RETTORI IN TRINCEA SULLA RICERCA - LA LAUREA E L'ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE - SUBITO UN ASSESSORE PER LE UNIVERSITA’ - SAPIENZA «OCCUPATA» CONTRO LA RIFORMA - UNIVERSITA’ IN RIVOLTA: ORA TOCCA AI PROFESSORI - ECO PROMUOVE LA SCUOLA DELLA MORATTI - BOLOGNA, IL RETTORE: QUESTA RIFORMA FA ACQUA - L’UNIVERSITA’ VA RICOSTRUITA MATTONE PER MATTONE - IL RICERCATORE: MA CHE LEGGE NON AVRO’ MAI UNA CATTEDRA - ATENEI, RICERCATORI CONTRO LA RIFORMA - UNIVERSITA’ PAGARE E’ EGUALITARIO - GLI ATENEI TAGLIANO LA PUBBLICITA’ - CONSOLO: DIRITTO D’AUTORE VIOLATO - HANNO SUPERATO I LAUREATI MASCHI - UNA LEGGE CONTRO LE ASSUNZIONI PILOTATE - ================================================= POLICLINICO: TENSIONE TRA DIREZIONE E INFERMIERI - PRIVACY SOFT PER I MEDICI - BROTZU:MANCANO DONATORI PER I TRAPIANTI D’ORGANO - TRAPIANTATO IERI A TEMPO DI RECORD ALL’OSPEDALE BROTZU - LA DIAGNOSI PRECOCE AL SENO SALVA PIU’ DONNE NEGLI USA - CIO’ CHE FA BENE AL CUORE AIUTA ANCHE IL CERVELLO - ROMA: NASCE UN POLO DI ALTISSIMA RICERCA - IL TE’ VERDE "INIBISCE" L’HIV? LA REALTA’ CLINICA E’ LONTANA - LA RISPOSTA AUTOIMMUNE NEL DIABETE DI TIPO 1 - IL ROBOT CHE OPERA SENZA TAGLI - EPPUR SI MUOVE. COSI’ CAMBIA IL CERVELLO - ================================================= ___________________________________________ Il Sole24Ore 6 feb. ’04 RETTORI IN TRINCEA SULLA RICERCA Non convince il progetto Moratti di fare svolgere l'attivita’ con contratti a termine ROMA a Scatta il confronto sulla riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, ma le polemiche non si placano e sale la tensione negli atenei. E l'apertura del dialogo tra il Ministro dell'Istruzione Letizia Moratti e il mondo accademico fa prevedere modifiche in arrivo al disegno di legge delega. Rettori critici. In un documento ufficiale appena approvato la Crui (Conferenza dei rettori delle universita’ italiane) esprime riserve su diversi punti del progetto di riforma: sui ricercatori "a contratto", sulla suddivisione degli stipendi dei docenti in due parti - una fissa e una variabile - e sulla mancanza di un adeguato piano di finanziamenti che, dicono i rettori, «deve andare di pari passo con al riforma dello status». La ricerca con contratti a termine, secondo la Crui, e’ realizzabile solo con retribuzioni «di una certa consistenza», elemento sul quale il Ddl «non fornisce alcuna garanzia». Quanto agli incentivi per i docenti maggiormente impegnati, i rettori fanno notare che strumenti del genere «sono gia’ operativi» e che bisogna «garantire che le nuove procedure non introducano negli atenei elementi di discrezionalita’». Il ministro dell'universita’ interverra’ il prossimo 11 febbraio alla Crui per avviare il confronto sul Ddl. Ieri Letizia Moratti e’ intervenuta al Cun (Consiglio universitario nazionale) per discutere della riforma. «Il ministro - ha detto Luigi Labruna, presidente Cun - ha accettato l’ apertura di un tavolo di confronto per recepire le istanze del mondo universitario». II tavolo, al quale partecipera’ anche la Crui, partira’ prima dell'approvazione definitiva del Ddl e proseguira’ anche sugli interventi da realizzare con i decreti delegati. Un confronto analogo sara’ avviato con i sindacati. Il nodo risorse. «Non approveremo questa riforma senza un piano pluriennale di investimenti». Lo ha detto Giuseppe Valditara, responsabile scuola e universita’ di An, annunciando che il suo partito chiedera’ «l'istituzione di un fondo di 50 milioni di euro per garantire ai ricercatori a contratto uno stipendio netto mensile di 2mila euro». Valditara ha poi fatto sapere che avanzera’ una proposta per «una riforma organica del sistema di finanziamento e di valutazione degli atenei». Docenti in agitazione. Ieri a Roma i docenti e i ricercatori de «La Sapienza" hanno occupato il rettorato per protestare contro la riforma proposta da Moratti. Altre agitazioni sono scattate negli atenei di Trieste e Padova. La protesta confluira’ nello sciopero nazionale previsto per il 17 febbraio a Roma. ALESSIA TRIPODI ___________________________________________ Il Sole24ore 5 feb. ’04 LA LAUREA E L'ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE Assiduo lettore del Sole-24 Ore, sono rimasto perplesso di fronte all'articolo di Dario Antiseri pubblicato il 20 gennaio, nel quale - se ne ho ben compreso il significato - l'autore indicava tra l'altro l'abolizione del valore legale della laurea come efficace (o indispensabile) provvedimento alfine di ridare fiato e qualita’ all'Universita’ italiana. Puo’ darsi che mi sfuggano varie sfumature del problema in questione, non essendo io un "interno" del mondo accademico ma vorrei comunque capire perche’ dovrei convincermi che sia giusto e utile abolire l'egual valore legale di una laurea -poniamo - in giurisprudenza, sia essa stata conseguita a Milano, a Catania o a Camerino, e affidare viceversa alla "concorrenza" tra le Universita’ il compito di determinare (in che modo?) il valore competitivo sul mercato di ogni ateneo, di ogni laurea. Quasi che gli atenei,fossero supermercati, in mezzo ai quali il consumatore individua giorno per giorno quello in cui risulta piu’ efficiente la sua spesa nel rapporto qualita’/prezzo. Non mi sogno di disconoscere i vantaggi della concorrenzialita’ in linea generale, ma vorrei conservare un sano buon senso pratico, che fa a pugni con l'ipotesi che uno studente nell'arco del suo corso di laurea si vada spostando da un ateneo all'altro anche ogni anno per inseguire quello che viene accreditato in quell'anno come "il migliore". EMANUELE NICOSIA Palermo ___________________________________________ Il Corriere della Sera 1 feb. ’04 SUBITO UN ASSESSORE PER LE UNIVERSITA’ I rettori: citta’ cara e con pochi alloggi, rischiamo di perdere studenti. In queste condizioni e’ difficile accogliere i ricercatori stranieri UNIVERSITA' APERTE. IL CASO Sacchi Annachiara Un assessore alle universita’ «o quanto meno all' accoglienza», una rete di raccordo tra atenei e istituzioni e piu’ strutture per studenti e ricercatori. Altrimenti Milano «rischia di perdere la partita con l' Europa», e, avanti cosi’, «diventera’ una citta’ vecchia, abbandonata dai giovani». Mentre le dieci universita’ milanesi aprono le porte al pubblico facendo scoprire i loro tesori (ancora per oggi), i rettori fanno i conti con una citta’ «distratta» che trascura i suoi duecentomila studenti universitari. Fuga di cervelli e poche strutture di accoglienza, nessun investitore e troppi intoppi burocratici: l' elenco dei problemi e’ lungo. Tanto che qualcuno invoca una figura istituzionale che si preoccupi solamente dell' istruzione universitaria milanese. Un assessore alle Universita’, insomma. A chiederlo e’ Stefano Zecchi, presidente dell' Accademia di Belle Arti di Brera: «Ci vuole una figura che sappia gestire la presenza di questi ragazzi in citta’, tenendo conto delle loro esigenze e del loro potenziale economico e culturale. Manca un sistema che sappia utilizzare le energie che provengono proprio dalla popolazione universitaria». L' origine di tutti i i problemi, pero’, e’ l' accoglienza. Sui posti letto, sulla ricettivita’, si gioca il destino di Milano come polo universitario europeo. A sostenerlo e’ Giulio Ballio, rettore del Politecnico: «Noi potremmo far venire migliaia di professori stranieri a tenere lezione per brevi periodi. Ma dove li mettiamo?». E’ necessario, dunque, un accordo con Regione, Provincia, Comune, per trovare le strutture necessarie. «Perche’ i numeri - prosegue Ballio - sono spaventosi e il Collegio di Milano (il campus che accoglie cento universitari eccellenti) e’ solo una goccia nel mare. Ecco, forse ci vorrebbe un assessore all' accoglienza degli studenti». Anche alla Bocconi - due terzi degli iscritti non lombardi - l' emergenza alloggi e’ molto sentita. «E’ necessaria - sostiene il rettore Carlo Secchi - una mobilitazione di Comune, banche, fondi immobiliari, societa’ di costruzione per creare nuove residenze universitarie. Nessuno di questi soggetti ha fatto un primo passo, ma ci vuole un pivot che smuova la situazione. Perche’ solo le universita’ vivacizzano la citta’, hanno un ruolo economico e creano ricambio nella classe dirigente». Alla base della crisi, analizza Giovanni Puglisi, preside dello Iulm, c' e’ la perdita del potere d' acquisto dei salari - che rende piu’ difficile per uno studente vivere e studiare a Milano - e il calo dell' occupazione. «A Milano, poi, manca il clima che si percepisce a Pavia, a Bologna. Milano ha costruito la sua storia e la sua economia indipendentemente dai suoi atenei. Anche oggi manca attenzione nei confronti degli studenti. E’ fondamentale che si crei al piu’ presto un' osmosi tra gli atenei come luogo di cultura e la citta’, il futuro, l' occupazione. Altrimenti Milano rischia di invecchiare, perdere smalto e qualita’. Un assessore? No, sono scettico nel creare poltrone». Secondo Ballio e’ necessario uno scatto d' orgoglio della citta’ e un ritorno all' investimento sui giovani: «perche’ ci sentiamo abbandonati dal sistema economico». Il rischio, gli fa eco Secchi, e’ che il potenziale umano della citta’ vada impoverendosi a fronte di costi e disagi: «Milano invecchia: rimane giovane solo grazie agli studenti». Solo Enrico Decleva, rettore della Statale, e’ ottimista: «Milano trascura l' universita’ non piu’ di quanto trascuri altri aspetti centrali della sua forza. Anzi, si iniziano a vedere segnali positivi, come l' iniziativa di ieri e oggi. Certo, i problemi ci sono: gli alloggi sono pochi, mancano gli elementi organizzativi e finanziari per far convivere universita’ di massa e di elite. Ma ci sono margini di miglioramento». Annachiara Sacchi La scheda L' INIZIATIVA Ancora per oggi, dalle 10 alle 18, rimarranno aperte al pubblico le dieci universita’ milanesi. «Universita’: porte aperte alla citta’» prevede visite gratuite ai tesori nascosti delle varie sede e collegamenti in navetta da un ateneo all' altro GLI STUDENTI Sono circa duecentomila gli studenti iscritti nelle universita’ di Milano, oltre diecimila i docenti. Le facolta’ sono 44 con un ventaglio di ben 255 diverse possibilita’ di corsi di laurea triennale, cui si aggiungono altri 170 corsi di laurea specialistica. Master, corsi di specializzazione, dottorati raggiungono il numero di 538 LA STORIA 1 CONSERVATORIO Mascagni e Muti come allievi Il Conservatorio nacque nel 1808 durante il regno d' Italia di Napoleone. Vi studiarono Pietro Mascagni, Giacomo Puccini, Luciano Berio, Claudio Abbado, Riccardo Muti (foto) POLITECNICO Il primo ateneo milanese 2 La prima universita’ milanese fondata come tale e’ il Politecnico di Milano, nato nel 1863. Tra i laureati Gio Ponti, Giovanni Battista Pirelli, Giovanni Muzio, Giulio Natta, Giuseppe Terragni, Vittorio Gregotti, Renzo Piano (foto), Gae Aulenti CATTOLICA Ha laureato Prodi e Formigoni 3 L' Universita’ Cattolica, nata nel 1921, ha laureato politici come Romano Prodi (foto), Oscar Luigi Scalfaro, Nilde Iotti, Roberto Formigoni, Amintore Fanfani, Francesco Micheli BOCCONI La facolta’ dei grandi manager 4 Tra i laureati famosi dell' universita’ Bocconi si ricordano Marco Tronchetti Provera, Carlo Scognamiglio, Alessandro Profumo, Corrado Passera, Emma Bonino, Renato Soru, Mario Monti (foto) HANNO DETTO CARLO SECCHI Solo le universita’ sono in grado di vivacizzare Milano GIOVANNI PUGLISI E’ necessaria un' osmosi tra gli atenei e la citta’ STEFANO ZECCHI Utilizzare le risorse economiche e culturali GIULIO BALLIO Ci sentiamo abbandonati dal sistema economico ___________________________________________ L’Unita’ 4 feb. ’04 UNIVERSITA’ IN RIVOLTA: ORA TOCCA AI PROFESSORI Roma, per ore docenti, ricercatori e dottorandi occupano il Rettorato della Sapienza: Moratti, ci fai estinguere Wanda Marra ROMA Comincia con un drappo nero steso sulla Minerva, statua-simbolo della Sapienza, la giornata di mobilitazione del primo Ateneo romano. Poi e’ la volta degli striscioni. «Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie» recita, citando Ungaretti, quello degli studenti di fisica. Lo snaturamento dell'universita’ come istituzione pubblica e il precariato come condizione strutturale di tutti coloro che ci lavorano prefigurati nel disegno di legge delega targato Moratti sono perfettamente sintetizzati in queste due immagini. Per protestare contro una riforma che sembra a tutti, dai professori agli studenti, semplicemente inaccettabile, ieri alla Sapienza la didattica si e’ fermata. E c'e’ stata l'occupazione del Rettorato. Professori e precari L'appuntamento e’ per le 10.15 sulle scale che portano all'Aula Magna. Piano, piano, arrivano tutti: i docenti, dai quali e’ partita l'idea della mobilitazione, i ricercatori, i dottorandi, e tutte le varie «tipologie» di precari accademici: assegnisti di ricerca, professori a contratto, assegnatari di borse post-dottorato. E ci sono anche gli studenti: in primo luogo quelli dell’Udu (Unione degli universitari), ma anche tanti che arrivano a titolo personale, per difendere il proprio diritto a un'istruzione libera e di qualita’. «Questa e’ una riforma schifosa, sia a livello ideologico, che economico. Non e’ giusta la privatizzazione di alcune cattedre. E la precarieta’ dei docenti mina seriamente la liberta’ di insegnamento», denuncia Claudio, che fa il III anno di fisica. Non si’ tratta, comunque, di un' occupazione «tradizionale»: non ci sono megafoni, ne’ slogan urlati, ne’ provviste per accampamenti. Alle 11 sono gia’ tutti nell'Aula Magna, dove inizia un'assemblea per delineare un percorso comune di lotta. Tra gli occupanti c'e’ anche il Prorettore dell' Ateneo, Gianni Orlandi, che cosi spiega i termini della questione: «La legge delega rende incerto il futuro dell' universita’. Prima di tutto, non prevede investimenti. Si elimina la figura del ricercatore che e’ stata un po' la spina dorsale della ricerca universitaria. Si precarizza l’universita’, incoraggiando in questo modo i piu’ bravi a scegliere altre carriere, in primo luogo ad emigrare all'estero». Su questa linea e’ anche il documento finale dell'assemblea. La Moratti, si legge> «lungi dall'offrire soluzione agli annosi problemi che affliggono l'Universita’ italiana, va esattamente nella direzione opposta» perche’ «l'universita’, invece di essere vista come fattore di sviluppo culturale ed economico dell'intera societa’, viene considerata un problema di costi da contenere, avvilendo di fatto tutte le figure che la compon gono ed il ruolo di quanti saranno chiamati ad operarvi» e «rischia di ridursi a luogo di lavoro precario finalizzato alla produzione di didattica di basso contenuto scientifico». Tuffi CO-C0,0 I primi a sperimentare tale avvilimento saranno i ricercatori, una categoria che conta 20mila persone, dei quali e’ prevista l'eliminazione, con la sostituzione di co.co.co. quinquennali rinnovabili per altri cinque anni. Contro questa possibilita’ sempre ieri, in un'assemblea affollatissima che si e’ svolta a Lettere, si e’ costituito il Coordinamento Nazionale dei Ricercatori italiani, che> tra le altre cose, «respinge con fermezza l'ipotesi dell'articolazione della docenza in due fasce e la soppressione del ruolo dei ricercatori, che disconosce la loro funzione docente, riconosciuta da leggi emanate dopo la 382 del 1980, ed ampiamente svolta». Ma se i ricercatori si trovano a perdere una battaglia ventennale per il riconoscimento del ruolo di docenti a tutti gli effetti, l'aria che si respira tra i precari e’ ancor piu’ fosca. Sono addirittura 26 gli anni di precariato che prefigura la riforma Moratti: contratti di 5 anni piu’ 5 in sostituzione dei ricercatori, di 3 + 3 sia per gli associati che per gli ordinari. «Chiunque deve essere messo in grado di programmare la propria vita», afferma Sabina de Innocentiis, presidente dell’Associazione Dottorandi di Ricerca di Roma. Una possibilita’ oggi negata gia’ a moltissimi; tutti coloro che si «arrabattano» tra un contratto di insegnamento e un assegno di ricerca. Spesso per una lunga trafila di anni, con pochissimi soldi, senza garanzie, ne’ diritti, ne’ riconoscimenti. Quella di ieri. comunque, e’ stata una delle prime tappe importanti di ,ma lotta che s'annuncia lunga e compatta. Lunedi', 10,l’Adi, il Coordinamento nazionale, i Professori a Contratto, la CGIL-NIdiL e 1o CGIL-SNUR terranno a battesimo ancora alla Sapienza la Rete dei Ricercatori Precari, Per tutti, l'appuntamento e’ pec la manifestazione nazionale del 17 a Roma, indetta dalle varie organizzazioni rappresentative della docenza universitaria, per chiedere il ritiro immediato del Ddl Moratti. Tra gli occupanti c'e’ anche il Prorettore dell'Ateneo: «Con la precarizzazione si rischia l'esodo di massa» ___________________________________________ Il Messaggero 6 feb. ’04 IL «NO» ALLA RIFORMA MORATTI Universita’ in agitazione, i prof occupano La Sapienza Da Roma le iniziative si allargano al resto del Paese. I ricercatori creano un coordinamento nazionale di LUIGI PASQUINELLI ROMA La protesta dei docenti universitari (oltre 55 mila persone) contro la riforma del proprio stato giuridico, partita dalla ”Sapienza”, si allarga al resto d’Italia. Da Torino a Palermo gli atenei organizzano assemblee, elaborano documenti, aderiscono alle agitazioni. Tutte le strade del malcontento portano a Roma che il 17 febbraio, in occasione dello sciopero nazionale dei cattedratici indetto da quasi tutti i sindacati con conseguente blocco dell’attivita’ didattica, ospitera’ un’assemblea per dire no, come recitava uno striscione, «alla precarizzazione della conoscenza». Sotto il bronzeo sguardo della dea Minerva, fasciata a lutto con un drappo nero, i professori, sostenuti da diversi studenti, si sono radunati ieri mattina per procedere all’occupazione simbolica del rettorato. Dieci giorni fa in prima linea contro il provvedimento Moratti si contavano decine di presenze. Ieri, convenuti da tutta Italia nell’aula magna, erano centinaia. «La determinazione del ministro vibra il prorettore della ”Sapienza” Gianni Orlandi comincia a mostrare le prime crepe. Elaboriamo una riforma complessiva dell’universita’. Cosi’, siamo tutti d’accordo, non funziona». Ovazione. Il ministro si era incontrato il giorno prima con il Cun, il parlamentino dei professori, a loro aveva espresso il desiderio di intavolare un confronto con la comunita’ scientifica. «E’ un segno di apertura dice Nunzio Miraglia, responsabile nazionale del sindacato Andu ma non basta. Non c’e’ retribuzione, per quanto elevata, che possa far passare l’idea del precariato». I ricercatori, categoria che verrebbe abolita dalla riforma, hanno dato vita a un coordinamento nazionale e hanno proclamato lo stato di agitazione fino al 17. «Siamo 20 mila persone ricorda Marco Merafina e gestiamo il 45 per cento della didattica. Non siamo l’ultima ruota del carro. Il sistema si regge grazie a noi. Se incrociassimo le braccia l’universita’ italiana sopravviverebbe per venti giorni». ____________________________________________________ il Giornale 1 Feb. 04 ECO PROMUOVE LA SCUOLA DELLA MORATTI L'intellettuale simbolo della sinistra: «L'Universita’ funziona male, c'e’ bisogno di cambiare FRANCESCA ANGELI da Roma La riforma Moratti? «Non do un giudizio negativo. L'Universita’ aveva bisogno di cambiare e nella riforma ci sono cose interessanti accanto a cose problematiche. Diamo un po' tempo per assestarsi». Queste osservazioni appartengono a Umberto Eco. Per elencare i suoi titoli accademici non sarebbe sufficiente lo spazio dell'intero articolo, dunque basti dire che e’ l'intellettuale italiano piu’ conosciuto e piu’ studiato anche all'estero. E che non solo non e’ mai stato neppure vicino al centrodestra ma anzi e’ apertamente schierato con l'Ulivo. Da almeno due anni il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti e i suoi tentativi di riforma dell'Universita’ e della scuola sono oggetto di una vera e propria guerra santa combattuta quotidianamente dal centrosinistra a colpi di convegni, seminari e conferenze, volantinaggi nelle scuole, fiumi di articoli e di parole. La liberta’ di critica e’ sacrosanta ma il punto e’ un'altro. In sostanza la Moratti e’ accusata di avere come obbiettivo reale l'impoverimento culturale e morale degli scolari e degli studenti italiani attraverso una spoliazione sistematica della scuola e dell'universita’ pubblica. E adesso? Adesso arriva Eco a dire che «il re e’ nudo» ovvero che non e’ in atto un sabotaggio del sistema di istruzione pubblica ma una riforma che puo’ non essere condivisa ma che «a grandi linee riprende la riforma di Berlinguer», ovvero di un ministro dell'Istruzione dei governi ulivisti. Ministro «licenziato» prima della fine della legislatura proprio perche’ voleva rinnovare scuola e Universita’. L'occasione per parlare dei cambiamenti e’ una lectio magistralis, tenuta nell'Istituto universitario suor Orsola Benincasa, a Napoli. «Sulla riforma Moratti non do’ un giudizio negativo: mi pare che il triennio si sia assestato, mentre mi pare che il biennio sia un po' piu’ problematico - dice Eco - ma visto che il precedente sistema durava dal 1088, diamo un po' di tempo». Nel 1088 nacque la prima Universita’ europea proprio a Bologna, dove Eco ha fondato la Scuola superiore di studi umanistici. «Ci sono aspetti della riforma che riguardano l'Universita’ e che la Moratti sostanzialmente non ha toccato, mentre sono avvenute delle variazioni per le scuole elementari e medie - sottolinea Eco - Quelle che erano le grandi linee della riforma Berlinguer sono state piu’ o meno mantenute». Insomma si tratta per Eco cambiamenti necessari dopo circa un migliaio di anni e che non entrano in conflitto con le novita’ introdotte dai governi precedenti. «Se c'e’ una casa che sta per crollare e’ inutile cercare di puntellarla, buttiamola giu’ e facciamone un'altra. Una Universita’ come la nostra che laureava solo i130 per cento degli studenti, evidentemente qualche malattia l'aveva. - osserva -. La riforma ha cercato di ristrutturarla secondo i modelli internazionali che sono ancora i modelli medioevali, legati a questa grande novita’ che e’ l’autonomia delle Universita’. Questa riforma sta provocando naturalmente degli scossoni, delle cose interessanti e delle cose problematiche, anche perche’ l'Universita’ 'a" puo’ fare delle scelte eccellenti mentre l'Universita’ "b" puo’ farne di meno ecce lenti, proprio a causa dell' autonomia». Non e’ possibile comunque dare un giudizio definitivo in questo momento perche’, prosegue Eco «come per tutte le cose ci vuole un po' di. tempo per capire come va a finire. Ci vorranno un paio d'anni di assestamento». Un risultato positivo riguarda i dottorati che ora grazie alla riforma sono diventati «molto piu’ importanti, molto piu’ decisivi, e quindi c'e’ una necessita’ di rivedere la struttura del dottorato, anche in una prospettiva europea, ed e’ quello che stanno facendo la scuola napoletana, quella fiorentina, quella bolognese, che cercano di avere dottorati di grande livello». Grave invece la mancanza dei fondi da destinare alla ricerca. Un «problema politico», conclude Eco, che provoca l'endemica «fuga di cervelli» e che rappresenta anche agli studenti, chiedendo loro solidarieta’ e chiamandoli a schierarsi «contro un cammino di -formazione incapace di garantire una futura offerta didattica qualificata». ___________________________________________ L’Espresso 5 feb. ’04 DS: L’UNIVERSITA’ VA RICOSTRUITA MATTONE PER MATTONE Proposte per uscire dalla crisi a cominciare dai fondi certi per la ricerca. Fassino: Basta con la precarizzazione, parliamo di sviluppo Federico Ungaro ROMA Al grido di «la Moratti non riforma istruzione e ricerca, ma le deforma», e’ partita la riscossa dei Democratici di Sinistra contro i piani del governo per il mondo dell'Universita’ e della scuola in Italia. Nell'assemblea nazionale del partito sull'Universita’, tenuta ieri a Roma, la promessa e’ stata duplice. Da un lato dare battaglia in Parlamento sulla riforma avanzata dall'esecutivo, dall'altra presentare proposte concrete per quando il centro sinistra tornera’ al governo. Proposte che, come ha detto il segretario Ds Piero Fassino, «dimostrino che abbiamo la consapevolezza che la ricerca e’ una variabile fondamentale per la societa’ e che investire sulla conoscenza significa investire sul futuro del paese». II convegno ha preso le mosse dalla difficile situazione italiana e europea. Come ha ricordato Andrea Ranieri, uno dei membri della segreteria diessina, «l'Europa e’ lontana dall'obiettivo fissato dal consiglio europeo di Lisbona di investire il 3 per cento del Prodotto interno lordo in ricerca». E questo dipende dal fatto che «manca un gruppo forte di paesi che sproni gli altri a tenere tede a questi impegni, come e’ successo con l'asse franco-tedesco per l'euro». Il guaio e’ che l'Italia in questa situazione e’ quella che sta peggio. 11 nostro paese rappresenta il 14 per cento del Pil europeo, ma contribuiamo solo per i16 per cento ai ricercatori. «In Europa - ha ricordato Flaminia Sacca’, responsabile Universita’ e ricerca dei Ds - mancano 700 mila ricercatori, in Italia circa 50 mila». «Se la ricerca e’ davvero, come ha detto il primo ministro inglese Tony BIair, la miniera di carbone del 2lesimo secolo, cioe’ la principale fonte di sviluppo per una economia avanzata - ha ripreso la Sacca’ - l'Italia si trova in una brutta situazione. Soprattutto perche’ la riforma presentata dalla Moratti minaccia l'autonomia degli atenei, trasforma i ricercatori in precari, incentiva la fuga dei giovani all'estero e premia i professori che hanno un'attivita’ al di fuori dell'Universita’». Che cosa fare allora? Le proposte uscite dal convegno Ds sono tante. Quella piu’ interessante, lanciata dal senatore Luciano Modica e accolta con favore da tutta l'assemblea e dal segretario Fassino, riguarda l'eterno dilemma degli atenei italiani: i finanziamenti. «Se vogliamo iniziare a ricostruire il sistema mattone su mattone, bisogna partire da una quota fissa stanziata per la ricerca, al di sotto della quale non si puo’ andare, in ogni legge finanziaria. Non e’ possibile che ogni anno quando si discute di risorse, i primi finanziamenti a saltare siano quelli per questo settore», ha detto Modica. Non di soli soldi, pero’, vive l'Universita’. I Ds hanno previsto anche altre riforme, raccolte in un «quadrifoglio di leggi». La prima e’ quella che riguarda gli organi di governo e di amministrazione degli atenei piu’ adeguati ai tempi. La se-onda e’ la riforma dello stato giuridico dei docenti. La terza riguarda i rapporti tra ricerca e didattica e la quarta il ruolo degli studenti, il vero patrimonio delle Universita’. Questa e’ la strada da seguire dunque per riformare gli atenei italiani. Come conclude Fassino, «vogliamo contrastare questa politica che si traduce in una precarizzazione delle persone e delle strutture per costruire un sistema di reale sviluppo». ___________________________________________ La Repubblica 6 feb. ’04 MA CHE LEGGE NON AVRO’ MAI UNA CATTEDRA IL RICERCATORE ANNA MARIA UGUORI ROMA - Giuseppe Carbonara, 53 anni, lavora all'universita’ di Bari dal 1981. Ricercatore in ruolo dal '98, confermato nel 2001, alla facolta’ di Farmacia, Dipartimento farmaco-chimico, dove tiene il corso "Metodi fisici in chimica organica". Ieri ha raggiunto la Capitale per partecipare all'assemblea del Coordinamento nazionale ricercatori riunito all'universita’ La Sapienza. Cosa teme di piu’ se passa la legge delega della Moratti? «Di dire per sempre addio ad una cattedra tutta mia. Non e’ facile rinunciare ad un obiettivo perseguito da sempre, anzi direi che e’ impossibile. E poi ho impiegato anni per avere lo status di ricercatore e, prima o poi, un concorso dovra’ pure essere bandito. Parteciperei al concorso di associato nella mia disciplina, e forse potrei conquistare la cattedra... » Altrimenti? «La mia carriera e’ definitivamente sepolta. La Moratti mi terra’ ricercatore a vita. Oppure, se voglio riottenere qualcosa,devo affrontare ancora la precarieta’».Cioe’? «Non sono ancora chiari i termini della questione, ma in base alle legge potrei optare per il "nuovo regime" che prevede di entrare in una graduatoria nazionale e poi la possibilita’ di essere chiamato dalle universita’ per avere una cattedra di ruolo. Ma non lo farei mai. Alla mia eta’ non si ricomincia da capo senza avere certezze. E poi c'e’ la questione economica». Gli stipendi dei ricercatori, una questione annosa. «Gia’, ma sempre attuale per chi, dopo una lunghissima gavetta, adesso guadagna 1300 euro al mese per un lavoro a tempo pieno. E mentre su di noi si lesina con la nuova legge, se si vorra’ dare un livello retributivo accettabile ai precari, il costo dei contratti Co.co.co., a causa dei carichi sociali, sara’ una volta e mezzo piu’ oneroso dei contratti a tempo indeterminato». Cosa spera di ottenere con questa lotta? «Non spero, credo. Penso, infatti, come tutti gli altri colleghi d'Italia, di fare una battaglia per contrastare un progetto che, al di la’ per le vicende personali, sara’ devastante per l'universita’. Voglio credere poi nel pieno riconoscimento del ruolo docente dei ricercatori. E infine spero di nuovo: di andare in pensione lasciando la mia cattedra a qualcun altro che l'ha meritata». ___________________________________________ Avvenire 6 feb. ’04 ATENEI, RICERCATORI CONTRO LA RIFORMA DA MILANO ANGELO PICARIELLO Ricercatori co.co.co. a termine? «Piuttosto andiamo all'estero o cambiamo lavoro». Prende corpo la protesta dei dottorandi contro progetto di riordino dello stato giuridico dei docenti universitari e il relativo disegno di legge delega approvato dal governo. I ricercatori, riuniti ieri alla Sapienza di Roma hanno proclamano lo stato di agitazione che manterranno fino al 17 febbraio, giorno per il quale e’ stata fissata, proprio presso l'ateneo romano, la manifestazione nazionale contro la riforma. Una protesta che vede coinvolti anche i docenti, che minacciano per quella data lo sciopero nazionale, il blocco della didattica e persino, sarebbe la prima volta, delle lauree. Si presentava con la statua della Minerva-simbolo dell'universita’ - listata a lutto, ieri, La Sapienza, con l'aula magna che e’ stata occupata simbolicamente per qualche minuto dai ricercatori, ma anche da docenti e studenti. Nel mirino della protesta non solo la parte della normativa che riguarda i ricercatori, ma anche quella che tocca i docenti e che prevede il riordino dell'inquadramento (con l'introduzione di una diversa idoneita’ per ordinari e associati), dell'orario di lavoro (350 ore l'anno) e della disciplina contrattuale. Una riforma che nuocerebbe alla didattica, ma che soprattutto introdurrebbe una precarizzazione generalizzata, soprattutto per i ricercatori, cosi da favorire ulteriormente la fuga dei cervelli. La riforma prevede la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa con possessori di laurea specialistica, ovvero con studiosi in possesso di qualificazione scientifica adeguata, di durata quinquennale e possono essere rinnovati una sola volta. Per parte sua il ministro Letizia Moratti ha sempre sostenuto che obiettivo della riforma e’ favorire la competitivita’ e la flessibilita’ del sistema, in particolare liberalizzando e affidando alle universita’ il reclutamento delle giovani leve di ricercatori. Ma c'e’ anche chi giudica la protesta adottata ieri «pretestuosa», come l'ex rettore dell'Universita’ bolognese Fabio Roversi Monaco, oggi direttore della Scuola di specializzazione in studi sull'amministrazione pubblica dell'Ateneo. La conferenza dei Rettori aveva chiesto al governo di rinviare l'approvazione del progetto, ama sottolineare Roversi Monaco si tratta solo di un progetto di legge-delega che deve ancora essere discusso in Parlamento». E sul tema c'e’ l'ennesima differenziazione anche nella maggioranza. «Alleanza nazionale e’ favorevole all'impianto di riforma dello stato giuridico dei docenti», avverte Giuseppe Valditara, responsabile Universita’ del partito, ma «Ari ribadisce anche la sua indisponibilita’ a sostenere una riforma che non garantisca un adeguato impegno finanziario, a cominciare dai 2mila euro netti al mese per i nuovi ricercatori a contratto, da finanziare con un fondo iniziale di 50 milioni di euro». ___________________________________________ Il Sole24ore 1 feb. ’04 UNIVERSITA’ PAGARE E’ EGUALITARIO La ricetta Blair.- e’ giusto che i costi della laurea ricadano su chi ne trarra’ i benefici DI GUIDO MARTINOTTI L’acceso dibattito sull'universita’ italiana, rischia l'irrilevanza se non viene affrontato il tema del finanziamento dell'universita’ e quello, collegato, dell'equita’ sociale della ripartizione dei costi. Per funzionare decorosamente con il numero di studenti necessario a un Paese (ancora) del primo mondo, l'universita’ avrebbe bisogno almeno del doppio delle risorse attuali. Ogni anno una cifra pari a quella oggi stimata per il crack Parmalat. Senza un incremento di questa scala, tutti gli altri discorsi sono, come diceva Ernesto Rossi, "aria fritta" o poco piu’. E’ il tema che si sta dibattendo in questo momento in altri Paesi europei e l'argomento puo’ essere sintetizzato in poche cifre. Il sistema universitario statunitense, con il quale non possiamo non confrontarci, spende circa 2,3% del Pil per l'istruzione universitaria; l'Europa meno della meta’, cioe’ l'1,1 percento. Il che significa che in media (e sottolineo) chi studia in un'universita’ americana trova classi meno numerose (10-15 studenti per docente invece dei nostri 30-35, nel migliore dei casi) biblioteche e laboratori meglio attrezzati, professori meglio pagati e cosi via. La differenza tra i due livelli di risorse, e qui sta il punto cruciale, e’ interamente dovuta ai contributi privati, che ricomprendono le tuitions o tasse universitarie. Ne consegue che la possibilita’ di espandere le risorse per l'universita’, contando solo sul bilancio pubblico e’ esigua o inesistente. Oggi in Italia uno studente paga mediamente un decimo 0 poco piu’ del proprio costo e il resto e’ pagato dalla fiscalita’ generale, cioe’ sulle tasche di tutti. E’ fatto divieto ai singoli atenei di ricevere dagli studenti piu’ del 20% del Fondo di finanziamento ordinario, Ffo, assegnato annualmente dallo Stato. Questo modo di finanziare l'universita’ viene giustificato in base al principio costituzionale, tradotto nella vulgata corrente con «permettere anche ai figli degli operai di entrare all'universita’». Invece il sistema attuale porta a risultati completamente opposti. I figli di operai, e anche di classe media disagiata, all'universita’ non ci arrivano. Anche perche’ il costo complessivo e’ comunque alto e le borse sono scarse, come dimostra con dati precisi una recente ricerca del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, Cnvsu. Per contro le loro famiglie pagano, senza saperlo, una quota consistente del costo degli studi dei figli delle classi medie (che tempo fa ho calcolato in 17/18, cioe’ 94 su 100 euro) . Anche a causa di questa fondamentale iniquita’, il totale dei fondi che possono essere passati dalle tasche di tutti all'universita’ e’ stato tenuto basso, con un progressivo degrado del sistema. Senza soldi non si compera alcunche’ e men che meno un'istruzione universitaria qualificata. Il risultato e’ un'impressionante inefficienza nella produttivita’ del sistema, noto nel mondo come «rigido e corrotto», in termini di lunghezza degli studi, numero di dispersioni (un quarto della attuale forza lavoro italiana e’ stata espulsa dall'universita’ senza finire il corso di studi) ma soprattutto di pratica riduzione a zero delle risorse, anche di tempo, necessarie per la ricerca. Cio nonostante, i pochi che escono con un titolo hanno comunque fatto l'investimento della propria vita perche’ per trenta quarantanni guadagneranno molto di piu’ di chi quel titolo non ce l'ha, ma ha pagato per farlo avere a chi ce l'ha. Come si puo’ fare? E’ possibile chiedere a questo bilancio dello Stato di togliere dalla tasca di tutti ogni anno una cifra equivalente grosso modo a 14 miliardi di euro invece degli attuali 7 del Ffo? Penso sia realistico. Possiamo chiedere al settore privato dell'economia di intervenire massicciamente con donazioni, grants, contratti di ricerca? Molto improbabile, oggi in particolare. E allora e’ inevitabile che, come si sta cercando di fare in Inghilterra e in altri Paesi europei, si debba chiedere a chi ne avra’ i vantaggi di contribuire al costo dei propri studi. Questo permettera’ di migliorare da subito le prestazioni perche’ chi paga sara’ piu’ attento al servizio ricevuto e avra’ l'effetto a lungo periodo di ridurre l'attuale iniquita’. Naturalmente non si puo’ passare da un sistema all'altro all'improvviso, ne sarebbero penalizzate quelle ristrette fasce in mobilita’ sociale che stanno ai margini del corpo studentesco. Si puo’ pero parare questo effetto con un sistema di borse di studio e di prestiti. Il rimedio e’ relativamente semplice: si tolga intanto il limite superiore oggi previsto del contributo degli studenti del 20% dell'Ffo, lasciando ogni ateneo libero di negoziare con i propri studenti (che siedono in Consiglio di amministrazione) il livello di contribuzione, in cambio di migliori servizi per tutti e borse per i meno abbienti. Ovviamente lo Stato non puo’ stare a guardare e deve intervenire con un piano di finanziamento specifico con borse e prestiti, sul tipo di quelli gia’ sperimentati in 6mila casi dal progetto Bridge tra Politecnici e Banca intesa. Ma con un target dell'ordine di almeno 50-100mi1a in tutta Italia. Se non si arriva a un progetto, un piano (un sogno?) di questa natura e scala l'universita’ italiana (e non e’ la sola, anche se rimarra’ in ogni caso la peggiore) non potra’ che declinare in modo irrimediabile. Pay or decay, ammonisce la copertina dell'«Economist» e faremmo bene a riflettere tutti su questo ammonimento. Sarah Lyall, «Europe starts lo ask: Should studerns pay? Quality gap with U.S. shakes status quo», Iht, dicembre 2003; Giuseppe Catalano e Guido Fiegna (a cura di), «La valutazione del costo degli studi universitari in Italia», il Mulino, Bologna 2003, pagg. 304, € 20,00; «Universita’ italiana, universita’ europea? Dati proposte e questioni aperte», ___________________________________________ Il Sole24ore 2 feb. ’04 GLI ATENEI TAGLIANO LA PUBBLICITA’ Dopo anni di boom nel 2004 le universita’ riducano i budget per la promozione classica Si fanno strada nuove forme di collaborazione con i media locali e iniziative di marketing su Internet Il 2004 non sara’ un anno ricco per il marketing universitario. Dopo il boom del 2000-2002, dovuto in parte agli effetti della riforma, la spinta si e’ affievolita e il 2004 segnala un trend stabile in cui non mancano casi di forte contrazione degli investimenti. L'avvio del "3+2" aveva reso necessario uno sforzo notevole per far conoscere agli studenti il nuovo "prodotto", mentre oggi i problemi di bilancio impongono maggiore cautela. Tagli. Nel loro complesso gli atenei continuano a dedicare al mercato pubblicitario cifre importanti (le 35 universita’ che hanno risposto all'indagine spendono in tutto quasi 18 milioni di curo), ma non sono rare le amministrazioni che hanno deciso di stringere i cordoni della borsa. La stretta piu’ consistente e’ stata imposta dall'Universita’ dell'Insubria (-45%), con un calo che ha riguardato soprattutto il budget destinato all'orientamento (passato da 180mi1a a 60mila euro, ma Spot in aula La spesa in comunicazione delle universita’ italiane, in migliaia di euro politiche analoghe sono state messe in atto a Pavia, Reggio Calabria e Sassari, che hanno ridotto di circa un terzo le spese pubblicitarie. Spesso la riduzione degli stanziamenti ha riguardato universita’ che hanno vissuto un aumento consistente delle immatricolazioni: significativo e’ l'esempio dell'Universita’ del Molise, dove le matricole sono cresciute del 40% rispetto al 2003 e la spesa prevista per la comunicazione ha subito un ridimensionamento del 35 per cento. Idee al Politecnico. La strategia messa in campo, comunque, non e’ uniforme, perche’ il confronto con il 2003 segnala anche fenomeni di aumento degli investimenti in pubblicita’. Il bilancio piu’ generoso e’ quello del Politecnico di Milano, che per il 2004 ha stabilito di raddoppiare le risorse assegnate al proprio ufficio comunicazione pur continuando nella scelta di non avvia re le classiche campagne promozionali sui media. Una novita’ importante riguarda il merchandising dell'ateneo che, spiegano i responsabili del servizio Comunicazione, ha bandito un concorso di idee fra i propri studenti e laureati per «incoraggiare l'attivita’ di invenzione, produzione e distribuzione di oggetti tecnologici e di design che interpretino il ruolo del Politecnico come snodo fra tradizione e innovazione». 1 migliori "inventori" vinceranno somme per iscriversi ad alcuni master organizzati dall'ateneo (la scadenza del bando e’ il 27 febbraio). _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 feb. ’04 DIRITTO D’AUTORE VIOLATO Concorsi universitari, a giudizio il senatore Consolo CAGLIARI. Ha pubblicato come propri alcuni testi giuridici appartenenti ad altri autori, utilizzando quelle opere, esibite come frutto di lavoro personale, anche per partecipare al concorso per professore ordinario di ruolo all’universita’ di Cagliari. E’ questa l’accusa con la quale e’ stato citato a giudizio, davanti al tribunale di Roma, in composizione monocratica, Giuseppe Consolo, avvocato, docente e senatore di An. Secondo il capo d’imputazione formulato dal pm Alberto Caperna, Consolo avrebbe violato la legge sul diritto d’autore per aver "pubblicato come propri i testi giuridici dal titolo ‘Aspetti pubblicistici e privatistici del mutuo scopo e ‘La sfiducia ad un singolo ministro nel quadro dei poteri di indirizzo e controllo del parlamento’". Il primo "costituito dalla pedissequa riproduzione e trascrizione di interi brani delle opere di Zimatore ‘Il mutuo di scopo. Problemi generali’ e di Allegri ‘Credito di scopo e finanziamento bancario delle imprese’"; il secondo "costituito dalla pedissequa riproduzione e dalla trascrizione di interi brani delle opere di Sicardi ‘Controllo e indirizzo parlamentare, di Olivetti ‘La questione di fiducia nel sistema parlamentare italiano, di Chiola ‘Uno strappo alla Costituzione. La sfiducia del singolo Ministro e di Cicconetti La richiesta parlamentare di dimissioni nei confronti di un singolo Ministro’". Il magistrato addebita all’imputato anche la violazione della legge sulla repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignita’ pubbliche, per avere "presentato come proprie" le stesse opere. In particolare, "il 20 dicembre 1990, in occasione della partecipazione al concorso per il conferimento del posto di professore associato bandito con decreto ministeriale 28 luglio’90, limitatamente a quelle riprodotte nel volume ‘Aspetti pubblicistici e privatistici del mutuo scopo’, conseguendo il titolo il 5 agosto’96; il 12 novembre 1999, in occasione della partecipazione al concorso per la conferma del ruolo di professore associato conseguendo il titolo il 20 marzo del 2000 e il 26 luglio 2000, in occasione della partecipazione al concorso per la copertura di un posto di professore ordinario di ruolo all’universita’ di Cagliari nel luglio del 2000. Nel corso della prima udienza, svoltasi ieri di fronte al giudice Paola Roja, si e’ costituito come parte civile il professor Vincenzo Allegri, nonostante l’opposizione della difesa dell’imputato (presente in aula) convinta di dimostrare che le opere sono studi organici con tanto di indicazioni bibliografiche. ___________________________________________ Repubblica 5 feb. ’04 HANNO SUPERATO I LAUREATI MASCHI E CRESCONO NELLE UNIVERSITA’ DI ROSSELLA PALOMBA * Le donne italiane sono sempre piu’ istruite e riescono meglio negli studi degli uomini: le laureate che nel 1981 erano il 44 per cento del totale oggi superano i laureati uomini, toccando il 54 per cento di tutti i laureati. Un numero crescente di donne intraprende carriere scientifiche: se ad esempio le donne ricercatrici al CNR erano solo il 14 per cento nel 1981 oggi rappresentano il 30 per cento del personale di ricerca. Anche nelle universita’ le donne nella carriera accademica sono in aumento e arrivano oggi a rappresentare il 25 per cento del corpo docente. Eppure, se guardiamo ai vertici della gerarchia scientifica, gli uomini sono ancora in una situazione di quasi monopolio, occupando oltre il 90 per cento delle posizioni di vertice. Le ricercatrici non solo hanno minori probabilita’ dei loro colleghi di lavorare con un contratto a tempo indeterminato, ma, una volta riuscite ad entrare nelle istituzioni scientifiche, fanno carriera con maggiore lentezza rispetto agli uomini. E’ stato infatti calcolato che il solo fatto di essere donne dimezzi la probabilita’ di venire promosse ai concorsi e questo a parita’ di altri fattori, come l’anzianita’ di servizio, la disciplina o il numero di pubblicazioni. In molti organismi scientifici nazionali ed internazionali, dove si controllano fondi o si stabiliscono politiche scientifiche, le donne non sono presenti o lo sono in misura limitata, soprattutto la’ dove la presenza e’ legata ad una nomina. Dunque verrebbe da pensare che le donne italiane siano in fondo inutilmente istruite, inutilmente competenti ed esperte nel loro lavoro. La mancata presenza femminile va affrontata in termini concreti, senza recriminazioni, come un problema di mancata valorizzazione di capitale umano da parte di Universita’, Enti pubblici di ricerca e aziende, e dunque di spreco di risorse nello sviluppo scientifico del paese, per cui sono necessari interventi a livello politico mirati ad aumentare gli investimenti ed assicurare migliori opportunita’ per le donne. Il Summit di Lisbona del 2000 ha riconosciuto la necessita’ di aumentare la competitivita’ europea, rilanciando la ricerca scientifica. Questo e’ stato ribadito al summit di Barcellona nel 2002 in cui si e’ deciso di aumentare gli investimenti della UE in ricerca e sviluppo, di raddoppiare il "talent pool", cioe’ la disponibilita’ di competenze e professionalita’ scientifiche, sfruttando al meglio le risorse umane disponibili. Non c’e’ dubbio che le donne siano la grande maggioranza del potenziale umano inutilizzato nella ricerca scientifica. * Demografa del CNR, esperta di problemi di genere nella scienza per la Commissione Europea ___________________________________________ L’Unione Sarda 1 feb. ’04 Il Movimento: stop ai casi di nepotismo e favoritismo nella pubblica amministrazione UNA LEGGE CONTRO LE ASSUNZIONI PILOTATE «Per evitare episodi di nepotismo e favoritismo i politici e i burocrati devono rendere trasparente il loro operato». Lo sostengono i tre consiglieri del Movimento - Cesare Corda, Gianni Locci e Pierluigi Carloni - che ieri a Cagliari hanno presentato una provocatoria proposta di legge mirata a combattere i frequenti fenomeni di nepotismo. «Se per legge e’ impossibile impedire il malcostume diffuso tra i politici vorremmo almeno che questi episodi possano diventare di dominio pubblico», ha spiegato Corda sottintendendo nei casi piu’ clamorosi il deterrente di un’inevitabile perdita di immagine e credibilita’ agli occhi dell’elettorato. Basata su una legge costituzionale del 1993 che attribuisce al Consiglio regionale potesta’ legislativa primaria sull’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e sull’ordinamento degli enti locali e delle circoscrizioni, la proposta prevede che presidenti della Giunta e del Consiglio, assessori, consiglieri regionali e provinciali, direttori generali degli assessorati della Regione e delle Province, presidenti e direttori generali di enti e aziende dipendenti dalla Regione o da altri enti locali, sindaci e assessori dei Comuni con piu’ di 5 mila abitanti, qualora un proprio congiunto (sino al secondo grado) sia assunto con qualunque tipo di contratto per chiamata diretta o abbia stipulato convenzioni o contratti di consulenza o compravendita ovvero abbia ottenuto concessioni di beni di proprieta’ demaniale, debbano comunicarlo al presidente della Regione. Quest’ultimo dovra’ diffondere la notizia attraverso la pubblicazione sul Buras e sui mezzi di comunicazione locali. In mancanza di tale dichiarazione - dopo un’indagine - il presidente indirizzera’ all’interessato una lettera di biasimo, anch’essa adeguatamente pubblicizzata. La proposta prevede inoltre che le Commissioni d’esame dei concorsi pubblici e quelle chiamate ad attribuire le gare d’appalto siano composte da professionisti indicati dagli Ordini professionali e dalle Universita’ individuati con la procedura dell’estrazione a sorte. «E’ una sfida alla classe dirigente - ha aggiunto Gianni Locci -. Esaurita la spinta di Tangentopoli, oggi la gente ha poca fiducia nelle istituzioni: e’ necessaria una nuova questione morale». Secondo Pierluigi Carloni, i favoritismi gettano discredito a tutta la classe dirigente: «Vogliamo fare chiarezza per il bene delle istituzioni». Secondo i consiglieri del Movimento, ci sono buone possibilita’ che la proposta sia approvata «anche perche’ - ha detto Corda - chiederemo il voto per appello nominale. La proposta - ha evidenziato - potrebbe contribuire a frenare il clientelismo diffuso. Ormai i cittadini sono costretti a mendicare un posto di lavoro o la regolare istruttoria di una pratica». Qualora la proposta sia osteggiata, il Movimento minaccia iniziative clamorose: non ultima la richiesta formale ai colleghi di una sorta di autodenuncia alla stampa. «In caso contrario - ha concluso Corda - ci sentiremmo autorizzati a fare nomi e cognomi». Alessandro Zorco ================================================= ___________________________________________ L’Unione Sarda 6 feb. ’04 POLICLINICO: TENSIONE TRA DIREZIONE E INFERMIERI La causa di tutto e’ l’allontanamento di un infermiere dal Policlinico. Cgil, Cisl, Uil, Rsu e Csa sono scesi in campo contro «un provvedimento non motivato della direzione sanitaria» e hanno proclamato «lo stato di agitazione di tutto il personale infermieristico». Il sindacato giudica la vicenda alla stregua di «un attacco alla professionalita’ di tutti gli infermieri» e chiede la revoca del provvedimento. Nel documento diffuso ieri si legge: «Se non cesseranno gli atteggiamenti infamanti nei confronti del personale infermieristico i sindacati adotteranno forme di lotta piu’ incisive». ___________________________________________ Il Sole24Ore 7 feb. ’04 PRIVACY SOFT PER I MEDICI ROMA - "Alt" a inutili carichi burocratici sulle spalle dei medici di famiglia, massima semplificazione delle procedure per raccogliere e notificare il consenso al trattamento dei dati sanitari personali, "no" all'annacquamento del rapporto medico/paziente. Con una lettera indirizzata al ministro della Salute, Girolamo Sirchia, il Garante per la protezione dei dati personali, Stefano Rodota’, getta acqua sul fuoco delle polemiche che fin dall'inizio hanno accompagnato la redazione del Testo unico sulla privacy (decreto legislativo 196/2003) e che sono divampate nuovamente all'entrata in vigore del Codice, a inizio gennaio. Oggetto del contendere - a dare battaglia sono soprattutto i medici di famiglia della Fimmg, il principale sindacato di categoria - sono essenzialmente tre novita’ introdotte dal Codice. Innanzitutto l'applicazione, dal 30 settembre 2004, delle nuove regole sul consenso informato semplificato, la cui notifica spetta al generalista. Ma a suscitare proteste di medici, farmacisti e Regioni e’ anche l'obbligo, da gennaio 2005, di nascondere nelle prescrizioni di medicinali le generalita’ del paziente. A mettere a repentaglio il rapporto di fiducia e trasparenza tra medico e assistito, secondo i medici di famiglia, sarebbe infine l'obbligo introdotto dall'articolo 83 del Codice di rispettare l'anonimato nelle "chiamate" dei pazienti in attesa. Tre temi caldi, su cui la lettera di Rodota’ a Girolamo Sirchia - in risposta a una missiva di inizio dicembre in cui il ministro elencava i nodi da sciogliere sul fronte privacy - interviene per fare chiarezza e per promettere la semplificazione possibile. A breve - anticipa Rodota’ - sara’ definito un «modello semplificato di informativa agevolmente utilizzabile anche dai medici di base senza approcci burocratici». Inoltre, «il Garante suggerira’ agli operatori sanitari formule sintetiche e colloquiali per raccogliere gli eventuali consensi, nell'ottica di prevedere garanzie efficaci anziche’ inutili soluzioni formalistiche». Allo studio con la FnomCeo, la Federazione nazionale dei medici, sono anche misure per permettere ai medici di non «rinunciare» ai propri assistiti nei casi in cui questi non si presentino dal medico entro il 30 settembre 2004, data in cui informativa e registrazione del consenso dovrebbero valere ormai per tutti. L'ipotesi piu’ probabile sul tappeto, nei mesi scorsi, consentiva al medico di attingere, in attesa di ricevere il via libera al trattamento dei dati, ai propri archivi personali. Quanto all'obbligo di notificare al Garante l'avvenuto consenso, esso - ricorda Rodota’ - non riguardera’ l'intera categoria dei medici di base, ma interessera’ solo «particolari trattamenti suscettibili di arrecare pregiudizio ai diritti e alle liberta’ delle persone». E in ogni caso si trattera’ di una comunicazione una tantum sull'intera attivita’ del medico, e non sul singolo caso. Scongiurato anche il rischio di trasformare il paziente in un mero numero: i medici di base potranno convocare gli assistiti per nome. Nessuna soluzione in vista, invece, sul fronte delle ricette "criptate", in vigore da gennaio 2005, e su cui lo stesso ministro della Salute aveva richiamato l'attenzione del Garante. BARBARA GOBBI ___________________________________________ L’Unione Sarda 6 feb. ’04 MANCANO DONATORI PER I TRAPIANTI D’ORGANO Angelo dorme con un cuore nuovo, deve stare tranquillo, cercare di ricominciare a vivere. Ha 14 anni il ragazzo di Nuoro, e in Sardegna e’ il trapiantato numero 111. Il primo intervento, fatto a Cagliari da Valentino Martelli e dal suo braccio destro, Alessandro Ricchi, e’ del 1989: il paziente oggi ha piu’ di settant’anni e soffre soltanto degli acciacchi dovuti all’eta’. Undici anni fa e’ stata la volta dell’attuale presidente del Consiglio regionale, Efisio Serrenti, operato dagli stessi medici. E cosi’ via, a un ritmo di otto all’anno. Mercoledi’ mattina e’ toccato ad Angelo al quale, dopo una grave influenza era stata diagnosticata una cardiomiopatia dilatativa, una malattia che non lascia scampo. L’intervento, ancora una volta, e’ stato eseguito da Alessandro Ricchi, dirigente dell’unita’ operativa di cardiochirurgia del Brotzu, e dalla sua e’quipe, tra chirurghi, anestesisti, infermieri e tecnici, otto persone. La battaglia di Angelo non e’ ancora finita: «Siamo a meta’ di un lungo cammino», spiega Ricchi. E aggiunge: «I giornali devono parlare della carenza di donatori». ___________________________________________ L’Unione Sarda 6 feb. ’04 TRAPIANTATO IERI A TEMPO DI RECORD ALL’OSPEDALE BROTZU Angelo ha trovato un cuore nuovo Sei ore in sala l’operatoria: l’intervento e’ riuscito Angelo ora puo’ sperare. Lui non lo sa, perche’ e’ sotto sedativo, ma da ieri nel suo petto batte un cuore nuovo. Sei ore sotto i ferri dell’e’quipe del reparto di Cardiochirurgia dell’ospedale Brotzu, sono state necessarie per salvare la vita del ragazzino quattordicenne di Nuoro, che ha rischiato davvero tanto a causa di una cardiomiopatia dilatativa. Alla fine, dopo giorni di affannose ricerche, un cuore per Angelo (il nome e’ di fantasia, per tutelare la privacy del ragazzo) e’ stato trovato. Arriva da una sessantenne di Sassari, espiantata in tutta fretta ieri mattina dopo l’ok della famiglia. Certo, non era esattamente il cuore che si cercava, ma le gravissime condizioni di Angelo non consentivano di fare gli schizzinosi. Una famiglia ha risposto all’appello non soltanto dei genitori del giovanissimo nuorese, ma anche del direttore del Dipartimento trapianti del Brotzu, Ugo Storelli, al quale si e’ aggiunto lunedi’ sera quello dell’assessore regionale alla Sanita’, Roberto Capelli. I medici cercavano il cuore di un uomo o di una donna del peso di 45-40 chili e che avesse il gruppo sanguigno 0, che e’ molto comune. Sulle condizioni di salute di Angelo, l’azienda ospedaliera Brotzu ha emesso un brevissimo bollettino medico concordato con Alessandro Ricchi, responsabile del reparto di Cardiochirurgia, che ha eseguito il difficile intervento. «Il trapianto ha avuto successo», si legge nella nota dei sanitari, «tuttavia, a causa del lungo periodo di assistenza ventricolare, la prognosi non potra’ essere sciolta per almeno 48-72 ore. Il paziente si trova ora ricoverato in terapia intensiva e le sue condizioni sono stabili». Nessuno, insomma, spande ottimismo a piene mani: l’intervento e’ riuscito, e questa e’ la cosa piu’ importante. Le speranze, comunque, pare che siano buone. Angelo era stato ricoverato il 26 gennaio scorso al San Francesco di Nuoro: lo tormentavano i postumi di un’influenza molto violenta, che sembrava non passare mai, e una spossatezza invincibile. Un medico gli ha prescritto una radiografia e si e’ scoperto un cuore molto dilatato, forse a causa del virus influenzale. Dal San Francesco di Nuoro, Angelo e’ giunto in tutta fretta al Brotzu, dove e’ iniziata la caccia internazionale a un cuore che facesse per lui. L’appello era stato lanciato mercoledi’ scorso in tutta Europa, quando e’ scattata l’organizzazione dei trapianti: il Centro trapianti del Brotzu, il Centro regionale, quello interregionale e, ancora, quello nazionale. In tutti gli ospedali italiani, e in qualcuno all’estero, sapevano che un quattordicenne era in fin di vita. La situazione si e’ risolta ieri mattina, come d’incanto, in Sardegna: il dottor Emiliano Cirio si e’ precipitato a Sassari per espiantare il cuore della sessantenne, alla quale un’altra e’quipe giunta dalla Penisola ha prelevato anche il fegato. Poi la corsa verso Cagliari, dove a meta’ mattina Angelo e’ entrato in sala operatoria per sei ore. La sua famiglia e’ in trepida attesa degli sviluppi, intanto ringrazia i congiunti della donatrice: anche l’e’quipe del Brotzu sottolinea l’importanza di questo gesto. Angelo, intanto, riposa dopo la grande fatica. Con il suo cuore nuovo. Luigi Almiento ________________________________ Repubblica 4 feb. ’04 LA DIAGNOSI PRECOCE AL SENO SALVA PIU’ DONNE NEGLI USA Ricerca dell' Int di Milano sul tumore: a cinque anni dalle analisi, risultati migliori rispetto all'Europa Nasce un polo di altissima ricerca che "indaghera’" su geni e cancro Milano la diagnosi precoce rende il tumore alla mammella una malattia curabile e guaribile». Natale Cascinelli. chirurgo dell'Istituto nazionale Tumori di Milano (INT), non ha dubbi: l'autopalpazione, le visite periodiche di controllo, il ricorso allo specialista in caso di sospetto e lo screening mammografico dopo i 50 anni, aumentano sensibilmente la sopravvivenza delle donne. Ed e’ proprio grazie alla diagnosi precoce che la prognosi delle americane colpite da tumore al seno e’ migliore rispetto a quella delle europee. Questo vantaggio, evidente gia’ da tempo, e’ stato confermato da uno studio condotto dagli epidemiologi dell'INT. «Nella nostra ricerca» spiega Milena Sant, «abbiamo confrontato i dati raccolti in 17 registri tumori di 6 Paesi europei - Italia. Francia, Gran Bretagna. Spagna, Olanda ed Estonia relativi alle pazienti affette da carcinoma maligno alla mammella. diagnosticato tra il 1990 e il 1992. con lo stessa tipo di informazioni disponibili nel database statunitense, Surveillance Epidemiologic and End Results. coordinate dal National Cancer Istitute (questo database capre circa il 10% della popolazione. concentrata nelle aree agiate degli USA) - Tutte le pazienti sono state seguire per 3 anni». I valori europei sono stati estrapolati da Eurocare- la banca dati che comprende i registri tumori attivi in 21 Paesi (compresi Malta, Islanda. Estonia. Polonia. Repubblica Ceca. Slovacchia e Slovenia). I dati relativi al periodo tra il 1990 e il 1994 riguardano 1.800.000 pazienti, comprese 4500 donne che si sono ammalate di carcinoma alla mammella. ==1 risultati del nostro studio. che presto verra’ pubblicato sulla rivista Cancer» afferma Sani. «dimostrano che nelle donne statunitensi la diagnosi di tumore al seno viene effettuata ad uno stadio piu’ precoce rispetto a quanto avviene per le europee e la sopravvivenza a 5 anni e’ significativamente superiore: 89% negli Usa, contro il 79%, in Europa. La differenza fra i due continenti e’ quasi interamente attribuibile alla tempestivita’ della diagnosi, mentre le terapie non sembrano influire in maniera rilevante. Negli Stati Uniti il 40.8% dei carcinomi alla mammella viene riconosciuto ai primo stadio (lesione tumorale molto piccola e priva di metastasi) e sola il 4,1% delle diagnosi riguarda tumori all'ultimo stadio. In Europa la situazione e’ molto diversa: il 29,2% dei carcinomi viene accertato in fase precoce. mentre 8,5% delle pazienti arriva alla diagnosi gia’ alla stadio terminale. Un'altra differenza importante tra i due continenti riguardala fascia di eta’ delle pazienti: negli Stati Uniti i tumori alla stadio iniziale vengono diagnosticati piu’ frequentemente nelle donne di’ eta’ superiore ai 65 anni (43%,e a loro e’ destinata una parte delle risorse sanitarie pubbliche) che fra le giovanissime 38%. in Europa avviene il contrario: le ultra sessantenni rappresentano il 25% le giovani il 31%. Le terapie e il loro standard qualitativo sono invece confrontabili: il 90° delle pazienti viene trattato chirurgicamente su entrambe le sponde dell'oceano». Le conclusioni a cui arrivano gli epidemiologi dell'Istituto Tumori sono indicazioni per i decisori politici. «In Europa». afferma Franco Berrino, «sarebbe necessario investire maggiori ed adeguate risorse per la diagnosi precoce dei tumori al seno. I programmi di screening, gia’ presenti in alcune aree del nostro Paese, dovrebbero esser estesi a tutta la popolazione L'Italia e’ al quarto posto. ma al Nord la sopravvivenza relativa e’ confrontabile con quella svedese, al sud i valori sono quelli della Gran Bretagna Quel che speriamo e’ che anche nel nastro Paese si decida di intervenire con un sostanziale finanziamento. Dal rapporto Eurocare risulta evidente che negli ultimi trent'anni i dati di sopravvivenza sono andati migliorando. soprattutto nelle neoplasie per le quali e’ possibile far una diagnosi precoce: melanoma, mammella. prostata colon-retto». ___________________________________________ Repubblica 5 feb. ’04 CIO’ CHE FA BENE AL CUORE AIUTA ANCHE IL CERVELLO Recenti ricerche negli Usa dimostrano che i fattori di rischio dell’infarto favoriscono la demenza DI ANNE UNDERWOOD Per generazioni l’Alzheimer e’ stato considerato una patologia imprevedibile, una roulette russa, ma questa immagine sta cambiando. E’ da lungo tempo noto ai ricercatori che una dieta corretta, l’esercizio fisico e il controllo ponderale possono contribuire ad abbassare il rischio di cardiopatie, ictus e demenza vascolare. Oggi e’ un dato riconosciuto che una vita piu’ sana riduce anche le possibilita’ di ammalarsi di Alzheimer. In parole povere quello che fa bene al cuore fa bene anche al cervello. L’ipotesi dell’eziologia vascolare del morbo risale agli anni ‘80, quando il neuropatologo Larry Sparks, allora primo consulente biomedico dell’ufficio del medico legale di Lexington, Ky, studiando il cervello di soggetti deceduti a causa di incidenti di vario genere evidenzio’ in molti casi la presenza delle stesse placche amiloidi e delle matasse neurofibrillari che caratterizzano il cervello dei pazienti di Alzheimer. Andando avanti noto’ anche che le placche e le matasse erano tre volte piu’ comuni nei cervelli dei soggetti cardiopatici. «L’ipotesi suggerita era che se questi pazienti fossero riusciti a non morire per cause cardiache a 60 anni, avrebbero potuto trovarsi a fare i conti con la demenza verso l’ottantina», spiega Sparks, oggi al Sun Health Research Institute in Arizona. La comunita’ scientifica accolse la tesi con scetticismo finche’ non cominciarono ad essere pubblicati i risultati degli studi epidemiologici a lungo termine. Nel 1966 Ingmar Skoog, psichiatra dell’Universita’ svedese di Goteborg, pubblico’ su The Lancet uno studio che dimostrava una correlazione tra valori pressori elevati registrati all’eta’ di settant’anni e la tendenza a sviluppare l’Alzheimer 15 anni dopo. L’ipertensione predisponeva i soggetti ad ammalarsi ? Altri studi indicarono che l’ipotesi era corretta. Uno studio del 2000 fatto ad Honululu ha dimostrato che i maschi americani di origine giapponese di mezza eta’ con pressione diastolica (la minima) superiore a 90 avevano dopo 2025 anni un rischio cinque volte maggiore di ammalarsi di demenza rispetto a soggetti analoghi in cui i valori della pressione diastolica restavano tra 80 e 89. Se gli ipertesi si curavano il rischio di Alzheimer diminuiva. Negli ultimi tre anni sono stati collegati all’insorgere dell’Alzheimer ulteriori fattori di rischio cardiaco, quali l’obesita’, il fumo, l’arteriosclerosi, l’ipercolesterolemia e un livello ematico eccessivo di omocisteina. Due studi hanno indicato che nei fumatori il rischio di Alzheimer aumenta da due a tre volte. Visto che la circonferenza vita della popolazione non fa che aumentare e’ bene ricordare che anche l’obesita’ rappresenta un fattore di rischio. Ogni aumento unitario dell’indice di massa corporea registrato nei soggetti dello studio di Goteborg all’eta’ di 70 anni faceva salire del 36% il rischio di ammalarsi di Alzheimer 15 anni dopo. Altre due ricerche condotte su un ampio numero di soggetti hanno mostrato che il diabete, anch’esso associato al sovrappeso, raddoppiava il rischio di Alzheimer. Un buon punto di partenza per ridurre quindi le possibilita’ di essere vittima della demenza senile e’ seguire una dieta equilibrata. La scorsa estate Martha Clare Morris, del Rush Institute for Healthy Aging di Chicago ha pubblicato uno studio epidemiologico a quattro anni da cui risulta che negli anziani che avevano mangiato pesce almeno una volta la settimana il rischio di Alzheimer era ridotto del 60%. E’ presto per una spiegazione definitiva, ma la Morris indica una particolare correlazione tra l’assunzione di dha (acido docosaesaenoico), uno degli acidi grassi omega3 presenti nel pesce — e una minore incidenza di Alzheimer. «Il dha e’ il piu’ importante lipide cerebrale», spiega. In altri studi la ricercatrice ha rilevato che i soggetti che assumono maggiori quantita’ di alimenti contenenti vitamina E, come gli oli vegetali, germe di grano, cereali integrali, semi di girasole, riducono il rischio di Alzheimer del 70%. Viceversa sembra che i grassi saturi e i grassi insaturi, da tempo nel mirino della Societa’ Cardiologica Americana (American Hearth Association), lo aumentino. Finora non sono disponibili risultati conclusivi, i dati derivano da studi epidemiologici che evidenziano legami ma non stabiliscono relazioni di causaeffetto. «Uno studio potrebbe dirci che chi indossa abiti firmati ha meno possibilita’ di ammalarsi di demenza senile», ironizza Bruce Yanker di Harvard, «ma forse l’abbigliamento griffato e’ solo un indicatore di benessere economico e di conseguenza della maggiore cura del proprio corpo». Comunque anche in caso di conferma dell’ipotesi vascolare nulla garantisce che sia possibile evitare questa devastante patologia. L’insorgenza precoce dell’Alzheimer in soggetti quarantenni e cinquantenni e’ controllata in larga misura da fattori genetici. Pero’ adottare uno stile di vita che tenga maggior conto dei fattori di rischio cardiaco non puo’ essere che positivo. Copyright Newsweek, traduzione di Emilia Benghi ___________________________________________ Repubblica 5 feb. ’04 ROMA: NASCE UN POLO DI ALTISSIMA RICERCA che "indaghera’" su geni e cancro Roma, in funzione entro l’anno presso il Regina Elena Roma Una struttura di coordinamento tra i maggiori centri che si occupano di genetica del cancro, ponte di collegamento tra ricerca di base e applicazione clinica. E’ il Rome Oncogenomic Center (Roc), polo di ricerca di altissima tecnologia nel campo degli oncogeni, uno dei settori chiave per la creazione di terapie mirate contro ogni forma tumorale. Il Roc verra’ ospitato entro quest’anno dall’Istituto Regina Elena di Roma, presso il cui Centro di Ricerche Sperimentali troveranno spazio 12 laboratori e circa cento ricercatori. «L’obiettivo e’ creare una struttura centrale di coordinamento degli studi in 3 settori strategici di ricerca: gli approcci integrati per l’identificazione dei geni tumorali, lo studio dei loro meccanismi di funzionamento, il ruolo delle cellule staminali nella terapia», ha spiegato Francesco Cognetti, direttore scientifico del Regina Elena, nel corso della presentazione di un convegno internazionale, che il 24 e 25 gennaio ha riunito a Roma i maggiori oncologi europei. «In secondo luogo», ha aggiunto, «l’integrazione dell’attivita’ con altri centri di ricerca genomica e la realizzazione di diagnosi e cure personalizzate. Una struttura, inoltre, di coordinamento tra ricerca di base e applicazioni cliniche, che intende colmare il vuoto temporale tra le scoperte scientifiche e la loro messa in pratica nei reparti». E’ proprio qui che la speranza dei pazienti diviene una realta’, grazie ai progressi fatti dalla chemioterapia, in particolare nel tumore del seno, filo conduttore del Congresso: «La scoperta e lo sviluppo clinico di taxolo ha avuto un notevole impatto sulle vite delle pazienti ed e’ uno dei chemioterapici di nuova generazione, che ha dimostrato elevate percentuali di risposta negli studi clinici nella malattia in stadio avanzato», ha illustrato Luca Gianni, direttore della divisione di Oncologia medica all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. Le Universita’ La Sapienza, Tor Vergata e Cattolica di Roma, quelle di Milano, Firenze e Chieti, l’Istituto Superiore di Sanita’, il Cnr, la Fondazione Andrea Cesalpino e il Dulbecco Telethon Institute, nonche’ l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro sosterranno economicamente (la spesa prevista e’ di alcuni milioni di euro) e scientificamente il Centro. Ma nella struttura si vuole radunare i migliori ricercatori in circolazione, a cominciare da quelli italiani: «L’iniziativa potra’ essere l’occasione per richiamare cervelli italiani che lavorano all’estero» conclude Luigi Spagnoli, commissario straordinario dell’Istituto Regina Elena, «creando a Roma un punto di eccellenza nel panorama scientifico internazionale». Come certificato dall’ultimo rapporto del Censis, sono 2.600 tra professori e ricercatori italiani sparsi nelle Universita’ di tutto il mondo, soprattutto degli Stati Uniti (34,3%), ma anche di Inghilterra (26%) e Francia (11,4%). ___________________________________________ Repubblica 5 feb. ’04 IL TE’ VERDE "INIBISCE" L’HIV? LA REALTA’ CLINICA E’ LONTANA… L’INTERVENTO DI ARSENIO CORRADO NEGRINI * Che la bevanda ottenuta con l’infusione del te’ verde, una delle piu’ diffuse sul nostro pianeta, sia dotata di numerose proprieta’ utili a contrastare varie patologie e’ noto da alcuni anni: effetti antibatterico, contro i radicali liberi, di prevenzione dell’arterosclerosi, antiossidante. Benefica azione effettuata da polifenolicatechine anche contro il cancro, con la capacita’ di inibire la carcinogenesi, la crescita e la tendenza invasiva della neoplasia, l’angiogenesi neoplastica. La componente dimostrata di maggior efficacia e’ l’epigallocatechina gallato che in studi degli ultimi anni si e’ dimostrata dotata di un certo effetto inibitore sulla infezione da HIV, attraverso la distruzione virale, l’inibizione dell’attivita’ virale, il legame del virione alle cellule linfocitarie, ma i cui meccanismi non sono stati ancora ben definiti. Esplicativo a questo riguardo figura un dettagliato e ben documentato studio sperimentale comparso sulla prestigiosa rivista statunitense Journal of Allergy and Clinical Immunology ad opera dell’e’quipe giapponese dei Dipartimenti di Chirurgia Oncologica e della Trasfusione dell’Universita’ di Tokyo in cui viene dimostrato il meccanismo d’azione del possibile effetto preventivo dell’epigallocatechin gallato sull’infezione da HIV. Esso consisterebbe, detto in termini molto semplificati, nel legame della catechina con il recettore CD4 per il virus posto sulla cellule bersaglio, particolari linfociti, inibendo in tal modo quel legame tra recettore stesso e la glicoproteina 120 del rivestimento virale, che darebbe l’avvio alla distruzione cellulare. Ma, a detta degli autori, l’ipotesi di un suo utilizzo clinico come nuovo antiHIV, deve accuratamente evitare le false aspettative legate ad una singola sostanza. E come accortamente ribadito nell’editoriale a commento dello studio, l’aspetto "cruciale" per trasferire nella clinica la sperimentazione del laboratorio e’ il problema del dosaggio prodotto con le idonee concentrazioni. Infatti si sa che solo una piccola percentuale delle catechine del te’ assunto per bocca compare nel sangue: anche con una elevata somministrazione in capsule risultera’ difficile raggiungere i livelli utilizzati negli studi "in vitro". Inutile l’uso della bevanda (ne occorrerebbero litri) per contrastare la malattia o, peggio, come alternativa terapeutica ai farmaci in uso. * Primario Emerito di Allergologia, Genova ___________________________________________ Le Scienze 6 feb. ’04 LA RISPOSTA AUTOIMMUNE NEL DIABETE DI TIPO 1 Le cellule T reagiscono ai peptidi presenti sulle cellule pancreatiche beta Il diabete mellito di tipo 1 (T1DM) e’ il risultato di una distruzione immuno- mediata delle cellule pancreatiche beta che secernono insulina. Da piu’ di 25 anni gli scienziati indagano alla ricerca di un agente o di un evento ambientale che innesca questa risposta autoimmune. In passato, alcuni studi avevano suggerito che le cellule T che reagiscono alle cellule beta delle isole pancreatiche possono contribuire alla risposta autoimmune nei pazienti diabetici e anche svolgere un ruolo nell'autotolleranza degli individui sani. La rarita’ di queste cellule e la tecnologia inadeguata ha finora impedito la verifica di questa teoria. Nel numero del 2 febbraio della rivista "Journal of Clinical Investigation", Mark Peakman e colleghi del King’s College di Londra suggeriscono un meccanismo per la specificita’ di questa regolazione immunitaria che spiega come mai gli stessi peptidi presenti sulle cellule pancreatiche beta che attivano le cellule T nei pazienti con T1DM e negli individui normali provocano nel primo caso una risposta autoimmune e nel secondo caso no. Gli autori dello studio hanno sviluppato un metodo per esaminare la risposta delle cellule T a un gruppo di epitopi espressi naturalmente dalle cellule delle isole pancreatiche, e hanno dimostrato che e’ il percorso della differenzazione e della maturazione delle cellule T in reazione a questi epitopi a essere differente nei pazienti di T1DM (nei quali si sviluppa l'autoimmunita’) e negli individui normali (nei quali l'autoimmunita’ si arresta). ___________________________________________ La Stampa 4 feb. ’04 IL ROBOT CHE OPERA SENZA TAGLI SI CHIAMA «CYBER KNIFE» ED E’ UNA MACCHINA RADIOCHIRURGICA COSI’ PRECISA DA POTER ASSUMERE 1200 POSIZIONI DIVERSE PER COLPIRE IN PIENO IL BERSAGLIO IL suo nome e’ CyberKnife. E’ un robot radio-chirurgico impegnato nella lotta contro i tumori. Intervenire con la certezza assoluta di operare soltanto sui tessuti malati e che questi interventi vengano effettuati senza dispositivi di immobilizzazione cruenti, senza che il paziente subisca tagli di alcun genere, senza la necessita’ di alcuna degenza dopo l'intervento, pare fantascienza. Eppure e’ la realta’ della radiochirurgia stereotassica che, pur essendo operativa gia’ da qualche tempo, ora con il CyberKnife e’ giunta a un livello mai raggiunto prima. Questo robot radio-chirurgico contro il cancro «sara’ operativo dal prossimo aprile» spiega Maurizio Guizzardi, direttore generale del CDI (Centro Diagnostico Italiano) di Milano. «Insieme con l'Ospedale San Bartolomeo di Vicenza, saremo gli unici in Europa ad avere il CyberKnife, da noi acquisito grazie alla convenzione con l'Istituto Neurologico Besta e l'Ospedale San Carlo di Milano e al supporto della Regione Lombardia». L'investimento e’ stato di 6,5 milioni di euro, compreso l'ambiente che ospita l'apparecchiatura, un vero e proprio bunker, con speciali pareti schermate. Ma, come sottolinea Diana Bracco, amministratore delegato del Gruppo Bracco e del CDI, «l'investimento e’ allineato con la strategia di offrire soluzioni integrate nei segmenti piu’ innovativi del settore di Imaging, con applicazioni sia nel campo diagnostico che in quello terapeutico». Che l'attesa per le capacita’ operative del robot sia alta lo dimostrano gia’ le circa duecento prenotazioni di chi vuole andare sotto i suoi "ferri", spiega Laura Fariselli, radioterapista che fa parte della e’quipe che rendera’ operativa l'apparecchiatura. Il CyberKnife e’ stato ideato e sviluppato negli Stati Uniti alla Stanford University di Palo Alto in California dal neurochirurgo John Adler e poi costruito dalla Accuray. E' costituito da un acceleratore lineare miniaturizzato, da un braccio mobile robotizzato che consente una elevatissima precisione nel raggiungimento del "bersaglio" e da un software che governa il sistema di guida consentendo di localizzare la lesione patologica, di pianificare l'intervento e di eseguirlo. Per centrare l'esatto punto in cui deve operare, la macchina utilizza anche le immagini della TAC, della PET e della RMN acquisite prima del trattamento. Spiega Laura Fariselli che il CyberKnife ha una tale precisione da consentire di intervenire efficacemente anche quando la massa tumorale e’ in zone critiche quali il cervello e la colonna vertebrale, riuscendo anche a intervenire su punti non raggiungibili con la chirurgia tradizionale. Questo bisturi elettronico e’ infatti in grado di assumere fino a 1200 posizioni diverse per colpire il "bersaglio". Il CyberKnife confronta i dati preoperatori con le immagini radiografiche prese dal vivo durante il trattamento per poter continuamente determinare la posizione della zona da colpire notando qualsiasi movimento del paziente e riposizionando con estrema accuratezza l'acceleratore lineare in direzione dell'obiettivo. Finora questa apparecchiatura ha trattato con successo nel mondo 7000 pazienti affetti da lesioni cancerogene localizzate nell'encefalo, nel rachide, nei polmoni, nel pancreas e nella prostata: molte di queste lesioni non sarebbe stato possibile trattarle in nessun altro modo. E se finora la radiochirurgia stereotassica era stata prevalentemente utilizzata per patologie tumorali al cervello - con dispositivi di immobilizzazione invasivi e cruenti come il casco stereotassico - ora con il CyberKnife si amplia di molto la casistica degli interventi e non occorrono piu’ dispositivi di immobilizzazione. ___________________________________________ La Stampa 5 feb. ’04 EPPUR SI MUOVE. COSI’ CAMBIA IL CERVELLO UNA NUOVA PROVA DELLA PLASTICITA’ DEL SISTEMA NERVOSO: SCOPERTE MODIFICHE DI SINAPSI E «SPINE» REGISTRANO CON LIEVI CAMBIAMENTI DI FORMA OGNI NOSTRA ESPERIENZA INTELLETTIVA O AFFETTIVA FINO a qualche decennio fa si pensava alle strutture cerebrali come a qualcosa di fisso e sostanzialmente immutabile. Le tecniche di analisi del cervello avevano permesso di osservarne l'estrema complessita’ e il numero astronomico di cellule nervose (neuroni) che lo costituiscono. Era pero’ una conoscenza "statica", anche se molto raffinata, perche’ il cervello, per poter essere analizzato, doveva di solito essere "fissato" con procedimenti chimici, come ad esempio quello ideato da Camillo Golgi e utilizzato dal grande neurobiologo spagnolo Ramon y Cajal. Le conoscenze acquisite con queste tecniche hanno indotto, con l'avvento degli elaboratori elettronici, ad assimilare la struttura del cervello all’hardware di un computer. Oggi l'analogia non regge piu’ per un numero di ragioni che sarebbe troppo lungo enumerare. Fra queste, una proprieta’ in particolare distingue il cervello: la plasticita’. Plasticita’ e’ un termine molto vago, in quanto denota la capacita’ di cambiare struttura in relazione ad una determinata funzione. Il lettore potrebbe intuitivamente, ed a ragione, concludere che ogni parte dell'organismo e’ plastico; gli esempi a conferma di questa constatazione sono quasi infiniti. Un albero potato i cui rami si dirigono verso una differente sorgente di luce; la pelle che si oscura in rapporto all'intensita’ dei raggi solari, un muscolo la cui dimensione varia in rapporto al suo impiego, sono semplici casi di plasticita’ di un organismo. Ma mentre questi sono fenomeni facilmente osservabili, i possibili cambiamenti ai quali va incontro il cervello non possono essere egualmente valutati perche’ non solo infinitamente piu’ microscopici ma perche’, come si e’ accennato, presuppongono la "fissazione" dell'oggetto di studio, procedimento che impedisce proprio cio’ che si vuol misurare. Tuttavia, gli strumenti tecnologici messi a punto nell'ultimo decennio permettono di osservare i cambiamenti che si verificano in minuscoli preparati in vitro di neuroni "vivi", cioe’ funzionanti. Ne sta emergendo un panorama eccitante che ogni giorno va precisandosi. In un recente articolo pubblicato su «Nature Neuroscience» (6, 491-500, 2003), nel quale il primo autore e’ un italiano che lavora all'estero, si dimostra con tecniche tanto eleganti quanto sofisticate che sono dotate di plasticita’ anche le singole sinapsi, quelle strutture infinitamente piccole (sono decine di milioni per millimetro cubo di cervello), con le quali i neuroni comunicano fra loro e con l'organismo. E non solo le sinapsi, ma anche le strutture ancor piu’ piccole con le quali esse formano i collegamenti con altre fibre nervose, chiamate spine o varicosita’ perche’ sono distribuite lungo le fibre nervose come le spine sui rami di una rosa, sono dotate di plasticita’. Nello studio, si dimostra che il numero e la natura di questi collegamenti, mediati dalle sinapsi fra neurone e neurone, cambia continuamente, anche nel giro di minuti, in relazione agli stimoli che giungono da altri neuroni. E poiche’ gli stimoli in questione circolano in una struttura cerebrale (l'ippocampo) devoluta alla memoria, questi cambiamenti di forma sono direttamente riconducibili al processo di apprendimento e di successiva memorizzazione. In sostanza, mentre il lettore legge queste righe, sottili ma consistenti cambiamenti avvengono in qualche parte del suo cervello che servono a fissare per un tempo piu’ o meno lungo cio’ che sta leggendo; cambiamenti che scompariranno, per lasciare posto ad altri in arrivo, in un turbinio di trasformazioni strutturali che potrebbero ricordare quelli di una foresta di foglie mosse dal vento. Se poi queste informazioni dovessero avere particolare importanza, altri meccanismi molto piu’ stabili si incaricheranno di fissare il ricordo in modo indelebile. Ma questa e’ un'altra storia. Queste osservazioni dovrebbero interessare anche psicologi e psicoanalisti che basano la loro terapia sul colloquio con il paziente. Cambiamenti simili a quelli descritti, infatti, potrebbero teoricamente verificarsi anche nel corso dei colloqui che intercorrono fra paziente e medico, con conseguente possibile "riorganizzazione" di una data rete nervosa malfunzionante. Insomma, la mai sopita diatriba fra organicisti e mentalisti (cioe’ fra neurologi e psicologi) potrebbe trovare soluzione e un ulteriore elemento di collegamento terapeutico. [TSCOPY](*)CNR, Roma[/TSCOPY]