L’UNIVERSITA’ MODELLO A Y DA RIVEDERE NEGLI ATENEI IL «3+2» RESTA COM'E’ LAUREE BREVI ALLA PROVA I RETTORI: MANCANO 500 MILIONI E’ DUELLO SUL FONDO ORDINARIO PER GLI ATENEI ATENEO CAGLIARITANO CON 2500 DIPENDENTI LA VECCHIA LAUREA NON BASTA PIU’: ORA SERVE LA SPECIALIZZAZIONE CHI HA TROVATO L’AMERICA IN CATTEDRA STUDENTI STRANIERI UN BENE DA TUTELARE AUMENTANO LE MATRICOLE CON PIU’ DI 25 ANNI L'ISTRUZIONE? AL 73,7% PIACE QUELLA PUBBLICA "PIU’ SOLDI ALLA SCUOLA PUBBLICA" «FINANZIARE LA RICERCA RICHIEDE RISORSE INGENTI» POETTO: CONSULENTI UNIVERSITARI PAGATI PER UN DISASTRO ================================================================== NIENTE SOLDI DALLA REGIONE: BLOCCATE LE DISCIPLINE SANITARIE CAMICI BIANCHI: IL FENOMENO NUOVO E’ IL CARO-PARCELLE L’ADDIO POLEMICO DI GESSA: SONO COSTRETTO A DIMETTERMI NEUROSCIENZE: LICENZIATA LA SUPER RICERCATRICE A CAGLIARI MILLE DOTTRINE, UN DOTTORE L'AGONIA DEL SAN GIOVANNI DI DIO CELLULE: INVECCHIAMENTO REVERSIBILE TRACHEE RICOSTRUITE CON COLTURE DI CELLULE SOLO TRENTA SU CENTO RICEVONO L’ORGANO DI CUI HANNO BISOGNO L’OLANDA METTE LA CANNABIS IN FARMACIA CELLULE STAMINALI PER RIGENERARE I POLMONI POVERO MASCHIO, IL CROMOSOMA DELLA VIRILITA’ STA PER SCOMPARIRE IL DNA SOMIGLIA PIU’ A UN TUBO CHE A UNA COLLANA ================================================================== ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 1 Sett.03 NEGLI ATENEI IL «3+2» RESTA COM'E’ Il giudizio dei docenti sul sistema attuale e’ orientato all'ottimismo I1 «3+2» resta com'e’. Almeno per ora. Il prossimo anno accademico le lauree e le lauree specialistiche continueranno a fare riferimento alle regole varate tra il 1999 e il 2001. Le correzioni proposte, poco prima di Pasqua, dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, sono infatti ancora sotto esame da parte della Conferenza dei rettori e del Consiglio universitario nazionale (Cun). Quest'ultimo formulera’ il parere nella seduta del 911 settembre, dopo una serie di audizioni che hanno messo in rilievo le perplessita’ di un intervento prima della verifica sulle ricadute della riforma. Nessuno scossone, dunque, per la riforma dell'autonomia didattica universitaria che, basata sui percorsi in sequenza, ha finora riscosso il favore degli studenti e fatto incassare agli atenei negli ultimi due anni un aumento delle matricole (nel 2002/2003 gli iscritti al primo anno sono stati quasi 350mi1a), nonostante il calo demografico. In ogni caso, il ministro Moratti ha rassicurato i rettori circa la liberta’ degli atenei nell'adozione dei correttivi. Si tratta, tra l'altro, della previsione di percorsi a "Y" con la divaricazione, dopo il primo anno comune, tra un corso professionalizzante e uno con un'impostazione metodologica e scientifica. Ipotesi di rettifica anche per la laurea specialistica, che si misurerebbe solo sulle attivita’ formative del biennio, mentre oggi si tiene conto anche dei crediti conseguiti con la laurea. I crediti. In ogni caso, il ministro Moratti dovra’ decidere sul destino dei crediti. Il progetto prevede infatti che i crediti riservati a livello nazionale, per le lauree, siano tra il 50 e il 65%, calcolati solo sulle discipline di base e caratterizzanti. Attualmente, gli atenei sono liberi di decidere il 34°In dei crediti calcolati pero’ sull'intero curriculum. Per le lauree specialistiche la quota "nazionale" andrebbe dal 50 a160%, sempre determinata sulle discipline di base e caratterizzanti. La formulazione sembra ipotecare in misura maggiore le scelte delle universita’, invece di venire incontro alla richiesta di maggiore flessibilita’. Gli ordinamenti. Intanto, il Consiglio universitario nazionale (Cun) ha approvato, dal 2001, 3.148 nuovi ordinamenti di corsi di laurea e 2.1(l0 proposte relative alle lauree specialistiche, ma non e’ detto che tutti i curricula vengano attivati. Nel complesso, le proposte vagliate dal Cun sono state 9.462, comprendendo gli ordinamenti adeguati o riformulati dagli atenei, o in base ai rilievi del Consiglio o in base ad autocorrezioni. I numeri danno la dimensione dell'opera di cambiamento all'interno delle universita’, anche se questo non significa automaticamente una svolta dal punto di vista qualitativo. Tuttavia, al di la’ delle prese di posizioni istituzionali, il giudizio a caldo sulle conseguenze della riforma, formulato dai docenti universitari, sembra tutto sommato ottimista.II gradimento. Nel primo semestre del 2002 Abacus, per conto delle Conferenza dei rettori, ha effettuato un'indagine che ha coinvolto 400 presidi di facolta’, 1.800 presidenti di consiglio di corso di laurea e 5mila docenti (su un totale di 52.500). I questionari erano specifici rispetto ai tre "attori" selezionati dalla ricerca, con alcune domande comuni. 1 risultati sono raccolti in un volume della Fondazione Crui: «La riforma universitaria. Un'indagine sui docenti dall'estraneita’ al coinvolgimento» (di Patrizia Dilorenzo ed Emanuela Stefani). A pochi mesi dall'applicazione generalizzata delle riforma «i presidi di facolta’ e i presidenti di Consiglio di corso di laurea si sintetizza nella presentazione della ricerca esprimono un giudizio prevalentemente positivo rispetto all'assetto normativo. Individuano pero’ due aree critiche: le rigidita’ dell'impianto normativo tale da ostacolare, in alcuni casi, l'efficace attuazione del dettato legislativo da parte degli atenei: la mancata previsione di risorse aggiuntive».Piu’ severi i docenti. Tuttavia. gli strumenti messi in campo, secondo i professori, potranno contribuire a migliorare l'efficacia del sistema formativo universitario. Per i docenti, sintetizza la ricerca, «nonostante "un forte disorientamento" legato alla genericita’ del quadro normativo di riferimento, la riforma sara’ in grado di rispondere a esigenze di cui da tempo il sistema universitario cerca di dare risposta». Vale a dire, la possibilita’ di abbreviare i tempi di conseguimento del titolo di studio, migliorando e ampliando l'offerta formativa, l'incentivo alla mobilita’ degli studenti e la riduzione degli abbandoni. MARIA CARLA DE CESARI ___________________________________________________________ Italia Oggi 6 Sett.03 L’UNIVERSITA’ MODELLO A Y DA RIVEDERE Dubbi sulla riforma dal sottosegretario Siliquini. La prossima settimana i pareri di Crui e Cun Gli atenei denunciano scarsita’ di fondi per applicare il 3+2 DI GINEVRA SOTIROVIC Stop alla riforma dell'universita’. L'intervento di modifica del sistema 3+2 previsto dal ministro dell'istruzione, Letizia Moratti, fa discutere. Il nuovo modello a Y con un anno di base e poi due bienni di specializzazione non sembra adeguato ad assicurare una preparazione di alto livello. E sono anche molte le facolta’ umanistiche e sociali in cui sarebbe preferibile reintrodurre il ciclo unico di quattro anni, subito dopo il primo anno formativo. In attesa di conoscere il parere della Conferenza dei rettori (Crui) e del Cun, Consiglio universitario nazionale (quest'ultimo e’ atteso la prossima settimana), che comunque avevano gia’ fatto trapelare qualche preoccupazione, e’ il sottosegretario di viale Trastevere, Maria Grazia Siliquini, a esprimere forti dubbi sulle possibilita’ di applicazione del nuovo decreto di riforma dell'universita’ che il ministro Moratti sta per emanare.Che l'intervento di riordino del 3+2 messo a punto dalla commissione De Maio vada perfezionato prima di entrare a regime lo pensano un po’ tutti, Negli ultimi mesi non sono mancate critiche e preoccupazioni espresse da tutto il mondo accademico, studenti compresi, sul nuovo decreto di attuazione della legge del '99, voluto dalla Moratti per correggere la riforma Berlinguer che prevedeva l'introduzione di due lauree di tre e cinque anni per tutti i corsi, senza distinzione. Una necessita’, questa, fortemente condivisa dalle universita’ che hanno avuto piu’ di una difficolta’ a introdurre il nuovo modello nelle facolta’ umanistiche e giuridiche a cui si confa’ molto meglio il percorso unico. Inoltre, agli ordini professionali, fatta eccezione per alcune professioni tecniche, la laurea di tre anni che da’ diritto di accesso agli albi (anche se in una sezione separata) continua a non piacere un granche’. Di qui, dunque, la decisione ministeriale di riscrivere i corsi universitari a soli tre anni dall'entrata in vigore della riforma. Ma per Cun, Crui e Cnsu la medicina potrebbe risultare piu’ dannosa della malattia. Le universita’, infatti, complice anche la cronica carenza di fondi, sono gia’ in difficolta’ nell'applicare il 3+2 figuriamoci poi se, come sembra intenzionata a fare il ministro, dal prossimo anno accademico deve entrare in vigore il nuovo modello a Y. L'unica soluzione concreta da percorrere, secondo la Siliquini, e’ quella di fermare i motori e di ripensare insieme agli addetti ai lavori il testo di riordino, cosi’ poi da realizzare un intervento unanimemente condiviso. «Nel definire il futuro assetto didattico occorre ribaltare l'approccio burocratico e partire dal concreto dalle competenze, dai mestieri, dalle professioni e dalla loro organizzazione», spiega la Siliquini, «per determinare, quindi, i percorsi formativi».Dunque, nessuna riforma calata dall'alto, ci tiene a precisare il sottosegretario del Miur che al tempo dell'approvazione della legge Berlinguer ebbe molto a criticare il modello 3+2 proprio perche’ non era stato studiato su misura delle diverse esigenze formative e professionali e imponeva uno schema rigido. Il rischio, dunque, e’ che si ripetano gli errori gia’ fatti in precedenza. Per questo, secondo la Siliquini, «la nuova organizzazione didattica e i nuovi profili professionali dovranno essere disegnati di concerto con gli ordini e le parti imprenditoriali e sociali interessate, generando competenze concrete e facilmente spendibili sul mercato del lavoro».La palla passa ora alla Moratti che dovra’ decidere se proseguire per la strada indicata dai professori guidati da Adriano De Maio, rettore della Luiss e presidente del Cnr, o se tenere conto dei numerosi suggerimenti di modifica. Determinanti saranno il parere del Cun e della Crui che non promettono nulla di buono per la Moratti. La Crui ha gia’ in piu’ di un'occasione segnalato al ministro le difficolta’ di applicazione del nuovo sistema che potrebbe semmai affiancare quello esistente, ma non sostituirlo. Critico anche il Cun che teme il caos didattico e che nei prossimi giorni dovrebbe stilare un documento con le proposte di modifica alla bozza De Maio. ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 2 Sett.03 LAUREE BREVI ALLA PROVA Milano. Scettici i docenti, fiduciosi i presidenti di corsi di laurea e i presidi di facolta’. La possibilita’ di conciliare gli aspetti scientifico- culturali con quelli professionalizzanti all'interno di un corso di laurea triennale divide gli operatori. E’ questo uno dei risultati piu’ importanti fra quelli che emergono dall'indagine effettuata, nel primo semestre del 2002, dalla Abacus per conto delle Conferenza dei rettori (Crui) e della quale sono stati anticipati alcuni risultati gia’ sul Sole-24 Ore di ieri. Il sondaggio nel mondo accademico ha coinvolto 400 presidi di facolta’, 1.800 presidenti di consiglio di corso di laurea e 5mila docenti (su un totale di 52.500). Formazione scientifico- culturale e professionalizzante. Un'elevata percentuale dei presidenti di consiglio di corso di laurea e dei presidi di facolta’ (rispettivamente il 77 e il 70%) ritiene che la laurea triennale potra’ avere validita’ per la spendibilita’ sul mercato del lavoro e per la prosecuzione negli studi universitari. I docenti, invece, si mostrano piu’ diffidenti e solo il 49% e’ di questo parere, mentre per il 38% questo risultato non sara’ possibile; il 13%, infine, lo ritiene conseguibile solo a condizione di differenziare i curricula all'interno della laurea. Gli estensori del volume segnalano una volta di piu’ come i timori e le perplessita’ nei confronti delle novita’ introdotte dalla riforma universitaria siano piu’ forti tra gli attori del sistema, come i docenti appunto, che sono stati meno coinvolti nelle varie fasi della sua attuazione. La differenziazione dei corsi di laurea. Il sondaggio ha cercato di approfondire anche il parere dei vari attori del sistema universitario rispetto all'ipotesi di separare i percorsi formativi di 1° livello tra lauree con obiettivi pratici e lauree con obiettivi scientifici. Anche in questo caso i piu’ vicini allo spirito della riforma si sono confermati i presidenti di consiglio dei corsi di laurea, che si sono schierati in maggioranza per il no (66%). Agli antipodi i docenti (il 51% ha risposto si’). La valutazione iniziale degli studenti. La riforma ha introdotto alcune innovazioni sulla verifica dello stato di preparazione degli studenti al momento dell'accesso nell'Universita’. Il 69% dei presidenti di consiglio e il 68% dei presidi di facolta’ ritiene che sia possibile valutare la preparazione iniziale degli studenti, in particolare attraverso test scritti o colloqui. La valutazione "in corsa". Solo il 38% dei presidenti intervistati ha affermato che per i corsi di studio di competenza del proprio consiglio sono previsti test d'ingresso; in alcuni casi, ma si tratta di casi molto limitati, e’ previsto un colloquio. Il 34% dichiara, invece, che al momento non e’ prevista nessuna modalita’ di individuazione delle lacune degli studenti, ma che si sta lavorando per introdurle. Molto piu’ numerosi (il 57%) i presidenti di consiglio di corso di laurea a dichiarare che sono previste iniziative atte a favorire il superamento, da parte dello studente, di eventuali lacune. In particolare, si tratta di pre-corsi realizzati prima dell'avvio delle attivita’ didattiche, di corsi di supporto, lezioni ed esercitazioni integrative, corsi propedeutici, attivita’ integrative realizzate in aula, tutoraggio, supporti didattici ed esercitazioni. Il ruolo dello studente. Secondo il 64% dei docenti intervistati, con il passaggio al nuovo ordinamento si rischia di appoggiare troppo lo studente, non incentivandone una progressiva assunzione di responsabilita’. Solo il 36%, invece, ritiene che il nuovo ordinamento dia finalmente centralita’ alla figura dello studente. N.T. ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 1 Sett.03 I RETTORI: MANCANO 500 MILIONI Le difficolta’ finanziarie Un anno accademico pieno di prospettive ma anche di insidie. E quanto prevedono i rettori delle universita’ italiane alle prese con difficolta’ finanziarie ormai croniche e con l'attuazione di una riforma didattica quella del «3+2», varata nel 1999 per la quale e’ stata gia’ sollevata l'esigenza di una parziale rivisitazione. «Noi afferma Piero Tosi, presidente della Crui (la Conferenza dei rettori) che il prossimo 25 settembre presentera’ a Roma la "Prima relazione sullo stato delle universita’ italiane" non siamo contrari a una revisione del Dm 509/99. L'importante pero’ e’ che niente venga imposto obbligatoriamente, e via sia un'applicazione graduale di eventuali modifiche».Flessibilita’. Va bene un aumento della flessibilita’, insomma, ma senza un obbligo di cambiare. «Le Universita’ spiega infatti Tosi gestiscono allo stato tre ordinamenti: quello vecchio, il "3+2" e quelli legati a percorsi europei quinquennali. Introdurre un quarto ordinamento, come ad esempio quello a "Y" (1+2+2 ndr), creerebbe sia problemi all'amministrazione delle facolta’ sia confusione tra gli studenti».«Occorre dare stabilita’ al sistema della formazione aggiunge Guido Trombetti, rettore dell'Universita’ Federico Il di Napoli . E poi per eventuali "riforme della riforma" si dovrebbe almeno attendere la fine di quest'anno quando si concludera’ il terzo anno di operativita’ effettiva e si potra’ fare un bilancio vero di come hanno funzionato le nuove regole in termini di riduzione dei tempi di permanenza all'universita’ e di percentuale di abbandono degli studi. Per quel che ci riguarda, comunque, dal prossimo anno attiveremo sei lauree specialistiche».Difficolta’ finanziarie. Le universita’ italiane si sentono investite di un ruolo sempre piu’ cruciale per lo sviluppo del Paese, gelose di un'autonomia conquistata 15 anni fa ma che va garantita con adeguate risorse. La mancanza delle quali porto’ lo scorso anno alle "quasi dimissioni" dei rettori che rimisero i propri mandati nelle mani del ministro e rischia ora di mettere in ginocchio gli atenei. Nella Finanziaria 2003 il fondo di finanziamento per l'universita’ ammonta a 6 miliardi di curo, contro i 6,2 stanziati nel 2002 e a fronte di un fabbisogno reale che, secondo la Crui, si aggira sui 6,5 miliardi. «Invece occorre scommettere sull'Universita’ rilancia Trombetti e sulla qualita’ della formazione. Abbiamo insistito sulla necessita’ di alzare il tasso di scolarizzazione. Ma piu’ immatricolati e piu’ frequenza significa che occorrono piu’ aule, maggiori servizi, piu’ minformatizzazione».«Il sistema precisa Massimo Egidi, rettore dell'Universita’ degli studi di Trento potrebbe collassare in un paio d'anni. Per legge non e’ possibile spendere oltre il 90% dei trasferimenti statali per pagare i salari del personale docente e non docente. Ora questa spesa e’ all' 81 %, ma tenuto conto che il tasso di incremento degli stipendi e’ del 4% all'anno, le risorse potrebbero esaurirsi presto se non si ricorre ad altri introiti». Mercoledi’ prossimo il direttivo della Crui incontrera’ il ministro Moratti per trovare una soluzione al problema. «Che oggi annuncia Marco Pacetti, rettore dell'Universita’ politecnica delle Marche e’ ancora piu’ grave. Del resto o si trovano altri finanziamenti oppure non c'e’ alternativa all'aumento delle tasse universitarie o alla drastica riduzione dei servizi». MARCO BELLINAZZO ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 4 Sett.03 Universita’ e ricerca / L'obiettivo e’ un aumento rispetto ai 6 mld previsti TRA RETTORI ED ESECUTIVO E’ DUELLO SUL FONDO ORDINARIO PER GLI ATENEI ROMA a Lo spettro delle dimissioni di massa dei rettori non e’ ancora riapparso, ma e’ dietro l'angolo. Agitato alla fine dell'anno scorso, durante la discussione sulla manovra di bilancio, e’ stato poi ritirato, ma senza particolari vantaggi ottenuti dalle universita’. Il tema sempre al centro del dibattito si chiama Ffo, fondo di finanziamento ordinario, la somma che ogni anno lo Stato eroga alle sedi universitarie e che ammonta a poco piu’ di 6 miliardi di euro. Una somma definita dai rettori insufficiente e gia’ congelata, nel 2002, sui valori dell'anno precedente. Gli atenei, poi, tentano di rimpinguare le loro casse con le tasse di iscrizione, ma non possono neanche incrementarle troppo perche’ rischiano di avere un calo di studenti. Nel frattempo, i docenti universitari non possono ricevere in busta paga gli incrementi di stipendio: non ci sono i soldi. Il livello del Ffo e’ al centro di una serie di incontri svoltisi nei mesi scorsi tra i rappresentanti della Crui (la conferenza dei rettori) e i tecnici dei ministero dell'Universita’ e dell'Economia. A giudicare dagli umori recenti dei rappresentanti dell'universita’, si prevede burrasca. Il ministro Letizia Moratti intende battersi per migliorare la situazione finanziaria, ma a condizione che ci sia una riqualificazione della spesa che potrebbe essere ottenuta anche attraverso un maggiore controllo del Miur sui flussi di finanziamento agli atenei. Fino a riportare la programmazione delle risorse al ministero, riducendo cosi’ il potere di decisione delle singole universita’ sulle somme da spendere. Letizia Moratti, inoltre, a luglio ha lanciato un messaggio molto chiaro: le universita’ avranno i soldi anche in base ai risultati raggiunti. Il Tesoro, inoltre, vorrebbe riportare al centro il controllo dei flussi di spesa. Ma gli atenei non vedono di buon occhio queste proposte di cambiamento. Anzi, alla fine di luglio, in un documento ufficiale della Crui (si veda I1So1e24ore del 9 agosto) hanno detto, in sostanza: giu’ le mani dall'autonomia. Il testo della Crui cita espressamente «la proposta, da un lato, di trasferire direttamente al ministero dell'Economia il pagamento di stipendi, retribuzioni e altri assegni fissi, dall'altro di attribuire al Miur le disponibilita’ e la destinazione dei finanziamenti restanti». Questo quadro, sostengono i rettori, si trasforma in una sorta di «amministrazione controllata che metterebbe in discussione la capacita’ degli atenei di rispettare le norme in vigore e le regole di una buona e corretta gestione delle risorse». M.Luu. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 Sett. ATENEO CAGLIARITANO CON 2500 DIPENDENTI L’occupazione L’Ateneo cagliaritano e’ una delle piu’ grandi aziende sarde con oltre 2.500 dipendenti Rettore dal 1991, Pasquale Mistretta, amministra una delle piu’ grandi aziende dell’Isola, con oltre 2.500 dipendenti, un bilancio che sfiora i trecento milioni di euro. Ingegnere, professore di urbanistica, 71 anni, non nasconde le difficolta’ dell’Ateneo. Ma insiste sui lati positivi della medaglia: "Cagliari ha avuto e ha docenti e ricercatori di fama mondiale in campo scientifico e umanistico. Viviamo da protagonisti, con forti relazioni internazionali. E abbiamo fatto della nostra insularita’, della nostra centralita’ mediterranea un elemento da valorizzare, non una condizione negativa". L’Ateneo soffre molti limiti, a partire dagli esigui finanziamenti. I denari arrivano quasi esclusivamente dallo Stato e scarsissimo e’ l’apporto dei capitali privati, limitati alla Saras e ad aziende del settore lattiero caseario e di quello lapideo. "Purtroppo-sostiene il rettore- c’e’ poca imprenditoria e dunque scarsi finanziamenti esterni. Nonostante questi limiti, abbiamo investito moltissimo sulla didattica e sull’edilizia. Non e’ stato semplice aprire il Policlinico, che ora sta sempre piu’ decollando. Ne’ e’ stato facile trasformare la Clinica Aresu in un polo dedicato alle facolta’ di Lingue e di Scienze politiche. Eppure le cose camminano, nonostante le difficolta’. La crisi politica alla Regione ha contribuito a bloccare il protocollo d’intesa fra le due Universita’ e le aziende Usl essenziale anche per garantire la formazione del personale. Mi auguro si risolva tutto rapidamente, ma non dipende da noi". Nel complesso l’Universita’ di Cagliari migliora le sue posizioni rispetto a un anno fa nelle graduatorie stilate dal Censis nei mesi scorsi. Fra gli Atenei di media dimensione, si colloca al settimo posto su quattordici. C’e’ ancora molto da lavorare, ma vanno registrati alcuni balzi in avanti, soprattutto nel polo umanistico. "Proprio da me, ingegnere e urbanista-precisa il rettore- viene un riconoscimento forte a facolta’ come Scienze della formazione, Filosofia e Lettere, che stanno mostrando una straordinaria capacita’ di valorizzare la nostra identita’ e diversita’ di sardi. Dopo la globalizzazione senza criterio e senza intelligenza, la nostra Universita’ sta dando concretamente un contributo alla riscoperta e alla valorizzazione della storia, delle lingua e della cultura della Sardegna, terra di nuraghi ma anche di Internet e delle piu’ avanzate tecnologie". Non tutto fila alla perfezione, ovviamente, ma certo alcuni passi in avanti si notano: l’Universita’ gioca un ruolo anche in Polaris, il parco dell’innovazione e dello sviluppo, e ha fatto una scelta, quella della diffusione di corsi nei territori dell’Iglesiente, dell’Ogliastra, di Nuoro, Oristano sulla quale torneremo, ma che per Pasquale Mistretta rappresenta un fiore all’occhiello. Non mancano ovviamente proteste e contestazioni, come quella, firmata da Davide Marche, che polemizza per la mancata istituzione della laurea specialistica in Informatica: "E’ un’enorme ingiustizia-sostiene lo studente-perche’ era stato annunciato ufficialmente il suo varo dallo stesso rettore davanti a 150 studenti di informatica. Sembra folle che nella Sardegna di Tiscali e delle piu’ avanzate tecnologie non decolli questo corso di laurea". Pasquale Mistretta e’ al solito franco. "Mi rendo conto che nel settore informatico c’e’ un grande potenziale di lavoro e occupazione, ma purtroppo non disponiamo di un numero adeguato di docenti. La ragione e’ solo questa". ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 Sett.03 LA VECCHIA LAUREA NON BASTA PIU’: ORA SERVE LA SPECIALIZZAZIONE Scompaiono da quest’anno i corsi quadriennali e si entra nella riforma Berlinguer: tre anni piu’ due Iniziata la corsa alle iscrizioni: a Cagliari quarantamila studenti di GIANCARLO GHIRRA Soltanto a fine mese sapremo se l’Universita’ di Cagliari ha superato quota quarantamila studenti: la corsa alle iscrizioni e’ in pieno svolgimento e i conti definitivi si faranno dopo il 30 settembre. Nell’anno accademico ancora in corso gli iscritti erano ben 39.420, con il record di 6.881 (il 18 per cento) per Ingegneria, seguita da Scienze della Formazione con 6.308 allievi (il 16 per cento). Molti, come vuole la tradizione, gli studenti di Giurisprudenza, 5.002 (il 13 per cento), un po’ meno a Economia (l’11 per cento) e a Scienze (il 10 per cento). Sotto le due cifre Lettere e Filosofia, con 3.632 iscritti (il 9 per cento), ben 2497 a Medicina (il 6 per cento), un po’ piu’ di Lingue (2.256 iscritti). Ultima della fila e’ Farmacia, con 1.337 studenti, il 3 per cento. Nelle dieci facolta’ nelle quali e’ articolato l’Ateneo cagliaritano pesano ancora numerosi fuori corso, ma il numero degli studenti in regola con gli esami prevale: 23.295 contro 16.125. E va anche aggiunto che cresce il numero dei laureati: dai 1424 del 1993 si e’ passati ai 3.643 del 2002, quasi il triplo. Migliora dunque l’efficienza del maggiore Ateneo dell’Isola, che lancia ai quasi sessantamila studenti della Sardegna (oltre 17.400 sono iscritti a Sassari) la sua offerta formativa. Non sara’ sfuggito ai lettori piu’ attenti che quest’anno le Universita’ di tutta Italia stanno utilizzando anche le pagine dei giornali per fare sapere quali corsi sono stati istituiti. Cagliari non fa eccezione, e le sue dieci facolta’ “offrono” ben 79 corsi di studio. Si tratta per l’esattezza di 41 corsi di laurea della durata di tre anni, e, novita’ nata con la riforma Berlinguer, di 38 lauree specialistiche biennali. Scompaiono dalla scena le lauree quadriennali, e Cagliari, come l’Italia, si adegua al modello francese, tedesco, britannico, del baccalaureato, con laurea breve, triennale, al quale segue poi la laurea specialistica vera e propria. A partire dal 2000, l’Ateneo fondato nel 1626 sotto Filippo III di Spagna ha adeguato i suoi ordinamenti didattici al nuovo corso, e quest’anno per la prima volta decollano le lauree specialistiche. Nulla, o quasi, cambia ovviamente per Medicina, Odontoiatria e Ingegneria, gia’ in linea con il modello europeo. Nelle altre facolta’ e’ in corso una piccola rivoluzione. «Tre anni fa c’e’ stata una vera esplosione - spiega Giancarlo Nonnoi, docente di Storia della Filofosia e componente del Nucleo di valutazione dell’Ateneo - ma ora si e’ trovato un criterio di quantita’, qualita’, efficienza che ha consentito di ridurre la proliferazione di lauree brevi, davvero impetuosa agli esordi. L’offerta e’ obiettivamente piu’ ricca, ma anche piu’ ragionevole, con novita’ significative, commisurate pero’ alla disponibilita’ di docenti e di adeguate strutture didattiche». Ma vediamo nel dettaglio che cosa offre in questo anno accademico Cagliari. Economia facolta’ della quale e’ preside il professor Roberto Malavasi, propone quattro lauree triennali: tre sono ad accesso libero, la quarta e’ a numero limitato, riservata a 45 studenti. I primi tre corsi di studio (Economia e amministrazione delle imprese, Economia e gestione aziendale, Economia e Finanza) si tengono a Cagliari, mentre il quarto, Economia e gestione dei servizi turistici, ha sede a Oristano, dove gli Atenei di Cagliari e Sassari hanno “diffuso” (o se si preferisce “gemmato”) alcuni corsi di laurea. Fra qualche giorno, il 18 settembre, gli studenti che hanno fatto domanda si ritroveranno nei locali della facolta’ di Economia per affrontare le prove della selezione. E’ invece libero l’accesso all’unica laurea specialistica, Economia manageriale, che parte per la prima volta e avra’ una durata di due anni. Farmacia, facolta’ della quale e’ preside il professor Gaetano Di Chiara, prevede due lauree brevi (Scienze e tecnologie erboristiche, Tossicologia dell’ambiente, del farmaco e degli alimenti) e due lauree con corso quinquennale: Chimica e tecnologia farmaceutiche e Farmacia. Per tutte l’accesso e’ libero. Giurisprudenza, presieduta dal professor Francesco Sitzia, e’ partita soltanto due anni fa con le nuove proposte, e percio’, sulla linea del passato, si limita a offrire una laurea in Servizi giuridici e una seconda in Scienze giuridiche, tutte ad accesso libero. E’ pero’ all’avanguardia, insieme a Economia e Scienze politiche, nella capacita’ di fare sinergia. Ecco dunque una laurea specialistica assolutamente inedita, Scienza dell’amministrazione pubblica, che si affianca a una laurea triennale in Amministrazione, governo e sviluppo locale nella sede nuorese dell’universita’. Ingegneria, facolta’ presieduta dal professor Francesco Ginesu, offre molte conferme ai suoi quasi settemila studenti, i piu’ numerosi dell’Ateneo: ecco dunque le lauree triennali ad accesso libero in Ingegneria edile, civile, per l’ambiente e il territorio, elettronica, chimica, elettrica e meccanica. Fra i corsi che arrivano quest’anno al terzo anno ce n’e’ uno piuttosto innovativo, Tecnologie per la conservazione e il restauro dei Beni culturali, per il quale proprio mercoledi’ scorso si e’ tentata la prova di selezione: sessanta i posti disponibili. La scelta di Ingegneria si affianca a quella di Lettere, che ha istituito il corso di laurea in Beni culturali, assente a Cagliari prima della riforma Berlinguer. L’approccio storico culturale trova dunque anche una sponda tecnica sul fronte ingegneristico, dando spazio allo studio delle Tecniche di conservazione dei monumenti e dei beni culturali in genere. Fra le lauree specialistiche da segnalare una novita’, Ingegneria energetica, ad accesso libero, e tante conferme: Edile, chimica, civile, elettronica, elettrica, meccanica, Ingegneria per l’ambiente e il territorio. La laurea specialistica in Ingegneria edile e Architettura, prevista in un ciclo unico di cinque anni, ha invece visto gli studenti sottoporsi al test d’ingresso mercoledi’ scorso: entreranno in 150, anzi 151 perche’ e’ previsto un posto obbligatorio per un “non comunitario”. (1. continua) Ecco cosa propone la nuova organizzazione universitaria nelle dieci facolta’ del capoluogo Quarantuno corsi di laurea per settemila matricole Molte le offerte originali anche nelle trentotto specializzazioni di GIANCARLO GHIRRA Resta lo zoccolo duro dei corsi piu’ collaudati, ma emerge una gran voglia di novita’ nell’offerta formativa delle dieci facolta’ dell’Universita’ di Cagliari ai suoi 39.420 studenti che potrebbero superare quota 40mila da qui a fine mese. In questo 2003 anche gli Atenei hanno scoperto la pubblicita’, e usano giornali ma anche altri mass media per attirare studenti nei loro corsi. C’e’ anche qualche voce contraria, come quella del rettore cagliaritano Pasquale Mistretta. «Le grandi Universita’ italiane fanno promozione per attrarre studenti - dice con il suo stile un po’ sornione - ma io preferirei cederne. Non mi interessano le campagne acquisti; se avessimo qualche iscritto in meno potremmo migliorare ancora il livello della didattica. Le settemila matricole che ci piovono addosso ogni anno creano enormi problemi di uomini, di di mezzi, di aree e di edifici. E i finanziamenti statali sono fermi a dieci anni fa». Il fatto piu’ negativo e’ che i denari del ministero dell’Universita’ rappresentano addirittura l’88,26 per cento del totale di 298 milioni di euro che arrivano ogni anno nelle casse dell’Ateneo. Casse non floride, nelle quali sono ben pochi i finanziamenti dei privati, industriali, artigiani, commercianti, e via producendo. Nel nome dell’innovazione, i 1197 docenti hanno elaborato ben 41 proposte di laurea di primo livello, triennale, e, da quest’anno accademico, ben 38 corsi di laurea specialistica, della durata di due anni. Abbiamo raccontato ieri le offerte formativa di Economia, Farmacia, Giurisprudenza e Ingegneria, oggi passiamo alle altre sei facolta’ della fabbrica dei dottori, una grande azienda nella non prospera realta’ economica sarda: si pensi che sono 2.573 le buste paga erogate ogni mese a docenti e non docenti. Nel nome delle nuove offerte nate gia’ tre anni fa, con la riforma Berlinguer, sono proliferati tanti corsi di laurea triennale, e in alcuni casi (come per Informatica) c’e’ stata addirittura l’impossibilita’ di dar vita a corsi di laurea specialistica per mancanza di docenti. Lettere e Filosofia, presieduta da Giulio Paulis, offre per la prima volta la laurea triennale in Storia e Informazione. E conferma alcuni corsi a numero limitato, quali Beni culturali e Operatore culturale per il turismo, per i quali e’ prevista una selezione il 29 e il 30 settembre: saranno 23O i posti a disposizione per le due lauree brevi. Restano ad accesso libero il corso di Lettere e quello di Filofosia, mentre da quest’anno accademico decollano ben sette lauree specialistiche. Esordisce in assoluto Lingua, letteratura e cultura della Sardegna, esempio di un’area tematica assolutamente trascurata prima della riforma. Non tutto e’ inedito, ma spesso i registrano aggiornamenti e nuove articolazioni anche in lauree quali Archeologia, Cultura e letterature dell’antichita’, Letterature moderne, Filosofia e storia delle idee filosofiche, Storia e societa’, Storia dell’Arte. Lingue e letterature straniere, presieduta da Ines Loi Corvetto, prevede due corsi di laurea in Lingue e culture europee ed extraeuropee e in Lingua e comunicazione. Medicina e chirurgia, facolta’ presieduta da Gavino Faa, era gia’ in linea con il resto d’Europa, e continua a offrire alle matricole 175 posti (cinque riservati ai non comunitari) il corso di laurea articolato in sei anni. Sono invece cinque gli anni della Laura in odontoiatria e protesi dentaria, riservata a venti matricole che proprio ieri hanno affrontato la selezione. Sono sottoposti a numero programmato anche i corsi di laurea triennale in Scienze motorie (cento posti) e quello, biennale, in Scienze e tecniche dello sport, laurea specialistica con 3O posti disponibili. Scienze della formazione, facolta’ presieduta da Alberto Granese, prevede quest’anno una laurea specialistica in Psicologia (120 posti) e conferma la laurea quadriennale in Scienze della formazione primaria (250 posti). Due le lauree brevi, Scienze dell’educazione e della formazione (300 posti) e Scienze e tecniche psicologiche applicate all’apprendimento e alla salute psicosociale (300 posti). Scienze matematiche, fisiche e naturali, facolta’ presieduta da Roberto Crnjar, prevede dieci lauree triennali e altrettante lauree specialistiche, tutte all’esordio. Molti i corsi diffusi nei territori, da Biotecnologie industriali (33 posti a Oristano) a Scienza dei materiali (a Iglesias), a Informatica (256 accessi) insegnato anche in teleconferenza a Sorgono, Ilbono e Sanluri, oltre che a Cagliari e Iglesias. Le altre lauree brevi riguardano Bioecologia applicata, Biologia sperimentale, Scienze della terra, Chimica, Fisica, Scienze naturali, Matematica. Le lauree specialistiche biennali riguardano invece Biochimica, Biologia marina, Neuropsicobiologia, Fisica, Matematica, chimica, Rilevatori di ambienti naturali, Geologia tecnica e ambientale e Scienze geologiche. Scienze politiche, facolta’ presieduta da Raffaele Paci, prevede tre lauree brevi: economia e politiche europee, Scienze sociali per lo sviluppo e scienze politiche. Altrettante sono le lauree specialistiche, da quelle agli esordi, in Relazioni internazionale e Scienze sociali e cooperazione allo sviluppo alla piu’ classica Scienze politiche. Molto interessanti le lauree organizzate in collaborazione con altre facolta’: insieme a Economia e Giurisprudenza, ecco la laurea in Amministrazione, governo e sviluppo locale di Cagliari e Nuoro. Nuova e’ anche la laurea in Scienze dell’amministrazione pubblica, sempre organizzata insieme a Giurisprudenza ed Economia come avviene per Scienze economiche. L’offerta formativa dell’Ateneo di Cagliari presenta dunque a partire da quest’anno un’articolazione maggiore che in passato nei suoi 79 corsi di laurea. Difficile dire con una dignitosa approssimazione scientifica quale sia il livello dei singoli corsi. Da qualche anno e’ stato istituto un Nucleo di valutazione, ma molto resta da fare. Tutto da scoprire e’ poi il destino dei laureati: quanti trovano lavoro, dove, a quali condizioni? ___________________________________________________________ Il Mondo 12 Sett.03 CHI HA TROVATO L’AMERICA IN CATTEDRA CERVELLI IN FUGA/ Gli Italiani CHE INSEGNANO NELLE BUSINESS SCH00l DEGLI USA Guadagnano il quadruplo rispetto all'ltalia. E possano fare quello che li appassiona: la ricerca Luigi Zingales, dell'universita’ di Chicago Ricerca, pubblicazione ancora ricerca. E’ cosi’ che si lavora nelle universita’ d'eccellenza statunitensi. I docenti passano 1'8©% del loro tempo studiando come diventare i Nobel del futuro, poi insegnano. Questo e’ ancor piu’ vero nelle top business school che si strappano di mano le migliori promesse sul mercato, dando loro l'impossibile. A differenza di quanto avviene in Italia. Cosi’ altri giovani :,migrano, arricchendo le file dei cervelli in fuga dalla Penisola, a dispetto dei recenti progetti del governo per farli invece rientrare. E sulle orme di nomi mitici come il Nobel Franco Modigliani o di giovani gia’ affermati come Luigi Zingales, co-autore del recente best seller Saving capitalism from capitalist (Salvare il capitalismo dai capitalisti), c'e’ ormai un discreto drappello di italiani. Ai quali si chiede soprattutto di fare ricerca, in cambio di retribuzioni che nel loro Paese non riceverebbero neanche dall'industria privata. I piu’ pagati sono le teste d'uovo della finanza. Lo stipendio di un neo assistant professor e’ in media di 1.50 mila dollari all'anno, con picchi di 180 mila: almeno quattro volte di piu’ dei loro colleghi in Italia. Un po' meno guadagnano gli specializzati in economia, da 80 a 110 mila dollari. «Comunque e’ sempre il 35% in piu’ rispetto ai nostri colleghi di altre facolta’», afferma Stefania Ailsanesi, che insegna economics alla Fuqua school of business della Duke university. «Ci chiedono un buon livello di insegnamento, ma la nostra carriera e’ legata alla ricerca». Albanesi, 31 anni, ha preso il suo Phd alla Northwestern university nel 2001, dopo una laurea in Bocconi. «In Europa si tende piu’ alla consulenza, qui invece si fa ricerca pura». Il suo ultimo lavoro, in corso di pubblicazione, riguarda la credibilita’ della Banca centrale nella determina ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 4 Sett.03 STUDENTI STRANIERI UN BENE DA TUTELARE di Alessandro Ovi* la scienza e la tecnologia americane hanno tratto grandi benefici dalla immigrazione di talenti stranieri, qualunque fosse la loro appartenenza politica e religiosa. Dopo la caduta del muro di Berlino il fenomeno aveva assunto dimensioni globali e tutto il sistema produttivo americano aveva beneficiato 3i questa grande apertura. L'eccellenza lei candidati era il solo criterio per l'ammissione alle maggiori universita’ e per la permanenza negli Stati Uniti, do:)o la laurea, in )osti di lavoro li alto livello. Oggi, a due anni dall' 11 settembre, e’ evidente un preoccupante cambiamento legato alla prevenzione del terrorismo. Il governo americano ha messo limiti molto severi agli studenti stranieri: quelli provenienti da una lista di 25 Paesi, per lo piu’ li religione mussulmana, vengono schedati e minuziosamente investigati, qualunque sia la Facolta’ da frequentare, e sono comunque accettati in numero ridotto. Quelli che vorranno restare dopo la laurea dovranno essere rintracciabili dalle universita’ e dalle autorita’ federali. L'accesso a programmi e materiali di ricerca considerati critici, dalle biotecnologie al software, e’ stato messo sotto controllo molto severo e, per chi viene dai Paesi sospetti, sostanzialmente escluso. Una situazione certo non invitante, che non tutti negli Stati Uniti condividono. Gia’ nel dicembre 2002 i presidenti della National Academy of Seiences, della National Academy of Engineering e dell'Institute of Medicine avevano dichiarato che i vincoli posti agli studenti stranieri, in nome della sicurezza nazionale, stavano provocando serie conseguenze. Venivano denunciate le difficolta’ di collaborazione nelle ricerche con istituti stranieri, l'impossibilita’ dell'ammissione di validi studenti e ricercatori stranieri, l'impoverimento della partecipazione alle conferenze internazionali. Ma non si tratta solo di un problema del sistema della ricerca. E’ lo stesso concetto di societa’ aperta e tollerante, grande patrimonio della nazione americana, ad andare in crisi. Autorevoli voci denunciano l'insorgere di un fenomeno simile al maccartismo degli anni Cinquanta. Daniel J. Kevles, storico della scienza dell'Universita’ di Yale, ricorda quando il grande fisico Oppenheinsrco vppenneimer venne indagato, come tanti altri, per le idee di sinistra e per l'opposizione allo sviluppo della bomba all'idrogeno. Aggiunge che le restrizioni di oggi possono creare difficolta’ alla scienza, in particolare alla biologia per il suo potenziale legame col bioterrorismo, ancora piu’ gravi di quelle che il maccartismo ha creato alla fisica. Nel maccartismo c'era una via di uscita, sia pure ipocrita e difficile da accettare, e cioe’ il ripudio di organizzazioni politiche o di comportamenti sospetti. Nella situazione attuale, invece, sono la nazionalita’ o addirittura l'etnia, che non possono certo essere cambiate, a rendere praticamente impossibile l'ammissione di certi candidati. Viene impoverito quel grande flusso di sentimenti di pace rappresentato dallo «scambio culturale» che da oltre cinquant'anni ha nel nome del senatore Fulbright il suo simbolo piu’ alto. Negli Stati Uniti tutti sono d'accordo che il terrorismo sia un orribile nemico da combattere duramente. Comincia pero’ a farsi strada l'idea che il chiudere a una intera fetta di mondo l'accesso alle fonti piu’ importanti della scienza e della cultura occidentali, l'impedire ai giovani migliori di conoscere e di farsi conoscere, interrompendo l'arricchimento reciproco, sia un modo di concedere, a chi sostiene il terrorismo, una prima vittoria. ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 1 Sett.03 AUMENTANO LE MATRICOLE CON PIU’ DI 25 ANNI Le tendenze / Alla vigilia del debutto dei corsi Cresce il numero di iscritti con piu’ di ?5 anni; sale il numero degli studenti lavoratori e resta bassa la propensione a trasferirsi in un'altra citta’ per frequentare una facolta’. E’ il quadro del mondo universitario alla vigilia del nuovo anno accademico. Studenti lavoratori. Una prima tendenza in atto e’ quella degli studenti che lavorano. Sul totale della popolazione universitaria, i lavoratori (54%) hanno infatti sorpassato gli studenti a tempo pieno (46 per cento). Nella meta’ dei casi sono impegnati in lavoretti occasionali o stabili (soprattutto baby sitter, camerieri o altre attivita’ part time svolte all'interno degli atenei in cui studiano), mentre solo 9 su 100 lavorano a tempo pieno (dati Cnsvu).Un fenomeno generale, ma che si evidenzia soprattutto in alcuni percorsi di studio: i lavoratori sono infatti il 20% dei totale dei laureati in scienze della formazione, il 15% a scienze politiche, piu’ del 1014 a giurisprudenza ed economia; mentre a farmacia e medicina la loro presenza e’ in percentuali irrilevanti (dati AlmaLaurea).Iscritti "tardivi". Altra tendenza in atto: un incremento degli immatricolati a diversi anni di distanza dal conseguimento della maturita’. Le iscrizioni tardive, infatti, sono passate dal 25% nel biennio 20002001, al 28%, nel 20012002 e avvengono quasi sempre in facolta’ che offrono percorsi professionalizzanti. Sempre secondo i primi dati raccolti dal Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), le piu’ alte percentuali di immatricolati a 25 e oltre anni di eta’ figurano tra gli iscritti a scienze della formazione (17,9% del totale) seguita da giurisprudenza al 12,8 per cento.«Per venire incontro a profili di studenti sempre piu’ variegati spiega Giuseppe Catalano del Cnvsu gli atenei italiani si stanno pian piano adeguando, introducendo ad esempio percorsi didattici piu’ rapidi per gli studenti a tempo pieno e una didattica piu’ flessibile (strumenti multimediali, lezioni online e biblioteche aperte anche in orari serali) per gli studenti lavoratori».La mobilita’. A parte qualche eccezione (Politecnici di Milano e Torino. Universita’ di Bologna), per il resto gli universitari italiani sono poco propensi a iscriversi in un ateneo lontano dalla regione di residenza. «Un sistema generalmente poco mobile prosegue perche’ sono sorte sedi universitarie un po' ovunque, ma soprattutto perche’ la mobilita’ costa sia in termini sociali che in termini economici».I posti letto e le borse di studio. Collegi e residenze universitarie possono contare su un totale di circa 30mila posti, di cui 9lOmila in sole tre universita’ (Pavia, Urbino e Cosenza Universita’ della Calabria). «Un numero di alloggi insufficienti conclude Catalano se si considera che la percentuale di studenti ospitati nelle residenze universitarie italiane e’ pari all' 1,7% rispetto ai livelli ben piu’ alti di paesi Ue come Francia e Germania (con percentuali rispettivamente al 7 e al 10 per cento). E gli squilibri non mancano anche in materia di borse di studio: se in Piemonte, Toscana, Trento e Bolzano il rapporto tra chi chiede una borsa e quanti la ottengono e’ sostanzialmente alla pari, in regioni come Campania o Puglia sono molti gli studenti che non riescono ad ottenere il finanziamento» CRISTINA GIUA ___________________________________________________________ L’Unita’ 6 Sett.03 L'ISTRUZIONE? AL 73,7% PIACE QUELLA PUBBLICA Eduardo Di Blasi ROMA Gli italiani preferiscono la scuola pubblica. Il governo no. La prima asserzione deriva da un'indagine commissionata alla Ricerca Demoskopea: su un campione rappresentativo di 609 persone, intervistate nel mese di luglio (ben prima che il ministro Moratti decidesse di regalare agli istituti privati 90 milioni di curo in tre anni), il 13,7°,% ha risposto che manderebbe il proprio figlio in una scuola pubblica. Una prova della seconda asserzione, deriva invece dagli atti politici di questo ministero. Ieri, ad esempio, e’ fallito il tentativo di conciliazione con i dirigenti scolastici, che, gia’ in agitazione dal primo settembre (per questo la procedura impone un tavolo di conciliazione prima di una possibile rottura), minacciano di scioperare con l'inizio dell'anno scolastico.«Sono venuti al tavolo delle trattative a mani vuote», afferma Armando Catalano, responsabile nazionale dei dirigenti scolastici della Cgil. «Chiedevamo il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, scaduto nel 2001, la cancellazione della circolare che, violando le prerogative del contratto, assoggetta i dirigenti scolastici alla legge Frattini e l'indizione di un concorso nazionale per dirigenti scolastici», continua Catalano.Su 10.750 dirigenti scolastici, ce ne sono almeno 3.000 «incaricati», termine tecnico che individua presidi che presidi non sono, essendo appunto «insegnanti incaricati di ricoprire mansioni di dirigenza». Stipendio un po' piu’ alto. Qualifica nessuna. Un'anomalia che si aggiunge alle altre. Niente rinnovo contrattuale da 20 mesi, e, soprattutto, questa longa manus della «Legge Frattini» che lega la permanenza del rapporto di lavoro ad un sistema valutativo. «Se sei bravo resti al tuo posto», principio sacrosanto, ma da prendere con le molle quando le regole e la valutazione spettano ad una parte politica, quella che regge il ministero. Anche perche’ questo provvedimento, sommato alla bozza di proposta di legge «precettistica», pomposamente chiamata «Riforma Moratti», che vuole normare ogni aspetto della vita scolastica (puntigliosa fino alla pignoleria sul programma e sul modo d'insegnare), parrebbe poter divenire una specie di guinzaglio per le «scuole dell'autonomia».Della situazione e’ preoccupata anche Rita Fazzello, direttrice della scuola Toti dal Monte di Magliano Veneto, vicino Treviso. Uno di quegli istituti presi spesso a modello per la quantita’ di cose che fanno, compreso il tempo pieno, che, anche nelle difficolta’ dell'anno, sono riusciti a mantenere su 10 corsi.«Siamo preoccupati confida Rita perche’ ci accorgiamo che i tagli ci sono, ma sembra che non ci siano: sono graduali. Striscianti. E mentre danno i fondi alle scuole private noi siamo costretti a ridurre le classi. Intanto, pero’, il numero degli alunni continua ad aumentare».E poiche’ la dottoressa conosce bene il problema, vivendolo ogni giorno, ricorda perfettamente: «L'anno scorso avevamo 675 alunni e 28 classi, mentre quest'anno abbiamo 685 alunni e 27 classi». Dieci alunni in piu’, una classe in meno. Risultato: stanno piu’ stretti.«E il problema si pone soprattutto per l'inserimento in classe dei portatori di handicap. Se le aule sono troppo numerose il inserimento e’ piu’ difficile. Non vorrei che alla fine i genitori si portassero via i loro bambini pensando che la scuola gli serva a poco. II ministero poi, gia’ aveva fatto ventilare l'ipotesi di "classi speciali" destinate a loro».Il solo pensiero fa venire i brividi. Perche’ la scuola pubblica, per quanto scalcinata, per quanto ridotta alla continua elemosina (travestita da «razionalizzazione»), e’ ancora il punto di riferimento del sistema scolastico nazionale. Sempre tornando al sondaggio Demoskopea, i160,7% degli intervistati e’ contrario a che gli istituti privati siano sovvenzionati da soldi pubblici. E’ la famosa legge del mercato: se ti mantieni con le tue forze stai a galla. E cosi’, mentre si contano i soldi da dare alle private, la «riformicola» Moratti, con le sue ore di inglese e di informatica sperimentate nelle prime due classi delle primarie, per ora non ha neanche il, l ibro.Nello scontro sul «chi dovesse pagarlo» (1 il ministero aveva pensato dovessero farlo i Comuni, ma la spesa complessiva di 9 milioni di euro aveva sollevato le critiche dell'Anci ), alla fine s'e’ deciso per una trasmissione satellitare e il «divertinglese». Che e’ questo «divertinglese»? Al sito internet www.ildivertinglese.rai.it si puo’ ammirare l'opera (ancora incompleta).Gli insegnanti si collegano al sito e scaricano le schede di verifica. Se poi tutti i bambini hanno un computer (questione che il ministero pare dare per assodata), possono vedere cartoni animati in lingua originale. Su RaiEdu, infine, canale visibile in chiaro disponendo di una parabola satellitare, si puo’ assistere alle lezioni (e gli insegnanti in carne ed ossa a che servono? A fare i presentatori?).Se non si ha l'impianto satellitare, e non si hanno i computer, non chiedete di sperimentare. I soldi servono per i bambini che vanno alle scuole private, mica per comprare televisori satellitari e computer. E che siamo all'asilo? ___________________________________________________________ Repubblica 5 Sett.03 "PIU’ SOLDI ALLA SCUOLA PUBBLICA" Il ministro difende lo sconto per gli iscritti alle paritarie, annuncia possibili modifiche al decreto e rilancia L'ultimatum della Moratti E per il bonus-private rispuntano le fasce di reddito di GIULIO ANSELMI Il ministro Letizia Moratti ROMA - "Non ho fatto una scelta ideologica. Capisco, pero’, le radici culturali delle critiche. Per molti anni lo Stato ha dovuto difendere la sua laicita’ dalla scuola privata, in gran parte confessionale. Ma ora questo rischio non c'e’ piu’ ed e’ venuto il momento di fare un passo avanti". Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione sotto tiro per il decreto che prevede contributi a favore delle famiglie che iscrivono i figli alle scuole private, ha un'aria tranquilla e determinata. E anche la sede del dicastero dell'Universita’ e della ricerca scientifica all'Eur, dove la gran capa della scuola italiana preferisce lavorare perche’ e’ un ufficio moderno, stile aziendale, lontano mille miglia dall'aria trasandato-pomposa-ministeriale del palazzone di Trastevere assegnato alla Pubblica istruzione, non ha l'aspetto della fortezza assediata. Altrove strepitano i cobas e i sindacalisti della Cgil, l'opposizione attacca, si affrontano i costituzionalisti con diverse interpretazioni. Qui, in apparenza almeno, c'e’ grande decisione nel perseguire gli obiettivi fissati, senza, si afferma, pregiudiziali: perche’, si dice, il decreto Moratti non rappresenta un regalo alle scuole private, nel nome di una scelta di campo che porta tutto cio’ che e’ pubblico, sanita’ compresa, al sacrificio; e’ invece un passo concreto nell'attuazione di una strategia che punta alla parita’ e alla competitivita’. Bonus per le private. Il provvedimento nasce dalla convinzione della necessita’ di correggere il rapporto tra sistemi educativi, famiglie e stato sulla base di una serie di risoluzioni internazionali che, dal 1948 a oggi, sono intervenute sul diritto prioritario dei genitori a scegliere gli istituti scolastici per i figli. E' un principio che si e’ allargato in tutta Europa, con la sola eccezione della Grecia, fino a raggiungere anche i paesi ex comunisti, Russia inclusa, e che gia’ i governi di centro-sinistra cominciarono ad attuare con la legge sulla parita’. - Pubblicita’ - L'ipotesi che si tratti di un finanziamento mascherato agli istituti privati, nel complesso oggi in grave crisi, viene respinta con fermezza: perche’ se i genitori non mandano i figli alle private, le private i soldi non li vedono. "E’ invece", dice il ministro, "un indispensabile atto di riequilibrio sociale. Quando, nelle politiche sociali, l'intervento dello Stato a favore dei giovani e’ debole, come accade da noi, il peso del mantenimento agli studi dei figli ricade quasi interamente sulle famiglie. E infatti la quota di reddito destinato dai genitori italiani ai propri figli e’ la piu’ alta d'Europa: 59 per cento rispetto al 41 per cento della Germania e al 25 per cento di Francia, Irlanda e Austria". In quest'ottica, sostengono al ministero, andrebbe rivista la polemica sulla costituzionalita’, leggendo l'articolo 33 dove si dice che la scuola privata non deve comportare "oneri per lo Stato" assieme agli articoli 29, 30 e 31 che parlano di provvidenze per le famiglie. Inoltre, alcuni padri costituenti, interpretando l'articolo 33, scrissero: "Noi non diciamo che lo Stato non potra’ mai intervenire in aiuto degli istituti privati, ma che nessun istituto privato potra’ sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato". E infatti, da parecchi decenni, il bilancio statale prevede diversi contributi alle scuole non statali. Che, va ricordato, alleggeriscono di una quota di studenti, e di spese, il sistema. Politica governativa. Lasciamo perdere il dibattito tra illustri giuristi: grandi costituzionalisti trovarono perfino il modo di dimostrare che l'autopromozione di Mussolini a "primo maresciallo dell'Impero", alla pari con il re, non pregiudicava il ruolo di quest'ultimo come capo supremo delle forze armate. E' indubbio che, col bonus alle private, si sia marcato un segno politico, legittimo ma opinabile, in coerenza con l'atteggiamento (almeno a parole) liberale e liberista della maggioranza. E che lo si sia fatto senza badare troppo alla qualita’ delle diverse "private" e con una certa fretta, foriera di ripensamenti, per esempio sull'assegno dispensato alle famiglie indipendentemente dal reddito. "Abbiamo voluto dare un segno forte e passare all'applicazione concreta di un principio in cui crediamo", dice Moratti. "Ma non escludo che potremo differenziare la corresponsione in base alle diverse situazioni economiche". Pubblico e privato. Non e’ vero, pero’, come hanno dichiarato esponenti dell'opposizione, che il bonus sia stato il primo atto concreto del ministero. Il primo atto del ministro, sottolineano i suoi collaboratori, e’ stato invece la firma del contratto con gli insegnanti, che ha portato loro un aumento medio di 150 euro. A dimostrazione che Moratti ha ben chiara la posizione nettamente dominante della scuola pubblica, alla quale va il 93 per cento degli investimenti previsti. E per la quale e’ necessario incrementare le risorse. Finora il ministro-manager ha ritenuto che la priorita’ fosse riqualificare la spesa che non era, in complesso, granche’ diversa dai livelli europei (lontanissima solo per l'universita’) ma prevedeva troppi insegnanti sottopagati e pochi investimenti tecnologici. Al ministero sostengono che anche qui c'era un buco, come quello evocato in televisione dal responsabile dell'Economia Tremonti, nato dalla "statizzazione" di settantamila bidelli e dall'inserimento in ruolo di 40mila docenti. Ed evocano diciottomila insegnanti pagati per non insegnare, magari perche’ la loro materia era dattilografia e tale rimaneva anche dopo la sua pratica scomparsa. Si sa che ogni uomo (o donna) di governo ritiene, spesso in buona fede, di fissare al suo arrivo il punto di partenza per nuove magnifiche stagioni. Ma e’ indubbio che la Moratti, quale che sia il giudizio sulla sua riforma, ha fatto un gran lavoro preparatorio: quello che nell'industria privata si chiama "risanamento". Il vero cambiamento, dalla formazione degli insegnanti alle tanto strombazzate moltiplicazioni delle "i" (inglese e computer), e’ pero’ tutto, o quasi, di la’ da venire. Il ministro insiste molto sulla necessita’ di una nuova fase, e nuova fase vuol dire soldi, molti soldi. Altrimenti non avrebbe senso restare. E' un classico della politica italiana minacciare le dimissioni e non darle mai. Ma Moratti, "milady" o la "lady di ferro" come la chiamano nei corridoi e sui giornali, e’ un personaggio un po' particolare: non prende l'indennita’ di ministro, usa il suo aereo personale e non i reattori governativi e quando dice "basta", e’ davvero basta. Anni fa, dopo la presidenza Rai, lavoro’ con Rupert Murdoch. Ci furono dei problemi e lei mando’ un biglietto: "Tank you very much, Rupert. It's over". E se ne ando’. Sono probabilmente molti gli insegnanti che si augurerebbero lo facesse anche oggi. E sono forse altrettanti quelli che temono che l'attuazione della parita’ tra scuole pubbliche e private scateni processi di concorrenza pericolosi. Ma e’ difficile negare che il ministro ha ragione quando sostiene che il recupero di competitivita’ dell'Italia passa attraverso il recupero di competitivita’ della scuola nel suo complesso. I tempi scelti per singoli passi, tanta fretta sul bonus per esempio, possono essere discutibili o addirittura sbagliati. Tuttavia al vantato pragmatismo occorre rispondere con concretezza. Mentre molte delle critiche che Moratti ha raccolto sembrano provenire dal profondo del passato, dai recessi dell'ideologia. ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 4 Sett.03 «FINANZIARE LA RICERCA RICHIEDE RISORSE INGENTI» Farmindustria II presidente Nazzari ROMA a «Un accordo di importanza straordinaria, apparentemente irrealizzabile, che e’ stato raggiunto grazie all'atteggiamento responsabile dell'industria farmaceutica mondiale: questo nuovo equilibrio dovrebbe soddisfare tutti». E stato questo il commento a caldo del presidente Farmindustria, Federico Nazzari, a poche ore dall'accordo raggiunto ieri a Ginevra sulle importazioni di farmaci generici verso i Paesi in via di sviluppo. Soddisfatto «per il gesto di responsabile solidarieta’ compiuto nei confronti di pazienti dei Paesi piu’ poveri», Nazzari ha anche difeso fino in fondo le ragioni delle lunghe trattative che hanno preceduto l'accordo c i termini in cui esso e’ stato realizzato. «Non vedo cosa ci sia da polemizzare», ha osservato infatti replicando a distanza alle riserve avanzate dalle Ong. «Sono stati semplicemente adottati tutti gli accorgimenti necessari a evitare che questi farmaci anziche’ raggiungere le popolazioni alle quali sono destinati vengano reimmessi nei cicli commerciali internazionali da qualche commerciante che vuole specularci sopra». Viceversa t'accordo realizzato ha spiegato il presidente Farmindustria non dovrebbe provocare turbative di sorta sui mercati internazionali: «Quei farmaci andranno a pazienti che altrimenti non sarebbero in grado di acquistare alcuna cura».La solidarieta’ spuntata a Ginevra, insomma, non smuove di un millimetro la necessita’ di tutelare i risultati della ricerca realizzata dalle imprese farmaceutiche «Il brevetto non e’ una religione o un tabu’ ha ribadito il presidente Farmindustria e’ lo strumento che serve a finanziare la ricerca in una realta’ in cui servono 1012 anni e circa un miliardo di dollari di investimento per arrivare a mettere sul mercato un nuovo farmaco». Il gioco, insomma deve valere la candela perche’ «se la ricerca non e’ conveniente per il privato che la vuole fare rischia che poi non la fa nessuno». Il messaggio e’ chiaro: «La logica brevettuale internazionale non si tocca», dice Nazzari. E pur apprezzando il ringraziamento rivolto ai produttori italiani e europei dal viceministro alle Attivita’ produttive, Adolfo Urso («Hanno svolto una parte attiva nei confronti delle imprese americane detentrici dei brevetti»), Nazzari e’stato attento a precisare che «il mondo farmaceutico non puo’ essere diviso in buoni e cattivi». «E’ ovvio che chi ha piu’ risorse impegnate in ricerca e piu’ farmaci innovativi suoi fatica di piu’ ad accettare la logica della licenza obbligatoria», ha spiegato il presidente Farmindustria. Inevitabile che il pensiero corra ai contrasti ancora sui farmaci generici che accompagneranno la ripresa dei lavori al tavolo Salute Economia Regioni in vista della manovra farmaceutica per i12004 (vedi box). «Riparlare di tagli ai certificati di protezione complementari dopo l'intervento della Finanziaria dello scorso anno significherebbe scoraggiare chiunque dal fare ricerca in Italia». E un avvertimento che le aziende avevano gia’ lanciato prima della pausa estiva, sapendo di poter contare anche sull'appoggio del ministro della Salute, Girolamo Sirchia, gia’ schieratosi contro la misura proposta dalle Regioni e sostanzialmente appoggiata dall'Economia. «Abbiamo gia’ dato la nostra disponibilita’ a sostenere qualche sacrificio ha concluso Nazzari a esempio partecipando al ripiano di eventuali sfondamenti di spesa rispetto al budget previsto. Mi sembra gia’ un grosso impegno da parte delle aziende. Le imprese non tollereranno altri interventi drastici e unilaterali su prezzi e brevetti». SARA TODARO ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 37 Ago 03 POETTO: CONSULENTI UNIVERSITARI PAGATI PER UN DISASTRO Poetto. Stravolgere il progetto di ripascimento e’ costato quasi un milione di euro Il ‘si’’ dell’Universita’ al prelievo di sabbia marina CAGLIARI. Per realizzare il progetto strada-ripascimento nell’area del Poetto l’amministrazione provinciale ha speso quasi 900 mila euro solo in direzione lavori, monitoraggio, consulenze e incarichi vari. Significa che quasi il dieci per cento dell’importo stabilito e poi piu’ volte rivisto nel corso dei lavori e’ finito nelle tasche di chi avrebbe dovuto controllare la qualita’ e le conseguenze dell’intervento. Secondo Aimone Costa - il coautore del progetto commissionato alla Mss e poi sostanzialmente stravolto dall’amministazione provinciale guidata da Sandro Balletto - l’elaborato originario e’ costato appena 50-60 mila euro. Il costo per renderlo esecutivo e per modificarne alcune parti essenziali, come l’opzione sulla provenienza della sabbia, e’ stato quindi circa sedici volte piu’ elevato. Impegnati a dare indicazioni all’assessore ai lavori pubblici Renzo Zirone sono scesi in campo autorevoli ricercatori dell’Universita’, che hanno pienamente avallato la scelta della sabbia di mare. Allineati al diktat del Comune e a quello dell’amministrazione Balletto i professori chiamati a collaborare al progetto si sono allargati fino a bocciare categoricamente l’ipotesi della sabbia di cava. "E’ buona solo per l’edilizia" disse Antonio Ulzega, coordinatore del Circam) assumendosi una responsabilita’ pesantissima. Sara’ l’inchiesta giudiziaria condotta dai sostituti procuratori Guido Pani e Daniele Caria ad accertare se sono stati commessi reati o negligenze tali da rendere necessari provvedimenti penali. Quella che appare oggi - alla seconda stagione balneare dopo il ripascimento - e’ una situazione inaccettabile, soprattutto alla luce delle forze scientifiche schierate in campo dalla Provincia. E’ difficile orientarsi nell’incrocio di competenze e nell’incredibile groviglio di leggerezze che hanno segnato il cammino di questo malaugurato intervento su un bene di assoluto valore abientale e storico come il Poetto. Alcuni dati pero’ sono certi e sono stati confermati nell’intervista pubblicata ieri dalla Nuova Sardegna con il comandante Costa, ‘padre’ del progetto originario e profondo conoscitore della biologia e delle dinamiche marine. E’ utile ricordare ancora una volta qualche dato. Prima di tutto la sabbia. L’indicazione dei progettisti era per la sabbia di cava e le cave - su richiesta della Protezione civile - erano state indicate con precisione dall’allora assessore ai lavori pubblici Giacomo Guadagnini. Si trovano tra Quartu e Maracalagonis, gia’ ad un esame sommario la sabbia di quei siti appare molto simile a quella ‘vecchia’ del Poetto. Nonostante la Provincia avesse prodotto studi petrografici comparativi condotti da autorevoli accademici che confermavano la validita’ della scelta, il comune di Cagliari - giunta Delogu - stabili’ come condizione finale per la firma dell’accordo di programma sul Poetto che nel capitolato d’appalto venisse inserita l’opzione alternativa della sabbia di mare. La Provincia, nella gestione Balletto, si allineo’ prontamente. Risultato: l’impresa Ati Mantovani colse la palla al balzo. Prelevare la sabbia dal fondale marino costava meno e avrebbe garantito tempi di realizzazione dei lavori molto piu’ rapidi. Infatti lo ‘sversamento’ del materiale duro’ appena sedici giorni anziche’ i due anni previsti dal progetto di Costa. E’ incredibile - anche valutando a distanza di quattordici mesi - quanto accadde dopo: alcuni fra gli stessi ricercatori coinvolti nell’esecuzione e nel controllo dei lavori (e profumatamente pagati dalla Provincia) s’affrettarono ad assicurare che la spiaggia diventata grigio topo sarebbe schiarita in pochi mesi, poi in un anno, infine in qualche anno. Zirone non pote’ che prendere per buone le indicazioni degli universitari. Alcuni di essi prima di sparire nel nulla firmarono un depliant diffuso dalla Provincia - e curato da un consulente costato 25 mila euro - dove le ‘promesse’ venivano ribadite. Come sono andate le cose e’ sotto gli occhi di tutti. Ma ricordiamo dunque chi sono gli esperti che hanno collaborato con la Provincia, con l’importo economico della loro collaborazione: lo specialista in ingegneria costiera Leopoldo Franco (67.139 euro) e il geosedimentologo Paolo Colantoni (36.151) nel gruppo direzione lavori per la spiaggia. Il gruppo di monitoraggio era composto da Giovanni Serra, Luigi Aschieri, Andrea Atzeni e Paolo Orru’, compensati con 25.822 euro a testa. Poi c’e’ il gruppo operativo, dove compaiono i geologi Luciano Puddu (12.394 euro) e Claudia Pasquini (17.559), poi Stefano Boi (20.141), Mariano Pintus (12.394) e Simona Lombardini (12.394). Ancora: il Circam di Antonio Ulzega (100.000 euro), la Modimar srl (43.380), la Compucart (113.000). La Telecom Italia per installare e poi spostare una boa ondametrica i cui dati sono stati analizzati dalla Modimar ha incassato 143.000 euro. Questa autorevole e costosa equipe di esperti - cui ne vanno aggiunti altri, insieme a societa’ varie, i livelli di responsabilita’ sono naturalmente diversi - non ha sostanzialmente mosso un dito mentre la draga Antigoon sommergeva di detriti (e di qualche residuato bellico) la spiaggia del Poetto. Non solo: una volta concluso il disastro, nessuno fra gli specialisti che abbia voluto ammettere l’errore. Tutto perfetto, tutto in regola. Compresi i conti in banca. (m.l) ================================================================== ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 Sett.03 NIENTE SOLDI DALLA REGIONE: BLOCCATE LE DISCIPLINE SANITARIE Divisi tra tre sedi molto lontane una dall’altra con servizi ai poli opposti della citta’ A macchia di leopardo cresce l’ateneo dei disagi In attesa del campus, l’universita’ nuorese perde un corso di laurea e vede crescere i disagi. Quest’anno, infatti, gli atenei sardi hanno deciso, come forma di protesta contro la Regione, di non dare il via libera ai corsi di laurea breve per le discipline professionali sanitarie. Il risultato, per Nuoro, e’ che non ci saranno aspiranti assistenti sociali iscritti nell’ateneo nuorese, cosi’ come accadra’ a Cagliari e Sassari. La ragione e’ facile da immaginare: la mancanza di fondi. La Regione (assessorato della sanita’) non ha garantito agli atenei i soldi necessari per finanziare i corsi che abilitano alle professioni sanitarie e cosi’ aspiranti tecnici di laboratorio, infermieri e assistenti sociali dovranno attendere un anno per potersi iscrivere all’universita’. Tre sediL’universita’ in citta’ esiste da circa dieci anni, ma ancora le facolta’ sono divise in piu’ sedi. E’ proprio questo il disagio maggiore di cui soffrono gli oltre mille studenti iscritti in citta’. Gli edifici di Sa Terra Mala e Cartaloi, che ospitano i corsi di Scienze ambientali, Scienze forestali e Protezione della fauna, sono in periferia, mentre nella centralissima sede di via Salaris trovano spazio le segreterie studentesche, gli uffici dell’Ersu di Sassari, e Scienze dell’amministrazione, facolta’ gemmata dall’Universita’ di Cagliari. Gli studenti di Scienze ambientali e forestali, tuttavia, sono costretti a lunghi esodi: «Per qualsiasi cosa, dal ritiro dei buoni mensa, alla presentazione dei documenti per la richiesta delle borse di studio, dobbiamo presentarci negli uffici Ersu», spiega Mario Manca, che fa parte del Consiglio degli studenti e anche del Consiglio di facolta’, «purtroppo pero’ i funzionari dell’ente regionale aprono gli uffici solo tre volte alla settimana e spesso in orari nei quali noi studenti siamo a lezione». Da qui la richiesta di garantire per piu’ di tre giorni alla settimana l’apertura degli uffici, «utilizzati da noi anche per fotocopie e altri servizi», spiega Mario Manca. In questo modo, si eviterebbe agli studenti qualche disagio di troppo, dal momento che ora sono costretti a muoversi da una parte all’altra della citta’ per poter utilizzare la mensa (in via Olbia), recarsi nelle segreterie (in via Salaris), andare a lezione (a Sa Terra Mala) o nei laboratori di ricerca (a Cartaloi). Un aspetto che, in qualche modo, relega gli studenti nuoresi ai margini della vita cittadina. Solo con un vero e proprio campus, Nuoro potra’ sentirsi veramente una citta’ universitaria. Ricerca e laboratoriI laboratori di ricerca, concentrati nella sede di Cartaloi, sono il vero cruccio del Consorzio universitario nuorese. Sono pochi i ricercatori che hanno accettato di operare in citta’, piuttosto che prendere la via di Sassari o Cagliari. Una scelta difficile per la carenza di laboratori adeguati e per l’assenza, fino a questo momento, di certezze sull’apertura del triennio specialistico dei due corsi di laurea di Scienze ambientali e Scienze forestali. Eppure, l’amministrazione provinciale, cosi’ come altri enti pubblici, ha finanziato numerosi progetti di ricerca che pero’ non sempre si svolgono per intero in citta’. In sostanza, nonostante si insista con il dire che universita’ e ricerca sono strettamente legate, spesso i fondi stanziati per Nuoro prendono la strada di Cagliari o Sassari. Perche’ studiare a Nuoro La risposta degli studenti e’ semplice: il rapporto numerico tra docenti e iscritti e’ veramente soddisfacente e «le relazioni che si instaurano in facolta’, soprattutto ora che anche la frequenza delle lezioni garantisce crediti agli studenti, aiutano durante il corso di studi», osserva Mario Manca. Insomma, iscriversi a Nuoro significa entrare a far parte di una grande famiglia. Inoltre, anche le universita’ straniere iniziano ad accorgersi dell’ateneo barbaricino, che cosi’ si stacca dal cordone ombelicale di Cagliari e Sassari. Come? Con la realizzazione di un master per specializzare trenta traduttori in lingua sarda (le iscrizioni si chiudono venerdi’), promosso dal Consorzio universitario insieme alla Provincia. Il corso, di 320 ore, sara’ tenuto da docenti dell’Universita’ di Barcellona, che rilascera’ anche l’attestato, a conclusione delle lezioni. Giuseppe Deiana ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 28 Ago.03 CAMICI BIANCHI: IL FENOMENO NUOVO E’ IL CARO-PARCELLE "Le associazioni dei consumatori dimostrino con quali criteri stabiliscono che siamo diventati piu’ cari" Il fenomeno nuovo e’ il caro-parcelle, dicono le associazioni dei consumatori in prima linea contro l'inflazione galoppante. "I liberi professionisti, soprattutto dentisti, ginecologi, ingegneri e geometri, hanno aumentato il prezzo delle loro prestazioni dal 25 al 40 per cento", accusano l'Adiconsum e la Coalizione dei consumatori. Gli ordini professionali smentiscono, con qualche eccezione. "E’ vero, c'e’ stato un aumento delle tariffe minime del 20 per cento", ammette Mondino Ibba, presidente provinciale dell'Ordine dei medici. "Ma non si tratta di rincari degli onorari minimi, che sono prefissati e sono rimasti uguali, ma dell'aumento delle materie prime innescato dal caro euro". A Pierpaolo Vargiu, leader regionale della Federazione, 13 mila medici nell'Isola, 5600 in provincia di Cagliari, non risulta: "Posto che non capisco sulla base di quali criteri l'Adiconsum sostenga che sono aumentati gli onorari, sono pronto a dimostrare che per ogni categoria di specialisti ci sono moltissimi colleghi che applicano il minimo stabilito. Quanto ai dentisti, da sempre nel mirino, faccio una semplice osservazione", dice Vargiu: "In Sardegna esiste un odontoiatra ogni 1200 abitanti e ogni anno dall'universita’ escono 30 laureati che si buttano sul mercato. Lei pensa che in questo contesto i colleghi siano cosi’ pazzi da aumentare i prezzi?" Sara’, ma in passato otturazioni semplici e pulizie dei denti a 80 euro si pagavano solo dai piu’ bravi, ora e’ la norma. Gli aumenti, lievi, ci sono stati ma sono stati progressivi negli anni - si difendono all'ordine. L'euro, dunque, non c'entra. Anche Pietro Floris, studio a Su Planu, precisa: "Non si puo’ parlare di una devitalizzazione cara in modo generico perche’ bisogna vedere quanti canali si puliscono. Insomma, dipende dalla complessita’ dell'intervento". Giorgio Vargiu, leader dell'Adiconsum, precisa meglio: "Gli utenti ci segnalano rincari rispetto ai preventivi, o rispetto a visite dello stesso tipo effettuate nell'anno precedenti. Noi verifichiamo, ma solo se abbiamo le pezze giustificative, cioe’ le fatture". Ecco il problema vero. L'Osservatorio permanente della terza eta’, un gruppo di studio internazionale riconosciuto dal ministero delle politiche sociali, ha dimostrato in un'indagine su 1500 famiglie che una prestazione medica su tre non viene fatturata. "Cento con la ricevuta, 150 con la ricevuta" e’ l'epilogo piu’ classico di una visita specialistica. E se all'ordine dei medici non risultano denunce, Franca Pretta Sagredin, presidente del Tribunale del malato, conferma, ma puntualizza: "Le uniche lamentele che riceviamo sul privato sono quelle di non conformita’ dei preventivi dei dentisti. Nel senso che quando vanno a pagare scoprono che il preventivo ricevuto a fine cura non comprendeva l'Iva. E se si chiede la fattura, l'onorario si gonfia". Ecco perche’ si denuncia poco: meglio risparmiare e star zitti. "Atteggiamento sbagliato", dice Vargiu. "Perche’ se una prestazione non vi soddisfa o sorgono complicazioni e volete denunciarlo, non potete farlo se non avete la fattura". Floris replica: "Chi sa denunci per il bene di tutti. La verita’ e’ che gli onorari sono bloccati da anni e i costi degli studi aumentano in continuazione, perche’ sulla sicurezza e sull'igiene siamo sempre piu’ tartassati, e dico giustamente". Quanto ai ginecologi, Altroconsumo certifica che le prestazioni sono rincarate del 9,5%. Smentito anche questo. E se la Coalizione dei consumatori insiste, le altre associazioni si dissociano: "Non ci risultano rincari", sostiene Giovanni Sedda, presidente regionale del Codacons. Idem per l'Unione dei consumatori: "L'inflazione c'e’, ma di medici. Aumentare le parcelle significherebbe perdere clienti", riferisce Romano Satolli. Insomma, non c'e’ un'accusa chiara e gli stessi consumatori sono divisi. L'unico punto fermo e’ il nero. Fabio Manca ___________________________________________________________ L’Unione 9 Ago 03 L’ADDIO POLEMICO DI GESSA: SONO COSTRETTO A DIMETTERMI Lo scienziato lascia la presidenza della societa’. "La politica danneggia la vera ricerca" Via da Neuroscienze: non mi e’ mai piaciuto avere un padrone "E’ vero, mi sono dimesso da Neuroscienze. Il mio ex allievo Luca Pani ha comprato le quote della societa’ diventando padrone e presidente. E non mi e’ mai piaciuto avere un padrone". In punta di piedi Gianluigi Gessa lascia la societa’ creata da Regione, universita’ di Cagliari e Centro nazionale per le ricerche: "Mi hanno dato un bidone, che ci posso fare?". Cerca di intravedere la morale, ammesso che ce ne sia una: "La politica dovrebbe restare fuori dai centri di ricerca. Non mette in pericolo le poltrone di presidenti o direttori: loro una soluzione la trovano sempre. Incide sulla selezione dei ricercatori che, se sono di rango, saranno felici di avere un maestro, ma non sopportano un capostazione per giunta precario". Lei e’ diventato presidente quando la Regione era governata dall’Ulivo. Si sente vittima dello spoils system? "Dopo le elezioni L’Unione sarda pubblico’ un articolo titolato "la poltrona di Gessa e’ in pericolo", vennero messi in crisi i nostri progetti di ricerca. Qualche mese prima ricordo uno scambio di battute con Luca Pani. Gli dissi "dobbiamo liberarci dei padroni regionali: oggi ci sono i post comunisti, domani verranno i post fascisti". Mi rispose con sincerita’ "non si preoccupi, professore. Ci sara’ mio padre. E quella profezia si avvero’". Come pensavate di sottrarre la societa’ al controllo politico? "Avevo fatto avere al mio allievo il danaro sufficiente per acquistare buona parte delle quote societarie, soldi presi in prestito dalla "donazione Everett" che gestisco per conto dell’Universita’. In tre anni ha centrato l’obiettivo e restituito il prestito, ma poi ha deciso di non dividere con gli altri le quote. Era un suo diritto, ma avevamo concordato cose completamente diverse". Con quali soldi Pani ha restituito il prestito? "Piu’ che altro ha fatto da promoter ad industrie farmaceutiche con le quali Neuroscienze ed io in particolare collaboravamo". Perche’ ha tenuto per se’ il controllo della societa’? "Per merito del lavoro scientifico dei miei allievi e delle capacita’ manageriali e promozionali di Luca Pani, la societa’ negli ultimi anni ha triplicato il suo valore. Forse Luca, che ha il senso degli affari piu’ forte di tutti gli altri, ha valutato conveniente diventare il padrone di una creatura che vale miliardi di lire, in parte pubblici, investendo poco piu’ di 300 milioni che dovevano servire per liberarci da qualunque condizionamento. Dal suo punto di vista non aveva tutti i torti, un colpo cosi’ non sarebbe riuscito a nessun imprenditore". Quanto vale Neuroscienze? "La mia presidenza ha portato 13 miliardi e mezzo, sempre lire, di finanziamenti, cioe’ l’80 per cento del totale". Pentito? "No. Mi sento ferito, questo si’. Avevo chiesto di riportare dentro l’universita’ i famosi "ratti sardi bevitori". Mi sembrava ovvio, visto che erano stati ideati, sviluppati e resi celebri nella comunita’ scientifica da me e dai miei allievi. Un funzionario del Consorzio 21 disse: "Se ci togliete i ratti, la societa’ fallira’". Non si preoccupava degli uomini che li avevano sviluppati per 60 generazioni con un lavoro di 25 anni e, contemporaneamente, dimostrava la sua totale sfiducia nel mio successore. Ma la rozzezza intellettuale e psicologica di quel funzionario non mi ha sorpreso quanto la sua ignoranza davanti ad una delibera del Consorzio 21 che e’ parte integrante dell’atto costitutivo della societa’ che dice: Il centro si fonda sulla competenza e la notorieta’ del professor Gian Luigi Gessa per gli studi sui comportamenti che generano dipendenze e sui disturbi sessuali e dell’umore. Chi ha vinto la guerra dei ratti? "Il rettore ha dovuto spendere non solo tutta la sua autorevolezza, diplomazia e moral suasion, ma anche 25 mila euro perche’ i ratti rientrassero all’universita’". Ha commesso errori? "Con Pani sono stato un po’ leggero, almeno quando l'ho fatto nominare direttore del Centro per la Neurofarmacologia del Cnr". Senza di lei la societa’ avra’ un futuro?"Chi vuol fare ricerca deve avere idee originali che portino ricadute concrete. Bisognera’ preoccuparsi se tenteranno di trasformare Neuroscienze in fondazione: sara’ il segnale che ha bisogno di un salvagente. All’interno e’ gia’ esplosa la guerra contro gli "infedeli" che non hanno giurato fedelta’ al nuovo capo e l’accento si puo’ mettere dove si vuole". Paolo Paolini L’ex allievo "C’era bisogno di un’apertura mentale e di una dose di umilta’ che Gessa non ha" Da allievo a nemico. Il passo puo’ essere brevissimo e Luca Pani lo sa: "Macche’ padrone, Gessa si e’ fatto fuori da solo, se n’e’ andato perche’ non poteva controllare la societa’. Alcuni baroni vogliono tenere tutto e tutti sotto la loro mano e quando falliscono possono avere reazioni scomposte". Tra lui e Gessa non e’ piu’ questione di fioretto: "Non e’ fatto per mettersi in discussione. Aveva difficolta’ a capire che Neuroscienze non e’ un dipartimento universitario ma qualcosa di nuovo. C’era bisogno di un’apertura culturale e una buona dose di umilta’, cose che evidentemente lui non ha". Gessa l’accusa di aver tramato per diventare presidente. "I ricercatori, tutti insieme, decidono che strada seguire. Si fanno riunioni settimanali nelle quali stabiliamo cosa e come fare. Noi abbiamo il 50 per cento di Neuroscienze, l’altra meta’ e’ divisa tra il Consorzio 21, l’Universita’ e il Cnr. Perche’ sia chiaro: la societa’ non puo’ essere influenzata da alcuna baroni’a e tantomeno dalla politica". Ha mai fatto affidamento su eventuali spintarelle da parte di suo padre, assessore regionale all’Ambiente? "La mia famiglia e’ geneticamente refrattaria alle spintarelle. Sfido chiunque a dimostrare il contrario". Lui sostiene di averle affidato i soldi per affrancare la societa’ dalla politica e di essere stato ricambiato con una coltellata. "Falso. Voleva liberarsi di un socio che era anche direttore generale: troppo costoso. La societa’ era una scatola vuota, non aveva leadership ne’ strategie. Non vale miliardi ma idee, cultura e le persone che ci sono dentro. E non fallira’ nonostante l’assenza dei ratti, anche perche’ i ricercatori di valore sono rimasti nonostante le dimissioni di Gessa. Aggiungo che le previsioni di bilancio 2003 sono assolutamente rosee". Quando ha parlato con Gessa per l’ultima volta? "Fine dicembre. Ad aprile ha dato le dimissioni. La sua uscita e’ costata 89 mila euro che, sommati ai duecentomila percepiti durante il mandato, fanno una bella somma". Quali sono i progetti di Neuroscienze? "Vogliamo avere una garanzia del profitto dell’etica, cioe’ non ci interessa condividere capitali ma interessi in comune. Cnr, Consozio 21 e Universita’ hanno l’interesse a far decollare il parco scientifico con un impatto sull’economia della Sardegna. Stiamo puntando a questo sapendo che tutti sono necessari ma nessuno e’ indispensabile". ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Ago 03 NEUROSCIENZE: LICENZIATA LA SUPER RICERCATRICE A CAGLIARI Dopo anni di studio negli Usa Paola Castelli era tornata per lavorare con Gessa "E’ uscita dal laboratorio con 20 minuti di anticipo" Due lettere di richiamo, poi il licenziamento. Tutto in tre settimane. A Paola Castelli contestano (anche) di aver lasciato il laboratorio di Neuroscienze con venti minuti di anticipo sull'orario di lavoro. E qualcuno sostiene che siano solo gli strascichi dello scontro tra Gianluigi Gessa e Luca Pani. Di certo Paola Castelli e’ una ricercatrice con un curriculum impressionante: laurea in medicina e chirurgia a Cagliari, dottorato di ricerca e specializzazione in farmacologia, tre anni tra Filadelfia e Washington per conto del National Institute of Health, omologo americano del nostro Istituto nazionale di sanita’, poi cinque anni all'istituto Mario Negri Sud. Fama di gran lavoratrice, perdipiu’ stimata da Gessa. La sua lettera di licenziamento e’ firmata da Luca Pani, amministratore delegato e presidente della societa’ voluta da Regione, universita’ di Cagliari e Centro nazionale per le ricerche. E’ impossibile avere la versione del manager: per giorni il telefonino squilla a vuoto, in ufficio spiegano che e’ in ferie, la segreteria telefonica di casa non accetta piu’ messaggi. Irrintracciabile. "Sto facendo violenza su me stessa per raccontare questa brutta storia sul giornale, ma la foto no, non me lo potete chiedere". Perche’ e’ stata licenziata? "Ho ricevuto la prima di una serie di contestazioni il 5 maggio, esattamente cinque giorni dopo le dimissioni del professor Gessa da presidente. Ero sbalordita, mi accusavano di aver lasciato il laboratorio con venti minuti di anticipo. Non ho mai guardato l'orologio, lavorando spesso ben piu’ delle otto ore giornaliere previste, domeniche e festivi compresi. Ero una delle prime ad arrivare e andavo via con gli ultimi, sfido chiunque a sostenere il contrario". Quando e’ stata assunta? "Nel '98. In questi anni ho pubblicato numerosi lavori scientifici, per vederli basta andare su internet. Sono stata in missione per diversi mesi presso la grande multinazionale Janssen imparando tecniche neurobiochimiche importanti per scoprire psicofarmaci e know how che valgono tempo e denaro". Dal '98 al 2003 ha avuto problemi disciplinari? "Nessuno durante tutta la mia vita professionale, almeno fino a maggio. A quanto pare in pochi giorni dottor Jekyll e’ diventato mister Hyde, e la cosa strana e’ che non mi sono accorta della trasformazione. Dal momento in cui Gessa si e’ dimesso la situazione e’ cambiata. Per esempio, non sono piu’ stata invitata a partecipare alle riunioni settimanali". Qualcun altro e’ andato via? "Giancarlo Colombo, i borsisti e alcuni impiegati". Chi ha obbligato il professor Gessa a dimettersi? "Non credo che sia stato costretto a farlo, la decisione e’ senz'altro sua. I motivi li ha spiegati in modo inequivocabile nell'intervista pubblicata qualche giorno fa sull'Unione Sarda". Cosa l'ha spinta a tornare in Sardegna? "La possibilita’ di lavorare all'universita’ con il team del professor Gessa. E non sono pentita". Quanto ha pesato la politica negli ultimi mesi di Neuroscienze? "Sono un ricercatore, volevo solo fare ricerca. Certo, non sono cosi’ ingenua da non capire che certe volte le scelte sono slegate dalla professionalita’ delle persone. Nei rapporti di lavoro e’ facile capire se c'e’ stima reciproca e io ho un difetto: non so fingere". Per quando e’ fissata l'udienza davanti al giudice del lavoro? "Ancora non c'e’ la data". Ha un lavoro? "Grazie alla generosita’ dei colleghi da giugno sono ospite del dipartimento di neuroscienze. Sono rimasta senza stipendio, e’ ovvio". Dopo questo terremoto Neuroscienze ha cambiato strategia? "Non sono aggiornata. So che nell'atto costitutivo c'e’ scritto che il centro si fonda sulla competenza e la notorieta’ del professor Gian Luigi Gessa per gli studi sui comportamenti che generano dipendenze e sui disturbi sessuali e dell'umore. Chi vivra’ vedra’". Paolo Paolini ___________________________________________________________ Repubblica 4 Sett.03 MILLE DOTTRINE, UN DOTTORE Convenzionale e no unite: ecco la medicina integrata Professionisti in grado di attingere il meglio da tutte le discipline. Gli Usa sono molto avanti. Ora in Italia… DI FRANCESCO BOTTACCIOLI * Recentemente, su Academic medicine, la rivista dell’Associazione delle facolta’ di medicina americane, un gruppo dell’Universita’ dell’Arizona, ha tracciato il bilancio dei primi anni di attivita’, formativa e clinica, nel campo della medicina integrata, realizzati alla facolta’ di medicina di Tucson. Ad oggi, l’universita’ americana ha licenziato un primo gruppo di medici esperti in medicina integrata, che ha subito un addestramento intensivo postlaurea, nonche’ un piu’ esteso gruppo di laureati in medicina che, all’interno del normale curriculum degli studi, ha potuto frequentare un corso di medicina integrata. Nel frattempo, e’ pienamente decollato il Consorzio per la medicina integrata che unisce le piu’ prestigiose facolta’ mediche statunitensi: Harvard, Columbia, Stanford, California (San Francisco), Albert Einstein College e altre. Ma cos’e’ la medicina integrata? La definizione proposta dagli autori del citato rapporto e’: "medicina orientata sulla salute, che mette in primo piano il rapporto medicopaziente e integra il meglio delle medicine non convenzionali con il meglio della medicina convenzionale". E’ quindi una medicina umanistica, preventiva, che fa leva sulle risorse della persona malata e propone piani diagnostici e terapeutici che integrano gli strumenti moderni della biomedicina con quelli antichi delle tradizioni orientali e occidentali che presentano una crescente verifica scientifica. In questo quadro, cambia il ruolo del medico che passa da liberatore dal male, deus exmachina, a partner, allenatore, motivatore, insegnante, guaritore. Per questo il curriculum di Tucson prevede insegnamenti sui fondamenti filosofici dei vari modelli medici conosciuti, nonche’ un addestramento intensivo su stili di vita, nutrizione, tecniche antistress, medicina mentecorpo, spiritualita’, oltreche’, naturalmente, fitoterapia, medicina tradizionale cinese e altre metodiche non convenzionali. Anche in Italia c’e’ qualche esperienza sul campo. Alla fine di giugno, si e’ concluso a Perugia il primo corso quadriennale in medicina avanzata e integrata organizzato dalla Scuola internazionale di medicina avanzata e integrata e di scienze della salute (Simaiss), a cui la Regione Umbria ha iscritto un gruppo di medici delle Asl di Perugia e Foligno. Il programma degli studi (scaricabile da www.simaiss.it) e’ imperniato su: Psiconeuroimmunologia e neuroscienze, come modello scientifico olistico; medicina tradizionale cinese, come modello antico olistico; nutrizione e stili di vita, fitoterapia occidentale e orientale, ginnastiche mediche orientali, agopuntura, tecniche antistress e meditative. Anche nel nostro paese abbiamo quindi un primo gruppo di medici di medicina integrata che verra’ utilizzato dalla Regione all’interno del progetto di istituzione di ambulatori di medicina integrata nel territorio umbro. Non si tratta quindi dell’aggiunta di un po’ di agopuntura o di omeopatia al modello medico vigente e ai servizi sanitari esistenti, ma di un avanzamento generale, sia sul piano scientifico sia su quello di una nuova offerta di salute. * Scuola di medicina integrata ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Ago 03 L'AGONIA DEL SAN GIOVANNI DI DIO I sindacati degli ospedalieri incontrano l'assessore CAGLIARI. Forse e’ stato uno choc salutare l'annuncio dato il 31 luglio scorso dalle due facolta’ di medicina sarde le quali, per l'anno accademico 2003-2004, non terranno corsi di laurea perche’ non c'e’ ancora il protocollo d'intesa quindi i fondi della Regione. La novita’ successiva e’ che ai primi di agosto l'assessore alla sanita’ Giorgio Oppi e’ riuscito a scuotere la distrazione del consiglio regionale immerso nella crisi e in queste settimane si e’ tenuta una riunione con i sindacati dei medici ospedalieri e, prima che agosto finisca, ci saranno altri incontri. "Siamo in grosse difficolta’" non riesce a minimizzare il preside della facolta’ di Medicina, Gavino Faa. Ne sa qualcosa il San Giovanni di Dio, presidio destinato sulla carta a essere uno dei tre poli della facolta’ riformata e, in questo momento, figlio di nessuno. Come e’ noto, nel manifesto degli studi delle due facolta’ mancavano i corsi triennali che pur tra mille difficolta’ venivano confermati ogni anno da quasi dieci anni. Significa che la Sardegna ha rinunciato a formare infermieri, ostetrici, tecnici di laboratorio, fisioterapisti ecc. "E' stata una decisione sofferta - ammette il preside Gavino Faa - siamo l'unica regione in Italia ad aver fatto una cosa del genere e questo nonostante si tratti di personale di cui c'e’ forte richiesta. L'osservatorio nazionale del ministero della salute per quest'anno aveva chiesto che in Sardegna venissero formate 160 figure professionali con i corsi triennali. Tra Cagliari e Sassari 160 giovani avrebbero potuto studiare per tre anni con la certezza di trovare lavoro il giorno dopo la fine della formazione. Non credo che ci possiamo permettere sprechi del genere. E invece abbiamo dovuto buttar via questa opportunita’". E' grande il rammarico di Faa: "Il 15 novembre dell'anno scorso ho preso servizio (come preside), a dicembre per la prima volta nella storia delle due facolta’ ci fu una riunione congiunta dove si disse che se non fosse stato elaborato al piu’ presto il protocollo d'intesa ci saremmo trovati nelle condizioni di queste settimane. Siamo l'unica regione italiana a non aver stipulato il protocollo d'intesa per l'azienda mista Regione- Universita’". E' stato detto molte volte, ma il preside di Medicina lo ripete perche’ si comprenda fino in fondo l'importanza di questo documento: "In sostanza, il protocollo e’ una carta che regola i finanziamenti da parte della Regione per la formazione delle figure professionali necessarie a mandare avanti il sistema sanitario locale. Per ogni trenta giovani formati si stabilisce quale debba essere il contributo regionale. Nella pratica significa sapere con certezza che c'e’ un impegno economico che si traduce in aule, laboratori, contratti per portare in Sardegna i docenti che qui non ci sono adesso. Finora si e’ andati avanti col volontariato. L'anno scorso a dicembre la scuola infermieri ancora non aveva cominciato le lezioni perche’ non si trovavano 50 mila euro per chiudere i contratti. La regione Campania - incalza il preside - per 30 ragazzi formati da’ 300 milioni alla facolta’: in tutta Italia questi corsi sono la ricchezza della facolta’ di Medicina. Ecco perche’ riteniamo estremamente importante quel che ha fatto l'assessore alla sanita’ Giorgio Oppi ai primi di agosto". In consiglio regionale ha chiesto e ottenuto la delega per stralciare l'argomento protocollo d'intesa per le facolta’ di Medicina dal progetto generale sul riordino della rete ospedaliera. Il progetto lo aveva presentato la stessa giunta regionale, mille volte e’ stato detto che non sembrava opportuno agganciare a questo delicato problema l'istituzione dell'azienda mista Regione-Universita’, ma il preside sottolinea "che bisogna dare atto a Oppi di aver preso in mano la situazione per arrivare al piu’ presto al protocollo". Gli ostacoli ancora da superare non sono pochi: c'e’ infatti l'irrisolta questione dei rapporti professionali, economici e gerarchici tutti da stabilire tra i medici universitari e quelli ospedalieri. E infatti la prima riunione convocata da Oppi e’ stata proprio quella con i sindacati degli ospedalieri. Mentre gli universitari hanno gia’ elaborato un documento con il "sogno universitario" a proposito della nuova azienda, fra i medici soltanto il sindacato Anaao e’ intervenuto. Ma c'e’ da credere che anche gli ospedalieri vogliano recuperare il tempo perduto, non hanno nulla da guadagnare da un ulteriore ritardo. Ne sanno qualcosa i medici del San Giovanni di Dio dove in alcuni reparti sono esplose le difficolta’ di rapporto con gli universitari mentre la Usl considera sempre meno necessari gli interventi in un ospedale che presto passera’ ad altra gestione. Alessandra Sallemi ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 Ago 03 CELLULE: INVECCHIAMENTO REVERSIBILE Importante scoperta di un ricercatore dell’ateneo sassarese Francesco Galimi collabora anche con un’equipe Usa SASSARI. Una scoperta tra Sassari e l’America: l’invecchiamento delle cellule e’ reversibile ed e’ stata realizzata la prima mappa dei fattori che influenzano con il passare del tempo il progressivo deterioramento cellulare. Uno dei protagonisti della ricerca e’ il genetista Francesco Galimi, che lavora tra il dipartimento di Scienze biomediche dell’universita’ di Sassari e l’istituto californiano Salk. "Un risultato che si colloca nell’ottimo livello di ricerca della nostra facolta’", dice alla "Nuova" il preside di Medicina Giulio Rosati. Il professor Rosati annuncia che entro breve organizzera’ una conferenza di produzione sulla ricerca: "La facolta’ di Medicina di Sassari da recenti indagini viene collocate tra le quattro italiane con la piu’ alta produttivita’ in questo settore". E a questo proposito ricorda tra l’altro i risultati raggiunti recentemente da Carlo Ventura - anch’egli nell’equipe sassarese di biomedicina - sulle cellule staminali nella cura dell’infarto del miocardio. L’invecchiamento delle cellule non sarebbe quindi un processo inesorabile, secondo i ricercatori statunitensi e italiani, convinti che sia possibile farlo regredire. Le applicazioni della scoperta sono ancora molto lontane ma, piu’ che per un ipotetico elisir di lunga vita, le conseguenze potrebbero essere importanti per la comprensione dei meccanismi che scatenano i tumori. "E’ un primo risultato incoraggiante, ma da considerare con molta prudenza perche’ si tratta di una ricerca di base, condotta su cellule in coltura", dice il professor Galimi. La ricerca e’ pubblicata sull’Embo Journal, la rivista dell’Organizzazione europea di biologia molecolare, ed e’ stata coordinata dal Lawrence Berkeley National Laboratory. I ricercatori hanno cominciato a studiare ad uno ad uno i meccanismi che ne determinano l’invecchiamento cellulare. L’attenzione si e’ concentrata sull’erosione delle strutture all’estremita’ dei cromosomi, i "telomeri", che si accorciano quando la cellula si replica: finche’ la cellula comincia ad invecchiare. L’enzima che rende possibile il funzionamento di questi orologi biologici si chiama "telomerasi", e puo’ essere dosato artificialmente per allungare i telomeri consumati. "Ma i telomeri - osserva Galimi - sono soltanto uno dei fattori dell’invecchiamento delle cellule. Abbiamo dimostrato che per arrestare l’invecchiamento delle cellule non basta allungare queste strutture". Cosi’ i ricercatori sono andati in cerca di tutti i fattori capaci di influenzare la durata della vita delle cellule. "Considerati ad uno ad uno, tutti i meccanismi che abbiamo esaminato erano noti. Quello che stiamo facendo e’ considerarli tutti insieme, comprendendo in che modo si intrecciano e come interagiscono fra loro", spiega il genetista. Quella che e’ stata ottenuta e’ stata cosi’ la prima mappa dei registi dell’invecchiamento delle cellule. Una prima immagine che nei prossimi anni bisognera’ mettere a fuoco, ma che fin da ora offre un’idea di come potrebbe funzionare la centrale di controllo dalla quale dipende la longevita’ delle cellule. Il primo tentativo di controllarla, attivando e disattivando i numerosi fattori che la compongono, ha messo in evidenza il ruolo delle proteine p53 e p16, note da tempo per il ruolo che giocano nella comparsa dei tumori. Entrambe, hanno dimostrato i ricercatori, riescono a bloccare il processo di invecchiamento cellulare. ___________________________________________________________ Il Corriere della Sera 6 set. ’03 TRACHEE RICOSTRUITE CON COLTURE DI CELLULE Nuova tecnica per sostituire il trapianto Cura messa a punto da medico italiano ad Hannover Potra’ risanare l' organo colpito da tumore De Bac Margherita MILANO - Nell' era dell' uomo bionico, meccanico, ricostruito, un organo sta mettendo a dura prova l' abilita’ dei trapiantologi. La trachea, quel tubo lungo circa 15 centimetri che dalle corde vocali raggiunge l' imboccatura dei polmoni. Difficile da sostituire o ricucire, fatta di anelli sottili che a volte (per fortuna si tratta di patologie poco frequenti) sono attaccati da tumori o, nel caso di bambini, malformazioni congenite. Ieri all' universita’ di Hannover e’ stata annunciata un' operazione innovativa. Una piccola porzione di tessuto biologico, cresciuto in coltura da cellule prelevate dallo stesso paziente, e’ stata utilizzata per ricostruire la trachea di un uomo colpito da tumore. Autore dell' intervento un italiano, Paolo Macchiarini, 45 anni, primario del dipartimento di chirurgia toracica vascolare della citta’ tedesca. Un «cervello in fuga», si definisce il medico, non senza tradire un certo livore nei confronti della patria. Anni fa lascio’ infatti il poco amichevole, almeno nei suoi confronti, ambiente accademico pisano per cercare lidi piu’ accoglienti negli Stati Uniti e poi in Germania. Si e’ sempre occupato di trachea, Macchiarini, avrebbe potuto realizzare da noi la prima volta di Hannover. «Abbiamo prelevato alcune cellule del malato per coltivarle su un supporto di intestino di maiale - spiega il chirurgo -. Nel giro di due anni speriamo di riuscire a sostituire e rivascolizzare l' intera trachea, una soluzione che sara’ fondamentale per i bambini che nascono con difetti dell' organo. Per ora l' esperimento ha funzionato negli animali». Il problema del rigetto del piccolo tassello e’ stato superando umanizzando il supporto di maiale. Con le tecniche tradizionali, la trachea viene tolta e suturata fino ad un massimo del 50% della sua lunghezza. Il successo del collega italiano viene apprezzato dai chirurghi italiani: «Oggi quest' organo ci pone diversi problemi, non ci sono tecniche apprezzabili, Macchiarini ha aperto una strada che potrebbe offrire la formula giusta», commenta Massimo Martelli, chirurgia toracica del Forlanini a Roma. Erino Rendina, primario di chirurgia toracica della seconda facolta’ di medicina all' universita’ la Sapienza, ricorda che tutte le tecniche alternative proposte finora sono fallite e sono state abbandonate: «E’ un passo in avanti importante verso la sostituzione dell' intero tubo. Si tratta pero’ di operazioni rare. Ne hanno bisogno un adulto su un milione, il rapporto con la necessita’ di trapianti di cuore e’ di uno a mille». M.D.B. ___________________________________________________________ Repubblica 4 Sett.03 SOLO TRENTA SU CENTO RICEVONO L’ORGANO DI CUI HANNO BISOGNO I medicinali usati oggi sono efficaci ma hanno effetti collaterali importanti, come diabete, ipertensione, tumori e problemi neurologici Superati ormai i problemi tecnici e chirurgici, la medicina dei trapianti si trova oggi ad affrontare due diversi tipi di ostacoli: la carenza di organi e la terapia antirigetto. E’ bene ricordare che solo il 30 per cento di chi ne avrebbe bisogno riesce effettivamente ad arrivare al trapianto e, tuttavia, i piu’ fortunati che ricevono un organo nuovo si scontrano con le difficolta’ legate alla terapia antirigetto che ogni paziente deve seguire per tutta la vita. I farmaci utilizzati oggi per combattere la reazione di rigetto dell’organismo umano verso un organo estraneo sono molto efficaci ma hanno degli effetti collaterali importanti e possono causare, sul lungo periodo, problemi anche gravi all’organismo dei pazienti trapiantati come diabete, ipertensione, ipercolesterolemia ma anche tumori o problemi neurologici. I farmaci "storici" che hanno determinato il successo dei trapianti d’organo sono gli steroidi (introdotti gia’ alla fine degli anni ’50), la ciclosporina, scoperta e utilizzata per la prima volta in Gran Bretagna, all’universita’ di Cambridge, alla fine degli anni ‘70 ed il tacrolimus, studiato dal gruppo di Thomas Starzl a Pittsburgh negli anni ’90. Oggi sono disponibili anche altri tipi di farmaci, come il micofenolato, la rapamicina, gli anticorpi monoclonali, ed altri ancora che vengono utilizzati in diverse combinazioni tutte disegnate con l’obiettivo di diminuire i dosaggi e di conseguenza la tossicita’. Gli aspetti immunologici sono i piu’ difficili da affrontare e su questi si concentrano gli studi di medici e ricercatori. Un paziente sottoposto a trapianto di fegato assume mediamente 56 dosi di farmaci al giorno per essere protetto dal rigetto, dalle infezioni e da altre complicanze come l’acidita’ gastrica o l’ipercolesterolemia. Non sono trascurabili nemmeno gli aspetti economici legati ai farmaci antirigetto, basti pensare che il costo della sola terapia a base di tacrolimus supera i 22.000 euro l’anno (in Italia totalmente coperti dal Servizio Sanitario). (i. m.) ___________________________________________________________ Le Scienze 6 Sett.03 L’OLANDA METTE LA CANNABIS IN FARMACIA Ospedali e medici potranno fornire marijuana terapeutica ai propri pazienti Dal primo settembre, i Paesi Bassi sono diventati il primo paese al mondo a rendere disponibile la cannabis in farmacia su prescrizione medica, per la cura di tumori, HIV e sclerosi multipla. Il ministro della salute olandese ha dichiarato che il farmaco sara’ a disposizione dei pazienti cronici, mentre ci sono pressioni di paesi come la Gran Bretagna, il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti per diminuire le restrizioni al suo uso come medicinale. I medici olandesi potranno cosi’ prescrivere la cannabis ai pazienti di cancro e HIV per la cura di dolore cronico, nausea e perdita di appetito, ai malati di sclerosi multipla per alleviare gli spasmi di dolore e a chi soffre di sindrome di Tourette per ridurre i disagi fisici e verbali. L’Olanda, dove la vendita della cannabis in locali selezionati era gia’ regolamentata dal governo, ha una storia ricca di riforme sociali pionieristiche. Si tratta anche del primo paese ad aver legalizzato l’eutanasia. A due aziende sono state concesse le licenze per coltivare in laboratorio varieta’ speciali di cannabis per la vendita al ministero della salute, che a sua volta provvedera’ al confezionamento e alla distribuzione nelle farmacie. Oltre alle farmacie, anche 80 ospedali e 400 medici potranno fornire cosi’ ai propri pazienti dosi da cinque grammi di marijuana medicinale SIMM18 per 44 euro al tubetto, e la piu’ potente Bedrocan per 50 euro. ___________________________________________________________ Le Scienze 4 Sett.03 CELLULE STAMINALI PER RIGENERARE I POLMONI Le cellule derivate dal sangue e dal midollo possono differenziarsi in molti tipi di tessuto Alcuni ricercatori hanno mostrato per la prima volta che il trapianto di cellule staminali adulte puo’ portare alla rigenerazione cellulare spontanea in tessuti di polmone danneggiati. Lo studio, pubblicato sul numero del primo agosto della rivista “American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine”, fornisce nuove conferme alle ricerche che indicano come le cellule staminali derivate dal sangue e dal midollo abbiano la capacita’ di differenziarsi in molti tipi diversi di tessuti umani. “Molti tessuti del corpo - spiega Benjamin Suratt, ricercatore del Vermont Lung Center e docente di medicina dell’Universita’ del Vermont - che una volta si ritenevano rigenerativi solo localmente possono, invece, essere rimpiazzati efficacemente da cellule staminali circolanti dopo il trapianto di cellule ematopoietiche, o che formano il sangue. Questa scoperta e’ degna di nota non solo per quello che ci dice sul meccanismo rigenerativo del polmone, ma anche per le vaste implicazioni terapeutiche per un gran numero di malattie polmonari”. Secondo Suratt, i risultati dello studio indicano che le cellule staminali circolanti si spostano nel tessuto dell’organo e riparano il danno, il che potrebbe avere un forte impatto sulle cure di malattie polmonari devastanti come l’enfisema o la fibrosi cistica. ___________________________________________________________ La stampa 3 Sett.03 POVERO MASCHIO, IL CROMOSOMA DELLA VIRILITA’ STA PER SCOMPARIRE INDICATO CON LA LETTERA Y, E’ L’UNICO CHE NON ESISTA IN DOPPIA COPIA E CIO’ LO RENDE PIU’ DELICATO: L’EVOLUZIONE PRIMA O POI LO ELIMINERA’ LO studio dei cromosomi sessuali dell'uomo, X e Y, ha fornito recentemente una serie di dati di grande interesse. Il dibattito riguarda soprattutto il cromosoma "maschile" Y, che alcuni hanno stimato addirittura in via di estinzione. Ma per quanto fondata possa essere questa ipotesi, non pare il caso di allarmarsi: la scomparsa infatti sara’ graduale, richiede alcuni milioni di anni e non e’ detto che sia irrimediabile... Ricordiamo anzitutto alcuni dati di fatto: gli esseri umani hanno 23 coppie di cromosomi, e ciascuna coppia consiste di due cromosomi uguali, con una eccezione, il cromosoma X, che nella femmina ha una propria copia mentre nel maschio al cromosoma X e’ appaiato uno strano e minuscolo cromosoma, chiamato Y, che peraltro contiene geni specifici per il sesso maschile; in particolare un gene chiamato SRY ("Sex Region Y"), scoperto da pochi anni, e’ considerato un gene "grilletto", in quanto capace di far scattare il processo di determinazione del sesso. Non e’ stato sempre cosi’ nel regno animale e non lo e’ tuttora: soltanto da 200 milioni di anni due cromosomi normali (autosomi) si sono evoluti nell'X e nell'Y, con una divergenza che si e’ fatta via via piu’ marcata. Non e’ inoltre cosi’ in nella maggior parte del regno animale: ad esempio gli uccelli hanno cromosomi sessuali diversi, mentre i rettili non ne hanno affatto e la determinazione del sesso avviene con meccanismi differenti. Anche nei mammiferi, sappiamo che nei monotremi e’ presente il cromosoma Y ma manca il gene SRY. La spiegazione sembra consistere anche qui in una divergenza, avvenuta milioni di anni fa, fra animali che hanno acquisito il gene SRY, come la gran parte dei mammiferi, ed altri che hanno ritenuto altri geni nell'Y, capaci di attuare la determinazione del sesso. Inoltre alcuni minuscoli roditori simili alle talpe, come i microti (ad esempio l'Ellobius tancrei) non sembrano possedere cromosomi sessuali e hanno "rimediato" la differenziazione sessuale mediante nuovi geni situati su cromosomi diversi da X e Y. Sotto questo aspetto potrebbero essere considerati animali all'avanguardia, poiche’ hanno gia’ effettuato il cambiamento che si rendera’ indispensabile per tutti i mammiferi quando, come alcuni sostengono, il cromosoma Y scomparira’ completamente dal loro corredo. Ma come si difende il povero cromosoma Y, che, non avendo una controparte copiabile come gli altri cromosomi, si trova in difficolta’ ogni volta che si rende necessaria una "riparazione" e non puo’ attingere a una struttura corrispondente? I risultati della recentissima decifrazione delle sequenze del cromosoma Y hanno fornito una sorprendente conclusione: circa 6 milioni di "lettere" del suo DNA sono disposte in sequenze che si possono leggere in direzione opposta su entrambi i filamenti della doppia elica, sono cioe’ sequenze "palindromiche". Secondo i genetisti che hanno fatto la scoperta, questa disposizione permetterebbe di eliminare le mutazioni dannose, sostituendole con la copia ortodossa presente nella sequenza speculare. Quando nel corso dell'evoluzione divennero impossibili i processi di ricombinazione fra l'X e l'Y, si manifesto’ pertanto un meccanismo alternativo che impedi’ l'accumulo di mutazioni inattivanti e mantenne la sequenza dei geni rimasti sul cromosoma Y: tale sarebbe quindi la funzione della "sala degli specchi", come e’ stata chiamata questa struttura. Questo meccanismo di difesa tuttavia potrebbe essere insufficiente e secondo alcuni, non vi sarebbe scampo: il cromosoma Y rimane vulnerabile e, nel corso di parecchi milioni di anni, potrebbe anche sparire. Nel frattempo questo cromosoma si sta rivelando uno strumento validissimo per studiare le migrazioni dei nostri lontani antenati: l'esame delle sue variazioni ha confermato come la famiglia cui apparteniamo, "Homo sapiens", si sia formata in Africa e da li’ poi una popolazione abbia preso la strada dell'Europa e un'altra la direzione dell’Asia, arrivando fino all'Australia. Insomma, il piccolo cromosoma Y, oltre a determinare il sesso maschile, sta svolgendo un'utile funzione negli studi di genetica delle popolazioni. In attesa di sparire, non e’ poco. ___________________________________________________________ La stampa 5 Sett.03 IL DNA SOMIGLIA PIU’ A UN TUBO CHE A UNA COLLANA SCOPERTA DI RICERCATORI ITALIANI SPIEGA LE FORZE IN GIOCO NELL’INCAPSULAMENTO DEL GENOMA VIRALE NEI BATTERI MOLTE delle nozioni tradizionali sul comportamento fisico di biomolecole - proteine, DNA ed RNA - sono state rivoluzionate negli ultimi anni dalla nuova generazione di esperimenti "a singola molecola". Utilizzando queste tecniche d'avanguardia, il gruppo di Carlos Bustamante, a Berkeley, ha investigato come alcuni virus (in particolare il batteriofago phi29) riescano ad immagazzinare al loro interno il filamento di DNA con cui infettano i batteri. L'incapsulamento del genoma virale e’ prodotto da un potente motore molecolare (costituito da proteine) posto alla base del virus. Utilizzando delle "pinzette laser" gli sperimentatori hanno ripetutamente bloccato il motore e ne hanno quindi misurato la forza sviluppata che, su scala molecolare, e’ risultata enorme. Per avere un raffronto della pressione esistente all'interno del virus, basti pensare che, scalato alle nostre dimensioni, il processo di caricamento del DNA puo’ essere analogo a costringere un tubo lungo 20 chilometri e spesso 5 centimetri in una bidone cilindrico con 1 metro di raggio e alto 2 metri. La forza che il motore molecolare deve vincere per inserire tutto il DNA e’ paragonale a quella richiesta a un uomo per sollevare un Boeing 747. La pressione del genoma confinato viene poi liberata dal virus nel momento in cui, attaccandosi al batterio, vi inietta il DNA. L'elevato valore della forza e’ un risultato del tutto inatteso per i fisici e i biofisici teorici, che tradizionalmente semplificano la descrizione del DNA assimilandone la successione di basi ad un filo di perle resistente alla curvatura. A questa rigidita’ di curvatura, nonche’ all’autorepulsione elettrostatica del DNA, si imputava tutta la resistenza del DNA ad essere confinato nello spazio angusto delle capsule virali. Il raffronto con i dati sperimentali ha rivelato che tali fattori rendevano conto al massimo di un quarto del lavoro e della forza di compressione osservati sperimentalmente. La grossolana discrepanza segnalava che il modello teorico tradizionale dovesse essere migliorato. La ricerca dell'ingrediente mancante e’ stata recentemente intrapresa da due ricercatori italiani, Davide Marenduzzo dell'Universita’ di Oxford e Cristian Micheletti della SISSA di Trieste, entrambi membri dell'Istituto Nazionale di Fisica della Materia. Basandosi su una serie di studi gia’ realizzati nel campo delle proteine, essi hanno osservato che il modello del DNA a "filo sottile" non teneva adeguatamente conto dello spessore non trascurabile del DNA, che risulta molto piu’ grande (circa otto volte) della separazione delle basi nella doppia elica. Ipotizzando che quindi il DNA fosse meglio rappresentato come un "tubo spesso" anziche’ da una collana di perline, i ricercatori ne hanno caratterizzato le proprieta’ usando sia tecniche matematiche sia simulazioni al computer. I risultati hanno confermato l'attesa intuitiva che per "impacchettare" un tubo molto grosso e’ necessario uno sforzo superiore rispetto al caso della "collana di perle". Il risultato sorprendente, di imminente pubblicazione sulla rivista americana «Journal of Molecular Biology», e’ che questa forza ulteriore e’ cosi’ grande da rendere conto precisamente della forza residua osservata negli esperimenti e prima non spiegata teoricamente. ts. t.