RASSEGNA STAMPA 06/12/2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid =133 ATENEI SARDI, PERFORMANCE NEGATIVE - UNICA: L’INAUGURAZIONE SUPER DELL’ATENEO DECLASSATO - UNICA: UNIAMOCI CONTRO IL TAGLIO DEI FONDI - UNICA: TASSE PIÙ ALTE E CORSI CANCELLATI: CHI PENSA A NOI? - UNICA: MA COSA C’È DA INAUGURARE, QUESTO È UN ALTRO FALLIMENTO - UNICA: UNIVERSITÀ SENZA GRANDI LODI «CLASSIFICA INGIUSTA - ALL'UNIVERSITÀ TRIONFA LA LEGGE DEI MACACHI - CONFINDUSTRIA: RIFORMA UN'OCCASIONE STORICA PER I NOSTRI ATENEI - FREQUENZA E SCADENZE DEGLI ESAMI. NUOVE REGOLE PER L' UNIVERSITÀ - FONDO PER IL MERITO, SCELTA DA DIFENDERE - IL MERCATO SALE IN CATTEDRA - I LAUREATI CON TITOLO SPECIALISTICO GUADAGNANO IN MEDIA 37.620 EURO - DOPO LA LAUREA PRENDO IL DIPLOMA - I LINCEI: NON C'È BIOLOGIA SENZA DARWIN - DARWIN METTE IN IMBARAZZO IL CNR LITE TRA STUDIOSI SUL CREAZIONISMO - LA SANTA INQUISIZIONE DARWINIANA - CABIBBO: CREAZIONISMO LOTTIZZATO AL CNR - ECCO I SUPER CERVELLI OFFLINE LA BANCA DATI DEGLI ATENEI D'ECCELLENZA - NEL GORGO DEGLI ANTICHI MOSTRI I "MOTORI" CHE ALTERANO IL CLIMA - CELLI (LUISS): FIGLIO MIO FUGGI ALL'ESTERO - IL FUTURO DOPO LE E-MAIL - TELECOMUNICAZIONI: IL WEB DEL FUTURO ARRIVA IN EUROPA - BRUNETTA: GENTILEZZA PER LEGGE - BRUNETTA: MEDICI IN CORSIA FINO A 70 ANNI - COLLEZIONISTA SCOPRE DUE DITA DI GALILEO IN UN'AMPOLLA ANTICA - SARDEGNA MILLENARIA DAL PRIMO UOMO ALL'ETÀ NURAGICA - IL PRIMO UOMO IN SARDEGNA? ANCORA MISTERO SULLE DATE - IL CASTELLO FU ABITATO DAI ROMANI - LA MAGIA MATEMATICA DELLE BOLLE DI SAPONE - CLIMA NEL VORTICE DEI NUMERI - ======================================================= SUBITO L'INCHIESTA SUI BILANCI DELLE ASL - AZIENDA MISTA, STOP AL COMMISSARIO - A NATALE TUTTI SUL PONTE SOPRA LA 554 - MICROCITEMICO: L’ASSESSORE AI MEDICI: «SIETE UN’ECCELLENZA - ASL E AO, INNOVAZIONE A METÀ - CAGLIARI E SASSARI, 142 BORSE PER GLI SPECIALIZZANDI - LE SPECIALIZZAZIONI. POCHI I POSTI NELLE SCUOLE UNIVERSITARIE - LA FUGA DEI MEDICI: IN VENT' ANNI POSTI-LETTO DIMEZZATI - E SE DOPO IL PROCESSO ARRIVASSE ANCHE LA DIAGNOSI BREVE? - GENERAZIONE NO-CONDOM TRA I RAGAZZI TORNA LA SIFILIDE - LA MEMORIA VIENE DORMENDO - SESSO: QUELLA POMATA GRADITA ALLA CHIESA BREVETTATA A CAGLIARI - DALLA HARVARD UNIVERSITY UNA LUCE ROSSA PER INDIVIDUARE IL CARCINOMA MAMMARIO - L’UOMO NON SFRUTTI MAI L'UOMO (ANCHE SE SARÀ «SINTETICO») - L’ARTERIOSCLEROSI NON É MODERNA. CE L'AVEVANO GIÀ !E MUMMIE EGIZIE - IL CELLULARE MINACCIA IL CERVELLO? NO, SÌ, FORSE - USA, PRIMO SÌ ALL' USO DELLE CELLULE EMBRIONALI - PISA: PRIMA MANO BIONICA, DIALOGA CON LA MENTE - LA COLLA: LA DOPPIA FACCIA DEL VACCINO CONTRO L’INFLUENZA - ======================================================= _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 nov. ’09 ATENEI SARDI, PERFORMANCE NEGATIVE Università. A metà classifica per gli incentivi, ma con valutazioni che suscitano altri timori La didattica e la ricerca ancora da migliorare a Sassari e a Cagliari PIER GIORGIO PINNA SASSARI. Conferme non esaltanti per le università sarde. Sassari e Cagliari restano a metà classifica in una nuova graduatoria sugli atenei italiani. L’ha elaborata Il Sole 24 Ore. Che ha fatto ricorso, come base delle tabelle, agli ultimi aggiustamenti dei parametri ministeriali riferiti al 2008. Ma dalle analisi emergono limiti che rafforzano i timori e le preoccupazioni. Soprattutto su ricerca e didattica. I due atenei registrano alcune tra le più scadenti performance rispetto agli indicatori di qualità Miur. Esattamente, sui parametri per l’assegnazione dei 523,4 milioni d’incentivi al merito. Sassari è terzultima su 56 sedi per «dispersione iniziale». Significa che più dell’85% degli immatricolati non riesce ad arrivare al 2º anno con almeno 2/3 dei crediti. L’85% di loro non incassa cioè un’adeguata quantità di valutazioni. E rallenta così la corsa verso una laurea in tempi regolari. Cagliari (all’80,9% nella tabella precedente) è a sua volta al terzultimo posto per la quota di laureati 2004 che hanno trovato lavoro a 3 anni dal conseguimento del titolo: solo il 57,2% (dati Istat). Sassari è al 60,4%. Per la prima volta nelle medie ponderate si è tenuto conto dell’area geografica di riferimento. E si è quindi fatto un raffronto con l’Italia insulare, non con le zone più ricche. Nelle graduatorie generali su didattica e ricerca l’ateneo del capoluogo occupa rispettivamente il 24º e il 23º posto. Sassari è invece 39ª per l’insegnamento e 36ª per la capacità d’innnovazioni e indagini scientifiche. Le due classifiche, in base alla quota ottenuta da ogni ateneo sul totale degli incentivi, sono guidate da Bologna (per la didattica), cui andrà il 6,47% dei fondi, e dalla Sapienza (per la ricerca), che beneficerà del 7,16%. A Cagliari e a Sassari - come già reso noto dall’individuazione dei tagli, per complessivi 6 milioni - andranno rispettivamente l’1,69% e lo 0,74% degli incentivi per la didattica e l’1,42% e lo 0,83% di quelli per la ricerca. I criteri ministeriali per le graduatorie generali, nonostante le revisioni adottate su scala geografica per evitare penalizzazioni eccessive nei riguardi del Sud, finiscono comunque per favorire le università più grandi. E non a caso proprio a loro sono destinati i maggiori fondi. Nel complesso gli incentivi per la didattica ammontano a 177,9 milioni, quelli per la ricerca a 345,5. Ed ecco gli altri «voti» su tematiche specifiche evidenziate nel dettaglio. Iscritti con almeno 5 crediti nel 2008: a Cagliari il 74,4%, a Sassari il 72,6. Giudizio degli studenti sugli atenei: a Cagliari soddisfatti 70,6 su 100, a Sassari 84,7. Produzione scientifica: Cagliari 1,57 e Sassari 1,10 (dato percentuale sulla distribuzione dei fondi per ateneo, c’è anche chi ha ottenuto il 7,75). Brevetti: Cagliari con lo stesso criterio è al 3,54 e Sassari appena allo 0,20. Successi europei: Cagliari 0,97 e Sassari 0,32. Negli elenchi le uniche università da 110 e lode si confermano La Sapienza e l’Alma Mater. Bene Trento, Venezia Iuav, Politecnico di Milano, Ferrara, Pisa. 2 – _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 Dic. ’09 UNICA: L’INAUGURAZIONE SUPER DELL’ATENEO DECLASSATO «Positiva l’attenzione della classe politica su conoscenza e ricerca nel programma di sviluppo» Università. Docenti in toga ed ermellino per una cerimonia dismessa da una ventina d’anni, discorso del rettore Melis e lezione magistrale sul cervello CAGLIARI. Toghe, pellicetta, discorso generico del rettore e prolusione sul funzionamento del cervello negli adolescenti da parte di un big delle neuroscienze: l’anno accademico dell’università è stato inaugurato. Impossibile approfondire gli argomenti toccati a volo d’uccello perché dopo l’uscita in processione col mazziere ad aprire la fila, il rettore non si è concesso alle domande. Nel discorso di inaugurazione gli argomenti sono stati presentati senza priorità. Sfiorato il tema della bassa considerazione di cui gode l’università di Cagliari presso il ministero (con «la perdita di 5 milioni di euro per gli atenei regionali»,), un accenno alla necessità di valutare l’ateneo con parametri diversi e adeguati, è stata richiesta «particolare attenzione al potenziamento delle condizioni di ricettività degli studenti», con l’invito a «superare le difficoltà burocratiche perché vengano impiegate le risorse disponibili per l’edilizia residenziale universitaria». Inutile chiedersi quale sia il punto di vista del rettore sulle scelte da fare per favorire gli studenti e sul fatto che per un po’ si resterà in attesa, causa la perdita di 15 milioni di euro per la casa dello studente di Cagliari. Il discorso del rettore impaginato nella brochurina di buona carta è andato per capitoli e uno riguardava l’internazionalizzazione. Cagliari deve mandare il maggior numero possibile di studenti fuori e deve accogliere sempre più studenti stranieri: «è importante potenziare l’offerta formativa in lingua inglese... incoraggiare le co-tutele e l’adozione del dottorato europeo». Il nuovo assetto organizzativo interno dell’università: «... la moderna università di massa, non più basata soltanto sulla comunità di maestri e discenti, richiede al personale tecnico amministrativo un contributo professionale significativo per il pieno svolgimento delle attività istituzionali... sono ottimista, nell’ateneo esistono a tutti i livelli competenze e professionalità importanti... mi auguro che le organizzazioni sindacali diano il loro fattivo contributo». Un dialogo da avviare: i sindacati ci avevano provato il 17 novembre invitando il rettore a partecipare al convegno dove si parlava di quali risorse il territorio di Cagliari potesse schierare per promuovere sviluppo, l’università era considerata una di queste, ma l’ateneo aveva disertato. A proposito di assenze: ieri non c’erano i candidati rettori Faa, Del Zompo, Sassu. Dunque il nuovo rettore ha valutato positivamente l’attenzione della classe politica verso gli atenei sardi, «costituisce un forte incoraggiamento la sensibilità dimostrata nel potenziare il fondo unico regionale ed il ruolo riservato nel programma di sviluppo alla conoscenza e, più in particolare, alla didattica, a ricerca e innovazione». Una preoccupazione sono i risultati non positivi dei test d’ingresso degli studenti: bisogna rafforzare il rapporto con le scuole. Crescerà il policlinico di Monserrato, si farà il campus tra palazzo delle Scienze e Sa Duchessa, Architettura vorrebbe allestire laboratori didattici nell’ex manifattura tabacchi. (a. s.) LA CERIMONIA. Un modo per richiamare l’attenzione sui pesanti problemi dell’università in Italia, stato che non fa ciò che altri stati hanno fatto per fronteggiare la crisi: investire in cultura e ricerca. Invece «l’impegno finanziario rischia di scendere sotto l’1 per cento del Pil». LA PROTESTA. Al di là dei toni e dei coretti dai contenuti un po’ qualunque, gli studenti ieri hanno manifestato contro un fatto: lo studente non è al centro del progetto universitario. Logistica, edilizia, servizi sono ancora lontani dagli standard necessari. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Dic. ’09 UNICA: UNIAMOCI CONTRO IL TAGLIO DEI FONDI Il messaggio del rettore: non siamo un Ateneo di serie B Inaugurato ieri l'anno accademico 2009-2010. Gli studenti: vogliamo contare di più. Il personale: siamo molto preoccupati Dopo 18 anni di assenza ritorna all'Università di Cagliari la cerimonia d'inaugurazione dell'anno accademico. Il rettore Melis cambia la rotta segnata dal suo predecessore e ridà il via alle danze. La differenza si vede dall'inizio dell'anno. Il nuovo rettore Giovanni Melis rompe la tradizione del predecessore e rispolvera il rito che per 18 anni è rimasto in soffitta. Inaugurare il nuovo anno accademico dell'Università diventa così un evento storico per Cagliari che per tutto il tempo dell'era Mistretta ne aveva fatto a meno. L'inquilino che da ottobre occupa Palazzo Belgrano ripristina la vecchia usanza e, poco dopo le 10, concesso il quarto d'ora accademico, apre ufficialmente le danze per il 2009-2010, per la prima volta in diretta web su unica.it: sotto il segno del suo 59° mandato e con la formula di rito aggiornata nell'anno («nel 389mo anno dal Privilegio reale di Fondazione di Filippo III, re di Spagna») che non si sentiva più dal '91, cioè dai tempi di Duilio Casula. Una cerimonia che richiama nell'antica sala del rettorato di via Università le massime autorità civili, militari e religiose (sindaco, arcivescovo, qualche politico), oltre ai principali esponenti dell'Ateneo, tra i quali spicca l'assenza dei magnifici quattro che sfidarono Melis nella corsa al rettorato. LA CERIMONIA Il rito, solenne, si apre con l'avvio del corteo accademico e l'ingresso del mazziere (il bidello più anziano dell'Università) nell'aula magna: al centro della sala, sullo scranno più alto il Magnifico, alla sua sinistra quattro prorettori, altri tre alla sua destra. Davanti a loro il Senato accademico, i presidi delle facoltà e la rappresentanza degli studenti. «Il ripristino della cerimonia d'inaugurazione dell'anno accademico - esordisce Melis nella sua relazione - vuole assumere un significato alto e irrinunciabile: un'occasione per richiamare all'unità di intenti e alla condivisione di obiettivi l'intera comunità dell'Ateneo». LA RELAZIONE L'incubo dei tagli ai finanziamenti, il declassamento dell'Università nelle graduatorie ministeriali e le troppe incognite che pesano sul futuro sono lo scenario su cui il rettore costruisce il suo discorso. Che parte da un punto dolente: quest'anno 5 milioni in meno nelle casse dell'Università e la certezza che dal 2010 i tagli al Fondo di finanziamento ordinario si faranno più sentire. «Il nostro Ateneo - ricorda Melis - è stato collocato al 41° posto nella graduatoria della premialità ministeriale». L'obiettivo è scontato: bisogna cercare di ottenere più fondi dallo Stato migliorando i parametri della premialità. Questo perché finora non si sono considerati «i caratteri della nostra specifica realtà territoriale e i condizionamenti prodotti dall'insularità sul sistema socio-economico, sull'attrattività di studenti e docenti, sull'offerta formativa». Il rettore però si dice ottimista: «Nell'Ateneo esistono a tutti i livelli competenze e professionalità importanti da valorizzare a sostegno del processo di rinnovamento; mi auguro che i sindacati diano il loro fattivo contributo». In questo scenario, Melis trova «positivi l'attenzione e l'impegno della Giunta regionale verso gli atenei sardi: è un forte incoraggiamento per noi l'aver potenziato il fondo unico regionale e aver riconosciuto alla didattica, alla ricerca e all'innovazione il giusto risalto nel programma di sviluppo della conoscenza». Il rettore dedica alcuni passaggi della sua relazione anche all'attività sanitaria e al completamento delle strutture dell'ex Policlinico, ai progetti edilizi e, primo fra tutti, al campus urbano a cui Melis lega la risoluzione di gran parte dei problemi dei pendolari. GLI STUDENTI Rivendica il riconoscimento dello stato di cittadinanza studentesca il presidente del Consiglio degli studenti, Andrea Coinu. «È chiaro che il primo problema da affrontare, anche per la sua semplicità, è la carenza di fondi che permettono agli studenti di avere servizi migliori». Perché la quotidianità di chi studia è fatta di problemi concreti: mense, biblioteche strapiene, assenza di aule, difficoltà a spostarsi dentro la città. IL PERSONALE Daniela Zedda, rappresentante del personale tecnico-amministrativo nel Senato accademico, va subito al sodo contestando il disegno di legge di riforma delle Università. «Non ci considera minimamente, non è prevista alcuna nostra rappresentanza in nessuno degli organi accademici, è chiara la volontà di volerci estromettere dalla vita dell'ateneo. La nostra preoccupazione - denuncia - è quindi grande e l'unica speranza è che in Parlamento si metta mano a questo disegno centralistico, pur ritenendo che un cambiamento di rotta dell'intero sistema universitario sia necessario». CARLA RAGGIO _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Dic. ’09 UNICA: TASSE PIÙ ALTE E CORSI CANCELLATI: CHI PENSA A NOI? L'eco delle urla degli studenti risuona dentro il rettorato mentre, in pompa magna, si inaugura il nuovo anno accademico. «Buffoni, buffoni», rilanciano alcune voci da dietro lo striscione che eloquentemente spiega il motivo della protesta di questo drappello “trasversale” che unisce un po' tutte le facoltà. “Siete la vetrina di un negozio in fallimento”, è scritto a inchiostro blu inciso su un telone bianco, in bella mostra di fronte al portone di via Università dove entrano gli invitati della cerimonia. Contro chi ce l'hanno? «Contro il rettore e tutti quelli che stanno dentro, compresi i molti rappresentanti degli studenti complici di questo sistema». In un volantino si spiegano ancora meglio: «Ma cosa c'è da inaugurare? Forse il dimezzamento dei fondi per la ricerca? O l'eliminazione di numerosi corsi di laurea? Vogliamo inaugurare, per caso, il continuo aumento delle tasse da un paio d'anni a questa parte? O il processo di privatizzazione dell'Università? Vogliamo inaugurare per caso tutte le nuove riforme con annesso il silenzio di rettore, presidi e corpo docente?». Al posto della cerimonia di inizio d'anno avrebbero preferito riunirsi tutti, «dai professori agli studenti e al personale amministrativo, per cercare di affrontarli questi problemi: insomma l'Università sta fallendo e loro sono qui a far celebrazioni». Nel gruppo di studenti si coglie la voce di protesta verso il progetto di federalismo dei due atenei sardi. «Penalizzerà gli studenti e molti saranno costretti a trasferirsi a Sassari, visto che a Cagliari siamo tanti e ci sono pochi _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 Dic. ’09 MA COSA C’È DA INAUGURARE, QUESTO È UN ALTRO FALLIMENTO Studenti giù in strada compatti: «Basta con la privatizzazione» CAGLIARI. «Inaugurazione dell’anno accademico, inaugurazione di un fallimento»: sopra il rettore, il rappresentante degli studenti e la delegata del personale non docente parlavano con accenti diversi dei problemi dell’università e molto, studente e delegata, hanno criticato la riforma Gelmini, sotto, in strada, davanti all’ingresso, un gruppetto di studenti scandiva slogan e distribuiva volantini. Cosa c’è da inaugurare? Non si faceva più da 20 anni, ricominciare quest’anno è sembrato quantomeno curioso. «Vogliamo inaugurare per caso il dimezzamento dei fondi per la ricerca? Vogliamo inaugurare l’eliminazione dei corsi di laurea? Il continuo aumento delle tasse da un paio d’anni a questa parte? Il processo di privatizzazione dell’università? Vogliamo inaugurare per caso tutte le nuove riforme con annesso il silenzio di rettore, preside e corpo docente? Per noi - si continua nel volantino - c’è da inaugurare solo un nuovo fallimento. Contestiamo tutti i partecipanti a questo evento, compresi i molti rappresentanti degli studenti, diamo solidarietà a tutti coloro che, seppure invitati, per manifestare il proprio dissenso non si sono presentati. Esortiamo i partecipanti, le studentesse e gli studenti a mobilitarsi per una università migliore, anziché farsi abbagliare da false vetrine mediatiche». Poi i coretti che accompagnavano l’uscita delle diverse autorità. Ma al piano di sopra gli studenti attraverso il rappresentante Andrea Coinu non mandavano a dire quanto grave fosse il fatto che in un disegno di legge, a proposito di atenei, non si affacci mai il tema della cultura e si parli soltanto di peso delle università sul bilancio dello Stato. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 nov. ’09 UNICA: UNIVERSITÀ SENZA GRANDI LODI «CLASSIFICA INGIUSTA» Se ne laureano non più di cinquemila all'anno e una volta giunti al traguardo non trovano subito un'occupazione. Non solo: meno del 30 per cento delle ex matricole esce dal primo anno con i due terzi dei crediti previsti per essere in regola. Sono alcune delle note dolenti messe in evidenza dalla radiografia dell'ateneo di Cagliari, messa a punto dal ministero del'Università per l'assegnazione della quota 2009 del Fondo di finanziamento ordinario: nelle casse dell'Università sono finiti poco più di 135 milioni di euro, contro i 138 dello scorso anno. LA CLASSIFICA Eppure nelle due graduatorie generali attinenti ai risultati su didattica e ricerca, il nostro ateneo si piazza complessivamente bene, qualche gradino più su di metà classifica, rispettivamente al 24° e 23° posto su 56 posizioni. Più giù Sassari (trentanovesima per la didattica e 36ª per la ricerca), ma anche atenei che hanno più risorse e sono considerati prestigiosi, Udine, Venezia, Napoli, Politecnico di Bari. «Il nostro Ateneo è ben posizionato sia per la qualità della didattica che nei risultati della ricerca - sottolinea il rettore Giovanni Melis - vorremmo che il Governo ci valutasse alla luce di questi criteri di puro merito anche nella ripartizione della premialità ministeriale. Invece così non è: quest'anno abbiamo perso più di due milioni e mezzo e rischiamo una forte decurtazione di circa 13 milioni di euro nel 2010, anche se la speranza è di recuperare risorse con lo scudo fiscale». L'INDAGINE Nell'indagine pubblicata dal Sole 24 Ore viene messa in evidenza la performance ottenuta dagli atenei alla luce di nove indicatori ministeriali di qualità (docenti per corso e promossi, dispersione, esami superati, occupazione, produzione scientifica, giudizio degli studenti, brevetti, successi europei) e le graduatorie generali su didattica e ricerca messe a punto in base agli stessi indicatori. Un'indagine che assegna a Roma e Bologna il titolo di «università da 110 e lode» e relega agli ultimi posti l'Ateneo cagliaritano. Notizia che ha svegliato ieri mattina il vecchio inquilino, più noto, di Palazzo Belgrano, il Magnifico, appena diventato ex, Pasquale Mistretta. «Sotto gli aspetti universitari noi cerchiamo di fare il massimo possibile sia per quanto riguarda i docenti, che rappresentano una risorsa molto qualificata, sia nella strumentazione e nella ricerca - dice Mistretta - quanto agli altri aspetti legati in particolare agli studenti e agli abbandoni, la responsabilità è della società sarda non solo dell'Università e che coinvolge tutto il mondo giovanile e il modo in cui è lasciato a se stesso». I DATI In base agli indicatori ministeriali Cagliari è, in particolare, tra i «peggiori» Atenei sul fronte dell'occupazione con il 57,2 per cento di occupati a tre anni dalla laurea: i migliori, sotto questo aspetto, sono Chieti e Pescara (88%), Trieste e Verona (84,2%). «Purtroppo - sottolinea Mistretta - siamo un'isola e pochi vanno fuori, bisogna quindi considerare la diversa situazione che vivono i nostri studenti rispetto ai colleghi della penisola, la responsabilità è di tutti e dovremmo capire il perché il 28 per cento dei seimila iscritti l'anno dopo lascia: sono quindi molto preoccupato per il futuro dei giovani e del mercato del lavoro». Guardando ai successi europei Cagliari risulta tra gli Atenei meno premiati (con una percentuale dello 0,97 contro 7,51 del Politecnico di Milano) con i bandi del VI programma-quadro Ue, uno dei fronti caldi su cui da anni si combatte. Tanti altri Atenei, e sono un gran numero, stanno peggio di noi. «Eppure le classifiche di Taiwan e Shanghai non ci danno perdenti», ricorda Mistretta. Queste classifiche inseriscono Cagliari tra le prime 500 Università del mondo (è la 17ª in Italia). «Si valorizzano le performance dell'Ateneo cagliaritano prendendo in considerazione anche il numero di articoli pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche». Insomma l'Università si sforza, a quando i risultati? (c. ra.) ___________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Dic. ‘09 CONFINDUSTRIA: RIFORMA UN'OCCASIONE STORICA PER I NOSTRI ATENEI IL PERCORSO Inizia in Senato l’iter di una legge essenziale , per eliminare ritardi e rigidità nel sistema: cruciali però le risorse di Gianfelice Rocca L’università italiana necessita di urgenti riforme strutturali della governance e del reclutamento per poter evolvere in direzione meritocratica e competitiva. Il disegno di legge sull'università, che inizia oggi il suo percorso parlamentare, costituisce un'occasione storica per passare dalle parole ai fatti. Per uscire rinnovati da questa crisi non resta che accelerare sulla ricerca e sull'innovazione. Gli scenari del dopo-crisi sono ormai chiaramente delineati: nulla sarà come prima, soprattutto a causa del vistoso peso dei Paesi asiatici nell'economia mondiale. Il sistema educativo nel suo complesso si trova ad affrontare compiti inediti, tipici della economia della conoscenza, in un mondo in cui il riequilibrio della competizione tra i sistemi Paese si fonda su un crescente ruolo del capitale umano. Il nostro sistema universitario e della ricerca deve giocare un ruolo di primo piano in questa strategia, ma per farlo deve prima di tutto spogliarsi di alcune delle rigidità e dei ritardi che lo caratterizzano. A parole l'accordo è vasto, ma quando si tratta di passare al dunque iniziano i distinguo o le inerzie. Accanto a realtà di grande prestigio e di caratura internazionale sono cresciute negli ultimi due decenni sedi sottodimensionate e corsi di laurea inutili, mentre si perdevano talora di vista le esigenze della ricerca avanzata e quelle del mondo produttivo. Il principale sostegno pubblico all'università, il fondo di finanziamento ordinario, è ripartito in funzione della spesa storica con distorsioni che da anni continuano a premiare gli atenei inefficienti e a penalizzare quelli virtuosi. Il disegno di legge governativo va nella direzione giusta creando le condizioni per un maggiore intervento del centro in materia di responsabilità finanziaria, per frenare un uso irresponsabile dell'autonomia universitaria. Sul fronte dell'autonomia finanziaria, il percorso avviato dal Governo rompe rispetto agli schemi tradizionali aprendo la stagione dei premi e delle penalità per il sistema universitario. Dobbiamo considerare, comunque, che si tratta solo dell'inizio di un percorso molto difficile. È necessario arrivare a definire un doppiò binario per il finanziamento delle università: il primo, destinato agli atenei con i conti in regola, teso a sviluppare la competizione con l'obiettivo di intercettare la maggior quantità di fondi premiali In questa prospettiva, la quota di fondi al merito dovrebbe seguire una curva crescente, fino a raggiungere il 20% del totale. II secondo binario deve riguardare gli atenei inefficienti, che necessitano di essere accompagnati, attraverso rigorosi piani di rientro, a riportare in ordine i conti. È da questa svolta che potrà discendere il mutamento dei meccanismi di reclutamento, abbandonando la chimera del concorso perfetto, inseguito negli anni con sempre nuove rigidità e nuove barriere all'apertura internazionale delle selezioni. Un impulso decisivo in questa direzione può essere fornito da una governance che elimini i conflitti di interessi ché caratterizzano oggi la gestione delle università. Va in questa direzione il rafforzamento del ruolo gestionale dei consigli di amministrazione ispirato ai migliori standard internazionali, una ipotesi che ha suscitato molte proteste. Si è subito gridato alla "privatizzazione" delle università Si tratta di una visione che sconta antichi pregiudizi e mal si adatta alla realtà dì un Paese industrialmente avanzato. Nelle migliori università del mondo, professionisti, imprenditori o exlaureati contribuiscono ai miglioramento della gestione dell'ateneo. La presenza di interessi esterni al mondo accademico è fondamentale per uscire dA attuale autoreferenziaiità. In quest'ottica, assume importanza particolare il forte nesso tra reclutamento e valutazione, al centro del disegna di legge. Per quanto riguarda il reclutamento la novità principale consiste nell'introduzione di un sistema di tenure-track, cioè di assunzione per un periodo a tempo determinato seguito dal ruolo, solo in base ad una rigorosa valutazione della ricerca e della didattica. La valutazione giocherà un ruolo importante nella allocazione dei fondi ai dipartimenti e agli atenei, diventando il principio guida, di un sistema che,vuole competere a livello mondiale. Il disegno di legge che entra oggi in Senato lascia aperti i dubbi sui finanziamenti alle università per il 2oio. Rispetto all'attuale finanziamento pubblico di circa 7.500 milioni di euro, il Dpef adottato lo scorso anno prevede per il 2010 un finanziamento statale ridotto a circa 6.900 milioni di euro e per il z2011 ulteriormente ridotto a circa 6.200 milioni di euro. Tali riduzioni non sono sostenibili né consentono di realizzare la politica di incentivazione meritocratica, rappresentando oggettivamente un passo indietro nel processo di evoluzione competitiva delle università. I segnali rassicuranti lanciati in questi mesi dal Governo devono ora tradursi in un impegno preciso a far sì che la maggior parte di quei tagli rientri, anche per rendere concretamente possibile il varo rapido della riforma. La riforma nel suo complesso merita fiducia ed esige compattezza. Valutazione, nuova governance, autonomia e flessibilità, nuovi criteri di reclutamento, maggior rapporto con le imprese: sono questi gli ingredienti per una vera svolta dell'Università italiana che si configuri come un'opportunità per i giovani, per le imprese e per il Paese. Spetta ora al Governo assicurare le risorse per realizzarla. Vicepresidente Confindustria per!'Education ___________________________________________________ TST 2 Dic. ‘09 ALL'UNIVERSITÀ TRIONFA LA LEGGE DEI MACACHI NEPOTISMO «E' alla base di tutte le azioni: le scimmie insegnano» LA VIOLENZA «Nelle situazioni estreme si manifesta la nostra natura» Pensate all'università italiana come al «sistema macaco» e tutto diventerà chiaro. Perché stupirsi se al vertice della gerarchia ci sono i baroni, circonfusi da un potere costruito con furbizia, e se avanzamenti e promozioni seguono la regola della raccomandazione? Uno scienziato vi spiegherebbe che all'opera non c'è la «selezione naturale», ma un'astuta - «selezione famigliare». Le possibilità di successo di un giovane nell'intraprendere la carriera accademica sono proporzionali all'influenza della sua fami glia. Poi è consigliabile l'affiliazione a un partito e il gioco è fatto. Lo scienziato è Dario Maestripieri e insegna sviluppo umano comparato, biologia evoluzionista e neurobiologia alla University of Chicago: è un classico esempio di cervello in fuga, che ha vissuto le ingiustizie che devastano là credibilità e l'efficienza dell'accademia italiana. Per lui sono state uno stimolo a indagare il regno delle scimmie e a illuminare di nuova luce i) «sistema macaco», tanto cinico quanto prossimo alla perfezione. Il nepotismo - ha scoperto - non è un'eccezione o una devianza. E' una delle radici della nostra natura arcaica e fa parte dell'eredità condivisa con i primati: fa funzionare intere società, non solo quella dei macachi reso, ma anche quelle umane, soprattutto quando i vincoli della civiltà si allentano un po'. Professore, lei ha scritto «L'Intelligenza Machiavellica», che in inglese suona come I'intelligenza ma(ca)chiavellica: spiega che uomini e macachi hanno conquistato il mondo grazie a una comune strategia, basata su opportunismo e manipolazione, mentre l'altruismo è raro. E la parte buona di noi dov'è finita? «Non mi consideri un pessimista a tutti i costi. Si devono conoscere i fondamenti della nostra evoluzione. Il saggio non ha la pretesa di trattare la natura umana nel suo complesso. Tralascio perciò temi come spirito, amore o fede e mi concentro su un aspetto-chiave: l'opportunismo sociale e questo a un po' di pessimismo si presta». Se non fossimo stati così cattivi, non avremmo scalato il potere? «Ci siamo diversificati, com'è evidente, e abbiamo creato realtà che non hanno paralleli: dal linguaggio al pensiero astratto. Ma, analizzando le società dei macachi reso, ho sottolineato come ci siano regole sotterranee e istintive che ci accomunano: sono quelle con cui gestiamo le relazioni, la competizione e la cooperazione, famiglia compresa. E' nelle situazioni estreme, come in guerra o nei lager, che tutto diventa chiaro. E crudele. Non ci si nasconde più dietro il sottile schermo delle norme collettive». Lei teorizza che la sopraffazione e il tamilismo trascendono sia la cultura sia la morale: anche i «grandi» ne soffrono. «E' così. E' una tendenza che si osserva perfino nelle vite di personaggi celebri per intelligenza o per generosità: se si scava per arrivare all'origine delle loro motivazioni, si capisce che si comportano come chiunque altro. Non importa quanto abbiano studiato. La nostra intelligenza è, e resta, machiavellica ed esiste da molto prima che Machiavelli la teorizzasse per gli uomini politici: la nostra autentica indole si esprime nell'ambiente sociale, proprio come rivelano i macachi, in cui la competizione è permanente». Le esperienze tra i macachi rivelano che il maschio alfa - il re - instaura il terrore attraverso attacchi immotivati contro molti subordinati, spingendoli al di fuori del gruppo. Chi fa parte dell'entourage, invece, accompagna il leader nelle spedizioni punitive: l'altruismo è riservato ai consanguinei. «Macachi e umani sono ossessionati dal potere. Gli uni e gli altri stabiliscono sempre, e in modo pressoché automatico, delle gerarchie. Anche noi, infatti, le accettiamo senza pensarci, perché siamo animali gerarchici. A volte siamo mossi da scopi nobili, ma poi ricadiamo nell'istinto egoistico». Come spiega allora che noi - e anche i macachi - non ci siamo autodistrutti? «La storia dell'uomo è segnata da guerre e genoicidi, ma siamo riusciti a non annichilirci perché abbiamo evoluto sistemi di controllo: è il contratto sociale. Ma, non appena le regole vengono meno, le tendenze violente riemergono. Ce ne siamo accorti in America con )'uragano Katrina, quando molti cittadini modello si sono trasformati in maniaci». li confronto tra università italiana e Usa evoca stadi evolutivi diversi, quello primitivo e quello civilizzato. E' davvero così? «L'università italiana scarseggia di risorse, dai soldi alle cattedre, ed è questa condizione a favorire il nepotismo. Forse, se prevalesse una relativa abbondanza, i) meccanismo decadrebbe». La società dei macachi, però, è matrilineare, anche se al vertice c'è un «monarca». La nostra, invece, è o è stata perlopiù maschilista. Come si spiega? «I macachi sono rappresentativi dei primati, mentre noi ci siamo evoluti dalla linea degli scimpanzé, che rappresentano un'eccezione. Nei macachi e in molte altre scimmie sono le femmine il sesso forte, organizzato in famiglie, secondo i principi del nepotismo. Negli scimpanzé e negli umani, invece, sono i maschi a controllare il potere politico e le sue manifestazioni dispotiche». _______________________________________________________________ Corriere della Sera 25 nov. ’09 FREQUENZA E SCADENZE DEGLI ESAMI. NUOVE REGOLE PER L' UNIVERSITÀ Nelle università italiane più del 40% degli studenti non è «in regola» con gli esami previsti dai loro corsi di laurea. In Europa abbiamo tre poco invidiabili primati: un altissimo numero di abbandoni dopo il primo anno, un' alta quota di studenti che non dà alcun esame, un vero e proprio esercito di fuori corso. Come ha ben documentato l' inchiesta di Sergio Rizzo (Corriere, 23 novembre) questa situazione è in buona parte dovuta alla scarsa efficacia dell' orientamento, alla eccessiva frammentazione degli insegnamenti, all' insufficiente diffusione di iscrizioni a tempo parziale, rivolte agli studenti lavoratori. Vi è tuttavia un altro fattore rilevante, su cui vale la pena di riflettere. Dagli anni Settanta in poi nelle nostre università la frequenza è diventata una sorta di optional: gli studenti possono laurearsi senza aver mai assistito a una lezione, studiando solo sui libri. Inoltre di norma vige una libertà quasi assoluta su quando sostenere gli esami relativi all' anno di iscrizione: a fine corso oppure in appelli successivi, anche anni dopo. All' estero non è così. Nei Paesi anglosassoni la frequenza è obbligatoria e l' esame si dà alla fine delle lezioni. In alcune università francesi gli studenti che non sostengono gli esami previsti devono ripetere l' anno, pagando nuovamente le tasse. La Germania aveva un sistema piuttosto lasco ma ha introdotto regole più severe: in molte università gli studenti non in regola rischiano di perdere il diritto all' iscrizione. In caso di bocciatura, l' esame può essere ripetuto solo se sostenuto alla fine del relativo corso. Non è certo colpa degli studenti di oggi se i nostri Atenei sono diventati troppo soft. Ma le regole su frequenza ed esami sono da ripensare, soprattutto nell' area delle scienze umane dove la situazione è più disordinata. È giusto che l' università sostenga e valorizzi l' autonomia dello studente nel programmare il proprio percorso di studio. Ma senza forme di controllo serio (con premi e penalità) sarà difficile alzare la percentuale di studenti in regola e recuperare la distanza che ci separa dai Paesi più virtuosi. Maurizio Ferrera RIPRODUZIONE RISERVATA Ferrera Maurizio _______________________________________________________________ Corriere della Sera 24 nov. ’09 FONDO PER IL MERITO, SCELTA DA DIFENDERE La riforma dell' università approvata nelle settimane scorse va nella giusta direzione ponendosi l' obiettivo di ridurre l' autoreferenzialità degli atenei ed aumentare la meritocrazia nelle carriere dei docenti. Due snodi necessari per fare in modo che la fotografia della formazione in Italia possa essere in futuro meno sconfortante di quella delineata nel servizio di Sergio Rizzo sul Corriere di ieri. Il rischio però paventato da diversi osservatori è quello degli effettivi risultati che si otterranno con la riforma. Ciò perché i meccanismi di gestione delle carriere dei docenti rischiano di non incidere veramente e perché il tentativo di limitare l' autogoverno degli atenei italiani (unico al mondo nella sua autoreferenzialità) prevede solo un 40% di consiglieri esterni. Il modo per ovviare a tali difficoltà sarebbe di avere incentivi forti nella allocazione dei fondi pubblici. Ciò sarebbe già possibile oggi, ma le attuali regole rendono la differenziazione tra atenei migliori e peggiori del tutto marginale. È evidente che la strada da percorrere è invece evitare l' omologazione di tutte le Università come una sorta di parcheggio indifferenziato per un numero consistente di studenti, agevolando invece gli atenei migliori. Certo, la strada non è in discesa: nel percorrerla si troveranno enormi opposizioni da parte dell' alleanza tra rettori, docenti e studenti delle università meno valide che riceverebbero meno fondi e che porteranno alla ennesima rivolta degli studenti su molte piazze contro i «tagli dell' istruzione». Eppure, nella riforma prospettata dal ministero esiste un' iniziativa, passata inosservata, che può rilanciare fortemente la meritocrazia nella selezione degli studenti e nell' accesso alle migliori università e portare ad una rivoluzione che nessuno potrà arrestare. Si tratta dell' iniziativa del «fondo per il merito» che prevede l' istituzione di un test nazionale standard (non un «quiz» come lo ha definito un ex ministro della Pubblica istruzione, ma una verifica della reale capacità di comprensione della lingua scritta, di ragionare e risolvere i problemi, simile a quello utilizzato nei migliori sistemi educativi del mondo). Grazie a tale test si potranno selezionare ogni anno i migliori 1.000 studenti alla fine delle superiori e offrire delle generose borse di studio per andare a studiare nella università migliori (anche se lontane da casa). Questo test è necessario perché come tutti sanno i 100 e lode alla maturità oggi non riflettono il vero merito (al Sud ce ne sono il doppio che al Nord, mentre i test internazionali dicono il contrario). Il «fondo per il merito» potrà anche essere finanziato dalle aziende che acquisterebbero così un accesso preferenziale ai migliori studenti e ciò rappresenterebbe un importante incentivo per quegli ottimi studenti che oggi preferiscono andare a studiare presso le università sotto casa. La maggioranza degli studenti italiani oggi ritiene che una buona raccomandazione sia più importante di una buona laurea, mentre questa iniziativa potrà dimostrare che la migliore raccomandazione almeno in qualche caso è l' eccellenza accademica. L' enorme vantaggio di questa proposta è che non si tratta della ennesima riforma «dall' alto» imposta dal ministero agli atenei, ma può innescare una «rivoluzione dal basso» che avrebbe impatto ben al di là del numero esiguo di studenti selezionati. Per la prima volta in Italia si introdurrebbe il concetto di «quasi libero mercato» delle università: saranno gli studenti migliori a scegliere gli atenei migliori, non il ministero. Inoltre, le aziende partecipi al progetto potranno incidere direttamente sulla qualità del nostro sistema educativo. Senza contare che l' introduzione di un sistema di testing obbiettivo permetterà di compiere un primo timido passo nel valutare la qualità dell' insegnamento: le scuole migliori saranno quelle che avranno più studenti con risultati «veramente» migliori. Questa proposta potrebbe essere una grande rivoluzione e avere un alto tasso di attuazione. Attuarla è possibile, ma è essenziale che la leadership del processo di selezione e amministrazione dei test, raccolta di fondi, gestione delle borse di studio e monitoraggio del percorso accademico sia al di sopra di ogni sospetto. Il governo di «un fondo per il merito» deve essere un esempio impeccabile di merito. http://meritocrazia.corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA Abravanel Roger ___________________________________________________________________ il manifesto 1 dic. ’09 IL MERCATO SALE IN CATTEDRA INCONTRI La riduzione a merce della conoscenza Angelo d'Orsi Un originale incontro alla Sapienza, in collaborazione con l'Università della Calabria, pensato da Piero Bevilacqua, la scorsa settimana, ha costituito un'interessante e in parte mancata occasione per riflettere sul senso del lavoro scientifico nei luoghi deputati a farlo: l'università, innanzi tutto. II titola A che serve la storia? accattivante ma fuorviante, riceve un più preciso senso dal sottotitolo: I saperi umanistici alla prova della modernità. Compiendo uno sforzo per estrarre il succo del convegno, assai denso, e non sempre limpido, potrei cavarmela dicendo che si è trattato di un raduno dei renitenti alla mercificazione e alla funzionalizzazione delle scienze. Letterati, urbanisti, filosofi, storici, giuristi hanno disegnato il profilo di un sapere «disinteressato», nel senso della sua non riducibilità alle esigenze del mercato, secondo quella logica perversa che certamente non solo in Italia, sta passando come un tornado sulla cultura libera, che si rifiuta di adottare la grammatica e la logica dell'«a che serve?». Di qua, il provocatorio titolo delle giornate romane. A nulla, dovremo rispondere, ha ricordato Pitocco nell'intervento conclusivo. A nulla, se per «servire» si intende l'accettazione dell'inserimento della ricerca, dello studio, della creazione, nelle coordinate mentali e pratiche del sistema di dominio turbo capitalistico. A tutto, se vogliamo badare ai diritti delle persone e delle comunità, e alle esigenze di liberazione di milioni di esseri umani da condizioni di oppressione, sfruttamento, indigenza., malattia. L'ossessione del mercato Il quadro tracciata dalla introduzione di Bevilacqua, fondata specialmente su Edgar Morin e con qualche accento a Nietzsche e Heidegger non sempre condivisibile, è stato di drammatica potenza, all'insegna di un dolente pessimismo: non cosmico, ma storico, e dunque contenente in sé i germi di una possibile, necessaria rinascita. Giustamente Bevilacqua ha puntato l'indice contro le classi dirigenti europee che hanno preteso che le università si adeguassero «alle richieste, ai miti, all'ossessione economicistica di una stagione ideologica del capitalismo contemporaneo», L'attacco alla sottomissione della scienza alle esigenze di questo capitalismo, la sua trasformazione in tecnica, la cui potenza fa paura sia quando è dominata. Dall’ossessione del «travalicamento» (il dover/voler superare ad ogni costo i lixniti: un tema ripreso e sviluppato nell'affascinante affabulazione di Laura Marchetki), sia allorché tenta la soggiogazione del mondo naturale, aprendo campi di inquietante prospettiva. E come la scienza «pura», che tale non appare -ma vi è stato il duro contraltare di Paolo Flores d'Arcais, che ha sottolineato, senza tanti complimenti in una platea poco simpatetica, la necessità di una scienza pura, per ogni utile progresso del genere umano, distinguendola dai suoi usi politici- , anche l'economia è finita sotto accusa, per la sua passiva sopravvivenza inerte, in un mondo che richiederebbe ben altro sforzo. Oggi, gli economisti si sono ridotti a numericizzare e quantificare gli elementi di quella scienza, banalizzandola, e sottraendosi al confronto con 1e altre discipline, a cominciare da quelle propriamente umanistiche. Che sono state le protagoniste del convegno: non nel senso di reclamare il ritorno del Qatinorum», nelle scuole, o di imporre Dante e Shakespeare a memoria, ma nel senso che nelle università, in particolare, non si può pensare dì cancellare, in nome di una immediata professionalizzazione dei curricula, elementi di conoscenza fondamentali per dare spessore culturale, e dimensione critica alla formazione. E Alberto Asoz Rosa ha dal canto suo preso a bersaglio il «mostro» della cultura di massa, invocando una difesa ad oltranza del vertice dell'«inutilità» della cultura: la letteratura. E l'arte in generale. L'artistico, ha scandito> è il massimo punto di resistenza rispetto al degrado e all'appiattimento delle civiltà. Dove c'è arte e letteratura le civiltà resistono più efficacemente. Perciò, aristocraticissimamente, Asor ha dichiarato l'imprescindibilità di una nuova élite, formata da «traghettatori». Piuttosto che intellettuali legislatori, o maestri, c'è bisogno di intellettuali che traghettino la civiltà occidentale al di là delle secche in cui si è arenata. AMARE AUTOCRITICHE Non so quanto gli altri relatori e il pubblico abbiano condiviso la proposta. Certo, anche a volerla seguire, siamo in ritardo. La prepotenza le culture dominanti che colonizza l'immaginario, come ha ricordato Serge Latouche, che ha riproposto la sua concezione della decrescita invitando a liberarci dalla «tossicodipendenza della crescita»; il senso comune imposto in società cloroformizzate dalla televisione; una scuola che sempre più a stento resiste all'assedio del mercato, e di una politica che se ne fa espressione; ì territori e le città abbandonati alla sfruttamento intensivo e allo scempio, come ha ricordato l'impietosa, amarissima disamina di Edoardo Salzano; la terra, la terra intera -e qui Vandana Shiva, star del convegno, ha fornito dati impressionanti - ormai a rischio; il trionfo dell'idiozia nei mercati finanziari, punto di partenza dell'appassionato intervento di Giuseppe Cantarano. Il quadro emerso da tanti, diversi specialismi è desolante (le relazioni di Cassano e di Rodatà). Ma contro la tentazione di dire che noi accademici siamo innocenti, Igor Mineo ha accennato alla necessità dell'autocritica dei professori, corresponsabili di una situazione di degrado e di perdita dì dignità che ha fornito un valido appiglio per far passare nella pubblica opinione la bontà delle «ricette» governative di «riforma». Qui però il convegno ha fallito. Ossia sarebbe stato necessario provare a tradurre politicamente i lacerti di analisi troppo difformi e rapsodiche, anche quando fascinose e convincenti. E magari lanciare dalla Sapienza un autunno caldo dei professori. Ma su questo siamo ancora in tempo. Può anche trattarsi, in fondo, di un inverno, o di una primavera. ________________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 4 dic. ’09 I LAUREATI CON TITOLO SPECIALISTICO GUADAGNANO IN MEDIA 37.620 EURO L'effetto laurea sugli* stipendi? Fino a 15 mila euro in più l'auno La classifica delle buste paga: le più' alte a Medicina, Economia e Ingegneria Tra crisi, mortalità aziendale e una propensione ad assumere giovani sempre meno accentuata (-7% nel 2008), una cosa è certa: la scolarità resta 1 'unico fattore progressivamente differenziante in termini retributivi. Come spiega il rapporto 2009 «Domanda di lavoro e retribuzioni nelle imprese italiane» realizzato da Uniancamere insieme a OD&M Consulting e il contributo di Ci Group: dai 22.500 euro di stipendio medio percepito dai lavoratori che hanno al massimo la licenza dell'obbligo, si passa ai 3q.62o dei laureati con titolo specialistico. Ma dove si fa più carriera e qual è il titolo di studio che dà più frutti? Tra i settori con più chance troviamo i servizi delle comunicazioni e creditizio-assicurativi, seguiti dai comparti industriali della gomma- plastica, alimentare, chimico-petrolifero e cartario-poligrafico. Le attività con minori prospettive di crescita salariale sono invece la metallurgia, le costruzioni, l'agricoltura e i servizi domestici. Ma se è vero che più si studia e più si guadagna, è altrettanto vero che non tutti gli indirizzi offrono le stesse prospettive retributive. Anche a cinque anni dalla laurea le differenze sono marcate: gli stipendi più alti (fonte Almalaurea, dottori preriforma) spettano ai laureati in medicina, ai laureati con indirizzo economico e statistico, a quelli in ingegneria e del settore chimico-farmaceutico. Più sfortunati i dottori del gruppo disciplinare letterario (i.i22 euro la retribuzione media) e ingenerale dell'insegnamento ( euro) che vanno ad occupare le ultime posizioni della classifica. Dove però non mancano sorprese: tra gli ultimi gradini infatti troviamo anche il gruppo giuridico e psicologico: «Alcuni laureati, come quelli di lettere - spiega Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea - pagano il prezzo di un mercato pubblico meno dinamico». Diverso il discorso per altri curricula, come quello di giurisprudenza o psicologia, che sembrano aver perso appeal. «Non è così - aggiunge Cammelli - nei primi anni post laurea i ragazzi si concentrano su praticantato e tirocini». Ma attenzione, il famigerato pezzo di carta, precisano gli esperti, non è un'assoluta garanzia. «C'è una concorrenza sempre più sfrenata - spiega Mario Vavassori, amministratore delegato di OD&M consulting - e alcune lauree sono talmente affollate che l’offerta supera di gran lunga la domanda di lavoro». Fondamentale resta la persona. «Il percorso di studi continua a essere importante per la prima fase della carriera - conferma Erika Perez, senior manager di Robert Half, società di recruitment specializzato - ma a fare la differenza sono le caratteristiche e le potenzialità di ogni singolo individuo». Corinna De Cesare ________________________________________________________________ il Giornale 5 dic. ’09 DOPO LA LAUREA PRENDO IL DIPLOMA Sempre più professionisti tornano a scuola Non solo per la crisi, si diffonde la mobilità Daniela Uva Quando trovare lavoro diventa una chimera non resta che tornare indietro nel tempo. Devono averla pensata così decine di professionisti che, di fronte alla crisi e alle conseguenti difficoltà occupazionali, hanno deciso di tornare sui banchi di scuola. Loro la gavetta l'hanno già fatta. Hanno preso il diploma, si sono laureati. Dopo hanno cominciato la propria attività, ottenendo anche successo. E poi, di fronte ai primi scogli e a un mercato del lavoro che si evolve di continuo, si sono arenati. Ma mai arresi. E così, dopo aver valutato sbocchi e prospettive, vent'anni dopo quelle interminabili lezioni si sono iscritti a scuola per ottenere un nuovo diploma. Il fenomeno è diffuso un po' in tutta Italia. Gli istituti più gettonati sono quelli professionali, alberghiero in testa. «Sono quelli che permettono di trovare subito un'occupazione perché immediatamente abilitanti - spiega Antonella Pari, preside dell'Istituto alberghiero Amerigo Vespucci di Milano -. Sono molte le persone che, pur avendo una formazione di alto livello alle spalle, decidono di iscriversi ai corsi serali per gli studenti lavoratori. Succede per via della crisi, certo. Ma non solo. Il mercato del lavoro è dinamico e si evolve sempre, costringendo tutti noi a una formazione continua. Chi proprio non ce la fa a seguire i corsi studia da solo e poi sostiene l'esame di Stato da privatista». C'è chi ha tentato la libera professione e si è dovuto fermare. Chi un lavoro stabile lo aveva, ma con il tempo ne è rimasto deluso. Chi una carriera artistica continua a costruirla, ma ha capito che in Italia di sola musica non si vive. In comune hanno un obiettivo: diplomarsi per la seconda volta e cominciare una nuova avventura professionale. «È stato un mio amico musicista a contagiarmi - racconta Eddi Romano, compositore e leader del gruppo folk Rosapaeda -. Sono musicista da 18 anni e mi ritengo un privilegiato per il fatto di poter fare un lavoro che mi piace in contesti internazionali. Ma ho anche la passione per la cucina, per questo ho deciso di cogliere al volo l'opportunità di frequentare l'Istituto alberghiero». Sono numerosi gli istituti tecnici che organizzano corsi serali per i lavoratori. Un tempo erano frequentati da chi un diploma non l'aveva ancora e, seppure in tarda età, decideva di ricominciare a studiare. Poi sono arrivati i cittadini extracomunitari, desiderosi di integrarsi anche attraverso la cultura. «Da qualche anno stiamo assistendo a un cambiamento radicale - prosegue Rosangela Colucci, dirigente scolastico dell'alberghiero Perotti di Bari -. Sui banchi arrivano persone con un titolo di studio preso vent'anni prima. Spesso con una laurea». Studenti di questo tipo rappresentano il dieci per cento degli iscritti ai corsi serali. «Nella nostra scuola abbiamo 120 alunni ripartiti in cinque classi, dal primo all'ultimo anno - conferma Colucci -. Di queste persone venti sono diplomate e due laureate». Di giorno sbarcano il lunario e di sera, dalle 16 alle 21 dal lunedì al venerdì, aprono i libri di italiano e matematica. Proprio come quando erano ragazzi, rispondono alle domande dei professori e svolgono i compiti in classe. Aspettano ansiosi la pagella e i quadri di fine anno. E se restano in corridoio troppo al lungo per una telefonata sono redarguiti dal bidello di turno. Ma nonostante tutto, raccontano di un'atmosfera piacevole «diversa dal ricordo che abbiamo della scuola, perché siamo motivati ad apprendere senza perdere tempo». «Mi rendo conto che qualcuno possa sentirsi mortificato, ma si tratta di persone con una grandissima voglia di studiare - conclude la preside -. I docenti spesso sono in difficoltà, perché le classi sono eterogenee: accanto a diplomati e laureati ci sono ragazzi di vent'anni ripetenti. Per questo dobbiamo stare attenti a differenziare l'offerta, per andare incontro alle esigenze di tutti. È questa la nostra prossima sfida». Sono molti i professionistiche tornano sui banchi di scuola. Un po' per effetto della crisi e della perdita del lavoro ma anche per cambiare occupazione e lanciarsi in una nuova avventura professionale. 11 lo per cento degli iscritti ai corsi serali ha ottenuto una laurea dieci - vent'anni prima. «È in corso un cambiamento radicale - spiega Rosangela Colucci dirigente dell'alberghiero Per~ di ' Bari - Sui banchi arrivano persone con un titolo di studio preso vent'anni prima, si impegnano come quando erano ragazzi e attendono con ansia la pagella» ________________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 2 dic. ’09 I LINCEI: NON C'È BIOLOGIA SENZA DARWIN Evoluzione Mentre i vertici del Cnr tentano la conciliazione a teoria dell'evoluzione è il fondamento della biologia ed è confermata da una massa sterminata di prove», dichiara Maurizio Brunon, accademico dei Lincei. E con lui concorda l'intera Accademia, che sta per pubblicare un testo di natura didattica, a uso di studenti e insegnanti, basato sul paradigma darwiniano. Anche Fiorenzo Facchini, sacerdote e paleontologo, sostiene che «la teoria dell'evoluzione è giustificata dalla convergenza di varie branche della scienza». Più sfumato l'orientamento del Consiglio nazionale delle ricerche. Qui, dopo lo strappo riferito ieri dal «Corriere», è il momento della ricucitura. Con due dichiarazioni gemelle, il presidente del Cnr Luciano Maiani e il suo vice Roberto de Mattei mettono tra parentesi le «possibili differenze di pensiero sull'evoluzionismo», per riaffermare i reciproci «rapporti di stima, amicizia e proficua collaborazione». Viene così accantonata la divergenza che ha indotto Maiani a dissociarsi dalle iniziative creazioniste di de Mattei, curatore di un volume a più voci nel quale le teorie di Darwin sono liquidate come «una narrazione fantasiosa» estranea alla scienza. Ma davvero il giudizio sull'evoluzione si può derubricare a tema secondario? Lo nega un altro membro dei Lincei, Carlo Alberto Redi: «La teoria darwiniana è il massimo contributo della scienza alla storia dell'uomo. È sconcertante che persone incompetenti cerchino di squalificarla usando l'etichetta del Cnr». Tra l'altro de Mattei sostiene che tra lui e Maiani vi è «piena sintonia» sul «futuro della ricerca in Italia». E allora viene da chiedersi se la ricerca biologica seguirà ancora il filone darwiniano o lo abbandonerà, come suggerisce de Mattei quando ne giudica il declino «ormai irreversibile». E possibile che il Cnr promuova ricerche d'indirizzo antievoluzionista? «Non credo si possa arrivare a tanto - risponde Brunori - ma sarebbe interessante se qualche creazionista proponesse un esperimento per provare la validità delle sue idee». Magari qualche autore del libro curato da de Mattei raccoglierà la sfida. ' Antonio Carioti _______________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Dic. ’09 DARWIN METTE IN IMBARAZZO IL CNR LITE TRA STUDIOSI SUL CREAZIONISMO IL CASO . L' OPERA DI ROBERTO DE MATTEI CRITICATA DA «LE SCIENZE» E «MICROMEGA» LA DIFESA DELLO STORICO Il presidente Maiani bacchetta il vice: il suo libro è fuori linea «È un' intimidazione: l' evoluzionismo è l' ultimo mito sopravvissuto al tramonto delle ideologie» Charles Darwin mette in imbarazzo il Consiglio nazionale delle ricerche. Tanto che il presidente del Cnr, il fisico Luciano Maiani, sente la necessità di prendere le distanze dal suo vice, lo storico Roberto de Mattei. Mentre il presidente della Società dei biologi evoluzionisti, Marco Ferraguti, mette in rilievo come l' Italia abbia il bizzarro primato di essere l' unico Paese occidentale nel quale un antidarwiniano convinto, il citato de Mattei, occupi un posto di primissimo piano in un ente pubblico destinato a promuovere la ricerca scientifica. La vicenda comincia nove mesi fa, il 23 febbraio, quando il vicepresidente del Cnr organizza un convegno di netta impronta creazionista, i cui atti sono ora confluiti nel volume Evoluzionismo. Il tramonto di un' ipotesi (Cantagalli, pp. 192, Euro 17), curato dallo stesso de Mattei. Ma mentre l' incontro di febbraio non suscita particolari clamori - forse perché sovrastato dal convegno sull' evoluzione promosso poco dopo (3-7 marzo) sotto il patrocinio del Vaticano all' Università Gregoriana, da cui i creazionisti sono stati esclusi - il libro scatena un putiferio. Attaccano de Mattei il direttore della rivista Le Scienze Marco Cattaneo, sul suo blog, e il filosofo Telmo Pievani, sulla rivista MicroMega. In difesa del creazionismo si schierano i quotidiani Libero e Il Giornale. Infine interviene Ferraguti, sul sito www.pikaia.eu e sulla versione online di MicroMega. E parlando al Corriere rincara la dose: «I testi inclusi in quel volume non hanno nulla a che vedere con la scienza - afferma il presidente dei biologi - e del resto nessuno degli autori gode di un qualche credito a livello internazionale. Sostengono tesi stravaganti, come quella per cui i dinosauri sarebbero vissuti al massimo 40 mila anni fa: "scoperte" tali da sconvolgere tutto il quadro delle attuali conoscenze. Se portassero degli argomenti seri, la comunità scientifica sarebbe impegnata a discuterne e le riviste più importanti ospiterebbero i loro interventi. Invece sono dei perfetti sconosciuti: il più famoso è il polacco Maciej Giertych, noto non per le sue opere scientifiche, ma come ex parlamentare europeo criticato per uno scritto di sapore antisemita». Intanto il presidente Maiani, sul sito dell' istituzione da lui diretta, chiarisce che il volume curato da de Mattei «non esprime la voce ufficiale del Cnr» e ha ricevuto solo «un modesto contributo finanziario per la stampa», mentre il convegno di febbraio «non ha gravato finanziariamente» sulle casse dell' ente. Una precisazione, giunta ieri a tarda sera, che fa emergere la scarsa sintonia tra Maiani, a suo tempo firmatario dell' appello dei fisici contro l' invito di Benedetto XVI all' Università «La Sapienza» di Roma, e de Mattei, cattolico tradizionalista. Allo smarcamento si accompagna però un contentino allorché Maiani, nello stesso comunicato, sottolinea «il carattere aperto delle ricerca intellettuale» e la sua «personale contrarietà a ogni forma di censura delle idee». È infatti sulla libertà di opinione che insiste de Mattei: «C' è un tentativo d' intimidazione intellettuale - dice al Corriere - verso chi osa mettere in dubbio la filosofia evoluzionista. Invece di entrare nel merito delle nostre tesi, si vorrebbe intimarci il silenzio. In realtà l' evoluzionismo è l' ultimo mito sopravvissuto al tramonto delle ideologie, ma non vi è alcuna prova empirica che lo sorregga. Resiste soltanto per l' influenza della lobby darwinista, che vuole imporre un dogma privo di fondamento scientifico». Ferraguti respinge l' accusa: «Per me de Mattei è libero di sostenere ciò che vuole. Ma mi chiedo come in Italia possa essere vicepresidente del Cnr una persona che nega teorie condivise dall' intera comunità scientifica mondiale. Per il resto mi pare che sia in atto uno scontro interno al mondo cattolico: i creazionisti schiumano rabbia contro chi li ha esclusi dal convegno della Gregoriana». De Mattei smentisce: «Non condivido le tesi di chi vorrebbe conciliare il darwinismo e la fede, ma questo è un aspetto marginale di una polemica la cui posta in gioco è la libertà della ricerca scientifica». Antonio Carioti I duellanti Roberto de Mattei Storico di formazione, il numero due del Cnr (foto a sinistra) è promotore del centro culturale Lepanto ed è un cattolico antidarwiniano. A febbraio ha organizzato un convegno di stampo creazionista, i cui atti sono pubblicati col titolo «Evoluzionismo. Il tramonto di un' ipotesi» Luciano Maiani Il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (a destra) è ordinario di Fisica teorica alla Sapienza, autore o coautore di oltre 150 pubblicazioni, in passato ha diretto il Cern di Ginevra. È su posizioni opposte a quelle del suo vice La scheda Creazionismo La linea di pensiero del creazionismo è strettamente legata alla Genesi. Le correnti più ortodosse giudicano irrinunciabile il punto di vista biblico. Altri autori (nella foto Kem Ham, il fondatore del museo americano del Creazionismo a Petersburg) sostengono la teoria dell' Intelligent Design («progetto intelligente») per cui la complessità dei meccanismi biologici sarebbe tale da presupporre l' intervento di una mente superiore Evoluzionismo E' fondata su riscontri biologici, genetici e paleontologici. Gli evoluzionisti si rifanno a riscontri scientifici e alla teoria darwiniana. La componente ambientale influisce sulla selezione naturale, come quella genetica, perché sono la mutazione dei caratteri a livello genetico e la sua trasmissione di generazione in generazione a caratterizzare il processo di evoluzione. Padre dell' evoluzionismo è Charles Darwin (nel disegno in alto a destra) che nel 1859 scrisse «L' origine delle specie» Le polemiche La polemica contro l' evoluzione è alimentata soprattutto da movimenti religiosi, gruppi cristiani evangelici molto influenti negli Stati Uniti, ma anche settori del mondo islamico. In difesa di Darwin è schierata la stragrande maggioranza degli scienziati. Negli Usa si è acceso un dibattito sulla proposta, respinta dalla magistratura, di inserire la teoria dell' Intelligent Design insieme all' evoluzionismo nei programmi di biologia delle scuole superiori Carioti Antonio ________________________________________________________________ IL FOGLIO 4 dic. ’09 LA SANTA INQUISIZIONE DARWINIANA I violenti censori ateisti che processano de 1Vlattei si rileggano Wallace, scopritore della selezione naturale & Francesco Agnoli Il professor Roberta de Mattei, vicepresidente nazionale del CNR, rea di aver organizzato un convegno a Roma con alcune personalità scientifiche piuttosto critiche verso l'ideologia darwinista, ha subito l'ennesimo processa dalle colonne del periodico giacobino Micromega. A fare da inquirente, il violentissimo Telmo Pievani, un personaggio che dietro le teorie di Darwin, ammantandosi del titolo di difensore della ragione e della scienza, nasconde il suo ateismo dogmatico e assolutista e il suo rancore e disprezzo per il pensiero cattolico e teista, ben espresso nei suo "Creazione senza Dio". Pievani è uno di quelli che non possono sopportare alcun rilievo, piccolo a grande che sia, nei confronti di Darwin e del suo pensiero, non per una reale attenzione alla sua opera, quanto per personali motivi ideologici: il naturalista inglese è infatti per lui, come lo fu per Marx ed Engels, a per Stalin,la "dimostrazione" scientifica della inesistenza di Dio (vedi appunto il titolo del suo libro). Questo nonostante Darwin stesso non si sia mai definito ateo, e, al contrario, abbia in più occasioni fatto dichiarazioni di questo tipo: "L'impossibilità di pensare che questa grandioso e meraviglioso universo, insieme a noi esseri coscienti, sia nato per caso, mi sembra il principale argomento a favore dell'esistenza di Dio", salvo poi aggiungere però che "l’intera questione si trova al di là della portata dell'intelletto umano" (Randal Keynes, Casa Darwin, Einaudi). La polemica tra il dotto ed equilibrato professore del CNR e lo scomposto Pievani, perfetta espressione di un certo mondo poco amante del libero dibattito sull'opinabile, ci dà la possibilità, in chiusura dell'anno darwiniano, di ricordare anche un altro personaggio importante, quel sir Alfred R. Wallace, che è ricordato, insieme'a Darwin, come lo scopritore della selezione naturale, e la cui mea, pur essendo egli un evoluzionista, non farà forse un gran piacere al nastro Pievani. Qual è il nucleo del pensiero Wallace? Wallace entra in discussione con l'amico Darwin a proposito dell'unicità umana. Non che neghi la natura anche animale dell'uomo, ma sostiene che l'unicità umana non può essere negata, ed è anzi evidente nel fatto che l'uomo è l'unica creatura che non è costretta a modificare il proprio corpo "in relazione alle mutate condizioni ambientali", ma al contrario modifica l'ambiente a seconda delle proprie necessità. Per nuotare, nota Wallace, non abbiamo subito mutazioni genetiche che ci hanno fatto crescere le branchie', né per volare ci sono venute le ali, ma abbiamo inventato le pinne, le maschere, i sommergibili, le navi e gli aerei (e gli ospedali, che contrastano la legge del più forte). Non è dunque solo la natura ad esercitare il suo potere su di noi, ma anche noi ad esercitarlo su di essa. E questo come si spiega? Occorre, conclude Wailace, ipotizzare "un Potere che ha guidato l'attività di tali leggi (naturali, ndr) in una precisa direzione e con uno specifico scopo". Occorre cioè, per spiegare l'uomo, una concezione tele olagica -provvidenzialistica; un principio spirituale che renda conto della sua irriducibile alterità, ciò che i filosofi chiamano "anima"; occorre "un qualche altro potere, diverso dalla selezione naturale" che sia "stato coinvolto nella realizzazione dell'uomo", una "legge più generale ...forse connessa con l'origine assoluta della vita e dell'organizzazione". A queste osservazioni Darwin, che non condivide l'idea di riservare all'uomo "un posto a sé stante nel regno animale", risponde a Wallace; "Non capisco la necessità di tirare in ballo un'ulteriore e diretta causa riguardo all'uomo", oltre, evidentemente, alla legge della selezione naturale, "la vostra e mia creatura" (Federico Focher, L'uomo che gettò nel panico Darwin, pp.155-197, Bollati Boringhieri, 2006). Eppure Wallace continua a sostenere una tesi che è ancora oggi la più evidente e di buon senso, e che certo non è mai stata smentita: che nell'uomo una "forza misteriosa", la mente, costituisce "la vera grandezza, l'originalità dell'uomo" e lo rende "un essere a sé stante". L'uomo, per Wallace, si sarebbe evoluta sino al momento in cui l'intelletto, raggiunta una soglia minima di sviluppo, avrebbe reso inutile le modificazioni del carpo. Ma cosa "la selezione naturale non può fare"? Essa, per lui come per Darwin, non ha "nessun potere di spingere un qualunque essere molto più avanti dei suoi simili, se non quel tanto che basta per permettergli di sopravanzarli nella lotta per l'esistenza". Eppure nell'uomo, nota sempre Wallace, vi è un evidente eccesso: la capacità di costruire aerei, o di dipingere, o di osservare gli astri con un cannocchiale, non sembra avere alcuna scopo, alcuna utilità, tanto meno immediata! Anche la voce umana, così capace di estensione, di versatilità, e di dolcezza, "mostra di eccedere le necessità dei selvaggi" e le nostre: qual è l'utilità, per la sopravvivenza, di un soprana o di un tenore, del gregoriano, o della polifonia? Tanto più che le immense potenzialità della voce umana rimangono latenti anche nella gran parte degli uomini civilizzati. E l'immensa potenzialità delle nostre mani? Con esse l'uomo suona il piana o il violino, costruisce gioielli e microchip, fa operazioni chirurgiche a scrive col computer... Cioè, secondo le parole di Wallace, "la mano dell'uomo presenta delle capacità latenti e delle potenzialità che non vengono utilizzate dai selvaggi e che devono esserlo state ancora meno dall'uomo paleolitico e dai suoi più rozzi antenati. Ha tuttavia l'aria di un organo predisposto per essere utilizzata dall'uomo civilizzato, anzi di un organo necessaria per rendere passibile la civilizzazione". Se pensiamo alle facoltà mentali, la capacità di concepire l'eterno, l'infinito, l'armonia, il numero, non "influiscono minimamente" sulla esistenza individuale o su quelle della tribù, e quindi è Impossibile che si ,siano sviluppate grazie a una qualche forma di conservazione di forme dì pensiero utili". . Inoltre la selezione non "ha il potere di produrre delle modificazioni in qualche misura dannose per chi le possiede", essendo tesi adattative. Si chiede allora Wallace: perché allora perdere il pelo, là dove sarebbe utile? Perché la posizione bipede, e le altre debolezze fisiche dell'uomo, quali appunto la pelle senza peli, che un quadrumane non ha? 'la pelle dell'uomo, delicata, nuda, sensibile, priva completamente di quel rivestimento di pelo così comune in tutti gli altri mammiferi- conclude Wallacenon si può spiegare con la teoria della selezione naturale. Le abitudini dei selvaggi dimostrano che essi sentono il bisogno di questo rivestimento, assente nell'uomo proprio nel punti in cui negli animali è più folto. Non abbiamo alcuna ragione di credere che il pelo possa essere stato dannoso, o anche solo inutile, per l'uomo primitivo". Perché la crescita del cervello, se in primis è solo causa di mortalità alla nascita e di parti più dolorosi e rischiosi? Afferma Wlallace: quando "inodificazioni nocive o inutili al tempo della loro comparsa" divengono, 4feol tempo estremamente vantaggiose, e sono ora essenziali -per il pieno sviluppo morale e intellettuale della natura umana, dovremmo dedurne l'azione di una mente che prevede e lavora per il futuro, proprio come facciamo noi quando vediamo l'allevatore organizzare il proprio lavoro con il determinato proposito di produrre un dato miglioramento nella coltivazione di una pianta o nell'allevamento di qualche animale domestico". Viallace argomenta poi in questo modo: la crescita del cervello, il suo volume, ci differenzia dalle scimmie, ma la differenza tra il volume dei selvaggi e quello dei civili è ben misera (il cervello dei selvaggi è "immensamente più grande di quello degli animali"; la selezione naturale avrebbe anche potuto dotare il selvaggio di un cervello non molto superiore a quello di una scimmia, e invece egli ne possiede uno di pochissimo inferiore a quello di un filosofo"). .Eppure il selvaggio non usa moltissime delle facoltà di cui si serve l'uomo civile. Ma l'ampiezza del suo cranio (quello di un nero,selvaggio può anche essere maggiore dì quella di un bianco europeo) dimostra che il suo cervello "è capace, se coltivato e svìluppato, di svolgere un lavoro dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo che va molto al di là di quello éhe gli viene normalmente richiesto". Ra i selvaggì possiamo trovare esempi di senso artistico, di altissima moralità, ece.... pertanto, "considerato che tutte le facoltà morali e intellettuali occasionalmente si manifestano anche nel selvaggio, possiamo benissimo concludere che esse sono sempre latenti e che il suo grande cervello è sovradimensionato per le reali richieste della sua condizione di selvaggio". Il cervello del selvaggio sembra cioè "predisposto per essere completamente utilizzato via via che egli progredisce nella civilizzazione". Ma un cervello così grande rispetto alle necessità, non può essere frutto solo della selezione, che agisce in modo economico, badando all'utile immediato, portando ciascuna specie "ad un grado di organizzazione esattamente proporzionato alle sue necessità, mai oltre", e mai preparando "nulla per il futuro sviluppo della razza". Le facoltà umane della geometria e dell'aritmetica, come tante altre, come possono mai essere emerse 1n un epoca in cui non sarebbero state di nessuna utilità per l'uomo nella sua primitiva barbarie?" Si tratta infatti di facoltà "così incredibilmente lontane dalle necessità materiali degli,uomini selvaggi"; del resto V"ipotesi utilitaristica" (che altro non è che la teoria della selezione naturale applicata alla mente) "sembra inadeguata anche per spiegare lo sviluppo del senso morale", in quanto "nella nostra natura esiste un sentimento,' un senso del giusto e dell'ingiusto, che è anteriore e indipendente da, esperienze utilitaristiche". Come Darwin era partito dallo studio degli allevamenti artificiali, cioè dalla selezione operata dall'intelligenza umana, così l'evoluzionista Wallace conclude ipotizzando all'origine del cosmo una "intelligenza superiore", analoga a quella, appunto, dell'allevatore o del coltivatore TUTTI I DUBBI MAGISTERIALI SUL DARWINISMO Roma. Fu con un clamoroso articolo sul New York Times che quattro anni fa il cardinale Christoph Schanborn, arcivescovo di Vienna e principe della chiesa cattolica, scagliò una dura critica all'evoluzionismo darwiniano dall'interno del vertice dell'alto clero internazionale, aprendo anche alla teoria del "disegno intelligente". L’ evoluzione nel senso di una ascendenza comune può essere vera, ma l'evoluzione nel senso neodarwiniano, come processo non pianificato, non guidato, di variazione a caso e selezione naturale, non lo è", scrisse Schànbarn. -Pochi mesi dopo il cardinale pubblica un seconda saggio in inglese dai titolo "I disegni della scienza" sulla rivista cattolica americana First Things. Nel sua intervento, Schanborn spiegava che la ragione umana é qualcosa di più di una conoscenza scientifica di tipo positivistico., "La teoria moderna dell'evoluzione deve essere liberata dai suoi ceppi ideologici. Per far questo, dobbiamo consentire l'esercizio del criticismo contro gli aspetti riduzionisti del darwinismo". A esprimere dubbi profondi sull'evoluzionismo darwiniano era stato in verità anche Giovanni Paolo II, che i partigiani del neadarwinismo considerano un "Papa evoluzionista" a differenza del suo successore. In un messaggio all'Accademia delle scienze dell'ottobre 1996, Karol Wojtyla aveva infatti dichiarato incompatibili con la dignità dell'uomo le teorie del l'evoluzione che "considerano la spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona". Benedetto XVI è un noto sostenitore dell'interpretazione critica dell'ideologia darwiniana e del falso clivage creazione/evoluzione. In una lezione del 1969 dal titolo "Fede nella creazione e teoria dell'evoluzione", l'allora teologo Joseph Ratzinger scriveva che "l’istante de1l’umanazione (l'emergere dell'essere umano, ndr) non può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione è l'insorgenza dello spirito, che non si può dissotterrare con la vanga". Anche il paleontologo "ufficiale" del Vaticano, Fiorenzo Facchini, ha scritto che "l’armonia dell'universo considerato nel suo insieme e nel percorso realizzato dall'evoluzione cosmica e biologica rimanda a una causalità superiore, almeno per quanto si riferisce alle leggi che lo regolano. E' ragionevole pensarlo". Sempre Facchini ha spiegato che "Darwin vede solo una parte della verità, quella riguardante i meccanismi biologici. Ci sono invece fondamentali domande di significato, circa la natura dell'uomo, cui si può rispondere solo ponendosi su un piano differente, di carattere filosofico e religioso". Il 18 aprile 2006 ?apa Ratzinger spiegava in una lezione che "la nostra scienza, che rende finalmente possibile lavorare con le energie della natura, suppone la struttura affidabile, intelligente della materia, il `disegno della creazione". Poteva essere più chiaro di così? (gm) SE LA CHIESA RISCHIA IL POLITICAMENTE: CORRETTO Il Papa dice che l’umanazione, cioè l’insorgenza dello spirito, non si può dissotterrare con la vanga. Chi avrebbe il coraggio di obiettare qualcosa a un'evidenza tanto felicemente evocata? In senso tecnico - basta guardare un qualunque manuale - il biologismo evoluzionista non spiega nemmeno la posizione eretta dell'uomo, figuriamoci l'insorgenza dello spirito, insomma l'uomo stesso. L'arcivescovo di Vienna, Schoenbarn, asserisce che "la teoria moderna dell'evoluzione deve essere liberata dai suoi ceppi ideologici". Basta leggere qui sopra il "Wallace" del formidabile Francesco Agnoli, in difesa del professor De Mattei sotto, Inquisizione giacobina, e vedrete ce quei ceppi hanno radici antiche, nonostante la grandezza letteraria e intuitiva di Darwin, capace di osservazione positivista e di tormentata riflessione umanistica alla stessa stregua,, abbia poco a che fare con il riduzionismo neodarwinista. Date le premesse, con Telmo Pievani e la setta degli illuminati di Micro Mega (le mie scuse a Battista, che non vuole luminarie), la discussione rischia di non cominciare nemmeno. Però certi attivismi ideologici e certe grottesche volgarità sulla "mediocrità" teologica di Ratzinger si radicano in una debolezza percepita della chiesa cattolica. Alla quale si attribuisce la Grande Paura: rìproàurre un caso Galilei, e pagarla poi per secoli. Così il compromesso sul darwinismo il Vaticano lo cerca al ribasso, sacrificando la tolleranza versa la ragionevole indagine dell'Intelligent Design, dopo le aperture di Schoenborn e Ratzinger. Oppure su aborto e bios, in rapporto all'ethos fissato* nella ragione umana e nel magistero ecclesiastico, si avvertono cedimenti e fobie (una volta è una sortita del presidente dell'Accademia per la vita, Rino Fisichella, un'altra volta è l'ottima Lucetta Scaraffia che si mette nel solca del biologismo spiritualista disincarnato del cardinal Martini, per non parlare delle coccolate macumbe di un sempre vivace embriofobo come Verzè). Quando si viene ai minareti svizzeri o al rapporto con la chiesa cattolica clandestina in Cina, ecco molte voci ecclesiastiche di primo piana che stendono un velo paco pietoso sulla realtà dei conflitti di civiltà (i quali implicano molte vittime musulmane ma anche ebree e cristiane, da non dimenticare) e sulla totale mancanza di reciprocità tra gli oranti maomettani sul sagrato del Duomo di Milano e coloro che sono impediti nel culto in ambito arabo-islamico. Fino al paradosso di una Santa Sede che si esprime liberalmente, come Onu o Consiglio d'Europa e altri organismi impegnati a liberalmente staccare i crocefissi o finanziare la pianificazione familiare di sterminio dei non ancora natile in Asia. Anche su Obama si è notata confusione politicamente corretta. Forse il cardinal Bertone e l'Osservatore romano, campioni di realismo, dovrebbero considerare che sui prezzo da pagare per Galilei si può tirare un po', per ridurla a una soglia ragionevolmente accettabile. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 3 Dic. ’09 CABIBBO: CREAZIONISMO LOTTIZZATO AL CNR DARWIN IL PRESIDENTE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE CRITICA LE NOMINE POLITICHE Il guaio non è il creazionismo, ma la cattiva politica. Per Nicola Cabibbo (nella foto), fisico di fama mondiale e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1993, non vale proprio la pena di dare troppa importanza al convegno antidarwiniano organizzato a febbraio dal vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche, Roberto de Mattei, i cui atti sono raccolti nel volume Evoluzionismo: il tramonto di un' ipotesi (Cantagalli). «Si tratta di un' iniziativa del tutto personale - sostiene Cabibbo - che de Mattei aveva la facoltà di promuovere, ma lascia il tempo che trova. Le tesi antievoluzioniste non hanno alcun seguito tra i biologi e non corrispondono certo all' orientamento della Chiesa cattolica, come dimostrano le posizioni assunte dalla Pontificia Accademia delle Scienze e le iniziative organizzate da monsignor Gianfranco Ravasi per il bicentenario della nascita di Charles Darwin». Però è curioso che sotto l' egida del Cnr si attacchino le teorie scientifiche più accreditate. «In effetti - nota Cabibbo - de Mattei non è un biologo e non si vede a quale titolo possa fare certe affermazioni. Il fatto è che lui non risponde alla comunità scientifica, ma solo ai referenti politici che lo hanno nominato. Il presidente del Cnr è stato scelto attraverso una procedura trasparente: infatti Luciano Maiani è persona degna della massima stima. Ma i membri del consiglio d' amministrazione sono designati in base a un criterio di lottizzazione politica e i risultati si vedono». Nell' organigramma del Cnr de Mattei, professore di storia, appartiene alla componente nominata dal ministero dell' Istruzione, insieme al chimico Luigi Rossi Bernardi (assessore della giunta Moratti a Milano) e al giurista Andrea di Porto. Da notare che lo stesso di Porto e de Mattei insegnano entrambi all' Università Europea di Roma (un ateneo privato legato alla congregazione cattolica dei Legionari di Cristo) e appartengono entrambi al comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, vicina al Pdl. Cabibbo però non vuole farne una questione personale: «Sotto altri aspetti de Mattei sarà di certo una persona apprezzabile, ma la sua intromissione in un campo di studi a lui estraneo dimostra la scarsa considerazione in cui è tenuta la scienza dalla classe dirigente italiana. È una situazione sconsolante, che induce i giovani studiosi più qualificati a trasferirsi all' estero. Così, quando la mia generazione sarà tutta in pensione, non ci sarà nessuno in grado di sostituirla». Antonio Carioti RIPRODUZIONE RISERVATA Carioti Antonio ________________________________________________________________ la Repubblica 2 dic. ’09 "ECCO I SUPER CERVELLI OFFLINE LA BANCA DATI DEGLI ATENEI D'ECCELLENZA LAURA MONTANARI FIRENZE - Un catalogo di super cervelli da consultare online, una generazione di giovani dottori e di talenti selezionati pronti per debuttare nei posti più ambiti del mercato del lavoro, per i centri di ricerca, per l'industria. L'ultima banca dati dei laureati è stata presentata in Toscana e per la prima volta mette insieme tre accademie di alta formazione: due di Pisa, la Scuola Normale e la Sant'Anna, una di Lucca I'Imt. II risultato è un consorzio che si chiama UJ Career and placement Services. Il progetto è nato - spiega il direttore della Normale Salvatore Settis - per rispondere a una criticità del Paese che non riesce più a garantire a studenti di eccezione, brillanti, prospettive occupazionali commisurate al loro valore». Il nodo è tutto li: in soccorso arriva il database utile a far conoscere alla società e al mercato le qualità e le competenze che i talenti super addestrati delle scuole di eccellenza sviluppano e agevolare loro l'accesso a tirocini, stage e contratti. La strada è stata aperta anni fa da Almalaurea, la banca dati che raccoglie i curricula dei laureati di 55 università italiane e che poi segue i neodottori nei primi approcci con il mondo dell'occupazione. Da quelle tabelle si fotografa bene la salita: i contratti atipici, le collaborazioni occasionali, la fatica di uscire dal precariato. Nell'eccellenza il panorama è diverso, per chi esce da queste scuole, lo spettro non è la disoccupazione, l'obiettivo è una collocazione di livello adeguato. Per questa ragione molte accademie si sono attrezzate con uffici di placement e siti internet per raccogliere i curricula dei laureati, metterli sottochiave e mostrarli alle aziende che investono sull'innovazione e vanno a caccia di personale qualificato. Alla Luìss di Roma i neodottori hanno anche la possibilità di registrare un video in cui spiegano i loro percorsi di formazione e si presentano: «Ho un carattere allegro ed equilibrato, che mi permette di vivere e lavorare bene insieme agli altri» racconta Stefania che cerca un posto nelle comunicazioni. Scrive invece Giuseppe reduce da un 110 e lode in economia aziendale: «Sono una persona a cui piace lavorare in gruppo, dotata di capacità di analisi e con una naturale propensione ad affrontare e risolvere i problemi». Alla Bocconi di Milano le aziende hanno accesso diretto alla cassaforte dei talenti, basta registrarsi (è gratis): «Oltre al sito internet, organizziamo incontri in aula fra operatori del mercato e i nostri laureati» dice Isabelle Lhuillier, responsabile del career service. Alla Bocconi il55°7° di quelli che si laureano nella specialistica hanno già un lavoro prima del giorno della tesi, alla Sant'Anna di Pisa a un anno dalla specializzazione sono tutti occupati e aun anno dalla laurea lo sono il 96°% dei neodottori. Alla scuola Normale quelli che dopo la laurea hanno scelto la strada del perfezionamento o del dottorato sono addirittura il95% e chi arriva in fondo riceve diverse offerte di occupazione: non sempre però corrispondono alle aspettative. Da qui l'esigenza di far conoscere quei talenti su cui il Paese ha investito e che rischia divedere andare via con un passaporto in mano. ___________________________________________________ TST 2 Dic. ‘09 NEL GORGO DEGLI ANTICHI MOSTRI I "MOTORI" CHE ALTERANO IL CLIMA Una mappa del XV I secolo anticipa le scoperte, degli oceanografi CINZIA DI CIANNI Delle leggende norrene il mitico Amlodi - che ispirò l’Amleto , di Shakespeare- possedeva un mulino che nell' Età dell'Oro macinava pace e abbondanza. Dopo molte peripezie il mulino finì in fondo al mare dove, sgretolando rocce e sabbia, creò il gorgo del Maelstrdm, via d'accesso al regno dei morti. Se per i naviganti il gorgo è orrore puro, per gli scienziati le turbolenze oceaniche sono diventate importanti, perché in forma di vortici (chiusi) e di fronti (aperti) non solo contribuiscono alla vita degli ecosistemi marini, ma influenzano il clima. La «turbolenza oceanica a mesoscala», che interessa aree comprese tra 5 e 200 km di estensione, per esempio, ha acceso l'interesse degli oceanografi da quando si è capito che funziona come un frullatore e come un ascensore, rimescolando nutrienti e plancton. Il fitoplancton è presente fino a 100 m di profondità, nello «strato eufotico», dove consuma molti nutrienti, principalmente azoto. La sua sopravvivenza è quindi legata a fenomeni di «upwelling», la risalita delle ricche acque profonde verso la superficie, che viene così fertilizzata. Nell'oceano l’«upwelling» avviene proprio in corrispondenza di fronti e vortici a mesoscala. «Il ciclo del carbonio, la concentrazione di CO, e l'effetto serra sono influenzati dai flussi biogeochimici tra oceano e atmosfera - spiega Antonello Provenzale dell'IsacCnr di Torino - e i flussi dipendono dall'ecosistema marino e quindi dalle dinamiche del fitoplancton e dello zooplancton. Questi processi, così, diventano attori importanti sulla scena climatica». Se la scienza non smette di interrogarsi, la prima raffigurazione del MaelstrSm, il vortice per .antonomasia, compare probabilmente nella «Carta marina et Descriptio septemtrionalium terrarum», pubblicata a Venezia nel 1539 dal religioso svedese Olaus Magnus, che lo colloca correttamente lungo le coste norvegesi, presso le isole Lofoten. E' un capolavoro che cela un piccolo mistero. Non se ne ha infatti notizia fino al 1886, quando un esemplare venne scoperto all'Hofund Staatsbibliothek di Monaco, mentre l'altra copia è al Carolina Rediviva dell' Università svedese di Uppsala. Composta di 9 incisioni, riunite in una mappa di 170xi25 cm, la «Carta» è la prima descrizione attendibile del Grande Nord. Vi figurano terre all' epoca quasi sconosciute, come Groenlandia, Islanda, Penisola scandinava e coste baltiche della Russia. Nel 2001 l'accuratezza della mappa regalò a Toni Rossby dell'Università di Rhode Island una scoperta sorprendente. Nel tratto di mare a Est dell'Islanda le linee d'inchiostro formano spirali che indicano forti turbolenze e minacciano gli Holk di Lubicensi, Angli e Goti, già alle prese con mostruosi Leviatani. Solo una licenza artistica? No, secondo l'oceanografo. «Avevo partecipato a un congresso a Bergen, in Norvegia, dedicato allo studio del fronte oceanico Islanda Faroer, l'area dove le acque calde della Corrente del Golfo incontrano quelle fredde dell'Artico. Negli stessi giorni leggevo "Cod", il libro di M. Kurlansky che contiene una riproduzione della mappa. Osservandola mi sono venuti i brividi: ho capito di aver scoperto qualcosa di speciale!». In effetti, le turbolenze sulla mappa coincidono con il fronte Islanda-Faroer. Ma come poteva Olaus Magnus conoscere un fenomeno confermato solo 5 secoli più tardi dai satelliti? Nel 2003 Rossby firmò con Peter Miller del Plymouth Marine Laboratory un articolo su «Oceanography», in cui sosteneva che al cartografo svedese si doveva la più antica descrizione di vortici oceanici su larga scala. Per confermare l'ipotesi, Miller ha composto un puzzle di immagini satellitari: visto che il Nord-Est Atlantico è sempre coperto di nubi, non c'è altro modo di ottenere immagini nitide dell'area. Vortici e fronti, infatti, sono stati «scoperti» solo negli Anni 60, quando gli oceanografi impiegarono boe di profondità e immagini termiche. Videro così che nel fronte Islanda-Faroer le temperature superficiali dell' acqua variavano anche di 5 C ° e le velocità orizzontali raggiungevano 0,5 m/s. Oggi gli scienziati si servono anche dell'altimetria satellitare (che misura l'altezza della superficie marina), di radar e di modelli al computer. Provenzale ha appena pubblicato un articolo sul «Journal of Geophysical Research», frutto di una collaborazione tra Cnr, Georgia Institute of Technology di Atlanta e University of California a Los Angeles, in cui dimostra che le velocità verticali dei vortici sono maggiori di quanto finora ipotizzato: anche 50 m al giorno. «Sono molti gii aspetti da chiarire su vortici e fronti - aggiunge il fisico - soprattutto da quando si è osservato che parte rilevante dell'aerosol marino è prodotto dal plancton. L'aerosol, d'altra parte, è legato alla formazione di nubi e quindi influenza il clima». Rossby, intanto, ha scavato nella vita di Olav Manson (Olaus Magnus è il nome latinizzato) per svelare il mistero della «Carta». Ha scoperto che grazie al fratello, arcivescovo di Uppsala, fu inviato come legato pontificio nelle contrade del Nord. Nel 1523 re Gustavo Vasa lo spedì in missione diplomatica in Italia e da allora Olav non rientrò più in Svezia, che nel frattempo aveva abbracciato la Riforma. Visse a Danzica, Venezia e Roma, dove morì nel 1557. Secondo Rossby, «impiegò 12 anni per preparare la "Carta": credo che abbia raccolto notizie di prima mano dai marinai della Lega Anseatica, che ogni primavera raggiungevano le coste dell'Islanda nel periodo in cui le turbolenze erano più forti». Proprio come Olav, Rossby ora prosegue le ricerche sulla Corrente del Golfo: «Il prossimo anno ci sposteremo tra Norvegia e isola di Spitsbergen nell'arcipelago delle Svalbard: Solo da poco abbiamo capito l'importanza del bacino Lofoten per l’overturning, il rovesciamento degli oceani che mantiene temperato il clima del Nord Europa, agendo come un termosifone. Abbiamo imparato molto sugli oceani, ma solo per scoprire quanto poco ne sappiamo!». Il mulino di Amlodi continua a macinare qualcosa di buono, in fondo al mare. ________________________________________________________________ ItaliaOggi 2 dic. ’09 CELLI (LUISS): FIGLIO MIO FUGGI ALL'ESTERO Perché l'Italia non offrirebbe più opportunità ai giovani Il direttore della Luiss (Confindustria) non ha. piú fiducia nell'istituzione che dirige DI GIULIO GENOINO Ineffabile Pier Luigi Celli. Buon sangue non mente. Quand'era capo del personale all'Olivetti di Carlo De Benedetti imparò dal «più grande» l'arte del trasformismo, del chiagnere -e-fottere, del predicare bene, politicamente corretto e un po' labour, e razzolare male, malissimo; l'arte dell'avere il cuore a sinistra e il portafoglio a destra. Oggi, nelle vesti autorevoli e meritate di direttore generale della Luiss,l'Università privata della Confindustria, si ritrova con un bel po' di tempo libero e quindi lo valorizza scrivendo libri, cosa che peraltro gli riesce facile e gradevole. Ma scrivere libri, si sa, è più gratificante se poi si riesce anche a venderli. E per venderli non guasta un po' di visibilità. In questa fase sta lanciando il suo ultimo saggio, «Coraggio, Don Abbondio», un pamphlet socio-eco-massmediologico sulla pusillanimità e sul conformismo dei manager che sta incuriosendo tanti. E, per non lasciare nulla al caso, sta esternando con puntualità per farsi notare. L'ultima volta l'ha fatta, però, un po' fuori dal... perimetro dell'opportuno, perché ha scritto e divulgato una specie di lettera aperta al proprio figlio, invitandolo, senza mezzi termini, a cercare lavoro all'estero. «Lascia l'Italia, figlio mio!», scrive il manager, che dopo l’Olivetti ha frequentato da top manager anche la Rai, come direttore generale, e l’Unicredito, come direttore dell'immagine e della comunicazione, per dire che è uno esperto di mass-media. «Abbiamo voluto che l'Italia fosse diversa e abbiamo fallito», si lagna Celli nella lettera. E i giornali s'incaricano d'intervistare l'innocente destinatario, il figlio Mattia: «Cosa farò? Deciderò dopo la laurea», replica lui, dimostrando un'innata inclinazione per la carriera diplomatica. Il piccolo particolare che Celli trascura nella sua requisitoria contro questo paese refrattario a diventare diverso, è che, se davvero per un giovanotto di belle speranze è saggio andarsene all'estero, forse lo è ancor di più andarvici fin dagli anni dell'università, spendendo (pardon, facendo spendere alla famiglia) a Parigi o a Londra o New York quei soldi che, magari, qualche incauto genitore avrebbe potuto anche decidere di pagare alla Luiss! Se, insomma, «signora mia com'è vero», «in che mani siamo», e «povera Italia», forse, «povera Luiss», Celli poteva evitare di dirlo, visto che la dirige. Che cosa ne penserà Emma Marcegaglia, la presidente di u n a Confindustria che lo stipendia per dirigere evidentemente un emigrantificio universitario? Ma inutile dirlo, Celli ha colpito nel segno perché sulla sua boutade, una provocazione semplice-semplice, è subito impazzato il circo mediatico: commenti, critiche, elogi, applausi e fischi, e tutti a parlare del come e del perché. Certo che Celli, in qualche passaggio, ha dimostrato una faccia come il suo lato B: specialmente dove scrive, sempre rivolto al figlio: «Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai»... dimenticando il generoso contributo da lui stesso dato sia alle veline, negli anni in Rai (per carità, le veline doc sono copyright Mediaset, ma solo perché, in materia, viale Mazzini ha sempre saputo soltanto inseguire.) che all'impunità dei manager incapaci, negli anni della devastante epopea debenedettiana all’Olivetti, ché fu un vero tritasoldi pubblici e una vera fucina di disoccupazione. Basta, di Celli e della sua provocazione s'è parlato anche troppo. Ma un grazie glielo si deve: dall'Italia si dovrà continuare a fuggire (o a non fuggire) né più né meno che prima della sua lettera. In compenso è ormai chiaro a quale università è inutile iscriversi. E al riguardo, un'ultima suggestiva ipotesi: e se il prode Pier Luigi, sapendosi in odore di licenziamento dalla Luiss per la sua evidente distanza di orientamento culturale rispetto all'attuale vertice di Confindustria, avesse voluto giocare d'anticipo e lanciare questa mina sul tavolo, per potersi poi avvolgere nella bandiera del martirio e negoziare al meglio la relativa superliquidazione? Ma no, che ipotesi ignobile: si può mai speculare così sul dolore di un cuore di padre? ___________________________________________________ la Repubblica 30 Nov. ‘09 IL FUTURO DOPO LE E-MAIL I social network hanno sorpassato la posta elettronica: con trecento milioni di utenti sono il modo più diffuso per comunicare RICCARDO STAGLIANO a dichiarazione di morte presunta, tecnologicamente parlando, è un amuleto. Nel'95, in : un libro drammaticamente intitolato "La vita dopo la televisione", il futurologo George Gilder ne parlava già all'imperfetto, insistendo sulla puzza di cadavere che emanava dal piccolo schermo. Si era anche pronosticato che la digitalizzazione avrebbe tolto la carta dagli uffici. E la posta elettronica reso superflue le telefonate. In tutti questi casi il condannato non è mai stato tanto in salute come dopo l'emanazione della fatwa. Sulla ruota dell'endism, che resta invece un fortunato filone editoriale, esce oggi l’email. «È la fine della sua era» titola, senza cautele condizionali, il Wall StreetJournal. Che indica i carnefici nei social networks, da Facebook a Twitter. Per non dire dell'imminente sbarco di quel mezzosangue telematico che ha per nome Google Wave, che assommerà in sé messaggistica e condivisione, il meglio dei due mondi. La profezia è di quelle che fanno rumore ma a quanto ammonta il suo grado di verosimiglianza? L'imponente inchiesta si basa essenzialmente su una prova. Un recente rapporto Nielsen che, fotografando gli utenti internet tra Stati Uniti, vari stati europei, Australia e Brasile, segnala il sorpasso. In agosto a usare la posta elettronica erano in 276,9 milioni contro i 301,5 di frequentatori di social network. Se i numeri assoluti non bastassero, i primi erano cresciuti del 21% rispetto all'anno prima mentre i secondi del 31. Facendo leva su quest'evidenza fattuale l'articolo dà voce a tutta una serie di considerazioni di esperti sul passaggio dalla comunicazione uno-a-uno della posta al "flusso" che invece caratterizza Facebook. Li "A" non scrive a "B" ma "B" viene a sapere di "A" comunque perché gli aggiornamenti esistenziali di quest'ultimo appaiono sulla sua pagina, quando si connette. Idem con Twitter, il servizio di microblogging da 140 caratteri: se diventi follone di qualcuno ogni volta che ti colleghi il sistema ti aggiornerà su ciò che lui ha voluto far sapere al mondo. È un'evoluzione del passaggio dalla modalità push (la tv che spinge i contenuti verso lo spettatore) a quella pull (il web, dove sono io a tirare le fila delle informazioni). Se vuoi sapere qualcosa sul mio conto non c'è bisogno che te lo scriva (push) ma basta che tu mi venga a trovare online (pull) sulla mia pagina Facebook, MySpace, Twitter, Flickr, per non dire dei blog. Il sempre più diffuso presenzialismo online inverte l'onere della prova della comunicazione. Una quantità di informazioni di base sul tuo conto le posso conoscere senza chiedertele: basta controllare le nuove foto che hai caricato per sapere dove sei stato nei giorni scorsi, leggere gli status update per capire il tuo umore corrente, scartabellare tra la musica e i video che posti per intuire i tuoi gusti. Per il resto, perle informazioni più sensibili come se queste non lo fossero già abbastanza - ti domanderò direttamente. Tutto questo è già vero oggi, quando il lancio di Google Wave è ancora in modalità beta, con gli utilizzatori ammessi solo su invito. L'ultima creatura della casa di Mountain View parte dal presupposto, esplicitato dai due sviluppatori australiani, che «la comunicazione elettronica è ferma al secolo scorso». Per svecchiarla radicalmente hanno quindi creato un ibrido che in una sola finestra contiene email, chat e possibilità di condividere audio e video, oltre che lavorare simultaneamente a progetti comuni. «Flusso di conversazione collettiva», l'hanno chiamato. Sarà quest'Onda a travolgere la posta elettronica? Howard Rheingold, inventore del termine "comunità virtuali", è troppo navigato per lanciarsi in previsioni. Si limita a constatare che «è piuttosto seccante oggi assistere alla frammentazione dei canali» con cui si comunica. E in questo Wave potrebbe semplificare. Ma la verità è che «mentre vent'anni fa le comunità si creavano intorno a un tema (gli appassionati di moto, di fantascienza, e quant'altro), oggi si creano intorno a una persona che ne diventa il centro di gravità su Facebook e gli altri social network». Che difficilmente saranno assunti sotto l'ombrello della pur promettente applicazione. Resta intonso l'interrogativo iniziale: L'email hai giorni contati? Facendo una rassegna più ampia, gli studi di settore divergono. Pochi mesi fa un rilevamento Emarketer aveva fatto notizia certificando che un quarto degli americani ormai controlla la posta prima ancora di fare colazione. II che dice assai sulla vitalità del mezzo. E uno studio Telus ha analizzato le modalità con cui restano in contatto amici e familiari in Canada. «Nonostante i titoli sovreccitati di certa stampa, quelli che lo fanno via Twitter variano dall'1 al 3%. Con i migliori amici (13%) e le conoscenze (27%) sì comunica via e-mail mentre Facebook avanza, rispettivamente al 5 e 25%» commenta il sociologo Barry Wellman, dell'università di Toronto. Infine un rapporto ExactTarget dimostra come non si tratti quasi mai di sostituzione di un canale con l'altro, quanto di mutuo rinforzo. Almeno tra gli studenti di college americani l'aumento dell'uso di sms e di email ha potenziato, non ridotto, quello dì social networks. Nessun gioco a somma zero, insomma, dove la fortuna di uno decreta la rovina dell'altro. Clay Shirky, docente di nuovi media alla New York University e autore di "Uno per uno, tutti per tutti", ne è convinto. «C'è sempre la tentazione, quando appare una nuova forma di comunicazione, di annunciare che rimpiazzerà subito tutte le altre. Ma i media, più che venire sostituiti, si eclissano. In decenni, forse. L'email è un si-stema aperto e ormai lo spam è cresciuto così tanto da rendere quasi preferibili i filtri sociali che salvaguardano invece i social network». Pensate a una festa a inviti contro un capodanno a Times Square. Se ti ho fatto entrare io, ti comporterai bene, per non fare figuracce con me e gli altri di cui sei "amico". Nicholas Negroponte, il decano della rivoluzione digitale («la posta elettronica non è morta e Twitter potrebbe avere vita breve»), ci propone una tassonomia in cui ogni mezzo ha la sua ragion d'essere. «L'email è un messaggio più lungo, personale, asincrono che include deliberazione e rilettura. Un tweet è troppo spesso un ruttino intellettuale: breve, pubblico e in tempo reale. Facebook è agnostico, può essere usato in tante modalità diverse». C'è spazio per tutti, tranne che per le generalizzazioni. Ricorda il Wall Street Journal che l’email è nata in un'epoca in cui ci si connetteva via modem, poche volte al giorno, e si scaricavano molti messaggi in un colpo solo. Adesso che si è sempre connessi ci sono metodi più immediati e divertenti. Gli risponde un editorialista di TechCruch, punto di riferimento degli smanettoni: «Il fatto di essere sempre collegati non significa che vogliamo una comunicazione always on. Ma, per scomodare concetti psicanalitici, un mix passivo aggressivo. Dove la messaggeria è aggressiva, l'e-mail è passiva (decidi tu quando rispondere), Twitter molto passiva perché non c'è neppure bisogno di rispondere e Facebook un misto delle due». Come Gmail che consente ai suoi milioni di utenti di passare, senza soluzione di continuità, dalla posta alla chat alla videochat all'interno della stessa schermata, a seconda dell'urgenza. Epperò, ci fa notare Sherry Turkle, sociologa al Mit, è vero che «ci spostiamo verso una vita cyborg, con tecnologie portate addosso e sempre accese, così da assumere che un messaggio raggiungerà all'istante il destinatario. E in quest'accelerazione l’email sarà riservata ai rapporti di lavoro dove formalità e dettagli sono più importanti». Registri diversi, canoni stilistici alternativi. Lo pensa anche Ray Tomlinson, l'ingegnere che nel 1972 "inventò" l’email. «Le forme di messaggistica istantanea che conosco sembrano distruggere ogni concentrazione. La gente crede di essere più produttiva saltando avanti e indietro da un messaggio all'altro ma temo che non sia affatto così. Non ho ancora provato Wave: sembra promettente per collaborare in tempo reale, ma questa è una percentuale minima del totale delle comunicazioni». A lungo si è detto che l’email era la killer application, il motivo principale che convinceva la gente a usare internet. Ora c'è chi azzarda che sia diventata la killed application, con i social network all'ultima moda nelle vesti di incongrui esecutori testamentari. Se le tecno-profezie passate non sono passate invano sembra di poter rassicurare tutti: per la vecchia cara @ il paradiso può attendere. ________________________________________________________________ il Giornale 5 dic. ’09 TELECOMUNICAZIONI: IL WEB DEL FUTURO ARRIVA IN EUROPA di Lara Comi* Maggiore concorrenza sui mercati europei delle telecomunicazioni, servizi internet, sia mobili che fissi, migliori e meno cari, connessioni internet più rapide: questo il senso del complesso di regole, finalizzato a riformare l'intero settore delle Tlc su scala europea, dai più conosciuto come «Pacchetto Telecom», che è stato approvato a Strasburgo. Si tratta di un provvedimento determinante per la crescita della competitività del mercato europeo, che genererà effetti positivi in termini di aumento della produttività di molti altri set-. tori dell'economia. Le nuove direttive in materia di comunicazioni elettroniche erano rimaste, per due anni, impaludate nei difficili compromessi tra istituzioni comunitarie (Commissione, Parlamento e Consiglio) previsti dalla procedura di codecisione. Dopo l'approvazione in Parlamento, nello scorso mese di maggio, di un emendamento a favore della libertà in internet, che avrebbe impedito ai provider di tagliare la connessione ai recidivi del download illegale senza approvazione del giudice, è stato necessario l'intervento del comitato di conciliazione Parlamento-Consiglio per dirimere le questioni politicamente e ideologicamente più complesse. Il documento recepisce, infatti, alcune legittime aspirazioni: da un lato favorire la propensione delle imprese a investire nelle reti di nuova generazione, dall'altro aumentare il livello di tutela del consumatore garantendo, inoltre, il diritto fondamentale dei consumatori di non vedere limitata o ridotta la propria libertà di accesso ai servizi di comunicazione elettronica se non in base a condizioni ben precise o in presenza di decisioni dell'autorità giudiziaria. Questi, nel dettaglio, gli ambiti che il documento norma: ogni consumatore europeo, mantenendo sempre il medesimo numero, potrà cambiare operatore mobile in un giorno; maggiore trasparenza e chiarezza nelle informazioni sulle condizioni contrattuali e sulle tariffe, in modo tale che i consumatori possano liberamente operare le loro scelte; i consumatori europei avranno maggior possibilità di scelta tra i provider per la banda larga disponibili; libertà e neutralità della rete nel senso che gli utenti finali devono poter decidere quali contenuti inviare e ricevere c 'quali servizi, applicazioni, hardware e software utilizzare; maggior protezione contro furti di dati sensibili e spam; si potrà accedere da tutta Europa al numero unico di emergenza 112; ci sarà una più equa competizione a vantaggio di tutti gli utenti; infine, è prevista una miglior gestione dello spettro radio che migliorerà la copertura della banda larga. Queste nuove norme europee in materia di telecomunicazioni daranno un contributo decisivo alla creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni più forte, più competitivo e più vicino alle esigenze dei consumatori, sostenuto da reti più veloci, in fibra ottica o mobili, in tutta Europa. Sarà, inoltre, un chiaro segnale per un rafforzamento della concorrenza e degli investimenti in reti e servizi di telecomunicazioni nuovi e più rapidi, in un mercato unico più forte. Queste le prossime tappe dell’iter legislativo: entro dicembre la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione, nella primavera del 2010 l'istituzione della Berec (autorità garante delle telecomunicazioni europea), mentre gli Stati membri dovranno adottare le nuove direttive entro il 26 aprile 2011. Solo allora 500 milioni di cittadini europei beneficeranno finalmente di un quadro normativo armonizzato,- che rafforzerà non solo la concorrenza, ma anche i loro diritti. *Parlamentare europea _______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 Nov. ’09 BRUNETTA: GENTILEZZA PER LEGGE Statali, nuove regole. Raddoppia l’una tantum per i precari ROMA — «Io sostengo che pur nel rigore si possono fare le riforme strutturali, che non solo non costano nulla, ma che aiutano il Paese. Tremonti invece è più preoccupato, indicando che nella fase del dopo crisi occorre essere guardinghi». Il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, torna a sollecitare interventi per stimolare l’economia. «Bisogna accompagnare questa fase di dopo crisi con riforme di modernizzazione del Paese, perché le riforme vanno fatte anche in periodi di vacche magre: vuol dire far funzionare il sistema, stimolare la parte migliore del Paese ed eliminare gli sprechi», ha detto il ministro, nel consueto appuntamento con la radio Rtl per il «Brunetta della domenica », annunciando la sua prossima campagna. «Una battaglia per la gentilezza: l'obbligo della gentilezza e cortesia negli uffici pubblici, contro le molestie burocratiche. I pubblici dipendenti tutti, tra pochi mesi quando sarà approvata la mia legge, dovranno essere gentili e cortesi ». «Le mie proposte non comportano necessariamente un aumento della spesa pubblica» ha aggiunto Brunetta, ricordando l’intervento sulla pubblica amministrazione «che sta dando dei frutti». «Nella Finanziaria si sta facendo un intervento di semplificazione con la riduzione degli enti inutili, come le comunità montane o anche il numero degli eletti nei vari organi di rappresentanza» ha ricordato inoltre Brunetta. Prende intanto forma il pacchetto lavoro definito negli emendamenti del governo alla Finanziaria. Tra le misure più rilevanti il raddoppio dell’una tantum per i co.co.pro. L’assegno per i precari che perderanno il lavoro salirà da 2 mila euro fino a 4 mila. Mario Sensini _______________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Dic. ’09 BRUNETTA: MEDICI IN CORSIA FINO A 70 ANNI FOCUS LE REGOLE DELLA SANITÀ LA «ROTTAMAZIONE» NEL DECRETO DEL 2008 BRUNETTA AVEVA PREVISTO LA PENSIONE CON 40 ANNI DI CONTRIBUTI I CAMBI DA ALLORA LE REGOLE SONO CAMBIATE PIÙ VOLTE, FINO ALL' ULTIMA IPOTESI E CHI È STATO COSTRETTO A LASCIARE GLI OSPEDALI ORA SI RIVOLGE AL TAR Gli over 55 I camici bianchi con più di 55 anni sono raddoppiati in sette anni e sono il 27% del totale Lo prevedono due nuove norme votate alla Camera e in Senato Caos sull' età pensionabile. Le proteste di Regioni e Università Meglio rottamarli. Anzi no. In soli 410 giorni il limite d' età per mandare in pensione i medici d' Italia è cambiato ben tre volte. Non solo: dal volerli mandare via a 58 anni o giù di lì, adesso due nuovi provvedimenti in discussione alla Camera e al Senato mirano a tenerli in corsia fino ai 70. Il risultato è il caos totale. Tra il mal di pancia delle Regioni, le proteste dell' Università e la pioggia di ricorsi degli interessati. Sullo sfondo due dati di fatto: in soli sei anni (dal 2001 al 2007) i medici con più di 55 anni sono raddoppiati (da 11.948 a 28.300, pari al 27% del totale); l' età media in corsia nello stesso periodo è cresciuta di 3 anni (da 47 a 50). Lo dimostrano le statistiche elaborate da Carlo De Pietro, ricercatore del Centro di ricerche sulla gestione dell' assistenza sanitaria sociale (Cergas) della Bocconi. È il 25 giugno 2008 quando il decreto legge 112 voluto dal ministro Renato Brunetta crea scompiglio tra i 106 mila camici bianchi italiani: il suo ormai famoso articolo 72 dà il via, infatti, alla «rottamazione» dei medici con 40 anni di contributi (lavoro effettivo, più militare, più riscatto della laurea). Nove mesi dopo, il 5 marzo 2009, la legge numero 15, corregge il tiro: a fare fede diventano gli anni di anzianità e non più quelli di contributi, e i vertici degli ospedali possono di fatto lasciare a casa chi è in servizio da 40 anni. Ma la norma resta in vigore appena 138 giorni. Il 5 agosto 2009, con la legge 102, c' è una tripla retromarcia: i primari vengono salvati dalla risoluzione unilaterale del contratto di lavoro, ritorna il principio dell' anzianità contributiva e la possibilità di ricorso ai prepensionamenti viene limitata a soli tre anni (2009, 2010, 2011). Ora sembra di nuovo tutto da rifare. Appena le norme sembrano finalmente definite, infatti, lo scorso agosto, spuntano due (contro) emendamenti che stanno viaggiando su strade separate: uno è stato approvato dalla Commissione affari sociali della Camera il 27 ottobre, l' altro ha ottenuto il via libera del Senato il 26 novembre. Ma, ovviamente, i due testi legislativi prevedono regole diverse. La misura votata dalla commissione Affari sociali, all' interno del disegno di legge sul governo clinico, alza l' età pensionabile di tutti i camici bianchi al compimento dei 70 anni (come quella dei baroni universitari e dei primari). «È un modo per permettere ai medici, che difficilmente vengono assunti prima dei 32-33 anni, di andare in pensione con tutti i contributi versati», spiega Domenico Di Virgilio, sottosegretario alla Salute e autore del Ddl. La modifica al disegno di legge in tema di lavoro pubblico, che ha appena avuto il via libera del Senato, introduce invece per i dottori del servizio sanitario nazionale la possibilità di andare in pensione non più a 65 anni, ma - su richiesta - al compimento del 40° anno di servizio effettivo (non oltre, però, i 70 anni). «Così medici ospedalieri e universitari vengono messi sullo stesso piano recuperando per tutti, primari e non, gli stessi diritti e le stesse opportunità», dicono praticamente all' unisono il senatore del Pdl Michele Saccomanno, il senatore del Pd Daniele Bosone, vicepresidente della commissione Sanità, e Fabio Rizzi della Lega. Denuncia il segretario nazionale della Cgil medici, Massimo Cozza: «È singolare che per uscire dalla morsa dei prepensionamenti coatti voluti fortemente dal ministro Brunetta si debba arrivare al pensionamento a 70 anni. Bastava eliminare la sola rottamazione». Eccolo, il pasticcio italiano sull' età in cui mandare in pensione i camici bianchi. I nuovi provvedimenti sono legati da un filo rosso: la limitazione dell' iniziale «fuoritutti» dopo 40 anni di contributi introdotto dal ministro Renato Brunetta. Ma il cambiamento di rotta è malvisto dalle Regioni. Gli enti locali fanno leva sul federalismo in materia sanitaria e sono preoccupati per la sostenibilità economica dei provvedimenti in discussione: i medici anziani, ovviamente, costano di più delle nuove leve. Storcono il naso anche le università. Agli atenei sta a cuore soprattutto lo svecchiamento della classe medica. Un segnale importante, in questa direzione, arriva da una decisione del Senato accademico della Statale di Milano: già nel dicembre 2008 l' università guidata dal presidente della Conferenza dei rettori (Crui), Enrico Decleva, vota una delibera per anticipare di due anni il pensionamento dei baroni, ai quali fino allora era consentito di esercitare fino ai 72 anni. «È una decisione presa per fare spazio ai giovani - ribadisce Virgilio Ferrario, preside della facoltà di Medicina della Statale -. Tutti li nominano, ma poi le iniziative concrete per aiutarli sono poche». E i diretti interessati? Loro, i medici, hanno dato il via a un' escalation di ricorsi al Tar. Ma le prime sentenze, arrivate all' ospedale Policlinico di Milano, li hanno visti perdere in massa: i vertici dell' azienda ospedaliera, infatti, avevano il diritto di licenziarli perché avevano raggiunto i 40 anni di anzianità, come previsto da una delle varie versioni delle disposizioni in materia, quella rimasta in vigore tra il marzo e l' agosto 2009. Del resto, avverte Riccardo Cassi, presidente del Coordinamento italiano medici ospedalieri (Cimo) «il pensionamento con 40 anni effettivi di servizio previsto dal Senato è un segnale positivo. Ma la mancata abrogazione della norma reintrodotta quest' estate consente ai direttori generali delle aziende ospedaliere di continuare a licenziare i professionisti per ridurre il deficit». Riassume Giuseppe Garraffo, segretario della Cisl medici: «Si è passati da un' esagerazione all' altra. Da mesi il destino dei medici è appeso alle norme in vigore nel momento in cui i vertici dell' azienda ospedaliera decidono il da farsi. Il giorno dopo può essere tutto diverso». Il dibattito, dunque, è all' ordine del giorno, ognuno ha le sue ragioni: l' anzianità, in campo medico (e non solo), non va di pari passo con l' esperienza? Ma se non c' è ricambio, i neolaureati che fine fanno? Certo, legiferare in questa materia è complesso: in un recente articolo sull' argomento l' economista Giuliano Cazzola (Pdl) si rifà al motto dell' ex ministro del Lavoro dc, Carlo Donat Cattin: «Il potere contrattuale di un primario ospedaliero è maggiore di quello di tutta una corte di metalmeccanici». Simona Ravizza _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 nov. ’09 SARDEGNA MILLENARIA DAL PRIMO UOMO ALL'ETÀ NURAGICA Con la lectio magistralis dell'accademico dei lincei Giovanni Lilliu (oggi alle 10) si apre il convegno “La preistoria e la protostoria della Sardegna” che si svolge per l'intera settimana tra Cagliari, Barumini e Sassari. Stamane si inaugura nell'aula verde della Cittadella dei musei con la relazione dell'insigne archeologo su "Contadini e pastori della Sardegna neolitica", seguiranno i primi dei novanta interventi previsti nel corso della riunione scientifica dell'Istituto italiano di Preistoria e protostoria, che quest'anno dedica il suo appuntamento alla Sardegna, terra di grande interesse per la conoscenza del passato nell'area mediterranea. È la seconda volta che si svolge in Sardegna: la prima fu trent'anni fa a Sassari. Sei le giornate di studio con l'organizzazione del Cippm dell'Università di Cagliari (Centro Interdipartimentale per la Preistoria e Protostoria del Mediterraneo), diretto dalla professoressa Giuseppa Tanda. Dieci le sessioni nel programma: Paleolitico, Mesolitico e Neolitico, Eneolitico, Età del Bronzo, Età del Ferro, Arte, Uomo e Ambiente, Tecnologie e Risorse, Contatti e Scambi, Metodologie, con la partecipazione di studiosi sardi e in arrivo da Italia, Francia, Spagna, Inghilterra. Gli interventi saranno pubblicati nel volume “Atti delle Riunioni Scientifiche”, la pubblicazione annuale dell'Iipp. Al centro del dibattito gli studi più recenti sul patrimonio delle antichità nell'isola, i dati emersi dagli ultimi scavi archeologici, le riflessioni sulle conoscenze già note alla luce delle più evolute tecniche di analisi partendo dal Paleolitico per arrivare fino all'età del Ferro. LIBRO A QUARTU Oggi alle17.30 presso l'aula consiliare del Comune di Quartu Sant'Elena verrà presentato il romanzo "Diversamente come te" scritto a quattro mani da Andrea Cossu e Bruno Furcas, edito da Arkadia. Con gli autori interverrà Salvatore Bandinu, idrochinesiologo presidente dell'associazione "il Raglio". Oltre alla presentazione del libro si svolgerà un dibattito sulla disabilità, sui metodi di insegnamento nei confronti dei portatori di handicap gravi, sulla gestione dei problemi inerenti l'educazione da parte di famiglia, stato e scuola. Prevista la partecipazione di amministratori pubblici, del direttore scolastico Armando Pietrella e di operatori del settore socio-assistenziale. AMICI DEL LIBRO Oggi alle17.30, nella sala della Società di Mutuo Soccorso in Via XX Settembre 80, per gli incontri degli Amici del Libro, il docente e scrittore Gianni Marilotti parlerà dei rapporti tra l'Italia e il Nord Africa: "Emigrazione sarda in Tunisia" (1848 - 1914). SCRITTURA CREATIVA Un laboratorio di scrittura creativa si svolgerà venerdì 27 dalle 14.30 alle 17.30 e sabato 28 dalle 10 alle 13, presso i locali dell'ostello Marina a Cagliari, in piazza San Sepolcro 2. Organizzato dall'agenzia libreria Kalama verrà tenuto dallo scritture e disegnatore Otto Gabos, docente di arte del fumetto presso l'Accademia di Belle arti di Bologna. Il corso è rivolto a chi scrive, a chi vuole scrivere, al personale didattico (insegnanti, educatori, animatori) e agli appassionati. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 nov. ’09 COLLEZIONISTA SCOPRE DUE DITA DI GALILEO IN UN'AMPOLLA ANTICA Due dita e un dente, probabilmente quelli asportati dalla salma di Galileo Galilei nel 1737, sono stati fortunosamente ritrovati da un collezionista che ha acquistato all'asta un'ampolla di vetro contenente i tre reperti. Il ritrovamento è stato reso noto dalla Soprintendenza del polo museale fiorentino. Il collezionista ha avvisato la Soprintendenza e il Museo di Storia della Scienza dove è già custodito un dito essiccato che si presume essere di Galileo. Dopo le analisi del dna, probabili adesso grazie alla possibilità di comparazione, i reperti verranno attribuiti e presentati al pubblico, probabilmente a marzo. L'ampolla di vetro (risalente al Settecento, in vetro soffiato) era racchiusa in una teca di legno risalente all'Ottocento e sormontata da un busto ligneo di Galilei. Le due dita (pollice e indice) e il dente, presumibilmente un molare, sarebbero quelli asportati dal cadavere dello scienziato durante la traslazione del corpo dalla Basilica di Santa Croce alla cappella del noviziato, dove è stato conservato per qualche tempo il cadavere essiccato. A tagliare le due dita ed estrarre il dente, secondo il direttore del Museo della storia della scienza Paolo Galluzzi, fu l'archiatra di Santa Maria Nuova, Gualtieri, che utilizzò un coltellino di proprietà dello storico delle scienze Giovanni Targiotti Tozzetti. In attesa che l'esame sul codice genetico confermi l'appartenenza dei resti allo scienziato, c'è già chi ne è sicuro: «Sono certa che le due dita e il dente acquistati dal collezionista siano di Galileo» ha detto Donatella Lippi, professoressa di Storia della medicina dell'università di Firenze che, con il ricercatore John Patrick D'Elios, ha firmato un articolo sull'argomento per una rivista scientifica americana. «Abbiamo ricostruito tutto il percorso del cadavere e i relativi prelievi - ha detto Lippi - che tra l'altro sono certificati da un expertise fatto, ai primi del '900 da un medico fiorentino». Secondo la studiosa, al momento della traslazione i componenti della Commissione incaricata si trovarono di fronte la mano destra del grande scienziato con il dito medio alzato. «Quel dito ( nella foto - ndr )venne letteralmente strappato. Gli altri due, tagliati da Vincenzo Capponi mentre il medico Antonio Cocchi tolse una vertebra». Le dita essiccate di Galileo presero diverse strade: il medio e la vertebra sono entrate in possesso delle strutture museali di Firenze e Padova mentre il dente, il pollice e l'indice finirono, forse per asse ereditario, a una famiglia fiorentina che ha mandato la cassetta che li conteneva all'asta con altri oggetti di casa. Come racconta l'enciclopedia online wikipedia, Galileo Galilei si spense la notte dell'8 gennaio 1642 ad Arcetri, assistito da Viviani e Torricelli, e venne poi tumulato nella basilica di Santa Croce a Firenze insieme agli altri grandi fiorentini come Machiavelli e Michelangelo ma non fu possibile innalzargli «l'augusto e suntuoso deposito» desiderato dai discepoli, perché il 25 gennaio il nipote di Urbano VIII, il cardinale Francesco Barberini, scrisse all'inquisitore di Firenze Giovanni Muzzarelli di «far passare all'orecchie del Gran Duca che non è bene frabricare mausolei al cadavero di colui che è stato penitentiato nel Tribunale della Santa Inquisitione, ed è morto mentre durava la penitenza». _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 Dic. ’09 IL PRIMO UOMO IN SARDEGNA? ANCORA MISTERO SULLE DATE Ricercatore di Siena contesta le attuali ipotesi: «Non c'è alcuna prova assoluta» Martedì 01 dicembre 2009 A quando risale la prima presenza dell'uomo in Sardegna? Secondo i manuali le tracce più antiche sono attribuibili al Paleolitico inferiore, un'età compresa tra 250-450 mila anni fa: si tratta di manufatti di pietra trovati in due siti dell'Anglona. Il primo a Sa Coa de sa multa, nel comune di Laerru, sulla cima di un rilievo posto sul versante destro del torrente Altana. Il secondo nel territorio di Perfugas, sulla collina di Sa Pedrosa-Pantallinu tra il rio Altana e il rio Anzos. In questi due luoghi è stato l'aratro dei contadini a mettere in luce abbondanti depositi di schegge e pietre lavorate che rappresentano la primissima testimonianza dell' homo sapiens nell'isola. Ma il fossile umano più antico è il frammento della falange di una mano scoperto nella grotta Corbeddu di Oliena nel 1993 dall'equipe olandese del professor Sondaar dell'università di Utrecht. «Le correlazioni stratigrafiche con la trincea principale e con i livelli datati radiometricamente permettono di attribuire alla sezione oggetto dello studio un'età di circa 20 mila, un dato cronologico che consente di considerare questa falange come una prova indubitabile della presenza dell'uomo nel Paleolitico superiore», scrisse Sondaar nella relazione sottolineando che «il reperto, però, non era associato a manufatti e questo fatto precludeva ogni informazione di tipo culturale». Come dire: abbiamo la certezza che la Sardegna fosse frequentata dall'uomo, ma non siamo in grado di sapere quale fosse il livello di civiltà (stiamo parlando di un periodo dell'età della pietra). I DUBBI Queste datazioni, date per buone dagli studiosi, sono oggi messe in discussione dalle ricerche più recenti presentate a Cagliari nel corso della riunione scientifica dell'IIPP, l'Istituto italiano di preistoria e protostoria che raccoglie gli archeologi di tutte le specializzazioni. Per una settimana duecento docenti e ricercatori (anche una decina di stranieri) hanno illustrato i risultati del lavoro dell'ultimo anno. Una novantina di relazioni che coprono un arco vastissimo della ricerca in Sardegna (tema centrale del convegno) hanno fatto il punto sugli studi dal Paleolitico al Neolitico, dall'età del Bronzo alla civiltà dei nuraghi. Impossibile riassumere, anche per grandi linee, quanto è emerso dagli interventi e soprattutto dalle successive discussioni che, in certi casi, hanno acceso il confronto tra gli esperti. Un dato, sicuramente, fa riflettere. E riguarda proprio gli studi preistorici sulle origini dell'uomo in Sardegna. Daniele Aurelio, ricercatore dell'università di Siena, per cinque anni ha scavato e studiato il sito di Sa Pedrosa, soffermandosi sull'analisi del materiale litico: «Le datazioni su cui oggi discutiamo - dice Aurelio - sono riferibili a una cronologia relativa. In realtà manca del tutto una datazione assoluta eseguita col radiocarbonio. Non sono mai state fatte nè sul materiale litico e neppure sugli strati geologici. Il vero problema è l'approccio metodologico: occorre rivedere tutte le valutazioni sinora consolidate attraverso i risultati delle tecnologie più moderne». Il ricercatore non si sbilancia nell'azzardare nuove ipotesi, ma rileva come in un arco temporale di due milioni e mezzo di anni (compresi nell'era paleolitica) non fa molta differenza se si sposta una datazione in avanti o indietro anche di 100 mila anni. Così anche la grotta Corbeddu, che fu il nascondiglio del celebre bandito, rappresenta una miniera tutta da studiare «perché anche qui non è mai stata utilizzata una datazione assoluta». MENHIR Maggiori certezze, invece, vengono fuori dagli studi su epoche più recenti che negli ultimi trent'anni stanno restituendo una grande quantità di reperti. «Dalla riunione scientifica dell'IIPP a Sassari del 1978 a questa di Cagliari l'archeologia sarda ha fatto passi da gigante», sottolinea Giuseppa Tanda, coordinatrice del convegno: «soprattutto per i periodi del prenuragico e del nuragico». Risale al terzo millennio, all'età del Neolitico recente quando nell'isola si diffondeva la pacifica cultura San Michele-Ozieri, lo straordinario menhir trovato di recente nelle campagne di San Giovanni Suergiu. A presentare questo "unicum" tra centinaia di menhir rinvenuti sinora nell'isola, è stato Enrico Atzeni, uno dei "padri" dell'archeologia sarda. A lui si devono tantissime scoperte di scavo e di interpretazione. «La scultura di San Giovanni è un pezzo davvero eccezionale» dice, quasi commosso, nell'ammirare la maestrìa di quegli scultori di cinquemila anni fa: «La statua, alta poco più di mezzo metro, appare mutila della parte inferiore. Mostra un berretto a calottina e un classico schema facciale a T. Ma il particolare inedito è il bassorilievo delle mani orizzontalmente contrapposte sulla vita, con dita a frangia, poco al di sopra della frattura di base». GRANDE CIVILTÀ «I protosardi - aggiunge il professor Atzeni - hanno continuato a produrre menhir (alcuni alti tre metri) sino all'età del Bronzo, quindi per oltre duemila anni (dal 3800 al 1600 a. C.): sono la testimonianza di una grande civiltà che partendo da Occidente, dalla Bretagna e dalla Spagna, si diffonde in tutta Europa sino al Caucaso. Sono statue dedicate a divinità o eroi». «In epoche successive - riprende l'archeologo - vengono riutilizzate all'interno di tombe dei giganti o di nuraghi, cosa che fa ancora discutere. C'è chi pensa a una continuità religiosa e quindi considera i menhir come reliquie. Al contrario c'è chi parla di una furia iconoclasta delle nuove civiltà che spaccano i simboli del passato». Per Atzeni il periodo prenuragico continua a riservare sempre nuove sorprese: come i due giganteschi menhir trovati in un ovile di Ruinas che «presentano una maschera "cornuta" simbolo del culto del toro assai caro a quelle genti». Ed ancora quattro modellini di mehir, anche questi una novità assoluta, rinvenuti nella campagna di Allai, non più grandi di un bronzetto. NURAGOLOGI Il dibattito si riscalda tra gli esperti del periodo nuragico che si dividono tra chi fa concludere la costruzione delle torri di pietra nel Bronzo finale (1000-850) e chi invece arriva alla prima fase del ferro (600-500). «Anche qui è determinante l'esame cronologico dei materiali e dei reperti per i quali sarebbe necessaria una datazione assoluta con il carbonio 14», afferma Giovanni Ugas, docente di archeologia e autore di importanti studi: «In realtà si deve considerare che le civiltà non si succedono a compartimenti stagni, ma si integrano con fasi di passaggio in una continuità temporale. Ben vengano, dunque, convegni come questo che consentono un confronto aperto tra gli studiosi, uno scambio di conoscenze, per arrivare a nuove e più precise interpretazioni». CARLO FIGARI _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 Dic. ’09 IL CASTELLO FU ABITATO DAI ROMANI Importante scoperta durante la campagna di scavi sotto il bastione di Santa Caterina A 6 metri di profondità trovate ceramiche e resti umani Martedì 01 dicembre 2009 Speravano di trovare i resti della chiesa della Beata Vergine degli Angeli, ma hanno rinvenuto frammenti di età romano-repubblicana che indurranno gli studiosi a riscrivere la storia della città. S peravano di trovare i resti della chiesa della Beata Vergine degli Angeli. Invece hanno rinvenuto frammenti archeologici di età romano-repubblicana che costringeranno gli studiosi a riscrivere parte della storia della città. È una scoperta importante quella che gli archeologi hanno fatto durante la campagna di scavi sotto il bastione di Santa Caterina, avviati con un finanziamento di 300 mila euro per trovare la causa delle infiltrazioni d'acqua nella Passeggiata coperta. Nel corso della campagna, iniziata ai primi di settembre, Sabrina Cisci, archeologa incaricata dal Comune di seguire gli scavi in Castello, e Maria Luisa Mulliri, architetto-archeologa funzionario dell'assessorato ai Lavori pubblici del Comune, hanno trovato una serie di sorprese: cisterne, ceramiche, ossa umane e quella che sembra la parete di un sarcofago. Significa che qualcuno ci viveva. Chi? La prova che si trattasse di romani è stata data dall'elevata concentrazione di ceramiche puniche ma soprattutto di età romano-repubblicano, del terzo avanti Cristo, e di una parete con intonaco in cocciopesto e malta idraulica, materiale utilizzato per impermeabilizzare. Ma che ci fosse la Fontana Bona, costruita attorno al 1400, si sapeva. LA PROVA I romani, dunque, si insediarono nel quartiere, ben oltre la fascia di territorio dove sono state trovate ampie tracce, tra via De Magistris e Bonaria passando per la Marina e il porto (ma secondo alcuni studiosi ci sono testimonianze chiare alla Cittadella dei musei). Per Cisci «nel resto della città, Castello compreso, la presenza romana era solo un'ipotesi», sostiene Cisci. «Ora i testi di cui disponiamo ed il materiale che abbiamo trovato ci danno importanti riscontri», spiega ancora l'archeologa. OSSA UMANE Nella cavità, scavata per circa sei metri sotto il bastione sono stati trovati anche frammenti di ossa umane e una lastra quadrangolare che potrebbe essere la chiusura di un sarcofago. Gli archeologi ne avranno la certezza entro pochi giorni, andando avanti con gli scavi ancora per cinquanta centimetri. VARIE EPOCHE Certo è che nell'area di scavo sono state trovate testimonianze di varie epoche, del 1300, del 1500. «Certamente è stata un'area molto frequentata in varie epoche», spiega Cisci. LA CHIESA Infatti non è ancora esclusa l'ipotesi formulata nel 2007 dopo le indagini georadar effettuate, sempre sul bastione di Santa Caterina, dal dipartimento di ingegneria del territorio dell'Università: e cioè che nello stesso sito in altra epoca ci fosse la chiesa della Beata vergine degli Angeli, edificata in periodo pisano verosimilmente sui resti del tempo di Iside. La pianta ha l'abside rivolta a sud, cioè verso il mare, e una navata lunga più di dieci metri. Alcune ricerche bibliografiche hanno indotto a ipotizzare che il tempio si trovi proprio lì. «Ma lo cerchiamo anche dalle parti della Sella del Diavolo», spiega Maria Luisa Mulliri. I CAMMINAMENTI Nella parte più superficiale, un metro sotto la pavimentazione, sono stati trovati i resti di un sistema di canalizzazione e camminamenti costruiti in varie epoche che forse delimitavano una piazza. Di sicuro, sostengono gli archeologi, prima del bastione di Santa Caterina (che sorse nel 1530 assieme al monastero delle monache domenicane sulle cui ceneri è sorta l'attuale scuola) c'era il bastione del “Trabucco” (un'antica unità di misura di lunghezza usata in Lombardia, Piemonte e Sardegna) da dove venivano lanciati i proiettili in calcare in caso di attacco dal porto. ATTRATTIVA TURISTICA Le operazioni di scavo proseguiranno ancora a lungo. «Copriremo i resti delle testimonianze romane con una lastra trasparente e faremo in modo che questo pezzo di storia della città sia visibile a tutti», spiega l'assessore ai Lavori pubblici Raffaele Lorrai. Che sogna un collegamento sotterraneo con la Passeggiata coperta, i cui lavori hanno rivelato le straordinarie mura pisane divenute patrimonio della città. «Per realizzarlo il Comune ha chiesto un ulteriore finanziamento di 800 mila euro all'assessorato regionale alla Cultura». Per inciso: l'origine delle infiltrazioni d'acqua non è ancora stata trovata. FABIO MANCA ___________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Dic. ‘09 LA MAGIA MATEMATICA DELLE BOLLE DI SAPONE Quello di Michele Emmer non è solo un libro di scienza. È un viaggio fantastico tra le opere che ricercatori, pittori, musicisti, hanno realizzato a partire dal più bello e leggero gioco per bambini: Dai «Jeux d'enfants» di Bizet alle più ardite forme architettoniche di Armando Massarenti Pochi anni prima di lavorare alla Carmen - tutti pronti, col libretto in mano, per riascoltarla domani sera per radio o alla Scala? - nel t8y Bizet aveva scritto dodici deliziose composizioni per pianoforte a quattro mani, uniche nel loro genere, Jeux d'enfants, una delle quali si intitola Bulles de savon. Sono "anni mirabili" per le bolle di sapone, nella musica, nella pittura, nella scienza. Così ci assicura Michele Emmer, che a questi oggetti apparentemente effimeri ha dedicato un'intera vita di matematico e di uomo di cultura. Anche se, a dire il vero, già un secolo prima, in Europa, bambini, scienziati e artisti si erano appassionati alle bolle di sapone. E già Newton - che non a caso amava raffigurarsi come un bambino che gioca sulla spiaggia - osservandone i colori aveva coltivato le proprie idee sulla composizione della luce esposte nell'Ottica (1704). Il pittore Jean Baptiste Siméon Chardin (i699-79), con le sue diverse versioni del dipinto Les Bulles de savon, ovvero Les Bouteilles de savon, aveva rovesciato in positivo un tema fino ad allora declinato da pittori, incisori e poeti soprattutto nei termini della vanità della vita e di tutte le cose. Nel dicembre 1992, il fisico francese Pierre-Gilles de Gennes, vincitore in quell'anno del premio Nobel per la Fisica, concludeva la sua conferenza a Stoccolma- tutta dedicata alla fisica dei materiali e in particolare alla Soft matter, le bolle di sapone che «sono la delizia dei nostri bambini» - con una poesia ascrivibile proprio al genere Vanitas. «Abbi divertimento sulla terra e sul mare. / Infelice è il diventare famoso! / Ricchezze, onori, false illusioni di questo mondo, / Tutto non è che bolle di sapone». Che a ben vedere contiene in sé anche il genere giocoso su cui pone l'accento per primo Chardin, seguito da molti altri ritratti di ragazzi' con bolle, fino a quello celeberrimo di Manet, che ci riporta agli anni mirabili dell’800. Oggi, in tempi di crisi, è fin troppo facile pensare alle bolle in negativo riferendosi alla finanza, alla borsa, al subprime o ai mercati immobiliari. Un effetto involontario del libro di Emmer è che ci a,iuta a rovesciare la metafora. Le bolle sono il simbolo della bellezza. Una bellezza, e una ricchezza, di cui possiamo disporre tutti, assolutamente a buon mercato, e che in più ci impartisce una grande lezione in termini di conoscenza, di ricerca pura e disinteressata, che però poi finisce, per vie bizzarre e del tutto inaspettate, per produrre altra bellezza e altra conoscenza, con realizzazioni architettoniche, come la piscina olimpionica di Pechino, che fino a una decina d'anni fa sarebbero state inimmaginabili, o dimostrazioni matematiche su cui ci si era scervellati per secoli, come quella delle due bolle appiccicate tra loro di cui diremo tra poco. «Una bolla di sapone è la cosa più bella, e la più elegante, che ci sia in natura... - scriveva Mark Twain - Mi chiedo quanto dovrebbe costare una bolla di sapone se al mondo ne esistesse soltanto una». Ma lasciamola scienza economica e torniamo agli anni mirabili di Bizet. Mirabili per la scienza, soprattutto, anche se Emmer ci tiene a precisare che il suo libro non è un libro di scienza. Piuttosto è un libro che mostra quanto la scienza, nel corso dei millenni, sia parte integrante della cultura. Immaginatevi dunque il fisico Antoine Ferdinand Plateau (18oi-i883) che, in nome del progresso della conoscenza, si costruisce una farraginosa macchina per fare le bolle. Era composta di anelli di fil di ferro che scendevano da pulegge nel truogolo pieno d'acqua insaponata con piccoli mantici tipo organi per soffiare a diverse potenze. Gira la manovella, pedala sui mantici, ed ecco scoperta una regolarità sorprendente, riscontrabile ogni volta che si soffia in una soluzione d'acqua saponata, o quando si lavano i piatti o si agita una bottiglia di birra: le lamine saponate formano sempre solo angoli di due tipi, che Plateau misurò con assoluta precisione. Mirabile davvero come risultato. Sarà dimostrato, con il rigore caro ai matematici, solo nel 1976 dall'americana Jean Taylor. Plateau c'era arrivato soffiando e pedalando. E già qui troviamo una grande lezione. C'è un aspetto pratico e sperimentale nella matematica che spesso viene trascurato. Le bolle di sapone permettono di risolvere in un battibaleno problemi teorici assai difficili. Per esempio, per trovare il percorso più veloce tra diversi punti di una cartina (il cosiddetto "problema del commesso viaggiatore'),basterà appoggiare una bolla di sapone sui chiodi posti in quei punti e questa disegnerà proprio il percorso minimo! «Già, perché anche in matematica gli esperimenti hanno un ruolo importante - scrive Ernmer-. È stato così con le bolle di sapone. Che la matematica sia al servizio della scienza è un luogo comune; ma quello . che viene compreso meno di solito è che gli esperimenti stimolano a volte l'immaginazione matematica, aiutano nella formulazione di concetti e indicano direzioni privilegiate agli studi matematici». Perché si forma una sfera; quando soffiamo su una lamina di sapone? Già Archimede aveva osservato che di tutti i solidi con la stessa superficie, la sfera è quella che ha il volume maggio're. «È quella che si chiamala proprietà isoperimetrica (cioè di avere lo stesso perimetro o, in questo caso, la stessa superficie) della sfera. Quando soffiamo> la lamina, per effetto della tensione superficiale, cattura il volume d'aria e, minimizzando la superficie della lamina, forma la bolla sferica». Nel 1873 Plateau pubblica il suo Statique expérimentale et théorique des liquides soumis aux seules forces moléculaires che ha per protagoniste assolute le lamine e le bolle di sapone e che è anche una sistemazione moderna della teoria delle superfici minime, quelle superfici che minimizzano l'area della superficie rispetto a qualche proprietà; nel caso della bolla di sapone, rispetto al volume d'aria contenuto. Anche in questo campo Plateau anticipava risultati che sarebbero stati dimostrati molti anni più tardi. Come si configurano due bolle che si toccano? Due bolle dello stesso volume si dispongono simmetricamente con una lamina piatta che le divide. Lo si può vedere e intuire, ma la dimostrazione, dopo generazioni di tentativi sarebbe arrivata solo grazie all'uso di potenti computer nel 1995, con Joel Hass e da Roger Schlafly. Sono temi questi che Emmer tratta dai tempi del suo apprendistato dì matematico, all'inizio degli anni 70. «La mia tesi riguardava dei risultati del matematico napoletano Renato Caccioppoli, risultati che Ennio De Giorgi aveva utilizzato agli inizi degli anni Sessanta per introdurre la sua teoria dei perimetri; in cui veniva generalizzata l’idea di arca di una superficie. Questo gli avrebbe permesso, grazie anche ai risultati di Mario Miranda (di cui Emmer era assistente, ndr), di dimostrare la risolubilità del problema di Plateau». Sì, Caccioppoli, proprio il personaggio di Morte di un matematico napoletano. Bolle di sapone del resto gronda di cultura cinematografica. Lo stesso Emmer, figlio del regista Luciano, ha realizzato diversi film sulla matematica, tra cui uno su Escher e altri, manco a dirlo, sulle bolle di sapone. Ma, si dirà, a che cosa servirà mai risolvere problemi matematici così astratti? Ai matematici puri questo importa poco, ma le applicazioni alla fine arrivano sempre e sono sorprendenti: È anche grazie ai suoi studi sulle bolle che il fisico inglese Charles Boys (che nel i9oz pubblica Soap Bubbles and the Forces Which Moulds Them) riesce a calcolare la costante gravitazionale di Newton, la densità della terra e la temperatura alla superficie di Giove. Non solo matematica, ma anche chimica, fisica, biologia sono attratte dalle bolle di sapone, per non parlare di architettura, design, computer science, e persino pubblicità, cui Emmer dedica un intero capitolo. Sul pia no strettamente scientifico protagonistì sono i «principi di minimo», la capacità di seguire la via più breve di cui si diceva, che grazie a proprietà studiabili empiricamente nelle bolle di sapone; riguardano fenomeni disparati come le; forme dei radiolari, la rotondità dei corpi celesti, le leggi della meccanica, ma anche la forma delle città, delle abitazioni, dei sistemi viari: Lo studio delle bolle di sapone oggi appare decisivo anche nello studio delle origini della vita. Anni mirabili, anche i nostri, per le bolle di sapone. Il libro di Emmer, che è un piccolo, variopinto, gioiello editoriale e tipografico, ne è esso stesso un esempio e una testimonianza. Aveva ragione Lord Kelvin quando scriveva:. «Fate una bolla di sapone e osservatela: potreste passare tutta la vita a studiarla». Sì, e una vita dedicata alle bolle è una vita degna di essere vissuta. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Dic. ‘09 CLIMA NEL VORTICE DEI NUMERI Diplomazia verde. Scienza, politica, energia: molte variabili e poche certezze nel vertice Onu che si apre domani in Danimarca . A parole tutti i paesi sono d'accordo sull'esigenza di frenare i gas-serra ' ma sarà battaglia `sulle cifre in gioco di Marco Magrini E come fra il dire e il fare: Fra le parole e i numeri, c'è di mezzo il mare. L'incerto futuro del «più importante trattato internazionale dal dopoguerra a oggi», come Lord Nicholas Stern ha definito l'intesa che il vertice di Copenhagen dovrebbe partorire, resta appeso a un fatale divario fra le lettere dell’alfabeto é il sistema decimale A parole, non c'è governo del mondo che neghi l'esistenza di un grave problema climatico, causato dall'abitudine umana di pescare il carbonio fossile da sottoterra e di spargerlo nella stratosfera. Ma quando si parla -invece che con le lettere - con i numeri, tutto cambia. La scienza non ha dubbi, sull'innata capacità dell'anidride carbonica di trattenere la radiazione infrarossa del pianeta, ma le incertezze sulle previsioni, e quindi sui numeri, lasciano spazio a diverse interpretazioni. I Paesi del mondo che da domani, per due settimane, siederanno al tavolo delle trattative; a conti fatti devono solo concordare su dei numeri: in quali percentuali tagliare le rispettive emissioni di gas serra, entrò quale anno, con quale ripartizione fra nazioni industrializzate e in via di sviluppo, nonché quanti miliardi di dollari sborsare per finanziare la monumentale operazione. Peccato che, sin qui, nessuno abbia voluto parlare di soldi. E peccato che le disparità delle rispettive offerte numeriche di tagli alle emissioni - con una virtuosa Europa cinque volte più volenterosa dell'America sprecona - non depongano a favore di un imminente accordo. Così, per capire il garbuglio del summit Onu che va à cominciare, non c'è nulla di meglio che parlare di numeri. La temperatura media del pianeta è salita di 0,7 gradi centigradi, dall'inizio del Novecento a oggi. I 2.500 scienziati dell’Ipcc, la massima autorità climatica di cui il mondo dispone, sostengono che nel 2100la variazione potrebbe arrivare, a seconda delle future politiche di controllo delle emissioni, fino a 1,6 gradi, ma anche fino a G. Siccome gli stessi esperti sostengono che già oltre quota 2 gradi ci si possono aspettare effetti altamente indesiderati, arrivare a 6 equivarrebbe a diseredare i nostri pronipoti dalla Terra. Tutta colpa della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera: prima della rivoluzione industriale erano 280 parti per milione (ovvero 280 molecole di CO2 ogni milione di molecole) e oggi sono sopra alle 390. Secondo l’Ipcc; scavalcare quota 450 ppm significherebbe superare, già a metà secolo, la soglia dei 2 gradi. La ricetta? Tagliare di almeno il50% le emissioni, da qui al2050. Non rispetto alle 31 milioni di tonnellate di C02 emesse quest'anno dai combustibili fossili, ma rispetto alle circa20 de11990, che è fanno zero della diplomazia climatica. Il mondo ha consumato quest'anno circa 32 miliardi dì barili di petrolio, 3,1 miliardi di tonnellate di carbone, 2.600 miliardi di metri cubi di gas naturale. Secondo l’Aie, la domanda globale di energia crescerà del 55%, da qui al 2030. In questi venti anni, si stima ché l’infrastruttura del sistema energetico mondiale richiederà 26milamiliardi di dollari di investimenti, oltre la metà dei quali nei paesi in via di sviluppo. Ma se il mondo non riesce a dirigere questi investimenti verso le energie carbon free, nel 20501e emissioni saranno salite del 50%, piuttosto che diminuite. Prima ancora di sedersi nella sala plenaria del Bella Center di Copenhagen, la maggior parte dei paesi industrializzati ha già annunciato le ambizioni percentuali dei propri tagli alle emissioni, nel medio periodo. L'Europa, con il suo piano 20-20-20 entro il2020 (-zó% di C02, +2o% di efficienza energetica, 20% dei combustibili da fonti rinnovabili) resta la paladina della lotta ai cambiamenti climatici. Barack Obama ha virato di 180° dalle posizioni di Bush e,nonostante il Senato non abbia intenzione dì approvare la sua legge, il presidente promette di voler tagliare del 17% le emissioni da qui al 2020. Quasi quanto l'Europa. No, perché Obama prende a riferimento il 2005. Rispetto al 1990 (usato dall'Europa), la concessione di Washington si ferma intorno al4%. La Cina è tutt'altra cosa. Siccome ha cominciato molto,molto più tardi, a sommare anidride carbonica nell'atmosfera, è stata sin qui esentata da qualsiasi impegno. Però i conti parlano chiaro: nonostante le emissioni procapite cinesi siano un quarto di quelle americane è la metà di quelle èuropee,le previsioni sulla crescita economica lasciano poco scampo. HuJintao non offre tagli, ma solo di ridurre l'intensità energetica del 40-45% entro il zozo. Traduzione: mentre l'economia crescerà al galoppo, i cinesi investiranno in nuove energie e nell'efficienza, in modo di sganciare la crescita delle emissioni da quella del Pil. Poi il Giappone del nuovo premier Hatoyama si è lanciato in una coraggiosa offerta: un taglio del 25%. Il Brasile addirittura un 38%, per la metà ricavate da un freno alla deforestazione amazzonica (soprattutto se a Copenhagen si troverà, cosa piuttosto facile, un accordo sui finanziamenti per miliardi di dollari). E l'India, nonostante non voglia neppur sentir parlare di obblighi, ha appena annunciato di voler fare come la Cina. Ma solo al 20-25%. Senza dimenticare un numero fondamentale: quello del prezzo del carbonio. Come previsto nel 1997 dal Protocollo di Kyoto (che si proponeva di ridurre le emissioni del 5,2% fra il i99o e il 2012, ma non c'è riuscito) la sterzata energetica dovrà essere incentivata da un sistema di mercato, con lo scambio dì strumenti finanziari. Nel cosiddetto mercato Ets europeo, il prezzo dei certificati di carbon (ovvero il diritto a emettere una tonnellata di CO2) è a lungo oscillato intorno ai 20 euro. Si dà per scontato che, nel futuro, per incentivare davvero l'economia verde questo prezzo dovrà essere sensibilmente più alto. Sono 192 i Paesi che partecipano all’Unfccc (la struttura Onu che gestisce i colloqui climatici), in rappresentanza di 6,7 miliardi di uomini e donne, che a metà secolo diventeranno 9. Non hanno mai dato prova di concordia e le probabilità statistiche che lo siano stavolta, sono solo un po' più alte del solito. - I numeri, li dividono ancora. C'è la storia delle email rubate all'Università dell'East Anglia, in Inghilterra, dove si è scoperto che alcuni collaboratori dell'Ipcc suggerivano di alterare i numeri delle loro misurazioni scientifiche, pur di sospingere la causa ambientalista. C'è chi dice che 45o ppm sono troppi e ,che bisognerebbe tornare rapidamente a350 ppm. GRANDI INTERESSI IN CAMPO Dal negoziato indicazioni sul futuro del prezzo del carbonio e del mercato Ets che disciplina lo scambio dei permessi a inquinare C'è anche chi dice - come James Hansen della Nasa, forse la voce più catastrofista della comunità scientifica che sarebbe bene se Copenhagen fallisse, in modo da abbandonare questa storia dei crediti di carbonio, così simile alle indulgenze. PerHansen, sarebbe molto meglio mettere una tassa secca sui consumi di combustibili fossili. Anche qui: e con quale percentuale? Da domani, comincia un'alluvione di parole. Ma tutto, alla resa dei conti, dipenderà dai numeri. ======================================================= _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 Dic. ’09 SUBITO L'INCHIESTA SUI BILANCI DELLE ASL Spesa sanitaria fuori controllo, la Giunta nomina la commissione Mercoledì 02 dicembre 2009 La Giunta regionale ha nominato una commissione d'inchiesta sulla gestione delle Asl sarde. U n passaggio obbligato. Se la spesa sanitaria è fuori controllo, non resta che capire perché e decidere le misure di intervento. L'allarme lo lancia il Consiglio regionale, la Giunta lo recepisce e nomina una commissione di inchiesta. «Il disavanzo delle aziende sanitarie sarde ammonta, in media, a circa 220 milioni di euro all'anno», ha detto ieri l'assessore regionale al Bilancio, Giorgio La Spisa, una voragine che diventa sempre più profonda e che si mangerà, quest'anno, gran parte dei fondi destinati agli enti locali. Verità scomoda, ma incontestabile secondo un buon numero di consiglieri regionali. L'assessore La Spisa, dopo aver sottolineato che «il pareggio dei bilanci del sistema sanitario sarà coperto con risorse regionali», nel corso di un convegno ha annunciato l'istituzione della commissione di indagine. Decisione senza precedenti: il lavoro dei commissari (tecnici, non politici) si concentrerà sulle gestioni dei bilanci delle aziende sanitarie, gli “inquirenti” opereranno sotto il coordinamento congiunto degli assessorati della Programmazione e della Sanità. La delibera è della Giunta regionale e arriva dopo la forte sollecitazione della commissione Bilancio del Consiglio. FUORI CONTROLLO Due settimane fa, l'audizione in commissione Bilancio dei manager delle aziende sanitarie aveva disegnato un quadro allarmante. Gli stanziamenti previsti per coprire la spesa sanitaria sostenuta nel 2008 e 2009 non basteranno, i 260 milioni previsti serviranno a coprire il “rosso” del 2009. LE REAZIONI La decisione dell'esecutivo regionale trova d'accordo i Riformatori sardi, in prima linea fra gli oppositori alla precedente gestione della sanità regionale (presidente Soru-assessore Dirindin). Secondo il capogruppo Pierpaolo Vargiu «il disavanzo della sanità per il 2009 è stimato intorno ai 300 milioni di euro. Se questo debito ci consentisse di avere una sanità di tipo svizzero, forse non ci sarebbe niente da dire. Ma i conti in rosso profondo sono quelli di una sanità che non soddisfa nessuno: né i cittadini, né chi lavora in sanità». Vargiu sottolinea che «per questo i Riformatori sono convinti che non siano più sufficienti i pannicelli caldi: senza una vera riforma, discussa e condivisa, la nostra sanità non va da nessuna parte». Il vicepresidente del Consiglio regionale, Michele Cossa, chiama in causa la precedente maggioranza di centrosinistra: «La politica della giunta precedente era improntata verso il pareggio di bilancio, strategia che ha danneggiato solo le categorie più deboli. Ecco perché l'obiettivo è stato fallito in pieno». Cossa traccia un bilancio: «La somma degli ultimi tre anni grava pesantemente sulle nuove entrate e vincola l'operatività della Regione, penalizzando soprattutto gli enti locali». LA FINANZIARIA Ieri in Consiglio regionale è proseguita la discussione generale sulla manovra di bilancio e il Programma regionale di sviluppo. Sono intervenuti i capigruppo della maggioranza e dell'opposizione. Bruno (Pd) ha chiesto una forte mobilitazione «nei confronti del governo nazionale», mentre Diana (Pdl), dopo aver criticato le prese di posizione antagoniste alla maggioranza di alcuni consiglieri, ha ricordato «la situazione di grandissima emergenza» che vive la Sardegna, fra le quali «quella dell'agricoltura». Chiusura affidata all'assessore La Spisa, per la Giunta: «Abbiamo 300 milioni di euro da spendere, indirizzati a tre obiettivi. Spero che il Consiglio condivida questa scelta di fondo». La seduta proseguirà oggi (dalle 12.30) con l'avvio dell'esame degli articoli. Poco prima, si conoscerà il numero degli emendamenti presentati. Ne ha preannunciato due il Pd: il primo sul rilancio delle aziende sarde in difficoltà e il secondo di sostegno agli ultracinquantenni che hanno perso il posto di lavoro. ENRICO PILIA _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 30 nov. ’09 AZIENDA MISTA, STOP AL COMMISSARIO La Regione ha indicato da tempo Ennio Filigheddu, ma manca l'assenso dell'Ateneo L'Università detta le condizioni: prima il programma poi il sì Lunedì 30 novembre 2009 Pierpaolo Vargiu (Riformatori): «Ritardo sconcertante. L'azienda mista ha oltre 20 milioni di debiti, non c'è tempo da perdere». I l via libera alla nomina di Ennio Filigheddu alla guida dell'azienda Asl- Università è subordinato a «una concertazione reale» tra Regione e Ateneo. Senza questa condizione, Palazzo Belgrano non darà l'assenso sul nome indicato da Viale Trento per la sostituzione del direttore generale Pietro Paolo Murru. LA LETTERA Il rettore Giovanni Melis ha messo nero su bianco, in una lettera inviata al presidente della Regione Ugo Cappellacci, le clausole per costruire un rapporto corretto e paritario con la Regione. Il senso è: non ci limiteremo a ratificare un nome scelto da voi, ma vogliamo valutarne il programma. Ed è per questo che tutti gli altri commissari sono al lavoro da tempo, tranne quello dell'azienda mista. Melis chiede che gli venga sottoposto un programma di governo dell'Azienda che deve essere discusso ed eventualmente emendato dal consiglio della facoltà di Medicina. Una linea condivisa dal Senato accademico che nella riunione di mercoledì scorso ne ha discusso registrando al suo interno anche proposte di rottura con la Regione. LIORI: NON COMMENT E se l'assessore alla Sanità Antonello Liori mantiene una prudenza assoluta («non mi risulta che il rettore non abbia dato l'assenso. In ogni caso non sono a conoscenza della lettera e non rispondo di cose che non ho letto»), il ritardo dell'Ateneo ha fatto irritare molti esponenti del centrodestra in Consiglio regionale. VARGIU: SCONCERTANTE Pierpaolo Vargiu, capogruppo dei Riformatori, definisce la situazione «sconcertante» perché - dice - «Melis il 3 novembre ha dato il suo assenso informale su Filigheddu al presidente Cappellacci. È vero che il rettore ha 60 giorni di tempo per dare il via libera», aggiunge l'esponente del centrodestra, «ma gli è stato chiesto di accelerare vista la grave situazione debitoria dell'azienda (si parla di oltre 20 milioni) e considerata la necessità di attivare prima possibile azioni per ridurlo». Azioni che ora non possono essere messe in pratica perché il direttore generale in carica non può assumere decisioni che non siano di ordinaria amministrazione. INCIDENTE DIPLOMATICO Un incidente diplomatico che potrebbe incrinare i rapporti tra Consiglio regionale e Università. «Non decidendo creano ulteriori danni alle finanze dell'azienda», attacca Vargiu. «Pensi che cosa accadrebbe se il Consiglio sarà così fiscale quando ci chiederanno un aiuto finanziario per ripianare la loro metà del debito dell'azienda». (f.ma.) _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 nov. ’09 A NATALE TUTTI SUL PONTE SOPRA LA 554 Il 12 dicembre s’inaugura l’opera dedicata a Emanuela Loi A Natale tutti sul ponte della 554. Dopo anni di attese, scanditi da date annunciate e non mantenute, tra meno di un mese lo svincolo sulla Statale sarà aperto al traffico. «Il ponte è pronto», annuncia Paolo Mureddu, assessore provinciale ai Lavori pubblici, «vorremmo inaugurarlo sabato 12 dicembre, visto che la ditta d’appalto dovrebbe chiudere il cantiere il 30». Un po’ di tempo per organizzare l’inaugurazione ufficiale e, finalmente, il ponte strallato sarà percorribile, e non più solo un imponente opera di cemento e cavi metallici. LA PROVINCIA. «Se non ci saranno inconvenienti, dovremmo rientrare in questo programma di massima »: Mureddu mette le mani avanti, dopo la raffica di rinvii che contraddistingue la storia del maxisvincolo. «Il ponte è già stato collaudato, così come l’illuminazione», prosegue l’assessore: «Manca soltanto la segnaletica verticale e orizzontale, ma è già percorribile». Nella peggiore delle ipotesi, che la Provincia vuole evitare, l’inaugurazione potrebbe essere ritardata solo di qualche giorno, ma per Natale le migliaia di automobilisti avranno certamente in regalo una 554 più libera. LA DEDICA. Il maxi-svincolo avrà un nome importante per tutti i cittadini dell’hinterland ma, in particolar modo, per quelli di Sestu. «Sarà dedicato a Emanuela Loi, l’agente di scorta di Paolo Borsellino, che perse la vita nell’attentato di via D’Amelio mentre svolgeva il proprio lavoro », spiega Mureddu: «Una donna di Sestu che lottò contro la mafia: considerato che lo svincolo serve anche la sua città, abbiamo pensato di accettare la proposta avanzata dal Comune, che desiderava dedicare l’opera all’agente Loi». VIABILITÀ. Dopo l’inaugurazione del ponte strallato, il traffico dovrebbe tornare alla normalità: i tempi dei semafori all’altezza di Su Pezzu Mannu - modificati per dare sfogo al traffico proveniente dalla bretella provvisoria per Monserrato - potrebbero variare per consentire la ripresa del normale flusso della 554. «Verificheremo la situazione e adatteremo i tempi alle nuove esigenze », assicura Giorgio Carboni, capo compartimento dell’Anas. IL FUTURO. «Ora dobbiamo sollecitare la Regione perché realizzi gli altri due sovrappassi sulla Statale», dice Paolo Mureddu: sono lo svincolo di Su Pezzu Mannu (tra Selargius, Pirri e Monserrato) e quello all’altezza del cimitero monserratino. «La Giunta Soru ha stanziato 60 milioni e ha approvato i progetti preliminari», conclude Mureddu, «si tratta solo di accelerare i tempi». SERENA SEQUI _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 Dic. ’09 MICROCITEMICO: L’ASSESSORE AI MEDICI: «SIETE UN’ECCELLENZA» Vertice in ospedale per preparare la contestata fusione con il Brotzu CAGLIARI. La fusione Brotzu-Microcitemico è inevitabile: «Dobbiamo ridurre i costi, adesso esagerati, e l’accorpamento funzionale e razionale di due eccellenze è la strada giusta per raggiungere l’obbiettivo». Parola di assessore. Antonello Liori (nella foto) assessore regionale alla Sanità lo ha detto ieri, a porte chiuse, ai primari del Microcitemico. I medici di via Jenner, in questi giorni, non hanno nascosto la loro preoccupazione: temono di essere fagocitati e imprigionati da quel colosso che è l’Azienda ospedaliera Brotzu. Ma Liori da giorni ha cominciato la sua personale campagna di convincimento: punta a che la sua proposta, l’accorpamento appunto, se non può essere condiviso da tutti non sia almeno osteggiato da molti. Così lunedì ha incontrato le associazioni dei pazienti e ieri i sette primari del Microcitemico (Patrizio Bina, Renzo Galanello, Eliana Lai, Sandro Loche, Giuliano Murgia e Giovanni Monni) e il direttore sanitario dello stesso ospedale, Lella Nardi, per rassicurarli che “non ci sarà nessun depotenziamento”. Liori non si è mosso da solo, lo hanno accompagnato in questa missione il commissario straordinario dell’Asl 8, Emilio Simeone, e quello del Brotzu, Antonio Garau. La delegazione politica si è mostrata sin dall’inizio dell’incontro compatta e ferma. Ferma sul fatto che “il progetto di accorpamento è una necessità considerato il pesante disavanzo che abbiamo ereditato e rientra in un ampio programma di riordino del sistema e di razionalizzazione della spesa sanitaria. Spesa adesso aggravata anche dall’aumento dei viaggi della speranza, che costano 70 milioni all’anno, e che con l’apertura del polo di eccellenza Brotzu-Microcitemico potranno essere invece abbattute». Ed è a questo punto del vertice che Liori ha spiegato meglio cosa intendere quando parla di un presidio ad alta specializzazione per la pediatria: «Apriremo in via Jenner - ha detto - il pronto soccorso, la chirurgia e la rianimazione». Per poi dire ancora: «Anche la ricerca continuerà a essere un’eccellenza». I primari hanno ascoltato e nei prossimi giorni si saprà il loro giudizio sulla “Liori-rivoluzione”. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 7 Dic. ‘09 ASL E AO, INNOVAZIONE A METÀ E-HEALTH FORUMl I processi d'informatizzazione sono spesso limitati agli aspetti gestionali Pochi risultati per i cittadini - Servono linee guida e chiarezza sui costi Un risparmio del 10% sulla spesa sanitaria con un investimento di almeno il 5%. In sostanza si potrebbero spendere circa 8-10 miliardi in meno investendone 5-6 rispetto ai 700 milioni circa che oggi si spenderebbero in Ict nelle Asl e negli ospedali. Un condizionale d'obbligo, hanno sottolineato gli esperti intervenuti a Milano al 4° Forum E-health del Sole-24 Ore, visto che nei bilanci delle aziende non compare una voce specifica che possa aiutare a quantificare l'entità e il tipo di spesa che si considera per l'innovazione e che in realtà ancora non è nemmeno ben definito il limite che questo termine comprende nell'attività delle strutture del Ssn. C'è poi il problema di "chi fa cosa": attualmente gli operatori dedicati non vanno oltre le 3mila unità, secondo Angelo Rossi Mori, ricercatore dell'Unità Sanità elettronica, Istituto tecnologie biomediche del Cnr, ma per servizi efficienti ne servirebbero almeno 20mila. Per ora «i cittadini non vedono risultati tangibili e domanda e offerta di Ict in Sanità sono frammentate (occorre promuovere la diffusione di standard condivisi, aggregare la domanda per innalzare i livelli di qualità)», ha detto Paola Tarquini, dirigente del Servizio Innovazione digitale del settore pubblico del Dipartimento dell'Innovazione. D'altra parte la salute è una delle priorità del Piano eGov 2012 che indica proprio la necessità di identificare e superare le aree di sovrapposizione esistenti tra gli interventi in corso, di essere condiviso da tutte le amministrazioni che operano a livello centrale, regionale e locale, di individuare interventi strutturali abilitanti-propedeutici per uno sviluppo omogeneo di servizi innovativi sul territorio. Il tasso di innovazione digitale delle aziende, ha sottolineato Tarquini, è disomogeneo: un terzo circa delle strutture si attesta a un buon livello e un terzo è più arretrato. La mancanza di linee guida e di percorsi di investimento affidabili sono tra i fattori più preoccupanti per i Dg. E proprio per questo «il progetto "Livelli di innovazione in Sanità", curato da Federsanità-Anci, Forum Pa e Dipartimento (v. articolo in questa pagina, ndr) - ha spiegato - vuole individuare con le aziende linee guida, percorsi e modalità condivisi per investire in innovazione (incentivare la progettualità a medio-lungo termine)». E che il problema Ict sia reale per le aziende del Ssn, lo ha messo in evidenza anche la ricerca del Cergas Bocconi (v. anche II Sole-24 Ore Sanità n. 39/2009) che analizzando i siti web di tutte le aziende sanitarie italiane mette in risalto ben poche best practice e comunque, dando un voto da 0 a 10 alle esperienze analizzate, nessuna supera (e pochissime lo raggiungono) un punteggio superiore a 3-3,6. Luca Buccoliero, docente della Bocconi, ha tracciato tre principali ordini di considerazioni sulle web swacegy delle aziende sanitarie: «C'è una sostanziale immaturità delle web sti-ategy aziendali, ancora modulate sulle strutture e sulle responsabilità organizzative e non sui bisogni e sulla domanda dei pazienti. C'è una scarsa consapevolezza della necessità di assumere un ruolo di interlocutore attivo per i propri pazienti attraverso i siti web e di diventare garanti della qualità delle informazioni e dei sevizi sanitari su Internet. C'è un'elevata resistenza all'utilizzo del web per un significativo incremento del grado di trasparenza (a esempio per le liste d'attesa)». E i tre nodi da sciogliere nelle aziende li ha indicati Walter Bergamaschi, responsabile del gruppo di lavoro Fiaso sull'Innovazione, direttore generale dell’Ao di Varese ed ex direttore generale dei servizi informativi del ministero della Salute: i "conti" sull'Ict che devono essere chiari perché non si sa ancora quanto si spende e perché; definire il "percorso giusto", cioè quello che c'è da fare subito senza disperdere energie in settori che non portano da nessuna parte; controllare che i "vendo?' (i fornitori delle tecnologie Ict) non generino "anticorpi" come accaduto negli anni '90 quando hanno saturato il mercato con soluzioni anche costose che poi non si sono rivelate utili all'innovazione, rendendoli invece parte di uno "sviluppo sostenibile" dell'innovazione. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 nov. ’09 CAGLIARI E SASSARI, 142 BORSE PER GLI SPECIALIZZANDI Sono 142 le borse di studio a favore degli specializzandi delle facoltà di Medicina e Chirurgia di Cagliari e di Sassari, messe a disposizione dall'assessorato regionale alla Sanità. Nel dettaglio si tratta di 81 borse di studio per le scuole di specializzazione dell'Università di Cagliari (rispettivamente cinque per farmacologia, quattro per fisica medica, 14 per genetica medica, 16 per microbiologia e virologia, 13 per ortognatodonzia, 15 per patologia clinica e 14 per scienza dell'alimentazione) e 61 per quella di Sassari (così ripartite: 15 per biochimica clinica, 11 per chirurgia odontostomatologica, 11 per microbiologia e virologia, 12 per patologia clinica e 12 per scienza dell'alimentazione) per una spesa complessiva di 1.647.697 euro nel bilancio 2009, 1.206.764 euro per il 2010 e 870.262,50 euro nel 2011. I destinatari dell'iniziativa sono sia gli specializzandi che già frequentano le scuole, che i laureati ammessi al primo anno di corso delle scuole. Tra i requisiti ritenuti indispensabili: la nascita in Sardegna o la residenza da almeno sei anni nell'isola oppure essere figli di emigrati sardi. Per il 2009 la distribuzione delle borse è stata determinata sulla base del fabbisogno formativo indicato dal “Piano sanitario regionale dei servizi 2006 - 2008” e considerando le esigenze dei servizi erogabili da parte delle strutture del Servizio sanitario regionale, delle domande di partecipazione dei neolaureati agli esami di ammissione alle scuole negli ultimi anni e delle proposte formulate dalle università di Cagliari e Sassari. Per avere ulteriori delucidazioni sull'argomento gli interessati possono rivolgersi all'università di Cagliari in via Università 40 e a quella di Sassari in piazza Università 21. (al. co.) ___________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Dic. ‘09 GLI ANESTESISTI UNA RARITÀ LE SPECIALIZZAZIONI. POCHI I POSTI NELLE SCUOLE UNIVERSITARIE Manuela Perrone Gli ospedali sono a corto di anestesisti. Ma scarseggiano anche chirurghi, internisti e medici di emergenza. Sono le specializzazioni per cui è più ampio lo scarto tra il numero di contratti di formazione specialistica finanziati dallo stato e il fabbisogno indicato dalle regioni per il triennio zno8-zou: sarebbero serviti solo nel 2008 altri 422 posti nelle scuole di anestesia, 244. in chirurgia generale, 255 nella neo-nata medicina d'urgenza, 206 in medicina interna. La forbice complessiva, che si ripete ormai da tempo, parla ogni anno di circa 4mila specialisti in meno rispetto al fabbisogno. Ma dove sono i "buchi" più preoccupanti per il Ssn? II Ced della Fnomceo ha provato a scattare una fotografia generale: l'Italia conta circa 236mìla medici specialisti, di cui circa il 10% fa il dentista. Sommando i laureati in odontoiatria, la quota sale al 23,8% (56mila professionisti dei denti). AL confronto gli anestesisti scompaiono: sono meno del 5%, un pugno di 10mila camici bianchi, carenti soprattutto al Sud. Gli oncologi peggio: sono appena l’1%, 3.755 in tutto. Latitano anche i chirurghi specialistici: i neurochirurghi sono soltanto 770, i cardiochirurghi 550. I cardiologi, invece, sono molti: circa 14mila, soprattutto in Campania, Lombardia e Lazio. Il segretario della Fnomceo, Gabriele Peperoni, invita a decifrare i dati: «Le discipline realmente in difficoltà negli ospedali, anche a causa di procedure concorsuali farraginose, sono anestesia, radiologia, ortopedia e le chirurgie più specialistiche». Vuoti che si ripercuotono sulle liste d'attesa e sulle sale operatorie. Ma aumentare i contratti nelle scuole non basta: «Bisognerebbe riformare l'università, facendo formazione negli ospedali e sul territorio». I risultati di un'indagine di FederSpecializzandi su 600 specializzandi in nove atenei, da Padova a Palermo, parlano chiaro: nel 60% dei casi non esiste il logbook, il registro che dovrebbe certificare le attività pratiche, e quando c'è nel 31% dei casi è inutilizzato. La metà degli specializzandi dell'area chirurgica non ha mai eseguito alcun intervento di alta chirurgia come primo operatore. II 650ro ritiene insufficiente la partecipazione alle attività chirurgiche. Una débàcle, aggravata dalle responsabilità che gli specializzandi sono costretti ad assumersi illegittimamente, dalle guardie in autonomia alle visite ambulatoriali. Non sorprende che due su tre sono insoddisfatti del percorso formativo e che la metà non si iscriverebbe mai di nuovo alla stessa scuola. I contratti da z5mila curo, conquistati con la Finanziaria a00G, da soli non paiono sufficienti a formare specialisti di qualità. Si studiano rimedi: in cantiere c'è una «razionalizzazione» delle scuole, cui ha lavorato una commissione di esperti voluta dal ministero dell'Università. Nel documento, discusso il 5 novembre dall'Osservatorio sulla formazione specialistica, si indicano dieci scuole da attivare in tutti gli atenei (anestesia, chirurgia, ginecologia, malattie dell'apparato cardiovascolare, medicina interna, ortopedia, pediatria, psichiatria e radiodiagnostica previa verifica di quattro requisiti: la dotazione di docenti «specifici»; i volumi di attività della rete formativa; l'adeguatezza delle dimensioni; l'attività pregressa delle scuole (assegnazione media di almeno tre borse o contratti nel quinquennio 2003-2008). La valutazione «comparativa» di questi criteri dovrà guidare la selezione per attivare tutte le altre scuole. Non è chiaro come e quando il giro di vite andrà in porto. Manon è un caso che non ci sia ancora traccia del bando per fanno accademico z009-zoio> invocato a gran voce dai neolaureati. Una conferma delle difficoltà di mettere mano al settore. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 29 Ott. ’09 LA FUGA DEI MEDICI: IN VENT' ANNI POSTI-LETTO DIMEZZATI OSPEDALI SI AGGRAVA LA CRISI MENTRE RISALGONO LE NASCITE Un bimbo su 5 ricoverato tra gli adulti La proposta Si devono creare «aree pediatriche» dove prevalga la centralità del bambino, non la specialità d' organo Quindicimila pediatri non sono sufficienti a garantire le cure dall' infanzia alla maggiore età, perché il fronte dell' assistenza è diviso in due: l' assistenza sul territorio con i pediatri di libera scelta, che sono 8 mila, e l' assistenza ospedaliera che, con 7 mila pediatri, deve far fronte alle emergenze, alla cura dei neonati, alle terapie intensive, alle malattie croniche. Se non si formeranno più specialisti e non si creerà un' integrazione tra pediatri del territorio e ospedalieri, nel giro di pochi anni, il settore entrerà in crisi. L' allarme viene ribadito oggi al congresso della Società italiana di pediatria, in un documento che puntualizza criticità e proposte per questo settore. Dal 1990 a oggi i reparti di pediatria sono leggermente diminuiti, da 662 a 500, mentre i posti letto si sono più che dimezzati, da 14.916 a 6.246. La conseguenza: il 20 per cento dei bambini e dei ragazzi ricoverati finisce in posti letto dell' adulto. «Questo perché - spiega Alberto Villani, responsabile del Dipartimento di medicina pediatrica dell' ospedale Bambino Gesù di Roma - la riorganizzazione è stata intesa come "taglio" di letti, senza alcun impegno di spesa e senza sostituzione dei primari e dei medici che via via sono andati in pensione. Un' ulteriore riduzione dell' organico è derivata da flussi interni alla categoria, perché un buon numero di pediatri ha preferito la libera professione, o la medicina di base, all' ospedale. Il risultato è che chi è rimasto in reparto spesso vede ridurre la propria attività al ruolo di "guardiano", con turni su turni, tamponando le emergenze, senza una programmazione, senza la possibilità di esprimere la propria professionalità: un' attività minimale, poco specialistica, demotivante». «Si devono creare, invece, - prosegue Villani - "aree pediatriche", dove poter accogliere tutti i giovanissimi ricoverati, dove prevalga la centralità del paziente rispetto alla specialità d' organo: il giovanissimo operato di adenotonsillectomia deve essere assistito in pediatria e non accanto al vecchietto con il tumore della laringe, così come una diarrea in un bambino è ben altra cosa dal punto di vista assistenziale rispetto alla diarrea di un adulto». Un altro problema è l' uso inappropriato del pronto soccorso. Ogni anno chiedono cure d' urgenza 5 milioni di bambini, da zero a 14 anni, ma soltanto il 10 per cento sono "codici rossi" e "gialli", cioè casi davvero critici. «Dal punto di vista sociale appare difficile modificare questo atteggiamento - dice Villani -. L' ospedale e il pronto soccorso sono ancora oggi il luogo dove il paziente, adulto o bambino che sia, si sente più sicuro. Il filtro fatto dai pediatri del territorio deve essere strutturato e regolamentato, altrimenti il ricorso improprio all' ospedale ci sarà sempre. In ogni caso occorre un' opera di educazione sanitaria che richiederà molti anni (5-7) prima che dia frutti tangibili». L' inversione di tendenza del numero delle nascite (da 537.242 del 1999 ai 576.659 del 2008) ha riportato alla ribalta anche la questione dei punti nascita, delle neonatologie e delle terapie intensive". Le pediatrie che comprendono maternità e l' assistenza neonatale sono soltanto il 17%; quelle con la terapia intensiva ancora meno. «Senza una riorganizzazione - osserva Piermichele Paolillo, dirigente neonatologo al Policlinico Casilino di Roma - l' offerta di assistenza ai neonati patologici e prematuri è a rischio, sia per la mancanza di medici, che le università non preparano, sia per la carenza di posti letto di terapia intensiva». Se è vero per mantenere attivo un punto nascita occorrono almeno 20 pediatri, la revisione dei luoghi in cui si partorisce può favorire la crescita di strutture di alto livello che garantiscano una migliore assistenza ai bambini più gravi. «La qualità di un punto nascita - aggiunge Alberto Ricciardi, responsabile della pediatria all' ospedale di Sesto San Giovanni - dipende anche dall' esperienza dei medici che, in strutture con meno di 800 nati all' anno, non è garantita. E in Italia ci sono ospedali, a parte le eccezioni per le zone disagiate, dove si raggiungono soltanto 300 nascite all' anno». Edoardo Stucchi RIPRODUZIONE RISERVATA Stucchi Edoardo _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Dic. ’09 E SE DOPO IL PROCESSO ARRIVASSE ANCHE LA DIAGNOSI BREVE? La prossima legge che il Parlamento si appresta a discutere riguarderà la Diagnosi Breve. La direttiva, proposta dal governo, dovrà essere approvata in tempi rapidissimi, e impone che gli accertamenti e le diagnosi per qualunque malattia debbano essere completati entro un massimo di una settimana. In caso contrario il paziente tornerà a casa e non potrà rivolgersi ad altro ospedale. Non si potrà fare più nulla. Saranno affari suoi. Del resto è quello che vuole la gente: diagnosi veloci. Una Sanità lenta è una non-Sanità, come una Giustizia lenta è una non-Giustizia. Così ragiona giustamente un governo che sta dalla parte dei cittadini. Se possiamo avere il processo breve per legge, perché non anche la Diagnosi Breve, sempre per legge. Si passerà poi alla disposizione sulla lista d'attesa breve, che, nella sostanza, dirà questo: se per una radiografia si rimane in lista d'attesa per più di dieci giorni, l'esame non si potrà più fare; da nessuna parte. Nessuna lista d'attesa potrà durare più dieci giorni; così, con un semplice decreto, il governo risolverà un altro grave problema che affligge la gente da tempo immemorabile. Proprio con la stessa logica con la quale si sta affrontando l'annosa questione della durata troppo lunga dei processi: dopo un certo termine (due anni per ogni grado di giudizio) se non si è arrivati a una sentenza, si va tutti a casa, e il reato contestato non sarà mai esistito. La simmetria tra Diagnosi Breve e processo breve non è senza fondamento. La Medicina e la Giustizia viaggiano su binari paralleli e non è sicuramente un caso se, nei diversi Paesi, un buon livello di assistenza sanitaria si associ, in genere, a una buona amministrazione della Giustizia, o viceversa. Entrambe, Medicina e Giustizia, basano il loro operare su un percorso che è fatto di conoscenze, di preparazione professionale, ma anche di intuito e di molta capacità di sintesi, cioè la capacità di stabilire un nesso logico tra un insieme di dati e di fatti, per trarne le conclusioni più probabili. Entrambe poi si avvalgono sempre più di strumenti tecnici sofisticati per la raccolta dei dati, degli indizi e di tutto quello che può aiutare a formulare una diagnosi o una sentenza. Più mezzi efficenti si avranno a disposizione, più le diagnosi o le sentenze saranno attendibili e corrette. È evidente che ci sono dei casi molto semplici e dei casi molto difficili da risolvere, sia nell'ambito della Medicina che in quello della Giustizia. Per cui alcuni richiederanno più tempo, altri meno. Ed è anche chiaro come l'efficienza del sistema sanitario e di quello giudiziario dipendano in larga misura dal modo in cui sono organizzate le diverse strutture che concorrono a fornire il servizio. Occorre per questo garantire che chi eroga assistenza abbia i mezzi e gli strumenti necessari per poterlo fare. Occorre fare in modo che chi chiede assistenza lo faccia solo quando ne ha realmente bisogno, così da non intralciare il servizio. Occorre proteggere la salute dei cittadini, in modo che le richieste di assistenza siano il più limitate possibile. Occorre quindi lavorare e investire sulla prevenzione, sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, degli alimenti e dell'ambiente in generale. Occorre evitare per quanto è possibile i fattori di rischio di malattia. A ben guardare, sono le stesse cose che occorre fare, più o meno, per diminuire la durata dei processi. Mettere a disposizione più mezzi, per esempio, se è vero che spesso nei tribunali manca anche la carta per fare le fotocopie. In questo senso suona amaramente ironico che il governo dichiari di voler rendere i processi più brevi e contemporaneamente proponga di limitare l'utilizzo delle intercettazioni telefoniche durante le indagini; uno strumento che tutti riconoscono ormai come essenziale a fini investigativi. È come se si pretendesse di accorciare i tempi delle diagnosi e allo stesso tempo si vietasse l'uso della TAC per scoprire le patologie. Sarebbe lecito avere dubbi sui reali obiettivi che si vogliono perseguire. Proprio come nel caso della legge sul processo breve. EZIO LACONI (Prof. Ass. di Patologia e Fisiopatologia Generale Università di Cagliari) ________________________________________________________________ La Repubblica 1 dic. ’09 GENERAZIONE NO-CONDOM TRA I RAGAZZI TORNA LA SIFILIDE Milano, Londra, Piangi, Mosca una ricerca lancia l’allarme In aumento anche condilomi e herpes GIORGIO CAVAZZINI Sono in costante aumento le infezioni sessualmente trasmesse (Ist) tra i giovani: nelle metropoli europee colpiscono un teenager su cinque di entrambi i sessi tra quelli che si rivolgono ai centri specializzati. Ad evidenziarlo sono i dati raccolti negli ultimi tre anni dal Centro malattie a trasmissione sessuale (Mts) dell'Ospedale Maggiore di Milano, al quale nel 2009 si sono rivolti oltre mille ragazzi tra i 15 e i 25 anni su oltre 13rnila accessi. «Praticamente vediamo un nuovo caso di sifilide al giorno- spiega Marco Cusini, a capo del centro Mts -e le proiezioni per i condilomi da Papiliomavirus (Hpv) dopo il primo semestre dell'anno indicano che i nuovi casi sono raddoppiati dal 2006. In lieve aumento anche i nuovi casi di Hiv, più 10 per cento rispetta al2008 e più 25 rispetto al2006». Complessivamente le infezioni riscontrate sono condilomi (8,2 per cento) e sifilide latente (3,8), seguiti da gonorrea (1,5), Hiv (1,1), micoplasmi (0,9), herpes genitale e clamidi». Significativi i dati sulla sifilide, anche perché i casi classificati come "sifilide ignorata" (18) sono con tutta probabilità casi di "sifilide recente" ad elevata contagiosità. Trend in salita anche nelle altre grandi città europee. A Londra le nuove diagnosi di sifilide tra gli uomini sono aumentate di oltre il1000 per cento negli ultimi dieci anni. Anche i casi di gonorrea nella capitale inglese sono i più elevati del Paese, pur se in discreta discesa nell'ultimo anno. Da rilevare che il 70 per cento dei nuovi casi di sifilide e il 39 dei nuovi casi di gonorrea si sono riscontrati tra gli omosessuali. In aumento anche le altre forme d'infezione:+110percento negli uomini e +59 nelle donne per la clamidia dal 1999; +39 in entrambi i sessi per l'herpes genitale, +16 nella popolazione maschile e +15 in quella femminile per i condilomi. Abuso di alcol e sostanze stupefacenti si ritengono fattori che abbassano la guardia dei più giovani. Non meno preoccupanti i dati che riguardano Parigi. In Francia è tra gli immigrati che si registrano i più elevati tassi di diffusione di infezioni. Servirebbero screening gratuiti, dicono gli esperti. Al Mosca invece la strategia ha funzionato e sifilide, gonorrea e Hiv registrano una lenta ma decisa flessione rispetto al resto della Russia, con l'eccezione delle epatiti B e C in ascesa e dell’Aids negli adolescenti sotto i 17 anni (+2,3 per cento). ________________________________________________________________ ItaliaOggi 3 dic. ’09 LA MEMORIA VIENE DORMENDO Un nuovo studio dimostra che il sonno gioca un ruolo cruciale nei processi di apprendimento La stimolazione uditiva migliora la capacità di fissare i ricordi DI ELENA GAT.i.i Chi dorme non piglia pesci, dice il, proverbio. Ma potrebbe essere vero il contrario. Da anni infatti si moltiplicano gli studi volti a dimostrare che il sonno gioca un ruolo cruciale nei processi di apprendimento e memorizzazione delle informazioni. Oggi una ricerca dell'università Northwestern (Illinois) aggiunge un nuovo tassello, dimostrando che una stimolazione uditiva durante la siesta permette di rinsaldare i propri ricordi. Lo studio, pubblicato recentemente dalla rivista Science, si è basato su una metodologia originale. I ricercatori hanno chiesto a dodici giovani volontari di memorizzare la posizione precisa di 50 immagini sullo schermo di un computer. Ciascuna immagine veniva trasmessa in concomitanza con un suono caratteristico (per esempio gatto-miagolio). I volontari sono stati poi invitati a fare un riposino, durante il quale sono stati riprodotti i rumori corrispondenti a 25 degli oggetti visibili sullo schermo del pc. AL risveglio, benché non avessero alcun ricordo dei richiami sonori, i volontari hanno meglio ricollocato sullo schermo le immagini corrispondenti ai 25 suoni rispetto alle altre. Senza siesta, invece, le performance non erano migliorate. Nel 2007, basandosi su un principio analogo, Jan Born dell'università di Lubecca era ricorso a una stimolazione di tipo diverso: un delicato profumo di rosa, diffuso durante un esercizio di memorizzazione e poi di nuovo durante il sonno. Questo richiamo olfattivo, se effettuato durante la fase di sonno profondo, aveva sensibilmente migliorato, il giorno successivo, i punteggi dei test di memoria. L'effetto era invece nullo se il profumo era stato annusato nelle fase di sonno paradossale, quella cioè nella quale si sogna. Dunque i due studi dimostrano che stimoli olfattivi o sonori durante la fase di sonno profondo possono amplificare il processo di memorizzazione. Secondo gli esperti, inoltre, il sonno lento giocherebbe un ruolo di rilievo nella memoria dichiarativa, mentre il consolidamento della memoria emozionale (quella, per intenderci, degli avvenimenti tristi o felici) avverrebbe nella fase di sonno paradossale (o Rem). Tuttavia finora nessuno è stato in grado, per esempio, di imparare una lingua straniera dormendo con un Cd in sottofondo. Infatti gran parte della nostra memoria è visiva e il sistema visivo è bloccato durante il sonno. Una cosa però è certa: dormire non è una perdita di tempo. Il sonno, infatti, oltre a favorire il buon funzionamento cerebrale, è anche benefico per il sistema immunitario e per quello ormonale. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 Dic. ’09 SESSO: QUELLA POMATA GRADITA ALLA CHIESA BREVETTATA A CAGLIARI di PAOLO LA COLLA* Nella lotta per rallentare la corsa dell'Aids da oggi c'è un'arma in più. Ad astinenza, fedeltà e uso del profilattico, si aggiunge un salvagente chimico di facile impiego e basso costo: una pomata che permetterà a donne e uomini di proteggersi dalle infezioni da virus Hiv. Questa crema microbicida, testata con successo sulle scimmie e brevettata dall'Università di Cagliari nell'ambito di un progetto realizzato con la partecipazione di undici gruppi di ricerca in Europa e Africa, ha un valore doppio: contrasta la trasmissione del virus e sostituisce il profilattico nei rapporti sessuali senza limitare la capacità della donna di procreare. Una rivoluzione scientifica, ma anche etica che restituisce all'anello più debole della catena, la donna, la totale autonomia nell'assunzione della pomata rispetto al partner maschile. Con un vantaggio extra: la crema microbicida funziona prima e dopo i rapporti sessuali. Perché il virus Hiv impiega circa 24 ore prima di centrare le cellule bersaglio e aggredire l'organismo. La pomata risulta quindi efficace anche per evitare l'infezione di una donna sottoposta a stupro. O quella di una potenziale vittima di un incontro sessuale occasionale con un partner malato. E nel 95% dei casi, la diffusione del virus Hiv avviene proprio attraverso rapporti eterosessuali non protetti. La crema microbicida rappresenta, quindi, una barriera al dilagare dell'Aids: è facile da usare grazie all'applicazione locale vaginale (o rettale nel caso di rapporti omosessuali) e blocca la replicazione del virus anche quando viene somministrata per brevi periodi di tempo prima dell'infezione. Il principio attivo rilasciato dalla pomata penetra nelle cellule della mucosa vaginale o rettale e sviluppa la sua azione bloccando quella del virus con risultati incoraggianti: ha protetto il 50-60% delle scimmie infettate durante la sperimentazione. La strada è quella giusta. Ma la ricerca va ancora potenziata. Soprattutto per lei. Ma anche per lui. E per gli altri. ________________________________________________________________ il Giornale 4 dic. ’09 DALLA HARVARD UNIVERSITY UNA LUCE ROSSA PER INDIVIDUARE IL CARCINOMA MAMMARIO AVANZA LA DIAGNOSI PRECOCE Luisa Rornagnoni ROMA II comune impiega un nuovo strumento per individuare le cellule neoplastiche l comune di Roma è il primo in Europa ad adottare un programma di diagnosi precoce del tumore al seno. Si sono attivati i laboratori diagnostici dell'Istituto di previdenza ed assistenza dipendenti del comune capitolino (IPA) che hanno realizzato una Unità senologica avanzata (Breast Unit Advance) dotata degli strumenti più innovativi come il Dynamic optical breast imaging (Dobi), un apparecchio di indagine che impiega una luce monocromatica che si blocca nelle zone del seno dove vi sono aree sospette cancerose e passa indenne dove il tessuto è sano: Con questa tecnologia (ComfortScam) è possibile individuare lesioni anche molto piccole, inferiori a due millimetri. Sviluppata in America nei laboratori della Harvard university, poi in Cina, si sta ora diffondendo in tutti i Paesi occidentali. E' un esame veloce (40 secondi) non invasivo e non doloroso, privo di radiazioni, coglie le variazioni di assorbimento della luce dei vasi sanguigni che alimentano il tumore già nelle fasi iniziali (angiogenesi). E' una metodologia che integra quelle già disponibili come la mammografia che nelle donne con mammella densa nella fascia di età 20-45 anni ha però una bassa sensibilità. Anche la Risonanza magnetica e la Pet, estremamente costose, possono non offrire risultati certi nella rilevazioni delle micro calcificazioni o nel caso dei piccoli tumori. La diagnosi precoce del cancro alla mammella consente di intervenire nella fase iniziale della crescita della lesione neoplastica ed è quindi di fonda mentale importanza. Il tumore al seno è il più frequente nella popolazione femminile dei Paesi occidentali. La stessa Commissione sanità europea ha invitato quest'anno tutti i Paesi membri a raddoppiare gli sforzi per prevenire il cancro al seno e consentire diagnosi precoci. Suggerisce di effettuare 125milioni di esami all'anno ed oggi siamo a meno della metà. La Fondazione Veronesi ha lanciato la campagna «Mortalità Zero» entro il 2019 per i tumori al seno. Ogni anno questa neoplasia colpisce 37 mila donne e causa 11mila decessi. È considerato un «Big Killer», in Italia setto donne su cento manifestano clinicamente un carcinoma mammario. In generale i tumori, tra cui quelli mammari, si formano nel tempo mediante l'accumulo di numerose alterazioni cellulari, correlate ad un processo neo-angiogenetico che rende possibile la proliferazione cellulare incontrollata, quindi cancerogena. ________________________________________________________________ Avvenire 4 dic. ’09 L’UOMO NON SFRUTTI MAI L'UOMO (ANCHE SE SARÀ «SINTETICO») TRA SCIENZA E INGEGNERIA L'ULTIMA FRONTIERA DELLA RICERCA Come ha osservato Francesco Donato Busnelli in una lucida audizione davanti al Comitato nazionale per la bioetica, in Italia c'è un obiettivo ritardo e un inspiegabile disinteresse nei confronti della "biologia sintetica", cioè di quelle ricerche biologiche di frontiera, che si sforzano di trasformare l’ "homo faber" in "homo creator". La biologia sintetica è quella disciplina (o nuova sintesi disciplinare) che si prefigge come obiettivo quello di ricombinare componenti biomolecolari (naturali o sintetici) in modo da produrre nuovi circuiti genetici e biochimici, per rimodellare forme di vita già esistenti o addirittura p er crearne di nuove. In un certo senso, la biologia sintetica vuole fondere la scienza e l'ingegneria. A quale scopo? Nel breve periodo, i biologi sintetici si prefiggono finalità socio-terapeutiche: già si cominciano a intravedere - si sostiene - le straordinarie possibilità che offre la creazione in laboratorio di materiale cellulare sintetico umano per sostituire tessuti corporei colpiti da irrimediabili ingiurie o da patologie incurabili; già si prevede come dalla ricerca sintetico-biologica ci si possano attendere grandi risultati ai fini della produzione di energia alternativa a quella petrolifera. Il passo ulteriore sarebbe quello di creare in laboratorio geni resistenti al cancro, per poter non solo da sconfiggere la malattia che più colpisce l'immaginario simbolico degli uomini moderni, ma addirittura prevenirla definitivamente. Fin qui, le prevedibili e lodevoli finalità della biologia sintetica. Ma perché non immaginare, oltre ciò che è ragionevolmente prevedibile, anche il possibile? Perché non cercare, grazie alla Biologia sintetica, di potenziare il corpo umano, donandogli nuove capacità fino ad oggi nemmeno immaginabili, come ad esempio quella di ridurre l'esigenza del sonno ai minimi livelli (o annullarla definitivamente)? Perché non pensare a intervenire sul cervello, anche ricorrendo all'ausilio delle nanotecnologie, per dilatarne fino all'inverosimile la "memoria"? Perché non predisporre tecniche per ritardare l'usura dell' organismo (cioè in definitiva la vecchiaia), in modo da garantire agli uomini la possibilità di una sopravvivenza ben più che secolare? Perché, in definitiva, non accettare l’ idea che l'uomo possa prendere nelle proprie mani la sua stessa dinamica evolutiva, non solo accelerandone i tempi, ma soprattutto dandole un ben preciso orientamento? Quella de1l’ "uomo sintetico" non va ritenuta una fantasia: appartiene al novero delle possibilità che divengono di giorno in giorno sempre più concrete. La biologia sintetica ci pone di fronte a scenari inquietanti e inediti: bene ha fatto la massima autorità dell'Unione Europea, il presidente Barroso, a richiedere all'Ege, cioè al "Gruppo europeo per l'etica nella scienza e nelle nuove tecnologie" di cui Busnelli è membro autorevole, un primo rapporto al riguardo, che è stato redatto con ammirevole rapidità e in cui sono state inserite alcune precise, pur se aurorali, raccomandazioni (favorire la circolazione delle informazioni, individuare gli opportuni limiti della brevettabilita delle scoperte, garantire i singoli e la società dai possibili rischi di alterazione ambientale che possono derivare dalla fabbricazione di organismi sintetici, ecc.). Resta ancora sulla sfondo, ma esploderà ben presto, il dibattito bioetico fondamentale, che anche in questo, come già in altri casi, dividerà i bioeticisti in due fazioni: quella degli apocalittici e quella degli ottimisti a oltranza. È ancora troppo presto per poter valutare serenamente da quale parte sia opportuno e doveroso schierarsi. Ma non dobbiamo mai stancarci di ricordare agli scienziati che qualsiasi loro ricerca, per essere legittima e lodevole, deve rispettare una condizione fondamentale: il principio supremo della dignità della persona. Un principio tutt'altro che generico e vuoto di contenuti, come sostengono molti scettici, perché si incardina su due esigenze fondamentali: quella di rispettare sempre e comunque l’identità umana (contro ogni tentazione di manipolazione) e quella di non sfruttarla mai, soprattutto economicamente, né in modo diretto, né in modo indiretto. Sono esigenze elementari, alle quali anche la biologia sintetica deve essere fermamente chiamata a rendere omaggio. ________________________________________________________________ la Repubblica 4 dic. ’09 L’ARTERIOSCLEROSI NON É MODERNA. CE L'AVEVANO GIÀ !E MUMMIE EGIZIE STORIA Studio su tessuti cardiovascolari di 3500 anni fa Che le malattie Cardiovascolari avesse ro origini antiche lo sospettavamo, ora la conferma arriva dalle mummie egizie. A sostenere la tesi ' sono gli scienziati del MW America Heart Institute di Kansas City che hanno ' analizzato, attraverso la tac, ventidue esemplari custoditi nel museo del Cairo e risalenti a 3.500 anni fa. I ricercatori hanno scoperto che sedici di esse conservavano ancora tessuti cardiovascolari, e che, di queste, nove mostravano tracce di ispessimento delle arterie, mentre una probabilmente aveva subito un infarto. I risultati dello studio, spiega Randall Thompson, uno degli autori, dimostrano come fattori di rischio tipicamente moderni come fumo e sedentarietà non siano gli unici a causare l’arteriosclerosi, mentre l’alimentazione c'entrava ieri come oggi: gli egizi mangiavano carni grasse e molto sale e questo provocava l’aumento della pressione. Un altro studio, del Maharishi Unìversity of Management (Iowa), indica un rimedio: venti minuti di meditazione, due volte al giorno, abbassano la pressione e riducono del 47 per cento il rischio ictus e infarto. ________________________________________________________________ Corriere della Sera 6 dic. ’09 IL CELLULARE MINACCIA IL CERVELLO? NO, SÌ, FORSE Legami fra l'uso dei telefoni cellulari e tumori al cervello? Non ce ne sono. L'ultimo studio che «dice la sua» sul problema arriva dalla Danimarca ed è stato pubblicato sull'autorevole Journal of the National Cancer Institute. Ricercatori della Società di oncologia danese hanno analizzato i tassi di incidenza annuale di due tipi di tumore al cervello - glioma e meningioma - tra le persone nella fascia d'età compresa tra 2o e 79 anni in Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia tra il 1974 e il 2003, senza individuare «alcun chiaro cambiamento nelle tendenze a lungo termine nell'incidenza dei tumori al cervello tra il 1998 e il 2003», a dispetto del fatto che l'uso dei cellulari è aumentato rapidamente a partire dagli anni 'go. Una buona notizia, quindi. Sì: peccato che non più tardi di tre settimane fa uno studio dell'Università di órebro, in Svezia, abbia riscontrato una forte correlazione tra l'uso dei cellulari e l'aumento di transtiretina, una proteina contenuta nel liquido cefalorachidiano, la cui funzione è, anche, di proteggere il cervello dalle influenze esterne. Non è chiaro se tale aumento debba essere considerato un segnale di rischio per la nostra salute. Ad ogni modo, c'è ora evidenza scientifica che i cellulari producono un cambiamento biologico nel nostro cervello. E allora? Che cosa dobbiamo concludere? Che qualcuno è bravo, o onesto, e qualcuno magari meno? No. Dobbiamo piuttosto abituarci all'idea che i dati scientifici molto spesso non posso dare certezze, ma solo indicazioni. E che in tali casi il buon senso rimane il faro per i comportamenti: Un esempio? Cellulari in mano ai bambini? Con estrema parsimonia. E anche se si è maggiorenni meglio non esagerare Luigi Ripamonti _______________________________________________________________ Corriere della Sera 3 Dic. ’09 USA, PRIMO SÌ ALL' USO DELLE CELLULE EMBRIONALI WASHINGTON - Il governo Usa ha approvato le prime 13 «linee» di cellule derivate da embrioni scartati dalle cliniche della fertilità per studi che saranno condotti con fondi federali. I «filoni» di cellule che hanno ricevuto l' ok dall' Istituto nazionale della salute (Nih) erano stati creati da scienziati delle università di Harvard e Rockefeller con finanziamenti privati (Bush aveva bandito la possibilità di estrarre queste cellule da embrioni umani con soldi governativi, ma Obama ha ridotto le restrizioni). Le «linee» di staminali embrionali approvate dal Nih potranno essere usate per esperimenti con finanziamenti federali: ci sono già 30 progetti di ricerca per un totale di 20 milioni di dollari in fondi del governo. Francis Collins, direttore dell' Istituto, ha annunciato che «altre 96 linee di cellule staminali sono già all' esame per un probabile, prossimo ulteriore sì». L' approvazione segue due criteri etici: devono essere cellule derivanti da embrioni scartati alle cliniche della fertilità e i «genitori» dell' embrione devono dare il loro consenso scritto. Per Collins, scienziato di fede cristiana, «le raccomandazioni offrono un compromesso etico tra visioni opposte», ma la Conferenza dei vescovi protesta contro «l' uso di denaro pubblico per finanziare ricerche basate sulla distruzione della vita umana ai primi stadi». _______________________________________________________________ Corriere della Sera 2 Dic. ’09 PISA: PRIMA MANO BIONICA, DIALOGA CON LA MENTE SCIENZA REALIZZATA A PISA, IMPIANTATA A ROMA SU UN ITALO-BRASILIANO. ALLUMINIO E CARBONIO, PESA 2 CHILI MILANO - La cybermano funziona: impiantata un anno fa a un ragazzo italo- brasiliano di 26 anni, vittima di un incidente stradale che ha costretto i chirurgi a un' amputazione fino a metà avambraccio, gli permette oggi di avvertire le sensazioni di presa, spinta e tatto. Di riconoscere cioè un oggetto, di afferrarlo e tenerlo saldo fra le cinque dita di alluminio (indipendenti, proprio come una mano normale) e il palmo, in fibre di carbonio. Non a caso la sua mano (che pesa due chili) si chiama Smart Hand, mano intelligente, perché la protesi è capace di dialogare con il cervello attraverso dei sensori e di tradurre in movimento quello che il paziente sta pensando.bioingegneria. È la mano artificiale, che ha messo a punto un team di ricercatori svedesi dell' Università di Lund e italiani della Scuola Superiore Sant' Anna di Pisa e che è stata impiantata al paziente da un' équipe di chirurghi dell' Università Campus Biomedico di Roma. Finora la robotica ha inventato arti elettronici che, per quanto sofisticati, sono poco più che pinze mosse dalla contrazione dei muscoli del braccio. Oggi, invece, grazie a un sistema di sensori, la mano bionica dialoga con il cervello, con l' aiuto di quattro elettrodi impiantati nei nervi del polso e dell' avambraccio del paziente: questi elettrodi permettono non soltanto di controllare i movimenti, ma anche di ricevere stimoli sensoriali. Cioè: il paziente riesce a muovere la mano per prendere un oggetto e, quando l' oggetto è nella mano del paziente, quest' ultimo ha la sensazione di trattenerlo con le dita. La mano bionica è stata realizzata nell' ambito del progetto LifeHand, finanziato con fondi europei per circa due milioni di euro in cinque anni. L' intervento sul paziente italo-brasiliano, che risale al 20 novembre del 2008, è stato effettuato sul suo braccio sinistro ed è stato condotto da tre chirurghi, due anestesisti, tre neurologi e quattro bioingegneri. Non ci sono state complicazioni e il paziente è stato dimesso a due giorni dell' intervento. Ora i risultati, a distanza di un anno, saranno presentati in una conferenza stampa e sono in via di pubblicazione su una rivista scientifica internazionale. Il paziente operato a Roma non è il primo ad avere ricevuto questa protesi: la stessa «mano robotica» è stata impiantata su un giovane svedese il cui arto era stato amputato per un grave tumore al polso. Ecco il commento di Christian Cipriani, ingegnere dell' Arts Lab di Pisa, guidato da Maria Chiara Carrozza: «Abbiamo sviluppato una mano robotica capace di afferrare gli oggetti e allo stesso tempo dotata di un elevato numero di sensori, che rilevano la posizione delle dita (detta propriocezione) e misurano le interazioni con il mondo esterno. Quello che è cambiato rispetto alle mani robotiche inventate finora, è l' interfaccia sensoriale. Abbiamo, cioè, applicato al moncone , dei sensori che, quando per esempio la mano artificiale tocca una bottiglia, inviano così al cervello la sensazione del tatto». Sono stati necessari sei anni per arrivare dalla progettazione della mano e i ricercatori ammettono che ci sono ancora molti problemi da risolvere, ma la strada è aperta. Tanto che si prevede di ripetere l' esperimento con altri pazienti per confermare l' efficacia del sistema. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA Robot a 5 dita Bazzi Adriana _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 nov. ’09 LA COLLA: LA DOPPIA FACCIA DEL VACCINO CONTRO L’INFLUENZA Il virologo La Colla spiega come il nostro corpo reagisce all’attacco dei virus Vaccino sì, vaccino no, vaccino forse. In attesa dell’arrivo del picco dell’influenza suina, previsto a cavallo delle feste di Natale, l’ultima fase del piano di prevenzione varato dal ministero della Salute ripropone una domanda troppe volte rinviata: giovani e bambini che non rientrano nelle categorie a rischio devono essere vaccinati? Il virologo cagliaritano Paolo La Colla sottolinea come i virus siano da sempre nostri compagni di viaggio e dà una risposta introducendo il concetto di vaccinazione intelligente. Cronaca Regionale - Pagina 5 AH1N1, le due facce del vaccino Il virologo La Colla: più informazioni e meno paura Nella fattoria della paura adesso tocca ai maiali. Dieci anni fa c’erano le mucche pazze con il morbo capace di rosicchiare il cervello di un uomo come un topo fa col formaggio. Poi sono arrivate le galline, portatrici malate con polli, oche e via starnazzando di un virus artefice dell’infezione conosciuta come febbre aviaria. Mancavano solo i tre porcellini. Incolpevoli protagonisti dell’influenza suina. Una nuova minaccia resa ancor più temibile da un particolare diventato negli ultimi mesi un incubo per milioni di genitori: colpisce soprattutto giovani e bambini. Ma dobbiamo vaccinarli anche se sono sani? All’alba del terzo millennio e in mancanza di certezze sulla pericolosità dei virus trasmessi dagli animali, pediatri e medici si dividono in tre categorie. Quelli "assolutamente sì perché il vaccino è sicuro, protegge dal contagio e frena la pandemia, riducendo la possibilità che il mostro AH1N1 possa mutare, cambiare codice nel continuo passaggio da un uomo (e un continente) all’altro, rafforzarsi e diventare più aggressivo". Quelli "assolutamente no perché l’influenza suina è leggera e le nostre difese immunitarie sufficienti a produrre in modo naturale gli anticorpi necessari per fermare l’infezione". E quelli che consigliano di "lavarsi bene le mani" e per dare il buon esempio iniziano a farlo loro, lasciando ai genitori la responsabilità della decisione dopo aver elencato vizi e virtù delle due possibilità. Insomma, dando per scontata la competenza scientifica e la buona fede di chi si occupa della nostra salute, la scelta è un tiro al bersaglio. Con il cinquanta per cento delle probabilità di sbagliare. «Ma esiste anche una vaccinazione intelligente: quella destinata solo alle categorie a rischio». Seduto dietro la scrivania di un’aula quasi asettica nella cittadella universitaria di Monserrato, il virologo Paolo La Colla allarga le braccia e usa un esempio per far passare un concetto troppo spesso ignorato. «Ogni donna prima di diventare mamma dovrebbe vaccinarsi contro l’azione del virus della rosolia». Per evitare gli effetti, spesso devastanti, che la malattia produce sul bebè durante la gravidanza. «Ma nessun uomo fa altrettanto prima di diventare babbo». In questo modo i papà danno il loro contributo: si lasciano infettare (i sintomi sono lievi) e producono altri virus della rosolia. Che sopravvivono, continuano a circolare e funzionano come dosi di richiamo di una vaccinazione naturale che garantisce immunità anche alle mamme in occasione di future gravidanze. «Questo processo è in grado di far progredire il nostro sistema immunitario, rendendolo sempre più forte e capace di difendersi dalle continue aggressioni». Rosolia, influenza e altre malattie causate da un’infezione virale hanno, quindi, anche una funzione positiva nell’evoluzione della specie. «Microrganismi e virus non sono nemici da cancellare dalla faccia della terra perché hanno un ruolo insostituibile anche se lasciano morti sul campo. Vivono da sempre con noi e svolgono una funzione indispensabile in natura per far evolvere nel modo più efficiente possibile le capacità di difesa del nostro organismo». Sono compagni di viaggio, qualche volta scomodi e pericolosi, con i quali dobbiamo convivere. Ed è anche merito della loro azione se oggi la vita media si è allungata. «C’è un equilibrio naturale, e questo equilibrio, pur con inevitabili costi, non si deve rompere». L’evoluzione di una specie, quindi, trascura i lutti del singolo per inseguire la salvezza del collettivo. Molto facile dirlo (e capirlo). Più difficile accettarlo. Soprattutto sulla pelle di tuo figlio. Che, senza il vaccino, rischia di buscarsi la suina anche se applica alla lettera le cinque regole suggerite da Topo Gigio nella campagna per prevenire il contagio. «Vedendolo all’opera, abbiamo tutti imparato che il virus AH1N1 non è il responsabile diretto delle morti, ma solo un complice in grado di aggravare, in modo anche molto veloce, l’evoluzione negativa di altre malattie già in atto. In alcuni casi uccide non perché sia forte lui, ma perché è molto debole l’organismo che aggredisce». Il messaggio passa forte e chiaro per chi appartiene alle categorie a rischio. Ma gli altri, quelli sani, come devono regolarsi? «C’è un riscontro in entrambi i casi. Chi si vaccina continua a vivere normalmente e non si ammala. Chi non si vaccina può prendersi l’influenza, avrà un po’ di febbre, mal di testa, altri dolori, dovrà stare a casa magari per una settimana, ma non muore. Sono due diversi modi di agire per centrare comunque l’obiettivo che giustifica la scelta: non ammalarsi nel primo caso, ammalarsi, subendo solo un minimo disagio che rinforza le difese immunitarie, nel secondo». Allora perché tanto allarme? Perché questo gioco al massacro con la conta nei telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani dei morti? Di persone che, senza la minaccia dell’influenza suina, sarebbero passate a miglior vita col conforto dei familiari, ma nell’indifferenza generale. E, soprattutto, perché i governi dei maggiori Stati del mondo hanno fatto a gara per accaparrarsi centinaia di milioni di dosi di vaccino, da destinare, in un secondo tempo, anche a chi è sano? «Lo scontro in atto tra favorevoli e contrari, schiavo di un meccanismo perverso di terrore da cui bisogna uscir fuori, è alimentato dalla continua richiesta di informazioni. Le gente ha paura e vuol sapere, giornali e televisioni cavalcano questo bisogno, il politico sotto pressione deve dare risposte e, sulla base di suggerimenti di uno staff di esperti, prende una serie di decisioni per soddisfare le richieste di chi lo ha eletto». Cesare, i romani vogliono panem et circenses cantava il poeta Giovenale. E la vecchia logica del benessere popolare (e quindi politico) nella Roma antica, evidentemente funziona anche sostituendo il pane col vaccino. Ieri per la sars e l’aviaria, oggi per l’influenza suina. In un vortice di informazioni, spesso contraddittorie, che disorienta e impaurisce chi non è ancora riuscito a capire dove stia la ragione. E quando all’uscita di una scuola elementare i genitori in attesa dei figli non parlano più del Grande Fratello o di Cassano in Nazionale, ma solo di "squalene e di altre sostanze tossiche contenute nel vaccino potenziato" o assicurano che "devi fare il richiamo dopo due settimane", c’è qualcosa che non funziona. O, forse, funziona troppo bene. Perché c’è anche chi, sfruttando l’ondata di paura alimentata dalla grancassa dei mezzi di informazione, ha pochi dubbi sulla necessità e l’efficacia del vaccino: per le industrie farmaceutiche l’influenza suina è un affare colossale come la benzina per i petrolieri, soprattutto quando la domanda supera di gran lunga l’offerta. E l’ipotesi di una grande montatura organizzata per vendere di più, aggiunge panico e altri dubbi sulla necessità di vaccinare i bambini sani. «Ci sono interessi colossali e i fatturati delle industrie farmaceutiche aumentano in proporzione alla pressione psicologica sulla gente comune. Escludo però che ci siano atti di terrorismo premeditati a scopro di lucro». Insomma, tra farmaci antivirali e vaccini, le azioni delle multinazionali della salute volano in Borsa. Perché questi interessi si incrociano quasi sempre con «un problema di corretta informazione», precisa La Colla. Quando il nostro organismo viene aggredito da un virus si difende con le sue forze e in modo naturale. Il sistema immunitario, allertato dalla presenza in casa di un estraneo, fabbrica le cartucce adatte a fermare l’aggressore, le carica nel fucile e spara: uno, mille, centomila colpi. Con il vaccino, invece, l’aggressione è solo simulata: non è il virus vivo a portare la minaccia, ma la sua controfigura. Un sosia al quale apriamo noi la porta di casa. Dopo averlo prima indebolito quanto basta per essere credibile, ma non pericoloso. E poi rianimato con l’uso di sostanze chimiche (gli adiuvanti come lo squalene) per scatenare ugualmente la reazione del sistema immunitario. La differenza è semplice e intuitiva. «Le cartucce naturali sono più numerose ed efficaci di quelle, pur utili (e in certi casi indispensabili), costruite con l’aiuto della chimica: un domani, potrebbero servire anche per fermare altri aggressori simili al virus per il quale sono state fabbricate, ma più pericolosi». E allora come la mettiamo? «Raccomandando vivamente la vaccinazione di tutte le categorie a rischio reale». Con un consiglio. «In Italia siamo tutti allenatori della Nazionale quando pretendiamo di dettare a Lippi la miglior formazione. Ma, per favore, non facciamo anche i commissari tecnici della nostra salute: squadra e ruoli li devono decidere medici e pediatri». Che ci seguono da quando siamo nati, conoscono i punti di forza e di debolezza del nostro organismo e, pur con opinioni diverse e argomentate, hanno tutti lo stesso obiettivo: darci un parere motivato, in scienza e coscienza, per migliorare la qualità della nostra vita. Magari col suggerimento di abbassare il volume del terrore scatenato da giornali e tv. In attesa di un vaccino contro un virus micidiale capace di contagiare tutti: la paura. Stefano Salone