L'UNIVERSITÀ È ANCELLA DEL MERCATO O DEVE PRODURRE ISTRUZIONE? - TERAPIE D'URTO PER L’UNIVERSITÀ - PIU QUALITÀ. PER LAUREARCI IN EUROPA - LA RIFORMA INFELICE - RISORSE (MA NON SOLO) PER LA RICERCA - UNIVERSITA: ORA DATE I VOTI A CHI INSEGNA - NIENTE STOP ALL'1+4 - DULBECCO: BASTA CON I BARONI, LARGO A CHI MERITA - UNIVERSITÀ, I «BARONI» TENGONO ANCORA IL FEUDO - LE LAUREE (TROPPO) FACILI FINISCONO SOTTO ESAME - ROLAND BERGER ITALIA CHIAMA LE UNIVERSITÀ - RICERCATORI, REDDITO E SALARIO - SASSARI: IL QUARTO TRONO DEL RETTORE MAIDA - SASSARI: ASPIRANTI DOTTORI MA SCARSI IN CHIMICA - SASSARI: LA MORTE ANNUNCIATA DELLE LAUREE BREVI - I RISCHI DEL TELEFONINO BLUETOOTH - LAUREE BREVI? SI TROVA LAVORO PRIMA - QUEI MEDICI CHE FECERO LA COSTITUZIONE - ======================================================= LE TRE POLITICHE PER RECUPERARE RISORSE DALLA SANITÀ - BORGONOVI: PIÙ AUTONOMIA NELLE ASL MA VERIFICA DEI RISULTATI - L'ITALIA ESPORTA LA RICERCA GENETICA - TECNOLOGIA "MADE IN CNR" IN MOSTRA AL SANIT - OGNI ANNO AMPUTANO 8.500 ITALIANI: LI SALVERÒ COL LASER FREDDO DI REAGAN - A SCUOLA DI CULTURA DEI TRAPIANTI - PROGENIA, LA RICERCA. SULLA LUNGA VITA. - BASTA DEPUTATI COME DIRETTORI DELLE ASL - NURSIND: «LA ASL1 RISPARMIA SULLA NOSTRA PELLE - IL VETERINARIO ASL3 VA ANCHE A DOMICILIO - L’ASL N.5 È LA CENERENTOLA DELLA SANITÀ - GESSA: FINALMENTE UNA VERA RIFORMA DELLA SANITÀ - IL DOLORE È UNA MALATTIA: CAGLIARI IN CONTROTENDENZA - LA MEDICINA DIVENTA TECNOLOGICA - LE CARIE SI CURANO CON LO SPRAY - SASSARI: AUTISMO INFANTILE E TERAPIE FAMILIARI - IL BAMBINO AUTISTICO DEVE ESSERE UN AMICO SPECIALE - IL LETTINO DELLO PSICANALISTA È MORTO - HARVARD CREERÀ EMBRIONI UMANI - LINFOCITI T "ASOCIALI" CON L'HIV - CHE ASSURDITÀ LE STAMINALI ALTERNATIVE - UN UNICO RESPIRO E LE PARTICELLE «NANO» CI INVADERANNO - ======================================================= _____________________________________________________ Liberazione 6 giu. ’06 L'UNIVERSITÀ È ANCELLA DEL MERCATO O DEVE PRODURRE ISTRUZIONE? Da più parti si dice: paghino gli studenti. Ecco, invece, come risolvere i mali dei nostri atenei diversificando le tasse e garantendo benefici individuali e sociali Alla schiera dei devoti teologi del mercato che predicano ai ministri dell'università soluzioni miracolistiche per l'università italiana, si è aggiunta una nuova recluta. E' il prof. Luigi Zingales, docente di finanza presso la scuola di "amministrazione degli affari" dell'Università di Chicago il quale, dalle pagine de Il Sole 24 Ore, ha recentemente invocato la solita miracolistica soluzione di tutti i mali dell'università italiana: paghino gli studenti, di tasca propria, il costo dell'istruzione universitaria (circa 15.000 euro l'anno), fermo restando il diritto degli studenti "indigenti" ad un prestito (da restituire con i futuri guadagni) da parte dello Stato. Allora, miracolosamente, le scelte degli studenti premierebbero le università e le facoltà che assumono i migliori docenti, dove si svolge la migliore ri cerca scientifica che, per miracolosa coincidenza, sarebbe anche quella più utile all'economia del Paese, dove, per altra miracolosa coincidenza, o per intervento salvifico del Dio Mercato, l'insegnamento sarebbe al tempo stesso più attento alle esigenze degli studenti e di più alto livello scientifico e dove la laurea assicurerebbe, più velocemente, un impiego meglio remunerato. Forse non vale la pena di rispondere a questa proposta provocatoria, dal momento che il ministro dell'Università ed il presidente della conferenza dei Rettori hanno risposto in modo esauriente, il primo senza cadere nella trappola di escludere un intervento mirato sulle tasse universitarie, il secondo avanzando proposte concrete che non si riducono alla solita invocazione di un aumento dei fondi destinati alle università. L'intervento del prof. Zingales si presta però a chiarire le ipotesi o, per restare in ambito teologico; i dogmi sui quali si basano tutte queste devote invocazioni del Dio Mercato. Il primo dogma è che il valore dell'istruzione universitaria sia misurato dalle differenze tra i redditi dei laureati e dei non laureati. Questa ipotesi è radicata su un dogma più profondo, che ha natura assolutamente ideologica: si ritiene che il contributo alla società di uri attività lavorativa sia misurato dal reddito individuale che da quella attività proviene, il compenso di un maestro elementare misura il suo contributo alla nostra società, come lo misura il compenso di un intermediario finanziario o di un calciatore professionista. Non discuterò quest'ultima ipotesi troppo carica di contenuti ideologici, anche perché non è stata esplicitata dal prof. Zingales. Non c'è dubbio invece che Zingales giudichi negativamente l’istruzione universitaria italiana sulla base al fatto che le differenze di salario tra laureati e non laureati in Italia, non sono al livello di quelle degli Stati Uniti: i dati presentati da Zingales, che fanno riferimento al prodotto interno lordo dei due paesi, non sono precisi, ma la sua osservazione è corretta. Secondo ii rapporto dell'Ocse relativa al 2004, il laureato italiano in media guadagna sola il38% in più del diplomato, mentre la media Ocse è il 50%. . E' evidente però che queste differenze dipendono non solo da quanto guadagnano i laureati, ma anche da quanto guadagnano i diplomati. In Italia, almeno fino a qualche anno fa, molte professioni remunerative, come quella del contabile, del progettista edile o industriale, e quindi del dirigente d'azienda, erano accessibili ai diplomati degli istituti tecnici. Questi istituti hanno svolto, in Italia, la funzione svolta in molti paesi, compresi gli Stati Uniti, dalla cosiddetta "îstruzione terziaria cui fanno riferimento i dati dell'Ocse, e, presumibilmente, i dati imprecisi del prof. ,Zingales. Ad esempio, negli Stati Uniti, la professione che corrisponde a quella di ragioniere (Cpa o Certifr.ed Public Accoulatant) è riservata a chi ha uno specifico diploma d'istruzione terziaria. In questo paese nessuna scuola secondaria, ed anche ben pochi Community Colleges, offrono un'istruzione paragonabile a quella di un buon istituto tecnico italiano. Questo spiega anche i dati sorprendenti citati dal prof. Zingales in merito al numero dei laureati del Perù, che sarebbero il doppio di quelli italiani. Ha ragione il professore a lamentare la mediocre cultura statistica degli italiani. Un minimo di cultura statistica dovrebbe insegnare che un dato sorprendente è quasi sempre dovuto ad un errore di classificazione. Purtroppo, bisogna dire che la differenza tra reddito dei laureati e reddito dei diplomati in Italia sta aumentando perché è passata, in due anni, dal 27% in più (dato del 2002) al38% in più. Questo cambiamento, al contrario dì quanto si dedurrebbe dall'ipotesi Zingales, non significa affatto che sia migliorato il valore intrinseco degli studi universitari. E' invece probabilmente l'effetto di una progressiva licealizzazione degli studi secondari, ed anche di alcuni irrigidimenti del mercato del lavoro, che vanno nella direzione opposta a quella auspicabîle dai veri riformisti. Ad esempio, negli anni novanta, il Parlamento italiano ha approvata una legge che sbarra l'accesso alla professione di ragioniere a chi non abbia almeno tre anni di formazione universitaria. Si è trattato di un provvedimento che ha limitato fortemente il ricambio sociale. Altre corporazioni professionali come i geometri e i periti industriali si stanno adoperando per ottenere analoghi provvedimenti di legge. Recentemente solo le osservazioni della Corte dei Conti hanno bloccato un provvedimento che imponeva la laurea per la professione di giornalista, e per entrare nel collegio dei geometri e dei periti industriali Basterebbe quindi rafforzare in Italia il valore legale della laurea (è quello che vorrebbe il prof. Zingales?) per vedere aumentare la differenza tra reddito dei laureati e dei diplomati. Queste differenze, infatti, riflettono in gran parte irragionevoli barriere d'accesso al mercato del lavoro. Non si tratta solo di barriere legali, ma anche d'ostacoli sociali e di costume. Lo stesso lavoro, svolto in Italia, con uguale competenza, da un ragioniere e da un laureato dell'Università Commerciale Bocconi, può essere diversamente remunerato, semplicemente perché il laureato gode di maggiore "prestigio sociale un prestigio che può essere anche basato sull'appartenenza ad una famiglia in grado di pagare le tasse universitarie richieste dall'Università Bocconi. Le condizioni di "mercato perfetto" cui si ispirano i nostri teologi del Dio Mercato, che sono state osservate empiricamente, nell'ambito del mercato dei cereali di Chicago, sono ben lungi dall'essere verificate nel mercato del lavoro cosiddetto intellettuale, ma che spesso si risolve in funzioni "direttive" anche di scarso valore intellettuale. La funzione dell'università, in questo ambito, è stata spesso quella di selezionare la classe dirigente, più che di impartire una istruzione avanzata, nemmeno necessaria per svolgere il lavoro associato alle funzioni direttive. Così si spiega il fatto che per il lavoro di dirigente di azienda si richieda in Gran Bretagna una laurea umanistica, ed in Italia una laurea tecnica. 501o così si spiega il successo di istituzioni universitarie come i "Liberal Arts Colleges" negli Stati Uniti, che, prevalentemente, vendono, a caro prezzo, a studenti ricchi la frequentazione di altri studenti ricchi. Questo tipo di tradizione universitaria è meno forte nell'Europa Continentale e nelle grandi università statali americane, ma si sta sviluppando in Italia attraverso istituzioni come la Bocconi, la Luiss e l'Università di Castellanza, per non parlare delle sedicenti università affiliate a qualche oscuro "college" americano, che operano a Roma e che raccolgono i rampolli non troppo intelligenti dell'aristocrazia nera, fornendo loro un accesso alle scuole di "amministrazione degli affari" americane. L’ipotesi di misurare il valore dell'istruzione universitaria sulla base delle differenze di reddito diventa poi priva di senso se deve ispirare una politica dell'istruzione universitaria negli ambiti in cui è la stessa società ad essere il principale o addirittura l’unico "compratore" del laureato. La società è quasi l'unico "compratore" dell'opera degli insegnanti, e degli scienziati (matematici, fisici, chimici, biologi, ingegneri di alto livello). Per questi soggetti, tra l'altro, è necessaria una vera istruzione avanzata, da parte di docenti impegnati nella ricerca, e quindi più costosa della cultura all'acqua di rosa sufficiente, assieme alle buone frequentazioni, per selezionare i "dirigenti" Dovremmo far pagare ai futuri insegnanti e scienziati il costo della loro formazione? Sul piano pratico è assai meno oneroso per lo Stato finanziare l'istruzione universitaria di questi soggetti piuttosto che aumentarne il salario in modo da rendere i loro compensi competitivi con quelli degli intermediari finanziari. Non diversamente si comporta oggi la Chiesa Cattolica nei riguardi dei seminaristi, cui non è chiesto di pagare i costi dell'istruzione necessaria per divenire sacerdoti. Questi ultimi hanno compensi molto modesti, non superiori certo a quelli di un sacrestano. Un tempo invece l'istruzione nel seminari era pagata cara ed in cambio chi diventava prete poteva godere di "benefici" -non indifferenti. Questo ci porta, infine, ad indicare una possibile politica di diversificazione delle tasse universitarie che può riflettere i diversi benefici individuali e sociali associati all'istruzione universitaria. Poiché la formazione nella "amministrazione degli affari" ha come scopo principale quella di arricchire il futuro laureato, è giusto che questo tipo d'istruzione sia interamente pagato dagli studenti, con un intervento pubblico che dovrebbe limitarsi a prestiti agli "indigenti" meritevoli. Sul lato opposto la formazione degli insegnanti dovrebbe essere interamente finanziata dallo Stato, e, infatti, dovrebbero essere previste borse di studio in grado di attirare i migliori studenti alla professione d'insegnante. Soluzioni intermedie dovrebbero essere trovate per altre discipline. Questo schema potrebbe soddisfare anche i nostri teologi del mercato. Il loro Dio regnerebbe incontrastato nel mondo universitario che meglio conoscono e forse cesserebbero di parlare a vanvera di quello che non conoscono. Sui lato opposto, l'istruzione degli insegnanti dovrebbe essere interamente finanziata dallo stato e dovrebbero essere previste borse di studio in grado di attirare i migliori alla professione d'insegnante. Soluzioni intermedie potrebbero essere travate per altre discipline. Poiché la formazione nella l'amministrazione degli affari" ha come scopo principale quella di arricchire il futuro laureato, è giusto che essa sia interamente a carico dello studente, con un intervento pubblico che dovrebbe limitarsi a prestiti agii "indigenti" meritevoli. Questo schema soddisferebbe anche i nostri teologi del mercato. Il loro dio regnerebbe incontrastato nel mondo universitario che meglio conoscono e forse cesserebbero di parlare a vanvera di quello che non conoscono di Alessandro Figà Tafamanca _____________________________________________________ L’Unità 6 giu. ’06 TERAPIE D'URTO PER L’UNIVERSITÀ GIUNIO LUZZATTO Come per molti altri settori, anche per l'Università il nuovo governo dovrà muoversi su due piani. Da un lato occorre affrontare immediatamente alcune scadenze urgenti, determinate in parte dai guasti provocati da chi lo ha preceduto, e su ciò si devono ottenere risultati concreti in tempi brevi; d'altro lato, occorre avviare azioni di ampio respiro, per modificare sia situazioni negative consolidate nel tempo, sia recenti deviazioni pericolose. Una scelta di metodo deve però accomunare gli interventi di pronto soccorso e quelli destinati a curare malattie croniche: la terapia deve essere preceduta da una diagnosi, e questa deve partire da un attento esame dei dati risultanti da analisi di laboratorio. La metafora clinica può apparire lapalissiana, ma quando si tratta dei mali dell'università la procedura è spesso diversa: sparare affermazioni in parte false, in toto non documentate, dalle pagine culturali di un quotidiano a grande diffusione (ogni riferimento a Pietro Citati, 23 maggio su La Repubblica, non è casuale). Quale esempio importante di dati disponibili può essere citata l'analisi sui 175.906 laureati 2005 delle 38 Università che aderiscono al Consorzio ALmaLaurea; si tratta del 60% circa del totale dei laureati italiani. L'analisi (www.almalaurea.it/universita/profilo) è stata presentata e discussa, pochi giorni fa, in un Convegno all'Università di Verona; l'attiva partecipazione al Convegno del neo-sottosegretario Nando Dalla Chiesa - alla sua prima uscita pubblica - va nella direzione, sopra auspicata, di un Governo che parta dalle analisi della realtà. Tra i molti dati presenti, l'attenzione va concentrata su quelli che si riferiscono al nuovo ordinamento universitario, con i titoli a due livelli (laurea; laurea specialistica). Oltre metà dei laureati è ormai «nuova», e per oltre la metà di questi la laurea è stata raggiunta «in corso», cioè senza ritardi rispetto al triennio previsto; quattro anni fa, cioè per i laureati 2001, la percentuale in corso era del 10, 2%. La frequenza alle lezioni è nettamente aumentata (in questo caso non si tratta di un dato misurato, bensì delle risposte a un questionario): la percentuale di chi dichiara di aver seguito più del 75% dei corsi passa dal 57,3 al 72%. Questi, e molti altri, elementi positivi non devono far trascurare talune indicazioni negative, né l'esigenza di approfondire le questioni sulle quali i dati mancano; ma, come ha detto a Verona Luciano Guerzoni, solo se si distinguono nettamente i diversi aspetti si possono individuare le cause di ciò che nella riforma didattica ha funzionato meno, e operare per rimuoverle. Per citare un solo esempio, in numerosi casi vi è stata ma frammentazione dagli insegnamenti: questa però dipende non dalla non-nativa nazionale sugli ordinamenti didattici (né, tanto meno, dal principio della doppia laurea, ormai adottata da tutta l'Europa con la parziale eccezione della sola Germania), bensì da una scarsa capacità, da parte degli organi di governo universitari, di imporsi rispetto alle pretese individualistiche di molti docenti. A riprova di ciò, in molti Corsi di studio - soprattutto di area scientifica - la parcellizzazione non vi è stata. Si pone perciò il problema di un efficace governo degli Atenei. Preoccupazioni, fondate, vi sono rispetto alla qualità della formazione. Ciò non riguarda il «3+2»: è ovvio che le competenze di un laureato di primo livello saranno più limitate - come per i «Bachelor» di tutto il mondo - rispetto a quelle dei precedenti laureati di corsi di fatto quinquennali (o più). Riguarda invece (oltre alla questione delle competenze all'ingresso) gli effetti perversi di meccanismi di finanziamento centrati su parametri solo quantitativi, e in termini ancora più generali di logiche per le quali occorre «tenere il cliente»: spinte lassiste a promuovere con troppa generosità sono iniziate ben prima della riforma. Bene ha fatto Paolo Prodi (l'Unità del 28 maggio) a richiamare l'attenzione su queste deviazioni mercantilistiche, manifestate anche dalla affannosa caccia, da parte degli Atenei, a convenzioni e commesse private; ma anche qui occorre non confondere le cause. La riforma didattica non c'entra nulla; c'entra la carenza nel finanziamento della ricerca di base, sicché il ricorso a fondi destinati a ricerche applicate diviene una priorità (mentre esso, se fosse solo un complemento, potrebbe essere utile per favorire il rapporto tra università e sistema territoriale e produttivo); c'entra l'assenza di un corretto sistema di valutazione delle università. Proprio l'istituzione di una Autorità indipendente a ciò preposta è, probabilmente, il principale snodo tra gli interventi urgenti e le soluzioni organiche: i primi non possono certo attendere i risultati dell'attività di tale istituzione, ma le seconde non possono essere validamente attuate senza la presenza di essa. I Ds hanno elaborato, al proposito, un preciso progetto, che va rapidamente portato a conclusione. Sulla questione specifica della valutazione della didattica, importanti sviluppi possono derivare anche dalle ricerche di gruppi di studiosi già operanti sul tema; negli stessi giorni dell'iniziativa ALmaLaurea, un Convegno della Facoltà di Scienze della Formazione di Torino ha presentato utili contributi. Un'ultima considerazione: guai se la divisione in due Ministeri impedisse di guardare unitariamente alle problematiche del sistema educativo, globalmente inteso. In via immediata, lo scioglimento del nodo formazione/reclutamento degli insegnanti è a cavallo tra Università e Istruzione. Nella prospettiva più generale, l'idea orinai centrale di apprendimento per tutto l'arco della vita non consente segmentazioni rigide tra i diversi livelli. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’06 PIU QUALITÀ. PER LAUREARCI IN EUROPA UNIVERSITÀ & RISORSE Il ministro Mussi vuole rilanciare gli istituti e la ricerca. Propositi lodevoli, purché si privilegi il merito e si riducano gli sprechi DI SALVATORE SETTIS Nel suo esordio come ministro dell'Università e della ricerca, Fabio Mussi ha dato segnali importanti. Sul Sole-24 Ore del 23 maggio, ha sottolineato energicamente che l'università vive dell'intreccio cruciale fra didattica e ricerca; parlando il 25 maggio agli studenti della Normale di Pisa, Mussi ha ricordato l'articolo 33 della Costituzione («L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»), ha sottolineato la funzione essenziale delle poche Scuole "d'eccellenza" come fattori trainanti dell'intero sistema universitario, ha assicurato il massimo impegno per garantire ai ricercatori più giovani una prospettiva non precaria, ha indicato nell'inchiesta sui problemi e nell'incontro con chi vive e lavora nell'università il suo metodo di approccio. Negli ultimi giorni a Bruxelles, ha lanciato un segnale forte in favore della libertà della ricerca (in particolare sulle staminali), ma soprattutto ha capovolto il colpevole disimpegno del precedente governo, garantendo il pieno appoggio dell'Italia alla strategia europea della ricerca («L'Italia torna in Europa», ha commentato un funzionario dell'Ue). Crescita degli investimenti pubblici in direzione del 3% del Pil prescritto dall'agenda di Lisbona, crescita della formazione per qualità e per prospettive di occupazione, sintonia con gli indirizzi dell'Unione europea sono dunque i cardini di un "progetto Mussi" per l'università e la ricerca che prenderà presto forma. Con queste premesse, non c'è dubbio che il ministro appoggerà l’orientamento del Consiglio europeo delle ricerche, di destinare ai giovani un terzo delle risorse future. Ma il compito del ministro Mussi non sarà facile. Assai complesso sarà cercare nuove risorse per ridare vitalità al sistema, e più complesso ancora porre rimedio ad alcuni evidenti sprechi di risorse pubbliche (a cominciare dalle prebende clientelari ad alcuni neo-atenei privati senza alcun merito o "record" scientifico) ed evitarne di nuovi. Né sarà agevole districarsi nella selva dei "dati" (veri e finti) e delle loro interpretazioni. Per fare un esempio, è vero che la percentuale dei laureati italiani è più bassa che in altri Paesi, a cominciare dagli Usa; ma questo dato non s'intende se non con un correttivo cruciale: i quattro quinti delle 3.800 "università" americane offrono livelli formativi inferiori a quelli di un buon liceo italiano. Insomma, la retorica facilona dei numeri va battuta: ci sono le quantità, ma c'è anche la qualità, anche se più difficile da misurare. Nuove risorse per questo (e ogni altro) settore si potrebbero ottenere agendo oculatamente sull'evasione fiscale, notoriamente altissima in Italia; ma anche individuando opportune misure di una fiscalità di vantaggio che incoraggi i finanziamenti privati, non però solo di imprese bensì (com'è negli Usa) anche di singoli cittadini. Il rapporto difficile fra quantità e qualità dei risultati si può affrontare (ma la ricetta non è semplice) introducendo una valutazione imperniata, come in tutto il mondo, sugli accrediti della comunità scientifica internazionale. Più arduo sarà affrontare, e Mussi dovrà farlo prestissimo, le urgenze del suo ministero. Vorrà porsi in continuità o in discontinuità rispetto alla gestione Moratti? Domanda non banale: su temi assai critici come la riforma didattica o lo stato giuridico dei docenti, sarà assai importante distinguere gli atti necessari per la prescritta continuità dell'azione amministrativa dagli interventi di sistema, che potrebbero anche comportare significative inversioni di rotta. Ma proprio qui è il problema: da un lato, su molti punti, c'è stata fra la gestione Berlinguer-Zecchino e la gestione Moratti una sostanziale continuità, su altri fronti non è affatto detto che tornare all'era Berlinguer sia una buona idea. Perciò è più importante che mai guardare alla sostanza dei problemi, più che alle etichette che le varie norme portano. Qualche esempio: i cattivi risultati della riforma didattica sono dovuti, come ha scritto Paolo Prodi sull'«Unità» del 28 maggio, alla «sperimentazione iniziata dal ministro Berlinguer e perversamente sviluppata dal governo di centro-destra». Se «tre più due uguale zero» (come titola un recente libro Garzanti), è soprattutto per il malinteso di fondo del «processo di Bologna», che ha imposto in Europa un unico schema formativo senza valutare le varie tradizioni nazionali (fra cui quella italiana è la più antica) e i vantaggi di un sistema europeo di ragionate diversità. Alle mille storture di quella riforma (dovute anche alla fretta irragionevole con cui fu realizzata) si dovrà porre rimedio: ma valutando nel merito, punto per punto e senza pregiudiziali ideologiche. Anche l'indegno e squalificante mercato dei crediti, che consente ai dipendenti di enti convenzionati con le università di laurearsi evitando la maggior parte degli esami, nasce da norme firmate Berlinguer-Zecchino, anche se lo scandalo è esploso da poco, con un articolo di G.A. Stella sul «Corriere». Ma questa università da cui si transita con un gruzzolo di crediti, qualche tassa e qualche esame (secondario) non è più luogo di conoscenza e di formazione, ma si svilisce in luogo di scambio e mercanteggiamenti. Le norme per l'accesso alla docenza sono un altro esempio. La legge Moratti, partita con ottime intenzioni, si è via via inquinata con mille codicilli e compromessi, privilegi e quote riservate, ma tornare allo status quo ante (e cioè a concorsi localistici) sarebbe un drammatico errore. Per garantire il necessario "turn over" alle nuove generazioni di studiosi, è necessario un sistema più garantito (anche mediante commissari di concorso di altri Paesi, come già avviene in tutta Europa salvo l'Italia) e non localistico; è indispensabile dare risalto ai meriti (se ci sono) di chi già lavora nell'università, ma senza cedere alla demagogia suicida di promozioni ope legis né alla creazione di una dannosa "terza fascia". È importante accorgersi (sarebbe ora) che il sistema di «settori scientifico-disciplinari» che presiede ai concorsi non serve se non a perpetuare la peggiore autoreferenzialità degli accademici, e che nessun Paese europeo ha nei propri ordinamenti nulla di simile. Il quadro di riferimento europeo è una buona bussola per ragionare su questi temi. II cuore dell'agenda di Lisbona non è nella percentuale del Pii da destinare alla ricerca, bensì nel proposito di fare dell'Europa «nel 2010 un'economia fondata sulla conoscenza, che sia la più competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita sostenibile, con occupazione più vasta e di più alta qualità e una coesione sociale accresciuta». Per questo fine, è importante stare alle regole del gioco: e quando è in ballo la qualità della ricerca, la carriera dev'essere, come in tutto il mondo, "a collo di bottiglia", senza premiare l'anzianità a scapito del merito, senza penalizzare i migliori e i più giovani, cioè il futuro del Paese, senza incrementare l'emigrazione dei più bravi verso altri lidi. Solo l'applicazione rigorosa di criteri di qualità può mettere l'Italia al passo con l'Europa. Ogni Paese ha l'università che si merita. Il ministro Fabio Mussi, col suo eccellente curriculum di normalista, ha tutti i numeri per studiare a fondo i problemi in questa fase di esplorazione e d'inchiesta. Quando passerà all'azione, auguriamo a lui e al Paese che sappia guardare al cuore dei problemi piuttosto che al gioco delle corporazioni accademiche o alle rivalse dei nostalgici di Berlinguer. La nostra università ha bisogno di guardare avanti, e non nello specchietto retrovisore: la posta in gioco è il ruolo dell'Italia (di protagonista o di gregario) in Europa e nel mondo. _____________________________________________________ La Repubblica 6 giu. ’06 LA RIFORMA INFELICE CARLO BRAMBILLA Milano Degrado universitario, cattedre insensate, ricerca umiliata, drammatico impoverimento culturale degli studenti chiamati ad essere la futura élite del Paese... Ma non solo». Nel dibattito sulla crisi profonda degli atenei italiani, interviene, da un'isola felice della didattica, Giancarlo Lombardi, ex ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Dini, presidente del Collegio di Milano, gioiello dell'eccellenza universitaria, creato su modello dei più prestigiosi college anglosassoni e delle grandes écoles francesi, grazie all'impegno di un gruppo di imprese e dell'ente locale. Campus riservato a cento studenti, tra i più bravi dei sette atenei milanesi, che hanno la fortuna di studiare, dormire, mangiare, frequentare la biblioteca e i laboratori, passeggiare nell'immenso giardino che circonda la palazzina razionale, a forma di fisarmonica, disegnata negli anni Settanta, alla periferia sud della città, da Marco Zanuso. «Accanto ai tanti aspetti negativi della nostra università, non dobbiamo dimenticare quello che resta di buono - ricorda Lombardi. - Ci sono anche studenti che quando vanno all'estero, magari dopo essersi laureati, ottengono risultati notevoli negli altri atenei. Se io oggi dovessi giudicare gli studenti universitari italiani dal mio punto di vista, dal Collegio di Milano, per esempio, non potrei che essere molto soddisfatto». Certo l'osservatorio di Lombardi è di quelli privilegiati. Ma l'esperimento milanese è una stimolante provocazione. Contiene tutto quello che manca nell'università italiana di massa. L'orgoglio di appartenenza, il rigore, la serietà dei contenuti, l’interdisciplinarità, la vita in comune, condivisa nella quotidianità. Lombardi lancia una critica forte ai ministri che si sono succeduti negli ultimi anni, da Berlinguer alla Moratti: «La loro attenzione si è concentrata, focalizzata, esaurita nel gusto delle riforme di ingegneria scolastica. Il tre più due o i quattro più uno. Ma quello che conta sono i contenuti, la vita dell'università, non le formulette. Si è voluto eliminare la "mortalità universitaria", l'abbandono cioè degli studi prima della laurea. Ma il problema non è promuovere più persone possibile. Il problema è sapere se riesci a dare una formazione migliore, per la quale meritare di essere promossi. Come si sono eliminati gli studenti fuori corso? Facendoli passare tutti. Che idea... Se vogliamo eliminare anche gli ultimi che si perdono per strada potremmo fare lauree di appena due anni. Alla fine avremmo tutti laureati. E tutti asini». Un segnale positivo arriva, secondo Lombardi, dalla decisione del Governo Prodi di staccare il ministero della Pubblica Istruzione da quello dell'Università e della Ricerca. «L'unificazione dei due ministeri aveva sacrificato la ricerca, senza la quale l'università non può esistere. Il nuovo Governo non deve per forza cancellare tutto quello che è stato deciso dal precedente. Però ci sono delle correzioni che credo debbano essere fatte. Bisogna, per esempio, che il coordinamento del tre più due venga rivisto. I due anni di laurea specialistica, che seguono i primi tre, devono essere un completamento. Un percorso in serie. Nei due anni specialistici non si devono riprendere gli argomenti già studiati nel triennio». Lombardi mette sotto accusa i professori universitari, che troppo spesso si comportano come «una casta che difende solo sé stessa». «Penso al proliferare di tante nuove inutili lauree. Create solo per fare posto ai professori. Cattedre insensate. Eccessivamente specifiche. Che senso ha laurearsi, che ne so, in "Diritto della tribù africana degli Yoruba"?». Per rilanciare l'Università la sfida è far proliferare nel Paese lo spirito di esperienze come quella del Collegio di Milano. «La possibilità di stare insieme. Di condividere le esperienze. Di avere formazioni trasversali, nel momento in cui l'università accentua, invece, la specificità». Integrare i diversi saperi. Ingegneri disposti a studiare anche Filosofia. Umanisti interessati anche alla Fisica moderna. E a quello che accade intorno a loro, nella società. «Abbiamo appena terminato un corso importante sull'Africa, nel quale abbiamo esaminato tutti i punti di vista. Economici, culturali, artistici. Per capire le prospettive di un continente». Mentre il prossimo 6 giugno, alla Statale di Milano, in via Festa del Perdono, gli studenti del Collegio di Milano presenteranno un evento organizzato da loro una giornata di "Intervista all'Africa", che si concluderà alla sera, in aula magna, con un grande concerto. Presenti Lucio Dalla e Roberto Vecchioni. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 8 giu. ’06 RISORSE (MA NON SOLO) PER LA RICERCA UNIVERSITÀ / POLITICHE COMPETITIVE Finanziamenti legati alla qualità Di LUIGI GUISO E coralmente accettato che l'università italiana è allo stremo. AL di là di sporadiche voci a difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti - a cominciare dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi - concordano sul decadimento della nostra accademia. Nelle graduatorie internazionali non vi è traccia delle università italiane: scomparse. Non ve n'è alcuna tra le principali dieci al mondo, ma neanche tra le principali dieci in Europa (sette inglesi, due francesi e una svizzera). Se si consulta la classifica di Webometrics oppure quella del Times degli atenei del mondo, dopo innumerevoli bandiere a stelle a strisce, diverse bandiere di Sua Maestà britannica, qualche tricolore francese e un certo numero di bandiere tedesche, si scorge una bandierina verde bianca e rossa al l53° posto. Tiriamo un sospiro di sollievo? Sì, ma solo per poco: è quella dell'Università Nacional Autonoma De Mexico! La prima università italiana appare al 194° posto, è Bologna. Quella che nel XIII e XIV secolo era la miglior accademia al mondo e attraeva studenti da tutta Europa è oggi ridotta al rango di università di provincia. Alcuni anni fa, durante una visita all'università felsinea mi fu riferito che l'allora rettore stimava il distacco del suo ateneo dalla frontiera della ricerca accademica in 30-50 anni. Ovvero la ricerca che oggi produce in media la miglior università italiana è del livello di quella che Harvard - la frontiera odierna - produceva tra il 1950 e il 1970. E come se la Fiat nel 2006 fosse solo in grado di progettare e immettere nel mercato l’850 color caffelatte senza marmitta catalitica o, al meglio, la Fiat 127: gloriose (forse) allora, invendibili oggi. Ma le auto caffelatte sono finite fuori mercato, i professori no. Non c'è mercato che li minacci, non c'è concorrenza che li disciplini. Anzi, controllando gli accessi sono anche in grado di eliminare pericolosi concorrenti, ovvero i ricercatori più bravi, come Roberto Perotti ha tante volte documentato. Capire le cause del collasso può essere istruttivo e molti lo hanno fatto. Ma più importante è dire come rimediare. Un bel rompicapo anche per un ministro di buona volontà e di talento come l'onorevole Mussi. In un articolo sul Sole-24 Ore del 20 maggio Luigi Zingales ha proposto di risolvere il problema nell'unico modo possibile: iniettando dosi di concorrenza. La proposta di Zingales ha l'intento di fornire gli incentivi giusti per accrescere ciò che più manca nelle nostre università: la qualità. Se gli studenti pagano (usando il prestito statale), hanno incentivo a pretendere; poiché il valore legale è abolito ciò che conta è la reputazione dell'università e quindi la sua qualità. Studenti di miglior talento sono interessati a scegliere le università migliori e le università hanno incentivo ad attrarli. Per poterlo fare devono migliorare la qualità, quindi assumere docenti di calibro - anziché amici, parenti e portaborse - e fornire incentivi giusti a quelli esistenti. L'autonomia contabile e organizzativa è il corollario di questa logica: per poter sviluppare la loro politica ciascuna università deve avere libertà di manovra. Chi abusa di questa libertà ne pagherà le conseguenze perché attrarrà meno studenti e di minor qualità e quindi meno soldi. Il meccanismo è impeccabile. È anche implementabile? Sì, se si volesse, ma al ministro Mussi non piace. L'obiezione del ministro è che quel meccanismo porterebbe rapidamente alla nascita dell’Università dei predestinati (si veda «Il Sole-24 Ore» del 23 maggio). Ma non è già così, signor ministro? Non abbiamo già un'università di predestinati, siano essi i professori iperprotetti o gli studenti destinati al lavoro con titoli di studio senza un mercato? Se la proposta Zingales è ai suoi occhi troppo rivoluzionaria, le propongo un'alternativa meno dirompente ma ugualmente efficace: passi all'attuazione del sistema di valutazione della ricerca condotta lo scorso anno in via sperimentale - il cosiddetto Civr - e condizioni una quota significativa, ad esempio un terzo, dei trasferimenti dello Stato alle università alla qualità della ricerca che vi si produce. Le università che producono più ricerca di elevato calibro - e solo quella - ottengono più fondi di quelle che ne producono di meno; poiché la ricerca di qualità è fatta da ricercatori di talento, gli atenei competeranno per attrarre i migliori. I ricercatori di talento hanno un interesse prioritario a mantenere e accrescere il loro "capitale umano" e sanno che uno dei modi per farlo è attrarre altri ricercatori di elevata qualità con cui interagire e lavorare. In modo del tutto naturale useranno il merito, e si batteranno perché tutti 1o facciano, come unico criterio di selezione dei professori, avviando il processo di ripresa delle università. Come vede la ricetta è semplice: una regola ferrea di allocazione dei fondi ai migliori; libertà di decisione alle università. Non c'è bisogno di grandi riforme, i cui beneficiari finora sono stati soprattutto i loro estensori. Una ricetta semplice: impiegare il merito come criterio per la selezione del personale docente _____________________________________________________ Il Sole24Ore 8 giu. ’06 UNIVERSITA: ORA DATE I VOTI A CHI INSEGNA DI GIACOMO VACIAGO Il ricorso alla valutazione "ordinale" (primo, secondo ...ultimo) è molto raro in Italia. Soprattutto per quanto riguarda il sistema di istruzione, dalle elementari all'Università. Invece è assolutamente normale nel mondo anglosassone, soprattutto con riferimento alla qualità della formazione del capitale umano. Per questo Mario Draghi ne ha fatto un elemento cardine delle sue prime Considerazioni finali. Draghi ha avuto l'accortezza di non indicare come modello gli Usa, ma Svezia e Finlandia, oltre al Regno Unito. Tutti Paesi che attribuiscono grande importanza alla giustizia sociale e alla solidarietà. Ma sono allo stesso tempo esempi cui guardare per l'eccellenza dell'educazione. Di recente anche Francia e Germania hanno varato progetti ambiziosi che vanno nella stessa direzione. II nostro governo è dunque avvisato e in futuro non potrà più dire che non se ne era accorto o che altre erano le priorità. L'attuale sistema italiano, è ancora Draghi a ricordarcelo, privilegia i figli delle famiglie benestanti e sarebbe quindi grave per un governo di sinistra continuare a tollerarlo. Mentre premiare il merito di studenti, docenti e istituti ridurrebbe il divario nei punti di partenza tra gli studenti e accentuerebbe la mobilità sociale; esattamente il contrario di quello che pensa il neoministro dell'Università Fabio Mussi {si veda «II Sole-24 Ore» del 23 maggio}. I media ci hanno abituati alle "pagelle" che di solito ci collocano nelle posizioni più basse -di tutte le possibili graduatorie internazionali: dalla qualità delle scuole al rispetto della legalità; dal costo dell'energia ai tempi della burocrazia. Ma la reazione politica che ciò suscita è un mix di fastidio e noncuranza: a cosa servono quelle pagelle? Chi le compila ci conosce davvero? Questa stizza rivela un problema di fondo che risulta ogni giorno più grave: è inutile riempirsi la bocca di eguaglianza e meritocrazia se non abbiamo anzitutto una consolidata cultura della valutazione, all'interno del Paese prima ancora che nel confronto con gli altri Paesi. In molti casi non abbiamo neppure gli strumenti per poter valutare. Fa bene Gian Felice Rocca, nella bella intervista sui temi educativi (di cui è responsabile per Confindustria) sul Sole-24 Ore di ieri, a proporre che in Italia si torni ad avere una scuola seria, dove cioè la qualità è premiata e quindi anzitutto misurata, Tony Blair, nel suo primo mandato, chiuse 42 scuole medie perché scadenti. Come avrebbe potuto farlo se l’esame finale degli studenti non fosse stato unico, scritto e con i compiti corretti a livello nazionale? 501o se gli esami agli studenti sono seri ne deriva anche la corretta valutazione dei loro docenti. Quanti sono d'accordo nell'introdurre finalmente un sistema di voti ordinali da applicare a tutta l'organizzazione scolastica? Il paradosso, vista la nostra condizione, è che in Italia queste cose non sono al centro del dibattito mentre si discute del valore legale dei titoli di studio (mantenerlo diventerebbe indifferente una volta che sia scritto sopra come si classifica l'istituto che l'ha rilasciato) o della necessità di sviluppare la formazione professionale piuttosto che quanti e quali licei. Prevale in altre parole il momento ideologico-politico su quello funzionale e di merito. E il nostro divario con il resto del mondo continua ad ampliarsi. Cercando di essere concreti, esemplifichiamo un persorso di valutazione di un'istituzione universitaria. Dovremmo anzitutto identificare un modello di riferimento e le pratiche migliori da emulare. Se il nuovo ministro vorrà fare una pur rapida visita ai migliori atenei del mondo, scoprirà le ovvie caratteristiche che le accomunano: - gli studenti vi vivono e lavorano giorno e notte, 365 giorni l'anno: alla sera non vanno a casa dalla mamma; p di solito i docenti lavorano a tempo pieno e vengono da tutto il mondo (come gli studenti); - per tutti la valutazione è continua, dall'inizio e in ciascun anno, e nessuno può rimanere se non supera i test e gli esami alle scadenze previste. Naturalmente un'università così ben fatta è molto costosa e, infatti, al nostro ministro si porrà il problema di quante ce ne possiamo permettere. E poi dovrà decidere come e in quanti anni le realizziamo. Le difficoltà politiche di un progetto così ambizioso non sono da sottovalutare. Però è l'unica cosa da fare. Il resto sono chiacchiere. Discutere in modo ideologico se preferiamo l'intervento pubblico o quello privato, se vogliamo lo Stato o il mercato, se i, pezzi di carta dati dalle università devono essere tutti uguali o di colori diversi riempie benissimo i talk show televisivi, ma non cambia né migliora il Paese. GIACOMO VACIAGO _____________________________________________________ Italia Oggi 8 giu. ’06 NIENTE STOP ALL'1+4 Il ministro dell'università Mussi non sospenderà il decreto Cortfernmto il nuovo ciclo di laurea DI SIMONA ANDItEAZZA Nessuna inversione di marcia 1 N sul nuovo corso di laurea magistrale in giurisprudenza: Il nuovo percorso di laurea 1+4 a ciclo unico, voluto dal ex ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Letizia Moratti, infatti, nonostante il passaggio di consegne dal governo Berlusconi a quello Prodi, entrerà in vigore a partire da settembre così come previsto dal decretò ministeriale di attuazione approvato nell'agosto scorso. Una vera e propria eccezione rispetto alla sorte dei decreti relativi alle classi di laurea che prevedevano l'introduzione del percorso a Y (1+2+2) al posto del 3 + 2, visto che il neo istituito ministro , dell'Università Fabio Mussi appena insediato si é affrettato a sospenderli tutti. La riforma universitaria messa in atto dalla Moratti, infatti, è da sempre poco gradita al governo di centro sinistra in quanto favorisce la proliferazione di corsi triennali e penalizza chi decide di smettere di studiare prima dei cinque anni: La scelta di voler mantenere almeno per il momento il percorso a ciclo unico in giurisprudenza, quindi, non è certo dettata da una condivisione della riforma ma più che altro da ragioni di opportunità. Il corso di laurea magistrale in giurisprudenza, infatti, è l'unico a essere stato approvato in via definitiva- dal precedente ministero e a questo punto non può più essere ritirato ma al limite modificato. «Ormai il provvedimento è legge dello stato. Questo non vuol dire che anche per il corso di laurea in giurisprudenza non valgano le stesse preoccupazioni che abbiamo espresso anche per gli altri percorsi di studio», ha dichiarato a ItttliaDggi Luciano Modica, neo istituito sottosegretario al 1Vliur è già presidente della- Conferenza dei rettori delle università italiane, « II ciclo 1+4, infatti, restaura un percorso universitario rigido analogo a quello in vigore prima dell'introduzione del 3+2:vanificando così il principale obiettivo della- riforma Berlinguer Zecchino che era quello di garantire una maggior flessibilità del percorso universitario». Ad avviso del sottosegretario, infatti; i modelli di laurea a ciclo unico tolgono la gradualità dell'impegno e quindi non si adattano alle esigenze di tutti gli studenti, favorendo così la fuga dalle università. Fenomeno che in Italia coinvolge il 70% degli iscritti. «Bisogna considerare che solo una minima percèntuale dei laureati in discipline giuridiche è destinata alle professioni lègali. Il percorso di laurea quinquennale così come è stato strutturato è troppo lungo è impegnativo e sminuisce i percorsi triennali creando lauree di serie A e di serie B», ha aggiunto Modica – Il 3+2, invece, che prevede tre anni uguali per tutti è due di specializzazione; invece, secondo Modica, garantisce l'articolazione dèll'iter di studi su due livelli. In ogni caso, sull'eventuale reintroduzione del percorso previsto dalla 'riforma Zecchino- Berlinguer non è ancora detta l'ultima parola. Dal mondo universitario e forense, infatti, giungono proposte che il ministero deve ancora valutare, che vanno nel senso di affiancare accanto all'attuale percorso quinquennale a ciclo unico; un iter di studi alternativo che riprenda le caratteristiche del 3+2. Intanto, almeno per il momento e anche se a malincuore, gli atenei da settembre dovranno mettere in soffitta il vecchio corso di laurea e sostituirlo con il nuovo cielo quinquennale. Quest'ultimo prevede un primo anno di studi uguale per tutti alla fine del quale lo studente dovrà decidere se optare per altri due anni di studi oppure per altri quattro. Nel primo caso egli potrà accedere alle carriere direttive dell'impiego pubblico e privato oppure diventare giurista d'impresa o consulente del lavoro nel secondo, invece, avrà accesso alle professioni di notaio, magistrato e avvocato. _____________________________________________________ L’Unità 5 giu. ’06 LE LAUREE (TROPPO) FACILI FINISCONO SOTTO ESAME II ministro dell'Università Mussi vuole rivedere le convenzioni tra atenei e pubbliche amministrazioni Nel mirino i «supercrediti»: i dipendenti regionali siciliani ne hanno in dote 135 sui 180 necessari al diploma • di Roberto Monteforte /Roma BASTA CON LE LAUREE addomesticate. Sono da rivedere quelle convenzioni tra atenei e pubblica amministrazione che consentono una super valutazione dei crediti formativi degli studenti «dipendenti pubblici» grazie a quel riconoscimento, che la legge prevede, delle «conoscenze e abilità professionali certificate». Non possono pesare più degli esami da sostenere. Possono valere al massimo 60 crediti per una laurea triennale per cui ne servono 180. É questa l'indicazione fornita dal neo ministro dell'Università e della Ricerca, il «narmalista» Fabio Mussi con un «atto di indirizzo» inviato lo scorso 30 maggio a tutti gli atenei. Pare deciso a mettere ordine in quella che è oramai una vera e propria giungla. Il sistema della «convenzione» con gli enti pubblici ha finito per deresponsabilizzare gli atenei, in particolare quelli privati e di piccole dimensioni, che il ministero pur nel rispetto dell'«autonomia sulla valutazione delle singole esperienze», ha richiamato ad un reale accertamento «di reali periodi di fori-nazione pregressi, di apprendimento, conoscenze e abilità professionali». Sotto accusa sono per lo più le convenzioni stipulate tra atenei e studenti con le «stellette», militari o dipendenti del ministero degli Interni, ma ve ne sono pure per chi lavora negli enti locali e nelle Regioni, all'Aci e all'Inps ed anche giornalisti, ragionieri, commercialisti, giornalisti, ispettori del lavoro. Che si sia arrivati a situazioni paradossali con atenei come la libera università Konè di Enna dove sui 180 crediti necessari per conseguire la laurea breve, ne vengono «scontati» ben 135 ai dipendenti della regione Sicilia, o all'ateneo San Pio V di Roma dove un ispettore di polizia, sostenendo soli sette esami, può conseguire la laurea triennale, lo testimonia da ultimo la documentatissima inchiesta realizzata dalla trasmissione Reporf di Rai 3. Proprio sollecitato da questa inchiesta Mussi ha deciso di vederci chiaro. In una nota dello scorso 29 maggio, nella quale fa esplicito riferimento alla «circostanziata segnalazione della trasmissione televisiva "Report"» che - assicura - «sarà tenuta nella massima considerazione, come si deve a chi, sulla stampa, alla televisione o su altri media, si fa portavoce documentato dell'opinione pubblica», annuncia che si cambia registro. Il ministro «valuterà con estrema attenzione la situazione dei percorsi abbreviati per la laurea riservati a dipendenti di vari enti e amministrazioni pubbliche, tra cui alcuni ministeri, in base a convenzioni stipulate tra questi enti e alcune università pubbliche e private». L'operazione «bonifica» è delicata. «Questo tipo di convenzioni tra università ed enti - spiega la nota - ricadono nell'autonomia degli atenei, che il Ministro intende preservare e ampliare». Detto questo si conferma che da viale Kennedy «sarà esercitata, nelle forme dovute, tutta la vigilanza e la valutazione che spetta al Ministero, affinché il sistema universitario italiano continui a godere della fiducia e dell'apprezzamento degli studenti e dei cittadini». L'invito è a tornare allo spirito della riforma, snaturata dalla «liberalizzazione» introdotta dalla finanziaria 2002 che ha finito «col causare atteggiamenti lassisti da parte di alcune università». L'annuncio è chiaro: «saranno adottati gli atti opportuni per modificarla, restituendo serietà alla norma della riforma Berlinguer-Zecchino che stabiliva la possibilità di riconoscere come crediti universitari la competenza maturata da singole persone nel proprio lavoro, purché debitamente e regolarmente certificata». Così viene indicato anche il responsabile di questa situazione: la Moratti che con la finanziaria 2002 ha liberalizzato, eliminando qualsiasi tetto al riconoscimento dei crediti formativi che ha portato all'eccesso di una laurea triennale conseguita con appena sei o sette esami. L'operazione bonifica è partita. Che Mussi sulle «lauree facili» faccia sul serio lo conferma anche il ritiro in data 22 maggio del decreto di istituzione della libera università Ranieri, di Villa San Giovanni, in Calabria, fortissimamente voluta dal cantrodestra. Mancano i requisiti. Un atto di indirizzo per verificare le certificazioni e impedire che vengano applicati «sconti» sospetti _____________________________________________________ Il Sole24Ore 7 giu. ’06 DULBECCO: BASTA CON I BARONI, LARGO A CHI MERITA PAROLA DI NOBEL DI RENATO DULBECCO Da qualche mese mi sono trasferito, ormai definitivamente, negli Stati Uniti. A La Jolla, in California, a due passi da quel Salk Institute dove ho trascorso gran parte della naia vita professionale e dove hanno lavorato, tra gli altri, gli scienziati che hanno scoperto il Dna. James Watson e Francis Crick. Vivo negli Stati Uniti da tanti anni. Da quando, nel 1947 attraversai l’Oceano su una nave per trovare un posto dove poter svolgere al meglio le sue ricerche (sulla stessa nave viaggiava con me Rita Levi Montalcini), Osservo quindi da lontano le vicende della ricerca italiana. Vedo un Paese che ha pochi soldi da spendere e che non riesce ad indirizzare al meglio i fondi disponibili. Non so se il nuovo Governo riuscirà a trovare risorse aggiuntive. Ma se l'Italia non adotta sistemi di valutazione evoluti e trasparenti, se non abbandona "baronie" e clientelismi per lasciar spazio al merito, allora è destinata a rimanere indietro. molto indietro rispetto al resto del mondo sviluppato. Sarebbe davvero un peccato perché, almeno nel mio campo, quello della ricerca biomedica, le prospettive sono affascinanti. È impossibile fare previsioni ma è chiaro che., grazie alle nuove scoperte su1l’Rna, agli studi sulle cellule staminali e ai primi promettenti risultati della terapia genica ottenuti proprio da Telethon, nei prossimi anni si potranno raggiungere traguardi storici. E sono convinto che anche l'Italia potrebbe giocare un ruolo importante, visto che oggi le conoscenze sono alla portata di tutti. Merito soprattutto del sequenziamento del Dna, di quel Progetto Genoma che mi pregio di avere lanciato alla metà degli anni Ottanta. E’ stata un'importante occasione per tornare nel mio Paese. Dove sono stato "riconosciuto" come scienziato solo dopo aver ottenuto il Premio Nobel, nel 1975. E dove ho acquistato maggiore popolarità grazie alla partecipazione al Festival di Sanremo, nel 1999. Fu proprio in quell'occasione che lanciai un progetto per favorire il ritorno in Italia dei migliori giovani scienziati emigrati. Da quel progetto è nato il Dulbecco Telethon Institute, per il quale lavorano oggi 25 scienziati. Un altro motivo per cui, recentemente. ho fatto visita al mio Paese natale è proprio legato a Telethon. un'iniziativa verso la quale ho sempre avuto grande interesse e ammirazione. Fui contento di esser nominato presidente della sua commissione medico-scientifica, nei primi anni Novanta. Lo sono ancor più oggi, che dì quella commissione sono presidente onorario, guardando i risultati raggiunti. A qualche collega scienziato che storceva il naso, vedendomi ogni dicembre chiedere i soldi in tv, dico che ne è valsa la pena. Ben vengano le raccolte fondi televisive. se sono serie.. trasparenti ed efficienti come Telethon. Qualcuno sostiene che se lo Stato facesse il suo dovere non ci sarebbe bisogno di chiedere soldi ai cittadini. Ma gli sforzi della Fondazione Telethon sì concentrano su malattie Bisogna abbandonare ogni clientelismo nell'attribuzione dei fondi pubblici e adottare sistemi di valutazione evoluti e trasparenti genetiche rare e vanno a coprire una carenza che né lo Stato (non sola quello italiano) né le industrie farmaceutiche private riuscirebbero a colmare. Chi ha interesse a investire risorse ingenti per patologie che riguardano poche decine dì persone? La Fondazione Telethon può fai-lo, perché è un'organizzazione che raccoglie i suoi fondi dal pubblico e perciò risponde ai suoi donatori e non a interessi di profitto. Alcuni risultati ottenuti, come quelli della terapia genica messa a punto nell'Istituto Telethon dì Milano che ha curato nove bambini affetti da una grave immunodeficienza, sono veramente. straordinari. Ma alla base del successo di Telethon c'è una gestione trasparente dei fondi raccolti e soprattutto, un sistema molto evoluto di finanziamento della ricerca, Un processo, chiamato peer review. che prevede una prima valutazione dei progetti di ricerca da parte di tanti scienziati, sparsi in tutto il mondo. Centinaia di persone che offrono la propria consulenza a titolo gratuito perché sanno che un giorno potranno usufruire del medesimo servizio, quando presenteranno i propri progetti. E poi c'è una commissione scientifica composta da una trentina tra i più titolati scienziati del mondo (di cui solo un paio sono italiani). Basta questa per troncare sul nascere qualsiasi tentativo di raccomandazione e per finanziare solo, i ricercatori più bravi. É replicabile, un simile sistema, nelle Università e nei centri di ricerca pubblici italiani? Purtroppo non ne sono così convinto. Perché in Italia, dove non mancano scienziati di altissimo livello, è tutta l'organizzazione della ricerca che non funziona. Qualcosa, negli ultimi anni. sta cambiando. Ma per adottare modelli che qui negli Usa e in altri Paesi funzionano da sempre ci sarebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale. E non so se i governanti italiani avranno la forza di portarla a compimento. Quello che è certo, in un contesto simile, è che ci sarà sempre più bisogno di enti come Telethon. E di milioni di cittadini che li sostengono, _____________________________________________________ Avvenire 7 giu. ’06 UNIVERSITÀ, I «BARONI» TENGONO ANCORA IL FEUDO Di ALESSIA BiAsoTTo I mali dell'università italiana sono noti. Lunghi tempi per laurearsi, abbandoni, parcheggi prolungati, inefficienze di vario genere, per citarne solo alcuni. Un tema complesso, che da tempo e da molteplici punti di vista si va affrontando, nella consapevolezza che parlare di università significa parlare anche del futuro del Paese, della sua possibilità di sviluppo. Com'è cambiata l'università negli ultimi vent'anni e quanto la riforma introdotta nel 2001 è riuscita a sanare i suoi mali è la questione affrontata da Renato Stella, docente di Sociologia a Padova, in un libro che appena pubblicato si colloca a metà tra il saggio e il pamphlet (Lettera a una studentessa, Naova Dimensione, pp. 206, euro 14). Nell'analisi di chi lavora a contatto con docenti e studenti si evidenziano anzitutto i vecchi problemi. Come considerare l'università troppo spesso alla stregua di una signoria piuttosto che un'istituzione (pubblica nella maggior parte dei casi) che eroga servizi. Ed è per questa cattiva abitudine, in cui perseverano secondo l'autore tanto i docenti che gli studenti, che molti dei primi si preoccupano di carriere e presti io personale più di quanto non si occupino di attività didattica, ricerca e organizzazione dei corsi. «Un bravo professore - dice Stella - dovrebbe possedere al miglior grado tre capacità: essere un buon ricercatore, un abile insegnante e un capace organizzatore di laboratori, centri studi, riviste, biblioteche, corsi di laurea». Ma poiché «i professori teorici, come gli studenti, sono animali rari, non sarebbe per nulla male considerare buoni professori coloro che si distinguono in almeno due delle competenze descritte». Che cosa dire degli studenti che oggi s'iscrivono all'università? Perché gli atenei comincino a funzionare meglio s'impone anche per loro un’assunzione di responsabilità. E rivendicare il diritto a essere utenti e non sudditi o clienti della medesima comporta anzitutto l'essere attivi e informati. Una riforma che nonostante tutto viene valutata positivamente negli effetti, non significa che non si possa/ debba fare ancora molto. Fra le proposte concrete che Stella avanza vi è quella di migliorare il sistema di valutazione dei docenti, rendendolo davvero efficace. Il «mercato» con la sua logica del confronto e la definizione della qualità può banke un valido antidoto all'immobilismo degli atenei. Senza che questo comporti - secondo l'autore - aziendalizzare l'università. Con irriverente ironia si fa il ritratto di studenti e prof non proprio encomiabili nel trattatello finale - con i protagonisti dell'esplorazione classificati in una serie di tipologie. Tra le più frequenti vi è quella dello studente Mammo/Babbo-dipendente, che «non desidera opportunità di scelta ma ordini, direttive autorevoli, soluzioni prese al posto suo, le quali devono poi essere funzionanti e a misura delle sue necessità, come nelle relazioni tra genitori e figli». La tendenza a considerare la cattedra quasi come «signoria» più che servizio pubblico non è affatto morta tra i professori _____________________________________________________ Il Sole24Ore 6 giu. ’06 ROLAND BERGER ITALIA CHIAMA LE UNIVERSITÀ Parte oggi a Milano, «Talent recognition»,l’iniziativa messa a punto da Roland Berger, società di consulenza strategica che si propone di inserire 70 giovani nel proprio team italiano entro la fine dell'anno prossimo. «Il rilancio della nostra società - spiega Roberto Crapelli, a.d. di Roland Berger ltalia - parte dai talenti e dalla stretta collaborazione con università e business school». Tre i programmi messi a punto: la presentazione e la raccolta di curricula eccellenti dir`ettaanente_in ateneo, in occasione di giornate ad hoc o career day; una fitta rete di relazioni con gli uffici di outplacement delle università; laboratori ed eventi a tema presso la sede di Roland Berger a Milano, dove studenti selezionati potranno interagire con consulenti senior e testimonial esterni. «La selezione viene svolta tra candidati provenienti dalle migliori Università - spiega Crapelli - con votazioni eccellenti nelle facoltà di Economia e Ingegne ria, ma anche Matematica, Fisica, Lettere, Filosofia, Chimica e Biologia». I candidati selezionati vengono avviati a un percorso che inizia con uno stage di tre-sei mesi presso uno degli uffici europei di Roland Berger. Finito il tirocinio quasi tutti i giovani sono assunti come business analyst. «Per diventare consulenti di successo - osserva Crapelli - bisogna dimostrare capacità di analisi e di sintesi dei problemi che di volta in volta si presentano, insieme alla forte attitudine a saper gestire e superare le zone grigie, quelle più difficili da risolvere. Altro requisito indispensabile è la capacità di mettersi in relazione con clienti e altri interlocutori, senza subire soggezioni intellettuali o culturali». Una seconda porta di accesso a Roland Berger, oltre allo stage, è quella riservata a chi ha conseguito un IVlba: per questo la società ha un team intemazionale per lo scouting presso le business school. I prescelti entrano direttamente come consulenti. «Chi si candida a entrare in Roland Berger - conclude Crapelli - proviene anche da Paesi esteri: un talento, prima di tutto, ha un profilo internazionale con una naturale predisposizione a considerare l'Europa il nuovo mercato domestico». Chi volesse avanzare la propria candidatura può inviare il curriculum a: recruikng-italy@it.rolandberger.com. FRANCESCA BARBIERI _____________________________________________________ Il Manifesto 10 giu. ’06 RICERCATORI, REDDITO E SALARIO Esperienze di lotta che accomunano settori diversi: «cognitivi», manuali, impiegatizi Giusy Marcante Affollata presentazione quella di giovedì scorso a Vag61, Officina dei Media Indipendenti di Bologna, dell'ultimo numero della rivista Inchiesta dedicata ai ricercatori precari e al futuro dell'università. Un incontro collettivo che è servito anche a fare il punto sullo stato delle lotte dei ricercatori precari dopo le mobilitazioni dello scorso autunno con la grande manifestazione del 25 ottobre contro il ddl Moratti. Hanno preso la parola molti tra gli autori dell'ultima monografia della rivista diretta da Vittorio Capecchi. Torino, Milano, Bologna, Napoli, Pisa, Ferrara, Firenze sono alcuni dei nodi della rete dei ricercatori a confronto, tra gli altri, anche con Andrea Fumagalli. Con quest'ultimo e con Anna Carola Freschi, che è stata l’editor di questo numero della rivista, abbiamo dialogato attorno a un tema che negli ultimi tempi si sta affacciando nel dibattito tra i ricercatori precari. Il lavoro del ricercatore, lavoro cognitivo per eccellenza, va ascritto a quella dimensione di terziario immateriale, lavoro cognitivo, in cui il tempo di lavoro e il tempo di vita sostanzialmente coincidono? Secondo Fumagalli la remunerazione dev'essere quella di un «reddito di vita», per cui è necessario un nuovo Welfare. Un reddito indiretto che, secondo un ragionamento ospitato da questo giornale (Spedizioni esplorative sul sentiero della precarietà, il manifesto, 17 maggio) assicuri alcuni servizi di base ( mobilità, casa) per garantire diritti universali di cittadinanza. Secondo Fumagalli «non possiamo essere pasdaran di una sola posizione e dire che quello che conta è solo il lavoro o che quello che conta è solo il reddito» perchè «per quanto riguarda il lavoro cognitivo il reddito indiretto è centrale». A queste parole Anna Carola Freschi risponde in maniera dialettica, sgombrando subito il campo dal fatto che esista una posizione nella rete nazionale dei ricercatori precari su questi temi. «Siamo allo stato embrionale della riflessione perchè noi questo dibattito non abbiamo ancora avuto il tempo di farlo». La rete dei ricercatori dopo la mobilitazione dello scorso autunno, ha scelto di mantenere un profilo basso durante la campagna elettorale per non prestarsi a strumentalizzazioni. L'idea della Freschi è che però la richiesta del contratto a tempo indeterminato rimanga centrale. E cita l'esperienza fiorentina dove la separazione tra materiale e immateriale sfuma. Perché se è chiaro che a livello lo cale si fanno vertenze per migliorare la condizioni dei ricercatori cori contratti a tempo determinato, c'è un dato che non può passare inosservato. Anna Carola Freschi parla dell'esperienza fiorentina di confronto tra precari. Tra quelli dell'università e anche tra quelli della pubblica amministrazione, delle cooperative di appalto: chi accetta il lavoro instabile rappresenta una - percentuale minoritaria. Perchè il lavoro precario non è «nomade», soprattutto se pensiamo a quanto sia diffuso e strutturale nel pubblico: enti locali e università. Mancano totalmente le cifre del numero dei ricercatori precari nell'università italiana. Andando a spulciare i dati del Miur si può notare quanto negli anni si sia assottigliata la forbice del rapporto tra professori ordinari e ricercatori in ruolo a favore della massima proliferazione delle varie figure. Dibattito aperto, quindi, alla ricerca di una difficile sintesi e anche di cosa fare nel futuro prossimo venturo. Come rapportarsi con l'attuale governo e il ministro Mussi? Tra le idee già emerse e riaffrontate nel pomeriggio bolognese quella di un convegno cui invitare il neoministro mantenendo il tratto costitutivo dell'auto organizzazione di questa rete dei ricercatori che ne ha costituito la ricchezza e la capacità di relazionarsi ben oltre i propri confini, ma con tutti gli altri soggetti che attraversano il bacino della precarietà, dagli enti di ricerca ai sindacati. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 8 giu. ’06 SASSARI: IL QUARTO TRONO DEL RETTORE MAIDA Sassari. Il proclama appena eletto: «Il mio primo pensiero va agli studenti e alle loro richieste» Con 454 voti surclassa gli altri due candidati L’Università di Sassari incorona il Maida Quarto. Alessandro Maida è stato rieletto per la quarta volta consecutiva alla guida dell’Ateneo sassarese superando alle urne gli sfidanti Giovanni Lobrano, preside di Giurisprudenza, e Virgilio Agnetti, ordinario di Neurologia. Il Magnifico ha ottenuto 454 voti, contro i 116 di Lobrano e i 113 di Agnetti. Il trionfo è arrivato con un fragoroso applauso alle 19 e 57, quando la Commissione elettorale ha nominato il nome di Maida per la 395esima volta: maggioranza assoluta dei voti dei 788 aventi diritto. Alle urne sono andati 723 elettori, con un’affluenza del 92 per cento. Alessandro Maida è stato eletto conquistando il 62,8 per cento delle preferenze. Urne aperte per dieci ore, dalle 9 alle 19. Alle 19 e 1 minuto la commissione elettorale presieduta da Giovanni Micera, dà il via allo spoglio delle schede. L’aula magna dell’università è semivuota, e così rimarrà fino alla proclamazione del rettore che guiderà l’Ateneo nel triennio 2006-2009. Virgilio Agnetti è l’unico fra i tre candidati a seguire lo scrutinio dall’inizio alla fine. Seduto a centro aula appunta voto per voto su un taccuino che tiene sulle ginocchia. In un tourbillon di cifre, Maida prende subito il largo sugli avversari. Dopo dieci minuti ha già raggiunto quota 60 voti, con Lobrano fermo a 19 e Agnetti a 18. Alle 19 e 17 Maida tocca i 100 voti. Ancora quindici minuti di spoglio e il Magnifico uscente vola verso la riconferma con 200 preferenze. Una manciata di minuti dopo Giovanni Lobrano fa il suo ingresso nell’aula magna, proprio mentre dai microfoni dicono, «Maida, 245». Alle 20 e 15 lo scrutinio è finito. Alessandro Maida ha sbaragliato tutti e può restare per altri tre anni sulla poltrona più ambita dell’Ateneo. Prima però gli spetta il discorso di rito, per ringraziare gli elettori e lanciare messaggi per il futuro. Supera la coltre di baci e abbracci che lo sommerge come mette piede nell’aula magna, e conquista il microfono. «Vi rubo solo 2 minuti, anzi 6», inizia quasi timido. «Non vi nascondo che sono emozionato. Questo è uno dei risultati più gratificanti della mia vita». Quindi i proclami, anzi il proclama: «Il mio primo pensiero va agli studenti, continuerò nell’impegno per rispondere alle loro richieste». Applausi per il rettore che con largo anticipo, per spianarsi la strada verso il poker di mandati, aveva addirittura cambiato lo statuto dell’Università. Nel novembre 2005, approvando la modifica dell’articolo 76 dello statuto dell’Università di Sassari, il Senato gli aveva spalancato le porte verso il quarto mandato da rettore. Secondo la vecchia versione dello Statuto dell’Ateneo, una sua ricandidatura non sarebbe stata possibile. La delibera, partorita dopo una riunione estiva, aveva ottenuto prima il sì definitivo del Senato. Poi, dopo essere stato votato da ogni singolo Consiglio di Facoltà era passato indenne in Consiglio di amministrazione. In Senato aveva votato contro la modifica dell’articolo 76 solo il preside di Veterinaria, Sergio Coda. Si erano astenuti Lobrano e Francesco Morandi, preside di Economia. Vincenzo Garofalo _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 giu. ’06 SASSARI: ASPIRANTI DOTTORI MA SCARSI IN CHIMICA I test simulati per l’università Trecento studenti si sono cimentati nelle prove organizzate dal centro per l’Orientamento SASSARI. Prepararsi con metodo ai test e, soprattutto, ripassare la chimica. Sono i consigli dei docenti universitari alle migliaia di ragazzi che a settembre affronteranno i test di ammissione alle facoltà a numero programmato. L’esortazione arriva dopo le prove simulate alle quali si sono sottoposti, nei giorni scorsi, più di trecento studenti dell’ultimo anno delle superiori. Il test simulato è stato il momento più significativo di una iniziativa del Centro universitario per l’orientamento, guidato da Vittorio Anania, rivolta agli aspiranti studenti universitari dei corsi di laurea di Architettura, Medicina e Chirurgia, Veterinaria. Otto le scuole medie superiori delle province di Sassari e della Gallura coinvolte nella prova, i cui risultati sono stati illustrati nella sede dell’ufficio Orientamento dell’Università, in piazza Duomo, da Anania e da tre componenti del gruppo di lavoro che comprende anche alcuni dirigenti scolastici. Erano presenti Giulio Arca, responsabile del servizi per l’Orientamento universitario; Sandra Cossu, dello staff dello stesso servizio; lo studente Abu Marhil Wesam, del consiglio di facoltà di Medicina. «Si è partiti da una constatazione preoccupante dei risultati del test d’accesso nazionale per il corso di laurea 2005/06 in Odontoiatria - ha spiegato Vittorio Anania -. Su 860 posti ammessi nelle diverse università italiane, sono stati pochissimi i candidati ammessi nel corso di laurea sassarese. Sono rimasti 25 posti, recuperati in ambito nazionale, e su questi solo undici sono andati a studenti sassaresi». Il centro di Orientamento dell’ateneo cittadino è nato proprio per analizzare e tentare di risolvere i problemi di accesso alle facoltà a numero programmato. Dall’esame degli elaborati dei test simulati svolti dagli allievi di otto scuole secondarie sono emerse difficoltà e lacune in alcune materie. Prima tra tutte, appunto, la chimica. «L’iniziativa ci ha dunque sollecitato a ripetere l’esperienza per orientare preventivamente, con puntualità, gli studenti verso il test di ammissione che viene svolto a settembre - chiarisce Vittorio Anania - . Per l’anno accademico 2007/08 stiamo pensando di coinvolgere gli studenti delle scuole che ne faranno richiesta in una simulazione del test entro dicembre 2006. Intendiamo estendere l’azione agli istituti secondari superiori delle diverse province sarde. Per Cagliari, solo per il test per Veterinaria, facoltà non presente in quell’ateneo». Dettagli sui test d’accesso degli anni precedenti sono sul sito web del centro Orientamento (www.uniss.it/orienta), raccordato anche al sito del ministero dell’Università. Giulio Arca ha messo l’accento sulla necessità di un approccio più metodico al sistema test per i ragazzi delle scuole superori che aspirano a frequentare una facoltà universitaria a numero programmato. «Non c’è l’abitudine a svolgere test - ha detto Arca -. E quando i candidati si ritrovano in gran numero, a settembre, nella prova di ammissione, pagano questo impatto, inibendosi di fronte a procedure burocratiche. Abbiamo verificato che sono numerosi i candidati che riescono a superare il test quando lo sostengono una seconda volta. Si tratta di predisporsi per tempo a questo tipo di prova. Ecco l’utilità del progetto del centro Orientamento, che è stato accolto con notevole consenso in questa prima tornata. È essenziale la disponibilità delle scuole». Marco Deligia _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 giu. ’06 SASSARI: LA MORTE ANNUNCIATA DELLE LAUREE BREVI Giurisprudenza cambia ancora: studenti penalizzati dal flop di Scienze giuridiche «Ci hanno detto che il nostro titolo sarà carta straccia» di Silvia Sanna SASSARI. Nottate intere a sudare sui libri, rinunce e sacrifici per arrivare preparati al giorno dell’esame. L’orgoglio di un libretto fitto fitto di voti, la soddisfazione di tagliare il traguardo per tempo, prima di appiccicarsi l’etichetta fastidiosa di fuori corso. Poi la brutta sorpresa: il rischio di uno stop forzato, la possibilità inquietante di dover riprendere in mano testi già sepolti nella memoria. Agli studenti di Scienze giuridiche la nuova riforma della facoltà di Giurisprudenza non piace per niente. All’improvviso, si sentono dire che conseguiranno un titolo «carta straccia». Vivamente consigliato, dunque, cambiare strada: rimandando, però, l’appuntamento con la laurea. La loro unica sfortuna è di essere state le cavie di un esperimento che si è rivelato un flop. Dal prossimo anno accademico si cambia. Dopo la rivoluzione del 2000, eccone un’altra. Che si annuncia ancora più devastante. Via il modulo 3+2, si passa all’1+4. Il corso di laurea in Giurisprudenza avrà durata quinquennale ma dopo il primo anno gli studenti si troveranno di fronte a un bivio: dovranno scegliere tra l’indirizzo forense e pubblicistico e presentare il piano di studi specialistico. È la morte della laurea breve in Scienze giuridiche: tre anni legati indissolubilmente ai due della scuola di specializzazione. In tutto gli esami da sostenere erano 40: 27 nei primi tre anni, 13 nei due successivi. Nel “Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza” (questo è il nuovo nome), gli esami saranno complessivamente 27. All’interno del sistema dei crediti formativi (300 in tutto) indispensabili per diventare dottori, la novità genera scompensi pesanti. Eleonora, 22 anni, terzo anno di Scienze giuridiche, la laurea la sentiva a un passo. Ora è diventata un oggetto misterioso. Nella sua stessa situazione, l’esercito di circa 1500 studenti che avevano scelto Scienze giuridiche. Mercoledì 7 (ore 18) si incontreranno per fare il punto della situazione nell’aula Francia del centro didattico d’ateneo in viale Mancini. Per ora, l’unica certezza è che dal 1º agosto dovranno presentare la domanda per cambiare corso di studi. Un percorso praticamente obbligatorio: l’alternativa è accontentarsi di una pergamena di laurea che non vale niente. «I docenti sono stati chiarissimi - dice Eleonora -: ci hanno suggerito di iscriverci immediatamente al nuovo corso di studi, perché quella laurea varrà molto di più rispetto alla nostra. Ma nessuno ci ha ancora spiegato che ne sarà dei nostri crediti, come potremo recuperare quelli che ci mancano pur avendo sostenuto i relativi esami». Qualche risposta dovrebbe arrivare dal consiglio di facoltà che si riunirà a metà mese: nel frattempo, ad agitare gli animi è la tabella pubblicata sul sito Internet di Giurisprudenza, dalla quale emergono grosse differenze relativamente ai crediti. «Un esame che prima valeva 9 crediti - aggiunge Eleonora - nel nuovo corso di laurea corrisponde a diversi punti in più. Significa che chi ha già sostenuto quell’esame in Scienze giuridiche, si trova di fronte a un passivo da colmare. Come? Ripetere l’esame è impensabile, così ci è stato detto che dovremo partecipare a generici lavori di gruppo per farci assegnare i crediti che mancano. Significa che perderemo un sacco di tempo: nel mio caso, se sarò fortunata, saluterò l’Università minimo con un anno di ritardo rispetto al previsto - conclude Eleonora -. Nonostante sinora sia stata regolarissima». Se la passano anche peggio i neo laureati in Scienze giuridiche. Hanno tagliato il traguardo puntuali e ora rischiano di dover riprendere a studiare. Il fallimento del corso di laurea breve si tradurrà in un altro anno d’Università e in un’altra manciata d’esami da segnare nel libretto. Oppure dovranno rassegnarsi a essere considerati dottori di serie B. _____________________________________________________ La Repubblica 8 giu. ’06 I RISCHI DEL TELEFONINO BLUETOOTH L'indagine, in varie zone di Milano, è durata un giorno intero e ha rilevato oltre 1.400 tra cellulari e smartphone attaccabili Come gli 007 contro virus e worm di AGNESE ANANASSO UN'INDAGINE con metodi da 007 per smascherare i possibili attacchi a telefoni cellulari e smartphone attraverso bluetooth, uno dei protocolli più diffusi di comunicazione senza fili. L'idea di questa "prova sul campo" - e la sua attuazione a Milano - è merito dei ricercatori di F-Secure e Secure Network, due aziende specializzate in soluzioni e servizi di sicurezza informatica. Un'indagine diretta che ha prodotto dati tutt'altro che rassicuranti per gli utenti. Il necessario per questo esperimento era racchiuso in un semplice trolley da viaggio di medie dimensioni, che è stato chiamato "BlueBag". Al suo interno è stato piazzato un sistema di rilevamento in grado di identificare dispositivi bluetooth presenti nel raggio di 150 metri. Insomma, un vero e proprio laboratorio di ricerca viaggiante che ha consentito di condurre il test senza dare nell'occhio, anche nelle zone più affollate. L'obiettivo non era stabilire la percentuale di utenti "distratti" rispetto al totale dei possessori di cellulari, ma semplicemente di valutare i danni potenziali che un aggressore - o anche un ignaro utente infettato - potrebbe provocare. FieraMilanoCity (durante Infosecurity 2006), centro commerciale Orio Center, stazione metropolitana Cadorna, centro direzionale Assago MilanoFiori, stazione centrale di Milano, aeroporto di Malpensa, Politecnico di Milano (sede Leonardo): queste le zone prescelte, molto diverse tra loro proprio per verificare se e come variasse la presenza di dispositivi mobili potenzialmente vulnerabili, che, a loro volta, possono essere causa del diffondersi dell'epidemia. L'esperimento è stato volutamente concentrato cellulari o smartphone (e nella rete è finito anche qualche computer) con bluetooth attivo e in modalità visibile, nella condizione quindi di essere più vulnerabili. L'indagine è durata circa 24 ore (per l'esattezza 22 ore 58 minuti), "spalmata" su 7 giorni scelti tra febbraio e marzo. Sono stati ben 1405 i dispositivi con bluetooth attivo e in modalità visibile, tra cellulari e smartphone (1312), PC/notebook (39), palmari (21), navigatori satellitari (15), stampanti (5) e altri dispositivi (13). Da notare come sia proprio il cellulare lo strumento prediletto per la tecnologia bluetooth e di conseguenza anche meno sicuro: nel quadro che ha delineato questa indagine, un programmatore di virus avrebbe avuto potenzialmente a disposizione oltre 1300 tra cellulari e smartphone in meno di 24 ore. Tutti da infettare, tutti egualmente indifesi e a loro volta possibili propagatori di virus. E' interessante notare che 313 telefonini identificati dalla "BlueBag" avevano attivo il servizio OBEX Push, normalmente presente su tutti i cellulari e smartphone e usato per il trasferimento di informazioni (ad esempio biglietti da visita) o di file e applicazioni. Un servizio che, proprio perché consente il trasferimento di file, rischia di essere un pericoloso canale di propagazione di virus e worm. La "BlueBag" è stata utilizzata in modalità "honeypot", ovvero un sistema messo a punto per essere usato come "esca" per proteggersi da attacchi informatici. Per esca si intende la possibilità di ricevere informazioni sugli attacchi, la loro frequenza e tipologia. Una "honeypot" non contiene mai informazioni reali ma simula una situazione reale in modo da attirare i pirati informatici. Rimane infatti visibile nell'ambiente e in ascolto, pronta a ricevere qualsiasi richiesta di connessione effettuata da dispositivi infetti catalizzandoli su di sé. Lo scopo? Scoprire e "catturare" quei worm che girano nei vali dispositivo e provare a smascherare i suoi autori. _____________________________________________________ Corriere della Sera 7 giu. ’06 LAUREE BREVI? SI TROVA LAVORO PRIMA Indagine del Politecnico. «Il 70 per cento ha avuto un' offerta che non poteva rifiutare» Lasciano l' università dopo tre anni, ma non perché hanno poca voglia di studiare. Hanno circa 21 anni, ma non temono contratti a progetto e stipendi bassi. Non hanno la laurea «nobile», ma spesso trovano lavoro prima dei dottori quinquennali. Sono i laureati «junior» del Politecnico: secondo un' indagine dell' istituto di ricerche Piepoli, 22 dottori triennali su cento (su un campione di 691) non proseguono gli studi. Di questi, il 70 per cento «ha preferito iniziare a lavorare o ha avuto un' opportunità che non poteva rifiutare», mentre il 73 ha attualmente un' occupazione continuativa. «Questi dati - sottolinea Giulio Ballio, rettore dell' ateneo che per primo ha inaugurato il modello 3+2 - testimoniano la validità del percorso di studi breve. I nostri ragazzi (tremila, finora) hanno tutti trovato lavoro e, tra qualche anno, in alcuni campi avranno posizioni migliori rispetto ai laureati quinquennali». (A. Sac.) Sacchi Annachiara _____________________________________________________ Corriere della Sera 4 giu. ’06 QUEI MEDICI CHE FECERO LA COSTITUZIONE Pensa la salute L' Assemblea Costituente che fu eletta sessant' anni fa, il 2 giugno del ' 46, rappresentò l' incontro di culture diverse e la Carta costituzionale che fu scritta ne costituì la sintesi. I 28 medici che furono eletti alla Costituente, appartenenti a tutti i partiti presenti, si riunirono in un «gruppo medico parlamentare», esprimendo così un' ulteriore volontà di collaborazione, anteponendo l' interesse della salute dei cittadini alla propria appartenenza politica. Del gruppo, ad esempio, facevano parte Fabrizio Maffi, comunista, pioniere della lotta contro la tubercolosi; Gaetano Martino, liberale, fisiologo di fama internazionale; Giuseppe Caronia, democristiano, rettore dell' Università di Roma e medico curante di De Gasperi e Sturzo. L' esperienza del gruppo medico parlamentare fu unica (si costituì un solo altro gruppo trasversale ai partiti, quello dei viticoltori, da cui nascerà poi l' associazione dei Coltivatori diretti): non fu strumento di salvaguardia professionale, ma il modo più alto di tutelare la salute dei cittadini. Ai timori che le direzioni dei partiti potessero esercitare pressioni sui costituenti medici, rispose in chiari termini il deputato comunista Alberto Mario Cavallotti, che era stato il "comandante Albero" dei partigiani dell' Oltrepò Pavese e in seguito primario pediatra al Fatebenefratelli di Milano: « il nostro attaccamento alla Classe medica e la nostra qualità di tecnici ci farà superare le eventuali difficoltà, in modo da amalgamare tecnica e politica nel superiore interesse del Paese». Il desiderio di partecipazione nello spirito della ritrovata libertà portò il gruppo medico parlamentare ad indire tra gli allora 40 mila medici italiani un referendum con 14 quesiti su argomenti quali l' organizzazione sanitaria, gli studi in medicina, la condotta medica, i rapporti tra cliniche universitarie e ospedali, le casse mutua, le malattie del lavoro e sociali, la maternità e l' infanzia, i farmaci, i cui risultati sarebbero poi stati trasmessi all' Assemblea Costituente. Il lavoro svolto dal gruppo medico fu proficuo e all' altezza delle aspettative. E' difficile pensare che oggi possa riproporsi un' analoga esperienza. Molte scelte di carattere sanitario sono diverse secondo la visione politica, economica e di programma dei singoli partiti, molte divisioni si aprono sul versante etico (per esempio il tema delle staminali e della fecondazione assistita). Ma su tanti argomenti che riguardano la salute ci sono valutazioni, sorrette da evidenze scientifiche, che non dovrebbero essere messe in discussione. Se i parlamentari medici anteponessero il loro compito di tutela della salute dei cittadini all' appartenenza partitica potrebbero forse cooperare in concreto ad attuare pienamente l' articolo 32 della Costituzione, che recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell' individuo e interesse della collettività ». Farnetani Italo ======================================================= _____________________________________________________ Il Sole24Ore 7 giu. ’06 LE TRE POLITICHE PER RECUPERARE RISORSE DALLA SANITÀ Il governo del personale e la certezza delle risorse. Un federalismo fiscale da scrivere senza tentennamenti e l’attuazione al Mezzogiorno. ma senza sconti. Un sistema che incentivi i migliori e il ricorso a fonti alternative di finanziamento, senza i tabù dei Fondi integrativi o assicurativi. Mentre il Governo mette alle strette sei Regioni in deficit, si sprecano le cure per un Servizio sanitario che deve uscire dal guado dei conti che non tornano, con un sistema di gestione che lascia a desiderare, il Sud in testa. Il che fare per curare il Ssn ha innumerevoli ricette. Che tocca alla politica scegliere e calibrare. Il Sole-24 Ore» ha raccD3to tre proposte di studiosi ed economisti che senz'altro non esauriscono la summa degli scenari possibili. Ma che danno l'idea del tanto che c'è da fare per raddrizzare il sistema e renderlo equo e solidale. E universalistico fino a dove la politica sceglierà e fin quanto il finanziamento permetterà. Perché questa, poi, è la sfida del welfare sanitario, Una sfida difficilissima, ma non impossibile. Sapendo che il «rigore» invocato in questi giorni non può non avere seguito pratico e che qualcosa del "tutto a tutti" (già peraltro ridotto negli anni) presto non sarà più possibile concedere. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 7 giu. ’06 BORGONOVI: PIÙ AUTONOMIA NELLE ASL MA VERIFICA DEI RISULTATI Tre i suggerimenti per aiutare il Governo a gestire le politiche della salute e definire concrete politiche insieme alle Regioni. Q Occorre ricostruire o aumentare la fiducia dei cittadini-pazienti nel sistema sanitario, promettendo solo ciò che realisticamente si potrà mantenere. Gli italiani devono sapere che il progresso scientifico consente una tutela della salute di qualità superiore al passato. ma che la tutela della salute costa, costerà sempre di più e, se si vorranno garantire i livelli essenziali di assistenza, tutti dovranno accettare delle priorità e di contribuire con fondi integrativi o tributi e contributi regionali o ticket al costo dei servizi, Ovviamente per chi ha possibilità economiche: ragioni di equità dovranno prevedere esenzioni per chi sarebbe costretto a rinunciare alle cure per motivi economici. Occorre affermare che l'equilibrio del sistema parte dalla buona gestione delle aziende e non da vincoli di Stato o Regioni. Per questo servono regole e comportamenti che motivino e incentivino i professionisti a osservare e capire bene i reati bisogni dei pazienti acuti, cronici o che richiedono una tutela continua e a organizzare servizi coerenti con questi. occorre valorizzare i professionisti consentendogli di esprimere autonomia professionale. chiedendogli di accettare la verifica dei risultati. Questo è un messaggio per i direttori generali e, soprattutto, per le Regioni che non devono privilegiare gli obblighi ai manager di guardare prima al pareggio di bilancio (con minaccia di revoca): è importante per garantire ì livelli di assistenza ai cittadini e la compatibilità macro-economica tra spesa per la salute e suo finanziamento, ma deve essere il risultato di professionisti soddisfatti del proprio lavoro e di una buona organizzazione senza sprechi, non un vincolo da cui partire. La Conferenza Stato-Regioni deve essere luogo di concertazione delle politiche di tutela della salute, fondate su solide conoscenze scientifiche e criteri di fattibilità. Che significa distinzione dl ruoli e competenze. Negoziazione sulla base di dati meno incerti e non strumentali, rispetto di obiettivi e impegni concordati. Il sistema sanitario (come l’economia in generale) può essere risanato o migliorato se le aziende funzionano bene. Le aziende (non solo sanitarie) a loro volta funzionano bene o migliorano solo se si riconosce il ruolo centrale delle persone. Le persone reagiscono e agiscono positivamente solo se avvertono di avere la fiducia degli altri e se sanno recuperare il senso di responsabilità, del dovere, la deontologia professionale, la convinzione di aiutare altri a vivere più a lungo e meglio. Le parole chiave per, la politica del Governo nel settore sono: maggiore informazione e trasparenza, fiducia e responsabilità, progettualità basata sulle conoscenze. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 7 giu. ’06 L'ITALIA ESPORTA LA RICERCA GENETICA Gli Usa «copiano» la terapia Ada-Seid Oggi il punta sul modella Telethon in un convegno a Milano Aron e Mohammed hanno varcato insieme, qualche giorno fa, la porta della speranza. Erano in braccio ai loro genitori. che il passaporto identifica rispettivamente come israeliani e sauditi e la fede come ebrei e musulmani. E la porta della speranza è il miglior ospedale del inondo per la cura della malattia di cui sono affetti dalla nascita: l’immunodeficienza congenita Ada-Scitl. che mina gravemente il sistema immunitario di un bambino ogni 50mila. I loro genitori non si sono arresi alla condanna genetica e li hanno portati negli Stati Uniti. alla Duke University di Durham, nel North Carolina. Ma lì i medici hanno riconosciuto con onestà di non avere più lo scettro della ricerca. « È meglio che andiate a Milano: qui applichiamo i protocolli di cura italiani. ma i numeri uno sono loro», hanno spiegato. È così che Aat-on e Mohanuned hanno varcato la soglia della speranza: l'Ospedale San Raffaele. che, dietro i giardini con i bronzi della cristiana Sacra famiglia. ospita l’Hsr-Tiget. Vale a dire l'istituto di ricerca cofinanziato da Telethon (oltre che dalla Fondazione San Raffaele), inventore della terapia genica che ha finora salvato la vita a nove bambini affetti da AdaScid. Tutto ciò grazie alle donazioni degli italiani e di 24mila imprese, attivati dalla maratona televisiva di Telethon. «Sembra incredibile che raccogliendo circa 30 milioni di curo l'anno si possa avere un impatto così profondo - argomenta Claudio Bordignon, direttore scientifico della Fondazione San Raffaele, storico partner di Telethon -. Non sono più viaggi della speranza quelli dei bambini da pochi mesi a sette anni che abbiamo in cura: si tratta di soggiorni di qualche mese per ricevere cure consolidate. E gratuite». L'Istituto Hsr-Tiget rappresenta solo una parte dell'investimento Telethon: esattamente 14,8 dei ?07,7 milioni di euro conferiti a team di ricerca dal 1990. E la cura dell'Ada-Scid è solo uno dei risultati ottenuti. La fondazione finanzia studi in molte aree della ricerca biomedica. Oltre al mantenimento dei quattro istituti Telethon (il Tiget di Milano. il Tigem di Napoli, il Dti che si appoggia presso molte strutture pubbliche e il Tecnothon di Vicenza), ben 1.778 progetti esterni sono stati sostenuti. E gli indici di performance dimostrano che si tratta di molti tra i migliori studi condotti in Italia. Lo conferma Bordi,-non, che siede nello European research council, l'ente per gestire i fondi alla ricerca fondamentale (7,5 miliardi di curo) del VII Programma quadro Ue. «Quando in riunione si citano gli errori da non commettere, tutti fanno il triste esempio di come viene gestita la ricerca in Italia - dice -. Salvo aggiungere la frase "tranne che per il caso di eccellenza di Telethon". Ci salviamo la reputazione per quest'isola di trasparenza ed efficienza, che dovremmo copiare a livello di Sistema-Paese». Non a caso. quando il 31 maggio il Congresso Usa ha discusso le strategie per sostenere la ricerca genetica, è stata chiamata a illustrarne i benefici Maria Grazia Roncarolo, "manina" della terapia contro l'Ada-Scid. Non a caso. a Baltimora domenica scorsa veniva premiato un uomo Telethon, Alberto Auricchio (si veda la pagina successiva), con un importante riconoscimento dell'American society of gene therapy. Anche i numeri danno ragione alla onlus italiana. «Secondo i dati Thamson-lsi - spiega il direttore amministrativo Angelo Maramaì -- il numero medio dì citazioni internazionali per pubblicazione scientifica Telethon è doppio rispetto agli studi italiani e in linea, se non superiore, a quelli americani (si veda il grafico nella pagina seguente). E anche l'indice di efficienza della raccolta fondi (19 centesimi per ogni euro donato) è quasi alla pari con gli Usa, secondo Charity navigator». Ma perché il modello Teiethon è vincente? E poi, può essere seguito dal Sistema- Italia per gestire meglio i fondi della ricerca? Per rispondere a questi due interrogativi, «II Sole-24 Ore» e la Fondazione Telethon hanno organizzato il convegno «Ricerca e solidarietà: un'Italia che funziona», in programma oggi a partire dalle 17.30 a Milano (via Monte Rosa 91). E alcune risposte sono contenute già nelle quattro pagine dedicate dal «Sole-24 Ore» al "caso Telethon". Che fanno il punto sul bilancio scientifico del secondo ente destinatario delle donazioni degli italiani (dopo l'Aire), in un momento caldo come la campagna per le donazioni del "5 per mille" e il debutto del ministro della Ricerca e dell'Università, Fabio Mussi. «Telethon funziona perché ha fatto della trasparenza e della meritocrazia nell'assegnazione dei fondi i suoi principi fondamentali - spiega il direttore scientifico Francesca Pasirtelli _ Nella ricerca pubblica, invece, prevale una logica spartitoria, che spesso non seleziona in base al merito. Il problema principale del nostro Paese non è tanto quello dei fondi troppo scarsi. quanto l’assenza di regole del gioco chiare e trasparenti. AL nuovo Governo, in tutta umiltà. consiglierei di istituire un'Agenzia di finanziamento alla ricerca. responsabile dell'assegnazione dei fondi ai migliori progetti, con una commissione di valutazione internazionale, composta da ricercatori all'estero. non "incestuosi" con il sistema. Come facciamo noi di Telethon». L'impiego dei cosiddetti cervelli fuggiti all'estero, nelle commissioni di valutazione oppure mediante il rientro al lavoro in Italia, è uno degli elementi caratterizzanti di Telethon. Andrea Ballabio, ad esempio, è stato messo a capo del laboratorio Tigem di Napoli. dopo due anni di lavoro in Gran Bretagna e sei negli lisa. «È una grande soddisfazione. ottenere risultati nel proprio Paese – spiega - in un contesto burocratico così difficile. L'Italia dovrebbe favorire un'iniezione di meritocrazia. Basta con i finanziamenti a pioggia: bisogna puntare sulle persone che hanno dimostrato di valere e selezionare gli ambiti di ricerca, finanziando solo le eccellenze e favorendo le partnership pubblico privato. Ora che la terapia genica è vicina alla fase clinica, non bisogna mollare. Ce lo chiedono i nostri figli». Figli come .Aaron e Mohammed, che al San Raffaele ora stanno combattendo, grazie alle donazioni degli italiani, la battaglia più difficile. LAURA LA POSTA _____________________________________________________ scienza e Tecnica 3 giu. ’06 TECNOLOGIA "MADE IN CNR" IN MOSTRA AL SANIT La precisione nella localizzazione di un tumore allo stadio iniziale è ora possibile grazie ad un brevetto nato nei laboratori dell'Istituto di Ingegneria Biomedica (Isib) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Roma e realizzato da uno spin off del Cnr, la Li-tech di Udine. "Si tratta di una piccola gamma camera, completamente portatile, ad alta efficienza, che funziona con batterie ricaricabili, dotate di cinque ore di autonomia", spiega Alessandro Soluri, ricercatore dell'Isib-Cnr, "in grado di rilevare patologie di dimensioni addirittura di circa due millimetri e di acquisire immagini scintigrafiche ad alta risoluzione, in poche decine di secondi". Il peso della sonda è di circa 2 chilogrammi nella versione da 5 cm x 5 cm di area di indagine e meno di 1 chilogrammo nella versione 2.5 cm x 2.5 cm. L'unità di controllo è dotata di un monitor a cristalli liquidi da 10 pollici che ha praticamente le dimensioni di un foglio di carta A4. Lo strumento, nato nei laboratori Isib-Cnr, si perfeziona e adesso funziona anche a batteria, con una tecnologia innovativa che permette sia l'individuazione, con elevata precisione, di tumori di piccole dimensioni (mammella, tiroide, ecc.) sia la localizzazione radioguidata in chirurgia (mammella, linfonodo sentinella). Il tutto ottenuto con una notevole rapidità di acquisizione delle immagini diagnostiche. "Già sperimentata in clinica, può essere utilizzata con estrema maneggevolezza anche in sala operatoria", spiega Soluri, "e ha trovato importanti applicazioni su tiroide, paratiroide, piede diabetico, linfonodo sentinella, biopsia di prostata e mammella, fornendo una elevata precisione nella localizzazione delle patologie". Queste strumentazioni, compatte e rapide nel fornire immagini ad alta risoluzione, possono essere usate in sala operatoria come guida per interventi di chirurgia miniinvasiva, al contrario di quelle tradizionali, ingombranti e costose, essendo destinate, con l'aumento dell'area di indagine, a sostituire quelle tradizionali in molte tecniche dedicate alla diagnostica oncologica preventiva. La realizzazione dello strumento è stata possibile grazie ad uno spin off del Cnr, la Li-tech (Life Imaging-technologies) di Udine. Il Cnr, oltre a possedere quote dell'Azienda, è presente in Li-tech con propri ricercatori - ne è presidente il dott. Alessandro Soluri - per meglio rappresentare il legame tra il mondo della ricerca e quello industriale (CEA di Udine e CBC di Monterotondo) e per favorire il passaggio delle conoscenze maturate in laboratorio al sistema produttivo. "La Gamma camera portatile a batteria è una nuova realtà", conclude Soluri, "che dimostra C011112 I'evolLIZlOl1C tecnologica stia rivoluzionando le tecniche diagnostiche attuali, offrendo soluzioni sempre più importanti rivolte alla prevenzione dei tumori di piccole dimensioni. In genere quando si pensa ad una strumentazione compatta, la tecnologia italiana soffre il confronto con duella straniera, specie giapponese in termini di miniaturizzazione e funzionalità. Questo segnale dimostra invece che l’high-tech made in Italy possiede risorse importanti e che il trasferimento di conoscenze dai laboratori all'industria pub funzionare". La mini camera è stata esposta. in anteprima mondiale, presso lo stand del al Sanit, all'interno del convegno "Nuove frontiere in medicina - Tecnologie chirurgiche e diagnostiche. che si è tenuto il 9 C.M _____________________________________________________ Il Giornale 4 giu. ’06 OGNI ANNO AMPUTANO 8.500 ITALIANI: LI SALVERÒ COL LASER FREDDO DI REAGAN Si chiamava. Sdi ma non aveva niente a che vedere con i socialisti di Boselli: stava per Strategic defense initiative, iniziativa di difesa strategica. Gli scienziati lo definivano «fascio di particelle», i politici «scudo spaziale». gli esperti del Pentagono «cannone a raggi» avrebbe dovuto individuare e disintegrare i missili balistici intercontinentali lanciati contro il territorio degli Stati Uniti. Nel mondo fu subito ribattezzato Star wars, guerre stellari. e, a tutti parve evidente che si trattava di un'evoluzione della guerra fredda . Tenne banco per dieci lunghi anni. Il presidente americano Ronald Beagan lo presentò nel 1983 come tm progetto mirato «non a uccidere gente ma a distruggere armi». Il suo successore George Bush senior lo sostenne con convinzione. L'avversario di entrambi, Bill Clinton,lo seppellì nel 1993 senza funerali, un po' perché nel frattempo era caduto il Muro di Berlino e s'era sgretolata l'Unione Sovietica. un po' perché le ricerche per metterlo a punto sarebbero costate alla fine non meno di 27 miliardi di dollari. Oggi che hanno visto quanto sia facile violare dal cielo la loro sicurezza nazionale, gli americani lo rimpiangono. In realtà era solo un raggio laser. Lo stesso che Ronaldo Meloni, ingegnere chimico di origine cagliaritana, porta ora in Italia allo scopo di salvare «te umane e soprattutto impedire che ogni anno a 8.500 malati vengano segati in sala operatoria dita, piedi, gambe. «Lombardia, Veneto e Sicilia sono le tre regioni che detengono il macabro record delle amputazioni chirurgiche», spiega. L'ingegner Meloni, 56 anni, sposato. due figli, rappresenta la. Spectranetics, che ha la sede italiana a Prato e la casa madre a Colorado Springs. Fu fondata da Robert Golobic, oggi defunto, un fisico dell'Us Air Force che al Pentagono aveva lavorato sul progetto dello scudo spaziale e non si rassegnava a gettare al vento anni di studi. Sì dimise perciò dal Dipartimento della Difesa, traslocò nel Colorado e costruì sulle pendici del Yihes Peak, a quasi 4.000 metri d'altitudine. la Spectranetics. E dei suoi segreti un circolo iniziatico che per ovvie ragioni comprende a tutt'oggi non più di 150 collaboratori, aprì la strada per riconvertire al servizio della salute la tecnologia militare propugnata da Reagan. È nato così il laser a eccimeri Cv.x 300. o laser freddo, un raggio di luce in grado di rimuovere fino a polverizzarle le ostruzioni che inevitabilmente si formano all'interno , della rete vascolare, cioè dell'autostrada più lunga che esista al mondo: 160.000 chilometri di arterie e vene --quattro volte la circonferenza della Terra - che trasportano il sangue nel nostro corpo. Un risultato che prima d'ora era stato immaginato solo al cinema, in un lihn di 40 anni fa, con una spedizione a bordo di un sommergibile militarizzato iniettato nel circolo sanguigno »per andare a riparare l'ematoma, nel cervello di uno scienziato in coma. Solo che quello si chiamava Viaggio allucinante, questo di Meloni è reale; quello richiedeva che i medici fossero ridotti a lillipuziani più piccoli di un microchip, questo che se ne stiano seduti davanti a un monitor; quella era fantascienza, questa è scienza. Nel film s'imbarcava anche un agente segreto. Non sarà che faceva parte della Spectranetics? «Si sbaglia, era dell'Fbi». Certo che il nome della sua azienda ricorda la Spectre, l'organizzazione criminale contro cui si batteva James Bond. «Questa dell'agente 007 è l'obiezione che mî fanno tutti». E lei come risponde? «II suffisso Spectr a ha a che fare solo con la spettrografia e con lo spettro atomico, cioè l'insieme di radiazioni emesse da un atomo eccitato visto che laser è l'acronimo di light amplification by stimulated emission of radiation, amplificazione della luce per mezzo di emissione stimolata di radiazione». Com'è stato reclutato dalla Spectranetics? «E accaduto il contrario: sono state io a sceglierla. Ero responsabile pei l'Italia della linea ospedaliera di Ciba Geigy, dopo aver lavorato in Johnson & Johnson. Alla fine ho pensate che la mia professione mi imponeva un dovere morale: trovare per i pazienti il meglio del meglio. Perciò mi sono messo a cercare in proprio i prodotti più innovativi sul mercato». Perché ha pensato che fosse questo il suo dovere? «Forse perché la madre. che a, 75 anni fa ancora la volontaria in ospedale e assiste i malati terminali, a«-ebbe voluto che diventassi medico. Q forse perché ho provato più volte sulla mia pelle che casa significhi non poter essere curati con mezzi appropriati e tecnologicamente all’avanguardia». Cioè? «Da studente, nel 1966, si ruppe la cinghia elastica che legava i libri di un compagno di scuola: mi arrivò nell'occhio sinistro come una fucilata. Contusione del bulbo. Intervento chirurgico per ridurre l'ematoma, Oggi, col laser, per un distacco di retina ti rimandano a casa in due ore. Allora ti tenevano immobile a letto per 30 giorni, in posizione supina, e alla fine ti alzavi con le piaghe da decubito. Io me la cavai in 15. Ma m'è rimasta per sempre la pupilla midiatrica, cioè più dilatata del normale. Mi entra troppa luce. Perciò soffro di fotofobia». Che altro le è capitata? «Nel 1992 calcolosi a stampo del rene destro. Come avere un corallo ramificato all'interno dell'organo. Con i litotritori laser di ultima generazio-ne lo frantumerebbero. A me tolsero direttamente il rene. Le risparmio le altre disavventure: dal ramo che mi attraversò da parte a parte l'ascella quand'ero bambino, lasciandomi ap-~ peso a un albero, alla labirintite che mi colse d'improvviso a 30 metri di profondità mentre facevo pesca sw bacquea a Villasimius, per cui persi all'improvviso l'orientamento, non capivo più se la superficie dell'acqua era sopra, sotto, a destra o a sinistra. Mi salvò un espediente: lasciai cadere la fiocina, per vedere da quale parte venisse la forza di gravità, e nuotai nella direzione opposta. Anzi, diciamo che mi ha salvato l’angelo custode, come le altre volte». Ma in che modo è arrivato alla Spectranetics? «Partecipando a un congresso medico , Ho visto che se ne stava col suo stand in un angolino. Era considerata un'inezia e per giunta poco afidabile. Colpa del laser».. Che cosa c'era che non andava nel laser? ' «Per più di vent'anni ha dato problemi applicativi enormi. I cateteri per introdurla nelle arterie erano molto grossi, spesso perforavano i vasi. E il raggio a oltre 100 gradi era l'equivalente della fiamma ossidrica: bruciava le arterie, le carbonizzava. Tutti punti di criticità che Golobic ha: sconfitto avvalendosi dell'esperienza maturata lavorando al programma delle guerre,~ stellari. Oggi il laser ,freddo non supera i: 40 gradi, cioè la temperatura corporea». ' Come agisce questo laser freddo? «Cominciamo col dire che ogni laser è un. raggio di luce. Il suo, funzionamento si basa sul fenomeno dell'emissione stimolata; di fotoni da parte di atomi eccitati. In. virtù dei gas utilizzato, per esempio elio, neon, argon, olmio, si ottengono laser diversi. Attualmente ve ne sono più di 60 tipi, che in chirurgia; vengono impiegati come bisturi di. precisione, in oculistica per correggere difetti refrattivi duali miopia; astigmatismo e ipermetropia. in ginecologia per l’escissione di condilomi vaginali o per riparare le lesioni. del collo dell'utero causate da papilloma. virus. Il nostra laser freddo si utilizza invece solo per la ricostruzione dei vasi arteriosi, dal cervello fino al piede. Funziona col cloruro di. seno, eccitato da una potenza pari a 50.000 watt che va erogata per un. tempo massimo variante fra i 120 e i 180 nanosecondi». Un nanasecondo corrisponde a un milionesimo di secondo, ricordo bene? «Ricorda male: a un miliardesimo di seconda». Molto meno di niente. «Se il laser a eccimeri venisse erogato in continuo, il sua calore supererebbe di gran lunga quello sviluppata dalle bombe atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki». E se restasse acceso per un nanosecondo di troppo? «Impossibile. È tarato in modo tale per cui, arrivato al massimo tempo e alla massima energia, s'arresta da solo». E se la taratura va a ramengo? «Si blocca automaticamente. Non può funzionare, si guasta». In pratica che cosa fa? «Dissolve le placche trorxrbotiche e aterosclerotiche. Il catetere laser è largo un millimetro e mezza, quanto una punta di matita. Lo si fa entrare per via percutanea nell'arteria femorale con un ago cannula. Guidandone il percorso radiograficamente, si spinge fino al punto in cui c'è l’ostruzione. Agisce per contatto, quindi non vi è neppure l'emissione del raggio, che, a differenza degli altri laser, resta imprigionato úi m1 fascio di 130 fibre ottiche ognuna delle quali ha lo spessore di un capello di una bambina di 5 anni. Bionda. Perché le brune li hanno già più grossi». Costruite come, queste fibre ottiche? «A mano, una. per una., assottigliando il vetro zaffiro. Lei consideri che i primi laser avevano una. sola fibra ottica. Per questo la Spectranetics ha sede in alta montagna: e una lavorazione che richiede un'eccezionale purezza dell'aria» Che applicazioni ha il laser a eccimeri? «Infinite. Solo per citarne alcune.: occlusioni totali dei vasi arteriosi, infarto acuto del miocardio, aneurismi cerebrali, stenosi dell'arteria renale. Ma soprattutto si dimostra, pressoché il1fallibile nel salvataggio degli arti inferiori dei pazienti afflitti da diabete. Le arterie sono larghe ed elastiche: l'aorta, che è la più importante, al ventricolo sinistra del cuore, da dove prende origine, ha un diametro di due tre centimetri, ci passano dentro tre dita di una mano. Ma si guastano e si chiudono. È la malattia del benessere. L'arteriopatia. provoca prima ischemia, poi ulcere, gangrena. Tra Europa occidentale e Stati Uniti ogni anno vengono amputate le gambe a 250.000 persone. Un dato spaventoso di cui nessuno parla». La dilatazione col palloncino non risolve? «Le metodiche tradizionali schiacciano la placca contro le pareti del vaso e liberano il tratto di arteria. Ma. dove va a finire un trombo frantumato? Chi garantisce che poi non sarà causa di ictus ed embolie? ». II laser freddo non frantuma il trombo? «Il Cvx 300 non si limita all'ablazione: lo nebulizza in particelle che misurano non più di 5 micron». Un millesimo di millimetro. «Stavolta ricorda bene. Tenga conto che un globulo rosso è più grande, per l’esattezza 7,3 micron, e che nell'ultima diramazione della rete vascolare, i capillari, ove avvengono gli scambi di metaboliti e di gas fra sangue e tessuti e fra tessuti e sangue, ne passa uno solo per volta. Quindi le particelle del trombo vaporizzate col laser freddo, essendo più piccole di un globulo rosso, non intasano neppure i capillari». E funziona sempre? «La percentuale di successa sui pazienti che per non morire dovrebbero subire l'amputazione degli arti inferiori entro pochi mesi è del 93%». Straordinario. «Le dico solo questo: la signora sessantenne di cui parlarono tutti i giornali, che due anni fa morì per un piede in gangrena. essendosi rifiutata. di farsi amputare all'ospedale San Paolo di Milano, col laser a freddo probabilmente non solo avrebbe ancora. il suo piede ma sarebbe N=iva. Lo stesso dicasi per i casi analoghi saliti alla ribalta della cronaca di recente». Vivaddio, e perché non sono stati curati così? «Il Cvx 300 in Italia non c'era. Ma sarebbe bastato mandarli dal dottor Mare F3asiers, all'ospedale St. Blasius di Dexrder monde, in Belgio, che è il centro pilota di Spectraneiics per l’Europa». Com'è possibile che in Italia non ci fosse? «Non lo chieda a me, lo chieda agii operatori sanitari diffidenti-. Solo ora gli ospedali cominciano a svegliarsi. Ho ricevuto ordini per tre laser a Roma, due a Milano, uno a Brescia, una a Padova. Ma sto parlando degli ultimi 15 giorni, ancora non li abbiamo installati». Dipenderà dal costo. «Lo escludo. Il primo era regalato: lo donava una fondazione bancaria, E comunque si tratta d'un macchinario da 250.000 euro. Meno di un ecocardiografo. Una Tac. ne costa 800.000. Per una Pet ci vogliono due milioni di euro. Prova ne sia che, a parte gli Stati Uniti. dove ce ne sono ormai alcune centinaia, in Europa ne abbiamo già venduti 40, addirittura una decina in Turchia, due a Cipro, uno a Khanfy Mansiysk in Siberia. uno a Rostov in Crimea, uno a Riad in Arabia Saudita. La cosa che più mi fa arrabbiare è che le Asl buttano miliardi per le aiuole fiorite, marmi, le pensiline, cioè per l'apparenza che consente di far bella figura con i cittadini, e invece lesinano su ciò che può salvare i malati. In Toscana e nelle Marche siamo arrivati al punto che risultano assunti due amministratori per ogni medico». Ma chi garantisce le Asl sull'affidabilità del C300? «È l'unico laser al mondo approvato dalla Ida. l'organismo di controllo perla salute del governo americano. Al congresso mondiale di patologia vascolare, svoltosi a Parigi due settimane fa. abbiamo mostrato a 11.000 medici quattro interventi di salvataggio degli arti inferiori eseguiti in diretta col nostro laser a Lipsia, in Germania.. tutti perfettamente riusciti. Ci sarà pure un motivo se le azioni della Spectranerics, quotata al Nasdaq, a ottobre erano a 7 dollari e adesso ne valgono 13». Allora come si spiega questo scandalo dell'Italia più arretrata di Saberia e Turchia? «Guardi. ogni paziente amputato, a parte il trauma raccapricciante, costa oltre 40.000 euro l'anno per tutto il resto della sua eta. Ci sono malati costretti a mettersi l'ascensore o a cambiare casa, dopo l'intervento. Insomma, vengono tagliate le gambe anche alle famiglie. Da qualche parte finiranno questi quattrini, qualcuno ci guadagnerà». A chi può dar fastidio il suo laser? «Soprattutto a quei medici che non hanno alcuna voglia d'aggiornarsi e preferiscono adagiarsi nel tran tran in prospettiva. potrebbe far diminuire la richiesta di trombolitici. fibrinolitici. antitrombotici, vasodilatatori antidiabetici, ferri chirurgici, anestetici, fili da sutura, materiale per medicazioni, protesi vascolari sintetiche, arti artificiali, carrozzine, articoli sanitari, ossigenoterapia. In compenso accorcia le giornate dà degenza ospedaliera, «sto che col laser a eccimeri il paziente viene trattenuto in corsia per precauzione 48 ore e poi torna a casa guarito». Musica per le orecchie del ministro della Salute. «Se penso che il 50% delle amputazioni a«-iene senza nemmeno un esame angiografice quando la situazione clinica -e irréparabilmente compromessa... Comunque bisogna aver fiducia nella vita: alla fine il bene vince sempre. II 20 giugno presenteremo per la prima volta in Italia il laser freddo nel corso di un congresso medico mondiale al Policlinico di Verona, con dimostrazioni dal vivo sui pazienti. Interverrà anche sir Peter Bell, presidente della, Società internazionale di chirurgia vascolare, che insegna all'Università di Leicester ed è il chirurgo di fiducia della regina Elisabetta II d'Inghilterra». Perché proprio a Verona? «Perché è la città dove opera il dottor Carlo Adazni, il chirurgo che per primo in Europa, nel 1994. cominciò a riparare gli aneurismi dell'aorta con un intervento mini invasivo e incruento, entrando dall'arteria femorale e piazzando nel trailo lesionato una protesi endovascolare. La metodica era staia inventata da un italo-argentino, il professor Juaxa Carlo Parodi, oggi docente di chirurgia alla Washington University di Saint Louis, che all'epoca dirigeva l'Istituto cardiovascolare di Buenos Aires e l’areva sperimentata con successo sui cani. La comunità scientifica internazionale lo trattava come un appestato. A un simposio a Tokyo il medico veronese fu l'unico ad avvicinarlo e a imitarlo a cena per farsi spiegare la sua tecnica. Nella vita ci vuole sempre un uomo che crede in un altro uomo quando si combina qualcosa di buono per gli altri. Adesso Parodi e Adami sono entrambi convinti che il futuro della chirurgia mini invasiva sia nel laser a freddo». E lei non ha paura che i cinesi riescano a clonargliela? «No. Dovrebbero prima clonare il cervello di chi l'ha creato», _____________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’06 A SCUOLA DI CULTURA DEI TRAPIANTI L' impegno delle associazioni che negli atenei can seminari inseriti nel curriculum formativo Italiani secondi in Europa - Obiettivo: 34 donatori per milione di abitanti I loro strumenti sono il passaparola, le campagne informative e gli incontri con i ragazzi. La loro forza è la passione dei volontari. ~a Sono le assocìafiorrì che promuovono la donazione di organi, impegnate in un'opera quotidiana di persuasione e informazione. che comincia nelle scuole, passa per le piazze e finisce negli ospedali. L'informazione. «Abbiamo sempre cercato di incontrare la gente» spiega Vincenzo Passarelli, presidente dell'Aido (Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule). Accanto a circoli sportivi e parrocchie, un campo d'azione privilegiato sono le scuole: «Trent'anni fa parlavamo della donazione di organi come di solidarietà - continua Passarelli - oggi ne parliamo come di un fatto di civismo, come di un patto tra Stato e cittadini che rende possibile una terapia importante. Il materiale informativo è studiato in base all'età degli alunni: ad esempio, ai bambini delle elementari ci racconta la storia di un corallo. che quando muore lascia la sua casa ad altri coralli. E da quest'anno l’Aido interviene anche nelle università, nell'ambito di una campagna ministeriale, con seminari sulla donazione di organi in5eriti nel curriculum formativo. Si è cominciato con 41i atenei di Bari e Napoli. E si continuerà con quelli calabresi e siciliani. II trend. Negli ultimi anni l'Italia ha compiuto passi da gigante: nel 1999 c'erano 13,7 donatori per milione di abitanti, nel 2004 si è arrivati a 19,7 donatori (al secondo posto in Europa) e l’anno scorso ci si è confermati a 19,6 donatori per milione, «Ma in lista d'attesa per il trapianto di rene ci sono più 8mila persone e nel 2005 ne sono stati trapiantati circa 1.660. mentre le liste d'attesa per cuore. fegato e polmoni sono più corte solo perché i malati non sopravvivono abbastanza a lungo», osserva Carlo Niaffeo, presidente dell'Aitf (Associazione italiana trapiantati di fegato). Le strutture sanitarie. «Dobbiamo avvicinarci ai 34 donatori per milione dì abitanti della Spagna - prosegue ;Niaffeo -. ma per riuscirci serve maggiore organizzazione nelle strutture sanitarie. I reparti di rianimazione devono segnalare per teg-e tutti ì casi di morte encefalica, da cui può venire un trapianto, ma spasso mancano di personale e infermieri e l'obbligo di segnalazione non è sostenuto da sanzioni». Aggiunge Passarelli dell'Aido: «Ci - sono ragioni più virtuose di altre. In Toscana ci sono 49,8 donatori per milione di abitanti, nel Nord Italia si arriva a 30. mentre al Sud ci sono livelli troppo bassi». Il registro dell'Admo. Diversi sono invece i problemi che. affronta l'Admo (Associazione donatori midollo osseo). I suoi donatori sono persone che si fanno inserire, con un prelievo del sangue, in uno speciale registro. Quindi. se e quando il midollo osseo di un malato risulterà compatibile con quello di un donatore. questi potrà sottoporsi a un prelievo e salvargli la vita. «Il nostro registro è nato nel 1990 e contiene 340mila potenziali donatori - commenta il presidente dell'Admo Roberto Congedi -. L'obiettivo è arrivare a 500mila donatori in tre anni e allargare ali iscritti nella fascia d'età tra 18 e 25 anni». Per comunicare con i ragazzi, l’Admo ha creato un gruppo giovanile che avrà piena libertà d'iniziativa. «Per il resto punteremo su campagne televisive e di stampa, senza tralasciare il giornalino che mandiamo ogni sei mesi a tutti i nostri donatori, perché si sentano sempre parte del nostro progetto». continua Congedi_ Ma la priorità per l’Admo è che venga sottoposto alla Conferenza Stato Regioni il regolamento attuativo della legge 52/2001. già licenziato dalla commissione consultiva un anno fa: «Coinvolgerà anche le Regioni e renderà più efficace la nostra attività». CRISTIANO DELL'OSTE INDIRIZZI UTILI _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 giu. ’06 PROGENIA, LA RICERCA. SULLA LUNGA VITA. Nell'isola 45 ricercatori impegnati in migliaia di analisi genetiche di Roberto Paracchini CAGLIARI. La ricerca dell'elisir di lunga vita è stato per secoli il miraggio degli alchimisti. Oggi questi ultimi si sono affinati e la scienza moderna ne ha fatto dei ricercatori che, col tempo, hanno scoperto che il loro Eden esiste, ed è la Sardegna, dove c'è un gran numero di ultracentenari. Con in più il fatto che si è in un'isola dove l'isolamento ha giocato un ruolo (geneticamente) importante, agevolando la costruzione di precisi alberi genealogici. Ed è per questo che cinque anni fa è nato in Sardegna il progetto Progenia ideato e coordinato da Giuseppe Pilia, morto un anno e fa (già ricercatore dell'Istituto di neurogenetica e neurofarmacologia, Inn, del Cnr di Cagliari) e da David Schlessinger (direttore del compartimento di genetica dell'Istituto sulla vecchiaia di Baltimora). Cinque anni di ricerche già fatte e altrettanti da fare, ventidue milioni di dollari di finanziamenti dal National Institute of Health (l'ente di medicina pubblica degli Usa), seimila persone monitorate, l'impegno di 34 ricercatori locali e di 11 stranieri, più decine di migliaia di analisi genetiche: questo il biglietto da visita del progetto Progenia, che si sta conducendo tra Lanusei, Ilbono, Arzana ed Elini. E di cui, oggi alle 17 nell'auditorium del Cis a Cagliari, si farà il punto tracciando le linee di ricerca dei prossimi cinque anni. L'incontro sarà poi ripetuto domani alla stessa ora nel teatro Tonio Dei di Lanusei. Recentemente è sorto anche il progetto Ogliastra, guidato da Mario Pirastu (responsabile del Shardna Lite Sciences e già allievo di Antonio Cao), che fa parte di un'altra équipe di ricerca. «Gli studi del Progenia - spiega Cao, direttore dell'Inn del Cnr e già fondatore del centro per le talassemia - mirano a identificare i geni e i fattori ambientali responsabili dell'invecchiamento dell'uomo. Alla fine della ricerca saremo in possesso di un bagaglio scientifico unico e in grado, tra le altre cose, di consentire la prevenzione delle patologie legate all'invecchiamento». In questi ultimi mesi «è già iniziata la genotipizzazione, ovvero l'individuazione dei polimorfismi, le variazioni delle quattro basi del Dna». Combinazione che può produrre tantissimi intrecci, diversi da individuo a individuo e in numeri molto elevati. Ed è per questo che il gruppo si avvale anche della collaborazione di un signore chiamato Gonzalo Abecasis, che ai più non dice niente, ma che per chi lavora sulle grandi cifre è quasi un mago. Di origine portoghese, Abecasis svolge il suo lavoro negli Usa, è amico di David Schlessinger, e aiuta i biologi a togliersi d'impiccio. Questo signore è, infatti, «considerato dagli addetti ai lavori il maggior bioinformatico vivente», spiega Cao. «Ed è grazie a lui che nei prossimi cinque anni si potrà lavorerà per incrociare le caratteristiche genetiche con quelle ambientali». In queste ricerche «la Sardegna aiuta - continua Cao - perché la popolazione sarda presenta un patrimonio genetico omogeneo. Noi abbiamo analizzato, tramite un questionario, cento caratteri di ogni persona esaminata: dall'altezza al peso, dall'emotività alla rigidità delle arterie, dalla presenza del colesterolo alla dieta e così via. Alla fine l’interconnessione permetterà di capire questioni oggi oscure e che sono all'origine della longevità». Tra i primi risultati, alcune considerazioni sull'altezza. Che questa sia un fatto ereditario è cosa nota, che derivi dal nostro codice genetico solo per f80 per cento e che il restante 20 sia da addebitarsi all'ambiente (modalità di vita, geografia e cibo) è una scoperta nuova. II gruppo di lavoro, che ha sede principale a Lanusei, è composto da medici, infermieri, biologi, psicologi e matematici, e ha già costruito una banca dati con seicentomila risultati che ha iniziato a incrociare. «Lavori analoghi - precisa Cao - ma con risultati molto minori si stanno conducendo anche in altre quattro parti del mondo, tra cui in Islanda». Le diversità tra individuo e individuo derivano dal fatto che ognuno di noi possiede differenti varietà dello stesso gene. «Nella nostra isola - sottolinea Cao - le varietà sono minori. E questo ci permette di associare più facilmente la variante genetica a uno o più tratti particolari, quali ad esempio l'elasticità o meno delle arterie (importante per gli infarti), o il modo di porsi verso la vita come la capacità di affrontare con ottimismo 1e difficoltà». Così, ad esempio, è stato scoperto che esiste una relazione tra adiposità, circonferenza della vita e quantità di insulina presente nell'individuo. Poi è stato individuato il rapporto, nella formazione del colesterolo, tra ereditarietà e ambientale (il cibo e lo stile di vita): il 40 per cento la prima e il 60 il secondo. E ancora: si è rilevato che negli anziani longevi l'ereditarietà ha più peso nelle donne che negli uomini; e che, a seconda di come si combina una serie di caratteristiche di vita e di stato di salute, l'influenza dei geni si fa sentire più o meno tardivamente. Per capire i meccanismi della longevità «si tratterà di verificare - continua Cao - se alcune varianti genetiche, opportunamente individuate, si trovano solo nei giovani e non negli anziani». Oggi e domani, dunque, la sintesi dei primi cinque anni e la partenza per gli altri cinque. _____________________________________________________ Repubblica 4 giu. ’06 BASTA DEPUTATI COME DIRETTORI DELLE ASL “Legge scandalosa, l’abroghiamo” ROMA — A febbraio l’hanno approvata un po’ tutti, anche se in sordina. Adesso salterà. E’ la legge che permette ad ex parlamentari ed ex consiglieri regionali con almeno cinq u e a n n i d i mandato di diventare direttore generale delle Asl. E di dirigere le aziende sanitarie locali senza nemmeno avere bisogno di una specifica preparazione o di una laurea. Requisiti richiesti ovviamente a tutti gli altri candidati ai posti-guida dei nostri ospedali e delle strutture sanitarie. «La norma è uno scandalo. Per questo l’abroghiamo. La politica deve stare fuori dalla gestione della sanità» dice Livia Turco, ministro della Salute. «La sanità ha bisogno di buona politica che indirizzi, programmi e controlli. Ma la gestione della sanità deve essere affidata non a criteri politici bensì di competenza e professionalità ». L’abrogazione sarà contenuta nel decreto del governo Prodi che istituisce i ministeri. Livia Turco avrebbe preferito un provvedimento ad hoc, ma si dichiara comunque soddisfatta che la sua linea venga consacrata «nel prossimo Consiglio dei ministri». Le legge, che porta il n.43, era stata approvata il 1° febbraio scorso, a fine legislatura. Classica norma paracadute per i parlamentari che non sarebbero stati rieletti, con stipendi da 150 a 200 mila euro. Proposta dal governo di centrodestra, era stata approvata da Camera e Senato quasi all’unanimità. E se i politici riciclati nelle Asl erano medici non avevano nemmeno bisogno di avere frequentato, negli anni di mandato, i «programmi di formazione continua» obbligatori per gli altri candidati ai posti. Legge votata a fine legislatura, senza pubblicità, ma che scatenò subito polemiche. «Sembra singolare che non siano considerati anni di dirigenza quelli trascorsi come parlamentare» obiettò ai critici Antonio Tomassini, Forza Italia, presidente della Commissione Sanità ed Igiene del Senato. «A meno che non si voglia rimanere su princìpi di pura demagogia e di facile preconcetta ostilità e denigrazione dei parlamentari». La norma pro-politici era la bestia nera della F e d e r a z i o n e degli Ordini dei Medici, che aveva parlato di «lottizzazione della sanità». «Chiediamo da sempre — dice Aristide Paci, presidente della Federazione — una separazione netta tra la gestione di un’azienda particolare come quella sanitaria e le scelte di politica sanitaria che spettano, ovviamente, alla politica». linea condivisa dal ministro Turco, che annuncia un disegno di legge complessivo per affrontare la questione del «governo clinico» della sanità, partendo dai concorsi per medici e primari. «Vogliamo cambiare totalmente musica rispetto al governo precedente » dice il ministro. «I temi centrali saranno la qualità del sistema sanitario, l’innovazione, i cambiamenti strutturali dagli ospedali alla valorizzazione delle professioni. Cambieremo davvero registro». E se Romano Prodi ripete che la «sanità non deve essere considerata un costo», Livia Turco parla di «fattore di sviluppo ». «La battaglia per una spesa sanitaria equilibrata e rispettosa dei vincoli di bilancio — dice il ministro — non si vince con i tagli e le imposizioni. Si vince con la qualità nella gestione, nell’organizzazione e nelle prestazioni sanitarie. Perchè qualità è anche efficacia nelle scelte e parsimonia nelle spese. Per far questo occorre un nuovo patto con gli operatori sanitari e gli altri attori del sistema che veda come punto cardine la centralità del cittadino e dei suoi bisogni». ALTI STIPENDI La legge, approvata in febbraio a larga maggioranza, prevede stipendi per i manager fino a 200 mila euro PROVVEDIMENTO “Deve prevalere la competenza e la professionalità. Il prossimo consiglio dei ministri provvederà” _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 giu. ’06 NURSIND ALL’ATTACCO: «LA ASL RISPARMIA SULLA NOSTRA PELLE» SASSARI. Ancora polemiche in arrivo dal settore infermieristico che interviene sul precariato. «Turni di dodici ore consecutive, sostituzioni maternità dopo tre mesi, passaggio in ruolo dopo oltre sei anni dalla laurea, patologie professionali a raffica». Le critiche sono contro la Asl n.1 colpevole, secondo il sindacato autonomo Nursind, di concentrarsi soltanto sul ripianamento del bilancio senza risolvere davvero i problemi che affliggono la sanità. Gli infermieri chiedono alla giunta regionale di operare scelte sul precariato in linea con quelle annunciate dal governo nazionale. «In modo che venga eliminata, o almeno ridotta, l’incertezza di chi oggi come oggi non può programmare alcunché per sè e per la propria famiglia». «Si registra in questi giorni da più parti - si legge in un comunicato - soddisfazione e compiacimento per il rientro da parte della Sardegna nel novero delle regioni “virtuose” che non hanno sforato la spesa sanitaria prevista, ma non possiamo fare a meno di esprimere alcune considerazioni sulle modalità di raggiungimento di tale obiettivo». E il Nursind parla dell’utilizzazione da parte dell’azienda sanitaria e dell’università di oltre 250 infermieri laureati precari. «Ci chiediamo dunque: essendo solo una minima parte coloro che sostituiscono assenze prolungate come gravidanze o aspettative, tutti gli altri vanno a sopperire evidentemente carenze di personale. Perché non viene resa pubblica la dotazione organica necessaria reparto per reparto, in modo da mettere in risalto le unità operative carenti e quelle (presunte) in surplus di personale?». E ancora: «Se è vero che ci si trova in presenza di un numero abnorme di limitazioni funzionali da patologie varie e di imboscati, perché non si ha il coraggio di intervenire per limitare il fenomeno? O le recenti elemosine concordate di recente con i sindacati confederali di 10 euro lordi a notte, devono essere intese in tal senso?». L’arringa dell’organizzazione sindacale si concentra poi sul ricorso alle agenzie interinali e alle cooperative. «Si ha forse difficoltà a trovare direttamente le centinaia di persone che non attendono altro che una chiamata?». L’ultima frecciata è per le università sarde che «non si preoccupano minimamente del futuro degli infermieri e delle ostetriche che sfornano con dispendio di denaro privato (tasse universitarie degli studenti) e pubblico». (g.g.) _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 giu. ’06 IL VETERINARIO ASL3 VA ANCHE A DOMICILIO Riattivato il servizio macellazione uso famiglia, tante prenotazioni NUORO. Da quando è esploso l’allarme trichinellosi, la Asl 3 ha pensato bene di riattivare il servizio di macellazione uso famiglia. Totalmente gratuito: vale a dire che chiunque allevi suini per uso domestico può consumarne la carne e i prodotti derivati nel pieno rispetto della legge e in tutta tranquillitè. Non è poi cos difficile: se si vuole macellare un animale, si chiama il servizio (il cui recapito è disponibile presso tutte le guardie mediche), e si ottiene la visita di un veterinario che prima accerta le condizioni di salute del maiale, dè il benestare alla macellazione e compie poi il controllo successivo e determinante per quanto riguarda la trichinella. È semplice, veloce: il veterinario preleva pochi grammi di diaframma e lo sottopone a esame trichinoscopico, i cui risultati vengono comunicati in giornata. Dall’inizio dell’anno, sono state centinaia le chiamate ricevute dal servizio. E in nessun caso è stata riscontrata la presenza del parassita. Si parla di condizioni di evidente trasparenza. Di quegli allevamenti, cioè, che spesso nei paesi si hanno per esclusivo uso familiare. Altra cosa è l’allevamento allo stato brado, finora sfuggito ad ogni controllo. C’è paura della sanzione amministrativa, che parte da un minimo di 1549 euro e arriva fino a 9mila euro. La Regione, con le Asl, i comuni e le province, si è mossa subito dopo il primo allarme seguito al contagio di una famiglia orgolese composta da 5 persone, tutte finite all’ospedale nello scorso mese di aprile. Tremori, vomiti febbre alta, dolori muscolari, i sintomi. Dopo i primi tentennamenti, il servizio Malattie infettive è riuscito a individuarne la causa, appunto la trichinella, per le ammissioni dei pazienti: «abbiamo mangiato carne di maiale ». A quel primo contagio ne è seguito un altro, nel mese di dicembre. Altre sette persone, tutte di Orgosolo. Stesso iter ma con la consapevolezza del precedente, che ha senz’altro aiutato. Oggi quelle persone sono guarite. Sono state sottoposte giè ad un controllo a distanza, ma il parassita è stato debellato. Non è un problema da sottovalutare: senza fare inutili allarmismi, la trichinella, annidandosi nei muscoli, può erodere tendini, interessare il cuore, finire negli occhi, provocare shock anafilattico. Nei casi estremi, la morte. Vien da chiedersi se tutte queste eventualitè passino nella testa di chi ha scelto di non avvalersi degli strumenti per uscire dalla clandestinitè. Alla Asl la soglia dell’attenzione sul problema trichinellosi è molto alta. Ma anche la campagna informativa, promossa dalla stessa Regione che subito dopo il primo contagio organizzò un importante convegno a Nuoro, finora non ha sortito molti effetti. L’assessore alla sanitè Nerina Dirindin è stata a Orgosolo, cos hanno fatto i tecnici di Asl e Istituto zoopro- filattico. Ma tutto questo non è servito a scalfire il muro di silenzio che protegge i proprietari dei maiali. E la fortuna ha finora evitato altri episodi di contagio. (si.se.) _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 giu. ’06 L’ASL N.5 È LA CENERENTOLA DELLA SANITÀ Riequilibrio: fondi “ridicoli”. Protesta il Comitato per il diritto alla salute ORISTANO. «Mancano 73 milioni di euro all’appello: con questi tagli la Regione sta di fatto negando ai cittadini dell’Oristanese il diritto ad avere una assistenza sanitaria per lo meno alla pari di quella assicurata nel resto della Sardegna »: è la denuncia pesante partita, ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa del Comitato difesa diritto alla salute, al quale aderiscono anche Cisl, Adiconsum e Coldiretti. Un’iniziativa organizzata per denunciare «scelte della Regione che di fatto hanno penalizzato fortemente la sanità nel territorio della Asl 5». Secondo Sergio Meloni, portavoce del Comitato, impegnato nella battaglia per la riapertura del reparto di Ostetricia all’ospedale Delogu di Ghilarza, l’assessorato regionale alla sanità, nella manovra di riequilibrio dei fondi attribuiti alle Asl, avrebbe operato con il risultato di accentuare ulteriormente il divario dei livelli di assistenza fra la Asl di Oristano e quelle del resto dell’Isola. «Nel riparto 2005 — ha detto — ci accorgiamo che alla voce “riequilibrio”, mentre all’Asl 5 sono stati assegnati appena 1 milione e 146.289 euro, alla 17 di Iglesias sono andati oltre 17 milioni e mezzo di euro; 42 milioni sono stati attribuiti alla Asl 1 di Sassari; infine, addirittura oltre 69 milioni sono andati alla Asl 8 di Cagliari». Il “taglio”, ma solo per il riparto 2005, sarebbe dunque di circa 60milioni, esattamente un terzo delle risorse complessive, ai quali, secondo Antioco Patta, segretario provinciale della Cisl, «vanno aggiunte le altre risorse incomprensibilmente negate». Tagli che, sempre a giudizio di Patta, rischiano di incidere negativamente sul territorio. «Ricordiamoci che in questa maniera siamo addirittura al di sotto dei parametri fissati dal Governo nazionale — ha spiegato —, ma la cosa più assurda è che mentre nel nostro territorio risiede il 12% della popolazione sarda, per la sanità vengono assegnate appena il 7% delle risorse. Nel frattempo si punta allo sviluppo di tre poli della sanità, concentrando le risorse in particolare su Cagliari e Sassari». E le critiche sono andate ancora alla giunta regionale per la delibera con la quale, lo scorso marzo, ha deciso la realizzazione di un nuovo ospedale a Cagliari da 550 posti letto, «pari agli stessi posti letto che qui mancano all’appello». Giorgio Vargiu, segretario regionale di Adiconsum, è stato piuttosto duro: «Oristano per questioni socio economiche avrebbe diritto alla solidarietà delle altre province, cosa che invece viene assolutamente negata». Non meno pesante è stato Carlo Navarino, della segretaria provinciale dell’associazione dei consumatori; «Stiamo veramente toccando il fondo». Ieri non sono poi mancate le critiche nei confronti della dirigenza della Asl 5, con una nuova denuncia, sempre riguardo all’ospedale di Ghilarza: «Pare che adesso vogliano chiudere anche il reparto di chirurgia del Delogu — ha rivelato Antioco Patta —. Sembra si tratti di una misura temporanea per consentire agli addetti del reparto di Oristano lo smaltimento delle ferie arretrate. Purtroppo quanto avvenuto per ostericia ci ha insegnato che la temporaneità qui rischia sempre di trasformarsi in definitività». E intanto il Comitato, sempre riguardo Ghilarza, ha denunciato come «da quando è stata chiusa ostetricia, ben 800 pazienti sono in attesa di intervento». All’iniziativa di ieri si sono aggiunti anche i responsabili dell’associazione “Il seme di Capodarco”, Maria antonietta Villanucci e Antonello Ferreri, che hanno ribadito da un lato la contrarietà all’ipotesi di trasferire il servizio di riabilitazione nei locali di via Carducci, dall’altro hanno espresso forti critiche nei confronti della dirigenza dell’Asl «che di fatto favorisce la sanità privata — ha detto Ferreri —. Altrimenti non si capisce perchè ancora l’unico reparto di oculistica del territorio sia presso la clinica del Rimedio. Il paziente deve avere il diritto di poter scegliere fra l’assistenza pubblica e quella privata — ha aggiunto —. Se però manca il servizio pubblico non è possibile scegliere». La conferenza stampa è stata poi l’occasione per proseguire la polemica a distanza sulla partecipazione della sola Cisl al convegno sulla sanità, organizzato dalla Provincia. «In realtà — ha detto infatti Antioco Patta — noi eravamo stati invitati alla conferenza non come sindacato ma unicamente come componenti del Comitato difesa diritto alla salute, organizzazione che del resto aveva insistito affinchè la Provincia promuovesse la conferenza. Per quel che ci risulta — ha concluso il segretario della Cisl — i sindacati non erano stati invitati in qualità di relatori, ma come spettatori». Michela Cuccu _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 giu. ’06 GESSA: FINALMENTE UNA VERA RIFORMA DELLA SANITÀ di Gian Luigi Gessa Dopo che il Direttore Generale della ASL 8, Gino Gumirato, ha presentato agli operatori della sanità la proposta del Piano Strategico Sanitario 2006 — 2008 si sono levate anche in “campo amico” critiche, invettive e perfino qualche offesa personale nei confronti del Dott. Gumirato e dell’Assessore regionale della Sanità Nerina Dirindin. Ora che il clamore sugli organi di stampa si è assopito è opportuno fare qualche riflessione più pacata in merito alla suddetta proposta. La critica più severa al Piano da parte di alcuni medici, primari e di qualche sindaco è stata quella di non essere stati coinvolti nella sua elaborazione. Essi hanno lamentato di essere venuti a conoscenza dei contenuti del Piano alla sua presentazione alla Fiera. Tuttavia, una concertazione (o meglio, secondo una cattiva tradizione, contrattazione) preventiva, con tutte le parti interessate ai problemi della razionalizzazione della rete ospedaliera, dell’assistenza psichiatrica, delle strutture ambulatoriali territoriali, della prevenzione, dell’innovazione tecnologica e di altri importanti contenuti del piano, una concertazione, ripeto preventiva, avrebbe richiesto non meno di dieci anni di consultazioni. E non è detto che si sarebbe raggiunta una condivisione generale del Piano. Invece il documento è stato elaborato in dieci mesi con il contributo di diversi operatori della sanità e sotto la direzione di Gumirato: un immenso lavoro completo di idee e progetti, azioni e relativi oneri finanziari. Il Piano non è un diktat da applicare ma una proposta su cui oggi, tutti, associazioni, sindacati, medici, infermieri, politici, sindaci e cittadini sono chiamati a fornire pareri, suggerimenti e critiche costruttive. Ora le forze sociali e gli operatori della sanità dovranno valutare se il modello organizzativo del Presidio Binaghi valorizzi di più le importanti professionalità presenti; se il Centro “Percorso Donna” realizzi un importante punto di riferimento per le problematiche correlate al genere femminile; se la riabilitazione ortopedica intensiva e post- operatoria e l’ospedale pediatrico specializzato colmino una grave lacuna nella sanità sarda; se il piano dei servizi sociali che privilegia l’assistenza territoriale dei pazienti psichiatrici rispetto al rafforzamento dei servizi psichiatrici ospedalieri costituisca tale vantaggio per i malati di mente da controbilanciare possibili perdite di privilegi da parte degli psichiatri. Infine, alcuni lamentano che il Piano Sanitario Regionale non sia stato ancora attuato dopo due anni dall’insediamento dell’Assessore Dirindin. Non mi risulta che questi impazienti critici abbiano protestato con altrettanto vigore mentre la Sardegna, per quanto riguarda la programmazione sanitaria, rimaneva indietro di almeno vent’anni rispetto al resto d’Italia. Forse quelli che cercano di ostacolare in tutti i modi il processo di moralizzazione e di rinnovamento della sanità sarda rimpiangono i tempi in cui le concertazioni avvenivano a porte chiuse, tra interlocutori, sardi naturalmente, comprensivi più degli interessi dei primari che di quelli dei pazienti, più degli interessi particolari che di quelli generali. Ci voleva questa piemontese, che non ha parenti nell’isola, per aprire le porte e le finestre. E’ anche suo merito se la Sardegna non è più tra le regioni che rischiano il “commissariamento” per avere sforato di almeno il sette per cento il tetto di spesa nella sanità. Consigliere regionale Progetto Sardegna _____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 5 giu. ’06 IL DOLORE È UNA MALATTIA: CAGLIARI IN CONTROTENDENZA Cagliari. Sergio Meloni, responsabile del centro antalgico dell'Oncologico: «Il dolore è una malattia» Sardegna in controtendenza «Noi la morfina la usiamo» «Il progetto per un centro di riferimento nell'Isola è stato inserito nel piano sanitario» Cinzia Isola re g i o n e @ e p o l i s.s m Se ne parla tanto, ma senza adottare soluzioni concrete. Così, la terapia del dolore rischia di arenarsi, imbrigliata nei pregiudizi etici e morali della società e tra l’indifferenza istituzionale. E intanto nella ragnatela della sofferenza ci sono loro, i malati. Sofferenti a vari livelli di dolore cronico benigno, patologie ossee, articolari e dei nervi, oppure neoplastico, la tortura, cioè, degli ammalati terminali di tumore. Non si tratta solo di medicine ma di un complesso sistema di supporto al paziente che lotta contro il suo male. Insomma, oppiacei e in particolare morfi- na, ma non solo. «Intanto la morfina viene utilizzata», spiega Sergio Meloni, responsabile del centro antalgico dell’onco - logico. «E infatti, l’isola registra dati in controtendenza rispetto a quelli nazionali». QUELLO CHE SEMBRA ma n c are, piuttosto, è un sistema complesso di intervento per la terapia del dolore. «Bisogna parlare di vera e propria “medicina del dolore”, partendo da una accurata diagnosi, per poi intervenire chirurgicamente o con i farmaci. Purtroppo però, si guarda ancora al dolore come a un sintomo e non come ad una vera e propria malattia». La sofferenza diventa, così, l’aspetto tangibile della malattia per il paziente. E la lotta contro la malattia, lotta contro il dolore. «A volte si parla di malato e sofferenza facendo un miscuglio », spiega Meloni, «il vero problema, è che quando la malattia non risponde più alle cure, molto spesso ci si deve confrontare con la malattia del dolore». E nonostante gli sforzi, per il momento, la situazione in questo campo è disastrosa. Insomma meno chiacchiere e più fatti: «Si fa un gran parlare del problema ma ciò che serve è la creazione di un centro di riferimento, magari all’oncologico, con una rete che si sviluppi in tutte le realtà dell’Iso la ». Un ’idea raccolta anche dalle istituzioni. «Un progetto per cui mi batto da tempo e che è stato inserito nel nuovo piano sanitario regionale». L’indice di attenzione verso il malato è ancora molto basso, anche se curare il dolore non è facile. È un compito impegnativo che richiede spazi, personale e risorse. La sofferenza rende inquieti, ansiosi e spesso conduce alla depressione. In poche parole: spegne la voglia di vivere. E in questi casi è fondamentale anche il supporto psicologico. «Nella nostra struttura, ad esempio, c’era solo uno psicologo », conta, sconsolato Sergio Meloni. «Da una settimana sono due, ma sono comunque pochi rispetto alle esigenze dei tanti pazienti». In questo senso, il confine tra malattia e dolore sembra affievolirsi fino a scomparire, quando la cura è inutile e il dolore uccide. __________________________________________________ Il Giornale 10 giu. ’06 LA MEDICINA DIVENTA TECNOLOGICA Consegnati a Roma dall'Accademia delle biotecnologie Serono i Premi letterari- scientifici (quarta edizione) Il professor Edoardo Boncinelli, Luigi Cucchi Incontro a Roma a Villa miani tra scienza e letteratura, ricerca e fantasia, razionalità ed emozioni, in occasione della cerimonia di premiazione del Premio Letterario Serono, unico riconoscimento internazionale che si propone di indagare e sviluppare gli intrecci tra scienza e letteratura. 11 vincere la quarta edizione sono Edoardo Boncinelli, Kazuo Ishigqro, due degli autori più incisivi del panorama letterario - scientifico internazionale. che con due generi differenti, un saggio ed un romanzo. hanno saputo raccontare il legame tra il inondo della. scienza e la vita di tutti i giorni. La scienza è diventata parte integrante della nostra cultura. seppur a volte ci riempie di paura per ché non sempre è facile controllarla. «Emerge ima sorta di ingiusta diffidenza verso le sue possibilità», sostiene Carlo Alberto Redi, professore di zoologia e biologia dello sviluppo all' Università di Pavia e membro della giuria . «Quella di Ishiguro - aggiunge Redi - è chiaramente una provocazione narrativa, più che una reale preoccupazione, anche perché la realtà che descrive è del tutto immaginaria: mentre reali sono le possibilità offerta dalla biologia delle cellule staminali embrionali per l’avanzamento delle conoscenze scientifiche sullo sviluppo umano. la farmacogenomica e la medicina rigenerativa. ); infatti. molte legislazioni internazionali hanno recepito questa realtà». Proprio a questi fantasmi che ancora circondano la ricerca scientifica. ben al di là del suo concreto. effettivo tragitto, Kazuo Tsltiguro {lo scrittore giapponese nato a Nagasaki. ha visto le conseguenze dell'esplosione della bomba atomica) dà corpo e voce in snodo straordinario, con il romanzo uno dei premiati, spiega, i miracoli diagnostico-terapeutici vincitore del Premio: «Non lasciarmi», edito da Einaudi. Attraverso il teina della clonazione, il lettore è condotto ad una generale riflessione sull' essere umano: su suoi sentimenti e le sue défaillances, sulle sue inquietudini, sulla sua forza e la sua caducità. L'autore giapponese non arretra di fronte alle domande più scomode e radicali sul significato ultima dell'esistenza. 5e Ishiguro rappresenta l’incertezza dell'uomo nei confronti di temi importanti e critici come quello della clonazione, Edoardo Boncinelli, con «L'Anima della Tecnica», edito da Rizzoli, vincitore per la sezione saggi., conferma l'assoluta importanza di acquisire una consapevolezza, proprio per imparare a porre nella giusta prospettiva i fatti e per impadronirsi degli strumenti, concettuali e di metodo, utili per valutare le scoperte scientifiche e le loro applicazioni tecniche. Scoperte scientifiche che sono il segno del nostro vivere attuale, l'anima dell'oggi tecnologico. «Quello che ci proponiamo di fare attraverso il Premio - sottolinea Paolo Grillo, direttore Public Serono - è proprio la ricerca di nuovi linguaggi per raccontare la scienza, stimolare nel pubblico un interesse ad informarsi sempre di più su temi complessi ma che sono oggi alla base della nostra società, in modo che ognuno possa. accedere ad una coscienza critica. A chi legge devono essere forniti gli strumenti per porre le scoperte nel giusto contesto, al di sopra di ogni ideologia o pregiudizio». L'elevato valore dei volumi in gara ha reso molto articolata la scelta dei vincitori ed ha spinto la giuria ad assegnare un ulteriore riconoscimento, una menzione d'onore a Flo Conivavlim Siegelman, «L'eroe oscuro dell' età dell'informazione», Ed. Codice, la storia di uno dei geni della nostra epoca> Norbort Wiener, il matematico padre della cibernetica, la scienza che ha. aperto le porte alla riproduzione, sulla base di circuiti elettronici, di alcune delle funzioni del nostro cervello. II libro consente di gettare una occhiata sui misteriosi meccanismi cerebrali. La nuova rivoluzione delle «Macchine invisibili»: un grande scienziato esamina il rapporto tra l'uomo e la tecnologia dall'antichità ad oggi. «Che ne è stato dei vecchi cari robot dalle fattezze umane che avrebbero dovuto servirci il pranzo con i loro movimenti impacciati e il procedere traballante?». Non sono mai spariti, ci dice Edoardo Bancinelli, e hanno molto da insegnarci anche ora che assistiamo alla rivoluzione delle nanotecnologie. Le macchine non sono più fuori di noi ma parte di noi hanno cambiato il nostro modo di vivere, hanno potenziato ed esteso le nostre facoltà mentali permettendoci di raggiungere risultati un tempo impensabili. Sono "macchine invisibili", scandagliano il nostro organismo alla ricerca. di imperfezioni e malattie, e costituiscono uno dei "primi esempi di tecnica, quasi interamente figlia della scienza"». A cavallo di un ippogrifo, creatura fantastica che incarna la straordinaria umanità dei marchingegni di cui ci circondiamo, Boncinelli ripercorre la storia del rapporto tra l’uomo e la tecnica svelandoci il legame pro fonda tra l'invenzione e il miracolo ingegneristico alla base del nostro corpo. E ci ricorda che l'unica alternativa possibile all'uso delle macchine è quella di ritirarsi in se stessi e limitarsi a contemplare il mondo. _____________________________________________________ MF 9 giu. ’06 LE CARIE SI CURANO CON LO SPRAY Salute Uno spruzzo elimina gli streptococchi trapano addio, di Galeazzo Santini Il trapano, lo strumento classico utilizzato per combattere la carie, in futuro potrebbe diventare un arnese obsoleto e inutile. Un gruppo di scienziati americani,guidati dal professor Martin Taubman ha infatti messo a punto un efficace spray nasale in grado di combattere gli streptococchi, i batteri che in gran parte sono responsabili della carie; un malanno che ma volta aggredito un dente non `' può, essere curato, ma solo eliminato radicalmente con la trapanazione. Il nuovissimo spray nasale riesce a far si che le, mucose del cavo orale creino la produzione di anticorpi che bloccano la diffusione degli streptococchi. I maggiori successi ottenuti con questa nuova tecnica riguardano i bambini di un anno. A quell'età i loro denti sono normalmente. privi di batteri, mentre il sistema immunitario è già in grado di creare gli anticorpi necessari per proteggere la dentatura: Usata per i pazienti di età meno verde lo spray nasale aiuta comunque a ridurre la diffusione dei batteri. _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 giu. ’06 SASSARI: AUTISMO INFANTILE E TERAPIE FAMILIARI Facoltà di Medicina, una giornata di studio sulla rieducazione Il progetto “Pet therapy” concluso di recente ha dato risultati positivi stimolando con il gioco l’apprendimento SASSARI. L’autismo infantile come una forma di comunicazione bloccata, che coinvolge la famiglia e tutti coloro che entrano in contatto con il bambino. Nessuno sguardo, nessun contatto fisico, ma un continuo allontanarsi, un isolarsi dagli altri e dagli stessi genitori. E per loro scoppia il dramma di una esperienza devastante. Di questa patologia, che riguarda da vicino numerose famiglie del nord dell’isola, si è discusso nei giorni scorsi, nell’aula magna della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università di Sassari, alla giornata di studio intitolata «L’autismo infantile - la terapia familiare e le integrazioni possibili». L’incontro è stato organizzato dal Centro di Attività, Formazione e Ricerca in Psicoterapia del Ser.T. dell’Azienda Usl n. 1 di Sassari, dall’IefcosTre (Istituto europeo formazione consulenza sistemica Terapia relazionale - con sede presso il Ser.T. sassarese), in collaborazione con l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’università di Sassari. L’incontro, diretto da Walther Galluzzo dell’IefcosTre, aveva come obiettivo quello di far capire agli operatori del settore e alle famiglie afflitte da questo “male”, che i miglioramenti dei bambini affetti da disturbo generalizzato dello sviluppo (Dgs) si hanno con l’integrazione di interventi molteplici e tra loro sinergici. «La terapia comportamentale non è la sola applicabile - sostiene Pietro Diliberto, coordinatore dell’associazione Peter Pan -. Chi la pratica deve sì saperla erogare ma su questa, poi, devono essere innestate altre forme terapeutiche». Un trattamento che deve coinvolgere il bambino e tutta la famiglia, la quale deve essere sostenuta e portata a condividere un percorso di recupero che funziona per obiettivi successivi e graduali. «L’autismo è una patologia difficile - afferma Diliberto - che si porta dietro un ritardo mentale oltre che una serie di scenari complessi. Allora, tanti progressi possono essere fatti laddove si incide sul percorso terapeutico di rieducazione». Il lavoro deve essere di gruppo e tendere verso obiettivi minimali e consentire così di programmare interventi successivi adeguati. Un ruolo importante però in tutto questo la svolge l’immediatezza della diagnosi, basata anche sull’osservazione di criteri quali l’assenza, da parte del bambino, della comunicazione verbale e non verbale, oltre che carenze di attività e di interessi. «La terapia comportamentale - afferma Ica Manca della Neuropsichiatria infantile - deve essere affiancata da una terapia familiare e da terapie psicoeducative (cognitivo-comportamentali), come da una comunicazione facilitata e da una terapia psicodinamica. E gli obiettivi sono quelli di sviluppare nel bambino le capacità di comunicazione, di relazione sociale, quindi di vita indipendente e lavorativa». Una progressione che deve avvenire gradualmente nel tempo. L’intervento è quindi complesso e allo steso tempo deve essere globale, coinvolgendo il bambino, i genitori e la scuola. «La riabilitazione a Sassari - afferma la neuropsichiatra infantile Daniela Garau -, diretta o indiretta, ha una durata limitata, i trattamenti cioè sono brevi nel tempo. Per questo è necessario integrarli anche con la scuola». Altre forme di supporto agli interventi terapeutici sono stati illustrati da Antonella Dettori ed Emanuela Deriu. La prima ha illustrato le “Storie sociali”, una sorta di promemoria per il bambino, costruito da genitori e insegnanti tenendo presenti i punti di vista e gli interessi del bimbo. La neuropsichiatra Deriu invece ha parlato degli esiti positivi di un progetto di “Pet therapy” che, concluso di recente, ha permesso ad alcuni bambini affetti da Dgs di stimolare l’apprendimento attraverso il gioco. La giornata di studio si è chiusa nel pomeriggio, con la proiezione toccante e coinvolgente di alcuni filmati di terapie effettuate con bambini affetti da Dgs. _____________________________________________________ Corriere della Sera 4 giu. ’06 IL BAMBINO AUTISTICO DEVE ESSERE UN «AMICO SPECIALE» Sei piccoli da 3 a 5 anni ogni mille sono colpiti da una delle forme di autismo Guarire insieme * * * L' Associazione I fumetti sono spesso utilizzati per spiegare ai bambini il significato della loro malattia, oppure per distrarli durante i ricoveri. Il 2 giugno scorso, in occasione della Giornata dedicata all' autismo, anche l' Associazione nazionale genitori soggetti autistici (Angsa onlus) ha distribuito in molti luoghi d' Italia, cominciando dal parco divertimenti di Mirabilandia, la favola didattica di «Calimero e l' amico speciale». Questa favola si rivolge agli insegnanti e agli alunni di scuole elementari e medie inferiori perché possano imparare a relazionarsi meglio con bambini e ragazzi che hanno comportamenti autistici. La favola può essere anche vista e ascoltata nel sito dell' Associazione (www.angsaonlu.org). È, inoltre, in distribuzione l' opuscolo «L' Amico speciale», una filastrocca, commentata per insegnanti e genitori, per parlare di autismo con i bambini più piccoli. L' iniziativa si inserisce nella logica dell' integrazione promossa dalla legge 118/72, che stabilisce la necessità che le persone disabili vengano formate ed educate nella scuola di tutti. L' opuscolo, infatti, si propone di introdurre il tema dell' autismo nella scuola dell' infanzia e nelle prime classi della scuola primaria, affinché gli alunni possano comprendere che il loro compagno è un bambino po' speciale, ma non è un estraneo: anch' egli fa parte della classe e va coinvolto a pieno titolo. La pubblicazione è corredata da interventi di Carlo Hanau, docente di programmazione ed organizzazione dei servizi sociali e sanitari all' Università di Modena e Reggio Emilia. Lo scopo della Giornata di mobilitazione e delle iniziative che proseguiranno è, più in generale, quello di informare l' opinione pubblica e le Istituzioni sui problemi dei bambini autistici. L' occasione ha permesso anche di sottolineare gli scarsi finanziamenti dedicati alla ricerca sulle cause dell' autismo - secondo recenti indagini epidemiologiche, la sindrome autistica colpisce 6 bambini dai 3 e ai 5 anni ogni mille - in gran parte ancora sconosciute. Angsa, via Casal Bruciato 13, Roma, C.F. 0036970525 (www.angsaonlus.org) Stucchi Edoardo _____________________________________________________ La Repubblica 10 giu. ’06 IL LETTINO DELLO PSICANALISTA È MORTO Sempre più le sedute avvengono on line. Il parere degli esperti "Va bene nelle fasi iniziali". I medici Usa: "Raggiugiamo più pazienti" La terapia ora è via internet di ELENA DUSI ROMA - Il lettino dell'analista sta scomparendo negli Usa, e anche in Italia non si sente troppo bene. I suoi eredi sono schermo, tastiera e webcam. Se negli Stati Uniti la terapia online è oggi raccomandata dall'Associazione psichiatrica americana, in Italia si affacciano le prime applicazioni. Studi privati che offrono consulenza via mail o chat, progetti pilota per i pazienti che non possono alzarsi dal letto di ospedale, un forum sperimentale per adolescenti organizzato dalla Asl Roma E, e un progetto di ricerca con dieci "sedute" online sul sito dell'università di Bari. "Il futuro della medicina va verso l'uso della rete. La psichiatria non rimarrà estranea a questa tendenza" prevede Carlo Altamura, psichiatra all'università di Milano. "L'intervento via Internet ha molti limiti, ma ci permetterebbe di raggiungere quei pazienti che non hanno voglia di presentarsi in uno studio". Ancor prima dell'arrivo dell'onda di Internet, il lettino con il paziente disteso e il medico alle sue spalle ha in realtà già fatto il suo tempo. "Psicanalisi a parte, il setting tipico di uno studio di psichiatria o psicoterapia prevede terapeuta e paziente seduti uno di fronte all'altro su due poltroncine" spiega Altamura. Durante l'anno scolastico in conclusione, la Asl Roma E ha aperto un portale sulla salute mentale per 32 scuole della capitale. "I ragazzi erano liberi di confrontarsi tra loro in un forum o di chiedere l'intervento di un terapeuta. Di fronte a problemi normali, sofferenze che non raggiungono il livello di patologia, il confronto in rete è stato utile. I ragazzi si sono resi conto che il dolore è un'esperienza comune che in genere viene superata senza conseguenze. Ma di fronte a un vero disturbo psichiatrico non credo che la terapia online sia sufficiente" spiega Tommaso Losavio, psichiatra curatore del progetto. Sono gli stessi professionisti della psicologia in rete a riconoscere i limiti dello strumento. Vito Pisa, psicoterapeuta e responsabile della consulenza online del sito psicologinrete. it di Avellino, racconta. "Abbiamo un anno di vita, una rete di studi in molte città e in media riceviamo tre contatti a settimana. Ci sono capitati pazienti con tendenze suicide. Gli abbiamo subito consigliato di rivolgersi ai servizi competenti". La rete raccoglie una nicchia di individui che esigono l'anonimato. "Siamo stati contattati - spiega Pisa - da diverse donne che sospettavano comportamenti pedofili da parte di mariti o compagni". Comunicare attraverso uno schermo, fanno notare gli analisti, fa perdere molto dell'immediatezza della comunicazione. "Vis a' vis con il paziente - dice Domenico Nesci, psicanalista, ricercatore alla Cattolica di Roma - possiamo cogliere i lapsus, le frasi lasciate a metà. Un testo scritto è molto meno immediato". Come comunicare la diagnosi via computer è un problema ancora tutto da studiare. "Il counseling on line può aiutare nel monitoraggio di una terapia già consolidata, o in caso di un lungo viaggio del paziente, ma non credo possa sostituire il contatto diretto. Il canale principale della comunicazione in psicoterapia è fatto da reazioni immediate, la mimica facciale del paziente, la sua spontaneità" ritiene Andrea Fossati, professore di psicologia clinica al San Raffaele di Milano. L'esperimento dell'università di Bari, nato da un'idea di uno psichiatra e di un fisico informatico, non ha finalità terapeutiche, ma serve come aiuto per conoscere meglio se stessi. "Recentemente è stato scoperto - spiega Piero De Giacomo, professore di psichiatria nell'università del capoluogo - che un testo scritto contiene molte informazioni che il discorso orale trascura. Scrivere richiede la capacità di ordinare i propri pensieri. Il modo in cui questo viene fatto ci dà molte informazioni sulla mente degli individui che si presentano a noi tramite la rete". _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 giu. ’06 _____________________________________________________ La Repubblica 7 giu. ’06 HARVARD CREERÀ EMBRIONI UMANI L'ateneo americano potrà utilizzare soltanto finanziamenti privati Diabete, anemia, leucemia e altre malattie al centro della ricerca "Combatteremo i mali incurabili" WASHINGTON (Usa) - Gli scienziati dell'Università di Harvard a Boston inizieranno a creare embrioni umani da cellule staminali. Questo non per produrre "individui fotocopia", ma con la speranza di ottenere cellule "staminali bambine" e fare, così, progressi nella ricerca di cure per il diabete, l'anemia, la leucemia, il morbo di Lou Gehrig (sclerosi laterale amiotrofica) e altre malattie fino ad ora considerate incurabili. L'annuncio è di quelli che faranno discutere, perché per aggirare i "paletti" imposti dalla legislazione americana (dopo il divieto del 2001 di erogare fondi pubblici a sostegno della ricerca sugli embrioni) verranno utilizzati soltanto finanziamenti privati. I ricercatori di Harvard, inoltre, sperano di vincere diffidenze e obiezioni di natura etica e religiosa. "Se i nostri sforzi avranno successo - spiegano - segneranno un grande passo in avanti nel trattamento delle malattie croniche". Gli studiosi hanno già avviato il loro progetto: "Dopo oltre due anni di revisione e discussione scientifica ed etica - spiegano dall'ateneo statunitense - l'Harvard Stem Cell Institute e i ricercatori dell'Harvard and Children's Hospital di Boston hanno concordato di avviare esperimenti di clonazione terapeutica, con l'obiettivo di creare linee di cellule staminali specifiche per diverse malattie e di sviluppare nuovi trattamenti contro un'ampia serie di mali oggi incurabili". Per gli Stati Uniti, sottolineano i ricercatori, "si tratta della prima iniziativa non commerciale per l'uso di cellule staminali embrionali umane in test il cui principio è già stato dimostrato negli animali". La metodica adottata è chiamata Somatic Cell Nuclear Trasfert: si tratta di un trasferimento nucleare, che consiste nel sostituire il materiale genetico di una cellula uovo (cioè la metà del patrimonio genetico di una normale cellula) con il Dna prelevato da una cellula adulta, come ad esempio una cellula della pelle. In questo modo, la cellula uovo si troverà ad avere un patrimonio genetico completo, potendo così dare il via a "cambiamenti chimici ed elettrici che innescano la divisione della cellula uovo, e quindi la creazione di un embrione geneticamente identico alla cellula che ha donato il Dna completo". Per creare le diverse linee di staminali embrionali verranno utilizzate cellule della pelle donate proprio da malati di diabete, con malattie del sangue o patologie neurodegenerative: ogni linea di cellule avrà così le stesse caratteristiche genetiche del malato, e potrà essere utilizzata in laboratorio per cercare una possibile cura. Lo studio servirà anche a osservare come le malattie si sviluppano nei primi stadi della vita umana, prima che i sintomi diventino evidenti. La ricerca che coinvolge le staminali embrionali però, avvertono gli scienziati, non è esente da controversie: estrarre queste staminali dagli embrioni, infatti, "richiede la distruzione dell'embrione stesso. Chi si oppone a questo genere di ricerche sostiene che nessun potenziale beneficio medico può giustificare la distruzione di quello che loro considerano già una vita umana, se non già una persona". "Ma tutte le cellule umane - aggiunge Douglas Melton, co-direttore dell'Harvard Stem Cell Institute - compresi gli spermatozoi e gli ovuli sono 'vive'. La questione del quando inizia la vita è teologicamente e filosoficamente rilevante, ma dal punto di vista scientifico questo lavoro ha l'enorme potenziale di salvare vite, curare malattie croniche e migliorare la salute di milioni di persone. La realtà delle persone che soffrono ha maggior peso della potenzialità di un gruppo di cellule che potrebbero non essere mai impiantate in un utero per divenire persone, anche se noi non facessimo le nostre ricerche". "Il lavoro per adesso è ancora ai primi passi", ha spiegato George Daley, direttore associato del programma cellule staminali del Boston Children's Hospital. Harvard è il secondo ateneo americano a lanciarsi in questa sfida: il primo fu l'Università della California di San Francisco. _____________________________________________________ La Scienze 10 giu. ’06 LINFOCITI T "ASOCIALI" CON L'HIV La proteina virale Nef altera lo sviluppo delle "sinapsi immunologiche" Ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi e del CNRS hanno identificato un meccanismo sfruttato dall’HIV per alterare la risposta immunitaria dell’organismo. Nella loro ricerca, pubblicata sull’ultimo numero della rivista Immunity, hanno dimostrato che il virus riesce a ridurre considerevolmente i contatti fra i linfociti T infettati e le altre cellule del sistema immunitario, contatti indispensabili al dispiegamento della risposta immunitaria. Perché questa possa svilupparsi, infatti, i linfociti T devono entrare in contatto con le “cellule che presentano l’antigene”. Questo punto di contatto è detto “sinapsi immunologica”. In particolare la ricerca ha mostrato come il virus all’interno del linfocita T blocchi il trasporto intracellulare di alcune molecole importanti per la creazione di questa sinapsi. In conseguenza di ciò, il contatto con le cellule che presentano l’antigene è alterato in modo favorevole al virus. I ricercatori hanno anche identificato la proteina virale responsabile di questo fenomeno: si tratta della proteina Nef. _____________________________________________________ La Stampa 6 giu. ’06 CHE ASSURDITÀ LE STAMINALI ALTERNATIVE Elena Cattaneo DOPO l'intervento sulle cellule staminali embrionali del ministro Mussi in sede europea, il problema rimbalza in Italia. Rimane in sospeso il disegno di legge di Francesco Rutelli, presentato lo scorso settembre, che prevede lo stanziamento di 50 milioni per lo studio delle sole cellule staminali adulte. Già in occasione del recente Congresso mondiale sulla libertà di ricerca, promosso dall'Associazione Luca Coscioni, avevamo avanzato alcune critiche. Al di là del tono trionfalistico, ciò che colpisce è che con tale progetto Rutelli «sogni» di fare assumere all'Italia «un ruolo guida in un settore strategico, indicando la via di un approccio parallelo ed alternativo a quello utilizzato da altri Paesi, che invece lavorano sulle cellule staminali embrionali». Il solo fatto di pensare di volere creare una via originale e diversa da quella seguita da altri Paesi, che sono all'avanguardia in fatto di ricerca e sviluppo, è assolutamente utopistico e, in questi termini, inutile. Non si tratta di usare due metodologie equivalenti per raggiungere lo stesso fine. Ambedue i campi di studio, adulte e embrionali, sono importanti, ma complementari e non certo sovrapponibili. Siccome la ricerca è anche competizione, appare chiaro che non si può pensare di gareggiare con un auto di Formula 1 a cui manca una ruota. Si pensi, inoltre, alle difficoltà che avranno gli erogatori dei finanziamenti pubblici messi in campo dall'eventuale Legge Rutelli (nostri soldi) nell'accertarsi, ogni giorno, che i finanziati non «contamineranno» mai la loro ricerca sulle staminali adulte beneficiando di scoperte derivanti da ricerche (altrui) sulle staminali embrionali. Pratica impossibile da impedire perché, fortunatamente, la ricerca non funziona per compartimenti stagni. Rispetto alla legge 40 si stabilisce addirittura «il divieto all'utilizzo di cellule staminali embrionali umane», anche quelle già messe in coltura, che la 40 permette, di fatto bloccando in Italia anche quella minima ricerca sulle staminali embrionali umane fatta a fatica e senza finanziamenti. Un altro punto preoccupante è quello della creazione di tre Centri Nazionali con il compito di raccogliere tutto il materiale cellulare e di distribuirlo. Poiché esistono già centri simili in Italia, si rischia di creare inutili e costosissimi doppioni. Infine, sconcerta un altro articolo di legge che intende distribuire fondi pubblici affinché i cittadini siano informati sulle potenzialità terapeutiche e sulle caratteristiche delle cellule staminali adulte. Peccato, però, che non si riconosca nemmeno ai cittadini italiani il diritto di conoscere che esistono anche le cellule staminali embrionali e le loro potenzialità. Si parla quindi di un finanziamento pubblico per un'informazione parziale! Non resta che augurarci che Mussi possa (ri)condurre l'Italia in Europa e fuori dal Medioevo. Magari sperando che, nel frattempo, i nostri politici imparino ad acquisire le debite informazioni prima di legiferare. Così facendo, Rutelli ci avrebbe almeno evitato di puntualizzare che le «cellule staminali del pancreas», a cui si riferisce nel prologo della sua proposta e con cui una paziente italiana diabetica sarebbe stata curata, non sono ancora state scoperte. I dettagli nella scienza, crediamo anche nella politica, danno il peso della profondità d'analisi. [TSCOPY]Direttore del Rita Levi Montalcini Center for Brain Repair - Università di Torino Direttore del Laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali - Università di Milano[/TSCOPY] Piergiorgio Strata _____________________________________________________ La Stampa 7 giu. ’06 UN UNICO RESPIRO E LE PARTICELLE «NANO» CI INVADERANNO CRESCE L’ALLARME SUL NANOTECH UTILIZZATO NELL’INDUSTRIA E IN MEDICINA «POTREBBE SFUGGIRE A OGNI CONTROLLO». SI MOBILITA ANCHE LA COMMISSIONE UE SARANNO la prossima rivoluzione tecnologica. Le nanotecnologie, la manipolazione della materia fino a livello atomico, sono destinate ad avere un impatto straordinario su medicina, produzione di energia, fabbricazione di materiali. Raramente, però, nella storia della tecnologia i benefici dell'innovazione arrivano senza qualche rischio. E anche sui possibili aspetti negativi della rivoluzione nanotech cominciano a nascere le preoccupazioni. L'ultimo caso arriva dalla Germania. Qui è arrivato sul mercato «MagicNano», un prodotto per la puliza del bagno contenente nanoparticelle di silicato che, legandosi alle irregolarità delle superfici, riducono la quantità di polvere che può depositarsi su di esse. Ottanta acquirenti del prodotto hanno avuto problemi respiratori e sei sono finiti in ospedale. Per la verità la causa dei malori non è ancora stata accertata con sicurezza: problemi simili sono stati causati anche da altri prodotti non nanotecnologici, mentre altri prodotti delle stessa marca basati sulle nanotech non hanno mai dato problemi. Tuttavia, «MagicNano» è stato ritirato immediatamente dal mercato e l’incidente è bastato a riaprire il dibattito. Sono infatti già centinaia i prodotti figli della rivoluzione nanotecnologica: additivi chimici usati nei carburanti, sostanze plastiche usate per parti di auto, materiali ad alta resistenza per attrezzature sportive. Ma anche prodotti cosmetici e per l'igiene, che possono essere inalati o applicati sulla pelle. Applicazioni molto diverse, ma che hanno in comune una caratteristica: contengono particelle delle dimensioni di pochi nanometri (milionesimi di millimetro), appositamente progettate e assemblate per dare ai materiali proprietà particolari. Si sa che più piccole sono le particelle e più facilmente superano la barriera costituita dal muco nelle vie respiratorie per depositarsi negli alveoli, le minuscole sacche dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno contenuti nel sangue. Da lì a finire in circolo in tutto il corpo il passo è breve. E come ha dimostrato Günter Oberdörster, tossicologo dell'Università di Rochester, le nanoparticelle potrebbero anche superare la barriera emato-encefalica, quella che impedisce alla maggior parte delle sostanze presenti nel sangue di raggiungere il cervello. Sotto osservazione, in particolare, ci sono i fullereni, molecole di carbonio in cui gli atomi si dispongono in forma sferica, simile a quella di un pallone da calcio, e i nanotubi di carbonio, che derivano dal «prolungamento» dei fullereni. Usate nelle celle solari come nei chip per computer, queste particelle sono finite sotto accusa, quando i ricercatori della Nasa, guidati da Chiu-Wing Lam, hanno dimostrato che nei polmoni dei topi possono causare danni progressivi. I ricercatori avevano fatto notare come da queste prove i nanotubi risultassero per i topi più tossici del quarzo, considerato normalmente un serio problema di medicina del lavoro. Un discorso simile vale per i cosiddetti «quantum dot», nanoparticelle fluorescenti usate nei test diagnostici in medicina. L'idea è quella di agganciare queste particelle agli anticorpi, iniettarli nei pazienti e in questo modo evidenziare alcuni tessuti, in particolare quelli tumorali. I «quantum dot» sono realizzati in seleniuro di cadmio, che è tossico nella sua forma normale, e per questo sono racchiusi in un involucro protettivo. Ma non si sa se possano rimanere in questa forma a lungo o se l'involucro sia destinato a deteriorarsi e rilasciare il suo contenuto tossico nell'organismo. La questione preoccupa ormai anche le istituzioni incaricate di vigilare sulla sicurezza dei prodotti in commercio. Negli Usa la Food&Drug Administration ha annunciato che testerà gli effetti di tutti i prodotti medici che contengono nanoparticelle. E la commissione europea ha incaricato fin dal 2004 un gruppo di 17 esperti di esaminare i pericoli possibili derivanti dall'esposizione ai materiali derivati dalle nanotecnologie per l'uomo e per l'ambiente. Finora, però, i pochi studi condotti sulle applicazioni in commercio hanno dato esito rassicurante. Uno studio inglese curato dalla Royal Society ha concluso che la stragrande maggioranza delle applicazioni nanotech non pone pericoli per la salute. Ma ha evidenziato la necessità di indagare più approfonditamente i possibili effetti delle nanoparticelle «libere», che possono venire direttamente a contatto con la pelle o essere inalate. Nicola Nosengo Professoressa, quanto sono fondate le attuali preoccupazioni attorno ai rischi per la salute causati dalle nanotecnologie? «Al momento, ed è bene chiarirlo subito, non esiste nessuna prova epidemiologica di effetti nocivi sull'organismo delle più recenti applicazioni nanotecnologiche. Ci sono esperimenti sui topi che hanno mostrato che alcune di queste particelle possono superare la barriera ematoencefalica, e questo è un dato importante che richiederà altri studi. Ma anche in quel caso, poi, non sono stati riscontrati danni particolari. Certo, ci sono diversi motivi per vigilare. Sappiamo che la stessa sostanza può comportarsi in modo diverso a seconda delle dimensioni delle particelle di cui è composta, e l'effetto biologico di un materiale dipende spesso dalla superficie di esposizione più che dalla quantità. Voglio dire che, se una sostanza causa reazioni infiammatorie, più piccole sono le particelle in cui è suddivisa più l'entità della reazione aumenta, perché la superficie che entra in contatto con i tessuti è maggiore, a parità di massa del materiale». Ma questi non sono gli stessi problemi causati dalle comuni polveri fini? «In realtà quelle che i nanotecnologi chiamano nanoparticelle sono le stesse particelle che i tossicologi hanno sempre chiamato polveri fini, ed esistono da molti anni. I catalizzatori delle marmitte catalitiche, per esempio, hanno sempre contenuto nanoparticelle. Quindi questi sono rischi che conosciamo bene». Molti però sono preoccupati per il fatto che le nanotecnologie manipolano soprattutto il carbonio, un elemento molto reattivo che entra in gioco in tutti i processi vitali fondamentali. «Il carbonio può essere molto reattivo in alcune forme o non esserlo per niente in altre, si pensi al diamante. Il problema è proprio che non bisogna fare di ogni erba un fascio. La tossicità delle nanoparticelle andrà verificata caso per caso. Sta passando nell'opinione pubblica l'idea che le nanotecnologie siano una realtà omogenea. E' la stessa cosa successa con le fibre di amianto, a causa delle quali a un certo punto venivano criminalizzate tutte le fibre. Non esistono “le nanotecnologie”: sotto questo termine ombrello si trovano composti molto diversi. Personalmente credo al principio di precauzione e all'idea che in presenza di seri dubbi si debba limitare la diffusione di una nuova tecnologia. Ma quel principio dovrebbe essere applicato anche alla comunicazione. Anche il procurato allarme è pericoloso e non si dovrebbero creare preoccupazioni nel pubblico in assenza di dati affidabili». n. n.