RASSEGNA STAMPA 20/02/2011 COMMISSIONE STATUTO: NOMINATI I COMPONENTI UNICA - GELMINI: EFFETTO VALANGA UNIVERSITÀ DA RIDISEGNARE - INIZIA L'ERA GELMINI: SUPER POTERI AI RETTORI - RIFORMA ATENEI: ADDIO FACOLTÀ, ARRIVANO LE SCUOLE - ATENEI IN CURA DIMAGRANTE CANCELLATI OLTRE 800 CORSI - PASTICCIO ANVUR: FISICI MEGLIO DEGLI STORICI? - GELMINI: SUL LASTRICO 36 UNIVERSITÀ - NEGLI ATENEI SARDI ASSUNZIONI A RISCHIO - UNIVERSITÀ: ALLEANZE PER SOPRAVVIVERE - RIFORMA GELMINI: COSÌ LA BUROCRAZIA UCCIDE LA RICERCA - CGIL «LICENZIAMENTI DI MASSA NELLE UNIVERSITÀ» - LA SAPIENZA AVVIA UN VERO E PROPRIO RESTYLING - CONTRATTISTI: IN ARRIVO UNA VALANGA DI RICORSI - POLITECNICI: LA SCURE SULLE SEDI DECENTRATE - SCANDALO ERASMUS ESCLUSE 12 UNIVERSITÀ POLACCHE E RUMENE - ERASMUS: STUDENTI IN ROMANIA PER SUPERARE GLI ESAMI DIFFICILI - «STUDIO, QUINDI MI SPOGLIO». LAPDANCE PER PAGARE LE RETTE - VERITA’ SCIENTIFICHE: LE CONFERME A VOLTE CROLLANO - IL DIGITALE NON DISTRUGGE TRASLOCA L'OCCUPAZIONE - LA LUCE AVVITATA SU SE STESSA SVELERÀ COM'È UN BUCO NERO? - IL COMPUTER CHE VINCE IL QUIZ ORA STUDIA DA SUPERMEDICO - AMNESTY:SUPER BONUS PER I SUOI DIRIGENTI - USA, IL DECLINO DEI DIRITTI SINDACALI - ========================================================= QUANDO CAGLIARI DIVENTÒ UNA CAPITALE DELLA MEDICINA - SASSARI: MASSARELLI DIRETTORE DEL NUOVO DIPARTIMENTO DI MEDICINA - SULLE NOMINE ASL LA GIUNTA NON RISPONDE? «AZIONI LEGALI» - MARINO: L'UNITÀ SPINALE SCOPPIA - BROTZU: OPERATI 18 PAZIENTI DI CUORE CON UNA NUOVA TECNICA - SARDEGNA: CALERÀ LA SPESA PER I FARMACI - I VOLONTARI DEL 118 CHIEDONO UN NUOVO ACCORDO - FARMACI FALSI VENDUTI SU INTERNET - INTERVENTO DI FAZIO SULL'E-COMMERCE FARMACEUTICO - FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO, LINEE GUIDA APPROVATE - ITALIANI SEMPRE PIÙ IN RETE PER INFORMARSI SULL’ASSISTENZA - LIORI: CENTRALIZZAZIONE CHIAMATE ALLE GUARDIE MEDICHE - AOUCA: TRUFFA, PRIMARIO FINISCE SOTTO INCHIESTA - ASL8: PUGNI, SPINTONI E INSULTI IN SALA CHIRURGICA - SANITÀ, I RITARDI NEI PAGAMENTI ORA HANNO UN COSTO - TUMORE AL SENO, CONTROLLI MAI PARTITI - FARMACI ANTITUMORALI, INIZIA SPERIMENTAZIONE - ODONTOIATRIA: SEMPRE PIÙ STUDENTI SI LAUREANO ALL'ESTERO - IL DENTISTA ITALIANO? HA LA LAUREA IN ROMANIA - TUMORE AL SENO: DIAGNOSI PIÙ FACILE E SICURA - STAMINALI, LA TRAVE DELLE EMBRIONALI - SORPRESA: LA PULCE D'ACQUA HA MOLTI PIÙ GENI DELL'UOMO - DNA, L'AVVENTURA INIZIA ADESSO - SEQUENZA DEL DNA,LA RICERCA SI SCONTRA SUL BREVETTO - SUGHERO CONTRO I TUMORI AL SENO E AL COLON - VAI MALE A SCUOLA? NON PREOCCUPARTI È COLPA DEL DNA - VISITE SENZA L'ACCETTAZIONE - CONTRO I TUMORI ALLA PROSTATA NANOTECNOLOGIE E TÈ VERDE - L' OMS:ARIA CATTIVA IN CITTÀ? VIVREMO NOVE MESI DI MENO - LO SCETTICISMO SULL'EFFICACIA DEI FARMACI PUO' ANNULLARNE EFFETTO - BONCINELLI:VERSO LA VITA ARTIFICIALE ECCO LE PROTEINE SINTETICHE - NON È VERO CHE LA VITA NON HA PREZZO - L'ECSTASY NON PRODUCE EFFETTI SULLE FUNZIONI COGNITIVE - MICROBI, IL TEMPO DELLE MIGRAZIONI - I ROBOT CHIRURGICI DIVENTANO INTELLIGENTI - ========================================================= _______________________________________________________ L’Unione Sarda 17 feb. ’11 CAGLIARI: COMMISSIONE STATUTO: NOMINATI I COMPONENTI Università. Sono 15: sono stati scelti da Senato e Consiglio d’amministrazione Gli organi collegiali dell’Università hanno nominato i 15 componenti della Commissione incaricata di predisporre la bozza del nuovo statuto d’ateneo. Senato accademico e Consiglio di amministrazione hanno anche approvato un documento, proposto dal rettore Melis, contenente le linee guida del processo riformatore. Nel dettaglio, della Commissione statuto fanno parte per legge il Rettore e due rappresentanti degli studenti. Nei giorni scorsi il Consiglio degli studenti ha indicato Marco Meloni e Matteo Quarantiello. Gli altri componenti sono Guido Mula (ricercatore), Giovanni Pilo (rappresentante del personale), Pier Paolo Carrus (professore associato della facoltà di Economia, in qualità di esperto di organizzazione), Emanuela Abis (professore associato per l’area Ingegneria/Architettura), Gaetano Verani (ordinario per l’area Scienze), Elisabetta Loffredo (ordinario per l’area economico-giuridica). Il Senato accademico ha nominato Michele Mascia (ricercatore), Maria Leo (rappresentante del personale), Francesco Sitzia (professore di Giurisprudenza, in qualità di esperto giuridico), Patrizia Mureddu (professore ordinario per l’area letteraria), Paolo Contu (ordinario per l’area medico-sanitaria) e Anna Maria Fadda (ordinario per l’area Farmacia). _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’11 SASSARI: COMMISSIONE STATUTO E’ stata appena eletta, è formata da 12 membri più 2 studenti e dovrà rifondare l’Ateneo SASSARI. L’Università ha scelto i 15 componenti della commissione che avrà l’incarico di adeguare lo Statuto di Ateneo alla legge 240 di riforma del sistema universitario. Sei componenti sono stati eletti dal Senato Accademico: Paolo Tranquilli Leali (professore ordinario di Medicina e Chirurgia), Francesco Morandi (professore ordinario della facoltà di Economia e componente della Giunta di Ateneo), Ivan Blecic (ricercatore della facoltà di Architettura), Andrea Montella (professore ordinario di Medicina e chirurgia e direttore del Dipartimento di Scienze biomediche), Donatella Spano (professore ordinario della facoltà di Agraria e componente della Giunta di Ateneo) e Lucia Giovanelli (professore ordinario della facoltà di Economia e componente della Giunta di Ateneo). I sei eletti del Consiglio di amministrazione sono invece: Carla Bassu (ricercatrice della facoltà di Lingue e letterature straniere), Omar Chessa (professore ordinario della facoltà di Giurisprudenza), Marco Rendeli (professore associato della facoltà di Lettere e filosofia), Giorgio Pintore (professore associato della facoltà di Farmacia), avvocato Antonfranco Temussi (personale tecnico amministrativo dell’Università, responsabile del settore Gestione centri e consorzi), Paolo Enrico (ricercatore della facoltà di Medicina e Chirurgia). Il Consiglio degli studenti ha invece scelto come suoi rappresentanti Daniela Marredda e Luigi Vaira. Entrambi fanno parte anche del Consiglio di amministrazione dell’Università. ____________________________________________________ La Gazzetta del Mezzogiorno 13 feb. ’11 GELMINI, EFFETTO VALANGA UNIVERSITÀ DA RIDISEGNARE Interi dipartimenti e facoltà da cancellare o accorpare, con pesanti ricadute Nuovi componenti nel consiglio di amministrazione e nel senato accademico, dipartimenti da disattivare o da accorpare, intere facoltà da mandare in pensione. Per effetto della legge di riforma Gelmini, l'Università e il Politecnico devono riscrivere entro sei mesi i rispettivi statuti, la carta costitutiva alla base dell'organizzazione degli atenei. L'Ateneo potrebbe riuscire, stando alle proiezioni sin qui elaborate, a ridurre gli attuali 64 dipartimenti di ricerca ad una quarantina, mentre il Politecnico dovrebbe passare, come spiega il rettore Nicola Costantino, dagli attuali dieci a sei, massimo sette dipartimenti. Per effetto della legge, entrata a vigore il 29 gennaio, anche l'organizzazione della didattica, finora attribuita alle facoltà, dovrà passare ai dipartimenti. Un cambiamento che comporterà un gran lavoro soprattutto nella facoltà di Medicina, essendo la maggior parte dei suoi professori e ricercatori impegnati anche sul piano assistenziale sanitario presso il Policlinico, oltre a svolgere le attività di docenza e di ricerca scientifica e clinica. Ma c'è un'idea, al riguardo. Nell'ambito della federazione dei quattro atenei pugliesi (Università di Bari, Politecnico, Lecce e Foggia) con quelli molisano e lucano, prevista dalla stessa riforma Gelmini ed istituita di recente, il rettore di Bari Corrado Petrocelli ritiene che sarebbe «interessante» seguire la strada di un'unica struttura sanitaria alla quale facciano capo le attuali facoltà di Bari, Foggia e Campobasso. Un progetto ambizioso, perché dovrebbe rivoluzionare gli equilibri tra gli atenei e le strutture ospedaliere, soprattutto in materia di gestione delle varie cliniche a conduzione universitaria e, di conseguenza, la formazione dei futuri medici e i servizi sanitari nei territori interessati. Secondo il preside della facoltà di Medicina e Chirurgia di Bari, Antonio Quaranta, «è un progetto praticabile sul piano della didattica e che dovrebbe essere ben valutato quanto agli effetti sulla mobilità degli studenti, la razionalizzazione dell'offerta formativa (il numero e la qualità dei corsi di laurea) e le aspettative del territorio in termini di assistenza sanitaria». Intanto, il consiglio della facoltà medica di Bari ha già chiesto che la struttura della facoltà venga mantenuta (la legge Gel- mini non prevede più le facoltà), in ragione della sua funzione peculiare. Gli attuali 14 dipartimenti dell'area sanitaria dovrebbero ridursi a cinque, al massimo sei, spiega il preside Quaranta, per poi adeguarli alla riorganizzazione del Policlinico, che prevede la istituzione di 13 dipartimenti ad attività integrata ricerca (Dai) in cui confluiranno le attuali 114 unità operative, ridotte a 90. Tutte questioni che dovranno essere affrontate, nell'ambito della più generale riorganizzazione dello statuto, da un'apposita commissione di quindici componenti che sarà nominata domani dal consiglio di amministrazione e dal senato accademico dell'Università. La stessa commissione al Politecnico è già stata istituita e sarà al lavoro da martedì. ____________________________________________________ Il Manifesto 17 feb. ’11 INIZIA L'ERA GELMINI: SUPER POTERI AI RETTORI Gli atenei scrivono (e approvano) i nuovi statuti A Bologna e Torino le proteste degli studenti Roberto Ciccarelli ROMA A poco più di un mese dall'approvazione della riforma Gel- mini, l'aria che si respira negli atenei è tesa e malmostosa. All'università di Padova si vuole riscrivere in fretta lo statuto adeguandolo alle norme del governo sugli organi accademici. Il rettore Giuseppe Zaccaria ha chiesto ai ricercatori e al personale amministrativo di inviare ad una casella mail le loro osservazioni sulla legge fondamentale che regolerà a lungo la vita dell'ateneo. Non è stato trovato il tempo sufficiente per modificarla con la partecipazione degli studenti e dei docenti come richiesto da una petizione sottoscritta da oltre 500 persone ad inizio febbraio. Il problema della democrazia interna è stato così ridotto al più classico dei thread caotici e risentiti che di solito si leggono nelle mailing list. Anche a Venezia il rettore Carlo Carraro sta accelerando i tempi. L'approvazione dello statuto è stata calendarizzata il 23 marzo al senato accademico. La commissione composta da 5 professori ordinari, 2 associati, I ricercatore, 3 studenti, 2 amministrativi e 2 esterni, più il rettore Carraro, aggiornerà le linee guida decise da tempo, inserendo nello statuto i compiti del rettore e le funzioni del Senato e del Consiglio di amministrazione stabiliti dalla riforma entrata in vigore il 29 gennaio scorso. Non occorre avere studiato gli atti della Costituente per capire l'anomalia di questa situazione. In quale altro ordinamento giuridico la stessa persona — il rettore — presiede l'organo costituente (la «commissione statuto»), gli organismi parlamentari (il Cda e il Senato accademico) e dirige lo «Stato» (cioè l'ateneo)?. . Nell'università è possibile, visto che si tratta di una comunità che si auto-governa. Solo che questo governo è ispirato ad un principio monarchico per di più rafforzato dalla riforma Gelmini che accresce il potere dei rettori, pur avendone limitato la durata del mandato. Non è di questo avviso il rettore dell'università di Trieste Francesco Peroni che alla monarchia assoluta ha preferito quella costituzionale. Come a Palermo, anche nel capoluogo friulano si è scelto di organizzare una votazione a suffragio universale alla quale hanno partecipato tutte le componenti della comunità accademica, dagli studenti agli ordinari fino al personale amministrativo. Nessuno però si illude che questa lotta cambierà l'orientamen-to di una riforma che modella l'università in un potere ancora più piramidale e oligarchico. Molti si limitano a chiedere l'applicazione delle norme nella maniera più corretta possibile. Per questa ragione a Torino i rappresentanti degli «studenti indipendenti» si sono dimessi dal senato accademico. Non si sentono «miseri poltronai» e chiedono al rettore Pellizzetti nuove elezioni studentesche per evitare il prolungamento delle cariche di due anni. Solo uno dei due ricercatori della Rete 29 aprile è inoltre entrato nella commissione statuto. «È, una farsa» ribadiscono gli studenti bolognesi che oggi contesteranno il rettore Ivano Dionigi che ha composto la commissione «già nel marzo dell'anno scorso senza includere i ricercatori». Stessa discussione si è svolta tra i ricercatori dell'università di Messina dove il rettore Francesco Tomasello ha cooptato nella commissione i ricercatori di sua scelta, ignorando una petizione firmata dal 35 per cento dei docenti. In mancanza di una vittoria simbolica nella battaglia per la democrazia nell'università, cresce il sospetto che la cooptazione trasformerà i ricercatori no-Gelmini nei guardiani della riforma. Un paradosso dal quale molti, a ragione, vorrebbero tenersi lontani. Negli statuti che dovranno essere approvati entro giugno ci sono altri assenti. Sono i ricercatori precari, gli «invisibili» come si auto- definiscono quelli dell'università della Calabria, che non hanno titolo per entrare nella rosa stabilita dai rettori, anche se il loro numero è almeno pari a quello dei docenti regolarmente assunti. A Firenze si sono auto-candidate due precarie «per dare voce ad una categoria che la legge Gelmini precarizza definitivamente». Nessuna di loro è stata inserita in commissione. ____________________________________________________ Il Secolo XIX 17 feb. ’11 LA RIFORMA DEGLI ATENEI: ADDIO FACOLTÀ, ARRIVANO LE SCUOLE Cinque nuovi "contenitori" al posto di undici e dal 28 febbraio dimezzati i dipartimenti FRANCESCO MARGIOCCO GENOVA. Facoltà universitarie, addio. Parte il conto alla rovescia per la riforma degli atenei italiani, prevista dalla nuova legge Gelmini. E l'Università di Genova è a buon punto. Il suo nuovo statuto è pronto da mesi, dovrà essere vagliato dalla neonata commissione statuto, formata da dieci professori, due impiegati, due studenti e presieduta dal rettore. Entrerà in vigore, secondo la tabella di marcia, tra sei mesi. A settembre le attuali undici facoltà dovrebbero, quindi, cedere il posto a cinque più grandi "scuole": un nuovo tipo di contenitore che s'ispira al sistema accademico americano, e di altri paesi europei. Facoltà tra loro affini, come medicina e farmacia, architettura e ingegneria, giurisprudenza, scienze politiche ed economia, si uniranno. Fisicamente rimarranno dove sono, a parte il futuro quasi certo trasferimento di Ingegneria agli Erzelli, ma avranno segreterie e biblioteche in comune. L'altra novità, più vicina nel tempo, riguarda i dipartimenti cioè le strutture di ricerca in cui si articolano le varie facoltà. Oggi sono oltre cinquanta, dal 28 febbraio saranno all'incirca la metà. Un piano di accorpamenti che sta creando problemi ad alcune facoltà. A Lettere, in particolare, i professori non riescono a mettersi d'accordo: il loro progetto iniziale prevedeva due grandi dipartimenti, quello storico e quello letterario, ma è poi stato sostituto dal progetto di un unico dipartimento che a sua volta è fallito per far posto, di nuovo, all'idea dei due dipartimenti su cui il consiglio di facoltà sta ancora meditando. Entro il 28 febbraio dovrà decidere. L'altra novità riguarda la cosiddetta governance: più potere al rettore, che però potrà essere sfiduciato. Più attenzione al mondo imprenditoriale, che potrà incidere sulle scelte strategiche dell'ateneo. Ma anche più voce agli studenti, cui spetterà il compito di verificare, periodicamente, la qualità didattica dei loro docenti. Gli organi di governo, senato accademico e consiglio d'amministrazione, saranno più snelli, con meno senatori e consiglieri. I loro compiti, oggi sovrapposti, saranno definiti meglio, a vantaggio del consiglio d'amministrazione, di cui faranno parte anche tre manager esterni. Il senato dovrà elaborare e proporre le strategie, che il consiglio d'amministrazione avrà il compito di approvare o respingere. Giacomo Deferrari lavora a questa riforma da oltre due anni, da molto prima che il parlamento approvasse la legge Gelmini. Ma come per la legge del ministro, l'iter della riforma del rettore è stato complicato. Molte le opposizioni interne, a cominciare dalla "lobby dei giuristi" per usare un'espressione di Deferrari. Esponente di spicco della lobby giuridica è Riccardo Guastini, costituzionalista e filosofo del diritto, che il rettore, forse incautamente, ha nominato suo "delegato per la revisione dello statuto". Guastini è contemporaneamente l'estensore e il critico più severo del nuovo statuto, che ha definito, almeno in parte, inutile se non dannoso: «Dal punto di vista della didattica e della ricerca - ha dichiarato - rischia di non portare alcuni vantaggio, ma soltanto complicazioni» ____________________________________________________ Italia Oggi 14 feb. ’11 GLI ATENEI IN CURA DIMAGRANTE CANCELLATI OLTRE 800 CORSI La razionalizzazione dell'offerta formativa porta a pesanti sforbiciate DI BENEDETTA PACELLI Niente più «Traduttologia e tecnologie cosmetiche e galeniche», o «Pace, diritti umani e cooperazione nel Mediterraneo», ma anche «Scienze giuridiche italo- spagnole» e «Benessere del cane e del gatto». La lista è lunga, e solo nell'ultimo anno conta oltre 500 corsi di laurea in meno. Del resto tra il nuovo quadro di regole che ha imposto agli atenei di razionalizzare l'offerta formativa, il taglio al fondo del finanzia mento ordinario e le assunzioni bloccate, la sforbiciata dei titoli è d'obbligo. Ecco quindi, in una prima fase, sparire gli insegna menti creati più per ragioni acca demiche che per soddisfare una reale domanda degli studenti e una concreta offerta del mondo del lavoro. In una seconda fase però i tagli sono andati a incidere sulle discipline storiche di facoltà tradizionali quali ingegneria, economia o lettere, perchè prive di quei requisiti necessari per legge. Duplice in ogni caso la spinta ai tagli: fare chiarezza agli occhi degli studenti, spesso costretti a scegliere fra dedali di titoli indistinguibili o troppo specialistici, e per questo ignorati dal merca to. E tagliare i costi del personale, alimentati da incrementi d'organico a cui la creazione di nuovi corsi offriva ottime giustificazioni. Ogni ateneo comunque fa storia a sé. Una cosa è certa: la retromarcia iniziata nell'anno accademico 2007-2008 (picco massimo dell'offerta formativa) oggi, secondo i dati elaborati dal Consiglio universitario nazionale su fonte Miur, ha già portato a risultati concreti; grazie alla dieta seguita dagli atenei i corsi di laurea, tra triennali e specialistici, sono scesi sotto la soglia di cinquemila passando dai 5.460 del 2007 a 4.597 del 2010. E per il prossimo anno si annuncia un ulteriore taglio di circa 500 corsi per effetto dell'ultimo decreto ministeriale (17/10) che impone misure ancora più restrittive. Termine ultimo per perdere peso il prossimo anno accademico. Dopo quella data, se l'offerta formativa sarà ridondante, ovvero conterrà troppi corsi privi dei necessari requisiti, verrà ridimensionata a colpi di forbici dal ministro Gel- mini. I dati. La stretta più evidente si registra nelle lauree triennali che scendono da 2.782 del 2007/08 a 2.241 dell'anno in corso con un taglio cioè del 19,4%. Più contenuta la riduzione nelle specialistiche che, nello stesso periodo preso in considerazione, contano 2.090 rispetto ai 2401 del 2007, il 12,9% in meno. Ad essere sottratti ai tagli i corsi a ciclo unico, come Medicina e chirurgia, Architettura e Giurisprudenza, quelli che riguardano professioni regolamentate e sui quali la legge 270/04 non era intervenuta. Questi passano da 251 del 2007, a 266 nell'anno in corso anche a seguito di accorpamenti. La man-naia è caduta di più sugli atenei statali (-16,3%), ma anche quelli non statali promossi da enti privati, che garantiscono solo il 4,2% dell'offerta formativa, (gli statali il 93,3%) hanno sfoltito del 13,3%. Cresce, al contrario, l'offerta formativa delle università non statali promosse da enti pubblici come l'università ai Aosta, Bolzano, Enna-Kore e l'università di Reggio Calabria per stranieri-Dante Alighieri, che hanno addirittura aumentato i corsi del 13,8%. I tagli sul territorio. La cura dimagrante si è distribuita in maniera non omogenea sul territorio nazionale: gli atenei del nord-est in assoluto quelli che hanno effettuato i tagli maggiori passando dai 1089 corsi del 2007 ai 756 dell'anno in corso con una sforbiciata del 30,5%. Analizzando comunque i dati nel dettaglio si scopre che l'offerta formativa si è contratta proprio dov'era già meno presente: -16,8% i tagli negli atenei del Sud che coprono il 20,5% dei valori assoluti dell'offerta formativa e -11,3% in quelli del Nordest che coprono invece il 21,9% del totale dei corsi erogati in tutta Italia. Ma chi ha sfrondato maggiormente? A tagliare di più sono stati gli atenei di media grandezza (da 10 a 20 mila iscritti) con una percentuale del 28,4%, seguiti dai grandi-atenei (da 20 mila a 40 mila studenti) che si attestano sulla cifra del 19,4% e dai piccoli -16,7% (fino a 10 mila studenti). Seguono i politecnici con una sforbiciata del 15,7% e infine i mega atenei che, dopo la corsa ai tagli negli anni precedenti si sono fermati a una sforbiciata complessiva dell'8,2%. Il perché dei tagli. Le motivazioni principali che hanno spinto i rettori a sopprimere alcuni corsi sono legate a due necessità: il contenimento dei costi e la razionalizzazione dei percorsi formativi. Perché la riforma nel suo complesso ha l'obiettivo principale di innalzare gli standard di qualità: «Le modifiche maggiori», ha spiegato il presidente del Cun Andrea Lenzi, «sono infatti andate nella direzione di definire lo sbocco professionale cui questi percorsi formativi danno accesso. D'ora in poi, quindi, gli obiettivi formativi saranno congrui con il tipo d'insegnamento impartito e la denominazione degli stessi esami chiara. La riduzione infatti è stata realizzata per offrire ai giovani un percorso di studio di base più completo e meno frammentato rispetto alla situazione precedente. E le risposte degli atenei», ha spiegato ancora il numero uno del Cun, «sono state di grande qualità considerando anche i tempi ristretti». Ma come sono avvenuti i tagli? «Secondo criteri di razionalizzazione dei percorsi formativi», dice ancora, «eliminando l'eccessiva frammentazione e l'esagerata moltiplicazione dei corsi di studio». A fare le spese del rigore sono stati soprattutto nella fase iniziale, anche alcuni piccoli corsi di laurea presenti in facoltà forti come ingegneria che non possedevano i requisiti minimi per giustificare la spesa. In questi casi i rettori hanno deciso di operare accorpamenti, improntati a mere ragioni di budget. Nei primi anni di inversione di tendenza, quindi, le materie tecniche sono state le più colpite soprattutto per le triennali: da ingegneria industriale a scienze dell'economia e della gestione aziendale, o da ingegneria dell'informazione a scienze e tecnologie agrarie. Mentre per le quinquennali le maggiori sforbicate sono avvenute per le classi ____________________________________________________ Europa 16 feb. ’11 PASTICCIO ANVUR: FISICI MEGLIO DEGLI STORICI? AGOSTINO GIOVAGNOLI L'università e la ricerca rappresentano una priorità per il futuro del paese. Dirlo ancora una volta significa ripetere un'ovvietà, ma non è affatto scontato che lo si pensi davvero e, ancor meno, che ne traggano conseguenze concrete. Si è molto discusso della cosiddetta riforma Gelmini e favorevoli e contrari hanno sottolineato che moltissimo dipenderà da come sarà attuata. Dunque, il monitoraggio della sua applicazione è decisivo per una valutazione complessiva della politica universitaria di questo governo. Per il momento, non vengono segnali incoraggianti. In queste settimane, tutte le università italiane, sono ingolfate da un pesante lavoro di calcoli tabellari — in cui non c'è spazio per le vere questioni culturali e didattiche — al fine di una drastica riduzione dei corsi di laurea, mentre si fa sapere che lo stesso lavoro andrà rifatto di nuovo l'anno prossimo su basi diverse. Impegnare tante energie per un obiettivo di brevissima durata significa aumentare stanchezza e disaffezione già largamente diffuse. Negli ultimi mesi sono stati tanti i professori che hanno deciso di andare anticipatamente in pensione e che non saranno sostituiti, mentre le statistiche ci informano che il numero degli studenti sta calando rapidamente, diminuendo così in prospettiva il numero dei laureati in Italia, già inferiore alla media europea. Insomma, si sta andando di fatto verso un ridimensionamento complessivo dell'università italiana: è questo ciò che si vuole? Molto inquietante appare anche il segnale che viene dalla questione dell'Anvur, l'ente cui verrà delegata la gestione di tutti i fondi nazionali per l'università e la ricerca. Le promesse della vigilia affidavano a questo ente il compito di introdurre concretamente ampie quote di meritocrazia, punendo i viziosi e premiando i virtuosi. A guidarlo sono stati chiamati sette membri, tra cui — oltre a non figurare neanche un docente delle università a sud di Roma — non ci sono né giuristi e né rappresentanti dell'area umanistica, l'area che comprende tra l'altro letteratura, storia, filosofia, arte, archeologia, pedagogia ecc. Non si tratta dunque di un'area secondaria, specialmente in un paese come l'Italia, dove la tradizione umanistica e il patrimonio dei beni culturali è tanto importante. Insomma, saranno un veterinario o un fisico, per citare due delle competenze dei sette membri del consiglio, a decidere quali strutture e quali ricercatori di lettere o di storia devono essere finanziati e quali invece no. Non è davvero la strada maestra per premiare competenze e meriti. Governo e maggioranza hanno ammesso l'errore, ma non ritengono di dover fa niente per rimediare. È merito, invece, di un gruppo di senatori e deputati, soprattutto del Partito democratico, aver presentato un emendamento al decreto milleproproghe per ampliare di altri due altri membri il consiglio direttivo dell'Anvur e risolvere così l'evidente deficit di competenze. Probabilmente, il governo porrà la fiducia impedendo qualunque miglioramento al testo del milleproroghe, compreso quello riguardante l'Anvur. È però importante che il tentativo sia stato compiuto. L'emendamento presentato da parlamentari del Pd esprime infatti un'importante lezione di metodo. In primo luogo, indica un ascolto attento di settori importanti della società civile. E poi esprime l'esatto opposto di una logica sfascista. Il pasticcio Anvur è stato fatto dal governo e il governo non ha intenzione di rimediare. In un'ottica di interessi politico-elettorali immediati si potrebbe giocare al tanto peggio-tanto meglio: è un errore delle forze di maggioranza, perché aiutarli a rimediare? Ma in casi come questi non sono in gioco interessi lobbystici o corporativi, ma un bene complessivo che riguarda l'intero paese e in particolare le giovani generazioni. Qualcuno ha obiettato che aggiungere due nuovi membri del consiglio Anvur rappresenterebbe una "soluzione all'italiana". È un'obiezione poco comprensibile. Se si vuole dire che le cose andavano fatte bene fin dall'inizio, siamo tutti d'accordo, ma purtroppo ormai il guasto ormai c'è ed è grave. Se si vuole intendere che è una soluzione d'emergenza e, perciò, poco "nobile", va detto chiaramente che la posta in gioco è alta e che i risultati raggiungibili con questa soluzione sono indiscutibilmente nobili. Sappiamo che quando l'attuale stagione politica finirà, saranno tanti i guasti cui rimediare e non c'è davvero motivo per aggiungerne altri. Un'opposizione responsabile e costruttiva comincia già a oggi a lavorare per un futuro diverso, utilizzando subito qualunque occasione possibile. ____________________________________________________ Italia Oggi 16 feb. ’11 GELMINI: SUL LASTRICO 36 UNIVERSITÀ Per gli atenei in difficoltà assunzioni bloccate e rischio commissariamento Stop ai correttivi. E le buste paga sforano il tetto DI BENEDETTA PACELLI Il milleproroghe mette sul lastrico le università. E manda in fumo anche parte di quelle assunzioni previste in alcuni atenei secondo la riforma Gelmini. Sono 36, infatti, su un totale di 66, gli atenei statali che, tabelle alla mano, rischiano il dissesto finanziario. Con la conseguenza immediata di non poter assumere personale per l'anno in corso, nella migliore delle ipotesi. Sempre che, poi, non scatti il commissariamento. E il primo effetto dell' addio per il 2011 e per la prima volta, ai consueti sconti sui criteri di calcolo del rapporto fra la spesa di personale e Fondo del finanziamento ordinario delle università (Af/Ffo), inseriti ogni anno nel decreto milleproroghe. Fino al 2010, infatti, questo conteggio era alleggerito da una serie di correttivi a favore degli atenei che sottraevano dalle spese di personale l'ammontare complessivo degli aumenti stipendiali maturati nell'anno precedente, le retribuzioni dei docenti assunti a seguito di convenzioni con enti esterni e infine impone di conteggiare per due terzi (non per intero), il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale nelle facoltà di medicina. Questi alleggerimenti erano stati fino a ora determinanti per far quadrare i bilanci e permettere alle università di non superare la soglia del 90% dell'Ffo così come previsto dalla legge finanziaria del 1998. Ma senza sconti e con la legge Gelmini appena approvata (n. 240/2010) molti atenei rischiano la paralisi del reclutamento, vanificando in questo modo anche l'assunzione dei 1.500 professori associati promessi dal governo. È lo stesso provvedimento, infatti, che blocca le università statali che entro il 31 dicembre di ogni anno hanno superato il tetto del 90% dell'Ffo dall'assumere nell'anno successivo. Scorrendo, quindi, la tabella messa a punto dal ministero sulla base dei bilanci forniti dai diversi atenei si scopre che senza correttivi, la lista degli atenei con i bilanci in rosso, da sette precipita fino a 36 cioè oltre la metà degli atenei, fatta esclusione per quelli privati. A complicare la situazione, poi, i tagli all'Ffo ma anche l'aumento naturale delle anzianità che ogni anno gonfia le uscite fisse per il personale. L'università più lontana dal tetto è l'ateneo di Urbino Carlo Bo il cui rapporto tra assegni fissi e Fondo del finanziamento ordinario per il 2009 già con gli sconti arriva al 102,72%, senza applicare la normativa vigente invece arriverebbe addirittura a 106,49%. Al secondo posto c'è l'ateneo di Cassino che per buste paga spende il 95,67% (senza correttivi 100,28%) dell'assegno staccato ogni anno dallo stato, seguita dall'ateneo di Bari con il suo 93,33%, dell'Aquila 92,35% i cui conti puri arrivano rispettivamente al 99,58% e al 101,59%. Ma nella rete finiscono anche tante altre università fino ad ora con i bilanci sotto soglia: dall'università di Roma Tor Vergata (99,15%) a quella del Molise (99,92%), dall'università degli studi Modena e Reggio Emilia (97,87%) alla seconda università degli studi di Sassari (97,12%). LE UNIVERSITÀ A RISCHIO ATENEO RAPPORTO ASSEGNI FISSI/ RAPPORTO ASSEGNI FISSI/ FFO Puro FFO con APPl. Norma Bari 99,58% 93,33% Cassino 100,28% 95,67% Aquila 101,59% 92,35% Napoli L'Orientale 94,31% 90,90% Reggio Calabria 95,37% 91,80% Siena 105% 91,72% Urbino Carlo Do 106,49% 102,72% Modena Reggio E 97,87% 89,37% Molise 99,92% 89,96% Roma Tor Vergata 99,15% 89,19% Sassari 97,12% 88,09% Basilicata 94,66% 87,83% _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’11 NEGLI ATENEI SARDI ASSUNZIONI A RISCHIO Contraccolpi per le università dell’isola: forse la minaccia di altre sforbiciate inciderà anche sulle promozioni Decreto milleproroghe, Sos dei ricercatori dopo le ultime scelte del governo Sassari, il rettore tranquillizza: per quest’anno nessun problema, sono ancora possibili correttivi PIER GIORGIO PINNA SASSARI. I ricercatori sardi lanciano un altro Sos. «Col milleproroghe nei nostri atenei le assunzioni si bloccheranno», dicono. La mazzata, oggi, col voto di fiducia sul decreto. C’è però chi non condivide quest’interpretazione e ritiene esistano spazi di manovra. È il caso del rettore di Sassari. «Il problema non si pone adesso - spiega Attilio Mastino - Per quest’anno siamo in grado di chiamare in servizio tutti i ricercatori che hanno finito o stanno finendo i concorsi. Il discorso potrà però riguardare il 2011-2012. Ma sono del parere che ci sia la possibilità di correttivi. Basti pensare ai massicci pensionamenti: stanno già determinando il positivo effetto di una diminuzione delle “uscite” per il personale e potranno compensare nuovi ingressi». «A me sembra invece che qualcuno voglia uccidere l’università pubblica», sottolinea Valentina Onnis, a Cagliari leader della rivolta anti-Gelmini. Che chiarisce: «Nel decreto non è più previsto lo “sconto” per il calcolo delle spese sugli stipendi, cioè il meccanismo per cui lo Stato sottraeva dall’importo del Fondo annuale di finanziamento ordinario (Ffo) un terzo degli onorari pagati ai medici impegnati in attività a carico del servizio sanitario nazionale. Né sono comprese altre detrazioni, come l’ulteriore “sconto” per gli aumenti periodici degli stipendi e la quota delle convenzioni esterne con enti e istituzioni». Finora, grazie a questi accorgimenti, nei bilanci di molti atenei era stato possibile restare al di sotto della percentuale del 90% del Ffo. Soglia sopra la quale vengono bloccate le assunzioni in tutti i settori. «Forse si pensava di spingere a comportamenti virtuosi - incalza la rappresentante della Rete 29 Aprile - Ma con l’attuale milleproroghe Sassari passerebbe dall’88,09% al 97,12% del Ffo e Cagliari dall’86,02% al 98,21%. Il che equivale a impedire, oltre a nuove assunzioni, le promozioni interne». Con risultati disastrosi, secondo Valentina Onnis: «Moriranno numerosi corsi di laurea. Alcune sedi saranno dichiarate tecnicamente fallite. E i giovani, quelli per i quali il ciglio della Gelmini s’inumidisce a comando, non diventeranno mai ricercatori a tempo determinato. Perché le risorse per la tenure-track, sbandierata dal ministro come innovazione fondamentale della legge, non ci saranno. Allo stesso modo, le migliaia di precari che sono stati illusi sugli effetti salvifici di questa normativa, avranno la conferma di un bluff fatto sulla loro pelle». Negli ultimi 36 mesi gli atenei dell’isola hanno subìto sui Fondi ordinari tagli che in tutto sfiorano i 20 milioni. Dal 2008 al 2010 la dotazione del Capo di sotto è calata da oltre 133 milioni all’anno a poco meno di 128 (-8,39%). Nello stesso periodo il Capo di sopra è passato da più di 83 a 75 milioni e mezzo (-9,12%). Tra le 58 università pubbliche italiane Sassari è in percentuale la quarta più colpita: la precedono solo Salerno, Catanzaro, Teramo. Ma le sforbiciate ministeriali non sono fatte a caso: si basano sul rispetto di parametri che dovrebbero tenere conto di meritocrazia, premialità, capacità progettuali, investimenti e altri fattori ancora. Occorrerà dunque quanto gli atenei saranno capaci di recuperare il tempo perduto sotto questi profili. «A ogni modo non penso ci sarà da preoccuparsi - osserva Mastino - Se, come credo in concreto, riusciremo a trovare nuove risorse, potremmo migliorare l’entità del Fondo». «E comunque non abbiamo solo i “punti-credito” necessari per le assunzioni dei ricercatori riferite a quest’anno e al passato - è la conclusione del rettore - Con i risparmi derivati dal congedo di 80 dipendenti e grazie a nuove convenzioni potremo certificare ulteriori entrate. E quindi far fronte al mutamento normativo». ____________________________________________________ Il Secolo XIX 17 feb. ’11 UNIVERSITÀ E RIFORMA GELMINI: COSÌ LA BUROCRAZIA UCCIDE LA RICERCA PIER PAOLO PULIAFITO ............. I primi nodi della cosiddetta riforma Gelmini dell'Università stanno venendo al pettine. Percorrono la rete del nostro Ateneo circolari che, prendendo lo spunto dall'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240, bloccano di fatto i nuovi rapporti (contratti e assegni) con i giovani "in attesa dei relativi regolamenti". Vale la pena di fare qualche riflessione in merito, perché si tratta di misure, già sottoposte a osservazioni critiche e preoccupate da parte del presidente della Repubblica, che impattano sulla vita di alcune migliaia di giovani e su attività che i più avveduti giudicano strategiche per la vita e il futuro del nostro Paese. La prima riguarda la piaga del precariato: tutti sono concordi sul fatto che vada combattuto e che l'Università italiana ne abbia fatto un uso a volte sconsiderato. Ma forse converrebbe rammentare che il mercato del lavoro, nel suo complesso, è attualmente caratterizzato da un'altissima incidenza del precariato giovanile: uno su quattro che lavorano. Non risulta che sul mercato del lavoro vi siano iniziative altrettanto efficaci per contenere il fenomeno del lavoro precario. Ma ciò che le circolari stabiliscono, con un'interpretazione abbastanza restrittiva, attiene allo svolgimento della ricerca. Sulle attività di ricerca nel nostro Paese si sta da tempo abbattendo una grande quantità di misure burocratiche che rendono molto difficile la vita a quei docenti e ricercatori che si danno da fare per ottenere finanziamenti e contratti nazionali o internazionali. Molti colleghi si stanno chiedendo se sia ancora possibile gestire entro l'Università, con i tempi e le modalità della Ue, i progetti finanziati e perché non vi sia uno studio organizzativo adeguato per "semplificare" le procedure o per mettere a disposizione strutture e persone dedicate a facilitare le pratiche che precedono, accompagnano e seguono i contratti di ricerca. Non si vede come possa essere ricondotto a tale auspicabile tipologia il blocco, ancorché temporaneo, dell'assegnazione di contratti e assegni. Le circolari rammentano alcune norme contenute nella legge in questione che sembrano davvero incredibili. Una, che riguardala partecipazione a gruppi e ai progetti di ricerca, ribadisce, in particolare per i giovani, l'esclusione di collaboratori esterni e ammette la partecipazione degli assegnisti. Ma il bando per i posti nuovi di questi ultimi dovrà attendere i regolamenti, per i quali ci si dovrebbe aspettare una rapidissima messa a punto. Molti si dichiarano pessimisti in merito, visti alcuni precedenti. E che dire del fatto che possono partecipare alle attività di ricerca esperti esterni "a contratto", cioè con un incarico didattico, aventi un reddito non inferiore a 40.000 euro? A parte il personale strutturato, per fare ricerca all'Università occorrerà essere indipendenti economicamente e dotati del "prerequisito" di fare didattica. Un bel capovolgimento di prospettive culturali e di principio. Il fatto è che l'Università è ormai preda della sindrome della razionalizzazione e del risparmio a qualunque costo. E questo assunto, nell'opinione del governo e di molti attori universitari, è di gran lunga prevalente rispetto agli esiti dello scarso finanziamento della ricerca e dell'assenza di una qualche prospettiva per i prossimi anni. Il dibattito su questi argomenti sembra avviato su binari di incomunicabilità fra coloro che antepongono norme e regole nel nome delle correttezze formali e coloro che tentano di costruire un futuro per i giovani tramite la ricerca. La legge Gelmini ha sancito senza troppi scrupoli che l'Università è diventata un'oligarchia burocratica ____________________________________________________ Italia Oggi 14 feb. ’11 UNIVERSITÀ: ALLEANZE PER SOPRAVVIVERE È soprattutto nei medi e nei grandi atenei che i Senati accademici hanno fatto e stanno facendo i conti. E alla fine l'offerta didattica è sempre costantemente a segno meno. In totale tra queste due categorie di università addirittura a meno 47,8%. All'università di Genova molte facoltà sono state costrette a tagliare i corsi di laurea non perchè questi fossero scarsamente appetibili, ma per mancanza di docenti incardinati necessari d'ora in poi a garantirne la sopravvivenza. I corsi sono stati tagliati di oltre il 10%, i docenti con più anzianità sono stati pensionati, le undici facoltà regionali in via di accorpamento in cinque scuole, i dipartimenti dimezzati e i poli decentrati riorganizzati. I corsi sono passati dal numero di 158 nel 2007 a 138 nell'anno in corso. A subire le maggiori decurtazioni economia, giurisprudenza e scienze della formazione con quattro corsi in meno per ogni facoltà, ma anche lettere e filosofia e scienze politiche in cui sono stati cancellati tre corsi. Ma a Genova il problema, come per altri atenei, potrebbe essere per il futuro: applicando alla lettera il decreto, la facoltà di ingegneria, per esempio domani, potrà avere soltanto 5 dei 13 corsi triennali. Trenta tre i corsi in meno all'università di Siena passate dai 117 corsi del 2007 agli 84 dell'anno in corso con un'azione mirata principalmente a compattare percorsi specifici tra loro affini all'interno di un unico corso. E non ci sono state aree più o meno interessate perché, fanno sapere dall'università, la riorganizzazione dei corsi ha interessato in modo omogeneo tutte le nove facoltà e le aree disciplinari. Va a meno 36 l’ateneo triestino rispetto al 2007. I maggiori cambiamenti avvenuti nel 2008 con la trasformazione degli ordinamenti secondo il dm 270/04, soprattutto per corsi di laurea triennali: economia e scienze politiche hanno chiuso corsi con sede a Gorizia, farmacia ne ha chiuso uno, ingegneria i due in modalità teledidattica, accorpando anche due specialistiche in una, lettere e filosofia ha accorpato tre lauree specialistiche in una, e poi psicologia ha chiuso una specialistica, così come scienze della formazione. Nel 2009/10 l'università di Trieste ha effettuato gli accorpamenti: da lettere e filosofia, a scienze politiche, da scienze matematiche a giurisprudenza. C'è chi, poi, per sopravvivere ai tagli ha pensato di allearsi con altri atenei. È il caso dell'università di Camerino che, come spiega Giuseppe Losco, delegato al budget e alle risorse materiali, «ha sottoscritto un Accordò di programma tra il Miur e l'università e la provincia di Macerata che punta a integrare i servizi, qualificare e razionalizzare l'offerta formativa, e contenere e consolidare le sedi collegate». I corsi di studio sono passati da 34 nel 2007 (18 di I livello e 12 di II) a 28 nel 2010 (18 di I livello, 9 di II) per una diminuzione di circa il 20%. In difficoltà anche le siciliane università di Messina e Palermo: la prima ha sottoscritto un Accordo di programma-per mantenere le attività didattiche del corso di laurea in giurisprudenza nella sede distaccata di Patti. Cancellato il corso magistrale in ingegneria informatica, il corso in scienze e tecniche dell'interculturalità mediterranea e strategie decisionali e in fase di esaurimento il corso triennale in scienze statistiche uno dei fiori all'occhiello dell'università. La seconda invece ha tagliato di circa 60 corsi con la decisione di attivare esclusivamente i corsi di laurea che raggiungono un tetto minimo di iscritti per evitare l'avvio di proposte formative sottodimensionate. Pochi, invece, i corsi di laurea disattivati all'università di Trento che presenta un'offerta formativa pressoché invariata. Anche questo ateneo però non ha potuto evitare di sottrarsi al taglio: due i corsi eliminati, quello di scienze storiche a lettere e il corso di fisica e tecnologie biomediche alla facoltà di scienze. Il taglio ha portato, però all'attivazione di un nuovo anche il corso biennale di specializzazione a giurisprudenza, sostituito da un corso unico quinquennale. ____________________________________________________ Il Manifesto 17 feb. ’11 CGIL «LICENZIAMENTI DI MASSA NELLE UNIVERSITÀ» La riforma dell'università inizia a produrre i suoi effetti «devastanti» sui precari. Non essendo ancora in vigore la nuova disciplina su assegni di ricerca e contratti a termine, il vuoto normativo causato dalla abrogazione della legge precedente unito al sostanziale blocco del turn over, «sta bloccando ogni forma di reclutamento anche precario e portando ad autentici licenziamenti di massa». Lo denuncia il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, in una lettera inviata al ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini e al ministro per la Funzione Pubblica, Renato Brunetta. «Alcune amministrazioni - scrive Pantaleo - hanno interrotto le procedure per l'erogazione di assegni e borse di ricerca e ritengono di non poter procedere a proroghe o rinnovi contrattuali su risorse già disponibili e riferite a singoli progetti di ricerca». Pantaleo invita il ministero a farsi carico della gestione di questa fase «adottando tutte le soluzioni utili a consentire la prosecuzione delle attività di ricerca e dei contratti di lavoro», altrimenti - avverte - «sarà inevitabile una iniziativa di mobilitazione in ogni ateneo e a livello nazionale». ____________________________________________________ Italia Oggi 14 feb. ’11 LA SAPIENZA AVVIA UN VERO E PROPRIO RESTYLING Facoltà più leggere e dipartimenti dimezzati per l'ateneo più grande d'Europa che assieme alla sforbiciata ai corsi di laurea di circa il 20% ha proceduto a un vero e proprio restyling. L'università La Sapienza di Roma con l'approvazione del nuovo statuto, in vigore dal 1° novembre 2010 ha, infatti, in qualche modo anticipato la legge Gelmini, dando il via a una riforma organica di tutto l'impianto dei dipartimenti e del sistema della governance. Facoltà, quindi, ridotte da 23 a 11 e dipartimenti da 106 a 67. L'obiettivo? «Razionalizzare più possibile», spiega Massimo Rea- lacci, rappresentante dei ricercatori nel Cda della Sapienza, «raggiungere una maggiore efficienza e provare a risparmiare riducendo magari le strutture periferiche. L'autonomia data poi ai dipartimenti darà a essi anche responsabilità dirette sul reclutamento. Le facoltà dal canto loro li coordineranno e valuteranno». Per alcune di esse lo schema è rimasto quello classico: economia, ingegneria, giurisprudenza, scienze matematiche fisiche e naturali. Ma altre sono impostate in modo assolutamente nuovo. Le due facoltà di psicologia, per esempio, entrano in medicina ed è stata reimpostata l'intera area umanistica che ha riunito quattro diverse facoltà in un'unica. Si sono concentrati invece sui tagli propri dei corsi di laurea all'università di Firenze dove l'offerta formativa h a segno -32%. I corsi sono passati da 216 del 2007/2008 ai 146 del 2010/2011. Ad essere più colpita l'offerta formativa della facoltà di economia e di quella di ingegneria. Ma il processo ha coinvolto in modo significativo molte facoltà (fra le quali lettere e filosofia, psicologia e scienze politiche. Fanno eccezione architettura e medicina e chirurgia che, con le lauree sanitarie ha una offerta formativa stabile: queste facoltà rispetto agli ultimi anni contano solo un corso di laurea in meno. Corsi passati da 169 dell'anno 2007/08 a 145 dell'anno 2010-2011 per le 13 facoltà dell'università di Napoli Federico II. «C'è stato un abbattimento del 50% degli insegnamenti», spiega Giuseppe Girino, delegato alla didattica, «e il taglio più forte è stato effettuato sulle lauree di primo livello, mentre per li magistrali sono stati eliminati soprattutto i curricula, proprio per evitare la moltiplicazione dei corsi». All'università di Bari i corsi sono passati da 144 del 2007 a 123 del 2010 e la forbice è andata a tagliare soprattutto i corsi di laurea nelle sedi distaccate di Brindisi e Taranto. Tra gli ultimi a saltare dal 2009 due corsi ad agraria e altrettanti a Lettere nelle sedi distaccate di Taranto e Brindisi. Altri due a medicina veterinaria e due a scienze della formazione. Infine nella facoltà di scienze di Taranto salterà scienze dell'ambiente. ____________________________________________________ Italia Oggi 14 feb. ’11 CONTRATTISTI: IN ARRIVO UNA VALANGA DI RICORSI Sull'università italiana, alle prese con cronici problemi di sottofinanziamento, sta per abbattersi una tegola giudiziaria che potrebbe far sballare i bilanci già disastrati di molti atenei. In particolare di quelli che in questi anni hanno attinto al bacino dei docenti a contratto in maniera un po' troppo disinvolta. Accanto ai professori e ricercatori incardinati nel sistema esiste, infatti, una larghissima fetta di contrattisti che di fatto svolgono le loro stesse mansioni percependo però un compenso simbolico, spesso gratuito e senza trattamenti assistenziali e previdenziali. Molti di questi, mandati a casa perché i requisiti minimi stabiliscono che i corsi di laurea possano sopravvivere solo se esiste un numero preciso di docenti incardinali, hanno deciso di far valere i propri diritti supportati dal Codacons. Per ora sono circa 2 mila ma il numero è destinato a crescere visti anche i dati di partenza: i docenti a contratto dopo l'entrata in vigore del 3+2 hanno avuto infatti un vero exploit: da circa 30 Mila nel 2002 a oltre 45 mila nel 2008. L'azione della Codacons punta a ottenere il risarcimento danni per gli anni di lavoro trascorsi (mesi estivi non retribuiti, scatti non riconosciuti, contributi mancati). E ottenere che il proprio contratto a tempo si tramuti in contratto a tempo indeterminato. Un vero salasso per le casse degli atenei. ____________________________________________________ Italia Oggi 14 feb. ’11 POLITECNICI: LA SCURE SULLE SEDI DECENTRATE Da 184 a 155: i tre Politecnici di Torino, Milano e Bari hanno ridotto così, di circa il 15%, il numero dei corsi di laurea a partire dal 2007. E nella maggior parte dei casi, coerentemente con il dm 17/10 che invita a «proporzionare gli atenei con sedi decentrate che comportano notevoli sprechi», sono andati a eliminare proprio quei corsi presenti nelle facoltà «doppione» delle sedi distaccate. Tra i Politecnici chi ha sforbiciato di più è l'ateneo barese passato da 35 corsi del 2007/2008 a 27 del 2010/11 con una riduzione di circa il 20%.Come è avvenuta la razionalizzazione? Ricotta- prendendo, solo per ingegneria e non per architettura rimasta invariata, i corsi di laurea erogati all'interno di classi omologhe in ambiti più ampi. Nel dettaglio, spiega il delegato alla didattica Umberto Fratino, «abbiamo ritenuto opportuno privilegiare la formazione magistrale e uniformare, invece, l'offerta di base. Inoltre, per quanto possibile, si è cercato di conservare le sedi didattiche decentrate, come quella di Taranto dalla tradizione ventennale e dal forte radicamento sul territorio». Da 4 corsi a 1, invece, il taglio che ha subito il polo didattico di Foggia «a causa del numero non sufficiente dei docenti incardinati». Sette, invece, i corsi disattivati progressivamente dal 2007 al Politecnico di Milano con la scelta di ricollocare le risorse interne in modo strategico. «In particolare», spiega il rettore Giovanni Azzone, «abbiamo deciso di puntare sui corsi magistrali nelle sedi decentrate sacrificando seppure di poco le lauree triennali». Solo un corso, quello di ingegneria ambientale nella sede di Cremona, sacrificato perché senza requisiti minimi. Nessuna variazione sostanziale al Politecnico di l'orino con una scelta però, di non attivare dall'anno accademico in corso i primi anni delle lauree triennali e specialistiche nelle sedi decentrate, concentrando la didattica invece a Torino. Dall'ateneo fanno comunque sapere che sarà garantito agli studenti che avevano iniziato i percorsi non a Torino di portare a termine nella propria sede il ciclo di studi. Le sedi decentrate si concentreranno, invece, su attività di ricerca e formazione permanente e specializzata ____________________________________________________ La Gazzetta del Mezzogiorno 17 feb. ’11 SCANDALO ERASMUS ESCLUSE 12 UNIVERSITÀ POLACCHE E RUMENE Non potranno più essere sostenuti in nessun'altra sede estera gli esami del primo anno dei corsi di laurea triennali Dell'Atti: «L'ho inviata ai 68 ragazzi presenti in quelle sedi, invitandoli a presentarsi al ritorno per ascoltare la loro versione» Nel mirino il progetto Erasmus verso università polacche e romene Dodici università polacche e rumene spariscono dalla lista delle destinazioni Erasmus per la facoltà di Economia. Le mete più gettonate dagli studenti, ma anche le più sospette quanto all'effettiva utilità didattica dei viaggi studio, sono state congelate in attesa che l'Università proceda ad annullare definitivamente le convenzioni, come richiesto dal preside di Economia, Vittorio Dell'Atti, che aveva riscontrato una serie di irregolarità. Inoltre, non sarà possibile sostenere in nessun'altra sede estera gli esami del primo anno dei corsi di laurea triennali, tra cui il temutissimo in Matematica per l'Economia, vera bestia nera degli studenti baresi. Nella relazione della commissione didattica che si é occupata del caso si fa riferimento a programmi fotocopia di quelli vigenti a Bari ed esami importanti sostenuti in massa all'estero, verosimilmente per evitare le commissioni locali e procedere più speditamente verso la laurea. Così, dal nuovo bando di concorso per l'anno accademico 2011/2012, approvato due giorni fa dal senato accademico dell'Università, saranno depennate tre università e un politecnico di Bialystok, una di Olsztyn, una di Stettino e un'altra di Katowice, in Polonia, nonché l'Università Ioan Cuza, di Iasi, l'accademia di studi economici di Bucarest, l'Università Petrol gaze di Ploiesti, l'università di Suceava e quella di Timisoara, in Romania. In realtà nella prima bozza del bando, a cui viene allegata la lista delle sedi estere disponibili per ogni facoltà, l'elenco per il 2011/2012 riportava per la facoltà di Economia anche le dodici sedi sospette, a quanto pare per un errore di trascrizione degli atti pervenuti dagli uffici al senato accademico. Il preside Dell'Atti, però, fa sapere di aver ricevuto comunicazione ufficiale dal dirigente competente in merito alla revisione del documento e dichiara, inoltre, di avere intenzione di far cancellare definitivamente le dodici università dal programma Erasmus per la facoltà di Economia. Nel frattempo, si attende il ritorno degli studenti che sono già partiti quest'anno per la Romania e la Polonia, per sentire la loro versione sullo svolgimento dei viaggi studio nei due paesi dell'est Europa. «Ho inviato una lettera ad ognuno dei 68 ragazzi presenti in quelle sedi - conclude Dell'Atti - invitandoli a presentarsi in presidenza, al loro ritorno, per ascoltare la loro versione sulle modalità con cui si svolgono questi viaggi». Ci sono tutti gli elementi, dunque, per un'indagine più generale sul programma Erasmus. ____________________________________________________ La Gazzetta del Mezzogiorno 16 feb. ’11 ERASMUS: STUDENTI IN ROMANIA PER SUPERARE GLI ESAMI PIÙ DIFFICILI ECONOMIA, IL PRESIDE BLOCCA I VIAGGI DELL'ERASMUS VERSO LA POLONIA E LA ROMANIA LUCA BARILE Programmi poco chiari, esami sostenuti in massa all'estero e una distribuzione anomala delle borse di studio. I viaggi studio Erasmus sono diventati un sorvegliato speciale nella facoltà di Economia. Insospettito dal numero eccessivo di partenze verso la Polonia e la Romania, il preside della facoltà, Vittorio Dell'Atti, ha chiesto all'Università di sospendere per un anno le partenze dei propri studenti verso alcune destinazioni nei due paesi, nell'ambito del programma internazionale Erasmus, che ogni anno permette a migliaia di giovani europei di sostenere una buona parte degli esami in università straniere. In attesa di chiarimenti, che verranno anche da uno scambio di informazioni con gli atenei esteri convenzionati, la facoltà barese di Economia vuole bloccare le partenze per il prossimo anno accademico. «Dal mio insediamento a novembre scorso - spiega il professor Dell'Atti - una delle prime iniziative che ho intrapreso è stata la verifica delle condizioni in cui si svolge il programma Erasmus nella facoltà di Economia. Ne è emerso, innanzitutto, una concentrazione anomala delle borse di studio, pari quasi all'80% delle risorse disponibili, per sostenere il soggiorno di studenti in Paesi dell'Est, soprattutto in sei o sette università della Polonia e della Romania». Si tratta, infatti, delle mete più gettonate tra i ragazzi che partono per i viaggi di studio da Economia e si sospetta che queste destinazioni siano particolarmente ambite perché assicurino agli studenti di superare agevolmente esami che, altrimenti, risulterebbero molto più complicati a Bari. Tra tutti, l'esame di Matematica per l'Economia, che per molti rappresenta la prova più temuta nei corsi di laurea in Economia e Commercio e in Economia aziendale, nonché le prove di Diritto commerciale, Economia degli intermediari finanziari e ragioneria applicata. «Ho ritenuto molto strana - aggiunge il preside - anche questa circostanza che, sommata a quelle dei programmi poco chiari e dei dubbi requisiti delle sedi ospitanti, mi ha indotto a richiedere alla nostra commissione di ateneo di sospendere il programma Erasmus, per quelle sedi sospette, riservandoci di decidere al termine delle necessarie indagini, se riattivarlo o se invece disattivarlo definitivamente». Il nuovo bando di concorso, valevole per il 2011/2012, è stato approvato proprio ieri e gli uffici preposti provvederanno a compilare una nuova lista delle sedi universitarie estere disponibili per il programma Erasmus. Il progetto è gestito nell'Università di Bari da un ufficio centrale che ha sede nel palazzo Ateneo e da uffici decentrati, come quello di Economia, a cui afferiscono delle apposite commissioni. Nell'ambito delle riunioni in questi organi, il preside Dell'Atti ha sollevato ufficialmente il problema ed ha anche scritto una lettera che ha consegnato alla professoressa Marisa Valleri, delegata del rettore al programma Erasmus. Lo scorso anno, per la facoltà di Economia, sono stati dichiarati idonei a partire 121 studenti, dei quali quasi la metà hanno scelto un'università polacca come destinazione. Snobbate, invece, le strutture tedesche, inglesi o francesi, che comunque figurano nell'elenco delle università convenzionate e, quindi, abilitate a livello europeo ad ospitare gli studenti che ne fanno richiesta. Aggiungendo anche gli atenei romeni, il 70% degli studenti baresi di Economia ha trascorso o sta ancora trascorrendo un soggiorno all'estero in una delle sedi finite sotto osservazione della presidenza. _______________________________________________________ Corriere della Sera 15 feb. ’11 «STUDIO, QUINDI MI SPOGLIO». LAPDANCE PER PAGARE LE RETTE L CASO AUMENTA IL NUMERO DELLE UNIVERSITARIE CHE SBARCA IL LUNARIO NEI LOCALI NOTTURNI. MA LE AUTORITÀ PREPARANO IL GIRO DI VITE SUI CLUB Sono scese in piazza sorridenti e colorate, armate di cartelli che inneggiano alla libertà di scelta, contro la censura che vuole portare alla chiusura di una serie di locali di strip e lapdance club in un quartiere londinese. Sono giovani, carine e vanno tutte all' Università. Ma per pagarsi le rette la sera si spogliano davanti all' uomo di turno. «Non c' è niente di male» dicono loro. «Siamo fiere di quello che facciamo - spiega al Guardian Joy Nilsson, una delle manifestanti - amo il mio lavoro, si adatta perfettamente ai miei studi, è flessibile e ti permette di avere subito soldi contanti. Se chiudono i locali molte ragazze dovranno rinunciare a finire gli studi. Io non voglio laurearmi con un debito di 50 mila sterline». Studentesse e squattrinate. Non sono poche le ragazze che per andare all' università cercano il guadagno facile. Alcune non lo dicono ai genitori e nemmeno ai compagni di studi. «Al lavoro sono orgogliosa di fare la ballerina - racconta Patricia Barnes, 19 anni, al primo anno alla Southampton Solent University - ma fuori di lì mi vergogno un po' , la gente ti può giudicare e così non l' ho detto a nessuno, nemmeno ai miei migliori amici. Figuriamoci a mia madre che è così religiosa». Per tutte la stessa storia. Arrivano all' università, ci sono l' affitto e le rette da pagare, i genitori che già hanno fatto abbastanza sacrifici e quindi si cerca un lavoro che possa lasciare tempo libero per lo studio. Patricia, per esempio, ci è arrivata per caso: «Sono uscita una sera con degli amici e ho parlato con una delle ballerine del locale, quando ho scoperto quanto poteva guadagnare in una sera ho sgranato gli occhi, 300 sterline! Inimmaginabile». Per impratichirsi Patricia si è esercitata con gli amici: «Devi essere quasi completamente nuda, mi vergognavo un po' , così l' ho fatto con i miei compagni di corso dopo aver bevuto qualche drink. All' inizio ero veramente imbarazzata ma poi è diventato facile». Secondo uno studio della Leeds University tra le ballerine di lapdance una su tre è una ragazza che va all' università. La maggior parte lavora nel weekend, al massimo quattro sere a settimana, riuscendo ad incassare ben 232 sterline. «Una delle mie amiche - racconta Chloe - fa la cameriera di sera e nei weekend e quello che guadagna in un mese io me lo metto in tasca in una sera». Ma la realtà non è così rosa e fiori. Molti club fanno pagare le ragazze solo per entrare. Dalle venti alle cento sterline, a seconda dei casi, se ne vanno prima ancora di mettere piede nel locale. «Molte sere - racconta Elena - tornavo a casa con meno soldi in tasca di quando ero entrata. Ti fanno pensare che sia un lavoro invitante e che guadagni facilmente. Ma è solo una trappola». Alle ragazze viene raccontato che con quel lavoro acquistano potere, che il loro corpo è la cosa migliore che hanno da offrire e che questo è un bene. Le statistiche, però, dimostrano che nelle zone in cui proliferano gli strip club c' è un forte incremento degli stupri e degli assalti sessuali. Dal 2003 il locali di lapdance non hanno più bisogno di una licenza speciale ma ci sono associazioni che si battono per cambiare la legge e classificare questi luoghi come parte dell' industria del sesso. Uno di questi si chiama Object e su Facebook ha 1.853 membri. Si batte contro la riduzione del corpo femminile ad un oggetto. Lo scorso Natale il governo Cameron ha promesso loro che cambierà la legge. Monica Ricci Sargentini ____________________________________________________ TST 16 feb. ’11 VERITA’ SCIENTIFICHE: LE CONFERME A VOLTE CROLLANO Un articolo recentemente comparso sul «New Yorker» e firmato da Jonah Lehrer segnala una situazione inquietante: in varie discipline scientifiche tesi che sembravano avere solida conferma sperimentale, o di conseguenza erano state accettate come valide, hanno visto il loro livello di conferma diminuire fino a raggiungere l’irrilevanza statistica. È come se il mondo, ogni tanto, cambiare idee. Facciamo qualche esempio. In uno studio pubblicato nel 1990,Io psicologo Jonathan Schooler descriveva un effetto che chiamava «Verbal over shadowing» ( e che potrei tradurre «occultamento verbale )se a un soggetto veniva matti irto un volto e gli si chiedeva di descriverlo, invece di limitarsi a guardarlo, era assai meno probabile che in seguito lo riconoscesse. Di h a poco, intorno a questa scoperta era nata una pie- cola industria: il risultato veniva esteso ad altre abilità come ricordare un gusto o risolvere un puzzle Nel frattempo, però, il «risultato» aveva cominciato a sparire: quando Schooler replicò l'esperimento nel 1995, l'effetto si era ridotto del 30%, e l'anno dopo di un altro 30%. L'occultamento verbale è tuttora considerato verità scientifica, e vi si fa appello nei tribunali quando si valutano i testimoni oculari La base per tale giudizio e pratica, però, è sempre più precaria. Nel 1991 lo zoologo danese Anders Moller fece un'altra scoperta: nella scelta di un partner le femmine di rondine esibivano una distinta preferenza per maschi dall'apparenza simmetrica (indipendentemente, si era stabilito che un'apparenza asimmetrica è indice di mutazioni genetiche). Anche qui, gli esperimenti furono estesi con successo a numerose altre specie, compreso l'uomo; e anche qui, dopo un po', l'effetto cominciò a ridursidell'80%! Un terzo esempio viene dalla medicina, dove a partire dagli Anni 90 psicofarmaci antipsicotici «di seconda generazione» come Zyprexa e Seroquel si erano imposti sul mercato dopo una serie rigorosa di esami che ne dimostravano l'efficacia; nel settembre 2007, in una riunione di psichiatri, neurologi e dirigenti dell'industria farmaceutica a Bruxelles, fu annunciato fra la generale costernazione che nuovi test avevano rivelato meno della metà dell'efficacia originaria. Le spiegazioni offerte sono molte. Stephen Jay Gould insisteva tempo fa che molte misurazioni scientifiche sono difficili e lasciano ampio spazio all'interpretazione: se sto misurando le differenze fra il lato destro e sinistro di un insetto, posso inconsciamente decidere di vedere un'asimmetria dove altri non la vedrebbero. C'è poi il fatto che, una volta condotto un esperimento, gli scienziati spesso cercano di ricavarne una tesi qualsiasi che l'esperimento provi statisticamente significativa, capovolgendo così il rapporto fra congettura e conferma e moltiplicando a dismisura le congetture ridondanti e di scarso respiro. E c'è il fatto che le riviste specializzate favoriscono gli studi a carattere positivo: la documentazione di come un certo effetto non sia significativo ha probabilità molto inferiori di essere pubblicata della documentazione opposta. Fenomeni del genere indicano la presenza di seri problemi nel «metodo scientifico», se con questo termine intendiamo non un astratto processo logico, ma una concreta forma di vita, nella quale particolari individui si sforzano di fare osservazioni pertinenti, di estrarne un senso generale e di renderne partecipe la comunità, utilizzando canali d'informazione altamente stilizzati ed esclusivi. Se non indicassero altro, sarebbe certo possibile (ed è comunque, ritengo, auspicabile) intervenire in diverse fasi di tale percorso per minimizzare l'insorgere di anomalie. Sospetto però che ci sia anche dell'altro. Il mondo in cui si è svolta la storia della scienza occidentale è un cosmo, una struttura ordinata, e la scienza si è da sempre posta il compito di cercare le regole di quest'ordine. Ma forse l'ordine è un'illusione. Forse dobbiamo prendere sul serio l'idea che il mondo sia caotico, che nel caos si aprano, di volta in volta, limitate nicchie di cosmo e che chi vi soggiorna ne tragga il miraggio di aver finalmente capito come funziona il tutto. Finché la nicchia non esplode ____________________________________________________ Il Sole24Ore 18 feb. ’11 IL DIGITALE NON DISTRUGGE TRASLOCA L'OCCUPAZIONE di Luca De Biase Professionisti, ricercatori, comunicatori: tra il 30 e il 50% della popolazione attiva crea valore immateriale È questa la nuova frontiera La tradizionale economia dei mulini, non solo del Po, fu distrutta dall'arrivo delle macchine a vapore. L'avvento dei frigoriferi eliminò migliaia di posti di lavoro prima occupati nella produzione, trasporto e vendita di ghiaccio. I robot hanno preso il posto di molte lavorazioni che precedentemente erano svolte da operai. Ma si può sostenere che quelle tecnologie hanno ridotto l'occupazione? In realtà, no. hanno accompagnato l'urbanizzazione, generato enormi opportunità di crescita nel settore degli elettrodomestici, sviluppato i distretti dell'automazione. In sostanza, hanno fatto parte dell'epica vicenda della rivoluzione industriale. Certo, ci sono società che imparano ad adattarsi alle grandi trasformazioni, altre' ne sono travolte. Queste ultime non trovano certo consolazione nelle idee di Joseph Schumpeter, l'economista dell'innovazione tecnologica e della distruzione creatrice. Ma quelle idee servono ancora a impostare l'interpretazione di molti fenomeni di mutazione economica. E accompagnano la discussione anche quando si ripropone la domanda adattandola alle condizioni contemporanee: l'economia della conoscenza, alimentata dalle tecnologie digitali e dalla ricerca scientifica, distrugge occupazione o ne crea? Risposta: la trasforma e la trasloca. Ma si può già immaginare un bilancio? Solo a livello territoriale. In effetti, quasi tutte le ipotesi che considerano la tecnologia come una causa di distruzione di posti di lavoro, molto probabilmente sono basate su una visione parziale del problema. C'è chi osserva che le imprese che vanno per la maggiore, come Twitter e Face- book, hanno pochissimi dipendenti. Ma c'è chi risponde che l'indotto di imprese che trovano un mercato per il loro software grazie all'esistenza di quelle piattaforme è invece enorme. Del resto, c'è l'evidenza del decremento dell'occupazione nella grande impresa in Occidente, ma c'è anche il fenomeno gigantesco della crescita dell'occupazione industriale in Asia. Il punto di vista varia con la posizione geografica dell'osservatore. Chi afferma che la tecnologia digitale fallisce nella creazione di posti di lavoro commette un errore analogo a chi sostenesse che la finanza distrugge occupazione. Ma sono errori facilmente dimostrabili a San José e a Londra: chi vive nel distretto dell'elettronica globale e nel distretto finanziario più grande d'Europa non ha dubbi. In entrambi i casi si tratta di piattaforme che possono essere usate per creare nuovo lavoro, che si prestano facilmente a spostarlo in aree territoriali più convenienti, a riqualificarlo o a dequalificarlo. Per Peter Johnston, che alla Commissione europea si è occupato a lungo di sostenibilità economica e sociale dell'economia della conoscenza, la strada è considerare le piattaforme nella loro capacità di generare giochi a somma positiva. Il loro impatto si comprendere solo considerando l'insieme delle trasformazioni. E si tratta, probabilmente, di una vicenda epica quanto la rivoluzione industriale: l'economia della conoscenza nel contesto della globali nazione. In sintesi, la Work Foundation, lavorando essenzialmente su dati dell'Ocse, mostra come nei paesi occidentali si stia allargando una sfera occupazionale per i "lavoratori della conoscenza" che riguarda dal3o al5o% della popolazione attiva. Si tratta di professioni- sii, ricercatori, comunicatori. Sono impiegati o autonomi e si dedicano alla generazione di valore immateriale• immagine, informazione, software, conoscenza scientifica, educazione e così via. Intanto, si allarga la fascia di lavoratori che si occupano dei servizi necessari ai professionisti della conoscenza: nel Regno Unito, dove secondo l'economista Ian Brinkley i "lavoratori della conoscenza" hanno superato il 40%, l'indotto di servizio per i primi produce un'occupazione pari al 28% della popolazione attiva. Nello stesso tempo, i lavoratori manuali e le persone prive di una preparazione specifica stanno scendendo: dal 44% del1984 al 30% attuale. I territori che si danno una strategia per apprendere e cogliere le nuove opportunità offerte dalle tecnologie, che si adattano in fretta investendo in conoscenza, evidentemente, hanno più probabilità di crescere in questo contesto. Non è la tecnologia a distruggere il lavoro. Ma è l'intelligenza, la cultura, l'educazione a crearlo. ____________________________________________________ TST 16 feb. ’11 LA LUCE AVVITATA SU SE STESSA SVELERÀ COM'È UN BUCO NERO? Nuovo fenomeno emerge dalla soluzione delle equazioni cli Einstein BARBARA GALLAVOTTI Immaginate un buco nero in rotazione lassù, in un qualche angolo del cosmo. E immaginate un raggio di luce che gli passa in prossimità: lo vedreste non solo deviare, ma anche torcere come un rivolo d'acqua su una superficie deformata. L'esatta modalità della torsione subita dal raggio di luce è stata descritta in una teoria pubblicata su «Nature Physics» e formulata da Fabrizio Tamburini, dell'Università di Padova, in collaborazione con ricercatori in Spagna, Svezia e Australia. Si tratta di un fenomeno mai studiato prima che da un lato rappresenta un inedito banco di prova per la teoria della relatività di Albert Einstein e dall'altro promette di diventare uno strumento utilissimo per comprendere l'Universo. E potrebbe anche rivoluzionare le nostre telecomunicazioni, risolvendo i problemi di traffico sulle linee. Sono passati 56 anni da quando Einstein si è spento, lasciando a generazioni di altri fisici un'eredità complicata. Le equazioni alla base della sua Relatività generale stabilivano una sorta di regole del gioco in mano a chi volesse studiare l'Universo. La teoria descriveva come la distribuzione di energia e materia deforma la geometria di quello spazio- tempo che da allora siamo abituati a immaginare come un lenzuolo piuttosto teso, sopra cui tutto ciò che è dotato di massa si appoggia, causando avvallamenti. Ma la partita era ancora del tutto aperta. Occorreva cioè applicare le regole a ciascun fenomeno, risolvendo volta per volta le complicatissime equazioni. Einstein stesso l'aveva fatto in alcuni casi, dimostrando ad esempio come la deformazione dello spazio- tempo dovuta alla presenza di un corpo dotato di massa provochi una deviazione dei raggi luminosi. Negli anni si sono pazientemente risolte le equazioni di Einstein in molti casi particolari, scoprendo ad esempio che esse portano a prevedere l'esistenza dei buchi neri o che ammettono l'esistenza di un Universo in espansione, come sembra sia il nostro. Con il procedere degli studi la partita è andata avanti e molte mosse sono state perfezionate. Lo studio ora pubblicato su «Nature Physics» ci presenta quindi qualcosa di ormai raro: la descrizione di un nuovo fenomeno che emerge dalla soluzione delle equazioni di Einstein, appunto la torsione dei raggi di luce che si muovono nei pressi di un buco nero. Una nuova mossa, dunque, nella partita della conoscenza giocata fra uomo e natura. E come ogni nuova mossa può mettere in luce una crepa nelle regole del gioco, quelle regole che oggi appaiono quasi sacre. O può confermarle, rivelandosi in questo caso uno strumento utilissimo per ulteriori ricerche. Tutto dipenderà dalle osservazioni sperimentali che dovranno essere condotte attraverso i telescopi. Immaginiamo che queste ultime non confermino quanto previsto dal gruppo guidato da Tamburini. Vorrà dire che c'è un caso in cui la natura non si comporta secondo le equazioni di Einstein e che, dunque, esse devono essere riviste. Sarebbe una rivoluzione: fino ad oggi la teoria della Relatività generale ha dimostrato di saper descrivere molto bene la natura, a meno di non andare nell'infinita- mente piccolo, in quel mondo delle particelle elementari dove regna invece la meccanica quantistica. Comunque la comunità scientifica discute da tempo della possibilità che la teoria di Einstein debba essere modificata, così da rendere conto di fenomeni che oggi restano misteriosi come la presenza di materia oscura nel cosmo: gli scienziati la cercano da tempo, eppure alcuni ritengono che in realtà non esista, ma che sia solo una sorta di fantasma che potrebbe essere fugato spiegando l'Universo in modo un po' diverso da come suggerisce Einstein. Ma tutto sommato, forse, è più probabile che le osservazioni sperimentali confermeranno le previsioni pubblicate su «Nature Physics». In questo caso si apriranno prospettive altrettanto eccitanti. Perché proprio quei raggi di luce avvitati su loro stessi potrebbero con i loro movimenti dirci qual è la struttura intima dei buchi neri. O aiutarci a capire fenomeni astrofisici ancora poco chiari come il comportamento dei quasar, i corpi celesti dalle misteriose emissioni elettromagnetiche. E qui sulla Terra? Analoghi vortici di onde elettromagnetiche potrebbero essere ricreati artificialmente, così da creare canali indipendenti per le telecomunicazioni. Si risolverebbero i problemi di sovraccarico del traffico che diventano sempre più pressanti, soprattutto a causa dello scambio di grandi moli di dati permesso dagli «smart phones». È qualcosa che il gruppo guidato da Tamburini sta verificando sperimentalmente. In fondo, la teoria di Einstein ha già generato molte applicazioni quotidiane, come il Gps su cui si basano i navigatori satellitari. Se un giorno anche i telefonini funzioneranno grazie allo zio Albert e ai fisici che ne hanno raccolto l'eredità, non ci sarà da stupirsi. «Dai vortici elettromagnetici si creeranno nuovi canali per le telecomunicazioni» ____________________________________________________ Il Sole24Ore 18 feb. ’11 IL COMPUTER CHE VINCE IL QUIZ ORA STUDIA DA SUPERMEDICO di Luca Tremolada Alla fine ha vinto la macchina. Watson il supercomputer dell'Ibm ha battuto due campionissimi di Jeopardy!, il più popolare quiz americano. Per l'umanità trattasi di "cappotto", il cervellone dopo tre giorni di sfida è "uscito" dallo studio con un gruzzolo di 77mila dollari contro i 24mila di Ken Jennings e 21 mila di Rutter. Quattordici anni fa a uscire vincitore era stata sempre una macchina di Ibm, il famigerato DeepBlue che aveva prevalso su Gary Kasparov, considerato il migliore giocatore di scacchi vivente. Questa volta però la sfida ha un significato completamente diverso. Rispondere a un domanda di un quiz comporta comprendere il linguaggio naturale, risolvere le ambiguità delle parole e ottenere l'informazione corretta. Mentre il cervello umano produce nel processo conoscitivo un gran numero di indici che vengono aggiornati con le nuove informazioni, la macchina deve essere istruita, per competere con noi deve usare la forza bruta, muoversi rapidamente tra una gran mole di dati e poi decidere se una informazione è affidabile o meno. In altre parole, mentre noi discerniamo tra le fonti, il computer ricorda tutti i dettagli ma ha difficoltà ad estrarre l'informazione richiesta. «Watson è meticoloso», spiega Roberto Sicconi direttore al centro di ricerca T.J. Watson dell'Ibm del programma DeepQA New Opportunities. «Processa ogni componente della frase all'interno dei testi che ha a disposizione per ottenere una serie di risposte che poi ordina con un criterio di probabilità». Per un computer è una operazione muscolare, che richiede tantissima potenza di calcolo. Nel particolare, Watson ha usato 15 terabytes di memoria Ram, 2.88o processori core per una performance di 8omila miliardi di operazioni al secondo e consumi nell'ordine del kilowatt. Il cervello umano con una barretta di cioccolato produce 18 miliardi di miliardi di operazioni al secondo e consumi intorno a poche decine di Watt. Quindi pur restando incomparabilmente più efficienti, siamo stati un'altra volta sconfitti da una tecnologia. Eppure, la vittoria non era matematicamente certa Anzi, a sentire i ricercatori di Ibm c'era un ampio margine di errore. I concorrenti, ha spiegato Sicconi, possono prendersi un rischio, premere in anticipo il pulsante scommettendo che la risposta "arriverà'. La macchina invece non è capace di bluffare. Gli bastano pochi istanti per interrogare il suo ricchissimo database e scovare il nome di chi ha costruito la prima piramide ma non rischia. LE CARATTERISTICHE Sicconi (Centro ricerca Watson dell'Ibm): «Processa ogni componente della frase e ottiene risposte ordinate a seconda delle probabilità» Inoltre non è capace di collegare informazioni molto distanti tra loro, non usa "scorciatoie" per arrivare alla risposta giusta. Mentre gli esseri umani classificano i propri ricordi con le emozioni, in un certo senso indicizzano la propria memoria con sensazioni, situazioni ed esperienze che si accumulano ogni istante, ogni ora, ogni giorno della vita, Watson non ha una "vita" a cui attingere ma solo database, potenza di calcolo e algoritmi. In altre parole, non possiede una visione del mondo. Ogni volta che si spegne riparte da capo. Eppure, ha vinto. Anche senza visioni del mondo e strutture emotive. Ora, come è avvenuto nel caso di DeepBlue, si lavora alle applicazioni. Perché - vincita a parte - queste tecnologie sono sviluppate per creare business. Tra i progetti quello più avanzato è una sorta di assistente medico capace di analizzare i database mondiali e sulla base dei sintomi del paziente fornire una rosa di possibili patologie. Una specie di Pico del-la Mirandola in camice bianco da affiancare al medico. Sta già accadendo nella Scuola di medicina del Maryland e alla Columbia University. Con una missione: rispondere ai pazienti. In pochissimi secondi. _______________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’11 AMNESTY COME LE BANCHE DELLA CITY SUPER BONUS PER I SUOI DIRIGENTI All’ex segretaria generale Irene Khan 600 mila euro di buonuscita Mezzo milione di sterline come buonuscita (quasi 600 mila euro). Una cifra astronomica se a riceverla non è il dirigente di una qualsiasi multinazionale ma la segretaria generale di un’organizzazione umanitaria tra le più conosciute: Amnesty International. Irene Khan, ha rivelato ieri il britannico Daily Mail, si è fatta ben pagare per gli otto anni passati a dirigere l’associazione: 132 mila sterline l’anno con il patto che la liquidazione sarebbe stata quattro volte tanto. E anche la sua vice, Kate Gilmore, ha incassato la bellezza di 300 mila sterline (360 mila euro) quando ha lasciato l’organizzazione, insieme a Irene, nel dicembre del 2009. Soldi ben spesi? Non sembrano pensarlo i tre milioni di sostenitori che versano denaro nelle casse di Amnesty pensando di contribuire a difendere i diritti umani nel mondo. Ieri sul sito del Daily Mail si leggevano molti messaggi pieni di rabbia. «Quanta gente povera avrebbe potuto aiutare Amnesty con 800 mila sterline?» scrive Abdu di Londra. «La generosità dei cittadini britannici viene sfruttata da gente che non lo merita, dobbiamo fare subito una rivoluzione» è il commento di Louis dall’Essex. «Ecco la prova del fatto che queste associazioni umanitarie non si meritano un penny» constata Dimitri Pluzhnikov da Gibilterra. «Ho cancellato la mia sottoscrizione— s’indigna Clark dalla Scozia —. Vorrei sapere quanto è pagato il nuovo segretario generale Salil Shetty. E meno male che si tratta di un’associazione benefica!!!» . I dirigenti di Amnesty si sono dapprima trincerati dietro un misurato silenzio: «Si tratta di un accordo confidenziale» aveva detto Peter Pack, capo del comitato esecutivo internazionale dell’associazione. Ma, dopo alcune ore, si è capito che un no comment non sarebbe bastato a fermare lo scandalo. «Sono più trent’anni che lavoro qui — ha detto Pack al Corriere — e posso assicurare che siamo consapevoli dell’obbligo ad usare responsabilmente i soldi che riceviamo dai nostri sostenitori. Un obbligo cui ottemperiamo ogni giorno. Questo è un caso unico» . Perché è stato fatto un contratto così oneroso per l’organizzazione? «Al tempo non ero nell’organo dirigente e quell’accordo non l’ho firmato io ma eravamo obbligati ad onorarlo. Tuttavia le assicuro che i nostri conti sono pubblicati annualmente e sono sottoposti a seri controlli» . Una cosa è certa: da oggi si cambia. «Stiamo già sottoponendo le procedure a una verifica per assicurarci che una situazione così non si verifichi più. Nessuno dei nostri dipendenti può vantare un contratto del genere, l’attuale segretario generale Salil Shetty ha un salario annuale più alto di quello che aveva la signora Khan ma è nella m e d i a d i quelli di una organizzazione non profit per la stessa posizione» . N a t a i n Bangladesh, Irene Khan era arrivata alla guida di Amnesty nel 2001 con in tasca una laurea ad Harvard e una carriera ventennale all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. È stata la prima donna, la prima asiatica e la prima musulmana a scalare la vetta dell’organizzazione. Ma il suo regno non è stato esente da critiche. La sua prima campagna fu per la chiusura del carcere di Guantanamo ma mai una parola si levò sui legami di alcuni detenuti con i talebani e i gruppi terroristici. La sinistra non le perdonò di non aver fatto abbastanza per condannare gli abusi in Iraq da parte delle truppe britanniche e americane, soprattutto durante lo scandalo di Abu Ghraib. La sua missione, è la critica unanime che le è stata fatta, sembrava essere volta a combattere la povertà concentrandosi più sui diritti economici degli individui che su quelli politici. Era questo il suo cavallo di battaglia. E, in effetti, i suoi di diritti li ha tutelati benissimo. Monica Ricci Sargentin _______________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’11 USA, IL DECLINO DEI DIRITTI SINDACALI di MASSIMO GAGGI Dopo il Wisconsin, l’Ohio, il Tennessee e l’Indiana. E nei prossimi giorni toccherà a Florida, New Jersey e Pennsylvania. Alimentato dal vento di bancarotta che spira su molti degli Stati dell’Unione, l’incendio dei diritti sindacali del pubblico impiego si sta propagando a tutta l’America. E apre un’inedita finestra sulle conseguenze che la crisi della finanza pubblica, ormai dilagante in tutti i Paesi avanzati, è destinata ad avere su trattamenti e istituti contrattuali che sembravano intoccabili. Chi ritiene che quello che sta accadendo negli stabilimenti industriali esposti alla concorrenza asiatica — dai capannoni della General Motors in Michigan a Mirafiori— non può riguardare in alcun modo i settori «protetti» del pubblico impiego dovrebbe dare un’occhiata a quello che sta accadendo negli Usa. Dove la chiave che potrebbe scardinare i meccanismi contrattuali esistenti non è la concorrenza dei Paesi emergenti «low cost» , ma la scelta di puntare sulla rabbia dei cittadini contribuenti: i più lavorano per un settore privato che ha già tagliato loro lo stipendio e talvolta anche la polizza sanitaria e i benefici pensionistici. Ora rischiano di dover pagare più tasse per consentire a insegnanti e dipendenti comunali di continuare a godere di trattamenti più generosi dei loro. Il «basta coi sindacati che negoziano tutto, anche la mutua: lasciamogli solo la contrattazione sul salario base» sembrava l’invettiva populista di un governatore appena eletto che da Madison, una minicapitale sperduta nelle pianure del Mid West, cercava il consenso della nuova destra radicale e rigorista dei Tea Party. I democratici avevano subito cercato di costringerlo sulla difensiva bollandolo come un Mubarak ammazza diritti. I loro deputati del parlamento del Wisconsin, poi, hanno abbandonato lo Stato per far mancare il numero legale al momento di votare la nuova legge sul pubblico impiego. Lo stesso Barack Obama è sceso in campo definendo quella del governatore «un’aggressione» . Scott Walker, però, non si è spaventato né per la sortita della Casa Bianca né per la rivolta degli 80 mila insegnanti che da quattro giorni paralizza le scuole dello Stato né per l’assedio di 25 mila manifestanti al palazzo del governo. Ha detto che terrà duro perché «la voce della gente che manifesta qua fuori non può prevalere sugli interessi del popolo del Wisconsin» al quale non si possono chiedere altri sacrifici per pagare i benefici delle categorie protette. Discorso coraggioso e non privo di una sua logica, ma con due punti deboli. Limitare i diritti negoziali alla paga base è sicuramente inaccettabile. Un confronto con l’Italia (dove, ad esempio, con la sanità «universale» non ci sono polizze di base da negoziare) non è facile. Comunque è chiaro che la crisi fiscale di amministrazioni pubbliche che non hanno più risorse da distribuire sta cambiando i termini del problema. Un’idea delle tendenze in atto la offre Vallejo, la città in bancarotta della California dove, come ha raccontato il Corriere qualche giorno fa, il sindaco (democratico) ha ottenuto una rivoluzione dei contratti del pubblico impiego che ora non contemplano più, ad esempio, scatti d’anzianità e indennità supplementari. Il secondo limite dell’iniziativa del Wisconsin è che Walker non ha avuto il coraggio di toccare il «sancta sanctorum» del pubblico impiego: pompieri e poliziotti. Garantiscono la sicurezza dei cittadini e la retorica pubblica li indica spesso come «eroi» , ma sono anche quelli con gli stipendi più elevati e vanno in pensione prestissimo: i loro diritti per ora non vengono toccati. Intanto, altri Stati si stanno muovendo nella stessa direzione: la decisione di John Kasich, neogovernatore repubblicano dell’Ohio, di seguire le orme di Walker sta incendiando anche questo Stato dove nel weekend sono state indette varie manifestazioni. In Tennessee una legge che abolisce i diritti di negoziazione dei sindacati degli insegnanti è stata già approvata dalla commissione senatoriale; presto verrà votata in aula dal Parlamento locale. Il governatore dell’Indiana Mitch Daniels (un possibile candidato presidenziale), sta preparando una misura simile. Daniels, che ha cominciato fin dal 2005 a «limare» gradualmente gli spazi negoziali nel pubblico impiego, una settimana fa, a Washington, si è preso l’ovazione della convention dei conservatori gridando che la nuova «Minaccia rossa» non è quella del comunismo ma quella che viene dall’inchiostro dei bilanci di Stati e governo federale. Che fra due settimane rischia di dover chiudere i battenti (stop delle attività non essenziali) se democratici e repubblicani non si metteranno d’accordo sull’aumento del tetto del deficit pubblico: un compromesso difficile (proprio ieri la Camera a maggioranza repubblicana ha approvato un pacchetto di tagli da 60 miliardi che il Senato ancora in mani democratiche e Obama non ratificheranno mai) che è reso ancor più problematico proprio dal «muro contro muro» innescato dalla battaglia del Wisconsin ========================================================= _______________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. ’11 QUANDO CAGLIARI DIVENTÒ UNA CAPITALE DELLA MEDICINA Una figura dimenticata, quella del professor Luciano Provenzale. Eppure fu lui, nel 1966, ad effettuare la prima colonscopia al mondo. L'esame avvenne a Cagliari, all'Ospedale civile: prestigiose pubblicazioni americane e inglesi definirono quel momento “la nascita della colonscopia, una delle pietre miliari nella storia dell'endoscopia digestiva”. E fu sempre lui, in quegli anni, ad eseguire i primi interventi a cuore aperto e la prima applicazione di pace maker in Sardegna. A ricordare il chirurgo con una sua lezione è stato Alessandro Riva, ordinario di Anatomia alla facoltà di Medicina di Cagliari, in occasione di un corso d'aggiornamento organizzato venerdì e sabato scorso a Fordongianus da Giuseppe D'Alia, presidente del Sied Sardegna, la società italiana di endoscopia digestiva. Nato a Penne, in provincia di Pescara, il 2 giugno 1912, Provenzale si laureò in Medicina alla Sapienza di Roma nel 1935. Docente di Patologia chirurgica nel 1941, nel '48 arrivò nella capitale Pietro Valdoni, il caposcuola della chirurgia italiana che quell'anno, con un intervento d'urgenza, salvò la vita di Palmiro Togliatti, ferito in un attentato. Provenzale divenne suo allievo e iniziò a dedicarsi alla cardiochirurgia. Dal 1957 si trasferì a Cagliari per dirigere, ad anni alterni, gli istituti di Patologia e di Clinica chirurgica, finché, nel 1964, fu chiamato alla cattedra di Clinica chirurgica. Sempre a Cagliari, diresse le scuole di specializzazione in chirurgia generale, anestesiologia e urologia. Dal 1963, con i suoi allievi Antonio Revignas, Mario Pisano e Luciano Di Martino, si occupa di colonscopia e tre anni dopo, sulla rivista della facoltà di Medicina di Cagliari “Rassegna medica sarda”, pubblica tre lavori in cui descrive la nuova metodica della “pancolonscopia end to end”. Una pratica che consiste nel far inghiottire al paziente un sottile sondino di polivinile lungo cinque metri, al termine del quale si trova un'asola nella quale viene inserito un secondo tubicino lungo tre metri, in modo tale che le due estremità del secondo sondino escano dall'ano. Ad uno dei fili viene collegato un gastroscopio a fibre ottiche che, trascinato lungo il tubo del colon grazie ad una lenta trazione sull'altro filo, permette la visione della mucosa. Provenzale, dopo aver pubblicato oltre duecento lavori e diverse monografie, morì d'infarto a Cagliari l'8 aprile 1987, lasciando alla Sardegna un'importante eredità. Fra i suoi ventidue allievi, diventati famosi primari o docenti universitari, ben quindici sono sardi: Francesco Sforza, Giuseppe Binaghi, Luigi Mossa, Mariano Ciccu, Mario Pisano, Achille Sandoli, Romeo Milani, Luciano Di Martino (che dedicò al maestro, nel 1987, il primo congresso internazionale di chirurgia oncologica), Marco Polo, Valentino Martelli e Mario Saldì. Fra gli universitari, Giuseppe Saba, Giovanni Brotzu, Enzo Usai e Carlo Perria. «Nel 2012 sarà il centenario dalla sua nascita: sarebbe opportuno ricordarlo, magari con una targa all'Ospedale civile», propone Riva, che da pochi giorni può fregiarsi del titolo di Professore Emerito. Milanese di nascita, 71 anni, l'anatomista è sardo d'adozione. Solo altre quattro persone possono vantare questo prestigioso riconoscimento: il neuroscienziato Gianluigi Gessa, la psichiatra Nereide Rudas, il genetista e pediatra Antonio Cao e l'immunologo Sergio Del Giacco. FRANCESCO FUGGETTA _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’11 SASSARI: MASSARELLI DIRETTORE DEL NUOVO DIPARTIMENTO DI MEDICINA Medicina clinica, sperimentale e oncologica Il professor Giovannino Massarelli è stato eletto direttore del nuovo Dipartimento di Medicina clinica, sperimentale e oncologica dell’Università di Sassari. Massareli, anatomico e oncologo, è stato alla guida dell’Istituto di Anatomia Patologica fino al suo scioglimento e, attualmente, ricopre anche il ruolo di consigliere di amministrazione dell’Università. Nel Dipartimento di Medicina clinica, sperimentale e oncologica confluiranno le strutture universitarie, intese come spazi, apparecchiature e laboratori, utilizzate dai docenti afferenti. «La costituzione di questo nuovo dipartimento - sostiene Massarelli - servirà a migliorare il coordinamento dell’attività di ricerca scientifica e didattica, integrando in modo efficace le diverse aree scientifico- disciplinari al fine di renderle più aderenti alle attuali realtà culturali e scientifiche. La neonata struttura dovrà inoltre impegnarsi nel realizzare una maggiore integrazione nei rapporti di collaborazione per la realizzazione di progetti nazionali e internazionali e favorire l’integrazione nel funzionamento delle scuole di specializzazione, dei dottorati di ricerca e dei master universitari». _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 feb. ’11 SULLE NOMINE ASL LA GIUNTA NON RISPONDE? «AZIONI LEGALI» Fli sardo è all’offensiva Artizzu e Sanna: «Ora il gruppo con l’Udc, il progetto va avanti» CAGLIARI. Per nulla intimiditi dagli scontri e dalle defezioni a livello parlamentare, i due consiglieri regionali di Fli, Ignazio Artizzu e Matteo Sanna, rafforzano le critiche alla giunta regionale. «L’assessore regionale alla Sanità risponda alla nostra interrogazione sui titoli e sui curricula dei commissari straordinari e dei direttori amministrativi delle Asl - hanno dichiarato - diversamente useremo gli strumenti legali a nostra disposizione per portare un po’ di luce in questa buia gestione della sanità». I due finiani oltre un mese fa hanno presentato un’interrogazione al presidente della giunta Cappellacci e all’assessore Liori per conoscere i criteri delle scelte dei commissari e dei direttori delle aziende sanitarie sarde. «L’assessore - hanno spiegato - ha il dovere di ottemperare all’attività di sindacato ispettivo dei consiglieri. Se non lo farà in tempi rapidi interesseremo la presidenza del Consiglio e useremo le vie legali». E’ possibile un ricorso al Tar: toccherebbe ai giudici amministrativi valutare se sono stati rispettati i criteri previsti per le nomine e se ciascun curriculum è in regola. Dopo aver lasciato il Pdl per aderire al nuovo partito di Gianfranco Fini, Artizzu e Sanna aderiranno al nuovo gruppo politico che sta per nascere in Consiglio regionale: «Udc - verso il polo della nazione - Fli». Sarà formalmente la nascita del terzo polo in Sardegna, anche se nell’isola c’è l’anomalia dell’alleanza dell’Udc con il centrodestra. Artizzu e Sanna hanno detto di non essere minimamente preoccupati dai terremoti nazionali che stanno investendo Fli. «Non ci fanno né caldo e né freddo pochi senatori nominati e non eletti che si vendono al primo angolo», ha detto Artizzu: «Veniamo da un lungo periodo di astinenza dal potere, crediamo in un progetto e andiamo avanti». «Ora - gli ha fatto eco Matteo Sanna - siamo concentrati nel debutto elettorale alle amministrative di primavera, saremo presenti a Cagliari, Olbia e in altri centri». _______________________________________________________ L’Unione Sarda 18 feb. ’11 MARINO, L'UNITÀ SPINALE SCOPPIA: «I POSTI NON SONO SUFFICIENTI» Sono 13 i pazienti ricoverati nell'Unità spinale dell'Ospedale Marino, mentre tre sono in lista d'attesa. Si tratta dell'unica struttura specializzata a livello regionale, che offre 15 posti letto di cui 2 temporaneamente fuori uso. Purtroppo non sono sufficienti perché accanto ai casi acuti ci sono anche quelli cronici che richiedono attrezzature e spazi, e il numero di incidenti che comportano una lesione del midollo non tende a diminuire, confermandosi in linea con le statistiche degli anni precedenti: 28 casi nel 2010, 36 nel 2009, 19 nel 2008, 28 nel 2007. La situazione, confermata dalla responsabile dell'Unità spinale unipolare dell'Ospedale Marino, Giuliana Campus, rende indispensabile una campagna di sensibilizzazione per la prevenzione dei comportamenti a rischio. La maggior parte dei casi nasce infatti da incidenti in auto e in moto, ma anche da cadute, tuffi e infortuni sul lavoro oltre che malattie. Ed è proprio la prevenzione l'obiettivo di un progetto che coinvolgerà un migliaio di studenti del biennio di quattro istituti superiori: il Levi di Pitz'e Serra, il Dessì di Villaputzu, lo scientifico Pitagora di Isili e l'alberghiero Azuni di Pula. L'iniziativa è promossa dall'Unità spinale unipolare dell'Ospedale Marino, dalla presidenza della Provincia assieme agli assessorati alle Politiche sociali e Pubblica istruzione (e analoghe commissioni), dall'Asl 8, dall'Ufficio scolastico regionale e dall'Associazione sarda para-tetraplegici (Asap). In programma una serie di incontri informativi (il primo domani all'istituto Levi) curati dai componenti dell'équipe dell'Unità spinale e da rappresentanti dell'Asap. «L'obiettivo è stimolare una riflessione sulla possibilità di prevenire gli incidenti con un comportamento più responsabile e cauto sia sulla strada che in corso di attività sportive», ha spiegato ieri il presidente della commissione Politiche sociali Emanuele Armeni durante la presentazione dell'iniziativa. Ci sarà anche un concorso multimediale: i migliori lavori saranno premiati il 7 aprile a Palazzo Regio, dove si terrà un convegno sul tema. Come ha ricordato la dottoressa Campus, «l'Ospedale Marino è uno dei 9 centri specializzati d'Italia. A livello regionale, servirebbero almeno altri cinque posti letto per rispecchiare il fabbisogno». Il 4 aprile, Giornata nazionale della persona con lesione al midollo spinale, saranno raccolti fondi per la ricerca. NICOLA PERROTTI _______________________________________________________ L’Unione Sarda 18 feb. ’11 BROTZU: OPERATI 18 PAZIENTI DI CUORE CON UNA NUOVA TECNICA Nei primi 10 mesi di attività, nella Struttura complessa di cardiologia dell'azienda ospedaliera Brotzu sono stati trattati 18 pazienti, provenienti da tutta l'Isola, con un nuova tecnica, effettuata in pochissimi centri italiani, che consente di rimuovere i cateteri dall'interno del cuore e dei grossi vasi senza dovere ricorrere alla cardiochirurgia. Dall'aprile dello scorso anno ha preso avvio presso la Struttura complessa, diretta da Maurizio Porcu, l'attività di estrazione non chirurgica di cateteri di pacemaker e defibrillatori cardiaci dal cuore, che si rende necessaria in caso di infezione o malfunzionamento dei cateteri. I primi casi eseguiti al Brotzu negli anni precedenti erano stati effettuati con il “laser ad eccimeri”, tecnica efficace ma altamente costosa. Sotto il coordinamento dell'esperto cardiologo Gianfranco Tola, l'equipe del Brotzu composta dai medici Achille Giardina, Barbara Schintu, Agostino Setzu e Claudio Pinna ha già trattato, in questi primi 10 mesi, diciotto pazienti provenienti da centri di tutta la Sardegna. In tutti i 18 pazienti è stato possibile ottenere dei risultati eccellenti, rimuovendo complessivamente 29 cateteri senza complicazioni procedurali. Oltre agli ottimi risultati clinici, la rimozione con gli estrattori meccanici ha consentito di ridurre drasticamente i costi, con un risparmio per questi primi 18 casi di oltre 300 mila euro. Con il programma di rimozione meccanica dei cateteri la Cardiologia del Brotzu completa le sue prestazioni nell'alta specializzazione, confermandosi come centro cardiologico di riferimento dell'intera Sardegna. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’11 SARDEGNA: CALERÀ LA SPESA PER I FARMACI Oggi il vertice. L’Apisarda: «Intese per i fornitori» CAGLIARI. Si terrà oggi pomeriggio il vertice di maggioranza che avrebbe dovuto svolgersi ieri. (La riunione è slittata perché il presidente della Regione nel pomeriggio di ieri è stato impegnato nel confronto con i dirigenti di Meridiana Fly e con i sindacati). Il vertice dei partiti del Centrodestra è stato convocato per affrontare le molte partite aperte nel Centrodestra; dall’imminente cambio dell’assessore sardista Angelo Carta con Christian Solinas sino alle alleanze elettorali per le amministrative (compresa la partita per il sindaco di Cagliari), anche alla luce del diktat di Berlusconi contro l’Udc. Ma la maggioranza deve affrontare le questioni della spesa sanitaria. Stamani l’assessore alla Sanità, Antonello Liori, sarà sentito Commissione d’inchiesta per l’attuazione delle leggi regionali, presieduta da Luciano Uras (Sel), sull’iter della riforma sanitaria prevista dal collegato alla finanziaria 2009. «Assieme al commissariamento delle Aziende sanitarie locali, era previsto l’avvio della riforma», ricorda Uras, «ora questa fase transitoria ha smesso la sua funzione e occorre entrare nella fase conclusiva per non cadere in un commissariamento integrale delle strutture sanitarie». Oltre ai progetti per ridurre la spesa farmaceutica, ieri l’assessore alla Sanità ha spiegato che nell’ambito del riordino della rete dell’emergenza-urgenza sarà fondamentale la centralizzazione delle chiamate alle Guardie mediche. «Si dovrà procedere», ha spiegato Liori, «come già avvenuto per il servizio del 118, con un unico numero regionale, così da rendere efficace e sostenibile il processo di riorganizzazione». Sulla «partita» della Sanità è interevnuta ieri l’Api sarda, l’associazione delle piccole e medie imprese: «Finalmente in Sardegna si cerca di dare una risposta alle esigenze urgenti delle imprese fornitrici della sanità sarda causate dai ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione», ha sostenuto Giorgio Boscato. Finora chi vantava crediti verso le Asl o i presidi ospedalieri e voleva incassare in tempi normali le somme dovute doveva andare in banca e scontare le fatture, pagando per l’operazione di sconto. «Le altre strade erano una attesa lunga fino a 300 giorni, oppure il ricorso ai decreti ingiuntivi», dice l’esponente dell’Api. Per il Centro Studi dell’Api, ancora oggi la grandissima parte delle imprese procedono con gli incassi derivanti dall’anticipo fattura, proprio a causa dell’impossibilità delle imprese di attendere i tempi lunghissimi di pagamento delle Asl. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. ’11 I VOLONTARI DEL 118 CHIEDONO UN NUOVO ACCORDO Protesta sotto l'assessorato alla Sanità, le associazioni ricevute da Liori Ascolta la notizia Per ottenere un incontro, atteso da mesi, sono dovuti scendere in strada e piazzarsi in via Roma davanti alla sede dell'assessorato regionale alla Sanità. Volontari di associazioni e cooperative sociali che si occupano di emergenza sanitaria, svolgendo un ruolo fondamentale nel servizio del 118, hanno raggiunto l'obiettivo: i loro rappresentati sono stati ricevuti dall'assessore Antonello Liori e dal direttore generale dell'assessorato. Da ieri è ufficialmente iniziato il percorso che porterà alla riscrittura della convenzione con le aziende sanitarie delle Asl di Cagliari e Sassari. LA PROTESTA Un centinaio di volontari in tuta arancione, a bordo di una ventina di ambulanze, si sono dati appuntamento in via Roma alle 12, sorprendendo anche vigili urbani e Questura. Un'invasione non programmata ma che non ha creato disagi alla viabilità. «Non è una manifestazione. Siamo qui per chiedere un incontro alla Regione dopo mesi di silenzio», hanno spiegato Francesco Ladinetti, presidente del consorzio Cress (che racchiude 13 cooperative), Peppino Masala e Jimmy Onnis, referenti delle associazioni di volontariato del nord e del sud Sardegna. Tanti i problemi per chi garantisce a tutti i sardi, ventiquattro ore su ventiquattro, un servizio di vitale importanza. «Convenzione scaduta da un anno e mezzo, penuria di risorse e rapporti precari con le Asl». In un volantino una frase allarmante: «Se la Regione non ci ascolterà neanche questa volta la nostra fine sarà inevitabile». L'INCONTRO Pochi minuti dopo la delegazione è stata ricevuta dall'assessore Liori e dal direttore generale Massimo Temussi. Più di un'ora di confronto. «Siamo soddisfatti», hanno detto Ladinetti, Masala e Onnis al termine dell'incontro. «Cooperative e associazioni di volontariato», ha spiegato Ladinetti, «fanno parte di un progetto ampio che l'assessorato sta predisponendo. Non ci hanno dimenticato e in futuro reciteremo un ruolo importante». Sono stati programmati tre incontri. Il primo il 24 febbraio per risolvere la questione relativa all'adeguamento dei costi tra nord e sud Sardegna. ( m. v. ) _______________________________________________________ Corriere della Sera 17 feb. ’11 FARMACI FALSI VENDUTI SU INTERNET IL BLITZ L' INDAGINE DEI NAS. ALLARME DALLA PROCURA: PERICOLI PER LA SALUTE Sequestrate pasticche per 3 milioni Venti arresti. Il pm: è solo la punta di un iceberg. Pacchetti I farmaci viaggiavano in piccoli e anonimi pacchetti, etichettati come «carte» Settecento indagati e venti arresti in meno di un anno, l' ultimo a Messina venti giorni fa; sequestri per 3 milioni di euro di pasticche di viagra e farmaci anoressizzanti taroccate, che venivano acquistate on line a prezzi stracciati e senza ricetta medica ed entravano in Italia con spedizioni postali attraverso gli scali di Malpensa e Linate. È il primo bilancio ad un anno dall' avvio di una indagine condotta dai carabinieri del Nas di Milano con il servizio antifrode, di cui è responsabile Roberto Gherardi, e la sezione operativa territoriale (Sot) dell' Agenzia Dogane, coordinata da Salvatore Colacino. Ma ciò che è emerso è «solo la punta dell' iceberg» a detta del pm Nicola Balìce, della Procura di Milano, che coordina l' inchiesta e che ha deciso di renderla pubblica, perché si profila un «serio pericolo per la salute pubblica». Tra le sostanze sequestrate (350 mila pasticche, migliaia di confezioni smerciate a poche euro) anche integratori alimentari innocui solo in apparenza. Campioni di queste sostanze sono stati inviati ai laboratori dell' Istituto superiore di sanità per essere analizzati. E, poi, farmaci per le disfunzioni sessuali e anoressizzanti, medicine d' uso veterinario e sostanze dopanti e nandrolone (uno stupefacente) e cosmetici contenenti piombo anche se in piccole percentuali. I farmaci viaggiavano in piccoli e anonimi pacchetti, etichettati come «carte» ma anche «parrucche» e prodotti di comune e legale importazione. Dietro alle ordinazioni on line, che garantiscono l' anonimato dell' acquirente oltre a prezzi competitivi, accanto a privati e piccoli consumatori c' erano anche medici, farmacisti, veterinari, infermieri, erboristi, palestre. Anche milanesi. Sui quali si sta ora concentrando la Procura, che non esclude l' ipotesi di una vera e propria organizzazione. Ad intercettare il giro di pacchi con farmaci illegali sono stati gli uomini dell' Agenzia Dogane, con un paziente lavoro presso il servizio poste di Linate, armati di piccoli scanner capaci di intercettare le pasticche oltre il travestimento. «L' indagine ha un profilo internazionale - ha spiegato il comandante del Nas, Paolo Belgi -, ha già portato alla chiusura di un' azienda in Olanda e una in Belgio». I farmaci arrivano dagli Usa, dal Canada e dal Messico ma anche dai paesi dell' Est, da India e Cina. Le pastiglie blu clonate vengono prodotte in laboratori clandestini e viaggiano con un clic da un capo all' altro del globo senza mediatori, né ricette né specialisti, hanno chiarito gli investigatori. «Ci sono pastiglie che non contengono alcun principio attivo - ha concluso il pm Balìce - altre che ne contengono quattro volte quello previsto, con rischi enormi per la salute». Paola D' Amico pdamico@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA D' Amico Paola _______________________________________________________ Sanità News 16 feb. ’11 INTERVENTO DI FAZIO SULL'E-COMMERCE FARMACEUTICO Nella Commissione europea c'e' in discussione una risoluzione che, tra le altre cose, esamina la problematica delle farmacie online. L'Italia dovra' esprimere una sua posizione su questo punto. Ritengo che sia un problema che non si puo' piu' eludere''. A dirlo il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, durante un convegno sull'e-commerce farmaceutico promosso dall'Associazione parlamentare per la tutela e prevenzione del diritto alla prevenzione. ''L'Italia deve portare in Europa una sua posizione, condivisa anche dalle categorie - continua il Ministro - Non possiamo essere latitanti su questo''. Fazio, rivolgendosi al presidente di Federfarma Annarosa Racca, presente in sala, ha quindi ribadito l'opportunita' di lavorare tutti insieme su tale obiettivo, ''garantendo i nostri attuali sistemi distributivi. Se continuiamo a fare un'operazione di blocco - conclude - dovremo lo stesso gestire il problema, perche' l'Europa decidera' comunque. Quindi e' meglio aprire il dibattito rapidamente, per cercare una soluzione condivisa''. _______________________________________________________ Ministero Salute 17 feb. ’11 FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO, LINEE GUIDA APPROVATE IN CONFERENZA STATO-REGIONI Con l'approvazione in Conferenza Stato-Regioni delle "Linee guida sul fascicolo sanitario elettronico" proposte dal Ministero della Salute, lo scorso 10 febbraio è stato compiuto un importante passo avanti nell'ambito del relativo progetto. Entro il 2012, il Fse potrà essere reso disponibile su tutto il territorio nazionale per i cittadini italiani. “Il Fascicolo sanitario elettronico che ogni italiano porterà con sé come una vera e propria carta d’identità sanitaria – ha dichiarato il Ministro della Salute Ferruccio Fazio - consentirà di migliorare enormemente l’assistenza sanitaria, permetterà di intervenire rapidamente ed efficacemente in caso di emergenze e farà risparmiare notevoli risorse al sistema sanitario. Le Linee guida individuano gli elementi necessari per una progettazione omogenea del fascicolo elettronico su base nazionale ed europea”. Il Fse verrà realizzato dalle Regioni previo consenso dell’assistito, e consiste nell’insieme dei dati e documenti digitali di tipo socio- sanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti il paziente. Coprirà l'intera vita di quest'ultimo e sarà costantemente aggiornato dai soggetti che lo prendono in cura. Nelle urgenze, il Fse permetterà agli operatori di inquadrare immediatamente i pazienti; consentirà la continuità delle cure, permetterà di condividere tra gli operatori le informazioni amministrative (ad esempio prenotazioni di visite specialistiche, ricette, etc.). L’accesso al Fse potrà avvenire mediante l’utilizzo della carta d’identità elettronica (Cie) e della carta nazionale dei servizi (Cns). L’accesso potrà essere consentito anche attraverso strumenti di autenticazione forte, con l’utilizzo di smart card rilasciate da certificatori accreditati, o debole, con l’utilizzo di userid e password, o con altre soluzioni, purché siano rispettate le misure minime di sicurezza nel rispetto del Codice in materia di protezione di dati personali. La necessità di Linee guida nazionali è nata da una ricognizione effettuata nel 2008 dal Ministero della Salute che ha indicato un buon dinamismo che si sta traducendo in progetti attivi in tutte le Regioni, ma con troppe differenziazioni nelle soluzioni applicative, nei modelli architetturali, negli standard semantici e nelle modalità di utilizzo dei sistemi. Per giungere ad una sintesi delle iniziative esistenti e promuovere l’adozione di un modello omogeneo nazionale, il Ministro Fazio ha istituito un Tavolo tecnico che ha predisposto le Linee guida approvate il 17 febbraio dalla Conferenza Stato Regioni. _______________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’11 ITALIANI SEMPRE PIÙ IN RETE PER INFORMARSI SULL’ASSISTENZA Il 34 per cento degli italiani nel 2010 ha cercato su internet informazioni relative alla salute e all'assistenza. Per il 12,6 per cento, il web è diventato addirittura il primo strumento per saperne di più sulle prestazioni sanitarie che si possono ottenere. Questi sono i dati emersi da un'indagine del Censis al centro, nei giorni scorsi a Roma, nel c o r s o d i u n workshop sulla comunicazione online. La percentuale di connazionali che si affida ai siti più diversi per approfondire le proprie conoscenze su disturbi, rimedi, centri di cura e su che cosa viene garantito dal Servizio sanitario sembra, peraltro, destinata ad aumentare ulteriormente, visto che crescono in modo costante i fruitori del web in generale. Si è passati, infatti, dal 44,4%degli italiani del 2009, al 48,9%del 2010. E quelli presenti su Facebook, per esempio, sono ormai circa 17 milioni. Ma il Servizio sanitario, quanto risponde a questa esigenza dei cittadini? Secondo il ministero della Salute già il 40%delle aziende sanitarie e degli ospedali ospitano sui propri siti internet i tempi delle liste di attesa. _______________________________________________________ Regioni.it 17 feb. ’11 LIORI, FONDAMENTALE LA CENTRALIZZAZIONE DELLE CHIAMATE ALLE GUARDIE MEDICHE “Nell’ambito del riordino della rete dell’emergenza-urgenza sarà fondamentale la centralizzazione delle chiamate alle Guardie mediche”. Lo ha detto l’assessore regionale della Sanità, Antonello Liori, in occasione del terzo incontro a Torino con gli esperti dell’Agenas (Agenzia nazionale della sanità), che da alcuni mesi collaborano con l’Assessorato per la stesura del Piano dell’offerta sanitaria regionale, da sottoporre successivamente all’attenzione ed alla valutazione del Consiglio regionale. “Si dovrà procedere - ha aggiunto l’assessore Liori - come già avvenuto per il servizio del 118, con un unico numero regionale, così da rendere efficace e sostenibile il processo di riorganizzazione. Serve ottimizzare gli interventi, ridurre i tempi di attesa delle visite e monitorare l’attività, realizzando un percepibile miglioramento della qualità del servizio da parte dei cittadini. Sarà anche un’occasione per sfruttare appieno le potenzialità, attualmente colpevolmente sottoutilizzate, del personale medico e sanitario che ha sviluppato e consolidato negli anni un importante patrimonio di esperienza”. “Il riordino della rete dell’emergenza-urgenza - ha concluso l’assessore Liori – deve necessariamente prevedere anche la riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale. Perciò il numero delle postazioni nel territorio regionale andrà rivisto gradualmente, in più fasi, attraverso l’accorpamento secondo i parametri del numero e della tipologia delle prestazioni, della popolazione assistita, considerando i possibili incrementi stagionali, e delle distanze tra i diversi Comuni, oltre alla nuova configurazione della rete ospedaliera e di quella territoriale prevista dal Piano regionale. L’obiettivo è riorganizzare e razionalizzare l’intero sistema sanitario regionale, che funzionerà integrando le azioni della rete dell’emergenza-urgenza con le altre due reti, ospedaliera e territoriale, al fine di incrementare sia l’efficacia che l’efficienza, con un occhio di riguardo alla spesa.” _______________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’11 AOUCA: TRUFFA, PRIMARIO FINISCE SOTTO INCHIESTA Maurizio Fossarello lavora come oculista al S. Giovanni di Dio e in alcune cliniche private I Nas gli sequestrano un appartamento da 400 mila euro Il Nas stava indagando su un traffico di farmaci spariti dalle strutture pubbliche e trovati in una clinica privata. Optando per il tempo pieno aveva scelto di lavorare in esclusiva col San Giovanni di Dio: è la cosiddetta attività intramuraria che garantisce un aumento sullo stipendio base. Invece da anni lavorava in diverse cliniche private. Così il primario della clinica oculistica dell’ospedale San Giovanni di Dio è finito sotto inchiesta per truffa. Non solo: ieri mattina i carabinieri del nucleo antisofisticazioni hanno bussato alla porta di Maurizio Fossarello, nato a Savona ma da tempo residente in città, e gli hanno sequestrato un appartamento. Il giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore Giangiacomo Pilia, ha ordinato il sequestro preventivo dei beni del primario fino a un ammontare di 104.000 euro. La casa sotto sequestro ha un valore quattro volte superiore. Il medico è finito sul registro degli indagati per caso. I carabinieri del nucleo antisofisticazioni stavano indagando da oltre un anno su un traffico di farmaci sottratti da strutture sanitarie pubbliche e ritrovati nella clinica privata Villa Santa Rita: attraverso l’esame del registro operatorio hanno scoperto che tra i medici che eseguivano regolarmente interventi chirurgici in quella clinica c’era Maurizio Fossariello, professore associato dell’università di Cagliari e direttore della clinica oculistica del San Giovanni di Dio. I carabinieri avevano accertato che, dal gennaio 2005 al gennaio 2008, Fossarello aveva eseguito 112 interventi a Villa Santa Rita. Dunque, non si trattava di prestazioni sporadiche e occasionali ma di un impegno sistematico con un’evidente commistione col ruolo pubblico ricoperto. Dalle indagini è saltato fuori che i pazienti della clinica venivano poi indirizzati per la visita di controllo al San Giovanni di Dio dove, peraltro, di norma veniva loro prospettata la possibilità di interventi di iniezioni intraoculari di Avastin per maculopatia e cataratta nella Villa Santa Rita, e venivano esentati dal pagamento del ticket. «Dagli accertamenti svolti dai carabinieri», scrive il giudice Altieri nell’ordinanza, «è emerso che Fosssariello nel 2002 aveva sottoscritto una dichiarazione di impegno optando per il regime a tempo pieno, in esclusiva col servizio sanitario nazionale. Aveva dunque un divieto di svolgere la libera professione fuori dall’ospedale mentre svolgeva attività libero-professionale non solo a Villa Santa Rita ma anche al centro oculistico laser Santa Lucia, alla Global vision e in uno studio privato». L’avvocato Pierluigi Concas, in difesa del primario, sottolinea che si tratta di un duplice equivoco, con la Asl è stato già chiarito, con l’università è in via di definizione. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’11 ASL8: PUGNI, SPINTONI E INSULTI IN SALA CHIRURGICA Mauro Lissia CAGLIARI.Sala chirurgica della clinica urologica, ospedale Santissima Trinità: il direttore Antonello De Lisa (55 anni) è impegnato in un delicato intervento su un paziente. D’un tratto il medico si rivolge al suo primo aiuto, il ricercatore Paolo Usai (42 anni). «Ma ti rendi conto - gli dice - che sono andati dal preside perchè io li picchio?». Il riferimento è per un gruppo di specializzandi: stanchi, a loro dire, di ricevere insulti, testate, calci, pugni, gomitate e persino colpi inferti con ferri chirurgici insanguinati da De Lisa, si erano appena rivolti a Gavino Faa, preside di medicina, per chiedere un intervento risolutore. Usai, secondo quanto riportato in un suo reclamo al tribunale del lavoro, ascolta e non risponde: con la mano destra impugna un divaricatore e con quello regge l’arteria iliaca del paziente, completamente esposta. Basterebbe un movimento sbagliato per provocare danni irreparabili all’uomo che ha messo la propria vita nelle mani dell’équipe di urologia. Ma De Lisa insiste: «Non hanno capito che io posso fare quello che voglio qui dentro? Posso picchiare pure te, ma sono sicuro che tu non andrai dal preside». La frase è appena finita quando il chirurgo sferra un pugno sul torace del collega. Usai barcolla, poi riesce a recuperare l’equilibrio senza che il divaricatore si stacchi dal paziente che giace sul tavolo operatorio. Il medico si preme una mano sulle costole ma rimane al suo posto, in silenzio. L’episodio viene confermato con note firmate da numerosi testimoni, che si trovavano in sala chirurgica. Ma quello che appare come un caso incredibile, fuori da ogni regola, sarebbe solo uno dei tanti sui quali il sostituto procuratore Marco Cocco sta indagando. Il magistrato ha sentito Usai e altri operatori dell’ospedale, gli atti dell’inchiesta sono secretati. Ma il contenuto è comunque pubblico, almeno in buona parte, perchè il 21 febbraio il tribunale del lavoro in composizione collegiale dovrà esaminare il reclamo presentato dall’avvocato Andrea Pogliani per il professor Usai, che poche settimane fa si era rivolto al giudice Angelo Caredda per chiedere un provvedimento d’urgenza. Al centro dell’azione legale la dequalificazione di Usai, escluso sistematicamente dalla chirurgia maggiore e professionalmente emarginato per decisione di De Lisa. Ma soprattutto deriso, denigrato, insultato e infine pestato più d’una volta - come altri colleghi - per ragioni sconosciute. Ragioni che peserebbero comunque poco in una vicenda che non solo Usai ma numerosi altri operatori della clinica urologica descrivono come inaccettabile. Nelle testimonianze firmate si parla di violenze quotidiane, di intimidazioni private e anche pubbliche, davanti ai pazienti durante le visite collettive. La figura di De Lisa viene descritta come quella di un padre padrone, convinto di detenere un potere assoluto al Santissima Trinità: «Questa è la mia sala chirurgica, faccio quello che mi pare...». Il giudice Caredda ha respinto il primo ricorso senza entrare nel merito della vicenda, ma solo per ragioni formali: Usai si trova infatti in rapporto di dipendenza professionale con l’Università come ricercatore ma anche con l’Asl 8 nelle vesti di medico chirurgo. Non sarebbe chiaro quindi a quale struttura faccia capo la responsabilità dell’attività vessatoria messa in atto - secondo il ricorso e secondo quanto scrivono i testimoni - dal direttore di urologia. Servirebbe un’istruttoria impossibile in una procedura d’urgenza come quella richiesta da Usai in base all’ex articolo 700. Ora su questi aspetti si pronuncerà il collegio, mentre la Procura andrà avanti nella verifica dei fatti. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’11 SANITÀ, I RITARDI NEI PAGAMENTI ORA HANNO UN COSTO API SARDA La soddisfazione di Boscato «Finalmente in Sardegna si cerca di dare una risposta alle esigenze urgenti delle imprese fornitrici della sanità causate dai ritardi dei pagamenti della Pubblica amministrazione». Lo ha sottolineato Giorgio Boscato, presidente delle imprese aderenti all'Unione Sanità dell'Api sarda, in merito a quanto stabilito nella Finanziaria regionale per ridurre il disagi patiti dalle imprese fornitrici delle Asl a causa dei ritardi con cui si pagano le forniture. «Finora chi vantava crediti nei confronti di Aziende sanitarie locali o presidi ospedalieri e voleva incassare, visti i tempi relativamente lunghi di pagamento, doveva andare in banca e scontare le fatture, pagando all'istituto di credito quanto dovuto per l'operazione di sconto», ha evidenziato Boscato, «le altre strade erano un'attesa drammatica, spesso lunga fino a 300 giorni, oppure il ricorso ai decreti ingiuntivi». L'ATTESA Secondo un'indagine svolta dal Centro studi e ricerche dell'Api sarda, ancora oggi la grandissima parte delle imprese procede con gli incassi derivanti dall'anticipo fattura, proprio a causa dell'impossibilità delle imprese di attendere i tempi lunghissimi di pagamento delle Asl. «In media, fatto 100 l'ammontare del credito vantato, quello reso subito disponibile attraverso il meccanismo dello sconto fattura raggiunge circa il valore di 70. Di questo 70, le banche anticipano concretamente solo 55, mentre gli altri 15 sono di fatto trattenuti dalle stesse banche sino all'incasso delle somme da parte delle banche nei confronti delle Asl. Molto spesso questo margine di 15 viene fortemente abbattuto dai costi relativi sia all'operazione di sconto fattura, sia agli oneri collegati, che ai costi di gestione dell'operazione e delle relative comunicazioni», spiegano i responsabili del Centro studi dell'Api sarda. Pertanto, i danni per le imprese sono consistenti. LA NOVITÀ Ora, grazie a quanto previsto dall'articolo 13 della Finanziaria regionale, pur essendo necessari alcuni correttivi, i costi per l'operazione di sconto saranno a carico della Regione e non più delle imprese. «Il meccanismo riprende alcune proposte che l'Api sarda ha presentato alla Regione per la prima volta nel 2002 e reiterato a ogni cambio di assessore della Sanità», aggiunge Boscato, «è una regola che ha anche un importante valore simbolico: non far gravare sulle imprese i costi di un ritardo a loro non imputabile». ____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 feb. ’11 TUMORE AL SENO, CONTROLLI MAI PARTITI Ci sono finanziamenti dal 2006 ma l'Asl 8 deve ancora far iniziare la campagna In attesa 69.700 donne. Mammografia, ci vogliono 18 mesi Sabato 19 febbraio 2011 Per realizzare il centro unico di prevenzione è necessario individuare i locali e fare un bando per acquisire la strumentazione. L a Asl non ha ancora istituito il centro unico per la prevenzione del tumore al seno. Per questo, nonostante ministero e Regione abbiano accreditato i finanziamenti per cinque anni (dal 2006 al 2010) ed esista il piano approvato dall'assessorato regionale alla Sanità nel 2008, lo screening non è ancora iniziato. Un ritardo pesante che penalizza 69.700 donne, tra i 50 e i 69 anni residenti nel territorio di competenza della Asl 8. Da via Piero Della Francesca fanno sapere che «gli screening partiranno a breve e contemporaneamente a Cagliari, Quartu, Senorbì, Isili e Muravera». Il problema riguarda soprattutto l'interpretazione degli esami. Perché è vero che la mammografia si può eseguire in tanti ospedali, ma per la refertazione, ovvero l'interpretazione degli esami, occorrono contemporaneamente due radiologi che valutano gli accertamenti separatamente. Per questo è necessario un centro unico. LA REGIONE La commissione regionale per lo “screening del carcinoma alla mammella” è stata istituita il 16 marzo 2006. Quell'anno la Regione ha stanziato i primi fondi, mentre l'anno successivo sono arrivati quelli del Ministero, che ha messo a disposizione contributi anche per il 2008 e il 2009. Alla Asl spettava il compito di attuare il piano. Nel 2008 aveva inizialmente individuato nel Centro donne dell'ospedale Binaghi il luogo in cui ospitare macchinari e medici. Ma in seguito quegli spazi sono stati destinati ad altro. Successivamente il commissario straordinario dell'Azienda sanitaria locale aveva scelto alcuni padiglioni della Cittadella della salute di via Romagna (ex ospedale psichiatrico). Anche in questo caso, però, non si è andati oltre le intenzioni. TEMPI LUNGHI Se nelle altre Asl dell'Isola lo screening è già partito - a Sassari dal 2006, poi a Lanusei, a Olbia e a Sanluri - nel territorio di competenza della Asl 8, nonostante le rassicurazioni, bisognerà attendere ancora a lungo. Infatti, oltre ad essere necessario un centro unico specializzato in questo tipo di prevenzione, bisogna attrezzarlo di macchinari. E bandire una gara d'appalto per acquistarli. MACCHINARI Dagli uffici sanitari fanno sapere che è stato «necessario un ripensamento sui macchinari inizialmente previsti dal finanziamento regionale» e che «la gara partirà entro marzo e riguarderà 2 mammografi in più di quanto ipotizzato (2 mammografi, un mammotone e un ecografo)». Intanto la lista d'attesa all'Oncologico per una mammografia è di 18 mesi. MARIO GOTTARDI ____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 feb. ’11 FARMACI ANTITUMORALI, INIZIA SPERIMENTAZIONE Sperimentare nuovi farmaci antitumorali, aprire la strada verso nuove cure della malattie oncologiche, promuovere e sviluppare la ricerca clinica in Sardegna. Lunedì alle 18, nell'ospedale Brotzu, Fase 1 srl, società in house della Regione, e Novartis Farma Business Unit Oncologia stipuleranno un accordo quadro di collaborazione con l'obiettivo di dare continuità alle sperimentazioni cliniche presso lo stesso Brotzu. Le sperimentazioni coinvolgeranno anche malati del reparto di Oncologia medica dell'ospedale Businco. Fase 1 srl si prefigge di sviluppare progetti farmaceutici e biotecnologici dalle prime fasi fino alle iniziali sperimentazioni sull'uomo e di identificare, mediante studi dedicati, nuovi farmaci e nuove indicazioni terapeutiche per quelli esistenti. ____________________________________________________ La Discussione 18 feb. ’11 ODONTOIATRIA: SEMPRE PIÙ STUDENTI SI LAUREANO ALL'ESTERO Circa mille ragazzi del Paese hanno scelto di iscriversi alla facoltà di odontoiatria in Romania DL ANDREA TORRESAM Sono sempre più gli studenti italiani che scelgono di iscriversi ai corsi di Medicina all'estero a causa della difficoltà dei test di ingresso delle università Italiane. Uno dei Paesi con più affluenza migratoria "per gli studi" insieme alla Spagna, e la Romania che è tra le nazioni in cima alla lista di quelli scelti dagli aspiranti camici bianchi , dove ad oggi si stima la presenza di circa mille ragazzi italiani, di cui la maggior parte è lì per studiare odontoiatria e per poter poi diventare dentisti. Insomma, se si hanno abbastanza soldi da spendere e la voglia di imparare una lingua straniera come il romeno, dopo sei anni si può avere tra le mani un titolo spendibile in tutta Europa, e quindi anche da noi, senza passare, per la forche caudine dei quiz. Infatti, una delle maggiori cause che spinge a procurarsi la laurea all'estero, secondo il racconto di uno studente iscritto alla facoltà di Medicina Dentale dell'ateneo privato Tito Maiorescu di Bucarest è il fatto di poter evitare i quiz di accesso presenti nelle università italiane. «Inutile nascondersi - confessa A.V. - il 99,9 per cento dei ragazzi che studia in Romania, secondo me, lo ha deciso perchè deluso dal "mercato di test" che c'è in Italia, e non lo dico io - sottolinea - ci sono tanto di indagini giudiziarie a confermarlo, basti pensare a quello che è successo negli anni passati ai test di ingresso a Medicina nelle università di. Bari e Catanzaro». «A me - sottolinea - non piace corrompere un organo dello Stato per entrare al Puniversita». Secondo il giovane in Italia esisterebbe un vero e proprio "listino prezzi" e anche a detta di altri studenti delle facoltà di Medicina, si arrivava a pagare dagli ottantamila a centoventimila curo per superare i test d'ingresso ed entrare nell'università, e a volte non si ha neanche la certezza di riuscirci. Tanti ragazzi sono stati vittime di vere e proprie truffe. «Esistono infatti anche i falsari degli ingressi - spiega A.V. - che prendono i soldi e non ti fanno nemmeno superare i quiz». Comunque, ostacoli e prove da superare ci sono anche per chi decide di andare a studiare in Romania, perchè è obbligatorio fare un corso preparatorio di lingua romena organizzato dagli atenei, che sì conclude con un esame da sostenere, e non è uno scoglio facilissimo da superare. «Almeno il 40 per cento dei ragazzi - spiega A.V. - viene bocciato» e addio iscrizione. Ma nonostante questo negli ultimi anni, i ragazzi italiani che hanno scelto di andare a studiare medicina in Romania si è fatto sempre più numeroso. «Al momento, nella mia università siamo un centinaio di ragazzi italiani, e il 90 per cento studia odontoiatria, se però si fa un calcolo sull'intero Paese, penso si possa stimare una cifra intorno a mille giovani». In Italia Di certo - aggiunge - gli atenei con il maggiore afflusso di studenti italiani si trovano a Oradea e Arad». «Il vantaggio di studiare qui in Romania - spiega A.V. - è che qui ci sono leggi che permettono agli studenti di praticare molto di più di quanto avviene in Italia- e aggiunge - la pratica si effettua negli ospedali pubblici». «Inoltre, dopo il conseguimento di tutti gli esami del terzo anno, c'è la possibilità di prendere un attestato che permette di lavorare presso studi privati, come assistente dentista». «E questo - sottolinea A.V. - è un bel vantaggio per noi studenti». Essendo la Romania un Paese che fa parte dell'Unione europea, esiste l'obbligo di riconoscimento della laurea, ma non è così scontato. «Il ministero della Salute, che è l'organo deputato al riconoscimento del titolo - spiega il presidente nazionale della Commissione dell'Albo degli Odontoiatri (Cao), Giuseppe Renzo - esegue un attenta verifica, che tiene conto di alcuni parametri, tra cui, la presentazione del percorso formativo, il piano di studi e la conoscenza della lingua». «Il percorso formativo e le metodologie devono essere verificabili e trasparenti per evitare di abilitare falsi medici o finti dentisti». «Ci sono stati - racconta Renzo - casi di ragazzi italiani che non avevano frequentato i corsi e non conoscevano neanche il romeno, senza contare che esiste un vero e proprio giro di lauree fasulle, opera di organizzazioni para mafiose che agiscono soprattutto nell'area dell'Est Europeo». ____________________________________________________ Il Giornale 18 feb. ’11 IL DENTISTA ITALIANO? HA LA LAUREA IN ROMANIA QUIZ Boom di iscrizioni a Bucarest e in Spagna: così chi è stato bocciato aggira il test d'ingresso VALIGIA Molti aspiranti dentisti vanno all'estero a studiare perché è più facile accedere alla facoltà di odontoiatria Diventare dentisti è come vincere un superenalotto, sei sistemato per la vita. Ma i posti nelle università si contano con il contagocce e gli aspiranti «cavadenti» sono tantissimi. Così, molti diplomati provano a superare il difficile test di ingresso, vengono scartati e poi fanno la valigia. Per non rinunciare al futuro dorato, scelgono di studiare all'estero per conquistarsi una laurea senza troppi ostacoli selettivi. Le mete sono sostanzialmente due, la Spagna e la Romania che sembra aver fatto «boom» visto i prezzi concorrenziali. Non è un caso che circa mille ragazzi italiani stiano studiando nelle facoltà di «Medicina dentara» degli atenei romeni che garantiscono un titolo spendibile in tutta Europa e quindi anche da noi. «Nella mia università - racconta uno studente italiano 22enne iscritto alla facoltà di Medicina dell'ateneo privato Tito Maiorescu di Bucarest - più che delle prove di ingresso ci sono dei test valutativi, basati su conoscenze minime». In Romania, infatti, servono solo soldi e buona volontà di imparare la lingua perché è obbligatorio fare un corso preparatorio di lingua romena organizzato dall'ateneo, che si conclude con un esame finale. Ma quelli che passano, devono poi studiare e farsi mantenere dai genitori. I costi non sono esagerati. Il prezzo del corso, che dura 6 anni e prevede la frequenza obbligatoria, è di circa 3mila euro l'anno. Gli affitti delle case e il costo della vita, inoltre, sono più che sopportabili. Essendo la Romania un Paese che fa parte dell'Unione europea, esiste l'obbligo di riconoscimento della laurea. Ma non è così scontato. «Il ministero della Salute - spiega il presidente nazionale della Commissione dell'albo degli odontoiatri (Cao), Giuseppe Renzo - esegue un'attenta verifica sul percorso formativo e le metodologie devono essere verificabili e trasparenti». Questo per evitare di abilitare falsi medici o finti dentisti. Anche in Spagna ci sono tanti ragazzi italiani che si iscrivono a medicina e odontoiatria nelle università private del Paese dove il test di ingresso è semplice e basato solo su nozioni di cultura generale. Ma in terra iberica, a sentire Gianfranco Prada, presidente dell'Associazione nazionale dentisti italiani, la situazione è meno «nebbiosa». «Il percorso formativo degli atenei spagnoli è professionale e trasparente. Paragonabile a quello delle migliori università italiane». Ma è anche costoso. Laura, una ragazza che frequenta odontoiatria nella capitale, spende dai 15 ai 18mila euro all'anno solo per i corsi. Poi, deve aggiungere 400 euro al mese per la camera in affitto, cibo e divertimenti. Insomma, alla fine dell'anno, il conto lievita ottimisticamente a 25mila euro che va moltiplicato per cinque anni. Laura, però, non sente la nostalgia della lingua italiana. Nei corsi, 30 su quaranta sono italiani trapiantati all'estero. Per necessità. ____________________________________________________ Il Giornale 18 feb. ’11 TUMORE AL SENO LA DIAGNOSI ORA DIVENTA PIÙ FACILE E SICURA Roma Diagnosticare un cancro al seno adesso è più facile. E soprattutto meno doloroso e meno invasivo. Grazie alla tecnologia ottica mammaria, nata all'inizio di questo secolo nei laboratori dell'università di Harvard, la lotta al tumore al seno ha conquistato armi ancora più efficaci. «La tecnologia ottica mammaria è una speranza scientificamente valida e concreta per salvare dal tumore al seno le giovani», dice la deputata Pdl Mariella Bocciardo. La componente della commissione Affari sociali commenta così i risultati presentati ieri nel corso del secondo meeting inter-nazionale del Dobi group (Dynamic Optical Breast Imaging) svoltosi alla Camera dei deputati. A un anno dalla sua creazione il Comitato scientifico Dobi, presieduto da Aldo Vecchione, direttore scientifico dell'Istituto Pascale di Napoli, ha fatto il punto sui risultati ottenuti grazie alla nuova diagnostica dell'ottica mammaria. Sono ben venti i centri sparsi in tutta la penisola che consentono questo tipo di diagnosi e che hanno effettuato oltre 6mila analisi di questo tipo. Nel corso del convegno sono stati resi noti anche i nomi che compongono il nuovo Comitato scientifico Dobi, presieduto da Vecchione, e che vede impegnati in prima linea due centri di eccellenza alla lotta ai tumori: il Pascale di Napoli e il milanese Ieo. Il primo vantaggio di questa diagnostica ottica è senza dubbio la sua efficacia. In buona sostanza si tratta di un fascio di luce rossa che attraversa il seno alla ricerca diva- si sanguigni caratterizzati da iperossigenazione (primi segnali di un tumore allo stato nascente). Con un simile metodo, quindi, non si espone la paziente al bombardamento delle radiazioni e si possono scoprire le insorgenze tumorali anche nella fase iniziale, laddove una ecografia al seno riuscirebbe invece a evidenziare solo i noduli già formati. Con questo strumento, poi, anche la prevenzione diventa più efficace, visto che non ha controindicazioni per le donne sotto i quarant'anni. Ad esempio, una diciottenne con madre o parenti colpite da questa forma tumorale, più sottoporsi a un controllo indolore e veloce (la durata è di 40 minuti in tutto). ____________________________________________________ Avvenire 15 feb. ’11 STAMINALI, LA TRAVE DELLE EMBRIONALI E LA PAGLIUZZA DELLE RIPROGRAMMATE I RISCHI DI TUMORE, LE INTERPRETAZIONI IDEOLOGICHE ROBERTO COLOMBO Un'indagine scientifica a cui hanno partecipato studiosi italiani, apparsa alcuni giorni fa sulla rivista Cell Death & Differentiation, ha riacceso nel nostro Paese il dibattito intorno alla ricerca sulle cellule staminali. L'osservazione che, nel topo, alcune linee di cellule staminali da tessuti di animale adulto, (chiamate "cellule staminali pluripotenti indotte", iPSC) ottenute mediante riprogrammazione epigenetica, possono andare incontro ad aberrazioni genomiche (delezioni o amplificazioni di regioni del Dna), simili a quelle che si riscontrano nel nucleo di alcune cellule tumorali, ha fatto lanciare un grido d'allarme contro coloro che, a detta di alcuni, si ostinerebbero a perseguire la ricerca sulle staminali ottenibili da cellule del corpo di un adulto (lo stesso paziente o un donatore), anziché orientarsi sulle cellule degli embrioni umani ottenuti attraverso la fecondazione in vitro. Evocare la parola "tumore" è sempre di grande effetto pubblico per polarizzare un dibattito sulla ricerca biomedica. Anche la semplice allusione a un possibile pericolo per la salute derivante dall'impiego di cellule staminali riprogrammate da tessuti di adulto ha avuto buon gioco nel far dire a un noto oncologo italiano, a proposito degli embrioni umani cosiddetti "residuali" rispetto alla procreazione medicalmente assistita — quelli, cioè, non trasferiti in utero —, che «sia un dovere morale utilizzarli per la ricerca: non si viola nessuna etica e si aiuta la scienza a esplorare le potenzialità delle cellule staminali embrionali, che rappresentano la più grande promessa della medicina del ventunesimo secolo» (la Repubblica, 12.02.2011, p. 24). Non conosciamo a quale "etica" si riferisca l'intervistato e neppure in forza di quali risultanze scientifiche obiettive egli possa attribuire alle sole staminali embrionali una simile trionfale "promessa" terapeutica. Di certo, però, la contrapposizione tra i due approcci alla terapia cellulare, quello che parte da cellule predifferenziate o differenziate da tessuti di adulto e quello che ricorre alle cellule embrionali, non può avvalersi della oncogenicità quale argomento di ragione scientifica e clinica per discriminare, allo stato attuale delle conoscenze, le potenzialità terapeutiche di uno o dell'altro tipo di cellule staminali. Coloro che hanno fatto leva sui risultati dello studio italo-elvetico — e non è il solo che ha indagato l'instabilità genomica in linee di staminali coltivate in vitro — per lanciare un grido d'allarme contro la riprogrammazione di cellule adulte in prospettiva terapeutica sembrano dimenticare che quelle di origine embrionale sono state le prime staminali a mostrare una spiccata tendenza alla formazioni di tumori dopo il loro innesto nel corpo di animali (si tratta di teratomi e teratocarcinomi, caratterizzati dalla presenza di diversi tessuti originanti da tutti e tre i foglietti germinali embrionali). Del resto, è nota la notevole somiglianza biologica tra alcune proprietà delle staminali embrionali (autorinnovamento, elevato potenziale replicativo, attività telomerasica, espressione di alcuni fattori di trascrizione) e una sottopopolazione di cellule tumorali chiamate "cellule che fanno iniziare il tumore" o "staminali tumorali". Sin dai primi studi, il potenziale oncogenico delle staminali embrionali ha rappresentato una delle principali obiezioni cliniche alla loro applicazione diretta alla terapia cellulare. Gli autori dello studio in questione hanno fatto bene a mettere in luce la necessità di escludere dalle staminali pluripotenti indotte da tessuti di adulto, prima del loro impiego clinico, il rischio di provocare lo sviluppo di tumori. Ai fautori a oltranza delle staminali embrionali, che non sembrano vedere in esse nessun limite biologico ed etico, si applica il detto evangelico di non cercare la pagliuzza nell'occhio dell'altro prima di aver tolto la trave che è nel proprio. ____________________________________________________ Il Giornale 17 feb. ’11 SORPRESA: LA PULCE D'ACQUA HA MOLTI PIÙ GENI DELL'UOMO ME La pulce d'acqua possiede un patrimonio genetico formato da circa 31 mila geni, mentre il genere umano ne ha solo 23 mila. il risultato di una ricerca dell'Università dell'Indiana e dell'Istituto del genoma del dipartimento dell'Energia americano. Si stima infatti che il tasso di duplicazione della specie Daphnia pulex, appunto la comune pulce d'acqua, sia tre volte maggiore di quello degli altri invertebrati e del 30% più alto di quello dell'uomo. Daphnia è così diventata un modello per la genetica ambientale, che analizza le interazioni tra ambiente e patrimonio genetico. Fondamentale per studiare le correlazioni tra rischi ambientali e patrimonio genetico umano ____________________________________________________ TST 16 feb. ’11 DNA, L'AVVENTURA INIZIA ADESSO Dal progetto hapmap alle «varianti strutturali» la genetica sta esplorando che cosa rende unico ogni individuo Dieci anni dopo la decifrazione del Genoma ecco le prossime mosse GABRIELE BECCARIA Com'è bizzarra la doppia celebrazione del decennale, ma lui se la merita davvero: il protagonista è il Genoma umano, il libretto di istruzioni biologiche che ci fa essere ciò che siamo. L'anno scorso ci si è emozionati ripensando al grandioso evento alla Casa Bianca, quando i126 febbraio 2000 Bill Clinton e Tony Blair annunciarono la decifrazione dei nostri geni e l'inizio di un'era straordinaria Quest'anno si fa il bis, ricordando che il 12 febbraio 2001 due articoli - su «Science» e su «Nature» - spiegarono che l'obiettivo del sequenziamento del Dna era stato finalmente raggiunto. Dieci anni sono tanti nell'universo parallelo della scienza, pari a un'era geologica, e uno sguardo all'indietro è essenziale per preparare le mosse future. Oggi sappiamo cose che mai avremmo immaginato e presto aggiungeremo altre sorprese al bagaglio delle scoperte. Charles Darwin sarebbe orgoglioso dell'intraprendenza dei suoi pro-pronipoti. L'ultimo «eureka» gli scienziati - riuniti in un team internazionale di 57 ricercatori provenienti da 26 istituzioni - l'hanno gridato pochi giorni fa, mentre testavano un nuovo metodo per analizzare un territorio del Dna finora trascurato, quello delle varianti strutturali. Ai non specialisti sono differenze che dicono poco, ma interi team di studiosi ne sono innamorati: nell'apparente caos delle cancellature, duplicazioni, inserzioni e inversioni all'interno delle sequenze genetiche si iniziano a leggere le differenze che ogni individuo porta incise dentro di sé. E' una via maestra per spiegare molte malattie e, quindi, trasformare in realtà la medicina personalizzata, l'insieme di terapie mirate di cui tanto si parla e che, al momento, abbonda di promesse e scarseggia di risultati clinici. Ma adesso potrebbe essere davvero vicina la svolta, come ha spiegato Charles Lee, cito- genetista del Brigham and Women's Hospital di Boston e copresidente del progetto. Le varianti identificate sono 28 mila, una miniera da cui estrarre informazioni decisive sul perché una persona è simile a un'altra, ma molto diversa rispetto a un'altra ancora. I dati si affiancheranno a un filone parallelo, che si concentra sui cosiddetti «polimorfismi a singolo nucleotide», in gergo gli Snp: si tratta delle differenze in una delle 4 lettere del Dna che possono spiegare la predisposizione - o peggio la vulnerabilità – a una specifica aggressione, dal diabete ai tumori. Adesso si sta realizzando un catalogo, che va sotto il nome di Progetto Hapmap, e, come se non bastasse, prosegue a ritmo spedito il lavoro di Tim Hubbard, a Cambridge, noto come Encode: acronimo di «Encyclopedia of Dna elements», il suo obiettivo è identificare tutti i meccanismi che fanno funzionare il Genoma e lo rendono una macchina di straordinaria efficienza. Varianti strutturali, Hapmap, Encode. A chi non è del settore sembra di assistere a un ipnotico gioco di scatole cinesi. C'è chi osserva, poeticamente, che la conoscenza del Dna riverbera quella dell'Universo: anche nell'infinitamente piccolo c'è tanta materia oscura quanta se ne annida nell'infinitamente grande. In realtà i ricercatori si consolano sottolineando che un decennio di studi ha permesso scoperte straordinarie e quindi una serie di eureka a ripetizione. DOTAZIONE MENO RICCA Oggi, per esempio, sappiamo di avere una dotazione di geni molto meno ricca di quanto si pensasse e cioè non 100 mila, ma poco più di 20 mila, solo una decina di volte più del modesto batterio unicellulare Ha emophilus influenzae. Sappiamo anche che non tutti codificano le proteine che ci costruiscono, ci regolano e ci danno energia. Anzi. Appena il 2% funziona da ricettario per queste sostanze-chiave, tutto il resto si occupa d'altro. E non è affatto «junk» - spazzatura - come è stato impropriamente definito. Trascritto in un altro tipo di molecole, l'Rna, svolge una funzione essenziale per regolare l'attività del Dna stesso. E' il software, che supervisiona l'architettura dei geni e le loro prestazioni, mantenendo l'ordine contro incombenti tendenze anarchiche e, probabilmente, potrebbe anche spiegare come alcuni pezzi del vasto puzzle si accendono o si spengono in risposta ai segnali dell'ambiente. Di certo, non c'è nulla di spietatamente fisso nel nostro codice biologico, semmai è all'opera una danza continua, in cui agenti interni e agenti esterni promuovono la coreografia della vita. Per capirla è nata una nuova disciplina, l'epigenetica. E' questa una delle spettacolari manifestazioni dell'«effetto Genoma»: la decifrazione, che ha richiesto 14 anni e 3 miliardi di dollari, ha prima di tutto messo in moto un modo di fare ricerca aperto, in cui supercomputer e team internazionali lavorano insieme, democratizzando la diffusione e la gestione dei dati. Non solo. Mentre sta svelando la nostra origine di Sapiens e le migrazioni primigenie lungo il globo, ha già trasformato in pratiche standard gli esami genetici e consentirà - è la promessa - di riparare le anomalie alla base di ogni sindrome. Da impresa lineare fondata sull'osservazione la biologia è ascesa 'a, scienza dei sistemi, irrorata dalle logiche della complessità: la regina dei laboratori del XXI secolo mobilita gruppi multidisciplinari, in cui i medici interagiscono con i matematici e gli informatici collaborano con i genetisti, e approda - con i test del celebre Craig Venter - alle prime forme di cellule sintetiche. Se «diventa sempre più difficile definire perfino che cos'è un gene» (parole di Robert Piomba, professore al King's College di Londra), «adesso sembra di scalare una montagna che diventa via via più alta - ha sottolineato Jennifer Doudna della University of California at Berkeley più conosciamo il Dna e più ci rendiamo conto che c'è ancora moltissimo altro da sapere». _______________________________________________________ Il Sole24Ore 20 feb. ’11 SEQUENZA DEL DNA,LA RICERCA SI SCONTRA SUL BREVETTO LIMITI DELLA TUTELA I risvolti bioetici richiedono più coordinamento tra Europa e Stati Uniti di Andrea Stazi I ' l dipartimento di Giustizia Usa (DoJ) si è recentemente espresso con un importante amicus brief - ossia un parere non formalmente vincolante - sul tema della brevettabilità delle sequenze genetiche naturali. Il parere è stato reso nell'ambito della causa promossa nel maggio 2009 dall'American civil liberties union e dalla Public patent foundation contro l'Ufficio brevetti e marchi statunitense, la società Myriad genetics e l'università dello Utah, con l'accusa che i brevetti ottenuti da queste ultime sullo sfruttamento esclusivo dei geni BRCA1 e BRCA2 - le cui mutazioni sono responsabili dell'insorgenza di tumori al seno e alle ovaie - ostacolassero la libera circolazione delle idee nella ricerca scientifica, in violazione del primo emendamento della costituzione Usa. Già la decisione di primo grado, resa da una corte di New York, aveva giudicato invalidi i brevetti concessi riguardo a quei geni, che sono usati per la produzione di kit diagnostici dei tumori al seno e alle ovaie. In base alla nota del DoJ, non dovrebbe essere brevettabile la mera identificazione di sequenze di Dna all'interno del genoma «senza alcuna alterazione o manipolazione successiva», in quanto «la struttura chimica dei geni umani è un prodotto della natura»; consentire la loro brevettabilità, pertanto, equivarrebbe a attribuire un brevetto «sulle fibre di cotone che siano state separate dai semi o sul carbone che sia stato estratto dalla terra». Viceversa, si è riaffermata la brevettabilità delle sequenze di Dna manipolate in laboratorio. Il parere ha riconosciuto che la decisione rappresenta un vero e proprio cambio di direzione rispetto alla politica seguita finora e contrasta con la prassi di altre strutture pubbliche, dall'Ufficio brevetti e marchi fino al National institute of health, che negli ultimi anni ha ottenuto brevetti per l'isolamento del Dna. D'altronde, il DoJ ha aggiunto che l'impatto sull'industria biotecnologica non sarebbe così grave, poiché le manipolazioni del Dna - come quelle usate per creare i prodotti transgenici o particolari terapie genetiche - possono continuare a essere brevettate, in quanto «prodotte dall'ingegno dell'uomo». La presa di posizione, inoltre, appare contrastante con la decisione adottata nel 2008 dal board of Appeal dello European patent office, riguardo al solo gene BRCAI (sul quale l'Epo aveva riconosciuto il brevetto alla Myriad nel 2001, per poi revocarlo nel 2004). In essa, la corte d'appello dell'Epo ha riconosciuto la validità del brevetto sul gene, in quanto la Myriad ha rinunciato a esercitare il suo diritto di proprietà brevettuale su tutta la sequenza del medesimo, limitando l'applicazione solo ad alcune delle sue mutazioni patologiche. In generale, la questione della brevettabilità dei geni è oggi senz'altro tra le più controverse e dibattute. Gli oppositori affermano che i geni sono prodotti della natura, non invenzioni e dovrebbero essere considerati patrimonio comune dell'umanità. In particolare, molti genetisti si oppongono al monopolio sui test diagnostici per patologie come il cancro, perché sono convinti che in questo modo non si abbattono i costi e non si favorisce la ricerca di strumenti migliori di conoscenza e cura della malattia. I fautori della brevettabilità, invece, sostengono che i geni isolati dal corpo sono prodotti chimici differenti da quelli identificati nel medesimo e pertanto sono suscettibili di brevettazione. A ogni modo, l'approccio ondivago delle istituzioni e della giurisprudenza statunitensi e comunitarie sul tema suggerisce l'opportunità di un maggiore coordinamento internazionale. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, attraverso un intervento di revisione dell'Accordo TRIPs, affinché possano derivarne sia una maggiore certezza del diritto negli ordinamenti privi di previsioni specifiche al riguardo, sia - auspicabilmente - soluzioni condivise sui profili di particolare complessità, specie di natura bioetica. ____________________________________________________ Libero 19 feb. ’11 SUGHERO CONTRO I TUMORI AL SENO E AL COLON Il sughero è l'unica chiusura in grado di trasferire al vino quantitativi impercettibili di sostanze antiossidanti che, assorbite da chi Io beve, hanno effetti benefici sulla salute, contribuendo alla lotta contro il tumore a seno e colon. A scoprirlo, una ricerca dell'Università di Porto e Amorim Cork, leader nella produzione di tappi in sughero ____________________________________________________ Il Giornale 19 feb. ’11 VAI MALE A SCUOLA? NON PREOCCUPARTI È COLPA DEL DNA Ecco l'ennesima «sparata» degli scienziati estremisti: il rendimento intellettuale dipende per metà dai geni Giorgio Israel TEORIA Dicono di aver misurato l'apprendimento Cioè qualche cosa che non si può misurare. Dunque, dopo aver appreso che la depressione, l'egoismo, il senso di amicizia, l'ottimismo, il pessimismo, il senso di trascendenza dipendono dai geni, apprendiamo dall'ultima «ricerca» che anche i successi scolastici dipendono dai geni. È un diluvio. Tanto che uno scienziato non sospettabile di diffidenza nei confronti della genetica come Edoardo Boncinelli ha messo in guardia da questo moltiplicarsi di annunci, osservando che se si parla di patologie è un conto, ma «se parliamo di ciascuno di noi, con le proprie inclinazioni verso questa o quella caratteristica fisica o psichica, il discorso si presenta molto più sfumato e riconducibile a una considerazione di carattere generale: tutto quello che siamo lo dobbiamo in parte ai nostri geni, in parte alla nostra storia personale e in parte anche a fattori causali difficilmente identificabili, ma sicuramente all'opera in ciascuno di noi. [...] se siamo pessimisti o no, dipende anche dai geni, ma non solo da quelli». Ed ha ammonito: «È inutile che cerchiamo scuse o comodi alibi». Gli «scienziati» risponderebbero: noi non diciamo che i geni sono l'unico fattore determinante, ma che sono un fattore importante. Saranno diventati calvi per lo sforzo di pensare una simile banalità. Chi si sogna di escludere che i fattori genetici non contino e di sostenere che siamo tutti uguali? Ma loro vantano di fare un passo avanti rispetto a questa generica affermazione: stimano quantitativamente l'entità dell'influsso. Nel caso dei successi scolastici i fattori genetici conterebbero per i150 per cento. Correlare caratteristiche genetiche a rendimenti intellettuali è l'operazione più arbitraria che si possa immaginare e viene da rabbrividire a pensare che qualcuno si possa arrogare il diritto, su basi tanto inconsistenti, di dire: «Tu sei intellettualmente inferiore in quanto geneticamente minorato». Ma ancor più assurdo è voler stimare il peso delle caratteristiche genetiche entro un insieme di fattori di natura disparata la cui lista è impossibile da farsi in quanto «difficilmente identificabili». Bisognerebbe stimare assieme ai fattori genetici il clima familiare, la fidanzata che ti ha piantato, le fortune, le disgrazie, i lutti, gli incidenti d'auto, la retrocessione della squadra preferita: cose talmente disomogenee che la sola idea di volerle misurare fa ridere. E poi misurare cosa? Dicono di aver misurato l'apprendimento. Ma l'apprendimento non è una grandezza misurabile. Esso può essere, al più, grossolanamente stimato in due modi: mediante i voti assegnanti dagli insegnanti, che però non sono una misura mala rappresentazione numerica di un giudizio soggettivo, oppure con dei test, anch'essi frutto delle idee soggettive di chi li ha pensati. Insomma, quel 50 per cento non vale niente. Potrebbe essere 10, 30 o 70. Il pubblico che assiste a questa ondata di «scoperte scientifiche» dovrebbe essere messo in guardia non solo da quelle più evidentemente ciarlatanesche: chiunque capisce quanto sia insensato asserire che la predisposizione ad essere di destra o di sinistra dipende dai geni. Se la destra e la sinistra politiche fossero categorie cerebrali vorrebbe dire che il cervello è cambiato di colpo un paio di secoli fa. Basta una conoscenza minima della storia per sapere che destra e sinistra sono categorie della politica moderna. Ma al di là dalle ciarlatanerie evidenti, occorre guardarsi dalle intenzioni che sono dietro ad alcune di queste ricerche. Spieghiamo con un esempio. Alla vigilia del nuovo anno la stampa francese ha annunciato: la scienza prende il posto degli oroscopi. Un ricercatore del Consiglio delle ricerche francese ha svelato che i nati in dicembre sono svantaggiati rispetto a coloro che nascono in altri mesi. Rischiano di avere un percorso scolastico più difficile e di veder penalizzata la loro carriera professionale. La pubblicazione dell'articolo ha suscitato una valanga di commenti ironici e sferzanti. La lettrice di un giornale ha scritto: «Ecco un'altra ricerca- bidone. Sono nata il 25 dicembre, a scuola ero tra i migliori, oggi sono dirigente d'impresa e guadagno bene». Un altro risponde: «Non sono d'accordo che questa ricerca non serva a niente... Certamente è servita a demoralizzare qualcuno e soprattutto serve a degli pseudo ricercatori scientifici psicologi per guadagnarsi bene la vita per un po' di mesi». In effetti, basta una rapida ricerca sui nati famosi si in dicembre per farsi quattro risate: una galleria di carriere professionali sfolgoranti... Tuttavia, la difesa è facile. Che in dicembre siano nate molte personalità di successo non dimostra nulla circa le prestazioni della media. Soprattutto qui si parte dalla considerazione di uno squilibrio di partenza, nella stessa classe scolastica, tra chi nasce in gennaio e chi ha undici mesi di meno in quanto è nato in dicembre. La ricerca stima che, in Francia, gli scarti di rendimento negli esami sono dell'ordine del 10-15 per cento nel caso di massima distanza di età, cioè per i «dicembristi». Ma la vera questione è: come influisce ciò sul futuro professionale dei «dicembristi»? Ebbene, al termine di ottanta pagine di analisi che «mobilitano» una gran massa di dati statistici, risulta che l'handicap della data di nascita non ha alcun effetto pratico. Si tratta di scarti da prefisso telefonico internazionale. L'impatto sulla probabilità di finire disoccupato dà uno scarto dello 0,004 tra «dicembristi» e «gennaisti», dello 0,001 nel caso delle donne... In sostanza, si ammette esplicitamente che il mese di nascita «non esercita un'influenza determinante sul destino professionale». Bisognerebbe trarne la conclusione che la scuola recupera egregiamente le differenze dovute agli scarti di età presenti nelle singole classi, malgrado differenze di rendimento (non rilevanti). E invece no: s'insiste. Questa insistenza trova una prima spiegazione nella disamina della bibliografia in materia. Si scopre una letteratura imponente che affronta i temi e propone le tesi più disparate: dipendenza dei rendimenti scolastici dal mese, dal trimestre o dalla stagione di nascita, se la nascita d'estate provochi svantaggi, gli effetti sulla carriera del giorno di matrimonio o dell'uso della pillola contraccettiva, fino alle conseguenze del nascere in periodo di luna piena... C'è di che dar ragione alla lettrice francese: questi sono ricercatori che vivono inventandosi le ricerche più strampalate e si rendono credibili citandosi a vicenda. Ma c'è dell'altro. Dice l'autore dell'articolo: se non possiamo scegliere la nostra data di nascita il sistema scolastico deve correggere le diseguaglianze scolastiche, introducendo un «coefficiente compensativo per correggere i risultati scolastici in funzione del mese di nascita». È chiaro l'intento? Sei nato in dicembre? Ti avvarrai di un fattore compensativo, che so io, di 1,3: se prendi 5 in matematica diventerà 6 e mezzo. Altri fattori per i nati in estate o in luna piena. Quanto ai deficienti genetici, è da immaginare che il fattore correttivo sarà definito dall'esito della risonanza magnetica. Poi si tratterà di «rinormalizzare» le carriere delle donne che prendono la pillola. C'è tanto lavoro da fare per gli «specialisti»... Insomma, siamo di fronte all'ideologia dell'egualitarismo in versione politicamente corretta - siete diversi alla nascita, ma la società vi renderà uguali, a colpi di parametri correttivi - nelle mani della dittatura degli specialisti. Certo, si tratta di specialisti da barzelletta, ma che sanno come rendersi credibili: si citano a vicenda e balzano ai vertici delle valutazioni bibliometriche (memento per i futuri commissari dell'Anvur, Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca) quando dovranno definire i criteri di valutazione. ____________________________________________________ Repubblica 19 feb. ’11 VISITE SENZA L'ACCETTAZIONE Al Bambino Gesù prenotazioni e disdette via web o sms di Cristina Cimato Prenotazioni e ritiro dei referti on- line, disdette via sms, navigazione a tutto tondo dal proprio smart phone. L'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma punta sul miglioramento dei servizi attraverso le tecnologie di ultima generazione e l'utilizzo del web. Dopo una fase di test iniziata nel 2009 e conclusa a dicembre 2010 il policlinico ha reso accessibile a tutti il nuovo fascicolo sanitario elettronico, ossia una sorta di carta della salute. Il supporto ha un costo di 5 euro, è munito di un codice identificativo e, abbinato a un codice di sicurezza e a quello fiscale, permette di avere sempre a portata di mano cartelle cliniche, diagnosi e referti ambulatoriali. L'accesso alle informazioni è effettuabile tramite il sito internet dell'ospedale www. Ospedale bambinogesu.it. Le novità abbinate dalla struttura romana al fascicolo sanitario elettronico riguardano l'accesso alle prenotazioni e alle disdette degli esami. Sempre attraverso il sito è infatti possibile riservare un appuntamento per la maggior parte delle visite, esclusione fatta per alcune di particolare complessità. Si possono dunque prenotare visite di medicina pediatrica e prestazioni chirurgiche, quelle specialistiche, visite analisi radiologiche e persino di imaging molecolare, evitando così tutte le code agli sportelli. Attraverso un sistema di alert via sms, poi, è offerta la possibilità di disdire in modo semplice una visita. Il servizio di prenotazione, infatti, invia un messaggio a chi ha lasciato il proprio numero al momento della richiesta per confermare la prenotazione. Qualora la si voglia disdire è sufficiente rispondere all'sms. In questo modo l'ospedale spera di eliminare quel 10% di visite perdute per mancato annullamento e ridurre quindi i tempi di attesa almeno della stessa percentuale. Anche il pagamento può essere effettuato online una volta ricevuto un codice di prenotazione, che va aggiunto al proprio identificativo fiscale. La soluzione si avvale di un sistema di pagamento studiato in collaborazione con Unicredit e di codici di protezione utilizzati normalmente dalle carte di credito. «Anche per il ritiro dei referti non sarà più obbligatorio tornare in ospedale», ha spiegato Giuseppe Profiti, presidente dell'Ospedale pediatrico bambino Gesù, »perché grazie alla carta della salute e al web i genitori o il paziente potranno leggerli direttamente a casa sul pc, rendendoli disponibili anche al pediatra insieme alla storia clinica del bambino». Per sfruttare al meglio le tecnologie di ultima generazione l'ospedale ha reso disponibile gratuitamente anche l'applicazione per iPhone e iPad che consente di accedere alle informazioni, ai servizi interattivi e alle guide utili per arrivare al policlinico. Sempre attraverso l'app, scaricabile da iTunes App store, si può accedere alla sezione dell'ospedale dedicata ai bambini con favole e giochi, utili anche per distrarli in attesa della visita medica. Anche tramite i dispositivi mobili connessi a internet è possibile prenotare e disdire visite ed esami, così da annullare ogni pratica amministrativa e interagire con infermiere e medici specialisti solo in occasione della visita. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’11 CONTRO I TUMORI ALLA PROSTATA NANOTECNOLOGIE E TÈ VERDE La nuova sfida parte dall’isola PIER GIORGIO PINNA SASSARI. Tè verde e nanotecnologie contro il tumore alla prostata. Detta così, la cosa può sembrare sorprendente. Invece è la realtà di uno studio Made in Sardinia appena pubblicato sul «Journal of Medicinal Chemistry», la più autorevole rivista scientifica nel settore chimico farmaceutico. Il team che ha ideato il sistema fa capo all’università di Sassari e alla Porto Conte Ricerche. È composto da giovani dinamici che hanno esplorato un nuovo campo di sinergie ottenendo risultati molto importanti con i pochi fondi a disposizione. «Il tè verde non è solo un toccasana per la mente e per lo spirito - spiegano i ricercatori Vanna Sanna, Mario Sechi e Gianfranco Pintus - I suoi estratti sono in grado di curare gli effetti di gravi patologie. E grazie al mix con le nano(bio)tecnologie si può arrivare a rimedi efficaci per arginare lesioni pre-maligne che in un caso su tre evolvono in cancro». Così, in alternativa a terapie che colpiscono in maniera indiscriminata cellule sane e malate, il team sardo ha messo a punto minuscole navette ingegnerizzate mille volte più piccole dello spessore di un capello. «Sono nanoparticelle capaci d’interagire in modo selettivo con le cellule dell’organo malato sfruttando principi attivi come quelli del tè verde», sottolineano gli studiosi. Tutto è partito da recenti indagini cliniche secondo cui la bevanda amatissima in Oriente può aiutare a prevenire questa particolare forma di cancro. Da qui la predisposizione in laboratorio delle navicelle in grado di riconoscere i bersagli da colpire. Ma come esattamente? E con quali meccanismi d’attacco? «Abbiamo lavorato per consentire alle nostre “nanoscopiche navette” di affrontare un piccolo-grande viaggio, dotandole di tutti gli strumenti perché fossero capaci di attraversare la membrana delle cellule e d’immergersi al loro interno - dicono Sanna, Pintus e Sechi, spiegando con parole semplici un processo complesso - In questo modo le nostre unità operative possono agganciarsi prima sulla superficie della cellula e poi, una volta dentro, rilasciare il principio attivo del tè verde che distrugge le cellule malate. Abbiamo pensato un po’ a tutto: sul guscio delle navicelle c’è uno scudo molecolare che le mette al riparo dai macrofagi, le sentinelle che con una controffensiva sono chiamate a difendere l’organismo dalle intrusioni». L’idea è nata sulla scia delle analisi epidemiologiche condotte dal gruppo di Saverio Bettuzzi, professore dell’ateneo di Parma, Modena e Reggio. In un articolo pubblicato sulla rivista «Cancer Research» l’équipe emiliana ha evidenziato come la somministrazione ai malati di principi attivi come quello del tè verde, abbinata a tecniche terapeutiche, può essere di beneficio. Soprattutto nel controllo di alcune manifestazioni precoci del cancro alla prostata. Lo studio è stato condotto su 60 pazienti con lesioni pre-maligne ad alto rischio di tumore: col trattamento si è riusciti a prevenire la progressione della patologia o, in altri casi, a far diventare croniche le lesioni senza sviluppo del cancro. Alla luce dei risultati conseguiti nell’isola, si aprono altre strade. «Da un lato, si potrà lavorare su specifici obiettivi per migliorare l’azione e l’efficacia del meccanismo in chiave farmacologica - chiariscono gli studiosi dell’università di Sassari e della Porto Conte Ricerche - Dall’altro lato, i prototipi saranno sfruttabili nella nanochemioprevenzione durante gli stadi precoci del tumore alla prostata». _______________________________________________________ Corriere della Sera 15 feb. ’11 L' OMS: «L' ARIA CATTIVA DELLE CITTÀ? VIVREMO TUTTI NOVE MESI DI MENO» Per il nono giorno consecutivo i livelli di polveri sottili (Pm10) nell' aria di Roma sono oltre i limiti. C' è inquinamento anche nei parchi. Il Campidoglio ordina per oggi un nuovo blocco parziale della circolazione per i veicoli più inquinanti. In attesa che il meteo cambi, Roberto Bertollini, direttore scientifico dell' Organizzazione mondiale della Sanità Europa, avverte: «Di inquinamento muoiono 8 mila persone l' anno e uno studio dice che a causa dell' aria cattiva ogni persona vive 8,6 mesi in meno». L' INTERVISTA ROBERTO BERTOLLINI, DIRETTORE SCIENTIFICO, PER L' EUROPA, DELL' ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ «Aria cattiva, si vive 9 mesi di meno» Tira una brutta aria, a Roma: le centraline segnalano inquinamento anche nei parchi, non sempre ma spesso. I livelli di pm10 nelle vie di traffico sono oltre i limiti, giorno dopo giorno. «Quando il fenomeno è così acuto è meglio intervenire. Vero è che provvedimenti come "le domeniche a piedi" non hanno un significato strutturale: ma ridurre l' esposizione acuta, anche solo per uno o due giorni, può essere molto utile per la salute». Roberto Bertollini in materia è un' autorità: è romano ma lavora a Copenaghen, in Danimarca, perché è il direttore scientifico dell' Organizzazione mondiale della Sanità Europa. Per vent' anni, sempre all' Oms, è stato responsabile del settore «Inquinamento e salute». Bertollini, come giudica l' aria di Roma? «Preoccupante». Perché? «Perché gli episodi di inquinamento acuto portano conseguenze acute sulla salute». Le centraline che da giorni segnalano l' inquinamento oltre il livello consentito, al di là dei dati tecnici, cosa ci dicono? «Che si possono verificare precipitazioni delle malattie respiratorie, cardiovascolari. Solo per fare un esempio: è dimostrato scientificamente che dopo giorni di inquinamento acuto aumentano i ricoveri ospedalieri per crisi cardiache...». In questi casi si dice sempre: attenzione ai bimbi e agli anziani. «I piccoli rischiano danni sull' apparato respiratorio. In sintesi, si può danneggiare il normale sviluppo dell' apparato respiratorio. Senza considerare i fenomeni asmatici e il fatto che un simile inquinamento favorisce bronchiti, broncopolmoniti...». Si parla di inquinamento ormai da tantissimi anni: ma si sono attenuti anche risultati? «Con l' anidride carbonica sì. Con i Pm10 un piccolissimo miglioramento c' è stato, ma la media accettabile è sforata puntualmente. Poi c' è il pm2,5: ma si misura da poco tempo, è presto per parlarne». Di fatto, ai cittadini non rimane che subire passivamente... «Le domeniche a piedi, che certo non affrontano il problema da un punto di vista strutturale, hanno avuto l' effetto di ridurre l' esposizione acuta per qualche giorno con conseguenze molto utili per la salute. D' altro canto hanno permesso alla gente di venire a conoscenza del problema». L' Unione europea cosa fa? «Ha fissato i limiti dei giorni nei quali è tollerabile, in un anno, che l' inquinamento sia oltre i limiti. Ma per le città come Roma quei limiti si superano in pochi mesi...». Può dare qualche consiglio su come «proteggersi»? «Chi ha malattie croniche deve proprio evitare di uscire, soprattutto nelle ore pomeridiane che sono le più inquinate. Poi fare attenzione all' alimentazione, all' idratazione. In ogni caso, per parlare chiaro: è difficile sfuggire all' inquinamento, anche chiudendosi in casa si può ridurre un pochino ma non proteggersi completamente». I Verdi, a Roma, accusano: Alemanno inadempiente, Polverini intervenga a tutela della salute dei cittadini. «Bisogna dire che cambiare non è semplice. Certo, al di là dei provvedimenti adottati per ridurre le fasi acute, servirebbero decisioni forti: servirebbe una visione diversa di città. Puntare sul trasporto pubblico, sulle ciclabili, su una serie di iniziative che, però, non vengono prese. È chiaro, insomma, che non c' è una politica seria sulla relazione tra inquinamento atmosferico, aumento di Co2 e cambiamento climatico: queste questioni non sono affrontate in modo sistematico». Forse perché in molti hanno la sensazione che questi problemi siano solo teorici, non in grado di toccare la vita delle persone. «Ma non è così: di inquinamento muoiono ottomila persone ogni anno. Uno studio europeo dice che a causa dell' aria cattiva ogni persona vive 8,6 mesi in meno. Nove mesi di vita in meno: questo non tocca la vita delle persone?». Alessandro Capponi RIPRODUZIONE RISERVATA **** 8.000 Morti È il totale dei decessi l' anno imputato dagli esperti all' inquianemnto ambientale, frutto soprattutto dei gasi di scarico dei veicoli a motore e delle fabbriche **** 8,6 Mesi Secondo uno studio condotto in alcune metropoli europee i cittadini sottoposti a inquinamento ambientale vivrebbero in media 8,6 mesi in meno di chi abita in campagna **** 5 Centraline Gli impianti di monitoraggio della qualità dell' aria (a Preneste, Francia, Magna Grecia, Cinecittà e Tiburtina) che ieri hanno fatto sforato i livelli di Pm10 consentiti Capponi Alessandro _______________________________________________________ Sanità News 17 feb. ’11 LO SCETTICISMO SULL'EFFICACIA DEI FARMACI PUO' ANNULLARNE EFFETTO Chi usa da troppo tempo un farmaco e non crede piu' nella sua efficacia potrebbe anche finire per influenzarne l'efficacia, riducendola. Uno studio britannico su 22 pazienti ha testato l'influenza degli stati emotivi sull'azione degli antidolorofici. La ricerca e' pubblicata su Science Translational Medicine. I ricercatori hanno indotto uno stimolo doloroso (intenso calore ad una gamba) ai volontari, mentre veniva loro somministrato di nascosto un analgesico via flebo. In una prima fase dovevano giudicare l'entita' del dolore su una scala da 1 a 100. La valutazione iniziale era 66, ma non appena veniva loro somministrato il farmaco, senza avvertirli, la valutazione scendeva a 55. Ma la sorpresa e' arrivata piu' tardi: se veniva loro rivelato di essere sotto effetto degli antidolorifici la valutazione del dolore scendeva di colpo a 39. In un secondo momento, se veniva comunicato di aver fermato la somministrazione - che in realta' continuava - il punteggio saliva nuovamente a 64. ''E' fenomenale. Abbiamo usato uno dei migliori antidolorifici disponibili - spiega la ricercatrice Irene Tracey della Oxford University - e l'influenza del cervello puo' sia incrementare il suo effetto che annullarlo''. DRUG EFFICACY The Effect of Treatment Expectation on Drug Efficacy: Imaging the Analgesic Benefit of the Opioid Remifentanil 1. Ulrike Bingel1,2,*, 2. Vishvarani Wanigasekera1, 3. Katja Wiech1, 4. Roisin Ni Mhuircheartaigh1, 5. Michael C. Lee3, 6. Markus Ploner4 and 7. Irene Tracey1 +Author Affiliations 1. 1Oxford Centre for Functional MRI of the Brain, Nuffield Department of Clinical Neurosciences (Division of Anaesthetics), University of Oxford, OX3 9DU Oxford, UK. 2. 2NeuroImage Nord, Department of Neurology, University Medical Center Hamburg-Eppendorf, 20246 Hamburg, Germany. 3. 3Division of Anaesthesia, Cambridge University, Addenbrookes Hospital, CB2 0QQ Cambridge, UK. 4. 4Department of Neurology, Technische Universität München, 81675 Munich, Germany. 1. *To whom correspondence should be addressed. E-mail: bingel@uke.de ABSTRACT Evidence from behavioral and self-reported data suggests that the patients’ beliefs and expectations can shape both therapeutic and adverse effects of any given drug. We investigated how divergent expectancies alter the analgesic efficacy of a potent opioid in healthy volunteers by using brain imaging. The effect of a fixed concentration of the ?-opioid agonist remifentanil on constant heat pain was assessed under three experimental conditions using a within-subject design: with no expectation of analgesia, with expectancy of a positive analgesic effect, and with negative expectancy of analgesia (that is, expectation of hyperalgesia or exacerbation of pain). We used functional magnetic resonance imaging to record brain activity to corroborate the effects of expectations on the analgesic efficacy of the opioid and to elucidate the underlying neural mechanisms. Positive treatment expectancy substantially enhanced (doubled) the analgesic benefit of remifentanil. In contrast, negative treatment expectancy abolished remifentanil analgesia. These subjective effects were substantiated by significant changes in the neural activity in brain regions involved with the coding of pain intensity. The positive expectancy effects were associated with activity in the endogenous pain modulatory system, and the negative expectancy effects with activity in the hippocampus. On the basis of subjective and objective evidence, we contend that an individual’s expectation of a drug’s effect critically influences its therapeutic efficacy and that regulatory brain mechanisms differ as a function of expectancy. We propose that it may be necessary to integrate patients’ beliefs and expectations into drug treatment regimes alongside traditional considerations in order to optimize treatment outcomes. _______________________________________________________ Corriere della Sera 15 feb. ’11 VERSO LA VITA ARTIFICIALE ECCO LE PROTEINE SINTETICHE L' AVVENIRISTICO ESPERIMENTO DI MICHAEL HECHT ALL' UNIVERSITÀ DI PRINCETON Assenti in natura, sono in grado di far crescere la cellula Il passo successivo? Arrivare a una cellula interamente prodotta in laboratorio Si parla sempre più spesso di «vita sintetica» o di «vita artificiale». Lo scopo di tali ricerche è quello di vedere fino a che punto siamo in grado di progettare e produrre in laboratorio cellule viventi, del tipo di quelle già esistenti in natura, ma anche di altre che in natura non si trovano. Fino adesso si era lavorato sui geni e sui genomi, soprattutto a opera del biologo statunitense Craig Venter e del suo gruppo. Un gruppo di ricercatori dell' Università di Princeton guidati dal chimico Michael Hecht hanno scelto ora di lavorare direttamente sulle proteine, che rappresentano in ogni caso la materia e la forma delle diverse funzioni della cellula. In un lavoro appena pubblicato su PLOS-One, un' importante rivista del campo della biologia d' avanguardia, i nostri autori riportano i risultati di un loro avveniristico esperimento che è consistito nel sintetizzare proteine che non esistono in natura, inserirle in una cellula batterica in difficoltà e ricuperarne la piena funzionalità, anche agendo per così dire «alla cieca». L' idea è semplice. In teoria possono esistere un' infinità di proteine diverse, ma in natura se ne trovano solo alcune centinaia di migliaia. Come mai? E' un problema di continuità storica o alcune non sono proprio adatte alla vita? Oggi siamo in grado di progettare a tavolino milioni di nuove forme di proteine e di produrle direttamente o di farle produrre da appositi geni anch' essi progettati alla bisogna. I ricercatori dell' Università di Princeton ne hanno così progettate e prodotte molte, che avessero il requisito minimo di assumere forme stabili all' interno delle cellule, e le hanno introdotte in mutanti batterici che non erano in grado di crescere e moltiplicarsi perché vi erano stati distrutti geni vitali. Così operando hanno ottenuto la sopravvivenza e la crescita delle cellule che hanno ricevuto le nuove proteine sintetiche. Ciò significa che alcune di esse sono altrettanto «buone» delle proteine naturali e si dimostrano capaci di sostenere la crescita della cellula batterica in questione. E' stata la cellula batterica stessa che «ha scelto» le proteine giuste, selezionandole tra tutte quelle che vi sono state inserite. Non si tratta di una selezione consapevole, ovviamente, ma solo del risultato del fatto che quelle che non hanno fatto la scelta giusta muoiono, mentre quelle che hanno favorito la moltiplicazione delle proteine giuste sopravvivono e si moltiplicano. Per ora questo dimostra soltanto che le proteine naturali non sono indispensabili e che possono essere surrogate da proteine interamente sintetiche, ma è sicuro che in un prossimo futuro si potrà anche determinare quali sono esattamente queste proteine «salvavita» e che proprietà possiedono in queste cellule o in altre ancora. Il pensiero corre subito al morbo di Alzheimer che è il risultato di una precipitazione anomala di certe proteine naturali nei neuroni del cervello delle persone affette. Qualche mese fa si parlò molto degli ultimi esperimenti del gruppo di Craig Venter, che ha «trasformato» una cellula batterica in un' altra, inserendoci il Dna del genoma di un diverso ceppo. A chi ha parlato in quella occasione di vita sintetica è stato obbiettato che il Dna era sì sintetico, ma la cellula era preesistente e «naturale». Il passo successivo è rappresentato quindi dalla produzione di una cellula anch' essa sintetica. Poiché la cellula è fatta essenzialmente di proteine, l' esperimento di Hecht e collaboratori potrebbe rappresentare il preludio a questa nuova avventura. Ne vedremo delle belle, quindi, in un prossimo futuro. Quello che è certo è che così facendo potremo comprendere sempre meglio qual è la vera essenza della vita, almeno di quella biologica. RIPRODUZIONE RISERVATA **** 25 mila: è il numero dei geni umani che producono le proteine Boncinelli Edoardo _______________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’11 NON È VERO CHE LA VITA NON HA PREZZO di ROBERTO SATOLLI In un mondo che pretende di stabilire il prezzo di ogni cosa senza conoscere il valore di alcuna, quanto vale una vita umana? Il borsino va su e giù, ma la stima più accreditata è tuttora quella della americana Environmental Protection Agency (EPA), ovviamente espressa in dollari: 7,9 milioni. Non è una cifra che gli esperti sventolano volentieri. Qualche anno fa l'amministrazione Bush aveva cercato di ridurne il valore almeno per gli anziani, poi aveva ottenuto uno sconto a 7 milioni netti. Quando la stampa se ne era accorta, erano piovute critiche feroci: ci ha pensato Obama a riportarla a quota 7,9. Di fatto si usa questa valutazione quando si devono prendere decisioni politiche, soppesando i costi e i benefici di adottare un provvedimento pubblico, per esempio la riduzione dell'inquinamento in una città. La domanda in questo caso è: quanto siamo disposti a spendere per salvare una vita? Oppure all'inverso, quante vite siamo disposti a sacrificare per risparmiare denaro pubblico? Quando si fanno questi ragionamenti c’è chi si alza indignato a ricordare che la vita umana non ha prezzo. Sciocchezze: è evidente che un prezzo ce l'ha, visto che siamo disposti a mercanteggiare migliaia di morti l'anno (tra incidenti ed effetti dell'inquinamento) per il vantaggio di continuare ad avere una serie di comodità. Ma non ci piace che ce lo ricordino. Così all’Epa la giurista Lisa Heinzerling ha avuto l'idea di cambiare etichetta. Non più l'orribile termine di "valore di una vita statistica", d'ora in poi si parlerà'solo di "dollari per micro rischio l'anno". Non c'è dubbio che fa tutto un altro effetto, ma cosa vuole dire? Per "micro"si intende un rischio di morte su un milione, e il suo valore è, guarda caso, di 7,9 dollari. Basta moltiplicare per un milione per scoprire che si tratta della stessa cosa, anche se formalmente non si attribuisce più un valore alla vita umana, ma ad un rischio. Nella sostanza non cambia nulla, ma si spera così, sfruttando la scarsa consuetudine del pubblico con la matematica e con il concetto di probabilità, di rendere meno indigesta una verità scomoda. _______________________________________________________ Sanità News 16 feb. ’11 L'ECSTASY NON PRODUCE EFFETTI SULLE FUNZIONI COGNITIVE Sebbene nocivo alla salute, il consumo dell'ecstasy non intacca la sfera cognitiva. A sostenerlo e' uno studio statunitense pubblicato sulla rivista Addiction e realizzato grazie a un finanziamento di 1,8 milioni di dollari da parte del National Institute on Drug Abuse (NIDA). ''Questa ricerca non e' la prima a individuare i limiti dei precedenti studi sul consumo di ecstasy'', spiega John Halpern, primo autore della ricerca. Lo studio e' stato specificamente progettato per ridurre al minimo i limiti metodologici delle ricerche condotte in precedenza: gli studiosi hanno esaminato le risposte cognitive di soggetti che fanno uso esclusivamente di ecstasy - perche' il contestuale consumo di altre droghe potrebbe contribuire all'emergere di danni cognitivi - e li hanno sottoposti ai test solo quando erano ''puliti''. ''Abbiamo rilevato che l'ecstasy non ha effetto sulle funzioni cognitive, che e' molto diverso da concludere che il suo consumo e' 'risk-free'. Il consumo di ecstasy rimane pericoloso''. _______________________________________________________ Corriere della Sera 15 feb. ’11 MICROBI, IL TEMPO DELLE MIGRAZIONI RICERCA USA: LE RENNE «FUGGONO» DAI TAFANI E LE FARFALLE MONARCA SI AMMALANO SOLO SE SI FERMANO In viaggio con insetti e animali, ma non sempre diffondono patologie C' è chi migra per migliaia di chilometri alla ricerca di una nuova casa, chi di un partner con cui unirsi, chi per trovare nuovi fonti alimentari. Ma nel mondo animale c' è anche chi, via mare, via terra o via cielo, viaggia per fuggire o difendersi dalle malattie. «Le migrazioni - spiega infatti Sonia Altizer dell' Odum School of Ecology dell' Università della Georgia (Usa)- possono consentire di allontanarsi da ambienti infetti, ridurre la pericolosità della patologia e favorire l' evoluzione di agenti patogeni meno virulenti». «Ad esempio - continua Altizer - durante le loro migrazioni estive, le renne cercano di allontanarsi dai tafani che le tormentano. Mettendosi in viaggio i mammiferi abbandonano infatti i territori dove in primavera sono nati i loro piccoli, infestati dalle larve di questi fastidiosi insetti, che si trasformeranno poi in aggressivi adulti». Tra i casi illustrati da Altizer e due sue colleghe (la ricerca è stata pubblicata sulla rivista Science), quello delle monarche, farfalle note per le loro migrazioni. Quando trovano un ambiente adatto, questi insetti possono diventare sedentari, come accade in Florida, nelle isole caraibiche, nel Centro-Sud America e alle Hawaii. «Proprio queste popolazioni - sottolinea ancora Altizer - risultano essere infette nel 95% dei casi da un protozoo che, oltre a debilitarle, interferisce con la loro capacità di volare e accorcia le loro vite. Invece, le farfalle che migrano in autunno dal Canada al Messico centrale, intraprendendo in primavera il viaggio di ritorno, hanno una percentuale di infezione molto bassa, stimabile dal 2 al 15 per cento. Probabilmente la sedentarietà aumenta la possibilità di contatto con i parassiti che vivono in quell' ambiente». Le migrazioni fungono poi da fattore selettivo. Molti esemplari debilitati muoiono durante il viaggio, riducendo così la percentuale di individui contagiati che potrebbero contribuire a diffondere la patologia. In altri casi le stesse migrazioni sono condizionate dalle patologie. Succede, per esempio, ai cigni. Gli esemplari infetti da influenza aviaria a bassa patogenicità, ritardano anche di un mese la loro partenza e viaggiano a distanza minore rispetto agli individui sani. I grandi viaggi degli animali rappresentano però uno strumento anche di diffusione di contagi. La Baia di Delaware (Usa), ideale e affollato punto di sosta per i migratori americani, può ospitare sino a un milione e mezzo di uccelli con una densità di oltre 200 volatili per metro quadro. Qui la presenza della influenza aviaria è 17 volte maggiore che in qualsiasi altra parte del mondo. Un recente studio francese, pubblicato su Journal of Applied Ecology, ha dimostrato però che le probabilità che gli uccelli migratori diffondano rapidamente l' influenza aviaria su grandi distanze, come a un certo tempo temuto, sono piuttosto basse. Le soste che vengono effettuate dalla maggior parte dei volatili nel corso delle loro migrazioni per riprendere le forze, durano infatti più a lungo degli stadi dell' infezione. Questo fatto, quindi, costituirebbe una sorta di barriera per la diffusione del virus. Roberto Furlani RIPRODUZIONE RISERVATA **** 800.000 i chilometri percorsi dalle balene grigie nell' arco della loro vita (è un' andata e ritorno Terra- Luna) **** 5.000 i chilometri percorsi dalla farfalla monarca durante la migrazione: dal Canada al Messico e ritorno Furlani Roberto _______________________________________________________ Corriere della Sera 15 feb. ’11 I ROBOT CHIRURGICI DIVENTANO INTELLIGENTI PROGETTO EUROPEO A VERONA Biopsie, incisioni e suture fatte dai robot. Senza bisogno del chirurgo. Mini interventi programmati prima dell' intervento e che il «bisturi automatico» fa poi da solo. Fino ad arrivare a interventi a distanza, in situazioni estreme, abbinando l' intelligenza artificiale alla telechirurgia. Fantascienza? No, secondo l' Università di Verona: dal primo marzo lavorerà proprio a un progetto con tali obiettivi. Si chiama I-Sur ed è finanziato dalla Comunità europea con 3.929.667 euro. Durerà 42 mesi. È una nuova frontiera: quella dei robot chirurgici intelligenti. Dalla completa automazione, a cominciare da piccoli interventi. I chirurghi si focalizzeranno sugli aspetti più delicati dell' intervento e lasceranno alle nuove tecnologie semplici compiti come suture e incisioni. Si potranno anche migliorare precisione e velocità e incorporare i compiti automatici nei sistemi di telechirurgia, dove il chirurgo non può essere accanto al paziente, come nel caso di calamità naturali. La ricerca è coordinata da Paolo Fiorini, del dipartimento di Informatica veronese. Il progetto prevede anche nuovi design e interfaccia, lo studio di parametri per constatare il successo e per testare se i metodi utilizzati rispettano i requisiti di sicurezza, e l' approfondimento dei risvolti legali dei «bisturi intelligenti». E perché no, si può arrivare a migliorare prestazioni ed efficienza senza far aumentare i costi operativi. I robot in chirurgia sono stati introdotti per la prima volta come guida per gli interventi di neurochirurgia e più tardi sono stati utilizzati per laparoscopie, prostatectomie e in chirurgia ortopedica. Attualmente in chirurgia non vengono utilizzati strumenti automatici, con l' eccezione delle cucitrici, che non hanno sensibilità né autonomia, e di alcuni strumenti per il filtraggio del tremore delle mani. I robot chirurgici per gli interventi poco invasivi (come il Da Vinci) riproducono i movimenti del chirurgo tramite un joystick e danno la possibilità di avere un feedback esclusivamente su video. I-Sur vuole andare oltre, a un sistema realmente automatico. E a Verona credono sia possibile. Insieme al dipartimento di Informatica diretto da Carlo Combi, a I-Sur lavoreranno Claudio Bassi (chirurgia generale) e Giovanni Meruzzi (diritto commerciale), per gli aspetti giuridici e legali. Mario Pappagallo