L’UNIVERSITA’ SI RIBELLA «I NOSTRI QUATTRO PERCHE’ - ALLA RICERCA DELLA BUONA RICERCA, SENZA RIPETERE VECCHI ERRORI - I CONSERVATORI DELLA RICERCA - - RICERCATORI NELLE UNIVERSITA’, PERCHE’ LA RIFORMA NON CONVINCE - "SENZA NOI RICERCATORI L'UNIVERSITA’ SI FERMA" - UNIVERSITA’, LA CARICA DEI RICERCATORI SASSARI DOCENTI E STUDENTI IN ASSEMBLEA: L'UNIVERSITA’ BOCCIA LA MORATTI - L’UNIVERSITA’ STATALE E’ CONDANNATA - RICERCATORI "IN AFFITTO" OCCASIONE DA SFRUTTARE - CHE VERGOGNA, IO SCIENZIATO LAVAVETRI - COMIN: SULLA RICERCA: NON MITIZZATE I LABORATORI - RICERCA,SERVONO I FATTI - IL TITOLO DI DOTTORE ANCHE CON STUDI TRIENNALI - TUTTI "DOTTORI", LA PASSIONE ITALIANA E’ SALVA - IN SARDEGNA FINANZIATI DICIANNOVE PROGETTI DI RICERCA(2,1 MILIONI) - CONTRO IA METAFISICA SCIENTISTA - "INGEGNIERE" E "AEREOPORTO" GLI UNIVERSITARI NON SANNO L'ITALIANO - UN ROMANO SU DUE A RISCHIO ANALFABETISMO - APPROVATA L'INTRODUZIONE DEL CEDOLINO ELETTRONICO - ================================================================== TUTTA LA SANITA’ SARDA OSPEDALE PER OSPEDALE - I MEDICI DEL FUTURO - «SANITA’ MALATA? SI DEVE CURARE CON I TICKET - AUTISMO: L'AIUTO DELLA GENETICA - I CHIROPRATICI - INVENTATA UNA CALZA PER IL CUORE - LA BIOLOGIA SMONTATA E RICOMPOSTA - RIGENERAZIONE CELLULARE ' ECCO GLI ULTIMI TRAGUARDI - LA DIAGNOSI SI FA A TRE DIMENSIONI - OSSA E DENTI SI RICOSTRUISCONO AL MICROSCOPIO - LE RUGHE? SONO COLPA DEL GRASSO, NON DELLA GRAVITA’ - LE TRAPIANTANO L' OVAIO SUL BRACCIO, SARA’ FERTILE - UNA PILLOLA DOPO I PASTI E LA FLAUTOLENZA DIVENTA PROFUMO ALLA MENTA - GLI SPERMATOZOI HANNO UN "NASO" LI GUIDA IL PROFUMO DI MUGHETTO - NUOVE DIFESE CONTRO IL GLAUCOMA - LA MORTE CEREBRALE E’ SENZA RITORNO - L'INVECCHIAMENTO DEI NEURONI - DUBBI SU UN FARMACO BETABLOCCANTE - ================================================================== _______________________________________________________________ La Stampa 11 nov. ’04 L’UNIVERSITA’ SI RIBELLA «I NOSTRI QUATTRO PERCHE’» MINISTERO NON CAMBIA LINEA: NESSUNA INTENZIONE DI RITIRARE IL DDL ROMA Che fara’ il ministro Letizia Moratti, ora che la «santabarbara» della scuola e dell’universita’ sta scoppiando? Ora che in tutti gli atenei, anche in quelli piu’ piccoli e sperduti, si stanno attivando forme di protesta che non recedono? Ora che si sta preparando uno sciopero della scuola con tanto di manifestazione per lunedi’ prossimo? Ora che gli studenti si stanno mobilitando per una manifestazione mercoledi’ 17? Ora - anzi, oggi - che iniziera’ a pochi metri dalla sede del ministero un grande show di protesta di tutto il mondo accademico - dai baroni agli studenti - che si protrarra’ per 24 ore, notte compresa? Al ministero nessuno parla ufficialmente. Nell’agenda del ministro non sono fissate iniziative particolari che si possano configurare come risposta ai punti sollevati dai manifestanti (stato giuridico dei docenti, precarizzazione dei ricercatori, taglio dei finanziamenti, diritto allo studio). Non sono fissati neppure degli incontri con sindacati o con delegazioni, almeno fino allo sciopero del 15, poi si vedra’. La linea e’ quella di «tirare dritto». «Il metodo che il ministro si e’ dato - spiega un dirigente del ministero - e’ quello di ascoltare tutti prima di ogni iniziativa legislativa, ragionare quindi su una bozza di proposta, e decidere. Da quel punto in poi le cose hanno un iter che e’ quello previsto per i provvedimenti di legge, ddl o decreti che siano». E dunque che ne sara’ del ddl di riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, che e’ al centro di tutte le proteste? «Il ministro - e’ la risposta - non ha intenzione di ritirarlo. Ci crede e lo portera’ avanti fino all’ultimo». Con buona pace delle universita’ in subbuglio e della stessa Crui (la conferenza dei rettori) che lo ha molto criticato. C’e’ poi la questione dei ricercatori: quelli che sono in organico (e che spesso non sono piu’ giovanissimi) non perdono il posto, ma vogliono un ruolo docente che li sottragga ad una condizione di marginalita’, sottesa dalla definizione «ruolo ad esaurimento». Poi ci sono le nuove leve che ambiscono ad entrare nel sistema e non vogliono, invece, emigrare. «Il ministro - e’ la risposta - sta lavorando assiduamente per allargare la base dei giovani da inserire nei ruoli di ricerca». Ieri stesso da viale Trastevere e’ stato diffuso un comunicato nel quale si parla di 982 progetti approvati e finanziati con 137 milioni di euro: «Queste sono le risposte concrete che il ministro intende dare». Ma alla fine ogni vertenza potrebbe essere facilmente composta, se non fosse d’intralcio la questione delle questioni, e cioe’ quella dei finanziamenti, sia per la scuola che per l’universita’. Se - per esempio - il sistema universitario potesse avere quei 4-5 miliardi in 5 anni, probabilmente ci sarebbero risorse sufficienti per tutto: per i ricercatori, per le borse Erasmus, per allargare il numero dei dottorati, per le residenze universitarie che consentirebbero un’effettiva mobilita’ degli studenti (e quindi una vera possibilita’ di scelta tra le varie sedi messe in concorrenza). Per quanto riguarda la scuola poi, se arrivasse una cifra almeno doppia e negli stessi tempi, ci sarebbero soldi per adeguare agli standard europei le retribuzioni dei docenti (+15%), per sopperire alle carenze edilizie degli edifici scolastici, per investire sulla qualita’ della didattica e le tecnologie. «Il ministro ha molto presente anche questo problema. Siamo pero’ di fronte alla coperta corta - dicono al ministero -. Ma se anche i sindacati facessero la loro parte, tutto sarebbe piu’ agevole. E’ noto che il ministro ha deciso per intanto di ristrutturare la spesa, assegnando al personale non piu’ il 94% del budget com’e’ oggi, ma l’85%. Basterebbe aumentare anche di un solo punto il rapporto docente-allievi, che da noi e’ quasi il doppio che nel resto d’Europa, e mettere un tetto agli insegnanti di sostegno. Ma ogni volta che si parla di queste cose, ecco manifestazioni e proteste. Cosi’ anche il possibile sfugge immediatamente». _______________________________________________________________ Il Corriere della Sera 11 nov. ’04 I CONSERVATORI DELLA RICERCA Perche’ siamo agli ultimi posti in Europa Giavazzi Francesco Lo studio della Fondazione Rosselli su ricerca e innovazione, illustrato sul Corriere di domenica scorsa, non fa giustizia dello stato della ricerca in Italia. E' possibile che la situazione sia tanto disperata che persino la Spagna sembri ormai irraggiungibile, ma non e’ vero che in Italia non esistano centri di ricerca e ricercatori eccellenti. Nel campo della matematica e della fisica la Scuola internazionale di studi avanzati di Trieste e’ uno dei luoghi migliori dell' Europa continentale; in alcune aree delle scienze mediche e biologiche l' Istituto Mario Negri e l' Istituto europeo di oncologia, sono essi pure tra i migliori d' Europa. Anche nella mia materia, l' economia politica, esistono centri di ricerca eccellenti, anche se sconosciuti ai piu’: uno dei migliori d' Europa ha sede presso l' Universita’ di Salerno. E tuttavia questi successi sono ottenuti non grazie a uno sforzo coerente per promuovere la ricerca, ma nonostante si faccia di tutto per ostacolarla. Si dice spesso che il problema e’ soprattutto la mancanza di finanziamenti. Nulla di piu’ errato. Se ci confrontiamo ad esempio con la Gran Bretagna, un paese spesso ai primi posti nelle classifiche, la spesa per accademico (dati Ocse del 1999) era 139 mila dollari in Gran Bretagna, 167mila in Italia. La differenza sta nella produttivita’: il numero di citazioni per un milione di dollari spesi era, nel 1997, di 70,5 per un accademico britannico, di 34 per un italiano. Dare piu’ finanziamenti a questo sistema servirebbe solo ad aumentare le rendite di cui godono le corporazioni della ricerca, con scarsi effetti sulla qualita’ e sulla produttivita’. Il vero problema e’ quello del reclutamento: nelle universita’ l' eta’ media dei ricercatori - i piu’ giovani nella gerarchia accademica - e’ di 50,6 anni e il 25% ha superato i 56 (si veda Reichlin e Lippi su www.lavoce.info). Il blocco delle assunzioni, che il governo si appresta a reiterare, e’ la morte della ricerca. La signora That- cher svecchio’ le universita’ offrendo incentivi affinche’ chi aveva abbandonato gli studi si ritirasse. Perche’ si mandano in pensione anticipata i dipendenti della Fiat e non i professori? Solo perche’ costoro non stanno sul mercato e nessuno ne valuta la produttivita’, molti cioe’ vivono di rendita. Assumere nuovi ricercatori senza cambiare le regole avrebbe effetti altrettanto deleteri: l' anziano rentier accademico che va in pensione verrebbe sostituito non dal giovane piu’ promettente, ma da quello che e’ stato piu’ assiduo nel sostituirlo quando i suoi molti impegni non gli consentivano di tenere le lezioni. (Per l' economia si vedano i dati del Bollettino dei concorsi sul sito www.igier.unibocconi.it/perotti). Anche le imprese chiedono piu’ finanziamenti per la ricerca. Prima di spendere nuovi denari, sarebbe opportuno capire se funzionano, e quanto sono sinora costate, le iniziative avviate: Torino Wireless, Veneto Nanotecnologie, il distretto campano sui materiali polimerici, quello di Catania di microelettronica, l' Hi-Mech in Emilia, il distretto sulla bioscienza a Milano, quello sull' Aerospazio a Castel Romano: come si vede non mancano le idee, ma forse i risultati. Confindustria spesso lamenta la scarsa attenzione del governo per la ricerca: verrebbe da dire «Da quale pulpito!». I nostri imprenditori possiedono un' universita’, la Luiss: per le ultime due cattedre di economia assegnate da questa universita’ non e’ stato scelto uno dei molti giovani italiani che insegnano negli Stati Uniti e rientrerebbero volentieri, bensi’ due professori molto vicini all' associazione ma non certo giovani ricercatori. _______________________________________________________ Corriere della Sera 7 nov. ’04 ALLA RICERCA DELLA BUONA RICERCA, SENZA RIPETERE VECCHI ERRORI CON LE SANATORIE STILE ANNI 8O NON SI RISOLVONO I PROBLEMI DELL'UNIVERSITA’, si AGGRAVANO. PARLA ENRICA ALLEVA Roma. Il decreto legge Moratti sull'Universita’ attende di essere discusso alla Camera, nel prossimo dicembre, e nel frattempo, in nome della ricerca, la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo e’ riuscita a spuntare il taglio dell'Irap. Sono due dei motivi per cui molto si discute di sorti della ricerca italiana e dei ricercatori. A Enrico Alleva, direttore del Reparto di Neuroscienze comportamentali dell'Istituto superiore di sanita’, abbiamo chiesto cosa ne pensa di alcuni degli aspetti piu’ contestati del decreto, come la cosiddetta "messa a esaurimento" del ruolo di ricercatore universitario, che secondo le posizioni critiche condannerebbe alla precarieta’ chi si affaccia oggi al mondo della ricerca. "Oltraggiosa", secondo alcuni, sarebbe la proposta di lavoro a tempo determinato per cinque anni, con una retribuzione pari a quella dell'attuale ricercatore universitario (mille euro al mese). Alleva spiega al Foglio, innanzitutto, che non e’ uno scandalo una verifica periodica dei programmi di ricerca: "Anche il Cnrs francese prevede ogni cinque anni una verifica seria sul lavoro dei ricercatori, condotta da commissioni internazionali. Se si capisce che un gruppo non marcia bene, generalmente gli si danno altri cinque anni di tempo, e si fa capire con schiettezza e tempestivita’ che e’ bene mettersi in moto per cercare alternative, magari spostandosi in un altro laboratorio; anche in un'altra citta’. Alcune unita’ di ricerca vengono pero’ sciolte, e senza troppi drammi. Chi e’ bravo non ha problemi. Un ricercatore della Max Planek Society, per esempio, se lo litigheranno sempre, sia in Europa sia in America, e certamente non restera’ a spasso. Ma e’ importante sottolineare che il ricercatore dal laboratorio in disarmo arriva sempre con una dote, perche’ il laboratorio che lo accetta ha, in cambio, notevoli incentivi economici. Il meccanismo non e’ mai: di quel ricercatore non sappiamo cosa fare e dove metterlo, oppure lavori un certa numero di anni e poi a spasso. Ma lavori sei anni; o cinque, e poi hai la possibilita’ di spostarti, se le cose non vanno, e se vali professionalmente. Anche se cambiare citta’ non e’ mai evento a costo zero, soprattutto dopo una certa eta’". Le ricette anglosassoni Alleva racconta che quando arrivo’ all'Universita’ di Stanford, in California, nel 1986, e racconto’ che da quando era ventiseienne aveva un posto fisso {"tenure"}, lo guardarono "come un extraterrestre. Ma quello che puo’ succedere, in America, non e’ di essere licenziati: al massimo da Stanford si passa a un'Universita’ di "seconda classe", come Southern California o San Jose’ State. Ma non si esce facilmente dal sistema se almeno per alcuni anni si e’ stati temporaneamente assunti da un centro di prestigio come Stanford. Questo e’ l'equivalente del posto fisso. Laggiu’, pero’, una certa percentuale dello stipendio puo’ arrivare dalle agenzie federali tramite i fondi che si riescono ad attirare sulla propria ricerca (il limite e’ stabilito dall'universita’ locale). Il resto lo paga la comunita’ locale e, soprattutto, le tasse d'iscrizione degli studenti. Quando si cominciano a ottenere molti fondi, per premio si puo’ prendere una percentuale piu’ alta anche dalle agenzie federali. Quando quello che fai tira sei premiato, quando non tira, di fatto ti si abbassa lo stipendio. Ma vorrei sfatare la leggenda dell'America in cui puoi essere licenziato in tronco senza spiegazioni. Non e’ vero. Ci devono essere pareri ufficiali e valutazioni serie e ponderate sul tuo operato, prima di un passo del genere". Al di la’ se sia o meno possibile "importare l'America" nella ricerca italiana, Alleva ritiene che i difetti del nostro sistema siano anche l'esito di una catastrofe che la rivista inglese "Nature" aveva previsto fin dai remoti anni Ottanta: "In un editoriale, pubblicato subito dopo una gigantesca imbarcata ope legis e senza alcun vaglio meritocratico di innumerevoli persone alle quali fu riconosciuto il ruolo di ricercatori, Nature scrisse che in Italia il sistema era impazzito, e che in quel modo si ponevano le basi della sua futura ingovernabilita’. I protagonisti di quell'imbarcata, che oggi hanno intorno ai cinquantacinque anni, hanno visibilmente saturato il sistema della ricerca. I guai, insomma, originano nelle sanatorie in stile anni Settanta, in nome di un buonismo che, gia’ a quei tempi, altrove era visto come anomalo, e faceva chiedere: ma che faranno tutti quei ricercatori a quaranta, quarantacinque, cinquant'anni? Non toglieranno posto a quelli piu’ giovani? Alcuni hanno fatto carriera. Altri sono rimasti fluttuanti nel sistema e con lo slittamento facoltativo di tre anni ci rimarranno vieppiu’, con i giovani costretti ad attese ancora piu’ estenuanti. E poi ci si stupisce perche’ in Italia sono rarissimi ricercatori di ruolo sotto i trentacinque anni. Ma non dovrebbe essere un buon motivo per ripetere, con una nuova infornata senza criterio, lo stesso errore di allora". L'eta’ non e’ un problema da poco, spiega Alleva: "Sappiamo che dopo una certa eta’ la creativita’ dei ricercatori declina, dei matematici piu’ precocemente. Non e’ necessario che si resti in laboratorio per tutta la vita. Si puo’ essere spostati ad attivita’ museali o didattiche, nelle scuole: utilissime per scoprire e far germogliare talenti precoci". Esiste, senza dubbio, un problema di selezione. Con quali criteri? Risponde Alleva che %l problema vero e’; come sempre, chi seleziona. Ora le cose funzionano in modo tale che se sei nato a Roma e lavori all'Universita’ di Roma e vuoi provare fare carriera da qualche altra parte, puoi scordartelo. Chi e’ dentro vota e promuove, la candidatura dall'esterno e’ ormai una rarita’. Ci sono i nuovi bandi ad hoc delle varie Universita’ (non piu’ i vecchi bandi pubblici nazionali) ormai costruiti su profili ai quali mancano, praticamente, solo le impronte digitali, tanto sono blindati". C'e’ poi il problema dei fondi per la ricerca, con l'Italia accusata di essere il fanalino di coda del mondo industrializzato (ma poi scopriamo anche, dati Ocse del 1999 alla mano, che la spesa per accademico e’, in Italia, di 22.000 dollari superiore a quella dell'omologo inglese, che pero’ rende, in termini di risultati, assai di piu’. Lo sottolineava ieri sul "Corriere della Sera" Francesco Giavazzi). Alleva vuole puntualizzare che i soldi europei sono anche italiani, dato che anche noi contribuiamo al bilancio dell'Unione per la ricerca. Molti soldi che arrivano da Bruxelles sono prima partiti da Roma, anche se purtroppo non e’ detto che ci ritornino. Gli inglesi, che negli anni della Thatcher videro crollare i fondi pubblici, fecero di necessita’ virtu’ e divennero i primi e i piu’ bravi ad attingere alle risorse comunitarie, con notevoli successi. E' vero che i dottorati sono pagati poco, ma non solo da noi. In Gran Bretagna guardano a cosa si fa concretamente, se le persone hanno una forte motivazione oppure se sono parcheggiate in attesa d'altro. Va bene allora pagarle di piu’, ma anche sceglierle meglio, per dare piu’ opportunita’ a chi lo merita. Chi vale e ha buoni dati non avra’ difficolta’ a lavorare in progetti internazionali. Non succede ai ricercatori cementati a vita nel sistema per caso o per sbaglio, che non andrebbero riutilizzati necessariamente nel settore della ricerca. Franco Giavazzi si chiede sul Corriere della Sera come mai, se esistono i cassaintegrati alla Fiat, non debba essere possibile la stessa cosa al Cnr. Si puo’ essere o meno d'accordo con lui (personalmente non lo sono), ma credo che ci siano spazi per impegnare le persone altrimenti: supporto alla ricerca, valutazione, didattica pre universitaria, insegnamento per la riconversione industriale, terza eta’. Sulla possibilita’ di rimanere o non rimanere in laboratorio non dovrebbe invece decidere il diretto interessato. Con procedure di valutazione garantite, magari lunghe, certamente trasparenti, dovrebbero stabilirlo altri, scelti per onesta’ e rigore. Nel nostro sistema, insomma, c'e’ una grande massa grigia, gente che ha l'etichetta di ricercatore senza esserlo veramente. Mario Ageno, l'ultimo grande fisico a essersi laureato con Enrico Fermi, diceva: Vuoi cavalli che corrano, campioni con le gambe lunghe? Devi alzare l'altezza della greppia. Chi riesce a mangiare sopravvive, gli altri a casa. Anche senza arrivare a questo, perche’ la gente deve mangiare lo stesso, bisogna trovare il modo di far diventare bianca la massa grigia". Cioe’? "Prendendo atto, nei fatti, che esiste la ricerca vera e la ricerca per modo di dire. II sistema di selezione si chiama meritocrazia, per lungo tempo e’ stata una parolaccia (forse ora un po' meno, ma solo in teoria). La ricerca vera, degna di tal nome, puo’ avere anche risultati immediati ed essere contemporaneamente di altissimo livello. E' qualcosa che, prima ancora che con i fondi a disposizione, ha a che fare con lo standard professionale degli addetti. Alcuni francesi hanno cominciato timidamente a dire che non possono chiamarsi tutti scienziati, savants, ma che ci sono savants e chercheurs. Gli scienziati sono un numero estremamente illimitato, non si fermano nel lavoro neppure se non prendono lo stipendio. Pavlov, pur di poter studiare i cani, puliva gli escrementi degli animali negli stabulari, mentre Einstein faceva l'impiegato alla dogana. I1 problema e’ convincere i giovani a entrare in questo mondo, e quindi devono esserci scuole di eccellenza. Non lamentiamoci perche’ le matricole non s'iscrivono piu’ a certe facolta’ scientifiche. Quanti giovani che potrebbero fare come materia di base biologia scelgono medicina, quanti di coloro che potrebbero fare fisica e matematica si rivolgono a ingegneria? Il messaggio di speranza che dovrebbe passare e’ che quelli che valgono il loro posto in Europa lo troveranno sempre. Poi ci sono i chercheurs, che possiamo definire impiegati della ricerca. Un certo numero e’ assolutamente necessario, ma e’ in funzione di quanti savants sei riuscito a captare. Non lo puoi calcolare sul Pil". Tutti i ragionamenti sui fondi per la ricerca (compresi i futuri tagli Irap alla ricerca dedicati) non possono quindi essere scorporati dal problema di come saranno impiegati, "perche’ se i fondi arrivano alla ricerca per modo di dire e non a quella vera, non si ottiene l'innovazione e la competitivita’ che tutti dicono di voler cercare. Se tutti ottengono un aumento, a prescindere da quello che fanno e che valgono, il sistema salta. Gia’ all'epoca di Prodi, si disse che non sarebbe stato utile rifinanziare il Cnr se insieme non si fosse introdotto un sistema virtuoso di valutazione. Ma andava almeno compensata l’inflazione, e in un sistema come il nostro, i’n cui la quota attribuita agli stipendi e’ diventata la grandissima parte del totale dei fondi (circa l’ottantacinque per cento) c'e’ poco da fare, si tratta gia di una grossa ipoteca". Si fa un, gran parlare di ricerca da rilanciare, dice ancora Enrico Alleva, "se ne e’ parlato tanto anche grazie al richiamo fatto da Luca Cordero di Montezemolo nell'assemblea annuale di Confindustria: ma la divisione tra ricerca vera e per modo di dire vale anche per il settore industriale. Se a incontrarsi sono le ricerche finte, sia la pubblica sia l'industriale, ne nasce solo uno spreco di risorse. II sistema deve diventare meritocratico da entrambe le parti. Gilberto Bernardini, esimio fisico superteorico della Normale di Pisa, ci riuni’ all'epoca in cui partirono i progetti finalizzati del Cnr, circa venticinque anni fa’, per dirci che quando ci si confronta con il mondo dell'applicazione, capita che a noi ricercatori interessi la scoperta e a loro la trovata (il che non significa che non possa essere utile anche una trovata nella ricerca). Ma un conto e’ escogitare un bel colore per vendere un po' piu’ di automobili, un altro conto e’ inventare un motore che consuma la meta’. Invece di vedere questi due mondi come facce diverse, addirittura concorrenziali, dobbiamo abituarci a pensarli come situazioni in cui ci sono persone, passioni, cervelli, che galoppano assieme. E' vero, c'e’ l'imprenditore al quale non interessa l'innovazione ma la trovata, per poter vendere meglio i’ propri prodotti. Anche nell'industria di Stato, per esempio, abbiamo persone che per trent'anni riutilizzano lo stesso metodo imparato durante la tesi di laurea. Oggi si pub finalmente contare sui distretti. Come Istituto superiore di sanita’ abbiamo, per esempio, un rapporto con la zona di Biella, dove si fanno tessuti. Nello stesso polo ci sono la Camera di Commercio, l'Universita’ di Torino, un liceo tecnica e un centro del Cnr. L'idea e’ che se si riuscira’ a inventare tessuti antistress o antiallergici innovativi, si potra’ combattere la concorrenza cinese su un piano che non e’ quello, per noi sicuramente perdente, della semplice manifattura. Fare squadra per un certo tipo di prodotti con interlocutori adeguati e idee chiare, anche con i soldi degli industriali. Non e’ cosa da POCO. II Cnr torni organo di coordinamento Alleva confessa di nutrire "una fiducia forse eccessiva e patriottica nel fatto che la ricerca italiana abbia comunque un nucleo solido, e che non stia andando ne’ verso un autunno con troppi spifferi ne’ verso un inverno freddo o una perniciosa gelata. Molto importante potrebbe essere la riassunzione, da parte del Cnr, del ruolo di raccordo tra industria e ricerca sul quale era nato e ha segnato la sua stagione piu’ gloriosa. Diro’ qualcosa di impopolare, ma la ricerca pura non e’ nella core mission del Cnr, andrebbe fatta soprattutto altrove. Il Cnr dovrebbe tornare a intrecciare legami, a mettere in contatto esperienze promettenti, a creare circuiti virtuosi tra pubblico, enti, agenzie e privati illuminati. La ricerca italiana pub vincere anche cosi’". E infine, a proposito della proposta della creazione di un Consiglio Europeo della Ricerca (Ere), che coordini la ricerca e finanzi la ricerca scientifica di base nell'Unione, e sulla posizione di "forte perplessita’" espressa dal ministro Moratti in proposito, che ha suscitato qualche malumore e su cui si sono scatenate polemiche nei giorni scorsi, Alleva lo ritiene un passo importante, anche se " e’ necessario aspettare un giudizio condiviso dall'Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Conferenza dei Rettori: certamente, unire le forze europee, senza pero’ smantellare le linee di ricerca tradizionalmente forti nei singoli Paesi, e’ cosa buona e giusta". (nt) ENRICO ALLEVA, 51 anni, e’ dirigente di ricerca in biologia del comportamento e ~ direttore del Reparto di Neuroscienze comportamentali presso l'Istituto Superiore di Sanita’ Allievo di Giuseppe Montalenti e Floriano Papi e collaboratore di Rita Levi Montalcini, si e’ occupato in particolare di orientamento nei colombi viaggiatori e della maturazione comportamentale di varie specie di mammiferi. E' socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 nov. ’04 RICERCATORI NELLE UNIVERSITA’, PERCHE’ LA RIFORMA NON CONVINCE L’INTERVENTO DI GUIDO MARTIMOTTI L e e-mail che circolano tra í docenti italiani in questi giorni sembrano un bollettino di guerra; «Sa e Cda Unipr contro Ddl», «Censura da Sa Unipi», e decine del medesimo tenore (Sa sta per Senato accademico, il principale organo di ogni ateneo, composto non solo da universitari, ma anche studenti e membri esterni). La magia che ha permesso al ministero della Istruzione, dell'universita’ e della ricerca, di coalizzare contro di se’ una categoria cosi’ composita e in genere poco propensa alla piazza come i docenti, resta un segreto. La scontata obiezione e’ che ogni riforma provoca la reazione degli interessi costituiti, ma e’ risposta rituale e anche meschina. Va da se’ che le persone si attivano quando hanno la sensazione che le proprie prospettive di carriera e di vita vengano minacciate. Chi si propone di innovare deve pero’ dimostrare in modo plausibile e convincente che il cambiamento proposto migliora il sistema. Siamo sicuri che sia proprio questo il caso? Io penso di no e cerchero’ di’ dimostrarlo con ragionamenti concreti. Qui si propone alle molte migliaia di giovani che attendono da anni di entrare all'universita’ come ricercatori dl barattare questa possibilita’ con un nuovo contratto a tempo determinato, beffardamente denominato di "aggiunto", della durata di’ altri otto anni. Al termine dei quali si va a casa, salvo vincere un concorso per un posto di professore associato, 1 professori associati sono circa 15mi’la e certamente nei prossimi anni molti di loro lasceranno il ruolo per sostituire gli ordinari che a loro volta andranno progressivamente in pensione, ma intanto negli otto anni in cui i futuri "aggiunti" si prepareranno a quel concorso, i posti saranno via via occupati dagli attuali ricercatori, che ovviamente partono molto avvantaggiati. Per il giovane dottorando, addottorato, o assegnista, le prospettive di fare una ragionevole carriera, sia pure dopo un doveroso e lunga periodo di prova, sono percio’ nulle o quasi. Non lo dico io ma i fatti. E i fatti sono soprattutto uno: non ci sono soldi. Ricordiamo che non malta tempo fa i Rettori delle universita’ italiane si sono dimessi in massa, evento piu’ unico che raro. Si puo’ fare diversamente? Forse il ruolo del ricercatore era concettualmente sbagliato, forse le difese predisposte dal legislatore per tenerlo separato dalla didattica (difese esili e quindi quasi per definizione destinate a soccombere) non hanno funzionato, ma ormai e’ passato un quarto di secolo, il sistema si e’ assestato, ha preso i suoi ritmi coinvolgendo decine di migliaia di persane. Perche’ non si possono lasciare le cose cosi’? Indubitabilmente i ricercatori hanno diritto che venga loro riconosciuto lo svolgimento dei compiti didattici che fanno da anni, ma questo si puo’ realizzare in molti modi e mantenendo l'attuale struttura cui l'universita’ italiana si e’ adattata. Mi domando poi perche’ la fantasia dei burocrati ministeriali deve sempre trovare nomi che sembrano pensati apposta per irritare i futuri destinatari. Ma a chi e’ venuto in mente l'aggiunto? Avremmo í professori ordinari, gli associati e gli "aggiunti". Perche’ non li chiamiamo, professori precari punto e: basta? Ma meglio di tutto sarebbe di non farne niente, concentrare le poche risorse disponibili per ampliare quanto piu’ possibile il ruolo degli attuali ricercatori aumentando lo stipendio per reclutare il maggior numera -possibile di giovani brillanti. che’ avrebbero una prospettiva, non di diventare ricchi, ma di lavorare in. pace e senza spiritose invenzioni ogni tanti anni. Poi, se e quando finalmente l'universita’ potra’ avere a disposizione risorse ragionevoli, si potra’ eventualmente cambiare il sistema, ma migliorandolo. Una nota sui concorsi "nazionali". Un nutrito stuolo di studiosi eccellenti ha sottoscritto un accorato appello per la reintroduzione dei concorsi nazionali in sostituzione degli attuali concorsi locali, Giocare con le parole e’ facile: "nazionale" evoca una autorita’ che il "locale" non ha. Quando si dice locale" si’ pensa subito all'Universita’ di Campanile di Sotto, ma sono concorsi locali anche quelli presso il Politecnico di Torino, la Bocconi o la Sapienza. Mi permetto quindi di dissentire e, trattandosi di scienziati, di invitarli a svolgere l'equazione, come si dice in algebra. Cioe’ di offrire al pubblico una spiegazione, trasparente di cosa sia un concorso nazionale. In tale concorso e’ al lavora una commissione di cinque membri, ciascuno dei quali eletto non in base al proprio merito, ma alla propria capacita’ di raccogliere voti e con il preciso mandato di sostenere un certo candidato o gruppo i candidati. Questa commissione dovrebbe giudicare i lavori scientifici di decine e talvolta numerose decine di candidati, che hanno prodotto centinaia di pubblicazioni, riunendosi per poche ore per due o tre volte. Il risultato non puo’ essere che il prodotto di un accordo precostituito prima dell'elezione dei membri, o di feroci scontri tra gruppi, che spesso si risolvono con compromessi rovinosi dal punto di vista della qualita’. Queste sono le commissioni nazionali, con macchine elettorali che castano tempo e denaro in proporzioni assolutamente ingiustificate. Sarei felice che qualcuno mi dimostrasse il contrario. *Prorettore Universita’ gli studi di Milano-Bicocca Inutile illudere migliaia di giovani con, la promessa di posti inesistenti MIUR _______________________________________________________________ Corriere della Sera 12 nov. ’04 "SENZA NOI RICERCATORI L'UNIVERSITA’ SI FERMA" Centinaia al corteo contro la riforma Moratti: no al precariato a vita e a stipendi da fame "Sotto i colpi del disegno di legge Moratti ha concluso la sua missione terrena l'Universita’ degli Studi di Milano. Ricercatori, docenti, studenti e precari ne piangono la triste sorte con immenso dolore". C'era il necrologio e c'era anche tutto il resto, la cassa da morto portata a spalla, i fiori, la lapide, i lumini, la banda e soprattutto il mesto corteo funebre: composto dalle centinaia di universitari di ogni categoria - appunto ricercatori, docenti, studenti e precari vari - che ieri pomeriggio hanno manifestato cosi’ la loro preoccupata protesta contro la riforma Moratti. La manifestazione - svoltasi piu’ o meno in concomitanza con le altre analoghe organizzate nel resto d'Italia - e’ iniziata davanti alla Statale in via Festa del Perdono e si e’ conclusa, dopo una sfilata del metaforico funerale attraverso Largo Augusto, con una sorta di scaramantico e ironico omaggio alla "salma" in San Babila: "Questa riforma - dicevano cartelli e striscioni - segna la fine della ricerca". Le situazioni personali dei partecipanti al corteo raccontano, ciascuna a suo modo e con mille varianti, una storia che dopo un po' sembra sempre la stessa: "Ed e’ proprio questo - concludono tutti - a renderla allarmante". Storie come quella di Roberta Bosisio, laureata in Scienze politiche nel '96, poi dottorato di ricerca per quattro anni, quindi due a bagnomaria, e adesso l'assegno di ateneo per un progetto di ricerca che le porta in tasca 1.250 euro al mese ma che fra un altro biennio al massimo sara’ finito senza piu’ possibilita’ di proroga: "E la riforma Moratti - dice - a quelli come me taglia ogni futura possibilita’ come ricercatrice". Ad aggravare le cose, prosegue, c'e’ il fatto che l'Universita’ di Milano in particolare impedisce ai titolari dell'assegno qualunque altro lavoro parallelo: "Da una parte la regola prevede che il progetto ci impegni a tempo pieno, vietando qualsiasi altra iniziativa, dall'altra non offre alcuna garanzia". Certo si possono fare pubblicazioni per arricchire il curriculum: "Ma con la riforma, anche quello servirebbe solo per concorrere a posti a termine...". "Il Ddl - hanno scritto i ricercatori in un comunicato - prevede lo smantellamento della figura del ricercatore di ruolo, privando questa fascia di lavoratori precari della possibilita’ di avere un giorno un lavoro fisso". Michele Zucali, 32 anni, sposato, una figlia, e’ laureato in scienze geologiche dal '96 e ora il posto da ricercatore ce l'ha: vive con 1.050 euro al mese piu’ quelli di sua moglie, che ha un dottorato di ricerca. "Tutti sanno che siamo indispensabili - dice - ma siamo trattati come non lo fossimo: se solo "rinunciassimo" all'attivita’ didattica, come abbiamo prospettato al rettore, non ci sarebbe piu’ nessuno a far lezione...". Paolo Piseri, 37 anni, ricercatore dal 2002, di figli ne ha tre: "Il peggio e’, al di la’ dei nostri problemi personali, che privare di prospettive la figura del ricercatore danneggia in primo luogo l'universita’ e quindi il Paese. Se si sbarra la strada d'accesso, come stupirsi se quelli bravi se ne vanno sempre piu’ all'estero?". "Una mia collega di precariato - riprende Roberta Bosisio - ha appena scelto l'Inghilterra: contratto a termine, d'accordo... ma a tremila euro al mese". Paolo Foschini ________________________________________________________________________ Il Manifesto 11/11/2004 UNIVERSITA’, LA CARICA DEI RICERCATORI La protesta che da settimane paralizza gli atenei si sposta nelle strade. Da Torino a Cosenza ieri e’ stato un coro di no alla riforma Moratti che taglia i fondi e precarizza il lavoro dei docenti. E oggi a Roma mobilitazione nazionale IAIA VANTAGGIATO ROMA Si estende a macchia di leopardo la mobilitazione nazionale contro il disegno di legge Moratti sull'universita’ e contro la riforma dello stato giuridico dei docenti. La protesta - che coinvolge docenti, studenti e ricercatori e che da giorni minaccia di paralizzare l'attivita’ degli atenei - si riversa ora nelle strade occupando incroci e marciapiedi con azioni simboliche e concerti, lezioni, dibattiti all'aperto e spettacoli di teatro di strada. Una mobilitazione dai modi inediti che, tuttavia, potrebbe riuscire a portare a casa persino dei risultati. Intervenendo a Siena di fronte ad una platea gremitissima, infatti, il presidente della Crui Piero Tosi ha lasciato intravvedere l'ipotesi di una parziale retromarcia da parte di Letizia Moratti. Nessuna notizia ufficiale, naturalmente, ma stando alle dichiarazioni di Tosi su alcuni punti cruciali il ministero sarebbe disposto a trattare. In particolare, verrebbero mantenuti il ruolo di ricercatore e la distinzione tra tempo pieno e tempo parziale nonche’ limitata la possibilita’ di contratti a tempo determinato «appaltati» ai privati. Non che ci credano in molti. Ieri, a Torino, professori e ricercatori della facolta’ di veterinaria - dopo aver tenuto nei giorni scorsi lezione in pizzeria o presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova - hanno deciso di improvvisarsi lavavetri e, armati di secchi e spugne, hanno protestato contro una riforma che li vede vittime eccellenti, relegandoli al ruolo di precari a vita. Oggi faranno lezione sui marciapiedi di Corso Francia mentre domani saranno i loro colleghi di medicina e farmacia a trasformarsi in lavavetri. Sempre a Torino, studenti e docenti hanno improvvisato ieri un corteo per i corridoi del Politecnico intonando cori contro la riforma e invocando il ritiro del ddl. A sostegno della «rivolta» torinese, anche il sindaco Sergio Chiamparino: «Questa legge depotenzia il ruolo dell'universita’ pubblica come fattore di sviluppo, crescita e modernizzazione dell'industria». Viceversa, ha sottolineato Chiamparino, le richieste avanzate vanno nella «direzione di una universita’ che lavora di piu’ e che e’ al servizio della ricerca e della formazione. Al coro delle proteste si unisce anche l'ateneo di Cagliari dove il coordinamento dei ricercatori insieme ai sindacati di categoria ha promosso per domani un'assemblea di docenti, personale e studenti per discutere dei «tagli sistematici ai fondi per l'universita’ e la ricerca e di una riforma che intende precarizzare la docenza e sancire la serie B per gli atenei del Mezzogiorno». Ma a Cagliari ci si preoccupa anche dell'assegnazione a privati, cioe’ a liberi professionisti poco sensibili al richiamo della didattica, del 50% dei contratti di docenza. Protesta no-logo, invece, a Macerata dove studenti e precari hanno distribuito gratuitamente cd e libri digitalizzati, file video e film masterizzati in proprio. Occupate anche quattro aule della facolta’ di filosofia al termine di un corteo contro la riforma, il «caro sapere» e la precarizzazione del lavoro. Fuochi d'artificio anche a Salerno che per dire no all'odiato decreto ha scelto la musica. «Suoniamole alla Moratti» era infatti il titolo della manifestazione svoltasi ieri nell'ateneo salernitano grazie al coinvolgimento delle organizzazioni sindacali dell'Adi e delle associazioni studentesche. Ma le critiche al ddl non vengono risparmiate neanche dai senati accademici dell'Aquila e di Cosenza. Il primo ha giudicato valide le rivendicazioni dei ricercatori universitari e decretato la sospensione delle lezioni di tutti i corsi di laurea per la giornata di oggi mentre a Cosenza sono stati promossi - per i primi di dicembre - due giorni di assemblea aperta a tutta la comunita’ universitaria. E infine, una ventiquattrore nazionale di protesta a Trastevere, proprio nel cuore di Roma, dove verranno organizzati - a partire dalle 13 di oggi - concerti, giochi, spettacoli e dibattiti. L'iniziativa e’ stata promossa dalle principali organizzazioni sindacali e dall'associazione della docenza universitaria, dei precari e degli studenti. Ma sino alla 13 si studia: l'appuntamento e’ di fronte a palazzo Chigi per le «lezioni in piazza» organizzate da Roma Tre. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 nov. ’04 SASSARI DOCENTI E STUDENTI IN ASSEMBLEA: L'UNIVERSITA’ BOCCIA LA MORATTI "Il disegno di legge del ministro Letizia Moratti sarebbe un colpo fatale per l'universita’ e per il mondo della ricerca". E’ un'affermazione che lascia poco spazio a interpretazioni, quella scelta come slogan da Cnu, Cisl Universita’ e Snur Cgil per annunciare per oggi una giornata nazionale di protesta contro il progetto di riforma dello stato giuridico dei professori universitari proposto dalla rappresentante del governo Berlusconi. L'ateneo di Sassari ha aderito allo stato di agitazione promosso dai sindacati che operano nel pianeta universita’. In vista di questo momento ci si e’ preparati con una settimana di incontri e di lezioni dedicate proprio alle ragioni di una contestazione che mai come questa volta ha contribuito a compattare tutte le componenti del mondo accademico. Oggi professori e studenti si confronteranno sui temi piu’ caldi di una vertenza che per ora non riesce a fare grandi progressi. L'appuntamento e’ fissato per le 9 e 30 nell'aula Gran Bretagna della Facolta’ di Giurisprudenza, all'interno del centro didattico del Quadrilatero, in viale Mancini. "Contro i piani della Moratti vogliamo rilanciare il ruolo dell'universita’ pubblica, che il ministro intende affossare", affermano i rappresentanti sindacali, che spiegano la scelta di una forma di protesta apparentemente morbida con due ragioni molto semplici. "Abbiamo deciso di non interrompere l'attivita’ didattica per evitare troppa confusione ? dicono i coordinatori ? l'astensione dalle supplenze da parte di professori e ricercatori, che ha complicato la vita dell'ateneo, non era in verita’ una forma di lotta sindacale". Piu’ semplicemente, e’ la spiegazione dei prof, "e’ la conseguenza di una scelta legittima ? sostengono ? perche’ i docenti hanno deciso di non fare piu’ cio’ che non sono tenuti a fare". Ma c'e’ anche un'altra ragione che sta particolarmente a cuore ai leader della protesta. "Abbiamo scelto un momento di incontro anziche’ di scontro ? ribadiscono ? perche’ ci interessa far crescere anche tra gli studenti e i meno informati l'importanza della posta in gioco, ma prima e’ necessario rendere chiari a tutti quali potrebbero essere gli effetti del piano Moratti". Per i contestatori "l'unica soluzione possibile resta il ritiro del disegno di legge delega", come affermano a chiare lettere. La loro suona come una precisa dichiarazione di guerra: pur di raggiungere il loro obiettivo gli autori della protesta confermano una compatta mobilitazione. "Ci rivolgiamo in particolare agli studenti ? concludono ? devono essere protagonisti di questa fase, perche’ dal futuro dell'universita’ dipende anche la loro sorte". (g. m. s.) _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 nov. ’04 «L’UNIVERSITA’ STATALE E’ CONDANNATA» LA PROTESTA Contro il decreto assemblea generale di docenti, ricercatori, studenti «Tagliando le risorse il ministro crea le condizioni per discriminazioni molto pesanti» CAGLIARI. Prima, le assemblee di sensibilizzazione all’interno delle facolta’ poi, la protesta dei ricercatori che di fatto hanno bloccato per giorni l’avvio del nuovo anno accademico. Ora si fa fronte comune. Docenti, personale e studenti dell’ateneo cagliaritano si ritroveranno domani tutti insieme: uniti nel segno della protesta contro i tagli all’universita’ e alla ricerca, ma anche contro i disegni di legge che «puntano a smantellare l’universita’ statale». L’appuntamento e’ per le dieci nell’aula magna del Corpo aggiunto “Sa Duchessa” dove, in occasione della settimana di mobilitazione nazionale, l’universita’ cagliaritana dira’ la sua. «Tanto piu’ che la situazione locale e’ se possibile perfino piu’ a rischio rispetto a quella di altri atenei- dice con amarezza Luca Fanfani, docente di Mineralogia alla facolta’ di Scienze - Il motivo? Sta nella riduzione delle risorse: per noi significa peggioramento del livello d’offerta formativa. Come dire che l’universita’ sarda diventera’ un’universita’ di serie B, o addirittura C». Nella lista delle doglianze c’e’ anche la situazione dei ricercatori universitari: spesso gli studenti li scambiano per docenti, senza mai accorgersi che il loro e’ il primo gradino di un cammino che in Italia e’ vergognosamente lento. «La Moratti vuole far sparire la figura del ricercatore, sostituendola con quella del “ricercatore aggiunto” - dice Mauro Pala, ricercatore alla facolta’ di Lingue - In realta’ si tratta di una figura che non esiste: di fatto saremo sempre piu’ precari». Un futuro grigio dunque, quello dei ricercatori che, «senza una famiglia alle spalle, capace di mantenerli per tutto questo periodo, rischiano, da precari, di non vedersi concesso neppure un mutuo in banca». Le cose non vanno meglio neppure per chi, dopo una vita da ricercatore, ha fatto il salto di qualita’: «Sono passati ormai due anni da quando ho vinto il concorso - racconta Alessandra Pani, ricercatrice nel corso di laurea in Biologia - di fatto pero’ non posso entrare in ruolo perche’ tutte le assunzioni sono bloccate». Gia’, il blocco delle assunzioni: un altro brutto scherzo che non si sa piu’ se sia stato voluto dal ministro o dal Governo. «La Moratti - raccontano dalla Cgil-universita’ - aveva promesso che tutto si sarebbe sbloccato. La legge Finanziaria dice invece il contrario». Basta allora con le manovre che non fanno altro che smantellare l’universita’ statale: «Questo decreto e’ sbagliato nel suo impianto - dice ancora Mauro Pala - Sposta risorse verso il settore privato, provocando una degenerazione dei costumi. Chi l’ha detto ad esempio che tutti i master in circolazione siano seri, o che lo sia l’universita’ a distanza?». Via i decreti Moratti dunque, e che la ricerca e il sapere tornino nella loro sede privilegiata: l’Universita’, a cui la stessa Costituzione riconosce un ruolo di primo piano. Un intendimento in linea con quanto espresso nei giorni scorsi dalla Crui (Conferenza rettori universita’ italiane), sconcertata davanti alla bocciatura, da parte della commissione bilancio della Camera, degli emendamenti sull’incremento del Fondo ordinario dell’Universita’. (s. z.) _______________________________________________________________ La Stampa 11 nov. ’04 CHE VERGOGNA, IO SCIENZIATO LAVAVETRI TORINO. LA SOLIDARIETA’ DEGLI AUTOMOBILISTI: «POVERA ITALIA, COM’E’ RIDOTTA» Tra rabbia e imbarazzo, raccolta di fondi ai semafori di periferia TORINO «Scusi, signora... non avrei mai pensato di trovarmi in un tale imbarazzo... Non ci credera’, ma sono un professore universitario: potrei lavare il parabrezza della sua vettura?» «Mi sono laureata, poi ho fatto tre anni di dottorato, e dopo un altro paio d’anni l’universita’ mi ha assunto come ricercatore... Insomma vivo per la scienza, ma eccezionalmente potrei pulirle il vetro?». «Darebbe un euro per la ricerca? Vede come siamo ridotti, costretti a chiedere l’elemosina!» Sono le voci degli universitari delle facolta’ di Medicina Veterinaria e di Agraria dell’Universita’ degli Studi di Torino, che ieri, non senza qualche imbarazzo, hanno vestito i camici da laboratorio per trasformarsi in lavavetri lungo una delle principali arterie per le valli olimpiche, corso Allamano, per protesta contro il ddl Moratti. Un’agitazione che unisce tutte le facolta’ dell’ateneo, cosi’ come del Politecnico: gli umanisti hanno tenuto ieri gli esami sui marciapiedi di via Verdi, mentre gli scienziati hanno fatto lezione nell’atrio della stazione di Porta Nuova, dove una nota biologa, Isabelle Perroteau (che e’ anche la presidente del corso di laurea in Biologia), ha eseguito en plein air, tra stupefatti viaggiatori, un esperimento scientifico: l’estrazione del dna da mele e cavolfiori. Ad animare la protesta di corso Allamano sono stati soprattutto i ricercatori di Veterinaria, che si sono armati di spazzole e secchi d’acqua saponata e hanno invaso, nell’intervallo di pranzo, un incrocio assai trafficato. C’era anche qualche cattedratico, come Pier Giuseppe Meleguez, docente di malattie parassitarie: «Ma guarda come siamo ridotti - diceva -. Se sono qui non e’ per me: ormai, nessuno puo’ toccare la mia carriera accademica. E’ per i giovani, per il futuro. Per i miei figli. Non riesco ad accettare una legge che sopprime i ricercatori, precarizza a vita le nuove leve, e trasforma l’universita’ in un luogo di passaggio in cui la meta’ delle persone fa qualche altro mestiere. Dietro a tutto questo c’e’ un disegno che distrugge le universita’ statali a favore delle private, portato avanti con un’arroganza inaudita. Mi chiedo come possano non ascoltare la voce unanime di tutti i rettori». Gli automobilisti reagiscono con sbigottimento. C’e’ chi a vedere i camici bianchi si spaventa, rifiutando d’abbassare i finestrini, e chi si mostra incredulo. I piu’ sono solidali: «Lei e’ uno scienziato? Davvero? Povera Italia!» «Un ricercatore? Dove andremo a finire!». A chi dona una moneta si consegna un finto statino d’esame che regala un 30 e lode, mentre e’ promosso con 18 chi accetta solo il volantino. Laura Gasco, ricercatrice ad Agraria, sorride ad Andrea Labattaglia, impiegato ad Auchan, che abbassa il finestrino della 147: «Posso spazzolarle almeno i fanali, contro la Moratti?» La studiosa da’ di spazzola sul parabrezza, ma pasticcia con la schiuma: «Mi scusi, ma faccio un altro mestiere, ci vorrebbe un extracomunitario...» L’automobilista allunga l’euro: «Non fa nulla, era sporco anche prima». Accettano di versare l’obolo persino gli alpini diretti alla caserma di Rivoli su un mezzo militare: «Poveracci, come state messi...» sussurra Fabrizio Mezzo, caporalmaggiore. «Che schifezza, che siate ridotti cosi’» tuona Roberto Lepore, impiegato di banca. Una donna al volante gela tutti: «Si figuri se non sono per la ricerca scientifica io, che ho addosso il cancro». In un’ora e mezza, si raccolgono 106 euro. La ricercatrice Martina Tarantola scuote la testa: «Si guadagna piu’ che in laboratorio». Domani saranno i colleghi di Scienze e Farmacia a trasformarsi in lavavetri. Oggi ci saranno lezioni anche in corso Francia, mentre l’attivita’ didattica sara’ sospesa in tutte le facolta’ del Politecnico. Carlo Naldi, preside della III facolta’ di Ingegneria: «Senza ricerca, l’universita’ muore. Nel ddl non compare nemmeno la parola. Una distrazione che la dice lunga». ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 8 nov. ’04 COMIN: SULLA RICERCA: NON MITIZZATE I LABORATORI IDEE IN CONTROTENDENZA Parla l'economista Diego Comin, autore di un saggio provocatorio «Investire in ricerca fa bene alla produttivita’. Ma non nella misura in cui si crede» Lo dice Ciampi, gli fanno eco Fazio e Montezemolo: per restituire vigore alla nostra zoppicante economia e accrescere la produttivita’ del sistema Italia, occorre investire di piu’ in R&D (researck_and development), ossia nella ricerca e nello sviluppo di nuovi prodotti, servizi e tecnologie. Una ricetta la cui bonta’ viene data sostanzialmente per scontata, perche’ garantita da voci autorevoli del mondo accademico internazionale. Ma anche perche’ promette di smorzare l'aspro dibattito fra le forze sociali sulle misure necessarie per accelerare il processo di adeguamento dell'Italia alla realta’ economica e produttiva creata dalla globalizzazione. Se per elevare la produttivita’, insomma, basta potenziare l'R&D, magari con terapie d'urto basate su cospicui investimenti di fondi pubblici, l'urgenza di radicali riforme del mercato del lavoro e delle altre componenti che mortificano il dinamismo imprenditoriale viene meno. E le tensioni sociali si allentano. Ma e’ proprio vero che gli investimenti in R&D sono il Viagra della produttivita’? Uno studio che verra’ pubblicato nel prossimo numero del Journal of Economic Growth, autorevole pubblicazione accademica americana, arriva a conclusioni molto diverse. «La spesa per ricerca e sviluppo - sostiene infatti lo spagnolo Diego Comin, l'autore dello studio - e’ indubbiamente un fattore che contribuisce alla crescita della produttivita’, ma non e’ il piu’ importante». Anzi, se si analizzano i dati dell'economia americana dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, si scopre che il fattore investimenti in R&D e’ stato responsabile, a seconda del periodo, «dal 10% al 20% della crescita della produttivita’ Usa, che e’ aumentata, in media, di meno del 2°i° l'anno». Un effetto, quindi, molto meno vistoso di quello ipotizzato da altri studiosi, che l'avevano quantificato in percentuali fra il 60% e il 100%. La verita’, spiega Comin, che e’ professore aggiunto alla New York University, e’ che l’R&D produce due tipi diversi di innovazione. Il primo «consiste di prodotti e tecnologie che possono essere brevettati e, di conseguenza, assicurano a chi ha investito unaposizione di monopolio e cospicui ritorni sull'investimento che durano nel tempo». A questa categoria appartengono, ad esempio, i sistemi informatici di Microsoft, sui quali Bill Gates e soci hanno costruito un impero globale. In questo caso, dice Comin, «i miglioramenti della produttivita’ dovuti all'innovazione provengono da fonti "incorporate" nel prodotto, un concetto gia’ spiegato dal premio Nobel Robert Solow gia’ negli anni 60. Ma una quota notevole degli investimenti in R&D porta a un tipo di innovazione diverso, che io chiamo "scorporato", i cui benefici, per l'investitore, sono molto meno sensibili, e soprattutto molto meno durevoli». A questo secondo tipo di innovazione appartengono, ad esempio, i nuovi metodi di organizzazione della produzione che hanno avuto un ruolo determinante nella crescita della produttivita’ industriale dalla catena di montaggio di Henry Ford al just-in-time messo in pratica dai giapponesi -. «Ma catena di montaggio, just-in-time e altre innovazioni come il Bancomat o le carte di credito, non si possono brevettare - osserva Comin - e quindi l'investitore che le ha sviluppate le vedra’ adottate, in brevissimo tempo, dai suoi concorrenti, i quali quindi beneficeranno, senza aver investito un dollaro o un euro, di un analogo aumento della propria produttivita’». Nel caso di un Paese europeo come l'Italia, dove le aziende di grandi dimensioni operanti nello stesso settore sono poche, investire in R&D che porti a innovazione «scorporata» puo’ essere addirittura dannoso, sostiene Comin, in quanto il risultato potrebbe essere quello di contribuire a rafforzare i concorrenti stranieri. «E’ meglio, per l'Italia, cercare di diventare, a un costo elevatissimo, il leader mondiale in una specifica tecnologia, oppure adottare tecnologie sviluppate da altri?», si chiede Comin. Oggi, aggiunge, «tutti vogliono fare R&D, spendono un sacco di soldi, ma i risultati sono spesso deludenti». Molto meglio, invece, «spendere le risorse che si hanno per ridurre le barriere che si oppongono all'adozione di tecnologie sviluppate altrove». Quello che veramente conta, conclude, e’ «essere i primi a liberarsi delle tecnologie superate e a utilizzare quelle piu’ avanzate». Umberto Venturini SPAGNOLO Diego Comin, professore alla New York University ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 nov. ’04 RICERCA,SERVONO I FATTI COMPETITIVITA’ vice-presidente di Confindustria, Pasquale Pistorio: aspettiamo il collegato alla Finanziaria - Parla l'inventore del microprocessore Garaglini (Finmeccanica): «L'importante e’ investire bene» - Possa: «Il Governo trovera’ le risorse» GENOVA a II tema della ricerca e dell'innovazione resta un nervo scoperto per il futuro dell'azienda. Italia. Da Genova, dove Finmeccanica ha celebrato il Premio Innovazione 2004, si e’ levato un coro a piu’ voci sulla necessita’ di concentrare impegno e risorse in un settore che continua a denunciare gravi carenze e ritardi. Un invito al Governo a fare di piu’ e a mantenere i cervelli’ in Italia arriva dal presidente e amministratore delegato di’ Finmeccanîca, Pier Francesco Guarguaglini, che guida un gruppo che figura al quarto posto al mondo per investimenti in ricerca e sviluppo nell'aerospazio e difesa. Pasquale Pistorio, vicepresidente di’ Confidustria, avverte che l'Italia sta perdendo colpi nella sfida per l'innovazione. Dal canto suo, il vice~ ministro per l'Istruzione; l'Universita’ e 1a Ricerca; Guido Possa, non nasconde le difficolta’ e preannuncia l'impegno del Governo a «tirare la cinghia» per reperire i mezzi necessari a sostenere ricerca e sviluppo. Guarguaglini ha sottolineato lo sforzo del suo gruppo sul versante dell'innovazione, «Nel 2003 - ha sostenuto - Finmeccanica ha investito in ricerca, e sviluppo oltre 1,25 miliardi, una cifra che rappresenta il 14,5% del fatturato». Ricordando che l'Italia investe in ricerca l'1,1%,del pil a fronte del 2°lo della media europea e del 3% degli Stati Uniti, Guarguaglini ha aggiunto che non basta investire di piu’, ma occorre anche investire bene. Il presidente e amministratore delegato di Finmeccanica ha manifestato i suoi dubbi sull'efficacia e l'efficienza dell'attuale strategia di investimento. «La mia paura - ha spiegato - e’ che l'Italia non investa in maniera focalizzata e non sappia premiare chi ottiene veramente risultati. Spesso c'e’ una gestione burocratica della ricerca». Il vicepresidente di Confindustria confida che il Governo intenda rispettare gli impegni annunciati in materia. «Aspettiamo con fiducia - ha sostenuto Pistorio - il collegato alla finanziaria con le misure per la competitivita’, fra cui quelle mirate all'innovazione, alla ricerca -e allo sviluppo. A1 riguardo - ha ricordato - Confindustria ha gia’ presentato sei punti semplici e chiari ai quali la Francia, peraltro, ha gia’ messo mano. Non chiediamo la luna, ma cose semplici». Pistorio ha sottolineato come non sia sufficiente lo sforzo intrapreso dalle aziende nella sfida per l'innovazione. «Serve - ha sostenuto - un intervento del sistema Paese. In questa sfida l'Italia perde colpi e l’a Confindustria vuole disperata mente che si faccia ricerca in Italia»: Riconoscendo il ritarda che ci divide dagli altri partner europei sul terreno dell'innovazione, il viceministro Possa ha ricordato che il Governo si’ accinge a presentare in Senato un emendamento alla finanziaria che prevede misure a sostegno del sistema produttivo. «Cercheremo di tirare la cinghia - ha promesso Possa - per tirare fuori le risorse necessarie a supportare 1a ricerca e lo sviluppo». I temi dell'attualita’ hanno fatto capolino a’ margine della cerimonia di premiazione delle idee piu’ innovative in seno alle aziende Finmeccanica, che ha visto salire sul podio Elsag, Ansaldo Energia e Aienia Mareoni System. Richiesto di un commento sullo stato dell'arte della vicenda Finmeccanica 2, Guargaaglini ha auspicato che l'operazione> se si dovra’ fare, si faccia celermente. «Se il Governo - ha aggiunto - decidera’ invece che dovremo ancora occuparci di’ energia e di trasporti, daremo il nostro contributo. Le risorse -- ha poi concluso - sono quelle che sono e, quando ci si occupa anche di altre cose, occorre che i’ mezzi finanziari siano adeguati». DOMENICO RAVENNA _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. ’04 RICERCATORI "IN AFFITTO" OCCASIONE DA SFRUTTARE La Sardegna agli ultimi posti per investimenti in R&S Parole spese tante, soldi pochi. Sino a quando il binomio "ricerca & sviluppo" restera’ solo uno slogan buono per convegni, e non si tradurra’ in una priorita’ che orienti, davvero, le scelte delle aziende, la Sardegna non andra’ lontana. I numeri fotografano una realta’ da impallidire: siamo ultimi degli ultimi. Se in Europa la Finlandia e’ il modello da seguire, con un investimento in R&S di quasi il 4% del suo Prodotto interno lordo, l'Italia e’ agli ultimi posti con un risicato 1,3%. Una situazione critica, confermata anche dalla bocciatura sulle linee di attuazione dei cosiddetti Accordi di Lisbona. A distanza di quattro anni dalla storica intesa, che attribuiva al fattore R&S un'importanza strategica per rafforzare la competitivita’ e la dinamicita’ dell'economia dell'Ue, l'Italia ha rimediato, secondo una ricerca del Cer di Londra (centro per la Riforma europea), il poco edificante giudizio di alunno "discolo", motivato con "il basso livello di occupazione e gli scarsi risultati ottenuti in termini di innovazione e capacita’ imprenditoriale". La SardegnaLe cose vanno ancora peggio nell'isola, dove le imprese investono in ricerca e sviluppo appena lo 0,06% del Pil, una percentuale inferiore alla media del Mezzogiorno (0,75%), e molto al di sotto rispetto all'1,2%, di spesa segnalato nel Centro-Nord. Scremate le lodevoli eccezioni, la regola resta quella: tirare a campare senza programmare ne’ tanto meno investire in beni immateriali. Eppure, sul fronte della ricerca l'isola puo’ contare su esempi importanti e punte di eccellenza: da quasi dieci anni il Crs4 ha avviato numerosi progetti di ricerca e sviluppo, dando vita ad esperienze significative con scuole, Universita’ e in qualche caso aziende. La Sardegna e’ all'avanguardia in molti settori della ricerca applicata, con eccellenze che si chiamano Neuroscienze e SharDna. Il punto pero’ e’ proprio questo: o si eccelle o si dorme. L'impressione e’ che ricerca e azienda continuino a marciare ognuna per proprio conto. Talvolta si incontrano ma solo per brevi chiacchierate. I ricercatoriResta praticamente sconosciuta la figura del ricercatore "in affitto", introdotta dal governo nel '97 con l'obiettivo strategico di innalzare ad almeno il 2% la quota di spesa del Pil in R&S. La norma non e’ mai stata applicata, nonostante la stessa legge preveda che gli oneri finanziari per il distaccamento del ricercatore presso le imprese siano a carico dello Stato. "Se ne parla tanto, spesso con toni entusiatici, ma non si riesce ad andare oltre le intenzioni", ammette Alfredo Lai, responsabile dell'Ufficio della ricerca scientifica dell'Universita’ di Cagliari. "Sul problema c'e’ una disattenzione generalizzata. L'Universita’ non puo’ fare tutto da sola. Sarebbe importante che anche le aziende facessero qualche passo avanti, presentando proposte proprie". Ma prima di parlare di ricerca applicata, sarebbe opportuno interrogarsi sugli indirizzi dello sviluppo industriale sardo, capire quali sono le reali prospettive per il futuro. "Per realizzare le giuste sinergie fra ricerca universitaria e imprese", rileva Lai, "sarebbe auspicabile anche un ruolo forte di impulso e coordinamento da parte dell'istituzione regionale in una visione d'insieme che tenga conto anche della realta’ universitaria, delle sue potenzialita’ e della capacita’ di avanzare proposte, al pari delle parti sociali". Roberta Mocco ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 nov. ’04 IL TITOLO DI DOTTORE ANCHE CON STUDI TRIENNALI LAUREE, NUOVI PERCORSI Arriva il via libera della Carte dei canti al decreto dell'Istruzione che introduce il meccanismo a Y ROMA a I laureati triennali avranno diritto al titolo di’ dottore. Chi scegliera’ di proseguire gli studi potra’ diventare dottore magistrale, mentre chi vorra’ intraprendere il dottorato conseguira’ il titolo di dottore di ricerca. Sono alcune delle novita’ contenute nel decreto del ministero dell'Istruzione che modifica il «3+2» e introduce il nuovo percorso «a Y». Il testo ha appena ottenuto la registrazione della Corte dei Conti e sta per essere pubblicato in «Gazzetta Ufficiale». La conclusione dell’iter dara’ il via alla rivisitazione delle attuali classi di laurca di primo e secondo livello, alla quale stanno gia’ lavorando sei tavoli tecnici. Dottori in tre anni. Nei mesi scorsi la Corte dei conti aveva rilevato l’illegittimita’ dei riconoscimento del titolo di «dottore» agli studenti in possesso di laurea triennale. Ma il Miur ha chiarito che, secondo quanto previsto dal regolamento degli studenti approvato studi triennali - Giurisprudenza a ciclo unico con un Regio decreto del 1938, tutti quelli che conseguono la laurea hanno diritto alla qualifica di dottore. Il decreto appena registrato introduce anche le nuove qualifiche di dottore magistrale e dottore di ricerca, che spettano, rispettivamente, a chi consegue 1a laurea magistrale (cioe’ la laurea di secondo livello, la "vecchia" specialistica) e il dottorato di ricerca. Potranno fregiarsi del titolo di dottore magistrale anche gli studenti che hanno conseguito la laurea secondo il vecchio ordinamento, cioe’ quello precedente alla riforma del «3+2», introdotta nel 1999 dall'allora ministro dell'Universita’, Ortensio Zecchino. Il percorso a Y. Il 3+2 si trasforma in percorso a Y. Dopo un prima anno di didattica comune, che da’ diritto a 60 crediti formativi, lo studente puo’ scegliere tra un corso «professionalizzante» orientato al mondo del lavoro (120 crediti), che prevede stage e tirocini e conduce alla laurea triennale (1+2). Oppure, puo’ optare per il corso «metodologico-formativo» (120 crediti), che prepara a un ulteriore biennio di studi (120 crediti) e porta al conseguimento della laurea magistrale (1+2+2). Lo studente potra’ modificare il suo piano di studi attraverso le cosiddette "passerelle", con le quali sara’ possibile, per esempio, conseguire una laurea triennale umanistica e proseguire in un biennio magistrale nel settore scientifico e viceversa, previa verifica - da parte dell'ateneo - di eventuali debiti formativi da colmare. Con le nuove regole, poi, le universita’ avranno piu’ autonomia: la percentuale dei crediti formativi vincolati a livello nazionale, infatti, scendera’ dall'attuale 66 al 50% per i’ percorsi triennali e al 40% per il biennio magistrale. «Con la revisione del 3+2 sara’ garantita una maggiore flessibilita’ alla progettazione formativa - ha detto il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti - e saranno riqualificate le lauree, per potenziare il raccordo con il mondo del lavoro e consentire piu’ opportunita’ di sbocchi professionali». Ciclo unico a Giurisprudenza. Per le professioni legali di avvocato, notaio e magistrato e’ previsto un percorso unitario di cinque anni, pari a 300 crediti formativi. Ma saranno definiti - dice il Miur - - corsi triennali per le classi di laurea non correlate alla formazione delle professioni legali "classiche". I tempi. Le nuove regole saranno applicate dopo la ridefinizione delle classi di laurea e di laurea magistrale. Ma gli atenei potranno avviare una fase di sperimentazione del nuovo percorso a Y e delle lauree specialistiche sulla base di 120 crediti a partire dall'anno accademico 2004-2005. ALESSIA TRIPODI _______________________________________________________________ Corriere della Sera 10 nov. ’04 DOPO TRE ANNI GIA’ TUTTI "DOTTORI" La Corte dei Conti approva il decreto: il titolo spettera’ anche a chi ha preso la laurea breve ROMA - Laurea breve, ma titolo completo. Basta la laurea triennale per potersi far chiamare "dottore". Lo ha comunicato ieri il ministero dell'Istruzione, dopo l'approvazione della Corte dei Conti. Chi consegue la laurea magistrale e il dottorato di ricerca ottiene rispettivamente la qualifica di dottore magistrale e dottore di ricerca. La qualifica di dottore magistrale compete anche a quanti hanno conseguito la laurea prima della riforma. Altre novita’ nell'organizzazione degli studi universitari arriveranno dal prossimo anno grazie al decreto che modifichera’ l'ordinamento didattico universitario con l'introduzione del cosiddetto percorso a "Y". Verra’ potenziato il raccordo con il mondo del lavoro nelle lauree triennali, ci sara’ una maggiore flessibilita’ nella progettazione dei piani di studio, saranno modificati i percorsi per le professioni legali. Sara’ agevolata anche la formazione multidisciplinare: si potra’ conseguire una laurea triennale umanistica e poi proseguire in un biennio scientifico. "E' un'altra tappa importante", ha commentato il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti. Beppe Severgnini TUTTI "DOTTORI", LA PASSIONE ITALIANA E’ SALVA di BEPPE SEVERGNINI Il titolo spettera’ anche a chi ha preso la laurea breve. I nuovi modi di distinguersi I posteggiatori non sbaglieranno piu’, quando grideranno "Piano, dottore!" durante la retromarcia. L'annuncio "Dottoressa, le stanno portando via la macchina", in un ristorante, provochera’ una sommossa: solo la cameriera restera’ dov'e’, e forse nemmeno lei. Visti gli stipendi dei neo-laureati, infatti, e’ probabile che molte giovani italiane decideranno di servire spaghetti e contorni. C'e’ da registrare una novita’, gravida di conseguenze sociali. La novita’ e’ questa: la revisione del decreto che ha istituito il percorso universitario detto "3"2", approvata dalla Corte dei Conti e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale , introduce nuove qualifiche accademiche. Il titolo di "dottore" spettera’ ai possessori della laurea triennale. Chi prosegue gli studi e consegue la laurea magistrale e il dottorato di ricerca avra’ diritto, rispettivamente, alla qualifica di "dottore magistrale" e di "dottore di ricerca". Prepariamoci, dunque: la Penisola verra’ attraversata da raffiche di sdottoreggiamenti. Il titolo - sogno dichiarato di milioni di mamme, cruccio segreto di tanti che hanno abbandonato l'universita’ - verra’ rilasciato con piu’ generosita’. Chi sognava di ridurre l'uso pubblico delle qualfiche accademiche e’ servito. Festa grande, invece, tra quanti si sono iscritti all'universita’ soprattutto per ottenere un titolo di studio (scopo raggiunto in soli tre anni, venticinque per cento di sforzo risparmiato). Tutto bene, quindi? Siamo giunti alla pacificazione sociale nel segno del "dottore"? Temo di no: il sottile classismo italiano trovera’ altre strade. I dottori di ricerca, che esistono anche negli altri Paesi, scopriranno che il titolo (sudato) e’ troppo comune, e cominceranno a farsi chiamare PhD, all'americana: cosi’, giusto per non fare confusione. Anche i dottori magistrali - quelli che completano il 3"2 - vorranno distinguersi. Stamperanno "Dott. Mag." sul biglietto da visita, magari: cosi’ qualcuno li scambiera’ per magistrati, che fanno sempre una certa impressione. Non e’ finita: se si e’ capito bene, il titolo di "dottore magistrale" spettera’ anche a chi "ha conseguito la laurea con gli ordinamenti didattici previgenti al decreto 509/1999". Penso a molti fuori-corso degli Anni Ottanta, laureati a calci del sedere sotto ricatto di genitori esasperati, improvvisamente insigniti del titolo di "dottore magistrale". Se hanno un po' di senso dell'umorismo, dovrebbero ridere. Non escludo, invece, che corrano a farsi la carta intestata. Ci aspettano giornate interessanti. Con tre diverse categorie di "dottori" (piu’ i medici, poveretti, che hanno studiato sei anni, piu’ specialita’, per ritrovarsi con un titolo inflazionato) la nazione barocca dara’ il meglio di se’. Le persone importanti nasconderanno il titolo accademico (e poi cadranno malamente, accettando d'essere chiamate "vip"). Il dottor Rossi di Milano e il dottore (con la "e") Russo di Napoli metteranno in cornice il diploma di laurea in giurisprudenza, perche’ si veda che e’ stato conseguito prima del 1999. Ragionieri e geometri penseranno di rivolgersi alla Corte Costituzionale: come, e noi? Ma piu’ di tutti si divertiranno gli stranieri. Gia’ da tempo erano convinti che il prefisso "dott.", davanti al nome di una persona, indicasse che quella persona era italiana. Ora hanno la prova definitiva. Un tempo eravamo "il bel Paese la’ dove il si’ suona" (Dante Alighieri). Oggi, dopo i condoni e le riforme accademiche, siamo "il Paese (un po' meno bello) la’ dove riecheggia il dott.". Potrebbe essere un progresso, ma non siamo sicuri. Beppe Severgnini _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 nov. ’04 IN SARDEGNA FINANZIATI DICIANNOVE PROGETTI DI RICERCA(2,1 MILIONI) Le due universita’ sarde avranno dal ministero contributi per 2,1 milioni di euro ROMA. Via libera al cofinanziamento di 982 progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) per un totale di 137 milioni di euro per l’esercizio finanziario 2004. Il ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, ha infatti firmato il relativo decreto dopo la conclusione delle operazioni di selezione dei progetti proposti. Nove i progetti dell’Universita’ di Cagliari e dieci quelli di Sassari che saranno co-finanziati rispettivamente con 1.081.000 e 1.030.000 euro. “Anche quest’anno - ha commentato il ministro - abbiamo concentrato le risorse su progetti liberamente proposti e realmente di rilevante interesse nazionale, evitando di disperderle in finanziamenti a pioggia. Vorrei inoltre sottolineare come prevalgano le assegnazioni a progetti delle aree scientifiche, in particolare all’area medica e biologica. Cio’ sta a dimostrare - ha osservato - la consapevolezza della comunita’ scientifica sul ruolo che la ricerca puo’ svolgere nel campo della salute e della qualita’ della vita”. In testa alle assegnazioni - che interessano 14 aree disciplinari - figurano le Scienze mediche, con 176 progetti approvati e 26.953.00 euro assegnati, seguite da Scienze biologiche, 124 progetti e 17.669.000 euro e Scienze chimiche, 63 progetti e 15.558.000. I progetti finanziati sono coordinati da altrettanti docenti responsabili scientifici a livello nazionale, i quali si avvalgono della collaborazione di due o piu’ unita’ locali appartenenti ad altre universita’. I progetti sono abbinati complessivamente a 4.258 unita’ operative locali, appartenenti praticamente a tutti gli atenei italiani, e coinvolgono oltre 20.000 ricercatori. ___________________________________________________________ IL FOGLIO 11-11-2004 CONTRO IA METAFISICA SCIENTISTA Un Virus mina certa scienza, che non cerca. piu’ la verita’ ma la costruisce Nella conclusione del suo dialogo con Ernesto Galli della Loggia pubblicato dal Foglio, il Cardinale Joseph Ratzinger osservava che "cio’ che offende i musulmani e i fedeli delle altre religioni non e’ parlare di Dio e delle nostre radici cristiane, ma piuttosto il disprezzo di Dio e del sacro", il quale "esprime l'arroganza di una ragione diminuita, ridotta, che provoca reazioni fondamentaliste". E concludeva osservando che l'Europa deve difendere sia la razionalita’ (l'illuminismo deve rimanere come "una spina nella carne" dei credenti) che la "forza fondante della religione cristiana" ("spina nella carne" dei laici). Per parte sua, Galli della Loggia osservava che noi applichiamo le stesse parole a cose che sono mutate: come diceva Mare Bloch, se per ogni nuovo significato dovessimo trovare una parola nuova, "quanti battesimi e quante perdite di tempo nel regno delle accademie". Per questo la vigilanza semantica deve raddoppiare: non sfugge che la contrapposizione laici-credenti e illuminismo-fede non avrebbe avuto molto senso fino a un secolo fa e l'uso qui proposto segnala che ormai "laico" e’ diventato sinonimo di non credente o addirittura di ateo. Analogamente, oggi si tende a interpretare l'umanesimo come una sorta di laicismo irreligioso, il che e’ quanto dire come qualcosa che non ha nulla a che vedere con le radici dell'umanesimo. Se il significato dei termini va riferito al loro contesto storico, i temi sollevati pongono due domande che sono forse le piu’ complesse e importanti: cosa si deve intendere per "razionalita’" e per ragione "diminuita"? In che senso (e fino a che punto) e’ legittimo dire che una ragione diminuita "provoca" reazioni fondamentaliste? Quando parliamo di razionalita’, soprattutto oggi, il tema che s'impone subito e’ quello del senso e del ruolo della razionalita’ scientifica. Non a caso, il cardinale Ratzinger identificava la razionalita’ "ridotta" con la sua versione positivistica: un discorso che evoca immediatamente la tesi di Edmund Husserl, secondo cui "il concetto positivistico della scienza e’ un concetto residuo". E' un concetto residuo perche’ ha lasciato cadere gran parte dei problemi inclusi nell'idea originale di una "scienza onnicomprensiva, o scienza della totalita’ dell'essere" che perseguiva "nientemeno che lo scopo di riunire scientificamente nell'unita’ di un sistema teoretico tutte le questioni ragionevoli attraverso una metodica apoditticamente evidente e attraverso un processo infinito ma razionale di ricerca". Riuniva tutte le questioni ragionevoli: "dai problemi di fatto a quelli razionali, dai problemi della temporalita’ a quelli dell'eternita’", incluso "il problema di Dio... come fonte del senso del mondo". Husserl aggiungeva che, con la riduzione della conoscenza a "mera scienza di fatti", era stato escluso il problema piu’ scottante per l'uomo, quello del senso della sua esistenza, e la "mera scienza di fatti" non aveva piu’ nulla da dire sugli uomini in quanto soggetti di liberta’. Egli guardava con nostalgia a "quell'acceso bisogno di sapere, quello zelo per una riforma dell'educazione e delle complessive forme sociali e politiche di esistenza dell'umanita’, che rende degna di venerazione l'epoca tanto diffamata dell'Illuminismo" e di cui e’ "testimonianza perenne lo splendido inno Alla Gioia di Schiller e Beethoven". E davvero le parole di Husserl si adattano alla situazione odierna e alla poverta’ spirituale ed etica di questa Europa che proprio quell'inno si e’ dato: "Oggigiorno quest'inno non puo’ che suscitare in noi dolorosi sentimenti. E' impensabile un contrasto maggiore con la nostra attuale situazione". Ma torniamo a noi. Non soltanto non e’ possibile ridurre alle scienze particolari la scienza onnicomprensiva di cui parlava Husserl, ma non ha fondamento l'idea di un'opposizione di principio fra queste e la religione. A1 contrario, e’ noto come il concetto di legge scientifica abbia una radice teologica. Per i grandi fondatori della scienza moderna, come Newton, la "filosofia naturale" muove dalla considerazione della realta’ meccanica per risalire fino alla Prima Causa (Dio) "che certamente non e’ meccanica". La frattura fra scienza e religione e’ stata prima alimentata da un certo fondamentalismo cattolico-di cui furono espressione i processi a Giordano Bruno e Galileo-e, piu’ di recente, dalla riduzione positivistica del progetto della conoscenza, che ha come nucleo il "naturalismo", ovvero il principio secondo cui ogni fenomeno deve essere ridotto a fatti materiali; in definitiva, un'ideologia materialista che vede il mondo come un luogo di assenza di significato e conferisce la virtu’ di produrre significato soltanto all'idea di una societa’ in progresso. Il conflitto del pensiero religioso con questa filosofia e’ inevitabile. Con riferimento all'ebraismo, Gershom Scholem scriveva: "Un giudaismo vivo, quale che sia la sua concezione di Dio, non potra’ che opporsi risolutamente al naturalismo". E aggiungeva una considerazione quanto mai attuale: "La frivolezza filosofica con cui certi biologi tentano di ricondurre le categorie morali a categorie biologiche e’ una delle caratteristiche piu’ oscure del clima intellettuale della nostra epoca, ma che non puo’ ingannarci circa il carattere disperato di una simile impresa". La scienza prepositivistica, in quanto si sentiva parte di un sistema piu’ generale di conoscenza, non ha mai preteso di ridurre le categorie morali a categorie biologiche. Un esempio storico - oltretutto di notevole attualita’ - puo’ servire ad illustrarlo. Nel Settecento il terribile flagello del vaiolo stimolo’ la ricerca di ogni sorta di soluzione. A un certo punto si scopri’ che l'inoculazione di siero vaccino infetto produceva una forma attenuata della malattia che, apparentemente, diminuiva il tasso di mortalita’ nell'insieme di coloro che erano stati "inoculati". Nacque allora un partito dell'inoculazione, che si propose con le vesti della modernita’ e del progresso. Contro di esso insorse un partito contrario le cui tesi principali erano: in linea generale, non e’ lecito modificare l'essenza dei processi naturali: in particolare, l'inoculazione determina con un atto volontario un certo numero di morti, persone che forse non avrebbero mai contratto la malattia, e non e’ moralmente lecito uccidere deliberatamente degli individui per migliorare il tasso globale di mortalita’ dovuto alla malattia. Sul fronte degli oppositori si schierarono non soltanto dei religiosi ma anche illustri scienziati illuministi, come d'Alembert. La dimostrazione mediante il calcolo delle probabilita’ e l'analisi delle tavole che effettivamente mostravano come il tasso di mortalita’ dovuto al vaiolo diminuisse con l’inoculazione, non soltanto furono oggetto di interminabili controversie scientifiche, ma non placarono affatto le obiezioni morali, che restavano in piedi in perfetta autonomia. La questione fu risolta dal progresso scientifico successivo, ovvero dall'introduzione della vaccinazione mediante siero contenente virus inattivati, e quindi totalmente innocua. Oggi, alla luce degli sviluppi scientifici successivi, possiamo dire che i fautori dell'inoculazione erano lungi dall'avere ragione, tantomeno che rappresentassero il partito del progresso e della ragione. Inoltre, questa vicenda ci insegna due cose: in primo luogo che le questioni etiche non sono decidibili su base scientifica, e in secondo luogo, che una conoscenza scientifica insufficiente complica, e di molto, i problemi etici connessi. Difatti, buona parte dei problemi etici connessi alla pratica dell'inoculazione sparivano nel contesto della vaccinazione. E' un singolare paradosso che l'ideologia naturalista si sia imposta soprattutto nella fase positivistica o "residuale" della scienza. Le caratteristiche di questa fase si sono accentuate nella seconda meta’ del Novecento. Come diceva uno dei massimi scienziati del secolo scorso, John von Neumann, le scienze non cercano piu’ di "spiegare", "a malapena tentano di interpretare", ma soprattutto fanno dei "modelli", la cui giustificazione non e’ piu’ la verita’ ma l'efficacia, l'utilita’. Come disse piu’ di recente FranCois Jacob, la scienza non cerca piu’ la verita’, ma "costruisce la sua". D'altra parte, la scienza non poteva privarsi di una metafisica: perche’, a differenza del processo di conoscenza aristotelico che parte dai fatti per costruire una metafisica, la scienza moderna parte da una metafisica per giungere ai fatti. La scienza novecentesca ha scelto come metafisica dominante il naturalismo, in quanto piu’ reminiscente dell'ideale di una conoscenza globale del inondo: un'evidente contraddizione, in quanto qualsiasi ideale di spiegazione o descrizione complessiva e’ incompatibile con l'ammissione che la scienza non spiega piu’, non cerca la verita’, ma costruisce la sua. Quanto precede permette di capire perche’ alcuni settori della ricerca scientifica contemporanea si siano sviluppati in direzioni contraddittorie. Von Neumann ideo’ e creo’ i computer digitali "simulando", mediante modelli, alcuni aspetti del funzionamento del cervello umano ma, al contempo, dichiaro’ che era impossibile, e persino contraddittorio, tentare di descrivere il primo ("capire il cervello con metodi neurologici e’ equivalente a cercare di capire un calcolatore tirando pietre sui circuiti"). La tecnologia dei computer e’ quindi partita da un'idea simulativa per fabbricare macchine sempre piu’ straordinarie che pero’ funzionano in modo sempre piu’ divergente dal modo in cui funziona il cervello umano. Ma non era facile che l'antica aspirazione alla comprensione e alla descrizione morisse: di qui il programma dell'intelligenza artificiale mirante a stabilire (in termini teorici e pratici) una specularita’ completa fra uomo e macchina, il quale, come era inevitabile dalle premesse, non poteva che dare risultati a dir poco mediocri - ed e’ ora alla morte clinica, come ha recentemente ammesso uno dei suoi padri, Marvin Minsly ("i computer non hanno buon senso, e’ inutile. Nessun elaboratore potra’ mai guardarsi intorno in una stanza e descriverla"). E questo, piu’ che un insuccesso della scienza, un insuccesso dell'ideologia naturalista. Questi discorsi non sono chiacchiere fuori tema. Difatti, e’ fondamentale nel momento in cui ci accingiamo a valutare l'impatto della ragione scientifica sulla societa’ contemporanea - sapere di cosa stiamo davvero parlando. E' indubbio, come dice Galli della Loggia, che "il progresso della scienza ha in un secolo o due dilatato enormemente le possibilita’ della soggettivita’". Ma e’ assai meno evidente l'affermazione che "questo ampliamento della soggettivita’ e’ giunto sino al punto che il singolo individuo e’ padrone, o e’ vicino a esserlo, di decidere le modalita’ della generazione umana, cioe’ di quanto sembrava consegnato all'eternita’ della natura". Se noi fossimo in presenza di una scienza che ri.esce a perseguire il progetto di accompagnare sistematicamente le sue realizzazioni tecnologiche con una conoscenza esaustiva e metodicamente inattaccabile del substrato teorico di quelle realizzazioni e dei fatti naturali correlati, potremmo parlare di "padronanza", di capacita’ di "decidere". Ma non e’ questo il caso. Certo, la tecno scienza biologica e’ oggi capace di modificare in modo molto incisivo le modalita’ della generazione umana. E qui si vede la differenza con la tecnologia dei computer. Difatti, in quest'ultimo caso, trattandosi della produzione di oggetti diversi dai cervelli umani magnifiche protesi che svolgono funzioni per lo piu’ inaccessibili ai cervelli umani, essenzialmente perche’ mirate alla velocita’ di calcolo - gli effetti sull'uomo riguardano quasi esclusivamente aspetti sociali o comportamentali. Al contrario, le biotecnologie mirano direttamente a modificare la genetica dell'uomo. "Modificare" certamente, ma in forme soltanto in parte conosciute e prevedibili: tralascio temi come quelli dei test genetici che ho gia’ toccato su queste pagine. Quindi, cosa in realta’ si "decida" - anche in termini di effetti collaterali - non lo sa nessuno. Figuriamoci poi se i singoli individui sono stati resi "padroni", o anche vicini ad esserlo, di determinare la loro riproduzione. Insomma, siamo in una fase simile a quella dell'inoculazione del vaiolo, senza che si sappia bene se, come e quando verra’ la fase della vaccinazione. Tutto cio’ e’ importante perche’ muta i termini del dibattito anchilosato cui stiamo assistendo, e che resta anchilosato malgrado la pubblicazione degli scritti dei vari Testart. Da entrambe le parti si tende a dare per acquisito che la scienza e’ capace fino in fondo di fare certe cose. In certo senso, magari fosse cosi’: i termini della discussione sarebbero piu’ semplici e trasparenti. Ma le cose non stanno in quei termini, e cio’ rende ancor piu’ complessa e difficile la questione etica. Pertanto, la critica della ragione "ridotta", dello scientismo e’ una premessa fondamentale nel valutare questo ordine di questioni. Lo scientismo e’ quell'ideologia che, nel migliore dei casi, trasmette un'immagine mitica della scienza come un'impresa onnipotente e onnisciente e non come una dura, difficile e controversa impresa umana; e, nel peggiore dei casi copre di un manto di rispettabilita’ manifestazioni poco serie che con la scienza non hanno niente a che fare. Troppo spesso siamo bombardati da annunci - anche ad opera di pseudo- scienziati che si rivolgono alle televisioni e ai rotocalchi prima che alle riviste scientifiche - di scoperte miracolose che ci guariranno per via genetica dalla paura, dalle pene d'amore, dalla depressione, dalla solitudine e quant'altro si frappone alla conquista della felicita’ assoluta. Annunci cui sistematicamente non segue nulla, salvo il creare nei singoli un'agitazione, uno stato di frenetica aspettativa del miracolo, della guarigione improvvisa: un clima di assoluta irrazionalita’, in cui sedicenti razionalisti si assumono la responsabilita’ grave di propalare un'immagine miracolistica della scienza, invece di quella di un'impresa che procede anche attraverso inciampi, errori e ritirate, e che tanto piu’ e’ sicura quanto piu’ e’ metodica e lenta. Lo scientismo contemporaneo e’ una versione mediocre e volgare del riduzionismo primigenio, perche’ questo - come abbiamo visto nel caso di von Neumann - si guardava bene dal nascondere i problemi e gli ostacoli della ricerca scientifica, e neppure i suoi possibili effetti negativi sul piano tecnologico. Al contrario, lo scientismo attuale e’ un'ideologia meramente apologetica, una metafisica povera ed arrogante, che tende a costruire un'immagine mitica e acritica della scienza. La metafisica naturalista di cui esso si alimenta discredita in modo violento e ottuso tutte le forme della razionalita’ umana che non rientrano nei suoi criteri ristretti: ogni manifestazione di pensiero non formulata in termini "scientifici" - letteratura, arte, psicologia, sociologia, filosofia - viene messa in lista di attesa, per essere ristrutturata e riscritta da cima a fondo. In definitiva, lo scientismo e’ un fondamentalismo, analogo a quelli religiosi. Pertanto, riformulerei la questione iniziale dicendo che esso alimenta gli altri fondamentalismi, cosi’ come ne e’ alimentato. Ma la formulazione del cardinale Ratzinger era piu’ radicale, in quanto diceva che l'arroganza della ragione positivistica ridotta "provoca" reazioni fondamentaliste nei musulmani e nei fedeli delle altre religioni. Qui si sente l'esigenza di un'estrema cautela, perche’ oggi noi ci troviamo di fronte a tanti fondamentalismi, ma e’ impossibile negare che e’ particolarmente il mondo islamico ad essere spaccato da una faglia drammatica che mette in evidenza l'azione di un fondamentalismo di straordinaria virulenza. Esiste un'incommensurabilita’ assoluta tra il fondamentalismo di chi decapita l'avversario ed ogni altro fondamentalismo che resti entro i confini del confronto pacifico. Nessuna posizione, per quanto sbagliata essa sia, puo’ essere considerata responsabile di "provocare" una reazione che giunge fino alla distruzione fisica e alla violazione della dignita’ umana. Attribuire alla ragione positivistica il torto di "provocare" il fondamentalismo terrorista e’ un'accusa che non puo’ non provocare una reazione di difesa della prima. Naturalmente, una simile precisazione e’ superflua rispetto al pensiero del cardinale Ratzinger, ma non lo e’ affatto rispetto agli stereotipi di certo "politically correct" corrente, che giungono fino alla giustificazione dei delitti dell'integralismo islamico e del terrorismo in nome dei "misfatti" della societa’ tecnologica occidentale e, mentre considerano questi misfatti ingiustificabili e imperdonabili, trovano mille scuse e motivazioni per la violenza dei cosiddetti "poveri". E' una precisazione importante, perche’ questa e’ la realta’ in cui viviamo: una realta’ in cui, se la religiosita’ musulmana non implica l'integralismo terrorista, esiste invece un legame di continuita’ fra esso e il fondamentalismo islamico. Dicevamo che i fondamentalismi si alimentano a vicenda. Da questo punto di vista, anche il mondo cattolico e le sue autorita’ dovrebbero chiedersi se hanno davvero fatto il meglio per controbattere nel modo piu’ efficace l'arroganza della ragione ridotta, e certi eccessi di un laicismo che confonde la laicita’ con l'ateismo antireligioso. Dovrebbe apparire evidente che la via piu’ chiara in questa direzione consiste nel propugnare i valori spirituali caratteristici del cristianesimo e nell'affermare che i diritti di questa spiritualita’ sono altrettanto legittimi degli altri, senza pero’ cercare di puntellarne le posizioni attraverso il mantenimento di forme di controllo e di potere molto terrene. Purtroppo, le cose non sono andate fin qui in questa direzione. Valga un solo esempio emblematico: quello dell'ostinato arroccamento sulla difesa dell'ora scolastica di religione, anche mediante puntigliosi stratagemmi, come quello di opporsi alla sua collocazione all'inizio o alla fine dell'orario, nel tentativo di costringere tutti gli studenti a frequentarle, magari per conseguire il modesto quanto molesto risultato di far tornare a casa qualche piccolo valdese o ebreo recitando l’Ave Maria. Sembra che non si riesca a valutare quali reazioni negative, anche in larghi strati delle famiglie cattoliche, determini questa forma sbagliata di difendere i valori spirituali mediante meccanismi di potere vuoti di spiritualita’, e quanto essa sia in definitiva controproducente per gli stessi interessi della religione cattolica. I fondamentalismi si alimentano a vicenda. Chi conosca un poco la realta’ della Spagna, sa quanto l'ostinata battaglia sull'ora di religione - ovvero su una mera questione di controllo e di potere - abbia contribuito a "provocare" la reazione del fondamentalismo alla Zapatero. Il quale ha risposto cancellando l'ora di religione cattolica e assumendo centinaia di insegnanti di islamismo. Cosi’ a un certo fondamentalismo cattolico fa il verso un fondamentalismo "politically correct", come quello di quel sindaco nostrano che vorrebbe introdurre come ora alternativa all'ora di religione (cattolica) l'ora di religione islamica. Quale spazio resterebbe per chi non sente di "non potersi dire" cristiano o islamico? E' per queste ragioni che molti di coloro che hanno considerato come grave e inaccettabile l'esclusione di Buttiglione dalla carica di commissario europeo a causa delle sue personali convinzioni etico-religiose - e l'hanno vista come un inammissibile attacco al diritto di avere una coscienza religiosa -, non riescono a riconoscersi nell'idea che la risposta giusta sia la ripresa dell'antico motto di Benedetto Croce "perche’ non possiamo non dirci cristiani", oltretutto nella nuova vulgata "perche’ dobbiamo dirci cristiani". Di passaggio. vorrei notare che per un ebreo quel!a formula suona particolarmente spiacevole, perche’ Croce la accompagno’ sistematicamente con la tesi rozza e prepotente secondo cui l'ebraismo, essendo ormai svuotato e privo di funzione, doveva cessare di esistere e gli ebrei dovevano assimilarsi al cristianesimo anche "per non dare pretesto ad altre persecuzioni" - posizione che ribadi’ anche in un brutale articolo il cui occhiello recitava "una questione su cui non intendo ritornare". E' chiaro che la questione cruciale e’ quella dell'identita’ europea, un'identita’ che poggia evidentemente su due grandi pilastri: quello greco- romano e quello giudaico-cristiano. Essi rappresentano i due aspetti di quel concetto ampio e non ridotto di razionalita’ "non ridotta" di cui abbiamo parlato all'inizio; che esprimono la visione oggettivista della natura e del diritto, da un lato, e l'attenzione per la spiritualita’ religiosa, la psicologia e l'etica, dall'altro. La loro interazione, talora anche difficile, ha fatto la grandezza di quella cultura europea di cui Husserl lamentava il declino - un declino che, a distanza di quasi settant'anni, non arresta il suo corso. Ma un siffatto declino - che si esprime anche nell'incapacita’ di opporre una valida risposta all'attacco dell'integralismo islamico non puo’ essere arrestato ne’ da una mutilazione in senso laicista o cristiano delle "radici" europee, ne’ dall'inserimento di protestanti, ebrei, religiosi di tante di un richiamo a parte di queste tre fedi ed anche atei di ritrovarsi indici nella Costituzione europea. esterno con il multiculturalismo mediocre e distruttivo del "politically correct" o con l’arroccamento sulla difesa dei soli valori cristiani, cui tutti si dovrebbero accodare come dietro uno scudo difensivo; allora c'e’ ben poco da fare, e l'ideale della razionalita’ "non ridotta" restera’ soltanto un ricordo del passato, come il Partenone e il Foro Romano, fra le cui rovine risuonera’ soltanto l'eco lontana dell'inno di Schiller e Beethoven. Giorgio Israel _______________________________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’04 GLI UNIVERSITARI ROMANI NON SANNO L'ITALIANO Errori piu’ comuni: "ingegniere" e "aereoporto" Ignorata la punteggiatura Un corso per gli studenti della "Sapienza" che hanno dubbi e incertezze sulla lingua ROMA - Scrivono "ingegniere" con la "i" e sono convinti che "concepire" sia sinonimo di "partorire", restano incerti davanti all'alternativa metereologia/ meteorologia, aereoporto/aeroporto, e perplessi dovendo scegliere la forma corretta tra esterrefatto/ esterefatto, colluttorio/collutorio. Non solo: c'e’ completa anarchia nella punteggiatura e hanno difficolta’ nella strutturazione di un testo dal punto di vista argomentativo. Sono alcuni degli studenti iscritti all'universita’ "La Sapienza" di Roma, per i quali e’ stato istituito, da quest'anno, un nuovo corso ad hoc che permette di sciogliere dubbi e incertezze sulla lingua materna. E’ stato chiamato "Corso di tutorato per migliorare le competenze di italiano scritto" e si rivolge a tutti gli studenti, italiani e stranieri, iscritti a una qualsiasi delle facolta’ del primo ateneo romano. Il corso prevede due autonome modalita’ di lavoro: la classica "Lezione frontale", per classi di studenti che si siano preventivamente iscritti tramite l'apposito modulo di adesione compilabile on line (all'indirizzo internet www.uniroma1.it/formatori/linguaitaliana); e la modalita’ "Sportello", aperta a tutti gli allievi dell'Ateneo, senza preventiva iscrizione. Le "lezioni frontali" del primo semestre sono gia’ partite il 5 ottobre, e termineranno a dicembre; nel secondo semestre, invece, tutti in classe da marzo a maggio e adesioni on line fino al 10 febbraio. I corsi sono gratuiti, si articolano in 10 lezioni da tre ore ciscuna, tenuti da dottori , professori e dottori di ricerca in possesso della qualifica di "Formatore di lingua italiana", ottenuta frequentando un apposito Corso organizzato sempre quest'anno nell'Ateneo romano. "Sono arrivate circa 280 domande on line e sono state formate 13 classi da 18-19 allievi. In realta’, pero’, frequentano assiduamente le lezioni circa dieci studenti per classe, forse a causa della poca pubblicita’ che e’ stata data all'iniziativa", ha dichiarato Maria Panetta, coordinatrice del Corso. "I docenti sono in tutto 31 - ha proseguito -: 15 lavorano nel primo semestre, 16 lavoreranno nel secondo. Da ottobre a dicembre due di loro sono impegnati nel servizio "Sportello" e da marzo a maggio avranno in tre questo compito". Ma quali sono gli errori piu’ comuni commessi dagli studenti? "La classe di ragazzi che seguo - ha spiegato Maria Silvia Rati, docente del Corso - e’ composta da allievi con lacune molto gravi soprattutto nella sintassi. Ad esempio ignorano cosa sia un sostantivo, che per alcuni sarebbe persino sinonimo di attributo. Non sono mancati errori clamorosi di ortografia nel test di ingresso: anche l'unico futuro ingnegnere della classe, come tutti gli altri, era convinto che dopo la laurea sarebbe diventato un ingegniere. Inoltre nei riassunti manca spesso l'esplicitazione del soggetto della frase, con tutte le relative confusioni, e a questo si aggiunge una scarsa padronanza nell'uso del gerundio. Problematico e scorretto anche l'uso della punteggiatura: si ignora - ha precisato l'insegnante- la regola che vieta la virgola tra soggetto e predicato verbale e solitamente si tende a omettere la virgola con gli incisi". "Puo’ capitare anche la classica confusione tra congiuntivo e condizionale nelle protesi del periodo ipotetico: il "se avessi", che diventa spesso "se avrei". Ed e’ interessante -ha concluso la Rati- anche qualche errore lessicale: nonostante molti allievi si dichiarino impegnati in politica, sono fermamente convinti che reazionario sia sinonimo di rivoluzionario; uno dei ragazzi, poi, considera concepire come sinonimo di partorire. E tutti ignorano il significato del termine preterintenzionale". _______________________________________________________________ Il Messaggero 7 nov. ’04 UN ROMANO SU DUE A RISCHIO ANALFABETISMO Una ricerca di Unla e Ucsa rivela il basso livello di istruzione dei residenti nella Capitale, una realta’ in linea con quella nazionale Secondo uno studio l'11,8% e’ senza titoli di studio: 716 mila non hanno finito la scuola dell'obbligo Un romano su due tentenna sul crinale dell'istruzione, in bilico tra il versante illuminato della conoscenza e il tenebroso abisso dell'ignoranza. Impennate concettuali, voli pindarici e abissi semantici si fondono nelle menti dei discendenti di Romolo come olio nell'acqua. Di tali scogli sono, per essi, disseminate le vie della lettura: ostiche e ostili anche se non percorrono gli impervi passaggi della critica trascendentale o dell'ermeneutica (erme che?) ma i ben piu’ abbordabili circuiti del ragionamento giornalistico. Il parla come magni , nella capitale d'Italia, diventa invito quasi d'obbligo per rendere agibile la comunicazione. Il 52,9 per cento dei concittadini viaggia ai confini dell'analfabetismo: l'11,8 non ha titoli di studio, il 16 e’ titolare di licenza elementare, il 25,1 ha finito le scuole dell'obbligo. In cifre assolute si tratta di 1.363.198 persone. E' stato dimostrato da studi internazionali che il sapere e’ materia a conservazione piuttosto lunga ma non perenne, dopo cinque anni le nozioni scadono, l'erudizione svanisce, i ragionamenti si arrugginiscono, come la prestanza fisica di un atleta costretto sulla sedia a rotelle. Gli istruiti di oggi, se non coltivano il loro patrimonio di acquisizioni, diventeranno gli ignoranti di domani. Lo studio su 2.580.000 romani, elaborato da Unla (Unione nazionale per la lotta all'analfabetismo) e Ucsa (Universita’ di Castel Sant'Angelo) basandosi sui dati messi a disposizione dal Campidoglio, fa parte di una ricerca piu’ ampia, Volar senz'ali , che ha evidenziato analoghe carenze culturali a livello nazionale. Il professor Saverio Avveduto, presidente dell'Unla, sottolinea: "Un milione e 363 mila romani non sono in grado di leggere e riassumere un breve documento di tipo giornalistico. Inoltre, 716.550 romani (con nessuna preparazione o solo con quella elementare) si pongono al di fuori del dettato costituzionale che prevede per tutti otto anni di scuola dell'obbligo. Prescrizione rispettata solo da una fetta minore corrispondente a 646.648 concittadini". Il restante 47,1 per cento di romani, cioe’ 1.216.805 persone, ha faticato, chi piu’ chi meno, sui testi: titolari di diplomi professionali (il 2,7 per cento), di maturita’ (31,2), di diplomi universitari (0,6), di lauree (12,2), di dottorati di ricerca (0,3). Un confronto con Milano vede la Capitale vincere nelle fasce alte dell'istruzione (laureati: 12,2 contro 9,3. Diplomati: 33,9 contro 26,9) e perdere in quelle basse (scuola media: 25,1 contro 32,8. Scuola elementare 16 contro 23,65. Nessun titolo: 11,8 contro 6,45). "Gli evasori della scuola dell'obbligo riflette Natale Finocchiaro, preside dell'Istituto tecnico-commerciale "Bachelet" e cioe’ i 716 mila e rotti romani, penso che siano un retaggio del passato destinato a estinguersi. Oggi non e’ piu’ cosi’ facile sottrarsi al dovere, fino a 16 anni, di sedersi al banco. Esistono meccanismi di controllo tra elementari, medie e superiori che funzionano: chi deraglia dal percorso viene individuato e ripreso". Sembra d'accordo l'assessore capitolino alla Scuola, Maria Coscia: "Nel dopoguerra molte persone si fermavano alla licenza elementare. I dati andrebbero rapportati all'eta’. Francamente mi sembrano esagerati". Ma, come diceva Dante, meglio tenere la guardia alzata perche’ fatti non fummo per vivere come bruti ma per seguire virtu’ e conoscenza: soprattutto, avrebbe potuto aggiungere se avesse letto il rapporto dell'Unla, abitando in una citta’, fulcro dell'impero e sede del pontificato, che trasuda cultura da ogni sampietrino. Luigi Pasquinelli _______________________________________________________________ Repubblica 11 nov. ’04 APPROVATA L'INTRODUZIONE DEL CEDOLINO ELETTRONICO per i dipendenti statali dotati di indirizzo e-mail Buste paga via internet Via libera dalla Camera L'opposizione ha chiesto e ottenuto garanzie sulla privacy Dovrebbe entrare in vigore dal prossimo giugnpo ROMA - Cedolino addio. Dal prossimo giugno, i dipendenti statali dotati di una casella di posta elettronica potranno ricevere la busta paga per via telematica. La novita’ e’ stata introdotta con un articolo della legge Finanziaria approvato dalla Camera. L'invio per e-mail sara’ alternativo al tradizionale cedolino dal momento che la Finanziaria stabilisce l'invio "esclusivamente" via e-mail. Chi, insomma, accettera’ la busta paga via e-mail, non ricevera’ piu’ quella tradizionale cartacea. Il governo ha anche accettato un emendamento dell'opposizione (della diessina Beatrice Magnolfi) in base al quale che l'invio del cedolino elettronico deve essere attuato in modo da tener "conto del diritto alla riservatezza" del dipendente. Per questo, e in generale per applicare la norma, il ministro dell'Economia dovra’ emanare le norme attuative con un decreto di natura non regolamentare, di concerto con il ministro dell'Innovazione. ================================================================== ____________________________________________________ Sardinews 10 nov. ’04 TUTTA LA SANITA’ SARDA OSPEDALE PER OSPEDALE. Istituzioni che fanno Al via i piani sanitario e socio-assistenziale di Re.Sa. Diritto alla salute e alla prevenzione: nove incontri-dibattito nel territorio Entra nel vivo l’elaborazione del nuovo Piano sanitario regionale e di quello socio-assistenziale. Per condividere le metodologie e per confrontarsi con operatori, associazioni, sindacati e amministrazioni, l’assessorato regionale alla Sanita’ ha organizzato nove incontri nel territorio. I primi appuntamenti si sono svolti il 25 ottobre a Lanusei e il 29 ad Alghero. Gli incontri proseguiranno lunedi’ 8 novembre a Carbonia, venerdi’ 12 novembre a Ghilarza, lunedi’ 15 novembre ad Olbia, venerdi’ 19 novembre a Sanluri, lunedi’ 22 novembre a Sorgono e domenica 5 dicembre a Quartu Sant’Elena. L’ultimo appuntamento, di natura piu’ spiccatamente politica, e’ fissato per sabato 11 dicembre a Cagliari, dove si discutera’ dei criteri sulla base dei quali si e’ finora gestita l’offerta di servizi sanitari e socio-assistenziali e quelli attraverso i quali si gestira’ in futuro. Quello del nuovo Piano sanitario, atteso da oltre vent’anni, e’ uno dei punti qualificanti del programma della Giunta di centrosinistra. Non a caso, per colmare questo vuoto (la nostra regione e’ l’unica a non essersi dotata di questo indispensabile strumento di programmazione sanitaria) il presidente Soru ha voluto chiamare Nerina Dirindin. Docente di economia sanitaria all’Universita’ di Torino, ha un’esperienza unica in Italia, avendo coordinato nel 1997 il gruppo di lavoro del ministero della Sanita’ per la predisposizione del Piano sanitario nazionale 1998-2000. Nel 1999 e’ stata nominata da Rosi Bindi direttore generale del Dipartimento della programmazione del ministero della Sanita’. Nel dicembre 2000, nominata dal ministro Livia Turco, ha inoltre coordinato il gruppo di lavoro per la predisposizione del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003. Per la predisposizione della proposta di Piano, l’assessorato si avvale della consulenza tecnica della Conferenza Permanente per la Programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale. In seguito agli incontri nel territorio, l’assessore Dirindin si e’ impegnata a presentare alla Giunta una bozza dei due piani entro il mese di dicembre. Dopodiche’ si avviera’ una consultazione piu’ formale attraverso la convocazione di appositi “tavoli” nei quali sara’ illustrata la bozza stessa, per acquisire il parere di tutti i “soggetti” del servizio sanitario regionale. Dopo il passaggio in Commissione sanita’, il Piano sara’ esaminato dal Consiglio, che provvedera’ ad approvarlo. Il Piano sanitario regionale ha durata triennale ma puo’ essere aggiornato annualmente. “Vogliamo fare un Piano sanitario snello”, spiega l’assessore, “perche’ abbiamo urgenza di mettere ordine in un settore dove la mancanza di programmazione e’ ormai pluriennale. Abbiamo come obbiettivo di mettere nel Piano solo quegli obbiettivi che saremo in grado di raggiungere. Questo ci evitera’ di scrivere un libro dei sogni, con la consapevolezza di dover affrontare problemi irrisolti da anni. Ci attendono scelte drastiche e siamo pronti a compierle, perche’ fare delle scelte vuole dire anche saper dire qualche no. Lavoreremo per priorita’”, spiega l’assessore, “affrontando i problemi nel breve, medio e lungo periodo. Ma cercheremo soprattutto di integrare l’offerta sanitaria con quella socio assistenziale. Dovremo imparare a lavorare in rete, per innalzare sempre di piu’ i nostri livelli di assistenza in un momento in cui la carenza di risorse rischia di essere sempre piu’ difficile da affrontare”. I compiti del Piano Sanitario regionale sono ben definiti dalla legge regionale 5 del ’95. Il Piano “individua gli obbiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione del servizio sanitario regionale, nonche’ i criteri e gli indirizzi generali per la loro attuazione, in coerenza con l’entita’ delle risorse ad esso destinate e nel rispetto del Piano sanitario nazionale”. Secondo la legge regionale, il Piano contiene, tra gli altri, gli obbiettivi e le priorita’ di carattere generale, i risultati attesi, i criteri di organizzazione dei servizi e dei presidi, i livelli minimi di assistenza sanitaria garantiti su tutto il territorio regionale, i criteri generali concernenti il bacino di utenza, la localizzazione, gli standard strutturali e di personale dei distretti sanitari. Di competenza del Piano anche l’individuazione delle risorse e la loro ripartizione tra aziende Usl e aziende ospedaliere, nonche’ gli indirizzi generali per l’integrazione dei servizi sanitari e di quelli socio- assistenziali, gli indirizzi generali per la stipula di convenzioni con le organizzazioni di volontariato e quelli per la formazione. Il Piano socio-assistenziale ha obbiettivi e procedure di consultazione analoghe a quelle del Piano sanitario. La fase di concertazione prevede una consultazione con gli attori del parternariato svolta attraverso gli incontri con la Conferenza Permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale e con la Consulta regionale per i servizi socio-assistenziali. Il Piano sara’ strutturato in maniera analoga a quella del Piano sanitario, prevedendo un’analisi dello stato attuale, a cui fara’ seguito l’individuazione di criteri che dovranno sovrintendere l’offerta dei servizi socio assistenziali e gli obiettivi da perseguire. Con il Piano si effettuera’ anche una revisione di tutta la normativa regionale in materia di politiche sociali, ormai superata. Anche la bozza del Piano socio-assistenziale, dopo gli incontri territoriali, verra’ presentata dall’assessorato alla Giunta entro la fine dell’anno. Dopo il passaggio in Commissione sanita’, il Piano sara’ esaminato dal Consiglio, che ha il compito di approvarlo. L’ultimo piano socio assistenziale e’ stato varato dall’assemblea di via Roma nel luglio nel 1998. “Scaduto” nel 2000, il Piano e’ stato prorogato di anno in anno dal Consiglio. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’04 Prevenzione e formazione I MEDICI DEL FUTURO Non e’ un caso che proprio a Milano la Facolta’ di Medicina dell'Universita’ Statale abbia attivato un progetto pilota di tirocinio dei laureandi negli ambulatori di medicina di base. Nel prossimo futuro alle poche decine di protagonisti della prima sperimentazione faranno seguito centinaia di studenti del sesto anno del corso di laurea, che verranno coinvolti nell'obbiettivo di formare fin da subito i dottori del futuro secondo profili che la citta’ fortemente richiede. Infatti, la metropoli e’ consapevole delle mutate esigenze del servizio sanitario e del ruolo fondamentale, al di fuori dell'ospedale, svolto da una categoria di medici troppo spesso negli ultimi anni sottovalutata. Si riparte dal momento apparentemente piu’ semplice, ma in realta’ difficilissimo, rappresentato dal primo contatto medico-paziente-malattia nell'ambulatorio. Con il medico di base si puo’ recuperare quel rapporto personale fiduciario essenziale per il corretto funzionamento del servizio sanitario pubblico. Nella Lombardia, regione ad altissima offerta sanitaria, la figura del medico di base puo’ rivelarsi centrale nella razionalizzazione e nel controllo della spesa sanitaria. Egli puo’, di volta in volta, essere efficace strumento riduttivo dei costi, se funziona a monte da regolatore responsabile e moderato delle esigenze di spesa, discernendo le reali necessita’ di esami costosi, di ricovero e di interventi specialistici da spinte emotive che fanno crescere irrazionalmente le spese. E' quello che noi medici nel linguaggio da addetti ai lavori chiamiamo "appropriatezza", che vuol poi dire una corrispondenza equilibrata fra serieta’ della malattia e razionalita’ delle possibili soluzioni terapeutiche. Ma il rilievo del medico di base rispetto alle aspettative di Milano non riguarda soltanto "l'economicita’" del suo ruolo. Da una parte il cittadino, come contribuente, vuole un sano bilancio della macchina-sanita’ cui si affida, dall'altra parte come paziente chiede al medico un'attenzione continuativa non solo in occasione della vicenda-malattia, ma anche nel quotidiano mantenimento del suo stato di salute. Ecco perche’ il medico di base e’ importante nella prevenzione. E la prevenzione e’ la sfida anche sociale e di bilancio della medicina. Non soltanto allunga la vita, abbatte i costi riducendo in un circolo virtuoso gli effetti cronici delle malattie epidemiologicamente piu’ significative, dal diabete alle patologie cardiovascolari. L'attenta e continuativa presenza del medico puo’ limitare nel singolo paziente la necessita’ di ricorrere in futuro a terapie altamente specialistiche, invasive e costose. FRANCESCO DONATELLI Direttore della cattedra di cardiochirurgia - Universita’ degli Studi di Milano _______________________________________________________________ Il Messaggero 11 nov. ’04 «SANITA’ MALATA? SI DEVE CURARE CON I TICKET» ricercatori dell’universita’ romana di Tor Vergata analizzano i conti del sistema. Tra le proposte controllo delle prescrizioni e diversificazione dell’assistenza Il Rapporto Ceis: «I tagli in Finanziaria non bastano, i costi dovranno per forza ricadere sui cittadini» di CARLA MASSI ROMA - Degenze in ospedale, cure, assistenza a domicilio, visite ambulatoriali, farmaci: nel 2004 la sanita’ chiudera’ i conti con un disavanzo che si aggira intorno agli 8,4 miliardi di euro. Cifra che l’anno dopo e’ destinata a scendere grazie agli 88,2 miliardi di euro stanziati dalla legge Finanziaria. Il capitolo “sfondamento” dell’anno prossimo dovrebbe scivolare a 6,1 miliardi. Questo ridimensionamento, dovuto ai risparmi, ai controlli sulla spesa farmaceutica e allo spostamento di risorse dall’ospedale all’assistenza domiciliare, viene previsto e quantificato nel II Rapporto Ceis Sanita’ 2004 della facolta’ di Economia dell’universita’ Tor Vergata di Roma. Un lavoro, illustrato all’Istituto Luigi Sturzo di Roma dal coordinatore del Ceis Sanita’ Federico Spandonaro, che ha scandagliato i bilanci del nostro sistema sanitario nazionale fino al 2010. Ancora previsioni: si stima, per quella data, una spesa di 111 miliardi di euro con un disavanzo, sempre che vengano mantenuti i finanziamenti di oggi, di 13,6 miliardi di euro. Scenari prossimi venturi alla mano i ricercatori hanno evidenziato la necessita’ di una serie di interventi per assicurarsi che la struttura base del sistema resti ben salda. «Malgrado la Finanziaria si proponga un rilevante incremento - fanno notare i ricercatori - rimarrebbero scoperti 6,1 miliardi rendendo necessario agire sul versante dei recuperi di efficienza ma anche con manovre regionali». Che, nella realta’ quotidiana, significa l’applicazione di ticket su farmaci e visite (il ministro Sirchia anche per quest’anno ha, comunque, escluso, dal governo centrale, l’introduzione di questa tassa) come l’imposizione equa dell’addizionale Irpef decisa a livello locale per fronteggiare le maggiori spese sanitarie. Ma, proprio questi meccanismi, secondo lo studio Ceis, andrebbero rivisti per non rischiare di innescare, come gia’ oggi si riscontrano, meccanismi di tassazione iniqua. Le conclusioni del Rapporto: «Va incentivata, in tempi brevi, una maggiore appropriatezza nell’uso dei farmaci. La politica dei tetti di spesa, infatti, si e’ rivelata fonte di iniquita’ e inefficienze». Parlano di “recupero di efficienza” i ricercatori, dal momento che, conti alla mano, se non si interviene con i controlli sulle prescrizioni, gli sprechi e i diversi tipi di assistenza «la manovra da mettere in atto risulterebbe decisamente pesante». Traduzione: revisione della compartecipazione alla spesa, ticket, e le relative esenzioni. Una situazione, quella disegnata dal lavoro, che mette in rilievo un’aggravante per i bilanci delle famiglie italiane: un consistente spostamento della spesa farmaceutica dal settore pubblico a quello privato. Un attacco al governo, alla luce della ricerca Ceis, arriva da Giuseppe Fioroni, responsabile Autonomie locali della Margherita secondo il quale «cosi’ si smascherano una serie di bugie, soprattutto in tema di tagli ai fondi delle autonomie locali». La ricerca sottolinea che, ad essere piu’ fragili di fronte alle malattie sono proprio le famiglie che devono affrontare, soprattutto con un anziano in casa, spese molto lunghe. Per Luigi Paganetto, preside della facolta’ di Economia dell’universita’ di Tor Vergata «e’ possibile recuperare dalle risorse pubbliche margini di disponibilita’ economiche che potrebbero essere strappati agli sprechi». Dall’incentivazione di una maggiore appropriatezza nell’utilizzo dei medicinali come le esenzioni o la promozione dell’informazione indipendente dei farmaci. Proprio sull’appropriatezza delle prescrizioni i dati di una ricerca firmata da Laura Pellegrini, Direttore dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, disegnano un’Italia “sanitari” piu’ disomogenea di quanto si potesse prevedere: al Sud si contano meno visite specialistiche e piu’ prescrizioni di farmaci costosi, al Nord la situazione e’ esattamente rovesciata. ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 7 nov. ’04 AUTISMO: L'AIUTO DELLA GENETICA Una patologia complessa, per la quale e’ fondamentale iniziare prima possibile un percorso di recupero che conduca verso una vita sociale e autonoma, avra’ presto la possibilita’ d'essere individuata fin dalla nascita.. Grazie a nuove scoperte. SERVIZIO DANIELA NATALI Se ogni malattia rende diversi, questa rende diversissimi. Quello che e’ normale per gli altri non e’ normale per chi ne soffre. E viceversa. Eppure anche se di autismo non si puo’ "guarire", con l'autismo si puo’ avere una vita sociale e indipendente. «Questa patologia - spiega Ernesto Caffo, ordinario di neuropsichiatria infantile all'Universita’ di Modena e Reggio Emilia - colpisce al cuore il funzionamento psicologico dell'individuo: la capacita’ di avere relazioni, comunicare sentimenti e pensieri, partecipare al calore della vita familiare; ma progetti psicologici ed educativi mirati - e anche farmaci, per esempio per favorire l'attenzione o per ridurre comportamenti particolarmente aggressivi - possono migliorare la qualita’ della vita dei piccoli con autismo, contribuendo al loro benessere e alla loro futura autonomia». E non si tratta di una conquista che riguardi pochi o poche famiglie. L'Associazione nazionale genitori soggetti autistici parla di un'incidenza della malattia che puo’ andare da 2 a 10 casi su l0mila persone, e la cifra si quadruplica se si includono disturbi analoghi all'autismo. Una ragione in piu’ per dedicare all'argomento un ampio spazio durante il XXI Congresso della Societa’ italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza , che si tiene a Modena da oggi, 7 novembre, sino al 10. Anomalie «A tutt'oggi - prosegue il professor Caffo - la diagnosi e’ possibile solo a partire dai 18- 36 mesi, quando si fanno evidenti atteggiamenti anomali, come non sorridere, evitare lo sguardo altrui, non rispondere se chiamati, avere comportamenti e interessi ripetitivi, parlare di se’ in terza persona». Presto, pero’, la diagnosi potra’ essere precocissima: alla nascita. Grazie alle scoperte della genetica. Spiega Fabio Macciardi, professore associato di psichiatria e genetica epidemiologica all'Universita’ di Toronto e di genetica medica all'Universita’ di Milano: «Definitivamente abbandonata la teoria, inutilmente e dannosamente colpevolizzante, che trovava nella madre - una "mamma frigorifero" - la responsabile dell'autismo del figlio, oggi sappiamo che al 90% questa malattia dipende da anomalie genetiche. Responsabile non e’ un solo gene, ma un insieme di geni che si combinano tra loro. «Tra i geni individuati: il Reelin e il Gluró, mentre sono in via di identificazione un gene sul cromosoma 7 e un altro sul 15. Il Reelin, e’ un gene "antico", cioe’ presente non solo nell'uomo, ed e’ uno dei primi attivati per lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Quanto al G1uR6, la proteina che codifica e’ uno dei meccanismi di attivazione delle cellule del sistema nervoso centrale. Questo gene puo’ presentarsi in due modi: se si ha la condizione B il rischio di autismo e’ altissimo». «Molto complessa - continua Macciardi - l'identificazione dei geni legati all'autismo sul cromosoma î e 15. Per ora, nel gruppo in cui lavoro all'Universita’ di Toronto, si e’ visto che l’alterazione sul cromosoma 7 porta a una forma di autismo accompagnata da difficolta’ di linguaggio; mentre quella sul cromosoma 15 e’ legata a comportamenti ripetitivi. Il problema e’ che sul cromosoma 7 sul 15 ci sono un sacco di geni e non siamo ancora a individuare quale e quanti siano coinvolti nell'autismo». Dall'identificazione dei geni "colpevoli" alla terapia genica il passo sara’ breve? «La possibilita’ d'intervenire "correggendo" i geni e’ ancora un sogno» dice Macciardi. «Queste scoperte porteranno pero’, nel giro di qualche anno, non solo alla riabilitazione piu’ precoce - contribuendo a evitare il sovrapporsi all'autismo di altre patologie, come depressione o psicosi - ma condurranno a creare farmaci su misura». Riabilitazione «Quanto alla riabilitazione, ci tengo a dire che i bimbi autistici, come tutti gli altri, sono curiosi e desiderosi d'apprendere,» sottolinea Macciardi «hanno pero’ bisogno di un approccio educativo diverso che escluda il coinvolgimento emotivo. Ma non solo i bambini desiderano imparare. Il fratello di una grande esperta di autismo, Jeanette Holden, solo a 50 anni - quando gli e’ stata fatta la diagnosi di autismo, escludendo quella di grave ritardo mentale - ha imparato a leggere e a scrivere. Ci e’ riuscito perche’ il nostro cervello e’ comunque, e sempre, piu’ plastico di quanto immaginiamo e perche’ qualcuno si e’ preso la briga di insegnargli fABC. Dandogli cosi’ il modo, per lui l'unico possibile, di comunicare con gli altri». Un test per capire se lo sguardo va «altrove» Non solo la genetica aiutera’ ad arrivare prima alla diagnosi di autismo. Alla Yale Universíty Fred Volkmar, hanno messo a punto un test, basato sullo sguardo, che dice molto di piu’ di quanto potrebbe fare l'osservazione diretta dei visi, e puo’ perfino essere utilizzato su bambini di quattro mesi. Spiega Macciardi: «Agli adulti viene fatto vedere un film: se i loro sguardi, invece che sugli occhi dei protagonisti, si fissano sulle loro bocche, o verso oggetti sullo sfondo, la diagnosi di autismo e’ pressoche’ sicura. Ai neonati si mostrano, invece, figure colorate e, tramite una laser, nascosto nello schermo e puntato sulla pupilla, si seguono i loro movimenti oculari. Se i loro occhi puntano alla periferia - e non al centro dell'immagine - si e’ con ogni probabilita’ davanti a un bambino con autismo>, _______________________________________________________________ La Stampa 10 nov. ’04 I CHIROPRATICI LA chiropratica e’ una disciplina rigorosamente scientifica o una pratica di medicina eterodossa? In poche parole: c'e’ da fidarsi o no dei chiropratici? A queste e altre domande intende rispondere un incontro con pubblico e media in programma domani (ore 17,30) al Circolo della Stampa di Milano (corso Venezia 16) a cura dell'Associazione Italiana Chiropratici (AIC). Proviamo ad anticiparne temi e contenuti. Peculiarita’ della chiropratica e’ la mobilizzazione manuale del rachide, cioe’ la colonna vertebrale, ritenuto un punto cruciale del corpo umano dal quale dipendono spesso dolori muscolari, articolari, ossei, ma anche emicranie, artralgie, mal di denti e altri sintomi piu’ complessi. «La chiropratica non tende a curare il sintomo ma a eliminarne la causa - precisa Andrea Cecchi, 36 anni, torinese, vicepresidente dell'AIC, due lauree negli Stati Uniti: in scienze fisiologiche presso l’universita’ della California a Los Angeles e in Chiropratica all'universita’ di Minneapolis -. I chiropratici hanno un approccio al paziente che non richiede l'ausilio di farmaci». Ma perche’ la colonna vertebrale e’ considerata il crocevia fondamentale del corpo umano? «Eventuali alterazioni nell'equilibrio e nell'allineamento fra le varie vertebre, che in chiropratica si chiamano "sublussazioni", possono creare stress, irritazioni, o compressioni nel midollo spinale e nei nervi spinali, ovvero i "fili" di collegamento tra il sistema nervoso centrale e i distretti periferici attraverso gli spazi intervertebrali. Le conseguenze sono spesso problemi motori, sensazioni dolorose o altri disturbi in diverse aree del corpo». Un sistema nervoso irritato puo’ dunque causare patologie o contribuire a determinare una salute cagionevole. Le cause di queste sublussazioni possono essere molteplici, risalire addirittura alla nascita, derivare da cadute, incidenti, traumi vari, ma anche da posture errate o, nelle donne, dalla gravidanza. In ogni caso, secondo i chiropratici una connessione difficoltosa o disturbata tra il cervello e il corpo fisico crea un deficit funzionale nell'organismo, una condizione generale di malessere, riduce la forza dell'individuo, la capacita’ di resistere alle malattie e di adattarsi allo stress. Occorre allora intervenire partendo dalla colonna vertebrale - a livello cervicale, toracico, lombare o sacrale - per poi allargarsi piu’ perifericamente ad altri distretti osteoarticolari. Il chiropratico, dopo una radiografia completa dell'apparato scheletrico in normale posizione eretta e un'accurata anamnesi del paziente, indaga sulla sintomatologia e le sue possibili cause, quindi interviene manualmente con precisi movimenti di compressione, torsione, estensione, tensione - solitamente senza provocare dolore - avvalendosi di strumenti professionali come rilevatori di calore, lettini ortopedici, piani inclinati. A volte bastano poche sedute per ottenere dei benefici, come possono testimoniare i molti atleti professionisti che ricorrono a questo tipo di trattamento. Una sapiente manualita’ e’ dunque fondamentale nella chiropratica, una disciplina giovane - e’ nata a fine Ottocento negli Stati Uniti - ma subito sviluppatasi negli Usa fino a diventare materia di regolari corsi di laurea in numerose universita’. Dagli Stati Uniti la chiropratica si e’ poi estesa in tutto il mondo ed e’ stata riconosciuta a livello legislativo in molti paesi, dall'Australia al Sud Africa, dalla Svizzera a Israele, ma anche in Europa: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Belgio e Gran Bretagna. In Italia, invece, siamo fermi a una proposta di legge del 2003 dell’onorevole Paolo Lucchese, attualmente all’esame della Camera, che chiede tra l’altro un corso di laurea in Chiropratica e un Albo Professionale. Anche per questo motivo l'Associazione Italiana Chiropratici - formata unicamente da professionisti laureatisi nei college stranieri riconosciuti dall'Organismo mondiale sulla Chiropratica World Federation of Chiropratic - sta cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica e i politici per poter svolgere regolarmente la propria attivita’ ma anche per sfrondare il settore da chi vi opera senza la necessaria competenza. Per informazioni, sito internet www.associazionechiropratici.it. Giorgio Viberti ________________________________________________________________ Libero 11 nov. ’04 INVENTATA UNA CALZA PER IL CUORE Avvolge e protegge quello dei malati di insufficienza cardiaca dl GIANLUCA GROSSI Si presenta come una comune calza femminile, ma anziche’ rivestire le gambe e’ predisposta per avvolgere il cuore e proteggerlo. Inventata dagli scienziati del Baylor College of Medicine, in Usa, essa ha dimostrato in una serie di esperimenti di essere in grado di’ aiutare i malati che soffrono di insufficienza cardiaca. La ricerca, articolata in due esperimenti, e’ durata due anni e ha coinvolto 300 persone. Nel primo, la meta’ dei malati e’ stata sottoposta a interventi per "riparare" una valvola difettosa, e l’altra meta’ oltre all'operazione ha ricevuto la "calza" che inguaina il cuore. Nel secondo i malati sono stati divisi in due gruppi: uno e’ stato trattato con farmaci e l’altro,oltre ai medicinali, ha ricevuto l'impianto della "calza". Dai risultati combinati e’ emerso che il 38% per cento dei pazienti trattati con la "calza, cardiaca "ha mostrato decisi segni di miglioramento rispetto alla condizione iniziale, contro il 27% degli altri. Inoltre. tra i primi, solo in 19 sono in seguito dovuti ricorrere al trapianto dell’organo. al, contrario dei secondi il cui numero di trapiantati e’ stato di 33. L'innovativo strumento rappresenta una svolta tecnologica per la salute di molti pazienti - ha annunciato Douglas Mann, a capo della ricerca - la "calza", fatta di una sorta di tessuto a rete, si e’ dimostrata in grado, in un gran numero di casi, di impedire al cuore ammalato di allargarsi ulteriormente e di perdere completamente la sua originaria funzione». Secondo gli esperti questo nuovo strumento potra’ aiutare circa un quinto dei pazienti con insufficienza cardiaca: quelli che non migliorano con un pacemaker o con i farmaci e che non sono candidati ad un trapianto. Lo scopo della "calza" e’ in sostanza quello di aiutare il muscolo cardiaco danneggiato dall'insufficienza a pompare nuovamente sangue per il corpo. Gli esperti del Baylor College of Medicine ne hanno parlato recentemente a New Orleans al convegno dell’American Heart Administration: essi sostengono che l'apparecchio sara’ presto sul mercato in Europa, mentre in America deve ancora essere approvato dalla Food and Drug Administration. _______________________________________________________________ La Stampa 10 nov. ’04 LA BIOLOGIA SMONTATA E RICOMPOSTA LA biologia oggi e’ un intreccio di discipline che hanno assunto ampia autonomia: genomica, neuroscienze, embriologia, istologia, genetica, ecologia... Nel curare questo «Dizionario» Aldo Fasolo ha dovuto quindi accettare la sfida di due esigenze opposte: la frantumazione in voci di una pluralita’ di discipline e la ricomposizione delle conoscenze in una sintesi il piu’ possibile organica tramite un fitto intreccio di rimandi interni. Il risultato sta in circa 400 voci curate da un’ottantina di autori: non una summa ma il quadro variegato di una ricerca in cammino, la piu’ feconda del momento storico che stiamo vivendo. Aldo Fasolo: «Dizionario di biologia», Utet Libreria, 1110 pagine, 29,50 euro Astrofisico all’Osservatorio di Meudon (Parigi), Luminet e’ noto in Italia per un suo bel libro sui buchi neri costruito come un giallo in cui la gravita’ e’ l’assassino e la luce la vittima. Questa volta ci presenta una versione divulgativa dei suoi studi sulla topologia dell’universo, che hanno avuto il 9 ottobre 2003 l’onore di una copertina su «Nature» ripresa dai giornali di tutto il mondo perche’ proponeva una geometria cosmica a «pallone da calcio». Al di la’ delle forzature giornalistiche, il lettore trovera’ qui un quadro della cosmologia aggiornato fino ai risultati recentissimi del satellite americano «Wilkinson-Map». Jean-Pierre Luminet: «La segreta geometria del cosmo», Raffaello Cortina, 420 pagine, 32 euro Astronomo e divulgatore prolifico, John Gribbin ha riassunto la storia della scienza da Copernico ai nostri giorni in poco piu’ di 600 pagine scandite da brevi biografie dei ricercatori che dato grandi contributi alla conoscenza. Ottima lettura per abbracciare in un solo colpo d’occhio la scienza moderna e per divertirsi con curiosita’, aneddoti e stravaganze dei «mostri sacri». Il tono narrativo ne fa un libro per tutti. John Gribbin: «L’avventura della scienza moderna», Longanesi, 656 pagine, 26 euro La paleopatologia, cioe’ lo studio delle malattie del passato piu’ o meno remoto, e’ una scienza che solo di recente ha trovato cultori sistematici e che puo’ dare importanti contributi sia alla medicina sia all’antropologia: sono i due aspetti trattati in questo libro, non in successione ma in stretta connessione, ricorrendo a pagine su sfondo bianco per la parte storica e a pagine su sfondo grigio per la parte antropologica e di costume. Non e’ necessario essere medici per trovarvi una miniera di curiosita’ che vanno dalle autopsie delle mummie all’origine della sifilide, dalla chirurgia preistorica a storie di peste e di colera. Renato Grilletto, Enrico Cardesi, Rosa Boano, Ezio Fulcheri: «Il vaso di Pandora», Ananke, Torino, 268 pagine, 14,50 euro Dopo quello per la matematica, ecco un «corso di sopravvivenza» per la fisica. Il regista e’ ancora Ennio Peres, matematico e giocologo notissimo, ora affiancato dal fisico Masci e dall’astronomo Pulone: tre buone guide per un percorso tra concetti spesso elusivi come quelli di entropia, onda, forza. Alla fine non solo si sopravvive, ma ci si diverte. Stefano Masci, Ennio Peres, Luigi Pulone: «Fisica. Corso di sopravvivenza», Ponte alle Grazie, 256 pagine, 14 euro Piero Bianucci ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 nov. ’04 RIGENERAZIONE CELLULARE ' ECCO GLI ULTIMI TRAGUARDI Rigenerare la guaina mielinica che riveste le cellule nervose del cervello, ricostruire il midollo spinale , "convincere" le cellule staminali embrionali a diventare cellule cardiache attraverso campi magnetici. Sono tre progetti ambiziosi che hanno pero’ gia’ dato risultati promettenti in tre differenti ricerche. La prima, a firma, del premio Nobel Rita Levi Montalcini e pubblicata sulla rivista «Pnas» (Accademia delle scienze degli Usa) e’ stata condotta dall'istituto di Neurobiologia del Cnr di Roma e dal gruppo del dipartimento di'Morfofisiologia veterinaria dell'Universita’ di Bologna guidato da Laura Calza. Lo studio ha permesso di riparare nei ratti le lesioni provocate dalla sclerosi multipla attraverso la somministrazione dell'ormone tiroideo nella fase acuta dalla malattia. La sostanza non soltanto ha «risvegliato» le cellule staminali del cervello e t precursori delle cellule produttrici di mielina (chiamate oligodendrociti), ma le ha guidate a ricostruire la guaina di mielina distrutta dalla malattia permettendo il passaggio degli, impulsi nervosi. I risultati ottenuti sono cosi’ incoraggianti che i ricercatori hanno gia’ inviato una seconda fase dello studio sulle scimmie. Ed e’ sempre italiana la scoperta pubblicata sulla rivista «Faseb Journal», che l'esposizione a campi magnetici a bassa frequenza (un millitesla) determina il differenziamento delle staminali embrionali di topo in cellule cardiache. In pratica - spiega il coordinatore dello studio Carlo Ventura, dell’ Universita’ di Bologna - con il campo magnetico viene forzata la resa cellulare verso un differenziamento specifico. Questo accade in quanto viene aumentata la trascrizione e l'espressione di geni cardiospecifici. La scoperta non solo apre nuovi scenari di ricerca nel campo della medicina rigenerativa dei tessuti del cuore, ma mette in luce per la prima volta che un mezzo fisico i campi magnetici) e non chimico riesce a differenziare cellule staminali embrionali in cellule cardiache». E’ diretta invece da Maty Galea l'e’quipe australiana che ha messo a punto un trattamento che permette di ricostruire il midollo spinale nel topo: I ricercatori hanno scoperto che eliminando una molecola (nota come EphA4) si riformano i nervi del midollo spinale, I topi trattati, nell'arco di tre mesi, hanno recuperato la capacita’ di camminare e di articolare caviglie e dita. FRANCESCA CERATI ________________________________________________________________ Repubblica 8 nov. ’04 LA DIAGNOSI SI FA A TRE DIMENSIONI di PAOLA JADEWCA Le novita’ derivano dall'incentro della medicina nucleare con l’Ict Medicina nucleare e tecnologie informatiche: un matrimonio che ha permesso la realizzazione di un apparecchio che consente di diagnosticare le malattie, anche quelle piu’ gravi, con notevole anticipo rispetto a quanto e’ possibile con le strumentazioni attualmente in uso e, soprattutto, con maggior precisione. Potenzia praticamente la possibilita’ di prevenire il cancro, le malattie del cuore e i disordini neurologici. I1 funzionamento e’ presto detto. L'apparecchio e’ in grado di mostrare le immagini del corpo in funzione delle sue cellule. Difficile spiegare il salto tecnologico, quello che e’ certo e’ che e’ notevole: molte malattie cambiano il modo in cui un organo funziona prima che i cambiamenti strutturali divengano visibili. Quando diventano visibili, insomma, alcune patologie potrebbero ormai essere incurabili. Anticipare i tempi, vedere la malattia prima che si manifesti, e’ ora possibile con Spect-ct, un combinato di tomografia al computer, Ct, e la tomografia nucleare, lo Spect, Single Photon Emissions Tomography. La Ct, Computer Tomography, e’ una procedura che utilizza i raggi-X; a questa si aggiunge l'uso di un detector, come quello dei controlli agli aeroporti o per molti altri tipi di misure di sicurezza, ma molto piu’ sofisticato; detector e Ci ruotano attorno al paziente, facendo un check in movimento, un processo che consente di avere immagini incrociate degli organi interni nel piu’ breve tempo possibile. Le riprese diventano poi immagini a tre dimensioni e multi-strato. Non solo. Altro notevole progresso e’ che la dose di liquido radioattivo, normalmente richiesto per la tomografia nucleare, in questo caso viene ridotto. E eliminato in tempi piu’ rapidi. Le radiazioni gamma, i fotoni, emessi da queste sostanze sono registrate da una speciale fotocamera a loro volta tradotti da un altro speciale congegno in immagini tridimensionali. La nuova tecnologia, realizzata dalla Siemens, verra’ lanciata sul mercato nel 2005. E si basa sulla integrazione della realizzazione di immagini strutturali e funzionali, introdotta nel 2000 sul mercato grazie al Pet/Ct, ovvero Positron Emission Tomography e Computer Tomography, basata sulle raggi positroni e non su quelli gamma. Al momento, le sostanze usate nelle Pet/Ct per marcare soltanto i tumori hanno una disponibilita’ commerciale limitata. Invece, sono gia’ disponibili diverse sostante utilizzabili con la tecnologia Spect e ora che il sistema e’ stato anche combinato con la Ct, molti piu’ pazienti potranno beneficiare di questa diagnostica. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 nov. ’04 OSSA E DENTI SI RICOSTRUISCONO AL MICROSCOPIO Quando parlano questi biologi-chimici sembrano degli ingegneri edili: le impalcature, i tubi, le ceramiche. Invece di costruire case e ponti, pero’, tentano di ricostruire parti del corpo umano, come le ossa. Ti hanno tolto un dente? Forse si puo’ farle ricrescere. Forse si puo’ rigenerare il tessuto. E’ un'ortopedia da microscopio: tutto avviene su scala piccolissima. Si creano delle impalcature, o scaffold, che sono formate da tubi di dimensione molecolare. Le scaffold sono abbastanza piccole per far da supporto alle cellule e permettere loro di rigenerare il tessuto lesionato. E’ la medicina sposata alle nanotecnologie la scienza fatta sulla scala delle molecole. A fare il punto su questi nuov materiali e’ stato il convegno internazionale «Ceramiche, cellule v tessuti» arrivato alla nona edizione. La riunione che si e’ tenuta ~ Faenza, centro della Romagna famoso per le ceramiche artistiche del Rinascimento, e’ stata organizzata dall'Istec, l'istituto faentin del Cnr che studia i materiali ceramici. Quest'anno sono stati presentati 120 lavori, con 200 partecipanti da 24 Paesi. Per esempio, al Rensaelaer polytechnic istitute, di Troy, negli Stati Uniti, sono convinti che osteoblasti e fibroblasti, le cellule del tessuto osseo e connettivo, crescano meglio su supporti di ceramiche o di polimeri, purche’ costruiti su scala nano. Materiali bioattivi. 11 professor Richard W. Siegel studia in particolare la risposta delle cellule a seconda delle caratteristiche dei nanomateriali. L'ideale sarebbe un materiale biocompatibile (che non provochi una risposta immunitaria), ma anche bioattivo (che stimoli la crescita delle cellule). Non mancano i dubbi. Secondo Siegel, negli Stati Uniti, ci sono ancora pochi studi sulla tossicita’ dei nanomateriali_ nn campo nel quale in America e’ previsto pero’ un aumento dei fondi pubblici. La dottoressa Katsunari Nishihara, di Tokyo, propone l'uso di idrossiapatite sintetica, per far ricrescere i denti alle persone adulte. Denti veri con cui poter masticare, non semplici ancoraggi per apparecchi. I primi tentativi, con radici dentali in oro, sono di un secolo fa. Niente di paragonabile alle nuove radici della dottoressa Nishihara, che si legano ai tessuti biologici senza dare infezione e senza rompersi. I materiali ceramici sono importanti anche per le protesi. Grazie alla loro porosita’, possono fornire un supporto meccanico intorno al quale far crescere i tessuti biologici desiderati, per esempio quello osseo. Opportunamente modellati, questi tessuti semi-artificiali formano delle protesi che, al contrario di quanto accade ora, somigliano molto alla pane del corpo da sostituire. Queste protesi "biologiche" sono il frutto della confluenza di due filoni di ricerca, quello dei materiali, in particolare di quelli ceramici, e quello biologico, che sta tentando di ricreare i tessuti umani a partire dalle cellule staminali. Ricerca interdisciplinare. Dice Antonio Ravaglioli, dell’Istec.: «Da tempo sono cominciate le ricerche con le cellule staminali: qui noi, chimici, medici e scienziati dei materiali, stiamo cercando di ottenere il risultato migliore per lo scaffold, una capsula che tenga le cellule e permetta loro di creare tessuti simili a quelli naturali. A questo scopo facciamo un confronto tra i ceramici e gli altri materiali. E una strada originale, che potrebbe aprire nuovi orizzonti». «Per esempio -, continua Ravaglioli - il nostro gruppo di Faenza sta sviluppando la ricostruzione del condilo, una parte del ginocchio formata sia da cartilagine sia da osso. Si deve preparare una capsula che possa ospitare dalla parte della cartilagine i condrociti, cellule piccole, e dalla parte ossea, gli osteoblasti, cellule piu’ grandi. Il materiale ceramico ha diversi gradi di porosita’, ed e’ quindi adatto alle cellule sia piccole sia grandi. La ceramica ha anche il grande vantaggio di non essere tossica, per cui le cellule riescono a vivere senza problemi, creando un tessuto simile a quello naturale. Collaboriamo, tra l'altro, anche con laboratori di immunologia e genetica». Altre applicazioni. Un gruppo finlandese sta studiando delle viti ortopediche che rilasciano in modo localizzato per due o tre mesi un antibiotico contro le infezioni. Altre applicazioni riguardano i rivestimenti dei pezzi dentali, delle protesi ossee, rivestimenti fatti con nanomateriali, che resistono meglio all'usura e alla corrosione e favoriscono l'adesione degli osteoblasti. Claudia Grisanti ____________________________________________________ la Repubblica 10-11-2004 LE RUGHE? SONO COLPA DEL GRASSO, NON DELLA GRAVITA’ di ANAHAD O'CONNOR Usando delle linee per mettere a confronto foto vecchie e recenti delle stesse persone, gli scienziati evidenziano i cambiamenti del viso. Basta tirare in su le guance per apparire subito un po' piu’ giovani guardandosi allo specchio. Ma e’ giusto attribuire alla forza di gravita’ il danno che l'avanzare degli anni provoca alle nostre fattezze? Probabilmente no. Secondo una ricerca il ruolo di questo fattore nell'invecchiamento e’ stato esagerato e l’afflosciamento della pelle nel corso del tempo e’ solo una causa apparente. Il vero colpevole e’ la perdita di volume sotto la cute. "Molti pensano che le rughe siano dovute a questo rilassamento cutaneo, poiche’ quando si tirano su le guance tutto sembra meglio", dice il dottor Val Lambros, un chirurgo plastico della California, che ha condotto la ricerca. "Ma a uno sguardo piu’ attento potrete vedere che diversi punti del volto non si spostano piu’ di tanto". Val Lambros ha presentato il suo rapporto a un convegno dell'American Society of Plastic Surgeons. Le sue scoperte si basano sulla comparazione di fotografie di persone scattate in diverse fasi della loro vita. Sovrapponendo perfettamente quelle iniziali e quelle recenti, egli ha potuto rilevare con estrema precisione lo spostamento delle rughe, dei nei e di altri segni particolari. Sorprendentemente, solo poche fattezze cambiavano nel tempo. Le sopracciglia dei soggetti esaminati cadevano leggermente e le loro labbra superiori si assottigliavano. Le loro gote diventavano piu’ prominenti, ma si espandevano anziche’ cadere. Tutti gli altri lineamenti rimanevano immutati. Cio’ che in realta’ fa apparire meno giovani le persone e’ il rilassamento dei tessuti morbidi, ovvero "la perdita di grasso e volume sottocutanei", spiega Lambros. "Un fenomeno che si puo’ osservare chiaramente sulla fronte". Anche altri suoi colleghi sembrano averlo notato e hanno cominciato a ricorrere a iniezioni di grasso sottocutanee per rimpolpare la faccia, anziche’ stirare la pelle. Ma il vecchio lifting non e’ destinato a un rapido tramonto. Gonfiare' semplicemente un volto non bastera’ per apparire giovani. In molti casi la tecnica da impiegare e’ piu’ complicata. "La chirurgia plastica non e’ un'arte, ma un artigianato", spiega Lambros. "Bisogna analizzare bene un volto e capire bene dove e’ necessario aggiungere e dove invece e’ indispensabile un piccolo lifting. Ci vuole un po' questo e un po' quello. Quando si esaminano con piu’ cura i dettagli, si ottengono risultati migliori". _______________________________________________________________ Il Corriere della Sera 8 nov. ’04 LE TRAPIANTANO L' OVAIO SUL BRACCIO, SARA’ FERTILE La chemio per curare il cancro all' utero poteva renderla sterile IN OLANDA Rischiava di diventare sterile a 29 anni, a causa dei cicli di chemioterapia che avrebbe dovuto affrontare per sconfiggere un tumore all' utero. Ma un' e’quipe di ginecologi e’ intervenuta durante l' operazione per eliminare il cancro, espiantando l' ovaio sinistro e trapiantandolo sul braccio della paziente. Ora l' organo, espiantato intatto e collegato all' arto con i suoi stessi vasi sanguigni, funziona regolarmente e in maniera del tutto naturale: in futuro la donna potra’ dunque sottoporsi a fecondazione in vitro dopo una stimolazione dell' ovaio posto nel braccio, e forse rimanere incinta. L' intervento, il primo del genere mai realizzato al mondo, e’ stato effettuato dagli specialisti dell' Universita’ Centro Medico di Leiden, nei Paesi Bassi, su una giovane proveniente dal Suriname. I risultati positivi, monitorati dai medici in maniera non invasiva grazie alla nuova posizione dell' organo, sono stati illustrati sulle pagine della prestigiosa rivista «Cancer» da Carina Hilders, responsabile del gruppo olandese. Gia’ nel 1987 a Caen, in Francia, i ginecologi del Centre Hospitalier Universitaire avevano eseguito un autotrapianto di ovaio su una giovane affetta da linfoma di Hodgkin, ma la paziente non ha finora tentato di rimanere incinta. ________________________________________________________________ Il Tempo 7 nov. ’04 UNA PILLOLA DOPO I PASTI E LA FLAUTOLENZA DIVENTA PROFUMO ALLA MENTA dl TULLIO OIANNOTTI PARIGI - Nel paese dei profumi e di Chanel N. 5, il cattiva odore delle flatulenze era davvero insopportabile. Non stupisce che la prima pillola che trasforma l'aria intestinale m un olezzo alla menta e dragoncello, sia opera di un francese, Christian Poincheval. Il prezioso farmaco sara’ in vendita da dicembre in confezioni da 6 euro. Poincheval, un creativo di Alencon, in Normandia, ha gia’ al suo attivo I'invenzione della carta igienica decorata con strisce di fumetti, una trovata che ha avuto discreta accoglienza presso i consumatori e qualche premio per l'inventiva. Stavolta, l'idea e’ stata folgorante: la pillola che trasforma 11 cattivo odore dell'aria intestinale in un aroma alla menta e al dragoncello fa effetto una settimana dopo la prima assunzione. «L'idea - ha raccontato Poincheval - mi e’ venuta sei anni fa. Ero in Svizzera con alcuni amici e dopo un ricca pasto le nostre flatulenze hanno reso l'aria irrespirabile, asfissiante. Per i vicini di tavolo non era certo una cosa piacevole. Allora mi sono detto, bisogna fare qualcosa. II rumore non si puo’ evitare, almeno per ora, ma per l'odore dobbiamo poter fare qualcosa...». Detto, fatto: per mesi, Poincheval si e’ messo a lavorare sull'idea della pillola anti-puzza, che ora e’ stata messa a punto da un laboratorio farmaceutico che utilizza soltanto prodotti a base di piante. L'inventore, che non e’ medico ne’ e’ in grado di creare un farmaco, ha contattato diversi istituti. Alla fine, e’ stata la societa’ «Floralpina de La Fleche», nel nord della Francia, a raccogliere la sfida del peto profumato: «hanno fatto davvero un buon lavoro - commenta l'inventore - la pillola si scioglie perfettamente nell'intestino e contrasta efficacemente la fermentazione». Il farmaco e’ fabbricato unicamente con oli essenziali (la composizione resta segreta) e per il momento e’ ancora in fase di sperimentazione. aI test sono molto positivi - annuncia Poincheval - per essere efficace la pastiglia deve essere presa prima e dopo i pasti di mezzogiorno e della sera. I suoi effetti si fanno sentire a partire da una settimana». Fra qualche giorno, 50 volontari sperimenteranno la pillola di Poincheval. Poi, se tutto andra’ bene, le confezioni da 60 pastiglie saranno in farmacia per soli 6 euro prima della fine dell'anno. ______________________________________________________ IL SECOLO XIX 07-11-2004 «GLI SPERMATOZOI HANNO UN "NASO" LI GUIDA IL PROFUMO DI MUGHETTO» Ricercatori tedeschi: possibile un nuovo metodo di controllo della fertilita’ Berlino. Profumo di donna: non e’ solo il titolo di un bel film di Dino Risi che frutto’ al regista due nomination all'Oscar e a Vittorio Gassman il Palmares a Cannes. Oggi si sa che un profumo - e non potrebbe essere che un profumo femminile - e’ quello che guida la folle gara degli spermatozoi lanciati a fecondare l'ovulo femminile nell'atto del concepimento. Lo dicono i ricercatori della Schering (societa’ tedesca) nell'ipotesi futura di mettere a punto un sistema, rivoluzionario ma anche molto romantico, di controllo della fertilita’ di coppia. Gunter Stock, responsabile dell'Area Ricerca nella multinazionale tedesca, ha spiegato che i’ recettori sono gli stessi, nel naso e nello sperma. Ed e’ un insieme di odori che attira lo spermatozoo verso l’ovocita e che rende poi possibile la fecondazione. Se si riuscisse a inibire i recettori degli odori sulle membrane degli spermatozoi, si potrebbe fermarne la corsa verso l'ovaio. 11 ricercatore ha aggiunto che nel testicolo sono presenti circa 50 recettori olfattivi, uno dei quali e’ stato scoperto nelle membrane delle cellule dello sperma umano: con terminologia molto poco poetica, per un evento del genere, e’ stato chiamato "recettore odorizzante hOR17-4". Provando a metterlo in corrispondenza di vari aromi, si e’ visto che questo recettore si attiva col profumo di mughetto. «Tutto fa pensare - ha aggiunto il ricercatore - che l'ovulo femminile guidi lo sperma e lo attiri a se’ mediante il rilascio di sostanze di richiamo, di profumi, fra cui appunto quello di mughetto». L'obiettivo non e’ solo la contraccezione, ma la stessa fertilita’ di coppia: se infatti inibire i recettori dei profumi-guida puo’ bloccare la corsa degli spermatozoi, potrebbe essere possibile l'azione contraria, cioe’ aumentarla nei casi di sterilita’. _______________________________________________________________ Il Corriere della Sera 11 nov. ’04 NUOVE DIFESE CONTRO IL GLAUCOMA Non solo farmaci per abbassare la pressione, ma anche farmaci che proteggano le fibre nervose Direttore della Clinica Oculistica Universita’ di Genova I l glaucoma e’ una malattia del nervo ottico provocata di solito da un aumento della pressione interna o tono dell'occhio. Sino a oggi curare il glaucoma significa abbassare il tono, farlo scendere al di sotto di quei livelli che danneggiano le strutture nervose. La malattia non guarisce nella sua essenza di danno al nervo ottico che, abbassando la pressione, puo’ essere fermato, ma mai ridotto. Oggi abbiamo farmaci ipotensivi efficaci che provocano drastiche riduzioni della pressione oculare: derivati delle prostaglandine in collirio, instillati ogni sera, consentono, da soli o in associazione ad altri farmaci, di normalizzare il tono. Cio’ ha permesso di rendere meno grave il glaucoma e ha portato a una grande riduzione degli interventi chirurgici antiglaucomatosi. Il glaucoma resta pero’ una malattia invalidante proprio perche’ non e’ ancora stata ottenuta una reversibilita’ del danno al nervo ottico. Ecco quindi affermarsi l'esigenza di ricorrere a una terapia di neuroprotezione: quindi non solo farmaci che abbassino la pressione, ma anche farmaci che proteggano le fibre nervose e le cellule della retina esposte al processo degenerativo e possibilmente ne promuovano la rivitalizzazione. La ricerca scientifica sta dimostrando che il glaucoma si verifica per carenza di fattori vitalizzanti detti neurotrofine o per eccesso di fattori tossici quali il glutammato e l'ossido nitrico. In base a recenti studi effetti neuroprotettivi si possono ottenere dalle neurotrofine stesse o da farmaci antitossici quali l'aminoguanidina (che riduce la sintesi dell'ossido nitrico) e dalla memantina (che interferisce con il glutammato) o piu’ in generale da farmaci che rallentano il processo degenerativo cellulare quali la brimonidina. Le neurotrofine sono sostanze in fase sperimentale. Alcuni farmaci antitossici hanno gia’ dimostrato efficacia e cominciano a essere disponibili. La memantina e’ in commercio in Germania, la brimonidina anche in Italia. Ma anche farmaci vecchi o addirittura antichi come la citicolina e il gingko biloba si stanno dimostrando utili per proteggere il nervo ottico. Quello che e’ importante e’ sapere che disponiamo di farmaci ipotensivi efficaci capaci di fermare la malattia glaucomatosa, e che ora con i neuroprotettori vi e’ la speranza di ridurre il danno e recuperare la funzionalita’ visiva. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 nov. ’04 LA MORTE CEREBRALE E’ SENZA RITORNO A proposito di Arafat (e dei trapianti) I recenti resoconti sulle condizioni di salute di Arafat sono stati un susseguirsi di informazioni confuse ed in contraddizione. Sentiamo quindi la necessita’ di intervenire per chiarire alcuni punti sul concetto di morte cerebrale. Non per pedanteria, ma per l'assoluta necessita’ che in tema di morte cerebrale si superi l'approssimazione e non si lascino dubbi o paure ingiustificate. Nonostante in Italia sia vigente una legge sui trapianti, finalmente a nostro parere chiara, sono emersi nella stampa una volta di piu’ dubbi e preoccupazioni su questo tema. Chiariamo subito un punto: se Arafat si trovasse in una condizione di morte cerebrale non potrebbe in alcun modo migliorare la sua condizione ne’ tanto meno aprire gli occhi. La morte cerebrale e’ semplicemente e drammaticamente morte, e’ un processo irreversibile. Non e’ da confondere con il coma, che puo’ essere gravissimo, dove il paziente ha un disturbo dello stato di coscienza ma e’ vivo, ha conservati molti dei suoi riflessi, esiste una risposta a stimoli esterni, l'attivita’ elettrica cerebrale e’ presente seppure alterata. La morte invece e’ certa: le cellule cerebrali sono morte e di esse non e’ possibile rilevare alcuna attivita’ vitale. Il paziente in coma deve essere curato, puo’ guarire. Dalla morte cerebrale non ci si puo’ risvegliare. Leggiamo in un noto giornale nazionale che «il presidente dell'Autorita’ nazionale palestinese e’ tenuto artificialmente in vita dai macchinari, ma e’ in stato di morte cerebrale». Nessuno in stato di morte cerebrale puo’ essere tenuto in vita. Tutto il cervello, privato dell'indispensabile apporto di sangue, cessa in modo irreversibile di funzionare in quanto le cellule muiono perche’ private di ossigeno. La funzione respiratoria e’ assente e solo gli strumenti (respiratori meccanici) possono garantire una ventilazione finalizzata a mantenere in funzione gli organi periferici, il battito del cuore viene garantito da continui interventi farmacologici. In questa situazione gli organi perfusi possono continuare quindi a funzionare per un breve periodo, anche se contenuti all'interno di un cadavere. E’ indispensabile che nell'opinione pubblica non restino dubbi e per far questo occorre stare attenti al linguaggio ed ai messaggi che possono derivare. Chiaramente, la nostra prima preoccupazione e’ per le possibili difficolta’ che possono derivare allo sviluppo della donazione d'organo e dell'attivita’ di trapianto, ma riteniamo che debba essere un diritto di tutti sapere come si muore. Maurizio Melis - Neurologo Paolo Pettinao - Rianimatore Azienda Ospedaliera Brotzu - Cagliari _______________________________________________________________ Le Scienze 11 nov. ’04 L'INVECCHIAMENTO DEI NEURONI Studiati gli effetti dell'alterazione dell'eccitabilita’ neuronale nei topi Analizzando gli effetti dell'alterazione di alcune funzioni neuronali nei topi, un gruppo di ricercatori ha determinato come il cambiamento di una particolare caratteristica dei neuroni, l'eccitabilita’ neuronale, possa avere un impatto negativo sulla capacita’ di apprendimento e sulla memoria quando si invecchia. Lo studio, pubblicato sulla rivista "Current Biology", e’ stato condotto da Geoffrey Murphy e Alcino Silva dell'Universita’ della California di Los Angeles. Il decadimento della memoria e dell'apprendimento che sorge indipendentemente da patologie evidenti e’ considerato una normale componente dell'invecchiamento. Si stima che circa il 40 per cento delle persone oltre i 65 anni di eta’ soffra di una forma di declino cognitivo legato alla vecchiaia. La causa esatta di questi deficit non e’ nota, ma si sospetta che possano essere implicati i cambiamenti in due caratteristiche neuronali: un calo di eccitabilita’ neuronale (la capacita’ dei neuroni di essere stimolati) e un deficit di plasticita’ sinaptica (la capacita’ dei neuroni di cambiare alcune connessioni con altri neuroni). Nel loro studio, Murphy e colleghi hanno determinato un possibile collegamento fra la vecchiaia, l'eccitabilita’ neuronale e la plasticita’ sinaptica. Studiando topi geneticamente modificati per essere privi di una particolare sottounita’ ausiliaria dei canali ionici, gli scienziati hanno scoperto che gli animali conservavano la propria eccitabilita’ neuronale anche da vecchi e, cosa piu’ importante, esibivano una riduzione nella soglia di induzione di forme specifiche di plasticita’ sinaptica. In altre parole, i topi sembravano in grado di modificare alcuni tipi di connessioni inter-neurali piu’ facilmente dei topi normali della stessa eta’. Inoltre, i topi mutanti invecchiati ottenevano migliori prestazioni in test di laboratorio per l'apprendimento e la memoria. I risultati indicano che le interazioni fra eccitabilita’ neuronale e plasticita’ sinaptica svolgono un ruolo importante nell'apprendimento, e che la manipolazione di uno di questi due parametri puo’ risultare efficace nel limitare il declino cognitivo legato alla vecchiaia. Geoffrey G. Murphy, Nikolai B. Fedorov, K. Peter Giese, Masuo Ohno, Eugenia Friedman, Rachel Chen, Alcino J. Silva, “Increased Neuronal Excitability, Synaptic Plasticity, and Learning in Aged Kvb1.1 Knockout Mice”, Current Biology, vol. 14, n. 21 (9 novembre 2004). _______________________________________________________________ Le Scienze 11 nov. ’04 DUBBI SU UN FARMACO BETABLOCCANTE L'efficacia dell'atenololo sarebbe inferiore a quella di altri farmaci contro l'ipertensione I risultati di uno studio pubblicato sulla rivista "The Lancet" suggeriscono che l'atenololo - uno dei farmaci betabloccanti piu’ diffusi e prescritti per la riduzione della pressione sanguigna - non sia poi cosi’ efficace nel ridurre gli attacchi cardiaci o i decessi causati da malattie cardiovascolari. L'atenololo e’ uno dei betabloccanti piu’ usati, e viene spesso considerato come farmaco di riferimento negli studi clinici sulla pressione sanguigna. I timori che l'atenololo potesse non essere il miglior riferimento da confrontare con altri farmaci contro l'ipertensione hanno spinto Bo Carlberg dell'ospedale dell'Universita’ di Umeå, in Svezia, e colleghi ad analizzare in modo sistematico i suoi effetti sulle condizioni cardiovascolari e sui decessi fra i pazienti con pressione sanguigna elevata. I ricercatori hanno esaminato quattro studi che confrontavano l'atenololo con il placebo o con l'assenza di trattamenti, e cinque studi che lo confrontavano con altri farmaci contro l'ipertensione. I risultati indicano che gli effetti dell'atenololo non sono differenti da quelli dal placebo in termini di decessi dovuti a tutte le cause, a cause cardiovascolari, o per l'incidenza di attacchi cardiaci. L'unico aspetto favorevole risulterebbe una tendenza verso una minor incidenza di ictus. Rispetto agli altri farmaci, invece, l'atenololo aumenterebbe leggermente la mortalita’ dovuta a tutte le cause, e mostrerebbe una tendenza verso una maggior incidenza di decessi dovuti a malattie cardiovascolari e ictus. "Abbiamo alcuni dubbi - e’ il commento del co-autore dello studio, Lars H. Lindholm - sull'adeguatezza dell'atenololo come farmaco di prima linea contro l'ipertensione e come farmaco di riferimento nei trial clinici". © 1999 - 2004 Le Scienze S.p.A.