sulla Ricerca e competitività, i più grandi tra i fondi strutturali Ue, previsti per l'arco temporale 2007-2013. Siamo nel 2011 inoltrato e sembriamo avviati a ripetere l'exploit del 2000-2006: missione di spesa europea fallita. Accade che nel solco degli obiettivi di Lisbona, la grande assise europea del Duemila  che avrebbe voluto trasformare in dieci anni l'Europa "nella più competitiva e dinamica economia della conoscenza", l'Unione europea abbia messo nella disponibilità del ministero delle Finanze (Tremonti) e operativamente del Miur (Gelmini) 6,2 miliardi da destinare alla ricerca e sviluppo in quattro regioni a reddito basso: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. I luoghi attraverso i quali questi denari avrebbero dovuto essere impegnati sono individuati innanzitutto nelle università, leve, sostiene l'Europa, di buona produttività, presidi di un'economia fondata sulla ricerca. Questa somma, 6,2 miliardi (che sale a 8,6 miliardi se si considerano le tranche gestite direttamente dalle quattro Regioni), è pari al costo annuale dell'intera università italiana ed è quattro volte maggiore dell'assegno messo a disposizione dalla Commissione europea per tutte le altre 16 regioni italiane. Già, il Pil in ricerca e sviluppo dell'Italia meridionale, se questi denari fossero davvero investiti, passerebbe dallo 0,78% attuale all'1,22% superando i valori del Nord. Il problema è che gli impegni di spesa sono partiti con tre anni di ritardo, nel 2009, e le percentuali dei fondi fin qui utilizzate sono davvero basse, residuali. Secondo le stime della società Vision, basate sui dati della Ragioneria di Stato, allo scorso febbraio i fondi impegnati erano stati il 19,88% (1,62 miliardi) e i pagamenti il 10,37% (644,6 milioni). Un risultato peggiore di quello realizzato dai governi succedutisi tra il 2000 e il 2006. Il sottosegretario all'Istruzione, il lucano Guido Viceconte, alla Camera ha confermato  "una serie di slittamenti del programma e il suo significativo ritardo" e ha rilevato:  "L'assorbimento delle risorse nelle regioni della convergenza rappresenta un problema di notevole rilevanza". Tutto dipende, sostiene Viceconte, dal fatto che sulla stessa questione agiscono due ministeri diversi: per dare un'accelerazione alle pratiche, ha spiegato, alcuni dirigenti del programma Pon sono stati cambiati. Il sottosegretario ha parlato di 1873 progetti finanziati in quattro aree tematiche per 915 milioni di euro totali. Cifre in linea con quelle offerte da "Vision". Il deputato Pd Sandro Gozi, autore sul tema di un'interrogazione parlamentare, incalza: "Non ci sono soldi pubblici e sui fondi europei per la ricerca il governo riesce a impegnare, dico impegnare non spendere, una cifra che oscilla tra il 14 e il 20 per cento a seconda delle voci che consideriamo. Mi sembra una scandalo la cui gravità viene sottovalutata".   La macroscopica opportunità sprecata diventa ancora più stridente se si pensa che, oggi, ogni anno, 24 mila studenti meridionali decidono di iscriversi in un'università al Nord e 15 mila laureati del Sud ogni stagione si trasferiscono alla conclusione degli studi. Nonostante il livello di risorse distribuite, nessuna delle università meridionali si classifica tra le prime venti nelle graduatorie nazionali. Fonti della Commissione europea hanno ricordato, infine, come per cinque volte  -  cinque  -  la Ue abbia bocciato il sistema di "governo, controllo e monitoraggio del Pon" perché non dava sufficienti garanzie di efficienza e legittimità degli interventi. Bruxelles ha accusato i nostri ministeri di aver organizzato bandi che coinvolgevano solo banche italiane e ha bloccato pezzi di finanziamento. _____________________________________________________ Corriere della Sera 01/04/2010 RIDARE DIGNITÀ AI CONCORSI UN OBIETTIVO IRRINUNCIABILE Un cronico male incurabile interessa il nostro Paese, quello dei concorsi: per un posto pubblico, per un primariato, per una cattedra, sempre la solita storia che si ripete, fatta di raccomandazioni, intrallazzi e a volte imbrogli. E anche l' università non sfugge a questa storica arte, senza pudori, senza rispetto neanche della pubblica decenza. Qui «accomodare», scambiarsi favori fa parte del sistema e spesso ne rappresenta la regola, è più bravo chi riesce meglio a mescolare le carte. Così vengono piazzati i candidati più graditi, non importa se di valore, basta segnare un punto, mettere una propria pedina al posto giusto. Si è perso il senso della «scuola» come strategia culturale, per passare al puro esercizio del proprio potere mafioso. Un cancro incurabile, in un Paese, in un sistema senza speranze. Parlare di meritocrazia? Ma ci guardiamo intorno? Non scherziamo, per favore, tutti sappiamo cosa succede quando escono i candidati e si chiudono le porte, e chi non lo sa lo intuisce: nomine di commissari, scambi di favori, influenze massoniche o di fedi politiche o religiose, tutto pilotato. Per non parlare di chi il posto, tout court, se lo compra. Certo esistono le eccezioni, per fortuna una parte sana del Paese resiste, pagando in credibilità per tutti ma credendo con forza e coraggio, ancora e malgrado tutto, nel proprio importante ruolo nella nostra società, nonostante i salari inadeguati e le tante frustrazioni. La legge Gelmini cambierà il mondo universitario? Un caro amico cattedratico un giorno mi ha raccontato un proverbio inglese: «Cambiare l' università è come cercare di cambiare un cimitero, difficile avere la collaborazione dei residenti». Cambiare la roccaforte di un Paese cresciuto sull' arte di arrangiarsi diventata sistema non sarà semplice, speriamo che il sano che ancora esiste prevalga, ma rendite di posizione e consociativismi saranno difficili da sconfiggere. Non fanno eccezioni altri settori, primo tra tutti quello della sanità: non vorremo mica credere che i concorsi primariali siano sempre basati sul merito? La politica ha allungato le proprie avide mani anche su chi dovrebbe essere scelto solo su criteri di grande professionalità, senza pensare ai danni che avrebbe prodotto. Valutare il merito in una professione così difficile come quella medica non è semplice e questo complica le cose, si può essere un grande scienziato e non sapere curare un paziente o organizzare un reparto e viceversa. Non importa se il politico di turno un domani potrebbe trovarsi sul lettino del medico incapace messo lì solo per raccomandazione, in qualche modo la soluzione poi si trova sempre, qualcun altro di bravo salterà fuori. Riportare il merito nel nostro Paese in tutti i settori è un dovere morale e civile, una priorità assoluta per arginare lo sfascio generale al quale stiamo assistendo; facciamolo per noi stessi, per la nostra dignità, facciamolo perché i nostri figli non debbano vergognarsi o andare all' estero per trovare una collocazione decente, facciamolo per il Paese, perché ancora ha un senso. sharari@hotmail.it _______________________________________________________ Corriere della Sera 31/03/2011 PRECARI: TUTTI DI RUOLO, NESSUNO INAMOVIBILE Una proposta sul nodo dei precari di PIETRO ICHINO Caro Direttore, la direttiva europea numero 70 del 1999 vieta agli Stati membri di consentire che il contratto a termine sia utilizzato come strumento ordinario di assunzione dei lavoratori; e impone comunque la parità di trattamento fra assunti a termine e assunti a tempo indeterminato. In applicazione di questa direttiva, il Tribunale di Genova ha condannato lo Stato italiano, che pratica come normale l’assunzione a termine dei nuovi insegnanti nella scuola e attribuisce loro un trattamento nettamente inferiore rispetto a quelli di ruolo. Il rischio per le esauste casse dello Stato è elevatissimo, perché i lavoratori di serie B o di serie C nella scuola sono oltre 150 mila. Come se ne esce? Per ottemperare alla direttiva europea occorrerebbe stabilizzare tutti quanti. Questo, però, alle condizioni attuali è impossibile: non solo perché costerebbe troppo, ma anche perché il rapporto di impiego «di ruolo» è troppo rigido per potersi applicare a tutti. Quei 150 mila precari oggi portano — da soli — tutto il peso della flessibilità di cui il sistema scolastico ha bisogno. Governo e sindacati stanno studiando la possibilità di stabilizzarne soltanto una parte; ma anche questo non risolverebbe nulla, perché la discriminazione vietata dal diritto europeo resterebbe in vita nei confronti dei moltissimi che rimarrebbero fuori. C’è un modo solo per uscirne: ridefinire la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per tutte le nuove assunzioni che avverranno d’ora in poi, in modo che essa possa applicarsi davvero a tutti, senza portare con sé costi eccessivi e in modo che la flessibilità necessaria sia ripartita in modo uguale su tutti: solo questo può evitare una grandine di ricorsi giudiziali destinati a moltiplicare per centomila gli effetti della sentenza di Genova. In altre parole: il vincolo posto dal diritto europeo ci obbliga — se vogliamo evitare la bancarotta dello Stato— a una riforma profonda del rapporto di impiego nella scuola, che superi l’attuale apartheid fra insegnanti di ruolo e insegnanti di serie B o C. D’ora in poi, tutti a tempo indeterminato, ma nessuno inamovibile. E non è difficile prevedere che lo stesso discorso finirà per estendersi anche alle altre amministrazioni pubbliche, dove l’apartheid è ormai pratica largamente consolidata: si calcola che i «precari permanenti» nel comparto pubblico siano oltre 500 mila. La direttiva europea, del resto, è vincolante anche per il comparto privato. Lo stesso identico problema è dunque destinato a riproporsi anche nel settore editoriale, in quello delle case di cura, e in molti altri settori del nostro tessuto produttivo, dove è difficilissimo essere assunti con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dove l’apartheid tra protetti e non protetti è la norma ormai da un quarto di secolo. Se la questione è dappertutto la stessa, anche la soluzione deve essere la stessa: un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti destinati a costituirsi da qui in avanti. Se, poi, con l’occasione, saremo capaci anche di semplificarlo, sarà tanto di guadagnato per tutti. www. pietroichino. it _____________________________________________________________ Il Manifesto 26/03/2011 NASCE «UNICOMMONS», ANCHE L'UNIVERSITÀ È BENE COMUNE La nuova rete degli studenti universitari «Unicommon», nata da una divaricazione di percorsi dentro la rete «Uniriot», è stata tenuta a battesimo da Un'assemblea di 400 persone all'inizio del lungo fine settimana che ha visto impegnati in assemblee nazionali tutti i gruppi della Sapienza da Ateneinrivolta a Link-Uds. All'incontro di giovedì scorso, annunciato da una campagna di affissioni nella città di Roma e dal lancio di un sito omonimo, hanno partecipato studenti provenienti da almeno 10 città italiane, da Genova a Napoli, da Trento a Perugia, oltre che Roma e Milano, ma non Torino il cui nodo si è separato dalla rete per iniziare un altro percorso. Quattro sono gli obiettivi che questa rete si pone nella lotta contro il ventennale processo di riforma dell'università che ha conosciuto l'ultima svolta nella legge Gelmini entrata in vigore il 29 gennaio: rifinanziare l'università mediante una riforma fiscale che tassi i patrimoni e i capitali; creare istituzioni di autogoverno della comunità scientifica e accademica che comprenda gli studenti; criticare la divisione tra le discipline permettendo di intrecciare lo studio delle discipline scientifiche con quelle umanistiche; lottare per un welfare che sostenga le scelte di vita degli studenti e dei ricercatori al di là della precarizzazione della vita in atto dal 2008, l'anno di inizio della grande crisi. Su questa base Unicommon progetta di scrivere un manifesto programmatico per «l'autoriforma dell'università» che esca dalla «forbice tra l'evocazione estremistica del conflitto e quella del sindacalismo universitario». È stata inoltre annunciata una carovana diretta in Tunisia che, come quella prevista in un recente incontro a Parigi dal «fronte per la liberazione della conoscenza», un cartello che raccoglie decine di sigle studentesche europee, solidarizzerà con gli studenti protagonisti della cacciata di Ben Alì. La carovana si dirigerà verso il confine della Libia dove sono ammassati i profughi della guerra e per sperimentare una «diplomazia dal basso» degli studenti. Impegnati nel percorso verso lo sciopero generale del 6 maggio nel cartello «Uniti per lo sciopero», i partecipanti a questo progetto vivono in un'università ridotta in macerie. Citano con competenza i dati dell'ultimo rapporto Almalaurea che ha fotografato la riduzione del 9 per cento delle iscrizioni nell'università pubblica negli ultimi 3 anni. Nel frattempo sono aumentati gli iscritti a quelle private, ma appena del 2 per cento. Agli studenti non è sfuggito l'aumento del flusso degli iscritti italiani nelle università straniere, che non è quello dei cervelli in fuga di cui tanto si parla, ma quello dei figli delle classi dirigenti che preferiscono espatriare piuttosto che partecipare alle sorti di un sistema in disfacimento. A chi resta in questa università sempre più classista e dequalificata spetta risolvere un rompicapo: quali sono i rimedi salutari contro l'impoverimento e il declassamento che il lavoro della conoscenza che si abbatte sugli studenti sin dal liceo e distrugge le conquiste della scolarizzazione di massa degli anni 60 e 70 _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 30/03/2011 CINQUE PER MILLE, SI PUÒ VERSARE ANCHE ALL’UNIVERSITÀ  Lettera del Rettore Giovanni Melis a tutte le famiglie degli iscritti  CAGLIARI. «I vostri figli, i nostri studenti sono il migliore investimento della Sardegna». Così il Rettore dell’Università di Cagliari, Giovanni Melis, ha scelto di rivolgersi alle famiglie degli iscritti in una lettera aperta per chiedere la destinazione, al momento della dichiarazione dei redditi, del 5 per mille all’Ateneo. «In questa situazione di emergenza - scrive Melis nel messaggio che sarà recapitato in questi giorni a tutte le famiglie - voglio rivolgere un appello straordinario a tutti gli operatori dell’Università e ai genitori dei nostri studenti. Alle famiglie dei nostri studenti chiediamo fiducia e aiuto: per parte nostra offriamo collaborazione e trasparenza». «Per uscire dalla crisi la nostra Università ha bisogno di tutti - prosegue il Magnifico - della Regione che si è dimostrata disponibile, delle forze produttive e sociali ma anche delle famiglie sarde. Ciascuno di voi, senza spendere un euro, al momento della dichiarazione dei redditi, può destinare il 5 per Mille al nostro Ateneo. Tante piccole donazioni possono generare un grande investimento». «Per parte nostra ci impegniamo a migliorare in maniera verificabile i servizi didattici per gli studenti, ad attuare un piano straordinario per l’orientamento, la lotta alla dispersione e l’accompagnamento alla laurea del maggior numero possibile di studenti. L’Università sta attraversando una crisi molto profonda - conclude la lettera - che ci ha costretto anche a guardare meglio al nostro interno e operare delle scelte rigorose. I primi risultati del nostro lavoro ci confortano e siamo certi che si sta avviando un nuovo ciclo che continuerà a vederci impegnati al massimo nell’interesse esclusivo dei vostri figli, i nostri studenti, il migliore investimento della Sardegna». Per destinare il 5 per mille all’Ateneo è sufficiente firmare nell’apposito riquadro del modulo utilizzato per la dichiarazione dei redditi: è un gesto gratuito, perché è una quota di imposte a cui lo Stato rinuncia per destinarla alle organizzazioni no-profit per sostenere le loro attività. La scelta di chiedere ai genitori degli alunni il 5 per mille, se da un lato conferma la difficoltà finanziaria dell’Ateneo, comune a tutte le istituzioni di questo tipo, dall’altro vuole far rafforzare il senso di appartenenza tra Università e i suoi primi finanziatori: le famiglie. _____________________________________________________________ Italia Oggi 23/03/2011 IL 42 PER CENTO DEI LAUREATI TRIENNALI TROVA LAVORO DOPO UN ANNO. A MILLE EURO DI GIAMPAOLO CERRI Laureati e occupazione, segnali positivi, anche se timidi, dalla Lombardia. A un anno dalla conseguimento del titolo lavora il 42% dei triennali (mentre il 45% studia, in genere nella laurea magistrale successiva), con una percentuale di disoccupati a quota 8,3, mentre cinque studenti su 100 risulterebbero fuori dalla formazione e dalla ricerca ma perché, spesso, impegnati in stage gratuiti. A fornirli è un'anticipazione del Rapporto Stella, rilevazione annuale sul profilo dei neodottori degli atenei lombardi, curata dal Cilea, Consorzio interuniversitario lombardo per l'elaborazione automatica, e che verrà presentata domani, a partire dalle 9,30, al Salone dello Studente CampusOrienta di Milano, presso SuperStudio, via Tortona 27 (programma completo su www. campus.it). Si tratta di una rilevazione su oltre 12.228 laureati triennali e 6.210 dottori specialistici, dell'anno 2009, degli atenei milanesi, Statale e Bicocca e delle università di Brescia, Bergamo e Pavia. Non ci sono, i dati di Bocconi, Politecnico, che non aderiscono al progetto, di Iulm, che fa parte di AlmaLaurea, e Cattolica. Gli ultimi due atenei, in genere, apportano i loro dati successivamente. In generale, le statistiche mancanti, visti gli ottimi tassi di occupazione delle università in questione, con tutta probabilità, consentiranno di rivedere al rialzo queste percentuali. Cominciando da chi sceglie la laurea breve, si nota che un neodottore su due punta al mercato del lavoro, anche in piena crisi. Il dato, inferiore a quello del 2009 (58,2%), è comunque superiore al dato medio italiano che, per Stella, comprende anche i laureati degli atenei di Palermo, Federico II di Napoli, Statale e S.Anna di Pisa e attestato sul 46,5%. Il salario medio mensile netto di oltre la metà di questi ne°dottori si aggira fra 1.000 e 1250 euro (25,3% dei laureati) e fra 1251 e 1.500 (25,4), anche se resta almeno un quarto di chi lavora sta fra 500 e mille euro di stipendio. Spostandosi sui laureati <-1-2», si registrano, mediamente, dati migliori: 61,2 studenti lavorano a un anno dalla laurea, 12,4 sono ancora in formazione e 14,4 sono fuori anche da quest'ultima ma spesso inseriti in stage gratuiti. Più grave, invece, il dato dei disoccupati che raggiunge il 12 per cento mentre, sommando occupati e quanti sono in formazione, si raggiunge in Lombardia l'83,6% (in aumento rispetto all'anno scorso), contro il 78 del valore Stella nazionale. Quanto alle retribuzioni, i laureati magistrali si trovano, per oltre la metà, nella fascia fra 1.000 e 1.500 curo mensili. Un dato simile a quello dei loro colleghi triennali anche se, come mostrano altri rapporti nazionali, in genere, le retribuzioni migliorano avanzando nella carriera. Ma sono proprio gli aspetti salariali a segnalare, anche per questo nutrito campione di neolaureati lombardi, alcune preoccupanti differenze di genere. Se, nella triennale, la forbice salariale fra uomini e donne (pari 62 euro in Lombardia contro 74 sul nazionale) è decisamente calata rispetto allo scorso anno, quando aveva raggiunto quota 100 euro, fra i neodottori specialistici, con l'innalzarsi degli stipendi, si notano discriminazioni importanti: 10 punti di percentuali sulla fascia intermedia, 1.200 e 1.500 euro, in cui si posiziona il 30,2% dei laureati contro il 20,3 delle neodottoresse. Durante la presentazione del rapporto, curata del professor Nello Scarabottolo, ordinario di Informatica alla Statale di Milano e vicepresidente Cilea, saranno forniti anche dati sulla contrattualistica con la quale sono impiegati i neodottori e ulteriori dati sulle differenze di genere. Marisa Civardi, ordinario di Statistica a Milano Bicocca, invece presenterà un approfondimenti sulla soddisfazione dei neodottori in rapporto ai corsi di laurea frequentati. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 25/03/2011 LA FOLLE PRIMAVERA DELLE UNIVERSITÀ USA La sfrenata corsa degli americani per mandare i figli nei campus dell' Ivy League «Andiamo nel Grand Canyon, a Yellowstone, facciamo un bagno a Miami, i ragazzi vogliono vedere Disneyland e gli Universal Studios di Orlando». Famiglie di passaggio da New York che ti raccontavano i loro programmi turistici. Tempi passati. Oggi i benestanti borghesi che fanno tappa a Manhattan passano più tempo nel campus della Columbia University che sull' Empire State Building, ed è probabile che siano diretti a Chicago, per visitare la Northwestern University, o a Boston, città di innumerevoli accademie, mentre in California si va per Stanford e Berkeley, più che per le gite nella baia di San Francisco. Costano moltissimo, a volte forniscono un' istruzione troppo specialistica, hanno professori celebri che passano più tempo a fare conferenze in giro per il mondo che in istituto con gli studenti, ma gli atenei americani «eccellenti» continuano a esercitare un' attrazione irrefrenabile. Crisi economica, calo dei redditi e aumento delle rette (un anno in un' università privata di «serie A» costa ormai più di 50 mila dollari) avrebbero dovuto far calare le richieste d' iscrizione. Invece le application alle accademie Usa continuano a crescere, molto al di là della capienza degli istituti: un figlio accettato in un' università della «Ivy League» (Yale, Harvard e dintorni) è un fatto di prestigio familiare, ma anche una carta in più da giocare in un mercato del lavoro che è diventato molto competitivo. La concorrenza, spasmodica, raggiunge il suo culmine proprio in questo periodo dell' anno. È quella che il co-rettore della University of Southern California, Brian Harke, chiama la «pazzia di marzo»: raffiche di telefonate di genitori ansiosi che cercano di sapere in anticipo se il figlio è stato accettato per l' anno accademico che inizia a settembre. Una madness che comincia ben prima di marzo, ben prima che il ragazzo compia il suo percorso liceale. La corsa alle accademie al top è una gimkana dalle regole misteriose che dura tutta la vita. Qui a Manhattan una mamma, Nicole Imprescia, ha appena denunciato una costosa scuola materna di York Avenue: la accusa di non aver preparato la figlia a entrare in una scuola elementare d' élite, compromettendo - così - il suo percorso verso le migliori università. Una madre «surriscaldata», certo, ma sono in molti, in America, a sostenere che la scalata alla «Ivy League» inizia all' asilo. Una corsa a ostacoli ora raccontata da Andrew Ferguson in Crazy U. Il saggio di questo giornalista e padre stremato, appena pubblicato negli Usa, è un racconto pieno di sarcasmo, ma anche di acute notazioni sociologiche e di informazioni preziose per chi vuole salire sulla giostra della college admission. L' analisi amara ed esilarante di come un processo che era stato concepito per «democratizzare» l' accesso alle università sia diventato un' industria della consulenza nella quale vince chi, oltre ad avere soldi, è estroverso e ha senso del marketing. massimo.gaggi@rcsnewyork.com _____________________________________________________________ L’Unità 2/04/2011 UN GAMBERO CHIAMATO ITALIA: A MARCIA INDIETRO NEL DIGITALE LUCA LANDÒ E come l'arrivo dell'elettricità nell'Ottocento: potevi farne anche meno ma restavi al buio». Metafora illuminante, verrebbe da dire, se non fosse che lo scenario dipinto da Paolo Guerriero, docente di economia alla Sapienza e vicepresidente dell'Istituto di Affari Internazionali, spegne sul nascere qualunque battuta. Perché l'interruttore che non riusciamo a premere è quello della rivoluzione digitale. «Ci sono Paesi che in dieci anni, puntando sulla rete e su Internet, hanno capovolto il modo di pensare l'economia, la politica, la società. Il digitale non è accendere un computer: vuol dire spingere un Paese a rompere con gli schemi del passato, vuol dire utilizzare le nuove tecnologie per vivere e lavorare meglio». Quali Paesi? «Svezia e Finlandia in particolare. Ma anche Francia e Germania si stanno muovendo in quella direzione». E l'Italia? «Ha messo la retromarcia. Non è un modo di dire, stiamo davvero andando indietro. Chi si occupa di questi argomenti cita spesso il digital divide, quel muro invisibile che divide chi usa internet da chi non ha mai toccato un mouse. È una barriera pericolosa, perché i primi sono proiettati verso il futuro, gli altri no. Ebbene, un tempo si pensava che il digital divide avrebbe diviso sempre più i Paesi ricchi e tecnologici da quelli poveri e tecnologicamente arretrati. Non è così: l'Italia è un Paese ricco ma con gravi livelli di digital divide: e questo sia al proprio interno, sia in confronto con altri Paesi europei». Che significa in concreto? «Quando si parla di digital divide bisogna prendere in considerazione tre aspetti. Il primo è quello dell'infrastruttura, cioé della diffusione e della capillarità di una buona rete di connessione. Per quanto riguarda la cosiddetta banda larga, le differenze tra i Paesi occidentali non sono poi così grandi: certo si potrebbe e si dovrebbe fare meglio, però non sono queste le ragioni che ci separano dagli altri Paesi». E quali sono? «I guai iniziano quando prendiamo in considerazione gli altri due aspetti: l'utilizzo di internet da parte di cittadini e imprese e la qualità e quantità dei servizi offerti. Limitandoci a questi due aspetti - "come si fa" e "cosa si fa" - l'Italia fino a pochi anni fa era, era in serie B: non eccelleva ma poteva ancora passare nella categoria superiore». E invece? «Invece è retrocessa in serie C. E non poteva essere altrimenti: in questo campo l'innovazione cammina talmente veloce che se non ti muovi, gli altri, tutti gli altri. ti passano davanti». Che fare? «La prima cosa è metterci davanti a uno specchio e capire cosa vogliamo. Se l'obiettivo è restare al Novecento, quello che stiamo facendo, cioè nulla, è perfetto. Se invece vogliamo guardare avanti, come sento ripetere da tutti, dobbiamo rimboccarci le maniche, perché gli enunciati non bastano: ci vogliono dei progetti e delle azioni». Quali? «Innanzitutto smetterla di fare i conti della spesa del mattino. Dire investo "x" solo se mi rende "x più uno" è un errore: non è così che funziona l'innovazione. Se li digitale è la direzione giusta, prima mi incammino e meglio è. Non investire in quella Sta pensando agli investimenti. direzione non è un risparmio: è un terribile spreco». amministrazione gli investimenti sono indispensabili. Ma paradossalmente lo scoglio più alto non sono i soldi». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 03/04/2011 QUANDO IL PAPÀ DEL ROMANZO SBAGLIAVA A SCRIVERE LE DOPPIE ROMA— Consoliamoci. Persino il sommo Alessandro Manzoni inciampava nell’ortografia. Nelle sue lettere scriveva addottiva invece di adottiva e altrettanto al posto del corretto altrettanto. Non solo ma insisteva con dificilmente e dificoltà lasciando, chissà perché, per strada la doppia. Sempre nelle lettere private, Gioacchino Rossini commetteva l’errore contrario e faceva indigestione di doppie: dannaro, accerbo, cannale. Donizetti per dormire metteva le pantoffole. E se intendeva un’unità di misura scriveva mettà. Detto questo, la grammatica è materia seria soprattutto perché «questa nostra lingua rappresenta il vincolo identitario più forte e realmente condiviso dagli italiani» , come scrivono i linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota nell’introduzione al volume Sperling &Kupfer «Viva la grammatica!» di cui sono autori e che uscirà martedì 5 aprile. Si promette in copertina una «guida facile e divertente per imparare il buon italiano» . Si parte dalle basi, dall’uso del punto, della virgola e del punto e virgola per approdare a preposizioni e interiezioni, incluso un capitolo su «insulti e parolacce» a pagina 249 con ampio spazio per gli scambi di epiteti in tv tra Vittorio Sgarbi e Marco Travaglio. Il testo è quanto di meno polveroso in circolazione. Gli esempi citati, per contestualizzare regole e svarioni, sono per esempio canzoni come La mia moto di Jovanotti, L’avvelenata di Francesco Guccini o l’immortale tirata sulla punteggiatura tra Totò e Peppino De Filippo in Totò, Peppino e la Malafemmina. Prima avvertenza. È un errore, anche se è un uso del Nord dire o scrivere «l’Alberto» così come lo è «la Bindi» che ha tutto il diritto di sentirsi citare come «Bindi e Berlusconi » . Attenzione al suffisso femminile «essa» che può, dicono gli autori, aggiungere «una sfumatura ironica o peggiorativa, un sarcasmo col quale si vuole screditare la donna che svolge quella professione proprio perché è una donna» (avvocatessa, medichessa, vigilessa). Ma Della Valle e Patota, forse per amore di Jovanotti (Perché a me mi piace andare veloce) o di Jannacci (A me mi piace il mare), praticano una soave e intelligente tolleranza: «Nella nostra coscienza linguistica quell’a me mi non suona come una ripetizione, ma come un modo per mettere in evidenza la persona a cui piace» . In quanto all’uso del «che» attenzione a non comportarvi come il Nuovo codice della strada all’articolo 129, rintracciato dalla linguista Maria Silvia Rati: «È consentito l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguata capacità auditiva a entrambe le orecchie che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani» . Meraviglioso nel suo burocratese ottuso, mediocre e ridicolo. Infine, il perfido congiuntivo. Gli autori ricordano («un caso di comicità involontaria» ) un Pier Ferdinando Casini che, in un comizio dedicato alla scuola, grida: «Noi vogliamo una scuola selettiva! Noi vogliamo una scuola che promuova e boccia!» . Ahi, ahi, ahi, avrebbe sussurrato Mike Bongiorno... Paolo Conti _____________________________________________________________ La Stampa 30/03/2011 JAKE, DODICENNE CHE RISCRIVE LA RELATIVITÀ Il bimbo prodigio: "Ho un'idea per dimostrare l'infondatezza della teoria di Einstein MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK La teoria della relatività di Albert Einstein è molto debole, forse del tutto errata, e anche lui stesso era arrivato .ad un passo da tale scoperta: a sostenere la rivoluzionaria tesi è Jake, un bambino di 12 anni dell'Indiana, la cui mente straordinaria sta attirando l'attenzione dello stesso Istituto di Princeton dove proprio Einstein sviluppò la sua teoria. Jake è il soprannome di Jacob Barnett, arrivato a poche settimane dal tredicesimo compleanno nella piccola località di Hamilton County, in Indiana, con l'offerta della Purdue University di Indiana- polis di un posto come ricercatore a tempo pieno, per avere modo di approfondire la tua teoria. Il piccolo Barnett a due anni di età faceva penare i genitori perché non parlava con nessuno e non guardava in faccia neanche loro. Lo portarono da medici e psicologi, arrivando alla conclusione che era affetto da una leggera forma di autismo, ma superato il terzo compleanno si accorsero anche che riusciva con estrema rapidità a risolvere puzzle di cinquemila pezzi e le sorprese da quel mo-mento non sono mai finite a causa di una mente da prodigio che lo ha obbligato a otto anni ad abbandonare la scuola perché si annoiava ad ascoltare maestri e professori che spiegavano cose che lui già sapeva, o indovinava in grande fretta. Anziché passare il tempo in classe, Jake ha così appreso da solo calcolo, algebra e geometria - in appena due settimane - gettandosi con passione nell'approfondimento della matematica fino a calcolare 200 cifre del pi greco. Da quando ha lasciato il liceo ha iniziato a seguire corsi di astrofisica avanzata di livello universitario, tornando a casa ogni giorno con una valanga di nozioni matematiche che hanno sempre più messo sulla difensiva i genitori, fino alla scelta compiuta dalla madre Kristine di riprendere con un video il figlio mentre pronunciava frasi per lei incomprensibili oppure scriveva sulle finestre di casa interminabili formule matematiche. Il video di 1 minuto e 47 secondi è finito su YouTube e mostra Jake con felpa rossa e cappellino da baseball mentre, seduto in cucina, spiega perché la teoria di Einstein non lo convince affatto. Finita l'illustrazione il bambino si mette a mangiare un sandwich mentre la mamma si rivolge a chi ascolta chiedendo «aiuto a gestire questa situazione». E' stato così che le informazioni su Jake sono arrivate a Scott Tremaine, uno dei docenti di punta dell'Institute of Advanced Study dell'Università di Princeton in New Jersey dove studiarono e insegnarono Albert Einstein, Robert Oppenheimer e Kurt Godei. «Sono molto impressionato dall'interesse per la fisica di vostro figlio e dall'ammontare delle conoscenze che fino a questo momento ha assimilato», ha scritto Tremaine per email alla famiglia Barnett, spiegando che «la teoria sulla quale Jake sta lavorando coinvolge alcuni dei problemi più difficili dell'astrofisica e della fisica teorica», fino al punto da affermare che «chiunque riuscisse a risolverli sarebbe un naturale candidato a vincere il premio Nobel». E' stata questa autorevole opinione scientifica a trasformare Jake in un caso nazionale, attirando su Hamilton County l'attenzione dei grandi media per un bambino il cui quoziente di intelligenza IQ è 170, ovvero 10 punti più di quello che aveva Einstein. Come sia stato possibile che la sindrome di Asperger, che gli fu diagnosticata a due anni, abbia potuto innescare una simile propensione alla conoscenza delle più intricate questioni di astrofisica, è un mistero che avvince medici e ri-cercatori adesso impegnati a fare a gara nell'esplorare la mente del bambino prodigio. Da qui la scoperta che eccelle non solo nella matematica ma anche nella musica - riuscendo a suonare a memoria musica classica al pianoforte - mentre per altri versi è un bambino come tanti altri, a cui piace vedere in tv i programmi di Disney Channel e i film di fantascienza. Quando Einstein pubblicò il primo studio sulla teoria della relatività aveva 26 anni e Jake sente di avere tempo a sufficienza per riuscire a smantellarla: «Ci sto ancora lavorando sopra, ho un'idea per dimostrarne la infondatezza ma devo ancora definire i dettagli del percorso da seguire». Parola di genio _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 29/03/2011 QUATTRO OSTACOLI SUL CAMMINO DEL NUOVO CNR di Fabio Beltrani Il Sole 24 Ore intitolava «La rivoluzione tranquilla» un articolo del 9 febbraio nel quale descrivevo le linee ispiratrici del nuovo statuto del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Numerose le reazioni a quelle enunciazioni: ha fatto piacere a tutti gli attori coinvolti nell'elaborazione del nuovo statuto, sia nel Cnr, sia nel ministero, registrare un diffuso consenso su quei principi. Devo purtroppo tornare sulla questione con preoccupazione per attirare l'attenzione dei lettori su cosa sta effettivamente succedendo, ora, all'interno del più grande ente di ricerca italiano mentre è - o dovrebbe essere - messa in pratica questa "rivoluzione". Credo ci aspettiamo tutti quattro cose: una rapida entrata in vigore dello statuto; una discreta e attenta gestione dell'ordinaria amministrazione da parte degli organi di governo uscenti per garantire la funzionalità dell'esistente in attesa dei nuovi organi; una rapida designazione di questi nuovi organi; da parte di questi ultimi, un vigoroso rinnovamento dell'ente. Lo statuto è stato promulgato il io marzo scorso dal presidente Luciano Maiani e all'articolo 21, comma 6, recita che «entra in vigore il primo giorno del mese successivo a quello di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana». Il ministero della Giustizia obietta sulla sua pubblicabilità in Gazzetta in base alle norme vigenti, e afferma che la promulgazione lo pone immediatamente in vigore. Non occorre commentare sul paradosso di uno statuto che è in vigore, ma che per sua stessa forza non è in vigore (in quanto non pubblicato o non pubblicabile sulla GazzettaUfficiale). Il secondo punto, l'ordinaria amministrazione. Massima discrezione dovrebbe essere esercitata dal consiglio d'amministrazione in carica che deve sì garantire la funzionalità del Cnr, di questo Cnr, ma non deve mettere in campo azioni che imbriglino, limitino le azioni, le scelte che necessariamente spettano ai nuovi organi. La struttura dell'ente, in particolare la sua articolazione in dipartimenti- obiettivo specifico della riforma - e forse ancor più la scelta delle figure chiave della gestione del Cnr sono di competenza esclusiva dei nuovi organi. Dobbiamo chiedere con fermezza che i principi siano rispettati. Il terzo punto, la nomina dei nuovi organi, passa in primo luogo attraverso l'indicazione al ministro di due rose di nomi tra cui scegliere i consiglieri d'amministrazione. A oggi manca il comitato di selezione che indicherà la prima rosa nella quale saranno individuati tre membri, e tra questi il presidente. La nomina del comitato spetta al ministro ed è urgente. La seconda rosa comprende nomi indicati dai ricercatori del Cnr, dalla Conferenza dei rettori delle università italiane, dalla Conferenza Stato-Regioni, Confindustria e Unioncamere. È vero che lo statuto anche se è già in vigore, lo dicevamo sopra, contemporaneamente non è in vigore, ma si stanno intanto avviando le procedure per queste designazioni? Tutto questo richiede tempo e senza una pronta costituzione del nuovo consiglio d'amministrazione avverrà inevitabilmente che questo Cnr soffrirà e il prossimo Cnr nascerà già indebolito nella sua libertà d'innovare. E siamo così al quarto punto che però andrà affrontato quando conosceremo gli organi di governo dell'ente. Grande sarà la responsabilità del prossimo consiglio d'amministrazione perché grande è il bisogno d'innovazione, di cultura, di ricerca del nostro Paese: il ruolo che il nuovo Cnr giocherà potrà, anzi, dovrà essere determinante. _____________________________________________________________ FORUM PA 29/03/2011 PER IL VICEPRESIDENTE DEL CNR I TERREMOTI SONO "SEGNI DIVINI". IMMEDIATE LE PROTESTE "TERRENE" In un lungo intervento a Radio Maria Roberto de Mattei esprime una serie di concetti sconcertanti. Per il professore di storia - membro dei Legionari di Cristo e antievoluzionista convinto - si tratta di semplici opinioni personali, di "cittadino e credente", fra l'altro riprese da tesi risalenti al terremoto di Messina del 1908. In rete, e non solo, si scatena una violenta polemica con la richiesta di rimozione dal prestigioso incarico istituzionale. Il terremoto e lo tsunami in Giappone con conseguenza di morte e distruzione? "Una voce terribile, ma paterna della bontà di Dio", "un castigo" ma anche "un modo per purificare", "sicuramente un'esigenza di giustizia divina" attraverso la quale "Dio se ne serve per raggiungere un fine alto della sua giustizia". Ancora, "la morte di un colpevole è l'esecuzione di un decreto di colui che è padrone della vita e della morte", e queste immani disgrazie rappresentano "un battesimo di sofferenza che purifica l'anima, perché Dio ha voluto risparmiare un triste avvenire", evidentemente "a peccatori e affini di ogni risma". Al contrario di quello che si potrebbe pensare dopo una prima sommaria lettura di queste frasi, le parole in questione non sono farina del sacco di qualche teleimbonitore integralista americano (ce ne sono a bizzeffe, con tanto di codazzo canterino e allucinato), e nemmeno di un fanatico un po' svitato in piedi a declamare su una cassetta della birra nel londinese Hyde Park (non mancano nemmeno questi, da tempo immemore, e sono vissuti con un po' di pena mista ad attrazione turistica). Sono invece frutto di un intervento - a metà strada fra il linguaggio del buon curato di campagna e il tono ispirato da sofferenza conseguente a cilicio incombente - di ben nove minuti a Radio Mariamercoledì 16 marzo del professor Roberto de Mattei, vicepresidente del Consiglio nazionale delle Ricerche, il nostro qualificatissimo Cnr. Nelle citazioni iniziali ho colto fior da fiore, ma se a qualcuno fosse sfuggito l'intervento integrale (facilmente reperibile in rete) ne consiglio caldamente l'ascolto, aggiungendo qualche altra informazione imperdibile del nostro accecato ispiratore. Anzitutto, è importante sapere che de Mattei è docente di storia presso l'Università europea di Roma (ateneo legato nientedimeno che ai Legionari di Cristo), che si è reso promotore non più di due anni fa di un discusso convegno antidarwiniano - la teoria evoluzionistica, secondo lui (lo ha dichiarato lunedì scorso al Corriere della Sera) si sta letteralmente sgretolando, che per un alto membro di una istituzione di ricerca non è tesi da poco - e che da anni sta combattendo una battaglia personale contro il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, da lui ritenuto personaggio "semievoluzionista", quindi meritevole di defenestrazione. Per contro, dopo l'audace perfomance via etere la sua eventuale autorimozione de Mattei non l'ha presa in considerazione nemmeno per un amen, naturalmente: rispetto all'intervento a Radio Maria, infatti, ha spiegato ancora al Corriere che nell'occasione non stava certo parlando "come vicepresidente del Cnr, ma da cittadino e credente", invece limitandosi "a riprendere un libretto del 1911 scritto da monsignor Manzella, arcivescovo di Rossano Calabro che commentava il terremoto del 1908 riflettendo sul mistero del male". Riparandosi dietro a quanto dichiarato almeno un secolo fa da qualcun altro, l'emerito professore non è arrivato per fortuna a spingersi in un parallelo, che forse poteva risultare azzardato anche per un impavido come lui, fra la Sicilia di inizio '900 di discendenza araba e l'attuale Giappone scintoista, entrambe evidenti terre d'infedeli e per questo forse giusti obiettivi della vendetta divina, magari accumunati anche dal fatto di essere isole (del peccato?): l'ancora troppo recente scatenarsi degli elementi tellurici sulla cattolicissima e saldamente (si fa per dire) ancorata alla terraferma L'Aquila devono averlo saggiamente frenato. Non ci è dato sapere con esattezza quali siano state le ragioni e le benemerenze che hanno portato de Mattei a ricoprire un incarico così alto e importante nell'ambito di un ente di assoluto prestigio come il Cnr, ma per una sorta di ultraterreno dovere di cronaca - oltre che registrare fra i tanti l'intervento pesantemente censorio da parte del vertice dell'Accademia dei Lincei - non possiamo esimerci dal segnalare che in rete è scoppiata la polemica e fioriscono iniziative di privati e associazioni contro de Mattei, alcune delle quali arrivano a chiederne le dimissioni. Se questa o una delle tante iniziative simili andranno a buon fine abbiamo la sensazione che non ne scaturirà certamente un terremoto, ma al massimo ne deriverà qualche scossetta di assestamento, in un organigramma che si vorrebbe all'altezza di un assolutamente benemerito istituto della Pubblica Amministrazione, vanto italiano di indiscussa portata. Poi, ne siamo certi, la vita andrà avanti lo stesso, e magari non mancherà di piovere su noi mortali qualche discreta benedizione dall'alto. Da quelle parti sanno distinguere perfettamente il buono dal meno buono, e l'opportuno da quello che assolutamente non ha la benché minima possibilità di esserlo, soprattutto se si palesa baloccandosi pericolosamente tra affermazioni ridicole e insopportabili teorie oscurantiste _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 30/03/2011 NELLA RICERCA LA CINA INSIDIA GLI USA Pechino è passata dal sesto al secondo posto al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche Studio della Royal Society: sorpasso possibile nel 2013 - Balzo della Turchia Nicol Degli Innocenti LONDRA La Cina insidia gli Stati Uniti anche sul fronte della ricerca scientifica: la potenza asiatica è schizzata dal sesto al secondo posto a livello mondiale ed entro pochi anni salirà in prima posizione scalzando gli Usa. Secondo un rapporto pubblicato ieri dalla Royal Society di Londra «la Cina ha già superato la Gran Bretagna per numero di pubblicazioni scientifiche e si prevede che forse già nel 2013 e sicuramente entro il 2020 superi anche gli Stati Uniti». La classifica della ricerca scientifica mondiale è ancora dominata daí Paesi occidentali con Gran Bretagna, Germania, Francia, Canada, Italia (scesa dal settimo all'ottavo posto) e Spagna alle spalle degli Usa, ma il loro contributo cala. Il Giappone ha ceduto il secondo posto alla Cina, scendendo in quarta posizione, mentre l'India è entrata per la prima volta nella top ten al numero dieci, scalzando la Russia. Il rapporto "Knowledge, Networks and Nations" dell'accademia scientifica britannica si basa sul numero di articoli e studi pubblicati nelle riviste scientifiche più prestigiose a livello mondiale paragonando il periodo 1993 -2003 al quadriennio 2004-2008. Allo stato attuale «gli Usa sono leader mondiali e producono il 20% di tutta la ricerca scientifica, dominano le classifiche universitarie e investono quasi 400 miliardi di dollari all'anno in ricerca ,e sviluppo», afferma il rapporto. La percentuale di ricerca made in Usa è però scesa dal 26,4% al 21,2% attuale e anche GranBretagna, Giappone, Germania e Francia hanno registrato un calo negli ultimi anni. La Cina invece ha più che raddoppiato il suo contributo alla ricerca scientifica mondiale passando dal 4,4% all'attuale10,2% e conquistando così la seconda posizione. «L'ascesa della Cina è stata particolarmente impressionante - afferma il rapporto -. Pechino ha aumentato molto gli investimenti con una crescita del 20% ogni anno a partire dal 1999 per arrivare agli oltre Zoo miliardi di dollari di oggi». Nel 2006 inoltre le università cinesi hanno sfornato 1,5 milioni di laureati in scienza e ingegneria, numero che sí prevede sia andato crescendo negli ultimi anni. La morale è che «nessun Paese per quanto storicamente dominante può permettersi di riposare sugli allori se vuole mantenere il vantaggio competitivo che deriva dall'essere un leader nella scienza - afferma Chris Llewellyn Smith, direttore della ricerca della Royal Society -. Il mondo scientifico sta cambiando e nuovi protagonisti si stanno rapidamente facendo avanti: oltre all'emergere della Cina stiamo assistendo all'ascesa di Paesi dell'Asia orientale, del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale». Il rapporto dimostra la stretta correlazione tra investimenti e risultati. Un esempio è la Turchia, che ha dichiarato la ricerca una priorità assoluta aumentando di sei volte gli investimenti pubblici: in dieci anni il numero di ricercatori è salito del 43%, il numero di articoli pubblicati è quadruplicato e il settore ha registrato un miglioramento paragonabile a quello cinese. Un altro esempio è l'Iran, che ha registrato l'incremento maggiore nel numero di pubblicazioni scientifiche, passando dalle 736 del1996 alle 13.238 del 2008. La Tunisia, che dieci anni fa non investiva affatto in ricerca, ora dedica alla scienza lo 0,7% del budget. In Brasile, altro Paese fino a poco fa "invisibile", San Paolo ormai produce più ricerca scientifica dell'antica università di Cambridge in Inghilterra. L'aspetto più importante, secondo la Royal Society, è che lari- cerca scientifica si sta internazionalizzando e che c'è più cooperazione che concorrenza tra Paesi. «Problemi globali come il cambiamento climatico, il rischio di pandemie, la bio-diversità, le riserve di cibo, acqua ed energia hanno bisogno di soluzioni globali e la collaborazione è necessaria per trovare queste soluzioni - afferma Llewellyn Smith -. Più Paesi sono impegnati nella ricerca scientifica, più innovazioni ci saranno per il bene di tutti». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 03/04/2011 Le CINQUE REGOLE PER SOPRAVVIVERE ALL’ABUSO DI INTERNET &C. Prestigiosa firma del giornalismo americano, Tony Schwartz è noto anche in quanto fondatore di The Energy Project, una società che organizza corsi per insegnare ai quadri come ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Forte della sua autorevolezza, Schwartz ha puntato il dito— nel corso di una lezione alla Interactive Conference di Austin— contro gli effetti dell’abuso delle nuove tecnologie sul nostro modo di vivere e lavorare. Il suo messaggio è sintetizzabile in 5 regole auree. Imparate a dire di no: siete travolti da mail, tweet, conferenze, meeting, articoli da leggere e/o scrivere, aggiornamenti di stato? Chiudete il rubinetto, selezionando gli impegni in base alla loro reale importanza. Non riuscite a tenere a mente tutto ciò che dovete fare? Dedicate meno tempo a scrivere elenchi di cose da fare e più tempo a ragionare su come farle (se ne avrete dimenticato qualcuna vuol dire che non erano tanto urgenti). Fate una cosa alla volta: chi pratica il multitasking forse fa più cose, ma le fa male. Tenete un diario delle vostre idee e consultatelo periodicamente per verificare quali si sono dimostrate valide e quali no: il tempo aiuta a ridimensionare i facili entusiasmi. Imparate a staccare: se state leggendo un libro o scrivendo un testo, spegnete il cellulare e non consultate la posta elettronica e gli aggiornamenti di stato finché avrete finito e, quando rientrate a casa a fine giornata, spegnete tutto sottraendovi a qualsiasi richiesta di comunicazione a distanza. In un articolo sullo Huffington Post in cui espone questo «pentalogo» per sopravvivere alla filosofia dell’always on, Schwartz racconta— con un tocco di autoironia — che, subito dopo avere finito la conferenza, ha letto i commenti che alcune persone che gli era capitato di riconoscere nel pubblico avevano postato sui loro blog, su Twitter o su Facebook; dopodiché commenta: per riferire «in tempo reale » quanto stavano ascoltando, dovevano per forza smettere di prestarmi attenzione, perdendo il senso del ragionamento; come a dire: so benissimo di predicare al deserto. Pessimismo giustificato: chiunque abbia provato a «staccare» , sa quanto sia diventato difficile riuscirci davvero. Carlo Formenti _____________________________________________________________ Corriere della Sera 31/03/2011 QUEI SUSSIDI (SBAGLIATI) ALL’ENERGIA di MASSIMO MUCCHETTI La bolletta della luce aumenta del 3,9 per cento. Una stangata ben superiore al tasso d’inflazione, una zeppa nell’ingranaggio della ripresa. Colpa della guerra in Libia, della catastrofe naturale in Giappone? Macché. L’aumento dei prezzi internazionali dei combustibili pesa solo per lo 0,9 per cento. Tre punti tondi d’aumento vengono dal costo dei sussidi alle imprese che producono energia elettrica da fonti rinnovabili. Gli aiuti a queste imprese salgono così a 4,9 miliardi l’anno. L’equivalente della manovra prodiana sul cuneo fiscale, un multiplo della social card berlusconiana Mentre si discute in astratto se l'Italia debba o non debba avere una politica industriale partendo dal caso Parmalat, in concreto si assegnano 1,5 miliardi a copertura dei certificati verdi invenduti e 2,4 per il fotovoltaico. La decisione l'ha presa l'Autorità per l'Energia, ma è un atto dovuto per un quarto ai mercati e per tre quarti alle scelte del governo. E'bene ricordare che esistono due modi di finanziare la spesa pubblica e diminuire, quindi, il reddito disponibile delle famiglie e delle imprese: uno, trasparente seppur sgradevole, è l'imposizione fiscale diretta e indiretta; l'altro, meno chiaro e perciò più tollerato, consiste nell'aumentare i prezzi regolati di beni irrinunciabili come l'energia destinando i proventi a finalità e beneficiari stabiliti per legge. La misura di furbizia implicita in questa seconda modalità sarebbe comunque il meno se gli effetti dell'opaco prelievo dalle tasche degli italiani avessero un'utilità generale. Non sembra questo il caso. L'Autorità ha avuto il merito di spiegare com'è diviso l'aumento. La qual cosa apre tre questioni. Prima questione, lo stanziamento per i certificati verdi è raddoppiato. L'Autorità l'aveva in precedenza fissato in 700 milioni l’anno avvertendo che l'onere avrebbe potuto raddoppiare ove il legislatore avesse dato un'interpretazione della «manovra Tremonti» meno favorevole ai consumatori. Con il decreto attuativo della direttiva Ue sulle rinnovabili, il governo ha cassato la norma stessa azzerando lo sforzo del ministro dell'Economia e costringendo l’Autorità a prenderne atto. Seconda questione, i 2,4 miliardi sussidiano gli impianti fotovoltaici che l'Autorità stima prudenzialmente in funzione a fine 2011 per una potenza di 6700 megawatt e non tutti a tariffa massima. Gli incentivi dureranno 20 anni. A moneta corrente, comporteranno un onere complessivo di almeno 48 miliardi. Ma il peggio deve ancora venire. E'in pieno svolgimento, infatti, una partita complicata ma soprattutto confusa dentro il governo, tra l'anima «ambientalista» e quella «industrialista» , e tra il governo e le lobby del fotovoltaico. Al momento sembra emergere un compromesso nel fissare, mediatrice Confindustria, un tetto di 6 miliardi agli incentivi annuali per il fotovoltaico da raggiungere nel 2016-2017. L’associazione imprenditoriale presieduta da Emma Marcegaglia immagina questi incentivi ad andamento decrescente (ma sempre meno dei tedeschi) e dunque in grado di far installare una capacità produttiva sussidiata di 20 mila megawatt, due volte e mezza l'obiettivo che il governo italiano si era dato per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020, quasi si cercasse a tutti i costi il modo più oneroso rispettare il protocollo di Kyoto. Assosolare, incontentabile, vorrebbe alzare il tetto addirittura a 7 miliardi. Ma già 6 miliardi per 20 anni fanno 120 miliardi. Sei miliardi equivalgono al valore di una Parmalat e mezza. Sono meno degli aiuti pubblici dati alla Fiat dal 1990 ai giorni nostri. Terza questione, gli effetti sull'economia. Se passasse la linea confindustriale, avremmo a regime energia solare per circa 24 terawattora l'anno, l'8%dell'attuale produzione nazionale il cui prezzo industriale è pari a 20 miliardi di euro. Questo dorato 8%costerebbe quanto il 30%del totale e garantirebbe, ai livelli attuali, ritorni tra il 60 e l'80%sul capitale di rischio investito. Secondo le stime del Politecnico di Milano, il fotovoltaico darebbe lavoro nel 2013 a 50 mila addetti, tra diretti e indiretti. Le associazioni di settore si spingono fino a 150 mila addetti. Il governo dovrebbe calcolare quanti posti di lavoro si creerebbero a incentivi pieni, e per quanto tempo, e paragonarli a quanti ne verrebbero assegnando diversamente queste risorse dei cittadini o lasciandole nelle loro tasche per altri consumi e investimenti. E quale ricaduta avrebbe destinare anche solo una frazione di quest’enormità alla ricerca sulle rinnovabili che sarebbe la vera base di una filiera industriale sofisticata e non troppo tributaria dell'estero. Massimo Mucchetti _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 31/03/2010 COLONNE D ERCOLE, UNA CIVILTÀ NASCOSTA NEL FANGO Walter Porcedda CAGLIARI. Oltre le Colonne d’Ercole. Dentro una delle rotte di navigazione più intriganti della storia del Mediterraneo. E soprattutto della nostra. Della Sardegna che, improvvisamente, è uscita come un vascello perduto e dimenticato dalle nebbie del tempo che l’avvolgevano. Nocchiero esploratore e appassionato detective di un’impresa che comunque la si voglia giudicare ha riportato l’antica Ichnusa al centro delle rotte mediterranee - stavolta degli storici - esattamente dove era sempre stata, lo scrittore e giornalista inviato delle pagine culturali de «La Repubblica» Sergio Frau. Spostati più in qua dello stretto di Gibilterra gli antichi confini che indicavano pericoli ma anche l’orizzonte di un’isola mitica (l’Atlantide di Platone?) si è formato un quadro assai diverso da quello che fino ai giorni nostri certo establishment culturale - vuoi per ignoranza o per salvaguardia di potere - aveva disegnato e fissato sui libri di scuola. Ostinatamente, passo dopo passo, Frau ha condotto un lavoro di scavo nelle antiche fonti - da Erodoto a Esiodo - inaugurando anche un’inedito modo di ricercare. Consultando e stimolando cioè scienziati della terra, geofisici e geologi ha cercato riscontri a una delle sue più avvincenti teorie. Quella di uno tsunami che un giorno travolse e inondò la Sardegna, dal Sinis al Campidando, distruggendo nei fatti una civiltà florida e rispettata di metallurgici e navigatori. Uno tsunami spaventoso che, come si è visto di recente in Giappone ha sepolto e cancellato intere città. Così, per Frau, accadde anche in Sardegna in un’alba tragica del XII secolo avanti Cristo. Una catastrofe che ha nascosto fino ad oggi centinaia di nuraghi e villaggi sotto il fango. Di tutto questo sarebbe ora importante trovare le prove scientifiche che potrebbero davvero far riscrivere la storia nostra e quella del Mediterraneo. Ridando, nel caso dei Sardi, quella memoria, in parte perduta, delle origini. Questo il cuore di «Isola Mito? Parla la Terra sarda», convegno coordinato proprio dallo stesso Frau che si apre domani alle ore 17,30 a Palazzo Regio e vede a confronto una serie di importanti studiosi e scienziati a cominciare da un’autorità come Stefano Tinti, dello Tsunami resarch dell’univesrità di Bologna, Giuseppe Mastronuzzi, responsabile di ricerche nazionali e internazionali sullo tsunami, Lucia Simone, Scienza della Terra di Napoli, il geologo Roberto Pischedda con alcune comunicazioni dall’Università di Sassari (di Vincenzo Pascucci e Stefano Andreucci). ========================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 26/03/2011 SANITÀ SAN GIOVANNI DI DIO E POLICLINICO:ORA GLI ESAMI LI CONSEGNA IL “TOTEM”  Basta file e attese snervanti. Per ritirare i referti degli esami di laboratorio, eseguiti al San Giovanni di Dio e al Policlinico di Monserrato, basterà utilizzare i “totem” che l'Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari ha installato nell'atrio dei due ospedali. Chiunque potrà stampare per conto proprio il referto. Sarà sufficiente avere con sé il foglio rilasciato a ogni paziente al momento dell'effettuazione del prelievo e appoggiare il codice a barre nel lettore del totem. A garanzia della privacy sul display del dispositivo non comparirà alcuna informazione relativa all'utente o al referto. Un sistema che conferma l'attenzione dell'Azienda mista alle esigenze dei propri pazienti. Novità anche per i dipendenti che riceveranno il cedolino dei pagamenti via e-mail. Un'innovazione che permetterà di risparmiare circa 20 mila euro all'anno che venivano spesi per le spedizioni postali. Inoltre è stato attivato il portale dell'Aou dove i dipendenti potranno consultare i pagamenti telematici, il proprio Cud, le presenze mensili e tutti i propri documenti aziendali. Un aggiornamento in tempo reale della propria situazione lavorativa (retribuzione, presenze, ferie e permessi). Il dipendente potrà utilizzare il portale anche per la richiesta di ferie e missioni. Un passo avanti voluto dalla direzione aziendale in sinergia con l'assessorato regionale alla Sanità. (m. v.)   _____________________________________________________________ Sanità News 01/04/2011 MIUR AVVIA L’ITER DEI CONCORSI PER I MEDICI SPECIALIZZANDI  Il Miur ha, infatti, dato il via all'iter concorsuale per l'accesso alle scuole di specializzazione di area sanitaria per l'anno accademico 2010/2011. Migliaia di medici aspiranti specializzandi potranno presto 'contendersi' 5.000 contratti di formazione ministeriali, a cui si sommeranno i posti aggiuntivi che ciascuna Regione vorra' eventualmente finanziare. Lo comunicano in una nota i giovani medici. Le universita' dovranno pubblicare i bandi di concorso in data 5 aprile. La prima prova (quiz) si terra' nei giorni 7, 8 e 9 giugno, rispettivamente per tutte le Scuole di specializzazione afferenti all'Area medica, all'Area chirurgica ed all'Area dei servizi. La data di inizio delle attivita' didattiche e' fissata al 30 giugno, a soli quattro mesi dalla fine dell'anno accademico 2010/2011. Per questa ragione il Comitato nazionale aspiranti specializzandi ed il Sigm (giovani medici), pur esprimendo "soddisfazione" per il superamento dell'impasse e revocando la mobilitazione annunciata per il 7 aprile, intendono proseguire la loro opera "di sensibilizzazione delle Istituzioni e del legislatore al fine di ottenere - scrivono - la revisione della norma, che nell'attuale conformazione si e' caratterizzata per uno stato di inapplicabilita' delle scadenze codificate". I giovani medici hanno deciso di rivolgersi al presidente della Repubblica, "che ha dimostrato grande attenzione per la condizione dei giovani", per essere ascoltati sulle "difficolta' connesse alla condizione dei giovani medici in Italia, dal conseguimento del diploma di laurea all'accesso al mondo del lavoro". Il Sigm, infine, ha dato mandato ai propri legali di valutare se sussistano gli estremi per avviare una class action contro lo Stato, per i ritardi registrati negli ultimi 8 anni nell'indizione del concorso per l'accesso alla specializzazione. Disservizi che "contribuiscono a ritardare l'accesso al mondo del lavoro". (Sn) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 01/04/2011 ASL, MANAGER CON MOLTE CONFERME Via libera della Giunta. La minoranza: «Spartizione di poltrone» Sei conferme, uno spostamento e due novità. Finisce il commissariamento e anche la suspense sul totonomine: le aziende sanitarie sarde hanno di nuovo i direttori generali. Nell'ultimo giorno utile prima della scadenza delle proroghe dei commissari, la Giunta regionale dà il via libera alla proposta dell'assessore alla Sanità Antonello Liori e apre la strada alla nuova gestione delle Asl. Nomine ripartite secondo gli equilibri della maggioranza, anche se nasconderebbero tensioni tra le correnti del Pdl. Per le forze d'opposizione «è solo bassa spartizione». Restano da formalizzare ancora i nomi dei due direttori generali delle aziende miste (ospedale-università) di Cagliari e Sassari. I DIRETTORI GENERALI Sono cinque i nomi associabili al Pdl (diventeranno sei con l'Aou di Sassari), mentre l'Udc ne esprime due (ma presto indicherà anche il nome del manager dell'Agenzia sanitaria), uno è del Psd'Az e uno dei Riformatori (il secondo arriverà con l'Aou di Cagliari). Poltrone soltanto per uomini. Nel capoluogo resta al suo posto all'Asl 8 Emilio Simeone (Udc) ed è confermato anche Antonio Garau alla guida dell'Azienda Brotzu. Direttore generale dell'Asl 7 del Sulcis è ancora Maurizio Calamida(Riformatori), mentre cambia guida l'Asl 6 di Sanluri (che resta in quota Pdl): entra in scena Salvatore Piu , ex sindaco di Muravera, primario del pronto soccorso dell'ospedale Marino di Cagliari. Si trasferisce da Nuoro a Oristano, invece, Mariano Meloni (Psd'Az), che ora dirigerà l'Asl 5.  Cambia nome, quindi, il manager dell'Asl 3 di Nuoro, che fa capo al Pdl: la Giunta ha indicato Antonio Soru , che aveva già ricoperto l'incarico di direttore sanitario al tempo della gestione Mulas. Conferma in Ogliastra: sulla poltrona più importante dell'Asl 4 ci sarà ancora Francesco Pintus . Stessi nomi anche al nord: manager dell'Asl 1 di Sassari sarà ancora Marcello Giannico (Pdl), mentre a Olbia resta in carica Giovanni Antonio Fadda dell'Udc.  AZIENDE UNIVERSITARIE Si dovrà attendere ancora qualche giorno per la nomina dei direttor delle Aou, le aziende miste di Cagliari e Sassari. Questione di delicatezza formale, il governo regionale vuole prima sentire il parere dei due rettori universitari. Ma non ci dovrebbero essere troppi dubbi sulla conferma di Ennio Filigheddu (Riformatori) e sulla nomina di Sandro Cattani (Pdl) a Sassari (dove era già direttore amministrativo) che prenderà il posto di Giovanni Cavalieri: il commissario uscente non aveva presentato la domanda di conferma.  LIORI SODDISFATTO Subito dopo la riunione di Giunta con la ratifica delle nomine, l'assessore Liori spiega che le numerose conferme attestano «il buon lavoro svolto finora» e dimostrano che la Giunta regionale e le Asl «sono sulla buona strada per il rilancio della sanità isolana». Segue il ringraziamento ai commissari non confermati «per il lavoro svolto in questi mesi con correttezza e lealtà». PD ALL'ATTACCO «È vergognoso: la sanità ridotta a merce di scambio, a centro di potere», è l'affondo durissimo del capogruppo del Pd Mario Bruno. «Con le nomine nelle Asl sarde, la maggioranza e il presidente Cappellacci hanno perso ogni ritegno». L'attacco è frontale: «La peggior Giunta della storia dell'autonomia ha il suo collante solo nella spartizione becera delle poltrone e nella gestione delle clientele». Giuseppe Sechi, responsabile del Forum sanità del Pd, rincara la dose: «Nelle nomine si è fatto ricorso allo spoil-system , nient'altro che un assalto alla diligenza per sole ragioni di appartenenza politica».  LE POLEMICHE Dall'opposizione arriva anche la bocciatura dell'Idv: «L'ansia da occupazione dei posti di potere per gli amici degli amiciche anima il centrodestra sembra non tenere conto della voragine drammatica certificata nei conti della sanità sarda», sentenziano i consiglieri regionali Adriano Salis, Daniele Cocco e Giannetto Mariani. Roberto Capelli (Api) è caustico: «Oltre a non aver rispettato i tempi per la riforma, l'esecutivo ha scelto di proseguire nel segno dell'illegittimità degli atti», nominando chi «non possiede i titoli richiesti dalle leggi 10 e 502». GIULIO ZASSO _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 01/04/2011 FILIGHEDDU GRADITO DA MELIS SANITÀ, NUOVO CONFRONTO SUI DIRETTORI Vertici amministrativi e sanitari: si va verso il monocolore Ci sono ancora ventidue nomine da fare. Un altro percorso a ostacoli per il presidente della Regione, chiamato a gestire le pressioni dei partiti - compreso il suo - di fronte alla fetta più robusta del bilancio regionale, la sanità. La novità, nella seconda tornata di incarichi, potrebbe essere rappresentata dal turn over - almeno il 50 per cento dei direttori cambierà - e dalla diversa geografia degli incarichi: l'auspicio degli addetti ai lavori e dei tecnici dentro i partiti è quello di varare delle direzioni monocolore, ovvero espressione di una sola forza politica. Dove c'è un manager legato al Pdl, per esempio, si affiderebbero gli incarichi di direttore sanitario e amministrativo a due professionisti di fiducia, o diretta diramazione dello stesso partito. Salvaguardando quei due o tre casi dove, per garantire equilibri che si riflettono nella coalizione o fino alla Giunta regionale, si debba per forza lasciare in quell'ufficio il dirigente legato a una diversa forza politica. LO SCENARIO Le poltrone più pesanti hanno trovato un padrone: i manager della sanità regionale da ieri sono al loro posto, dieci su undici hanno un volto e una collocazione, compreso Ennio Filigheddu (azienda mista di Cagliari, molto stimato nel policlinico), per il quale è arrivato il via libera del rettore Giovanni Melis. Mentre per l'ultimo, Sandro Cattani (azienda ospedaliero-universitaria di Sassari) si attende solo l'accordo con il rettore Attilio Mastino. Passaggio poco più che formale, perché è stato il partito di maggioranza relativa, il Pdl, a indicare un nome sul quale l'accordo è certo. Undici caselle al loro posto, per chiudere una vicenda che si trascina da un anno. L'opposizione, anche ieri, ha tuonato, gridando allo scandalo: «Spartizione di poltrone». Reazione prevedibile, quella della minoranza, che non ha mai mancato di mettere in evidenza qualsiasi passo falso, ritardo o intoppo del centrodestra nel gestire una vicenda complessa come quella della sanità. Con una legge di riforma del settore che naviga ancora in Commissione e i Riformatori, partito di riferimento del presidente soprattutto in questo campo, decisamente di traverso. I RETROSCENA Cosa sta succedendo nel Pdl? A scorrere i nomi, il partito di provenienza e la loro collocazione, lo scenario appare più chiaro. Dalla furiosa ressa e da riunioni interminabili e nervose, escono rafforzati il presidente Ugo Cappellacci e quei consiglieri che oggi lo sostengono anche fuori dal gruppo, espressioni di Sassari, Olbia, Nuoro e Ogliastra, oltre che della città capoluogo. Indiscrezioni raccontano di una presidente del Consiglio Claudia Lombardo e del capogruppo Mario Diana non particolarmente felici dopo le nomine, perché nelle loro sedi di riferimento oggi sventolano altre bandiere. È il risultato di alcuni mesi di aspri confronti fra i Palazzi? È la resa dei conti anche all'interno del gruppo consiliare? Le prossime settimane permetteranno di avere un quadro più chiaro degli equilibri all'interno del partito che domina la scena anche nella sanità. LA SINISTRA «Assistiamo all'ennesima sceneggiata della destra sarda che, invece di operare per combattere la crisi e per il bene della Sardegna, ripristina il sistema feudale nella gestione della cosa pubblica, operando l'ennesima beffa alla sanità con la nomina dei commissari a manager delle Asl», sostiene il coordinatore regionale del Pdci-Federazione della Sinistra sarda, Alessandro Corona. «I baronati locali - dice l'esponente dell'opposizione - tramite le spartizioni partitiche e affaristiche, prendono il sopravvento sugli interessi reali della sanità, dei sardi e della Sardegna. C'è un ritorno becero alla vecchia politica e alla logica della spartizione. È questa sete innata di potere e dello stravolgimento delle regole democratiche che tiene in vita il governo Cappellacci». ENRICO PILIA _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 01/04/2011 NOMINE ASL, BUFERA POLITICA SULLA GIUNTA Per l’azienda universitaria di Sassari il Pdl indica Cattani, ora deciderà il rettore CAGLIARI. Dei commissari delle Asl ne escono di scena solo due, gli altri sono da ieri direttori generali. E per l’azienda ospedaliera universitaria di Sassari è stato designato Sandro Cattani. Sono le ultime novità del capitolo nomine che ha scatenato una bufera politica sulla giunta Cappellacci. L’opposizione: «Atti illegittimi».  Il quadro completo delle nomine deliberate ieri dalla giunta (pubblicato qui a fianco) ha riservato una sola sorpresa rispetto alle indiscrezioni raccolte mercoledì sera dopo il vertice politico del centrodestra con il presidente Ugo Cappellacci. L’unica novità è la staffetta che il Pdl ha deciso di fare all’Asl di Sanluri: entra Salvatore Piu e non il commissario uscente Giuseppe Ottaviani. L’altra novità, come s’è detto, riguarderà Sassari non appena il rettore Attilio Mastino (forse martedì, dopo il parere della facoltà di medicina) darà l’assenso alla proposta fatta dalla giunta a favore di Sandro Cattani, ora direttore amministrativo della Asl, come manager dell’azienda ospedaliera universitaria. Il commissario uscente, Giovanni Cavalieri, non aveva presentato la domanda. Come prima Cavalieri, Cattani è stato indicato dal Pdl. Uno degli sponsor principali, Nanni Campus, si è detto soddisfatto anche per la nomina di Marcello Giannico, già commissario, alla Asl sassarese. Se quella di Sassari pare sia stata una scelta indolore per la maggioranza, così non è avvenuto a Olbia, dove è stato confermato, ma da direttore generale, il commissario Giovanni Antonio Fadda, in quota Udc. Il padre padrone del Pdl olbiese, Settimo Nizzi, pretendeva un ricambio, ma Giorgio Oppi, padre padrone dell’Udc, non ne ha voluto sapere. Lo scontro diretto in maggioranza è stato evitato solo perché mercoledì sera Nizzi non ha potuto partecipare al vertice con Cappellacci perché impegnato alla Camera nella bagarre che ha avuto il ministro La Russa (o La Rissa come è stato ribattezzato per l’occasione) nelle vesti del protagonista. Qualche malumore anche nell’asse Nuoro-Oristano. Il commissario nuorese Mariano Meloni è stato promosso e trasferito a Oristano (ma nel Pdl barbaricino ha retto l’accordo Pittalis-Murgia-Ladu su Antonio Soru). Mentre a Oristano è stata registrata la delusione del capogruppo regionale Mario Diana, che ha forse pagato la nomina dell’oristanese Oscar Cherchi nella giunta Cappellacci (il Nuorese invece era rimasta a bocca asciutta). Durissimi reazioni del centrosinistra all’ennesima lottizzazione. Il più duro è stato l’ex udc Roberto Capelli, ora leader sardo della rutelliana Api: «Sfrontatezza della giunta che non ha rispettato i tempi per la riforma e ha proseguito nel segno dell’illegittimità degli atti con le nomine di degnissime persone, che, però, non possiedono i titoli richiesti dalle leggi». Anche i capigruppo di Pd e Idv, Mario Bruno e Adriano Salis, hanno parlato di «palesi atti illegittimi». Secondo Bruno «è vergognoso ridurre la sanità a merce di scambio, mentre la riforma è bloccata dagli scontri in maggioranza e il deficit continua a salire». Salis ha affermato che «è ora di dire basta a questa commistione tra affari e politica» e ha anticipato, riferendosi anche ad altri esposti alla magistratura, che «ci rivolgeremo a tutte le sedi utili».  Se e quando sarà approvata la legge di riforma ci saranno altre nomine. L’Udc ha già prenotato l’Agenzia sanitaria di nuova costituzione. E ci saranno da scegliere anche il direttore della Macroarea (che potrebbero essere due). LA SCHEDA Tra i commissari soltanto due non «promossi» Asl 1 di Sassari Marcello Giannico, in quota Pdl, già commissario. Asl 2 di Olbia Giovanni Antonio Fadda, quota Udc, già commissario. Asl 3 di Nuoro Antonio Soru, quota Pdl, ex direttore sanitario, sostituisce Mariano Meloni. Asl 4 di Lanusei Francesco Pintus, in quota Pdl, già commissario. Asl 5 di Oristano Mariano Meloni, è in quota Psd’Az, ex commissario a Nuoro, sostituisce Giovanni Panichi (Pdl). Asl 6 di Sanluri Salvatore Piu, quota Pdl, sostituisce Giuseppe Ottaviani. Asl 7 di Carbonia Maurizio Calamida, indicato dai Riformatori, già commissario. Asl 8 di Cagliari Emilio Simeone, in quota Udc, già commissario. Azienda ospedaliera Brotzu Antonio Garau, in quota Pdl, già commissario. Az. universitaria Cagliari I Riformatori hanno designato il commissario uscente Ennio Filigheddu, il rettore dovrà dare l’assenso. Az. universitaria Sassari Il Pdl designa Sandro Cattani, il rettore deve dare l’assenso. Il commissario Giovanni Cavalieri non aveva fatto domanda per manager. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 01/04/2011 ASSENTI LE COMPETENZE. IN SARDEGNA IL CAOS TOTALE La regione Lombardia ha reso pubbliche a dicembre le 45 nuove nomine dei direttori generali di 29 ospedali, delle 15 Asl e dell'Azienda regionale dell'emergenza e urgenza (Areu). Ma tutto ciò non segna di certo una svolta nei criteri della spartizione politica. Luciano Bresciani, assessore leghista alla Sanità, ha precisato che: “La nomina dei direttori generali di Asl e ospedali deve essere legata al peso del voto espresso dalla popolazione”; “Non si tratta, quindi, di lottizzazione, ma è semplicemente l'unico modo per rispettare il mandato degli elettori”. Gli elettori chiedono un buon servizio sanitario e ora sappiamo che ciò si può avere solo dando la direzione di un certo numero di ospedali alla Lega, di importanti Asl al Pdl e quello che resta a qualche altro partito della coalizione. Sorprendente questa autarchia. Perché è evidente che dovremmo dare l'amministrazione della sanità a direttori generali autonomi dai partiti, ma fortemente capaci ed esperti. La Sardegna ha scelto la strada dello spezzatino della sanità, senza proclami. Sia la precedente giunta che quella attuale hanno deciso di gestire direttamente la sanità. I direttori generali, amministrativi e sanitari vengono nominati ciascuno come espressione della forza che le varie componenti politiche hanno all'interno della coalizione. Per poterli nominare, e gestire così direttamente il settore, si cambiano i criteri di selezione, si apre la strada a personaggi spesso senza alcuna esperienza e studio di management sanitario, si promuovono a direttori persino cittadini di Paesi extraeuropei, si piegano gli interessi legittimi della popolazione a mezzo per conservare il consenso elettorale. Un caos totale denunciato dalla stessa coalizione di governo. Chiunque usi questi mezzi distrugge il nostro servizio sanitario. Anche la nostra regione, come altre, deve avere una scuola di gestione e di valutazione della sanità che nasca dal contributo delle facoltà di economia, giurisprudenza e medicina. Una scuola che formi una classe di amministratori che avranno le loro idee politiche, ma che sapranno sovrintendere con competenza. E chi saprà dare una buona sanità avrà un consenso elettorale vero, diverso da quello ottenuto finora. ANTONIO BARRACCA _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 03/04/2011 «IL CAMBIO AI VERTICI DELLA NOSTRA ASL RESTA UNA SCELTA DAVVERO INSPIEGABILE» L’ex direttore generale stava portando avanti progetti già approvati SAN GAVINO. Fatto fuori per non rispettare gli impegni assunti congiuntamente sulla realizzazione del nuovo ospedale di San Gavino. La sospettosa ipotesi, invero anche abbastanza maliziosetta, l’avanza il presidente della Provincia del Medio Campidano, Fulvio Tocco, in relazione alla nomina del direttore generale della Asl 6 di Sanluri. Dice Tocco: «Giuseppe Ottaviani, commissario straordinario dal settembre 2009 dell’azienda sanitaria del nostro territorio, era l’unico, nel tourbillon delle nomine, dato per riconfermato sino al giorno prima dell’inaspettato defenestramento. Sembrava gli si volesse riconoscere il merito di aver tenuto in ordine i conti della sanità del Medio Campidano. Invece lo hanno frettolosamente mandato a casa».  Al suo posto arriva, da direttore generale, Salvatore Piu (anche lui area Pdl, come Ottaviani), ex primario del pronto soccorso dell’ospedale San Marcellino di Muravera e già sindaco della cittadina del Sarrabus.  Niente da dire sul nuovo manager: «A cui voglio dare il benvenuto e l’augurio di fare bene, garantendo tutta la nostra collaborazione», puntualizza il presidente della Provincia.  Che tuttavia non rinuncia a sue personali considerazioni: «La Giunta regionale ha giustificato le altre riconferme riconoscendo il buon lavoro svolto dai commissari e manager uscenti - prosegue Tocco -, allora mi viene da credere che Ottaviani sia stato punito. E perchè? Non è che facendo fuori lui si vogliano disconoscere gli impegni che l’assessore regionale della Sanità, Antonello Liori, ha preso con il territorio e per i quali Ottaviani stava lavorando? Appunto il nuovo ospedale di San Gavino, ma anche la riorganizzazione del Centro di riabilitazione Santa Maria Assunta di Guspini».  Insomma, anche se non lo dice esplicitamente Fulvio Tocco sembra davvero convinto che quello dell’ormai ex direttore generale dell’Asl 6 sia stato un vero e proprio “siluramento” deciso in tutta fretta per evitare di mantenere, appunto, gli impegni assunti con il territorio. (l.on.) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 01/04/2011 TICKET PER REDDITO, NOVITÀ IN VIGORE DA OGGI I medici che prescrivono prestazioni su ricetta dovranno indicare il codice dopo aver consultato uno specifico elenco Il Ministero cambia le modalità per ottenere l’esenzione per visite ed esami specialistici Per ridurre i disagi la Asl ha potenziato gli uffici al pubblico SASSARI. A partire da oggi cambiano le modalità per ottenere l’esenzione del ticket per reddito per visite ed esami specialistici. La novità è stata introdotta dal decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 2009.  Decreto relativo alla verifica delle esenzioni per reddito dalla compartecipazione alla spesa sanitaria. Da oggi i medici che prescrivono prestazioni specialistiche su ricetta del Servizio sanitario nazionale dovranno indicare, su richiesta del paziente, il codice di esenzione per reddito, dopo aver consultato uno specifico elenco fornito dal sistema Tessera Sanitaria-Agenzia delle Entrate che riporta la condizione di esenzione dell’assistito. Per ridurre al minimo i disagi legati all’applicazione del nuovo decreto, la Asl di Sassari sta inviando per posta, al domicilio dei cittadini esenti per reddito e già presenti nell’elenco dell’Agenzia delle Entrate, il certificato di esenzione.  Gli assistiti che non sono inseriti in tale elenco, ma che ritengano di possedere i requisiti per avvalersi dell’esenzione per reddito, potranno chiedere alla Asl di appartenenza il rilascio del certificato di esenzione autocertificando la propria condizione. In questo caso dovranno rivolgersi agli sportelli territoriali dedicati alle certificazioni di esenzione per reddito. L’Azienda, per venire incontro alle esigenze dell’utenza, ha potenziato gli uffici al pubblico del territorio e ne ha istituiti di nuovi a Sassari, Alghero e Ozieri. _____________________________________________________________ Il Messagero 1/04/2011 MEDICI, IL SORPASSO DELLE DONNE I dati sui neolaureati in ospedale. E al Gemelli équipe tutta rosa di CARLA MASSI PRENDIAMO cento studenti in Medicina: sessanta sono donne. Scorriamo l'elenco dei 67.980 specialisti: 35.986 femmine e 31.994 maschi. Controlliamo gli iscritti degli Ordini professionali sotto i 35 anni: 64% signore o signorine. «Una inarrestabile femminilizzazione della professione», tagliano corto i camici bianchi (uomini). Un po' indifferenti, un po' sorpresi, un po' seccati ma, sicuramente, oggi più interessati di ieri ad analizzare il fenomeno. Tanto che M "fenomeno" hanno deciso di dedicare un'intera giornata di studio, oggi a Firenze. I rappresentanti degli Ordini di tutta Italia si sono dati appuntamento per stamattina nell'aula magna dell'università. Titolo dell'incontro: "Leadership in Sanità, interpretazione al femminile, innovazioni, opportunità". Se ci fermiamo qui, la situazione sembra davvero rosa. I numeri preannunciano scenari tutti nuovi in corsia e, prima del futuro sorpasso di lei su lui dai trenta ai sessant'anni, la categoria già si prepara ad ipotizzare una rivisitazione dei modelli organizzativi. Se alziamo gli occhi, però, e andiamo a cercare le donne ai vertici dei reparti ne troviamo poche. Solo una su dieci. Una delusione che solo le dirette interessate sanno spiegare. Ai posti di comando troviamo lo strapotere maschile. Lo troviamo nei reparti ospedalieri ma anche negli Ordini professionali. Sui 106 che se ne contano nel nostro paese solo due hanno donne medico alla guida. Come dire che al nastro di partenza sono tante ma un numero assai risibile, ancora, riesce a sedersi sulle poltrone chiave. Potrebbe essere stato il vento novello delle "quote rosa", o il pesante chiacchiericcio su escort e veline a far correre i medici ad una rilettura del loro lavoro. Ad una obbligatoria riorganizzazione. «Negli ultimi dieci anni - spiega Teresita Mazzei, presidente della commissione per le Pari opportunità dell'Ordine di Firenze che ha promosso l'incontro di oggi - l'incremento del numero delle donne ai vertici del sistema sanitario è stato solo di pochi punti percentuali. Crediamo sia giunto il momento di discuterne le possibili ragioni e di iniziare azioni positive di sostegno». Alza la voce Teresita Mazzei ed è il ministro Mara Carfagna a raccogliere la sua denuncia e il suo appello. «Sappiamo - commenta che" all'università le donne rappresentano il 60 per cento dei laureati e in media vantano un punteggio superiore rispetto ai colleghi uomini. Ma, molti fenomeni di esclusione, nella sanità e nella scienza, continuano a colpire il genere femminile come in molti altri settori della vita politica, economica e sociale». Proprio questo paradosso ci ha fatto additare nella Ue. Nel rapporto della Commissione Europea dell'anno scorso sulla parità di genere nella scienza le nostre ricercatrici rappresentano il 33% del totale (sopra la media europea, appunto, che sfiora il 30%) ma solo venti su cento raggiungono posizioni di leadership. Se si entra in una qualsiasi università, facoltà di Medicina si scopre che per trovare un ordinario al femminile tocca cercare parecchio. Su 2.018 docenti solo 167 sono donne, poco più dell'8%. Se, invece, si entra in una corsia se ne incontrano tanti di camici rosa. In tutti i turni. Uno sguardo al futuro. Tra quindici, massimo venti anni il servizio sanitario diventerà un "feudo" al femminile. Basta fare due calcoli sui prossimi pensionamenti negli ospedali per capire meglio. Da quest'anno, sarà un esodo continuo fino al 2015: se ne andranno oltre trentamila medici. La maggior parte non saranno sostituiti. In sei anni più di un terzo della forza lavoro sparirà completamente. E saranno le donne a ricoprire i posti vuoti. Non più solo pediatre, genetiste o ginecologhe ma anche un esercito di ortopediche e chirurghe che, fino ad oggi, non sono ancora riuscite a scalfire il totale predominio maschile. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 30/03/2011 ESENZIONE DAL TICKET: MEDICI IN RIVOLTA Venerdì scattano le nuove procedure: entro giugno sarà eliminata l'autocertificazione «I cittadini non sono stati informati, le Asl non sono pronte» È cominciato il conto alla rovescia: da venerdì, l'esenzione per il pagamento del ticket potrà essere indicata soltanto dal medico di famiglia, dal pediatra o da uno specialista del Servizio sanitario regionale, all'atto della prescrizione di visite o di esami specialistici. Un deciso cambio di registro: sinora, il paziente autocertificava il proprio stato di esenzione in base al reddito o alla propria condizione di disoccupato. L'innovazione entrerà a pieno regime il primo maggio: per tutto aprile e maggio verranno, invece, accettate entrambe le modalità. LE PROTESTE Novità che non piacciono per nulla ai medici di famiglia. «Perché», spiega Nicolfranco Boccone, vice segretario regionale della Fimmg, «i cittadini non sono informati di questa novità. Neanche la Asl è pronta e i convenzionati esterni sono all'oscuro di come si sviluppa il processo». Temono che il loro lavoro aumenti a dismisura. «Perché i medici ospedalieri potrebbero rifiutarsi di fare le ricette: i cittadini sarebbero costretti a recarsi da un ambulatorio all'altro e crescerebbero anche il nostro lavoro e i nostri costi». Per questa ragione i medici di famiglia hanno proclamato lo stato di agitazione, chiedendo che continui il doppio sistema sino a quando non saranno superati tutti i problemi. LA ASL Dal suo canto, la Asl avverte «che Cagliari sta predisponendo un'organizzazione capillare che, mediante uffici dislocati sull'intero territorio provinciale, consenta agli utenti di usufruire del servizio. Tra pochi giorni verrà diffuso l'elenco completo degli uffici al fine di garantire la massima operatività». Nessun problema per gli utenti dal momento che «l'inizio di tale attività avverrà fra qualche giorno, in quanto verranno regolarmente ricevute le autocertificazioni prodotte per le singole prestazioni». IL CAMBIAMENTO Ma intanto la situazione cambia per i cittadini. All'atto dell'emissione della ricetta, non servirà più l'autocertificazione da parte del paziente ma il medico dovrà inserire nell'apposito spazio il codice a cui l'esenzione si riferisce (per esempio, il codice E03 indica i titolari di assenga sociali sociale e loro familiari a carico). I dati saranno presenti nel “sistema tessera sanitaria”. E anche qui, secondo la Fimmg, c'è un altro problema: il dato presente attualmente è riferito al reddito dichiarato nel 2008; quindi, i disoccupati o chi, per esempio, nell'anno in corso ha compiuto 65 anni, deve recarsi all'Asl per autocertificare il diritto all'esenzione. MARCELLO COCCO _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 30/03/2011 «PRESTO LE TESSERE SANITARIE» “Si prevede di sostituire circa il 70% delle vecchie tessere entro il 2011 e di completare la sostituzione entro il 2012”. La notizia, preoccupante, appare nel sito istituzionale sardegnasalute.it. Tanti cittadini stanno girando con una tessera sanitaria scaduta lo scorso febbraio. E, stando a quanto appare nello spazio internet dell'assessorato regionale alla Sanità, potrebbero rischiare di restare senza il prezioso documento per un anno e anche oltre. La precisazione arriva dallo stesso assessorato. «In realtà», spiegano, «le tessere saranno sostituite entro la fine di aprile, maggio al massimo». E quel rimanente 30% che dovrebbe ricevere la tessera nel 2012? «In realtà, saranno sostituite nel giro di un paio di mesi tutte quelle tessere che sono arrivate alla scadenza naturale dei cinque anni. Le altre, invece, sono quelle di persone che si sono trasferite in Sardegna nel periodo successivo oppure quelle dei nuovi nati». Nessun problema, comunque: sino a quando nelle case dei cittadini non arriveranno le nuove tessere sanitarie, quelle scadute restano in vigore. Nessun problema o quasi, se si rimane in città. Ma la tessera sanitaria vale (ma, in questo caso, bisogna dire dovrebbe valere) anche all'estero. Fuori dai confini nazionali, poco importa che l'Italia abbia deciso di prorogare la vigenza di una tessera scaduta. Non è valida e basta. Che cosa deve fare allora un italiano che decide di andare all'estero? «Deve recarsi alla Asl», rispondono dall'assessorato regionale, «per ottenere una specifica certificazione». Il problema, dunque, viene risolto perdendo qualche ora. Resta, pur sempre, una perplessità: che la tessera sanitaria valga cinque anni. Perché si è provveduto soltanto adesso a sostituirla? «La colpa non è nostra», mettono le mani avanti in assessorato. «Purtroppo le deve inviare il ministero delle Finanze ma non ha provveduto a questo adempimento». E così in tanti continuano a girare con un documento scaduto. «Comunque, in alcuni centri dell'Isola le nuove tessere sono già arrivate». ( mar.co. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 29/03/2011 La Sardegna entra nella federazione che unisce Asl e Comuni SANITÀ, ACCORDO CON L'ANCI Aziende sanitarie locali e ospedaliere lavoreranno assieme ai sindaci sardi per decidere le strategie sociosanitarie e socioassistenziali nel territorio regionale, dalle case di riposo agli asili nido. È stato firmato il protocollo d'intesa per la costituzione di Federsanità-Anci Sardegna, nuovo organismo che metterà davanti allo stesso tavolo rappresentanti dei municipi e direttori sanitari. La Sardegna va ad aggiungersi ad altre 15 federazioni che possono vantare tra i propri associati 182 aziende sanitarie e Conferenze dei sindaci. Presentando il nuovo soggetto assieme al vicepresidente ed al direttore generale dell'Anci, Anselmo Piras e Umberto Oppus, e al direttore generale della Sanità Massimo Temussi, l'assessore della Sanità Antonello Liori ha spiegato: «Federsanità arriva in un momento opportuno per affrontare problemi con ricadute sul territorio: è necessario un coordinamento per rispondere al meglio alle esigenze delle amministrazioni».  GLI OBIETTIVI Uno dei punti di arrivo della federazione è quello di attivare i rapporti necessari con gli organi dello Stato e della Regione, con le istituzioni e le parti sociali per favorire lo sviluppo della qualità del servizio sanitario e promuovere incontri territoriali con gli enti locali attraverso campagne di comunicazione.  Federsanità è una confederazione - nata nel 1995 - formata da Asl, Aziende ospedaliere e Comuni, organizzata in federazioni regionali. La federazione vuole assicurare la rappresentanza delle Aziende nei rapporti con lo Stato e le Regioni per poter concorrere alle decisioni in materia sanitaria e sociale. Non solo, perché i rappresentanti della federazione devono individuare linee di indirizzo e di coordinamento delle attività degli enti associati, promuovere iniziative di studio e di proposta e attivare organismi di assistenza tecnico-giuridica agli associati. LA RIFORMA «A breve saranno completati la riforma sanitaria e il nuovo Piano sociosanitario», ha sottolineato l'assessore, «perciò un organismo istituzionalizzato che può realizzare un compiuto dialogo e confronto tra Regione e Comuni rappresenta un utile strumento di condivisione degli obiettivi, maggiormente in un momento di scelte importanti per i singoli territori, come quelle in campo sanitario e di politica sociale». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 31/03/2011 REFERTI ONLINE IN VENETO Il Veneto si metterà all'avanguardia per la sanità online: completerà la migrazione ai referti via internet entro il 2011. Per allora sarà un servizio disponibile in tutte le aziende ospedaliere (ora funziona solo in alcune strutture sanitarie). Il progetto si chiama Escape, è promosso dalla Regione e dal ministero per la Pubblica amministrazione e l'innovazione. Lo sportello online, da dove scaricare il proprio referto, sarà sempre aperto. La Regione ha stimato risparmi pari a 72 milioni di euro l'anno per i cittadini e 637mi1a euro per le aziende sanitarie e ospedaliere. costato 500mila euro. Nel frattempo il ministero annuncia che il 90% dei medici trasmette online i certificati di malattia all'Inps, con un risparmio di 590mila euro. (aLlo.) _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 3/04/2011 I CINQUE SUPERSENSI CHE NON SAPETE DI AVERE Udito, vista, tatto, gusto e olfatto cooperano in continuazione, si influenzano a vicenda e compensano reciprocamente i loro eventuali deficit. Grazie alla straordinaria plasticità del nostro cervello di Armando Massarenti / illustrazione Guido Scarabottolo Eraclito, detto l'Oscuro, in realtà I sapeva produrre pensieri a dir poco adamantini. Per esempio: «Se tutte le cose andassero I in fumo, le nostre narici imparerebbero a distinguerle l'una dall'altra». Chiaro, no? Se ne volete una dimostrazione puntuale, estesa a tutti i sensi, la troverete nel lungo viaggio che il neuroscienziato Lawrence Rosenblum ci propone in Lo straordinario potere dei nostri sensi. La cui tesi di fondo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, almeno da quando Giacomo Rizzolatti ha dimostrato la plasticità, anche in età adulta, del nostro cervello: tesi che spiega perché i nostri sensi cooperano in continuazione, si influenzano a vicenda, compensano reciprocamente le loro eventuali deficienze, come se fossero costantemente al servizio di un sesto senso, quello che ci permette sempre e comunque - nella vita di ogni giorno o in situazioni estreme - di orientarci nel mondo. Udendo o annusando forme, toccando parole, assaggiando odori. Rosenblum lo ha provato in prima persona. Immaginatelo carponi, con dei grossi guantoni da lavoro e perfettamente bendato, procedere per il prato all'inglese di fronte al suo dipartimento mentre cerca di seguire, guidato solo dall'olfatto, un lungo nastro che odora di menta. L'esperimento, eseguito di fronte allo sguardo stupefatto dei colleghi del campus, è perfettamente riuscito. Rosenblum ora sa di avere un vero olfatto "da cani". Per quanto le narici umane siano capaci di una sola annusata al secondo, contro le sei di un qualsiasi Fido, il cervello di sapiens sapiens è in grado di sopperire a questa manchevolezza per raggiungere il suo obiettivo. «Le più recenti ricerche di psicologia percettiva e scienza del cervello hanno svelato che i sensi colgono informazioni sulla realtà che in passato si riteneva fossero a disposizione solo di altre specie animali. Gli esseri umani possono usare l'udito come i pipistrelli, l'olfatto come i cani e il tatto come gli insetti, e lo fanno costantemente». Dobbiamo dunque fidarci dei nostri sensi. A loro dobbiamo una grossa percentuale dí ciò che conosciamo, anche se non ne siamo coscienti. La spiccata sensibilità sensoriale di chi è affetto da un handicap è allo studio da decenni, ma solo di recente la neuroscienza, con l'ausilio degli strumenti di neuroimaging, ha messo a fuoco il "perché" di questi poteri apparentemente straordinari. È qui che troviamo il fenomeno della "plasticità neurale", che consiste nella facoltà delle varie aree sensoriali del cervello di cambiare la propria funzione se è presente un deficit di qualche tipo: se ad esempio un soggetto è affetto da cecità cronica, allora il suo cervello visivo "presta" il suo potenziale all'area della tattilità (corteccia somatosensitiva) ed è così che un non vedente dalla nascita, o anche divenuto cieco da poche settimane, finisce col possedere una sensibilità tattile di gran lunga maggiore rispetto a un vedente, e ciò grazie a questa compensazione sensoriale. «Il cervello può cambiare la propria struttura e organizzazione in base all'esperienza. Il suo livello di neuroplasticità è una sorpresa elettrizzante per una scienza che a lungo ha dato per scontato che, una volta matura, la struttura del cervello cambiasse poco». La grande novità, però, consiste nel fatto che anche chi non è affetto da un deficit che compromette uno dei cinque sensi, possiede straordinari poteri percettivi di cui non è consapevole. Il nostro cervello, infatti, se sottoposto a determinate condizioni - per esempio la cecità indotta sperimentalmente con l'ausilio di una maschera da portare cinque giorni - che determinano un deficit parziale e temporaneo, reagisce immediatamente invocando l'ausilio delle altre aree sensoriali e potenziando il nostro tatto o il nostro udito, o gli altri sensi. Pensare ai cinque sensi come a strumenti separati l'uno dall'altro è un grave pregiudizio intellettualistico. Rosenblum spiega, e lo fa in uno stile leggero, chiaro, divertente, come per il nostro cervello la percezione sia sempre multisensoriale. Le storie che racconta sono straordinarie Si prenda il caso di Brian Brushway, cieco dalla nascita e campione di mountainbyke. Per orientarsi Brushway si affida all'ecolocalizzazione. Il ciclista emette con la bocca forti segnali acustici a intermittenza, prodotti facendo schioccare la lingua ogni due secondi. Il riflesso prodotto dal suono che rimbalza sugli oggetti - gli ostacoli sul tragitto - viene percepito dall'udito infallibile di Brushway, che riesce anche a stabilire la qualità degli oggetti stessi - alberi, radici sul terreno, costruzioni - e addirittura a distinguerne i materiali sulla base della qualità della risonanza emessa. Esattamente come i pipistrelli, che «confrontano le differenze di durata, energia, frequenza tra suono emesso e suono di ritorno, e sono così in grado di individuare l'ubicazione e le caratteristiche degli oggetti (falene, alberi, fili del telefono)». E che dire di Michael, campione degli Houston heat, squadra di baseball per non vedenti, che si affida all'udito per dare la battuta? Ascoltando il ticchettio emesso dalla palla mentre si trova ìn aria, non solo riesce a individuarne la collocazione precisa, ma anche il senso rotatorio, informazione fondamentale per sapere come rimbalzerà una volta che avrà toccato il suolo. L'abilità di Michael è dì saper "ascoltare il futuro". Un'abilità in cui tutti noi eccelliamo. Per esempio, quando attraversiamo la strada, spesso distratti o mentre parliamo al cellulare, sebbene ci sembri di affidarci alla sola vista per l'individuazione di un'auto che sta per avvicinarsi pericolosamente a noi, in realtà utilizziamo le informazioni uditive che, in questa circostanza, ci sono anche più utili. Quando sentiamo una fonte sonora avvicinarsi, si attivano le aree cerebrali associate al rilevamento del moto, al riconoscimento dello spa zio e alla reazione motoria. L'evoluzione ha messo a punto un sistema cerebrale di "avvicinamento uditivo", che ci avverte in anticipo circa la posizione oggettiva dell'auto che si approssima, per consentirci di evitarla in tempo. «È come se il sistema di avvertimento dell'avvicinamento uditivo ingannasse le aree del cervello preposte alla reazione in modo che agiscano prima del necessario, assicurando in tal modo la sicurezza». La percezione olfattiva è strettamente legata a quella visiva. A54 sommelier francesi è stato somministrato due volte lo stesso vino bianco, ma la seconda volta con l'aggiunta di un colorante rosso inodore e insapore. I professionisti del vino sono caduti nella trappola e hanno creduto di individuare i tipici sentori di mirtillo e pepe del rosso. Per condurre la sua ricerca, Rosenblum si è impegnato in prima persona a tutto campo. Ha invitato alcuni amici a cena in un ristorante gestito da ciechi e allestito in un locale completamente buio. L'assenza di luce ha fatto sì che, se da un lato ha potuto riconoscere al tatto con maggiore precisione la forma dei cibi, dall'altro l'impossibilità di contemplarne i colori glieli ha resi abbastanza insapori. Anche l'occhio vuole la sua parte. E anche l'udito contribuisce al piacere del mangiare: un esperimento premiato con l'IgNobel, è stato eseguito facendo provare a un gruppo di soggetti 6o patatine Pringles identiche tra loro, ma facendo loro ascoltare il rumore prodotto dalla croccantezza della patata con delle cuffie. Tutti hanno considerato più fresche e gustose le patatine cui era stato associato un rumore più nitido e potente. «Le indagini neurofisiologiche sui primati mostrano che gli stessi gruppi cellulari si attivano sia alla vista che al gustare un alimento. La vista attiva l'ipotalamo, un'area che controlla l'appetito e i correlati del mangiare». Nel libro viene anche raccontata l'esperienza di John Bramblitt che, divenuto cieco all'età di trent'anni, ha deciso di fare il pittore dopo aver avuto il privilegio di toccare i dipinti originali di Van Gohg e Cézanne. Ora esegue le sue pitture con una vernice cosiddetta "gonfia", che permette di riconoscere le forme dipinte con le dita, ed è in grado di distinguere anche i colori, testando la densità delle misture dei pigminenti. E che dire di Rick Joy, esperto di un tipo di labiolettura tattile chiamata Tadoma, che si esegue toccando il viso dell'interlocutore, in modo da leggere le sue parole, ma anche i suoi sentimenti? Rosenblum, raccontandoci le esperienze di due artisti, Marylin Michaels imitatrice professionista e Dave Thorsen prestigiatore, dedica un omaggio speciale alla scoperta dei neuroni specchio e al fenomeno dell'empatia. La nostra capacità innata di imitare involontariamente le espressioni del viso degli altri, per predisporli bene verso di noi, è definita ironicamente una forma naturale di "adulazione". Alla vista è da sempre attribuita la facoltà di definire la bellezza. La bellezza dei visi, basata sulla simmetricità, ha lo scopo evolutivo di individuare nel partner uno stato di buona salute genetica. «Da tempo la ricerca ha mostrato che gli adulti con un bel viso sono più popolari a parità di altre qualità, hanno un maggior numero di relazioni ed esperienze sessuali, hanno più successo sul lavoro (con salari più alti) e minori probabilità di essere dichiarati colpevoli nei processi penali». Spiace dirlo ma, a quanto pare, la bellezza non è negli occhi di chi guarda. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 03/04/2011 QUASI TUTTI GLI ITALIANI PAGANO IL DENTISTA DI TASCA PROPRIA Il servizio sanitario pubblico odontoiatrico ha erogato nell’ultimo anno, a titolo gratuito per i pazienti, quasi cinque milioni di prestazioni, di cui tre milioni destinate ad anziani e il resto a bambini fino a 10 anni. Non è affatto poco, per una «Cenerentola» ridotta a trattare solo il 10 per cento del volume totale del lavoro sui denti degli italiani. L’altro 90 per cento resta saldamente in mano agli studi privati. L’ 85,9 per cento degli italiani sostiene interamente i costi di queste prestazioni, che assorbono quasi la metà della spesa sanitaria privata totale. I dati sono contenuti nel settimo volume della collana «Quaderni del ministero della Salute» , dedicato alla odontoiatria di comunità. Un documento molto importante, come ha sottolineato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, perché individua i criteri di qualità delle prestazioni. Certo per l’odontoiatria pubblica è solo un primo passo: lo stesso Fazio ammette che, fino a tre anni fa, al ministero era trascurata. Occorre andare avanti. Ci lavorano persone serie e motivate. E troppi italiani non si fanno curare i denti perché non se lo possono permettere. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 03/04/2011 COME CHIEDERE I DANNI AL DOTTORE Controversie Il tentativo di conciliazione, ora obbligatorio, vale anche in ambito sanitario Adesso ci si dovrà affidare a un mediatore, per tentare un accordo N e abbiamo parlato un anno fa come di una realtà di là da venire, ma adesso il Decreto legislativo del 4 marzo 2010 è «operativo» . Dal 21 marzo, se si vogliono far valere i propri diritti per tutta una serie di materie, compreso il risarcimento dei danni derivati da errore medico, prima di far causa rivolgendosi al Tribunale Civile, è obbligatorio passare per un tentativo di mediazione. Scopo della legge: alleggerire il peso che grava sui Tribunali e venire incontro ai cittadini che chiedono tempi brevi per la risoluzione dei conflitti. E se fino a poco fa ancora si discuteva sull’opportunità di questa legge, ora non resta che applicarla. E conoscerla. Anche perché adesso sono chiari molti elementi che sono stati precisati dal Ministero di Giustizia nel corso dell’anno, come l’elenco dei "mediatori"autorizzati e le cifre che i cittadini sono chiamati a sborsare per la richiesta di mediazione (vedi scheda a fianco). Per di più, si è già maturata un po’ di esperienza perché, anche se fino al 20 marzo la mediazione non era obbligatoria, era però possibile. E si sono visti i primi tentativi anche in ambito sanitario (come quelli riportati nei box sotto) che risultano davvero "innovativi"per le soluzioni che si sono trovate per mettere d’accordo pazienti e medici. «Quello che va chiarito— spiega Liliana Ciccarelli, responsabile del settore Conciliazione di Cittadinanzattiva Tribunale dei diritti del malato — è che la mediazione non è nè un tentativo da riservare alle cose di poco conto, né un obbligo puramente formale da espletare prima di andare a occuparsi seriamente del caso in Tribunale. Il passaggio della mediazione è vincolante indipendentemente dal valore economico delle lite o dalla gravità degli errori medici. La mediazione non è invece obbligatoria quando un cittadino abbia subito un danno, derivante da reato, e decida di costituirsi parte civile nel processo penale per il risarcimento del danno stesso» . Ma chi si è finora proposto come organismo di mediazione? Non in pochi. Se si scorre l’elenco del ministero della Giustizia si trovano 630 riferimenti che corrispondono ad altrettante sedi accreditate di 197 organismi. A fare la parte del leone sono le Camere di Commercio che vantano una lunga esperienza in tema di mediazione, anche se (finora) in tutt’altri settori della sanità; seguono gli Ordini degli avvocati e numerosi organismi privati. Tutti gli enti autorizzati possono fare mediazione in qualsiasi campo. «Per questo — ricorda Ciccarelli — bisogna andare a vedere "chi"sono i mediatori e che formazione hanno» , cosa che è facilmente fattibile consultando i regolamenti dei vari enti pubblicati sul sito del Ministero. Aggiunge Stefano Cardinale, cofondatore di un organismo di conciliazione internazionale al lavoro ora anche in Italia: «È evidente che se un ente ha a disposizione molti mediatori, con preparazioni diverse, tra cui anche dei medici, non farà che affidare a loro le liti con aspetti sanitari e questo consentirà di risparmiare sulle spese di un consulente medico, spese che verrebbero sostenute dalle parti in lite» . Gli stessi medici, un anno fa, avevano detto di essere pronti a diventare mediatori in prima persona. Il progetto ha avuto un seguito. Spiega Gabriele Peperoni, segretario nazionale della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri: «Gli Ordini numericamente più forti organizzeranno servizi di mediazione propri, come d’altronde ha già fatto l’Ordine di Roma, e a maggio il presidente della Fnomceo e del Consiglio nazionale forense stileranno un accordo per attivare scuole di formazione in collaborazione» . «L'idea di mettere insieme nei corsi avvocati e figure professionali diverse, come i medici, è senz'altro buona per formare mediatori specializzati in diversi settori. Comunque, il vero nodo di questa legge — commenta Fabio Florio, coordinatore della Commissione mediazione e conciliazione al Consiglio Nazionale Forense— per noi non è tanto la formazione quanto la necessità di aggiustamenti, come l'eliminazione dell'obbligatorietà e la previsione della necessaria assistenza di un avvocato per le parti» . Sul fronte formazione, si è attivata anche Cittadinanzattiva, che sta lavorando alla preparazione congiunta di medici, avvocati e responsabili del Tribunale dei diritti del Malato: il primo seminario pilota (in collaborazione con Assomedico e Mediare, ente di formazione accreditato dal ministero della Giustizia) partirà il 16 aprile. Precisa Liliana Ciccarelli: «Le iniziative di formazione sono certo molte, ma ricordiamo che tutti gli enti organizzatori per poter operare devono essere autorizzati dal ministero della Giustizia e che gli "studenti"debbono fare 50 ore di corso per imparare specifiche tecniche di mediazione, indipendentemente dalla loro formazione precedente. E comunque sarà soprattutto il tempo a "fare giustizia", eliminando dalla scena chi è poco serio o chi è impreparato» . Ma chi, tra i due "contendenti", sceglie l’ente mediatore? «Chi per primo presenta istanza a un organismo» risponde Ciccarelli. E se la controparte non accetta? «Fermo restando che per legge il mediatore deve dichiarare i casi di incompatibilità (per esempio, legami di qualsiasi genere con la controparte), se ci sono reali difficoltà, magari logistiche, si può vedere se l’ente prescelto è "convenzionato"con altri più raggiungibili — conclude la responsabile del settore Conciliazione di Cittadinanzattiva-Tribunale del malato . «Ma — precisa Stefano Cardinale — l’organismo può anche proporre di fare la mediazione in "deroga alle sede", cioè in un luogo diverso dalle sue sedi» . Insomma le mediazione ci viene davvero incontro. Daniela Natal _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 01/04/2011 SE C'È ERRORE PER COLPA. LA TUTELA DEL MALATO Continuano a proliferare i casi di responsabilità professionale medica e non è una novità che i procedimenti giudiziari in materia, sia in campo civile che penale, siano numerosi. La recente sentenza della Cassazione Penale N. 8844, tuttavia, consente agli operatori della medicina di tirare il proverbiale sospiro di sollievo, vista l'importante affermazione di principio in essa contenuta. La Corte sottolinea che l'orientamento in dottrina e giurisprudenza è quello di pervenire ad una situazione di attento contemperamento, nell'individuazione della responsabilità professionale del medico, fra valutazione del rischio patologico (originato dalla patologia accusata dal malato) e il rischio terapeutico (originato dall'intervento svolto dal medico). Quest'ultimo viene distinto in errore terapeutico di carattere esecutivo e di carattere valutativo, la cui rilevanza, e in ciò sta il punto saliente, deve ritenersi subordinata alla condizione che esso sia configurabile in termini di imperizia manifesta nei confronti delle necessità terapeutiche del paziente. Ciò significa che viene attribuita rilevanza fondamentale alla necessità e opportunità di realizzare e recuperare un'adeguata “soggettività della colpa medica”, nel senso di effettiva possibilità di manifestare uno specifico giudizio di rimprovero in ordine alla condotta, omissiva o commissiva, del sanitario, configurabile in termini di cosiddetta colpevolezza della colpa. Si tratta di una pronuncia che restituisce ai sanitari un ampio margine di serenità, se così si può dire, nello svolgimento della professione, dal momento che, ai fini di una condanna per responsabilità professionale medica, ci si deve trovare di fronte ad un comportamento soggettivo del medico identificabile in termini di superficialità, di avventatezza e di imperizia nei confronti del paziente. In questo senso il nesso di causalità utile ad una eventuale pronuncia di condanna, tra l'operato del sanitario e l'eventuale danno cagionato, deve rilevare in maniera diretta e prontamente apprezzabile in riferimento al caso concreto. Ciò significa che l'attenzione va posta non esclusivamente sull'accertamento degli elementi della colpa ma sulla verifica della sussistenza della causa dell'evento. In sostanza si attribuisce rilevanza all'indagine sulla misura dell'eventuale colpevolezza del sanitario nello svolgimento della sua professione e alle conseguenze concrete che la stessa abbia nei fatti ingenerato sulla situazione patologica del paziente. Questa pronuncia è espressione della necessità di contemperare l'esigenza del sanitario a svolgere serenamente la propria attività e quella del malato ad avere la giusta tutela dei propri diritti in caso di violazione. LUCIA TUVERI _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 3/04/2011 LEGGERE NELLA MENTE DEGLI ALTRI di Sylvie Coyaud Domani al Piccolo Teatro Grassi di Milano e dopodomani all'Istituto San Raffaele al Brainforum 2011 interverrà anche Jack Gallant. All'università della California a Berkeley dirige un laboratorio nel quale studia struttura e funzione del sistema visivo, attraverso esperimenti con volontari di cui registra l'attività cerebrale con vari mezzi e poi con tecniche statistiche estrae configurazioni significative dal rumore di fondo. Fin qui, la routine, ma ha un'ambizione in più: crea modelli astratti, simulazioni semplificate del cervello, per saggiare ipotesi, fare previsioni e dare alle neuroscienze una teoria verificabile. O falsificabile. Per ora i modelli interpretano correttamente attività e dati reali. È probabile che diventino presto strumenti diagnostici, identifichino la disfunzione da risanare e l'efficacia o meno delle terapie. Sapranno interpretare pensieri, volontà, intenzioni? E attraverso un'interfaccia, un decoder della mente, trasferirle a protesi, computer, robot, altre persone? Oggi, rozze interfacce aiutano alcuni pazienti paralizzati a interagire un po' con il mondo circostante. I risultati sono ancora limitati ma, dice Gallant, «in teoria è possibile decifrare i neuroni» e quindi leggere il pensiero. Si è cominciato dall'alfabeto: nel dicembre 2007, la rivista «Neuron» riportava in copertina í caratteri del suo nome, visualizzati mentalmente da volontari giapponesi e registrati con la risonanza magnetica (RMI). Gallant racconterà i progressi compiuti da allora, impressionanti. Ed esistono già applicazioni lucrose. Il neurologo indiano C.R. Mukundan ha brevettato il programma informatico Beos con il quale nel 2008 ha portato in tribunale la prima "prova scientifica" che la studentessa universitaria Aditi Sharma era complice dell'omicidio dell'ex-fidanzato. Nel suo encefalogramma, Mukundan aveva identificato «conoscenza esperienziale» dei preparativi e la giovane è stata condannata al carcere a vita. Mukundan ha ormai una sessantina di processi al suo attivo, aziende americane come Cephos nel Massachusetts e No Lie-RMI in California vendono alla polizia e ai privati i risultati di analoghe macchine della verità. Il prezzo varia dai 5 a 35mila dollari, sempre meno di un'indagine giudiziaria. Chi vuol sapere cosa pensa Jack Gallant di queste prove non ha bisogno di leggergli nel pensiero: può chiederglielo direttamente sul sito del Brainforum o su Facebook. _____________________________________________________________ TST 30/03/2011 E' IL CERVELLO A DECIDERE PRIMA CHE LO SAPPIAMO "In laboratorio possiamo predire che scelta farà un individuo Quanto sta diventando illusoria la nostra concezione di libertà'?" L. di attività permetteranno di arrivare a una nuova intuizione e comprensione sulla- relazione tra «materia» e «spirito», sulla questione del «libero arbitrio», sulla coscienza e consapevolezza («consciousness») e su una serie di questioni che hanno a che fare con il significato dell'uomo e la sua unicità in natura. Nel XXI secolo il ricercatore sul cervello osa usare strumenti scientifici per porre domande che in passato erano appannaggio esclusivo dei filosofi. Un forte legame tra ricercatore sul cervello e filosofo può essere veramente fruttuoso. Già oggi ci sono neuro-filosofi che combinano e integrano le due discipline e producono teorie molto interessanti. Una possibile questione è: le macchine che costruiamo (come nell'ambito del progetto «Blue Brain», che permetterà in un futuro non lontano dí imitare l'attività di un intero cervello, o dei computer in generale) hanno una coscienza e consapevolezza? E da quale momento possiamo definire una macchina come pensante o consapevole? Il moderno ricercatore sul cervello già tocca, non intenzionalmente, la questione del «libero arbitrio». Si chiede se una macchina fisica come il cervello possa scegliere in ogni momento e liberamente (non in modo casuale o probabilistico, e non nel modo prevedibile) tra un certo numero di opzioni differenti (girare a destra o a sinistra, continuare o non leggere quanto scritto qui). A questo riguardo, immaginiamo che si riesca a produrre, nel progetto «Blue Brain», un modello computerizzato di cervello completamente identico per capacità e modus operandi a un cervello vero. Tale computer comincerà ad agire con una volontà propria? Con una consapevolezza propria? È possibile che da un certo momento non sia più possibile predire come si comporterà? ANALISI OTTICHE O ELETTRICHE Le ricerche più avanzate sul cervello fanno sorgere molti punti interrogativi sulla questione dei limiti al nostro libero arbitrio. Apparentemente, le analisi ottiche o elettriche del cervello umano permettono al ricercatore che osserva l'attività cerebrale di predire con grande precisione ciò che farà la persona (quale pulsante premerà: il destro o il sinistro) alcuni secondi prima che la persona stessa sia consapevole (cioè in grado di dirlo) di quale sarà la sua stessa decisione. Per così dire, «il cervello» prende una certa decisione e «noi», i padroni del cervello, non ne siamo ancora consapevoli. Il ricercatore che osserva da fuori il processo decisionale può dire in anticipo quale sarà la decisione. Quindi, qual è il significato del nostro essere liberi di scegliere? E chi sceglie? Tali ricerche suggeriscono che la sensazione di libertà di scelta che abbiamo sviluppato (che è molto importante per la sensazione del nostro «io») non è altro che una storia che il cervello si racconta post-factum, a posteriori, dopo che la decisione è già stata presa (il tutto per mezzo di una rete nervosa specifica responsabile per la sensazione soggettiva di «libero arbitrio»). I risultati di tali ricerche sono ancora sotto esame, discussione e dubbi; ma sin da adesso è chiaro che, se non siamo liberi di scegliere nel senso pieno della parola,. ci saranno conseguenze profonde sulle questioni morali più pesanti - come quella della responsabilità personale, dell'ordine sociale, della legge e della giustizia. Come nella ricerca genetica, anche nella ricerca sul cervello ci sono questioni etiche e filosofiche nuove. Quali sono i limiti d'intervento in questa macchina che è «noi»? Pochi si oppongono all'intervento, quando la macchina si guasta, come nel Parkinson, per esempio. Tuttavia, saremmo d'accordo a intervenire chirurgicamente o chimicamente per ritoccarne il funzionamento e le capacità? E se sì, secondo quali parametri e con quali livelli d'intervento? Di recente, una donna, durante una mia lezione, mi ha interpellato e mi ha raccontato che entrambi i suoi genitori erano molto creativi, mentre lei non lo è, il che le crea una grande sofferenza. Mi ha chiesto d'intervenire sul suo cervello, di cambiarle i collegamenti nelle reti neuroniche e di modificarle in questo modo le capacità creative. Un tale intervento scientifico in futuro non sarà fantascienza. Non capiamo ancora quale sia la base cerebro-biologica della creatività. Ma, quando la capiremo, sarà giusto migliorare il nostro cervello e farlo diventare, chirurgicamente o chimicamente, più creativo? Lo studio di un computer che simuli un cervello ci permetterà anche di capire se sia possibile «leggere nel pensiero». Già oggi siamo in grado di leggere il «pensiero del movimento» di una scimmia, che muove la mano di un robot direttamente con il proprio cervello. Forse nel futuro sarà possibile sviluppare «poligrafi cerebrali» di fronte ai quali saremo come un libro aperto. La società - il filosofo, l'artista, il politico, lo scienziato, il giurista - avrà la responsabilità di verificare le conseguenze di tali ricerche sulla strada - particolarmente eccitante - che percorreranno le nostre vite in un futuro che si avvicina a noi a grande velocità. La conoscenza sul cervello si estende e si approfondisce a un ritmo impressionante. Rimangono tuttavia le questioni fondamentali. TI mistero più grande, la questione più aperta di tutte, è come si traduce in fin dei conti l'attività nervosa del nostro cervello nell'esperienza individuale e specifica, vale a dire l'amore, l'odio, la sensazione di dolore, la gioia alla vista di un volto conosciuto, l'etica. Forse non c'è bisogno di sperare che la scienza moderna, pur così capace, spieghi in chiave scientifica tutto questo, nonostante sia possibile che anche il cervello, basato sul computer che costruiremo nel futuro, senta esattamente le stesse sensazioni. Anche allora la frase di Albert Einstein rimarrà valida: «Sarebbe possibile descrivere tutto in termini scientifici, ma non avrebbe senso e sarebbe insignificante come descrivere una sinfonia di Beethoven come variazioni d'onde di pressione». _____________________________________________________________ Il Giornale 28/03/2011 I CERVELLI DI MEZZA ETÀ PIÙ IN FORMA DI QUELLI GIOVANI Un libro ribalta le ricerche: la tenuta mentale dei «figli del Boom economico» è nettamente superiore Tommy Cappellini Oggigiorno viene dedicata molta attenzione alla giovinezza e alla vecchiaia, due categorie che fanno man bassa di servizi giornalistici, romanzi, film, ricerche scientifiche e di marketing e persino di iniziative di legge ad hoc. L'«età di mezzo», invece, è un po' trascurata. Quando se ne parla, poi, si tende a trattarla come una seconda adolescenza (si veda il filone cinematografico coni cinquantenni «bolliti» che si innamorano della ventenne di turno), vale a dire proprio il contrario della «maturità», oppure come una sentina di depressioni: è ormai famigerata la ricerca del Dai nnouth College e della Warwick Business School condotta in 72 paesi, da cui è uscito che il picco massimo della tristezza psicologica si assesta intorno ai 46 armi, e comunque tra i 40 e i 50 anni. Di conseguenza i «baby boomers», i figli del boom economico nati fino alla metà dei Sessanta, sono pieni di ansie per la «tenuta» biologica del proprio corpo e del proprio cervello. Ne parla Barbara Strauch in «I tuoi anni migliori devono ancora venire» (Mondadori, pagg. 264, euro 19,50). È un divertito saggio di seria divulgazione scientifica in cui vengono ribaltali molti luoghi comuni che vogliono i «maturi» sempre sulla via del tramonto, tra memoria che impercettibilmente si inceppa su informazioni banali e problemacci sessuali più immaginari che concreti, con sullo sfondo le nuove generazioni che - a un primo sguardo - se la cavano molto meglio di loro, come nel multitasking tecnologico. Tuttavia la Strauch, ricerche alla mano, sostiene la tesi opposta. Uno studio americano a lungo termine, condotto negli ultimi 40 armi su migliaia di persone, ha rilevato che il cervello continua a svilupparsi per tutta la vita e che, in molte aree cognitive importanti, migliora con il tempo. Tra i 40 e i 60 anni, infatti, si sono rilevati punteggi superiori che nei ventenni nelle aree relative al ragionamento logico e alla memoria verbale: si diventa più bravi, insomma, a cogliere l'essenza di un problema (alla faccia dei golden boys della Silicon Valley) e a mettere in atto una strategia per risolverlo. Nelle corso delle ricerche sui giocatori di scacchi e di bridge si è appurato che, se il gioco dipende esclusivamente dalla velocità, i giocatori più giovani vincono, ma pure che, in una partita vera, i giocatori più anziani battono i giovani. Gli stessi risultati si sono ottenuti con i controllori del traffico aereo e piloti: i piloti più anziani erano migliori nel compito effettivo di evitare le collisioni tra gli aerei. È vero che un po' troppo spesso capita di sentire una persona di mezza età lamentarsi di aver dimenticato nomi di persone o date di appuntamenti, ma - spiega la Strauch - si tratta di un'ansia ingiustificata: le dimenticanze occasionali sono dovute all' indebolimento di alcune connessioni tra informazioni arbitrarie dovuto al trascorrere del tempo (quando non utilizziamo un nome per un po'), e non certo all'invecchiare. Inoltre, il cervello umano era in origine programmato per attività più elementari come trovare il cibo e percepire i pericoli: le parti neurologiche per la gestione delle informazioni visuali-spaziali, infatti, sono le più primitive e la loro struttura robusta è fatta per durare. Ma il cervello non era certo programmato per ricordare i nomi di sessanta persone incontrate a un cocktail (al di là di là del numero di scotch e soda che ci si concede). Così, sostiene la Strauch, i «maturi» possono stare tranquilli: hanno tutto il tempo di allenare le connessioni neuronali deputate ad attività più moderne, sfruttando vantaggi che i «giovani» non conoscono: l'esperienza, per esempio. «PER NON PERDERE COLPI LA MENTE VA SEMPRE ALLENATA» 111. Barbara Strauch, oltre a essere caporedattore «Medicina e Salute» al New York Times, ha anche diretto, quando la-vorava al News day, uno staff vincitore del premio Pulitzer. Dottoressa, tutto tranquillo sul fronte neuronale dei cinquantenni? «Dire di sì. Un tempo la scienza riteneva che il 30 per cento delle nostre cellule cerebrali andasse perduto con l'età. Oggi sappiamo che non è così». Grazie a quali strumenti? «Vi sono nuove tecniche, una è l'immaginografla cerebrale che consente di vedere per la prima volta dentro il cervello e scoprire le aree attive e inattive, le aree in declino e quelle che si mantengono. Abbiamo dati anche dagli studi longitudinali, lo standard di riferimento per la ricerca, che sorvegliano le stesse persone per molti anni e misurano le loro funzioni co-gnitive». Cinquant'anni e non sentirli? «Quasi. La maggior parte di noi pensa che il massimo livello di intelligenza si raggiunga all'università e nei master. Un amico che ha fatto la specializzazione in ingegneria a Stanford mi ha detto che, ora che è un cinquantenne, sarebbe "fritto" se provasse a frequentarla ora. In realtà è il contrario. Il cervello, se lo alleniamo e non è attaccato da malattie, non perde pressoché nulla». Eppure c'è in giro parecchia ansia a riguardo. «Ansia sociale. In alcune professioni, per esempio quelle che hanno a che fare con la legge, come giudici e avvocati, essere anziani è un bene: la capacità di giudizio è l' elemento chiave. Pur necessitando di cervelli giovani per la loro agilità e per la loro capacità di stare svegli una notte intera, un pianeta pieno di cervelli equilibrati di mezza età non è cosa cattiva». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 3/04/2011 LE SINAPSI DEL MEDICO NEL PAZIENTE Gli effetti di placebo e rituali terapeutici: talvolta potenziano i farmaci, anche se non li sostituiscono Bastano cento millisecondi al nostro cervello per capire se lo sconosciuto che ci sta davanti merita fiducia. Fin dai primissimi istanti di una visita, come due cani che incontrandosi s'annusano, i cervelli di medico e paziente si scrutano vicendevolmente attraverso meccanismi consci e inconsci e gettano le basi per un'interazione che potrà avere effetti positivi e negativi molto maggiori di quel che si pensa. E che può anche dare origine all'illusione di essere curati mentre invece si sta ricevendo solo conforto e acqua fresca. Anche quando la malattia non è immaginaria, l'immaginazione gioca un ruolo importante nel processo di guarigione. Non basta offrire la giusta terapia: per stare meglio il malato ha bisogno di speranza, aspettativa, e di un buon rapporto con il medico. Una relazione fatta di stima, conforto e comprensione i cui effetti sono così benefici che spesso il paziente rischia di preferirli a una reale cura. Fin dalla prima impressione, la mente del paziente inizia a modificarsi. Oltre al senso di fiducia, contano i gesti del terapeuta, il tono e l'assertività delle sue parole, l'incoraggiamento verbale, la promessa di un miglioramento. Tali emozioni provocano infatti la liberazione di un gran numero di neurotrasmettitori, come gli oppioidi naturali, e l'attivazione di aree cerebrali e circuiti neuronali alla base di fiducia, speranza, empatia che possono generare sensazioni di piacere e gratificazione capaci di ridurre il dolore e che in alcuni casi sono parzialmente in comune con il meccanismo d'azione di certi farmaci, e dunque lo possono modulare e potenziare. Una volta che il malato riceve la terapia, nel suo cervello entrano anche in azione i meccanismi dell'aspettativa e dell'effetto placebo che in alcuni casi si sono mostrati pure capaci di risvegliare una più efficace risposta ormonale e immunitaria. Studi scientifici hanno mostrato che, curando l'interazione col paziente e lo stato d'animo del malato, si può accelerare la guarigione o far sopportare meglio il dolore in svariate malattie, dal parkinson fino alle ustioni, dalle patologie coronariche alla depressione. In altre parole, il puro rituale del ricevere una terapia, indipendentemente da questa, può avere un effetto potente che va ad aggiungersi e a potenziare quello del trattamento. Ma può anche confondere le idee al malato. Esemplificativo uno studio sul prezzo delle medicine: più alto era, a parità di sostanza, più elevato era il beneficio percepito. O il caso della psicoterapia, dove la buona intesa tra medico e paziente sembra essere la terapia stessa, visto che il beneficio misurato è il medesimo indipendentemente dai 400 tipi diversi di trattamento disponibili. Fino dalla notte dei tempi, del resto, troviamo stregoni, sciamani e altri ciarlatani. Il rischio, oggi che esistono anche terapie efficaci, è che i pazienti le trascurino solo perché i medici non sono in grado di fornirgli anche i benefici del "rito". «Non solo i medici devono preoccuparsi di acquisire buone capacità tecniche, ma devono anche rafforzare le loro abilità sociali», afferma il fisiologo Fabrizio Benedetti nel suo recente saggio The patient's brain. The neuroscience behind the doctor patient relationship in cui esplora la relazione medico-paziente da un punto di vista neurobiologico. Benedetti dirige un laboratorio presso l'Isti tuto nazionale di neuroscienze di Torino che il New England Journal of Medicine ha definito il più importante al mondo per gli studi dell'effetto placebo. Il quadro che emerge è di ricerche ancora troppo settoriali per dare una spiegazione complessiva e sintetica del fenomeno. Ma se ne possono già ricavare una serie di consigli. Ovvi, forse, ma dall'efficacia scientificamente provata. Se da un lato il paziente deve mettersi nelle condizioni di fidarsi e sperare, e deve tenere conto che fattori psicologici come ansia, depressione e rabbia esacerbano la sofferenza, dall'altro lato il medico deve mostrarsi empatico e compassionevole, rassicurante e amichevole. Fondamentale la fiducia e creare aspettativa: esperimenti condotti su malati che non sapevano di essere curati hanno mostrato una riduzione dell'efficacia del trattamento. Mai negare la speranza. Anche se il malato non guarirà, sarà ridotta la sofferenza. _____________________________________________________________ Il Giornale 3/04/2011 UN COMPUTER SCOPRE LE CELLULE TUMORALI AL LABORATORIO DI BIOSCIENZE DELL'IRST DI MENDOLA (FORLÌ) Forniranno informazioni preziose all'oncologo clinico per terapie più personalizzate Ignazio Mormino Cellule Tumorali Circolanti pure al 100% isolate con la tecnologia DEPArray: il lavoro verrà presentato dall'Irst, Istituto romagnolo scientifico dei tumori di Amendola (Forlì) negli Stati Uniti alla riunione annuale dell'American association for cancer research (AACR) che è in corso ad Orlando dal 2 al 6 aprile. Da Agosto 2010, il Laboratorio di Bioscienze dell'IRST, direttore scientifico il professor Dino Amadori, è dotato, primo al mondo, di una strumentazione molto innovativa che sarà in grado di supportare, in modo importante, l'oncologo clinico nel definire le strategie terapeutiche più appropriate per ogni paziente. La piattaforma scientifica che l'IRST ha acquisito si chiama DEPArray (Silicon Biosystems) e, al momento, è l'unico strumento automatizzato presente sul mercato in grado di isolare, identificare, manipolare e recuperare, con una purezza del 100%, le cellule tumorali circolanti estremamente rare disperse in un fluido (come sangue periferico o midollare). Durante il funzionamento del DEPArray, un piccolo campione di fluido contenente la popolazione cellulare da analizzare è iniettato in un microchip costituito da una camera di circa un centimetro di lato. Le cellule d'interesse sono riconosciute da un sistema ottico basato su un microscopio a fluorescenza e possono essere visualizzate anche dall'operatore. Attraverso un sofisticato programma computerizzato, si formano, all'interno del chip, decine di migliaia di microscopiche gabbie immateriali di potenziale elettrico (gabbie di elettroforesi) ciascuna delle quali intrappola una singola cellula mantenendola in levitazione. Sempre attraverso il software di gestione, ciascuna di queste gabbie può essere spostata, col proprio contenuto, indipendentemente dalle altre ed indirizzata verso una sezione specifica del chip destinata alla raccolta della cellula prescelta. Il DEAPArray, a differenza di altre apparecchiature presenti sul mercato, consente non solo di individuare e selezionare le eventuali cellule tumorali, ma permette anche di raccoglierle ancora perfettamente vitali. Ciò consentirà all'oncologo clinico di ottenere un'indicazione prognostica sull'evoluzione clinica della malattia e di definire, in modo più appropriato, un programma clinico-terapeutico personalizzato potendo acquisire, dall'espansione in vitro delle cellule tumorali circolanti raccolte con il DEAPArray, materiale utile per studi di caratterizzazione cellulare e biomolecolare del tumore analizzato (vitalità, staminalità, capacità d'infiltrazione, sensibilità o resistenza ai chemioterapici che si dovessero manifestare). Grazie a questa appa recchiatura l'oncologo è in grado di conoscere le caratteristiche biomolecolari delle cellule neoplastiche. Da quando il DEPArray è in dotazione al Laboratorio di Bioscienze dell'IRST e dopo un periodo di alcuni mesi finalizzato all'addestramento del personale dedicato alla strumentazione, si sono attivati diversi progetti di ricerca che hanno consentito di produrre un elaborato scientifico che è stato inviato al congresso annuale dell'AACR (il più importante congresso mondiale che si occupa di ricerca preclinica sul cancro). Il lavoro inviato è stato accettato ed i risultati acquisisti da questa sperimentazione saranno presentati in questi giorni, dalla dottoressa Silvia Carloni dell'Irst all'incontro che si svolgerà ad Orlando di tutti gli oncologi americani e dei più qualificati Centri internazionali. Aver sperimentato a Forlì per primi al mondo questa apparecchiatura sottolinea il reale contributo che può offrire l'oncologia italiana. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 03/04/2011 LA CHIMICA DELLA BUONA MUSICA UN BRIVIDO ATTRAVERSA IL CERVELLO Einaudi: lo provai con gli ambulanti. Lo scienziato Zatorre: dopamina Il pensiero dipinge le nostre emozioni, la gioia, la speranza, la paura, l’amore. E gli scienziati oggi arrivano a colorare in molte tonalità i neuroni, creando «mappe» a colori del cervello che illuminano le risonanze magnetiche e le Pet nei laboratori in cui si cerca di fotografare il pensiero. Ma come nasce la creatività nel cervello? Perché una vibrazione dell’aria si trasforma in pensiero? Quali sono i meccanismi che ci fanno piangere o sorridere quando ascoltiamo musica? Forse una risposta a tutte queste domande non c’è. La stanno però cercando neuroscienziati di tutto il mondo che domani e dopodomani si incontreranno a Milano per la seconda edizione del Brainforum. Ospite atteso e «non scienziato» , il maestro Ludovico Einaudi, compositore e pianista che «duetterà» con il professor Robert Zatorre, canadese, uno dei massimi esperti di cervello e musica. È Letizia Leocani, ricercatrice al San Raffaele, a chiarire un aspetto fondamentale: «Nel cervello del musicista sono più sviluppate sia le regioni deputate all’elaborazione delle informazioni ed emozioni veicolate dalla musica, sia quelle che controllano le abilità motorie necessarie all’esecuzione» . La musica incuriosisce i neuroscienziati perché rappresenta un mistero ancora poco svelato. Le note musicali piacciono al cervello. «Determinate musiche producono in alcune aree cerebrali reazioni simili a quelle provocate da altre esperienze piacevoli come la droga, il cibo o l’attività sessuale; è curioso che un evento astratto e in apparenza privo di valori biologici produca una simile reazione» , sottolinea Zatorre. Una spiegazione scientifica non esiste. Forse la musica ha un’importanza maggiore di quella di un semplice fenomeno culturale? In effetti dove le note vivono senza intermediazioni intellettuali la capacità musicale sembra essere migliore. Ludovico Einaudi, che ama affiancarsi anche a interpreti di musica etnica, racconta la sua esperienza in Africa: «In Mali, così come in tutto il resto dell’Africa ma anche in altre culture del mondo, l’espressione musicale è come se non venisse filtrata da processi razionali ma sembra esistere un canale più diretto attraverso cui la musica fluisce in modo più naturale e senza freni culturali. Forse qui da noi ci si ferma troppo a pensare» . Il processo creativo è qualcosa di magico, che ogni volta trae ispirazione da nuove esperienze, sempre una collegata all’altra. È sempre Einaudi a parlare delle sue composizioni. «"Divenire"è stato in parte ispirato dai dipinti di Giovanni Segantini, in particolare dalle tecniche utilizzate per i suoi paesaggi, "Le Onde"invece è il risultato di un processo di trasformazione dell’omonimo libro di Virginia Woolf: volevo interpretare musicalmente i cambi di luce e il ritmo delle onde che sono descritti all’inizio di ogni capitolo. L’ispirazione arriva quando uno meno se lo aspetta e in modo irrazionale. Se proprio devo analizzare il processo potrebbe essere quando stimoli esterni colpiscono qualcosa dentro di noi che fa risuonare la nostra memoria creando un movimento interiore che attiva un processo creativo. Ricordo una volta quando ho sentito alcuni romeni suonare un brano per la strada: era una melodia irresistibile, sono rimasto paralizzato, non ho mai saputo di che cosa si trattasse, ma è stata un’emozione fantastica» . Einaudi ha sentito i «chills» , ossia i brividi provocati dall’ascolto di un brano musicale particolarmente emozionante. Zatorre li ha studiati e ha scoperto che ci sono due fasi in cui vengono rilasciate le molecole di dopamina: una prima del massimo picco di piacere generato dal brano, un’altra durante l’esecuzione. «La musica produce dopamina e dà piacere come quando si assumono sostanze stupefacenti. Gli effetti positivi sono gli stessi della droga, con la differenza che ascoltare un brano piacevole è un’esperienza positiva e non dannosa» . Cristina Marron _____________________________________________________________ Libero 3/04/2011 «BASTANO 20MILA EURO PER BATTERE LA CIRROSI» Nicola Dioguardi ha ideato una diagnosi infallibile, ma nessuno lo aiuta GUIDO BOSTICCO Ci sta lavorando dagli anni Novanta. E ora, finalmente, il professor Nicola Dioguardi, epatologo di fama mondiale, ha quasi vinto la sfida (seguita con pubblicazioni su riviste di tutto il mondo) per introdurre i principi della fisica dinamica anche nella medicina. Che in termini pratici significa essere in grado di fare diagnosi e previsioni ripetibili per alcuni tipi di patologie. Per esempio quelle del fegato, che affliggono in particolar modo quanti fanno un uso smodato di alcol, a tavola o quando escono la sera. Lei ha realizzato una macchina in grado di scannerizzare un piccolo campione di fegato affetto da eh- rosi e di misurare perfettamente le parti malate, emettendo poi una diagnosi automatica. Infallibile peraltro, nel caso del frammento preso in esame. «La cosa impressionante è che il tempo per tutta questa operazione è di circa tre minuti. Inoltre la macchina può analizzare centinaia di campioni senza errore, mentre un medico alle sei di sera non lavora con la stessa precisione delle nove del mattino. La macchina non si stanca». I tempi non sono l'unico vantaggio di questo prototipo, che è nato da un precedente modello di mac china ancora costruito dal suo laboratorio. «No, infatti: il nostro nuovo software e la nuova macchina insieme garantiscono circa il 40% di dettaglio in più su ciò che si può vedere dei frammenti di fegato. I risultati poi si possono mettere immediatamente in rete e spedire in ogni parte del mondo, comprensivi di immagini, misurazioni e diagnosi». Questi nuovi risultati, in via di pubblicazione su una rivista inglese, sono frutto di un lavoro ventennale. «Ho cominciato questo progetto dopo che ho lasciato la cattedra in Università, dove non avevo trovato aiuti. Grazie all'Istituto Humanitas, invece, ho potuto mettere in piedi il mio laboratorio di medicina quantitativa, in cui lavorano quattro ragazzi bravissimi (tre biologi e un informatico). In seguito, con i finanziamenti della Fondazione Michele Rodriguez, abbiamo costruito prima il modello della macchina, poi siamo passati a un vero prototipo, che è quello di cui stiamo parlando. Ma non basta». Perché non basta? «Perché adesso ci stiamo occupando dell'affidabilità della macchina. Dobbiamo migliorare alcuni accorgimenti per essere perfetti. Ma non abbiamo fondi, ci mancano 20mila euro o poco più, quindi rischiamo di arenarci qui. Eppure questa sarebbe una macchina rivoluzionaria, sia per la quantità di dati che può processare, sia soprattutto per la sua precisione nella diagnosi delle malattie del fegato». Fermi per 20mila euro? Quanto è costato tutto il progetto finora? «Circa 65mila euro. Tenga conto che un progetto simile avrebbe potuto costare 1-2 milioni, ma grazie alla passione del gruppo di lavoro e di un artigiano che ha costruito con la sua perizia una macchina quasi perfetta, abbiamo contenuto moltissimo i costi. Ma, ripeto, non basta: serve altro denaro per finire il lavoro». Lei è stato un pioniere dell'epatologia, grande cattedratico, ha cofondato la clinica Humanitas, è stato insignito dell'Ambrogino, è cavaliere di Gran Croce: insomma è una celebrità. Com'è possibile che nessuno si muova ancora per trovare i fondi mancanti? «È una domanda che mi sono posto anche io, senza trovare alcuna risposta convincente, anche perché con la macchina s'interrompe la sperimentazione di un'ipotesi sugli studi dinamici che ha gia fornito risultati promettenti. Forse c'è un difetto di "visione" da parte delle istituzioni. E non mi faccia dire altro, ma all'alba dei miei novant'anni non dispero». Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. LUMINARE Nicola Dioguardi, epatologo di fama mondiale, lavora da vent'anni a un progetto per relegare la cirrosi nell'archivio della storia. Cofondatore dell'Humani tas, ha messo a punto un'apparecchiatura in grado di scannerizzare un piccolo campione di fegato affetto da cirrosi e di misurare perfettamente le parti malate, emettendo poi una diagnosi automatica Sicki _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 01/04/2011 AL BUSINCO GUERRA ALLE RADIAZIONI La divisione di Ematologia fa parte di un network europeo di pronto intervento «Se serve, possiamo accogliere i contaminati di Fukushima» Due letti, eventualmente, pronti per pazienti colpiti da radiazioni. Il reparto di Ematologia del Businco si è preparato per ospitare giapponesi coinvolti nel disastro di Fukushima. Un evento, sia chiaro, imprevedibile: le strutture sanitarie nipponiche sono in grado di risolvere da sole la grave emergenza provocata dall'incidente nella centrale nucleare. Ma, intanto, è incoraggiante il fatto che l'ospedale cagliaritano sia in grado di affrontare una simile emergenza in tempi molto brevi. «Perché», spiega il primario di Ematologia Emanuele Angelucci, «facciamo parte di un network, l'Embt, il gruppo europeo per il sangue e il trapianto del midollo. Una struttura coordinata, in grado di affrontare, in maniera perfettamente organizzata, questo genere di emergenze. A noi è stata chiesta la disponibilità a trattare pazienti irradiati e noi l'abbiamo data». GLI INTERVENTI In pratica, potrebbero arrivare persone colpite da radiazioni, gli irradiati, appunto. Invece, la struttura cagliaritana non può occuparsi di pazienti contaminati. La differenza può essere spiegata facilmente: gli irradiati hanno ricevuto radiazioni, i contaminati, oltre ad averle ricevute, le emettono. Non soltanto: la struttura cagliaritana potrebbe anche effettuare un altro genere di intervento, la raccolta delle cellule staminali emopoietiche. Se un tecnico dovesse essere inviato in una zona contaminata, le sue cellule sarebbero raccolte e conservate nel caso in cui, al suo ritorno, dovesse avere bisogno di un trapianto di midollo (anche se la dicitura più recente parla di trapianto di cellule staminali). «Anche per questo intervento abbiamo dato la nostra possibilità. Un'eventualità, comunque, ancora più improbabile del trasferimento a Cagliari di persone contaminate», puntualizza Angelucci. IL NETWORK Indirettamente, dunque, anche il sesto piano del Businco è stato coinvolto dal disastro nucleare di Fukushima. Non tanto per la presenza di casi reali (il paese asiatico, comunque, è lontano: in caso di necessità i pazienti volerebbero soprattutto verso gli Stati Uniti). L'evento giapponese è servito, in Europa, quasi come esercitazione: il network, adesso, ha la certezza che, se si verificasse un incidente nel Vecchio continente, in 48 ore l'emergenza potrebbe essere gestita dalle autorità sanitarie. Non capiterebbe quello che è accaduto, 25 anni fa, a Chernobyl: dopo il disastro, tante persone vennero sottoposte a improvvisati (e dall'esito tutt'altro che certo) trapianti di midollo. MARCELLO COCCO _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25/03/2011 CAVIE A PAGAMENTO, LA NUOVA STRADA DELLA RICERCA SCIENTIFICA Un registro di 100 volontari idonei a testare i farmaci Per un antinfiammatorio compenso di 400 euro La società Fase 1, che opera all’ospedale Brotzu di Cagliari, ha istituito un registro regionale SILVIA SANNA    SASSARI. La metà di loro ha meno di 30 anni e una laurea. Tutti in buona salute, la maggior parte uomini, perché nelle donne in età fertile la sperimentazione non è consigliata. Sono volontari: provano nuovi farmaci per testarne gli effetti sull’organismo, prestano il proprio corpo alla ricerca in cambio di un compenso. «Cavie umane»: sono già 100 nel registro, ma la richiesta è in aumento.  Si chiama «Fase 1»: è una srl interamente partecipata dalla Regione che punta a sviluppare, tramite la ricerca clinica, nuovi agenti diagnostici e terapeutici. Nell’isola la sperimentazione avviene all’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari: il progetto ha lo scopo di testare gli effetti di farmaci nuovi o già in commercio su volontari sani e malati a fine esclusivo di ricerca. Attiva da novembre 2009, Fase 1 è una delle due strutture del genere in Italia (l’altra si trova a Verona) che ha ricevuto l’autorizzazione a operare in un settore ancora poco conosciuto in Italia. I farmaci vengono testati sull’uomo solo dopo essere stati sperimentati sugli animali: questo naturalmente non garantisce che il prodotto sia sicuro, per questo i volontari sono tutelati da un’assicurazione che prevede un risarcimento nel caso il test provochi danni alla salute. Le «cavie umane» sono consapevoli dei rischi che corrono. Spiega Raffaella Origa, responsabile per la sperimentazione clinica: «I volontari sono mossi da amore per la scienza, vogliono dare il loro contributo alla lotta contro determinate malattie». Chi si candida (rivolgendosi al Brotzu) deve superare una serie di esami: innanzitutto deve dimostrare di essere in buona salute, di non soffrire o avere sofferto in passato di patologie che potrebbero ripresentarsi. «Per questo è fondamentale la collaborazione del medico di base, che fa da garante alle dichiarazioni rese dal paziente». E poi c’è il test psicologico, fondamentale per valutare le principali caratteristiche della personalità e mettere in luce eventuali disturbi. Ma anche per dimostrare di non avere fini di lucro, accettando di sottoporsi alla sperimentazione esclusivamente per mettere qualche soldo in tasca. Chi rifiuta di sottoporsi al test, viene automaticamente escluso. Quarantacinque persone, che avevano presentato domanda, non sono state state giudicate idonee, proprio perché il quadro clinico non era perfetto e gli esami di tipo psicologico hanno lasciato qualche dubbio nella commissione giudicante. Dei 100 volontari sani che compongono il registro, l’80 per cento ha meno di 40 anni e arrivano da tutta la Sardegna. E «nessuno di loro - precisa Raffaella Origa - si trova in una condizione di difficoltà economica. Anzi, spesso si tratta di ricercatori o medici che vogliono dare il proprio contributo alla scienza». Il compenso, in ogni caso c’è. Arricchirsi è impossibile, perché la legge prevede che la stessa persona possa sottoporsi alla sperimentazione clinica al massimo due volte l’anno. Ma, se il test comporta particolari disagi, un periodo più o meno lungo di degenza in ospedale e una serie di rinunce, la somma percepita può essere consistente. Sinora al centro di Cagliari è stata effettuata una sola sperimentazione. Sotto esame un antinfiammatorio già in commercio del quale si voleva indagare un aspetto sconosciuto. Otto volontari hanno partecipato alla sperimentazione: hanno preso parte a due sedute, della durata di due ore ciascuna e dopo una settimana hanno comunicato per telefono gli effetti del farmaco. Un impegno minimo, ricompensato con 400 euro. Gli 8 volontari stanno bene, nessuno ha riportato danni e per questo ottenuto un risarcimento. «Soprattutto - dice Raffaella Origa -, la sperimentazione è stata un successo: abbiamo raggiunto lo scopo». Alla Fase 1 seguirà la Fase 2 e poi la Fase 3: quella finale, in cui si deciderà se un determinato farmaco può essere commercializzato oppure no.  Il progetto va avanti, con obiettivi molto ambiziosi. Fase 1 vuole infatti indagare il campo delle malattie endemiche in Sardegna: diabete, talassemia e sclerosi multipla. E vuole verificare la reale corrispondenza tra i farmaci cosiddetti generici e quelli distribuiti con il marchio delle case farmaceutiche: spesso il principio attivo non è esattamente lo stesso, dunque gli effetti possono essere leggermente differenti. Un mese fa, inoltre, Fase 1 ha chiuso un accordo con la multinazionale Novartis per studi oncologici. I test si svolgeranno all’ospedale Businco di Cagliari e in altri cinque centri: trattandosi di farmaci tossici, la sperimentazione non potrà riguardare volontari sani ma solo pazienti già in trattamento. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 27/03/2011 QUANTI «MIGRANO» PER CURARSI DAL SUD AL NORD DEL PAESE Pugliesi, siciliani e sardi preferiscono la Lombardia. I calabresi e i campani invece il Lazio. Lombardia ed Emilia Romagna si scambiano a vicenda tutti i pazienti in uscita. Sono i flussi principali della cosiddetta mobilità sanitaria, fenomeno sempreverde nell’Italia della sanità federalista. Degli oltre 400 mila «migranti della salute» del Sud in cerca di cure e ospedali migliori, 138 mila approdano negli ospedali e nelle strutture sanitarie del centro Italia, mentre 150 mila salgono ancora più a Nord. È la fotografia scattata dall’accordo firmato dalle Regioni per la partita di giro sulle prestazioni extra-regionali, una torta che vale più di 1,2 miliardi di euro. La parte del leone, come sempre, la fa la Lombardia, che nel 2009 ha attirato dal resto del Paese 157.383 pazienti, dei quali 60.606 dal Sud. La maglia nera va invece alla Campania, che tra persone «in entrata» e «in uscita» registra un saldo negativo di 62.383 assistiti. Le cifre del dare e dell’avere riflettono le disparità: la Lombardia prende 444 milioni di euro per le prestazioni erogate ai cittadini delle altre Regioni, la Campania invece deve lasciare nel piatto 318 milioni. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 27/03/2011 SI FANNO TROPPE OPERAZIONI PER ERNIA DEL DISCO La strategia L’intervento va riservato soltanto a condizioni selezionate L’intervento va riservato soltanto a condizioni selezionate C irca l'80%delle ernie del disco, una delle principali cause di mal di schiena cronico, guarisce spontaneamente in circa tre mesi, ma per aiutare la natura a fare il suo corso è importante mettere a punto una strategia multidisciplinare per controllare il dolore. Lo hanno ribadito gli esperti durante il recente congresso della Società italiana di chirurgia vertebrale-GIS, con l'obiettivo di ridurre gli interventi chirurgici, spesso inutili, per ernia al disco lombare. «Ilmal di schiena è la seconda causa più frequente per cui ci si rivolge al medico di famiglia e la prima causa di assenza dal lavoro fino ai 45 anni» premette Giancarlo Guizzardi, neurochirurgo dell’ospedale universitario Careggi, di Firenze. «Le cause del mal di schiena sono diverse, ma circa il 30%delle forme acute di lombosciatalgia (la "sciatica"), è dovuta a un’ernia discale» . In genere prima che compaia un’ernia vera e propria, però, si ha una protrusione discale. «Con l'età la sostanza gelatinosa (nucleo polposo) che svolge funzione ammortizzante tra i dischi intervertebrali tende a disidratarsi provocando un aumento della pressione sull'anello fibroso che lo circonda. In pratica, questo "cuore"gelatinoso deborda, dando luogo a una protrusione con l'inizio del mal di schiena – spiega Guizzardi -. Questa è una situazione molto diffusa e non pericolosa che non richiede trattamento chirurgico. Tuttavia per evitare che la protrusione degeneri e porti alla formazione di un’ernia discale espulsa, in seguito alla rottura dell'anello contenitivo con fuoriuscita del gel ammortizzante, è importante adottare un’adeguata strategia terapeutica, dopo aver individuato eventuali fattori predisponenti» . In età giovanile le ragioni più frequenti di protrusioni sono sforzi eccessivi o movimenti sbagliati ripetuti quotidianamente (come sollevare pesi senza piegare le gambe). Con l'avanzare dell'età, invece, la predisposizione genetica può sommarsi a traumi, posture sbagliate, sedentarietà delle attività lavorative. «Per evitare che la protrusione degeneri in ernia sono utili fisioterapia e attività fisica e, in caso di mal di schiena acuto, è indicato l’uso di farmaci antidolorifici e antinfiammatori – puntualizza l’esperto -. Ma anche quando è ormai presente un’ernia, il primo livello di intervento non è mai chirurgico e secondo le più recenti linee guida non bisogna mai operare prima che siano trascorsi almeno tre mesi dall’esordio dei sintomi. Questo lasso di tempo va fatto passare perché l’ernia può regredire spontaneamente grazie a un processo di disidratazione. Con un percorso terapeutico multidisciplinare più appropriato il numero degli interventi chirurgici alla colonna vertebrale potrebbe essere ridotto anche della metà» . Anche in caso di ernia del disco, come per le protusioni, bisogna agire su più fronti. «Gli strumenti a disposizione sono la terapia farmacologica per controllare il dolore (dal paracetamolo agli oppioidi), la fisioterapia (evitando l’immobilità che peggiora il dolore) fino ad arrivare all’assistenza psicologica per aiutare i pazienti a superare la fase critica» . Quali sono i casi in cui può invece aver senso il ricorso al bisturi? «I candidati ideali all’intervento sono coloro che, nell’arco di un breve periodo di tempo (in genere un anno) hanno almeno tre o quattro episodi di sciatica che durano più di una settimana ognuno e non rispondono alle cure conservative. Inoltre, si opera anche quando, oltre al dolore, sono presenti deficit neurologici importanti, come per esempio debolezza del piede e delle gambe. I cattivi risultati di un intervento dipendo quasi sempre da una cattiva indicazione, per cui i casi da operare vanno selezionati con grande cura, tenendo presente che col tempo esiste comunque la possibilità che l’ernia si formi nuovamente» . Antonella Sparvoli _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26/03/2011 TETTAMANZI: IL MALATO NON È UN CLIENTE «Non sempre la malasanità, quando c' è, è colpa dei medici: molte volte è direttamente collegata all' incuria o all' inerzia di chi amministra». Così il cardinale Dionigi Tettamanzi di fronte alle autorità istituzionali intervenute ieri alla Festa del Perdono della Fondazione Policlinico. «Sui disservizi influiscono - ha precisato - anche una gestione non oculata, gli sprechi e le incongruenze organizzative», ma attenzione, ha aggiunto perché la salute non è un prodotto e il malato non è un cliente: per questo l' arcivescovo ha lanciato un monito anche contro una «impostazione solo aziendale della sanità e della stessa realtà ospedaliera» invitando a «coniugare insieme assistenza e produttività, efficienza e qualità, giustizia e solidarietà». Il governatore Roberto Formigoni, interpellato dai cronisti sul punto, ha risposto al cardinale che «noi non pensiamo affatto a un ideale solo aziendale» ma «l' azienda è il metodo migliore inventato nel mondo fino adesso per organizzare la missione fondamentale della sanità, che è quella di curare il malato nel migliore dei modi possibili». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21/03/2011 SANITÀ, IL CALL CENTER TORNA LOMBARDO PIRELLONE SOLO NEL 2010 LA REGIONE HA SPESO VENTI MILIONI PER IL SERVIZIO Dopo cinque anni lascia Paternò, in Sicilia. «Troppi disagi» Retromarcia Entro il 31 dicembre il ramo di azienda che fa capo a Paternò sarà messo in vendita Retromarcia del Pirellone sul call center utilizzato per quasi 4 milioni e mezzo di visite mediche annue (prenotazioni, cancellazioni, informazioni). S' annuncia, infatti, una rivoluzione per il numero verde 800.638.638 a cui da cinque anni rispondono centralinisti di Paternò (Catania), non senza disagi per i pazienti che spesso si vedono consigliare ospedali troppo lontani da casa. La novità è che adesso il Pirellone cambia idea sulla scelta della Sicilia che, peraltro, solo nell' ultimo anno ha fatto uscire dalle casse pubbliche lombarde quasi 20 milioni di euro. Con la delibera numero 1.350, appena approvata, il Centro unico di prenotazioni torna in Lombardia. Nessuno all' assessorato della Sanità parla di flop (annunciato), ma il provvedimento preso su proposta del governatore Roberto Formigoni - d' accordo con l' assessore Luciano Bresciani - parla chiaro: già da giugno verrà individuato un sito lombardo per il nuovo call center ed entro il 31 dicembre il ramo di azienda che fa capo a Paternò sarà messo in vendita. All' inizio del 2013 il traffico telefonico siciliano inizierà a essere assorbito dalla Lombardia in un processo che si completerà per il 2015. Sono previsti investimenti per 5 milioni di euro. Sullo sfondo un progetto ambizioso: collegare tutti gli ospedali, insieme a farmacie e medici di famiglia, per creare una mega agenda virtuale per le prenotazioni. Due gli obiettivi principali della delibera: «Il modello organizzativo dovrà garantire il completamento dell' integrazione delle agende delle aziende sanitarie e il suo utilizzo per gli addetti dei singoli sportelli aziendali; al sistema farà capo a regime il 90% delle agende aziendali, affinché siano prenotabili da tutti gli attori (operatori call center, operatori Cup aziendali, medici di famiglia e farmacie)». Simona Ravizza sravizza@corriere.it  _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21/03/2011 ASMAR«QUANDO IL REPARTO DI REUMATOLOGIA?» L'appello dell'Asmar, l'associazione dei malati reumatici, in un convegno sulla psoriasi Il centro dovrebbe nascere al Brotzu ma ancora non si vede Lunedì 21 marzo 2011 Nel convegno si è parlato di artrite psoriasica, una malattia invalidante che colpisce il 30 per cento dei pazienti che soffrono di psoriasi. Il due, tre per cento della popolazione è colpito da psoriasi. E, di queste persone, il 30 per cento può sviluppare l'artrite psoriasica. Malattia invalidante che può essere combattuta se la diagnosi è precoce. «Occorrerebbe effettuarla», spiega Ivo Picciau, presidente dell'Asmar (Associazione sarda malati reumatici), «nel giro di tre, mesi dalla comparsa dei primi sintomi. Invece, in Sardegna i tempi di attesa sono eccessivamente lunghi e non si riesce a intervenire in tempo utile». IL REPARTO In fondo, il senso del convegno ospitato dall'hotel Mediterraneo è proprio questo: fare una serie di proposte per limitare gli effetti dannosi della malattia. «Già da tempo», sostiene Picciau, «l'assessore regionale alla Sanità Liori ha prospettato la creazione di un reparto di reumatologia al Brotzu». Ma quel reparto ancora non esiste. E i pazienti possono soltanto rivolgersi ai centri universitari. LE PROPOSTE Il convegno del Mediterraneo è stata l'occasione per riflettere sulla malattia. E per fare una serie di proposte. «Alcune», puntualizza Picciau, «a costo zero». È emersa, per esempio, l'idea di usare al meglio i reumatologi che, attualmente, operano nell'Isola. «Ci sono alcuni di loro che lavorano nelle strutture sanitarie come fisiatri. Sarebbe sufficiente utilizzarli in base alla loro specializzazione». Altro problema è la prescrizione dei farmaci per combattere la malattia che, attualmente, viene effettuata soltanto nei centri universitari. «Si verrebbe decisamente incontro ai pazienti ampliando i centri abilitati alla somministrazione di farmaci biologici». E poi è stata anche chiesta l'istituzione di un centro di alta specializzazione multidisciplinare. «Un centro che, secondo gli studi del Censis, «consentirebbe molti risparmi perché ci sarebbe una minore ospedalizzazione, meno giorni di lavoro persi e un minore impatto sui servizi sociali che si occupano di disabilità». LA MALATTIA Perché l'artrite psoriasica è una malattia invalidante. Inizialmente si manifesta con la comparsa di infiammazione dei tendini e delle articolazioni degli arti (dolore, calore, rossore e impotenza funzionale), e/o con dolori alla colonna (forma assiale) simulando in questo caso la spondilite anchilosante, in soggetti affetti da psoriasi cutanea. Una malattia che può portar _____________________________________________________________ L’Unità 21/03/2011 ALLARME OCCIDENTE LA TUBERCOLOSI TORNA NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI Non è una malattia del passato, come qualcuno potrebbe pensare. La tubercolosi ogni anno colpisce nove milioni di persone nel mondo e ne uccide due milioni. Si calcola che circa due miliardi di persone siano infettate. Secondo l'OMS questa malattia continua ad essere, insieme alla malaria e all'Aids, una delle grandi emergenze sanitarie che affliggono l'umanità. Nonostante questi dati, in Italia, come negli altri paesi industrializzati, per oltre vent'anni sembrava sconfitta, ma recentemente ci si è accorti le cose non stavano così. Negli ultimi anni c'è una ripresa di questa malattia dovuta soprattutto a due fenomeni: i flussi migratori provenienti da paesi ad alta endemia tubercolare e l'impatto dell'Aids. Si è visto infatti che chi ha l'infezione da Hiv sviluppa facilmente anche la tubercolosi. In Italia, ad esempio, si stima che circa il 10% di tutti i casi di tubercolosi insorgano in soggetti con infezione da Hiv. Non si può abbassare la guardia. È per questo che, in occasione della giornata mondiale, che si celebra24 marzo, l'Ecdc, l'agenzia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha previsto una serie di iniziative dedicate alla tubercolosi nei bambini. In Italia, invece, si terranno per la prima volta gli «Stati generali della tubercolosi». Il 23 marzo al Senato il mondo scientifico presenterà un'analisi dei punti critici della lotta alla tubercolosi nel nostro paese e proporrà delle soluzioni che però, per essere efficaci, dicono gli esperti, devono essere sostenute dalle istituzioni. Quali sono i problemi da affrontare? In primo luogo c'è il fatto che la tubercolosi colpisce alcune regioni più di altre e che, nello stesso tempo, la risposta non è uniforme sul territorio nazionale perché il sistema di controllo è regionalizzato. Inoltre, c'è un ritardo diagnostico dovuto al fatto che i medici di base, non abituati a vedere casi di tubercolosi, non li riconoscono facilmente. E ancora, le difficoltà linguistiche e di accesso ai servizi sanitari degli immigrati che, nel nostro paese, sono il gruppo a rischio più numeroso. CRISTIANA PULCINELLI _____________________________________________________ Corriere della Sera 28/03/2010 LE ALLERGIE AUMENTANO PER COLPA DEL BENESSERE DOSSIER MEDICINA. IL DOCUMENTO LA TENDENZA UN FENOMENO COSTANTE IN TUTTO IL MONDO, LEGATO AL MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI IGIENICHE, ALIMENTARI E ABITATIVE. MA ANCHE ALL' INQUINAMENTO LE NOVITÀ SU POLLINI E ALTRI ALLERGENI IN UN LIBRO BIANCO APPENA PUBBLICATO La vita «sterile» manda in tilt il sistema immunitario N on sono pochi quelli che temono la primavera come il peggiore degli incubi, perché sanno che si ritroveranno a starnutire in continuazione, con gli occhi che lacrimano e il naso che cola. C' è chi va al ristorante con la paura che una piccola quantità di cibo "proibito" possa scatenare uno shock anafilattico. C' è chi si ritrova con prurito e la pelle arrossata solo per aver toccato qualcosa che non tollera. Non è una vita facile quella degli allergici e siccome la fantasia del nostro sistema immunitario, che "decide" di rispondere in maniera anomala a sostanze di per sé innocue, non ha limite, di allergie ce n' è per tutti i gusti: ai pollini, agli alimenti, agli insetti, ai farmaci, a sostanze di ogni genere con cui si può venire in contatto. E l' esercito degli interessati è imponente: secondo i dati riferiti dal Libro Bianco della World Allergy Organization, appena presentato al congresso dell' American Academy of Allergy, Asthma and Immunology, nel mondo ci sono oltre 300 milioni di asmatici, 400 milioni di persone con rinite allergica, centinaia di milioni di allergici "vari" (gli intolleranti a qualche alimento sono stimati in mezzo miliardo). Quello che più preoccupa gli esperti è il continuo incremento delle allergie non solo nel mondo occidentale, ma ora anche nei Paesi in via di sviluppo: soprattutto nei centri urbani negli ultimi 30 anni la frequenza di alcune forme di allergia, come l' eczema atopico, è raddoppiata o triplicata. «In Italia si prevede che entro il 2020 un bambino su due soffrirà di rinite allergica - spiega Giorgio Walter Canonica, unico italiano fra i quattro responsabili del Libro Bianco e direttore della Clinica di Malattie respiratorie e allergologia dell' Università di Genova -. Il perché di tutto questo è legato allo stile di vita. Il nostro modo di vivere è molto cambiato, tanto che le allergie vengono oggi considerate il prezzo per il miglioramento della qualità della vita degli ultimi decenni. Cinquant' anni fa i bambini giocavano all' aperto, mangiavano più "sporco" perché non c' erano tante delle norme di sicurezza che oggi impediscono il consumo di cibi non perfettamente conservati. Magari si pativa qualche gastroenterite in più, ma c' erano molte meno allergie. Oggi i ragazzi vivono una vita più "sterile": passano la maggior parte del tempo al chiuso e la loro flora batterica intestinale è cambiata, per le modificazioni nella dieta. E il sistema immunitario "impazzisce" più facilmente». Il concetto è stato spiegato bene in una ricerca apparsa da poco sul New England Journal of Medicine, che ha dimostrato come i bambini cresciuti in fattoria abbiano una probabilità di asma e allergie molto inferiore rispetto ai bimbi di città: il motivo è tutto nel contatto con un gran numero di bacilli durante l' infanzia. Perché il sistema immunitario, impegnato a combattere contro i germi dell' ambiente, non si "distrae" e non punta la sua risposta contro sostanze innocue, come invece accade nell' allergico. Se a tutto questo si aggiunge la qualità dell' aria che respiriamo, peggiorata per colpa dello smog e anche per il fumo di sigaretta, ecco spiegato il maggior pericolo di asma e allergie: un sistema immunitario già "indebolito", esposto continuamente a polveri e gas con effetti pro-infiammatori, prima o poi deraglia. «Nelle grandi città i bimbi che vivono al primo piano, più vicini alla strada, hanno un maggior rischio di asma e allergie rispetto a quelli che abitano gli ultimi piani - riprende Canonica -. I nostri ambienti domestici, inoltre, sono "sigillati" rispetto all' esterno e questo crea le condizioni ideali per il proliferare di acari e muffe. L' inquinamento poi sta contribuendo a cambiare i calendari pollinici: uno studio italiano, ad esempio, ha mostrato che negli ultimi 27 anni la stagione di pollinazione della parietaria si è allungata di 100 giorni». «La colpa è dell' effetto serra, cui contribuisce in larga parte l' anidride carbonica prodotta dalle attività umane - interviene Gennaro D' Amato, direttore dell' Unità di Malattie respiratorie e allergiche al Cardarelli di Napoli -. Il riscaldamento globale aumenta la liberazione dei pollini allergizzanti e allunga la stagione degli starnuti: negli ultimi anni basta il primo sole per veder pollinare la parietaria, a volte già all' inizio di marzo. È difficile dire come sarà la stagione pollinica che si sta avviando, il clima è stato molto variabile nei mesi scorsi. Ma nelle ultime settimane qualcuno può aver già avuto i primi fastidi: qualche polline si è "mosso" e sono ancora in giro i virus tipici dell' inverno, che destabilizzano le vie aeree facilitando la comparsa dei sintomi in chi è allergico». Quali sono le allergie per cui c' è maggior "preoccupazione" fra gli esperti? «Visto il ruolo dell' inquinamento e degli stili di vita, le allergie in maggiore crescita sono quelle respiratorie, seguite a ruota dalle allergie ai cibi» risponde Canonica. In Italia i bambini intolleranti a latte, uova, nocciole e altri alimenti sono raddoppiati negli ultimi dieci anni, secondo i dati diffusi dall' European Academy of Allergy and Clinical Immunology. La prova definitiva che il nostro stile di vita e l' ambiente che ci circonda fanno male? Le allergie degli immigrati. «In molti Paesi d' origine dei migranti le allergie sono rare - osserva D' Amato -. Arrivati da noi gli immigrati incontrano nuovi allergeni, in più l' inquinamento e lo stile di vita occidentale facilitano la sensibilizzazione. Ed ecco che la frequenza delle allergie sale a dismisura, fino a superare quella della popolazione locale. Un esempio lampante? I bimbi migranti, che soffrono meno di asma rispetto ai piccoli italiani; all' aumentare del numero di anni trascorsi in Italia, però, la prevalenza della malattia cresce. Immancabilmente». Elena Meli **** L' esperto risponde Potete consultare un team di specialisti sulle allergie all' indirizzo Internet forum.corriere.it/allergie_respiratorie * * * Il consiglio Non uscite se scoppia un temporale Allergici ai pollini? Non uscite di casa se è previsto un temporale. A maggior ragione durante la bella stagione, quando di pollini in aria ce ne sono in quantità e i temporali possono essere parecchio violenti. Perché gli acquazzoni improvvisi e intensi non ripuliscono l' aria, anzi. «Il temporale abbassa i pollini presenti nell' atmosfera ma contemporaneamente ne rompe i granuli - spiega Gennaro D' Amato, allergologo al Cardarelli di Napoli, fra i primi al mondo ad aver dimostrato l' effetto dei temporali estivi negli allergici -. Così, se di norma i pollini hanno un diametro di circa trenta micron e provocano solo una fastidiosa rinite, una volta spezzati liberano allergeni ugualmente sensibilizzanti ma assai più piccoli, meno di dieci micron di diametro. Così, l' allergene viene disperso in grosse quantità in una specie di "microparticolato" che può essere respirato e arrivare molto in profondità, fino ai bronchi. Scatenando un attacco asmatico». Il consiglio? Ripararsi al chiuso in caso di temporale, perché le crisi vengono solo se siamo sorpresi dall' acquazzone all' aperto. «Almeno per i primi 20-30 minuti è bene entrare in macchina o in un negozio» suggerisce D' Amato. * * * Diagnosi Sono sempre più perfezionati e precisi i test che servono per valutare le reazioni delle nostre cellule difensive Così si può capire a quali sostanze si è davvero troppo sensibili O ggi, rispetto al passato, si riesce a capire molto prima e meglio a che cosa si è allergici. «Primo, indispensabile pezzetto del puzzle è sempre il colloquio con il medico» puntualizza Giorgio Walter Canonica, già presidente della World Allergy Organization. «Raccogliere la storia clinica del paziente per capire quando e come compaiono i sintomi è già un grosso passo avanti per indirizzare i sospetti verso un allergene». Poi, l' iter prevede l' uso di test specifici, sempre più perfezionati e precisi: «Abbiamo oggi un test di alto livello, disponibile in molti centri pubblici anche in Italia: si chiama ISAC (Immuno-Solid phase Allergen Chip) e valuta la presenza nel sangue delle immunoglobuline di tipo E, quelle che produciamo quando siamo sensibilizzati a qualcosa, dirette contro oltre un centinaio di diverse sostanze. La novità del test è che considera piccole porzioni di antigeni: spesso accade che un allergico agli acari sia sensibile anche ad altro, ad esempio alle lumache. Ebbene, ciò accade perché c' è un segmento in comune fra le proteine di questi diversi allergizzanti: il test ISAC riconosce il segmento e quindi offre una diagnosi molto più dettagliata rispetto alle altre analisi disponibili, che guardano ogni singolo allergene "intero"». Il test può riconoscere allergie a piante, animali, insetti, muffe, lattice, alimenti ed è quindi di grande aiuto per la diagnosi. Che tuttavia non è sempre un percorso così lineare, soprattutto nel caso delle manifestazioni cutanee delle allergie: nei prossimi giorni, durante il Congresso nazionale di Scienze dermatologiche, una sessione sarà dedicata proprio alla diagnosi dell' orticaria per definire una volta per tutte l' iter da seguire. «Quando l' orticaria si è manifestata almeno un paio di volte ed è acuta, ovvero dura meno di 6 settimane, di solito riusciamo a individuare la sostanza a cui si è intolleranti anche solo parlando con il paziente, che spesso "sospetta" già di qualcosa. Spesso in questi casi il paziente non tollera farmaci o cibi, che poi vengono individuati con certezza coi test allergologici specifici - spiega Fabio Ayala, direttore della Clinica dermatologica all' Università Federico II di Napoli e presidente del congresso -. Il vero problema sono le orticarie croniche: capita di frequente che il paziente venga analizzato in tutti i modi e non si trovi la causa. Per venirne a capo è importante raccogliere la storia clinica dell' allergico ed evitare esami inutili. Ad esempio il Prick test, in cui si inietta superficialmente una piccola dose di estratto di vari allergeni: difficilmente darà esito positivo se il paziente non ha anche sintomi respiratori oltre a quelli cutanei. Ugualmente eccessive le analisi del sangue iper-dettagliate; possono essere invece utili il Patch Test, in cui si espone direttamente la pelle ad alcune fra le più comuni sostanze allergizzanti, e il RAST test, in cui si vanno a cercare nel sangue le IgE contro diverse sostanze. Quasi sempre, con questi test, si arriva a stabilire la causa dell' orticaria. Ma se proprio non si cava un ragno dal buco, le linee guida consigliano comunque la terapia a base di antistaminici: trattandosi di farmaci sicuri, è doveroso offrire la cura ai pazienti». Sul versante allergie alimentari la diagnosi è relativamente semplice, perché il paziente riesce spesso a collegare la reazione allergica al consumo di un cibo particolare. A patto di non farsi ingannare dai test non validati, di cui c' è ampia scelta secondo Massimo Triggiani, presidente eletto della Società Italiana di Allergologia e immunologia clinica: «I test per le intolleranze alimentari o altri tipi di test allergologici non validati costano parecchio, si va dai 40-50 euro ai 400-500 se si provano molte sostanze. Peccato però che non diano alcuna garanzia di diagnosi: molto spesso emergono falsi positivi, così persone perfettamente sane si convincono di essere "allergiche" a un cibo e lo eliminano senza ragione. Non di rado questo accade anche con i bambini, ed è un atteggiamento rischioso perché può privare organismi in crescita di nutrienti importanti. La nostra Società ha avviato uno studio sui test allergologici inutili: i dati preliminari mostrano che il 20 per cento delle persone afferma di essere allergico o intollerante a un alimento, ma le analisi cliniche mostrano che il numero di allergici veri non supera l' 1-2 per cento». Per essere certi di arrivare a una diagnosi vera, quindi, bisogna innanzitutto affidarsi ad allergologi qualificati e centri specializzati. * * * Terapia Allo studio anche nuovi agenti biologici I vaccini funzionano ma poche Regioni ne coprono il costo Questo approccio oggi è ritenuto efficace per combattere le reazioni verso pollini, acari o insetti L a diagnosi giusta è fondamentale per impostare una terapia corretta: se non si è certi dell' allergene a cui si reagisce, è difficile poter andare oltre il trattamento sintomatica con antistaminici. Ma quali sono oggi le possibilità di cura per chi deve convivere con le allergie? Secondo il Libro Bianco della World Allergy Organization un posto di primo piano ce l' hanno sempre di più, i vaccini, cioè l' immunoterapia specifica. In pratica, si somministra all' allergico un estratto con dosi infinitesimali e man mano crescenti dell' allergene a cui è sensibilizzato, per insegnare pian piano al sistema immunitario a riconoscerlo e tollerarlo senza reagire. «Questo approccio oggi è ritenuto efficace per le allergie a pollini, acari o insetti - spiega Giorgio Walter Canonica, che ha redatto il capitolo del Libro Bianco relativo all' immunoterapia -. Ci sono dati positivi per le allergie alimentari, ma ancora non sufficienti certezze». «L' immunoterapia per le allergie ai cibi è in sperimentazione ed è vietato il fai da te: con le allergie alimentari il rischio di shock anafilattico è sempre dietro l' angolo - conferma Maria Antonella Muraro del Centro per le Allergie alimentari dell' Università di Padova -. I protocolli non vengono eseguiti su chi ha reazioni a tracce degli alimenti né su chi soffre di asma non controllato, inoltre devono essere condotti in ambiente ospedaliero protetto in modo da poter intervenire subito in caso di necessità. Il cibo si dà per bocca in dosaggi minimi, da aumentare ogni 7-10 giorni». Anche le immunoterapie già in uso contro pollini, acari o insetti prevedono un trattamento prolungato: «Se il paziente è allergico a un polline stagionale bisogna conoscere il calendario pollinico nella zona dove risiede e cominciare la cura un paio di mesi prima: quest' anno, perciò, è già tardi per moltissimi allergici - spiega Canonica -. Esistono poi terapie più prolungate, nel caso di allergeni "perenni" come gli acari: si sta cercando di determinare quale sia il periodo più breve di trattamento che garantisca la protezione dai sintomi più a lungo possibile. Una nostra ricerca pubblicata poco tempo fa ha dimostrato che nei bimbi protrarre l' immunoterapia per 4 anni può lasciare liberi da sintomi per otto anni». Il vaccino può essere dato per via sottocutanea, con un' iniezione, o per via sublinguale: l' efficacia è simile, ma Canonica ammette che nel nostro Paese, soprattutto quando si parla di bambini, sono le gocce o le compresse da mettere sotto la lingua a farla da padrone. «L' immunoterapia è ancora poco usata nel nostro Paese. Uno dei motivi è che solo poche Regioni, come Lombardia e Piemonte, la rimborsano» osserva Canonica. Immunoterapia a parte, restano gli antistaminici, tuttora ottimi per il controllo dei sintomi, e i nuovi cortisonici per la rinite allergica e l' asma, che si attivano solo a livello polmonare dando minori effetti collaterali generali; l' importante, spiegano gli esperti, è seguire le cure come indicato dall' allergologo e non farle "a singhiozzo", solo quando ci sono i fastidi. «Sono in sperimentazione anche agenti biologici, dai modulatori dei fattori di trascrizione cellulari ai bloccanti delle citochine: al momento però è disponibile solo un anticorpo monoclonale anti-IgE, che in alcuni casi può essere d' aiuto» aggiunge il professor Canonica. * * * Prevenzione Quanto incidono le abitudini sbagliate Fumo e cibo contano più della predisposizione Le sigarette della mamma aumentano del 50 per cento il rischio di allergia del nascituro S i possono prevenire le allergie? Sì, a partire dal «pancione» spiega Maria Antonella Muraro, responsabile del Centro per le Allergie alimentari dell' Università di Padova: «Prima regola: non fumare in gravidanza e impedire agli altri di fumare in propria presenza: il fumo aumenta del 50% il rischio di allergia del nascituro. Durante la gravidanza, inoltre, consumare molta frutta e verdura». Contano anche i geni: se i familiari sono allergici, la probabilità di diventarlo cresce. Ma non tanto quanto si crederebbe: «Oggi vediamo emergere la maggior parte dei casi di allergia in famiglie non a rischio - dice Muraro -. Riteniamo perciò che siano più importanti fattori ambientali e nutrizionali come fumo o dieta, che modificando l' espressione dei geni, favoriscono la comparsa dell' allergia». Anche il luogo dove si cresce ha la sua importanza: diversi studi suggeriscono che più a Sud si vive, meno è probabile diventare allergici. «Il "merito" è della maggiore esposizione alla luce solare e quindi di una sintesi più consistente di vitamina D, che sembra avere un' azione di modulazione del sistema immunitario» spiega Muraro. Invece l' inquinamento cittadino aumenta il rischio di allergie, chiarisce Gennaro D' Amato, direttore dell' Unità di Malattie respiratorie e allergiche al Cardarelli di Napoli: «Particolato fine, ozono e biossido di azoto aumentano l' infiammazione delle vie aeree e facilitano la penetrazione degli allergeni». Pure l' inquinamento indoor contribuisce ad asma e allergie: in cucina si formano gas con effetti pro-infiammatori; i composti organici volatili liberati dai mobili o dai prodotti di pulizia "infiammano" anch' essi le vie aeree; se in ufficio c' è una fotocopiatrice l' ozono che si forma aumenta la probabilità di difficoltà respiratorie e allergie. «Appena possibile, quindi - raccomanda D' Amato - è opportuno tenere almeno i bambini all' aperto, dove possano respirare aria buona: un classico, con effetti davvero positivi nella prevenzione di asma e allergie, è il soggiorno al mare durante l' estate. Benefici il sole (per la sintesi di vitamina D) e l' aerosol di acqua di mare». Le amministrazioni pubbliche potrebbero aiutare a tenere sotto controllo le allergie, evitando di piantare in città alberi delle famiglie dell' olivo, del cipresso, della betulla e preferendo invece gli "anallergici" ippocastani o piante delle famiglie delle palme o dei pini. Altre precauzioni? «Se in famiglia ci sono casi di allergia, meglio non introdurre animali domestici perché i bimbi potrebbero diventare intolleranti al loro pelo; altrettanto utile eliminare la moquette, ridurre il numero peluche, utilizzare federe e coprimaterassi anallergici» consiglia D' Amato. Una casa pulita, quindi. «Ma non troppo, perché può rivelarsi un' arma a doppio taglio: secondo la cosiddetta teoria dell' igiene, esserci allontanati dal contatto con la terra e con lo "sporco" ha minato gli equilibri della risposta immune» conclude l' esperto. Meli Elena