I RETTORI SI DIMETTONO, INTERVIENE TREMONTI SCUOLA, CNR, FORMAZIONE: DOVE MANCANO I FONDI LA FINANZIARIA STROZZA ATENEI CRUI:LO STATO PAGHI NOI CONTROLLEREMO L’EFFICIENZA DEGLI ATENEI" RETTORI AL GOVERNO: "NIENTE SOLUZIONI A METÀ" MAXIEMENDAMENTO DA 200 MILIONI E I RETTORI RIPRENDONO L'ATTIVITÀ CRUI: L'OCCASIONE PERDUTA LAUREE IN IPOCRISIA (LE VERITA’ SCOMODE) I RETTORI VANNO IN PARLAMENTO MINISTERO CONTRO CNR: POCA ATTIVITÀ SCIENTIFICA «UNA MIOPIA TAGLIARE I FONDI ALL' UNIVERSITÀ» IL NOBEL GIACCONI: «LA SOLUZIONE? SEPARARE L' UNIVERSITÀ E LA RICERCA» UNIVERSITÀ IN FUMO CIAMPI: PIÙ RISORSE PER FERMARE LA FUGA DI GIOVANI SCIENZIATI DOTTORATO DI RICERCA E PHD GLI STRAZIA CERVELLI RICERCA: IN TESTA LA FINLANDIA, ITALIA IN CODA CNR: CARENZA NAZIONALE DELLE RICERCHE CONCORSI: UNA UNIVERSITÀ SENZA FUTURO MISTRETTA: È UNA SCENEGGIATA, ME NE VADO MA PER FINTA CGIL: « MISTRETTA FAI SENTIRE ANCHE LA TUA VOCE» «MISTRETTA PENSA SOLTANTO AGLI INTERESSI PERSONALI» BLITZ IN RETTORATO PER LE TASSE MISTRETTA: LA CLINICA ARESU OSPITERÀ IL CDA ALGHERO: LA RIVOLTA DELL’UNIVERSITÀ FANTASMA =========================================================== MEDICINA, DUE FACOLTÀ IN RIVOLTA CAGLIARI-SASSARI«PIÙ RAPPORTI TRA UNIVERSITÀ E AZIENDE SANITARIE» POLICLINICO, LA CAPPELLA DEDICATA A FRA’ NICOLA LOMBARDIA, TICKET SU MEDICINALI E PRONTO SOCCORSO LA CRISI DELLA SANITÀ SVUOTA LE CASSE DELLA REGIONE LOMBARDIA «A CAGLIARI IL CENTRO CONTRO LA TALASSEMIA» NASCE PROMETEO PER SOSTENERE I TRAPIANTI DI FEGATO LA MALARIA AL CONTRATTACCO NEL CUORE STAMINALI DI RISERVA LA PARALISI DEL CORPO NON FERMA IL CERVELLO UN «CHIP» NELLA RETINA POTRÀ RIDARE LA VISTA =========================================================== ________________________________________________________ Corriere della Sera 11 dic. ’02 I RETTORI SI DIMETTONO, INTERVIENE TREMONTI Gli Atenei chiedono più investimenti e restituiscono il mandato. Il governo decide oggi: provvederemo. Si apre uno spiraglio Fisichella al Senato: problema serio, forse qui non lo sapete perché non tutti siete laureati Salvia Lorenzo ROMA - Prima i rettori che sbattono la porta, tutti insieme: «Mancano i soldi, ce ne andiamo». Poi la promessa del ministero dell' Economia: «La Finanziaria è ancora in discussione. Provvederemo». Infine lo spiraglio che si apre: le dimissioni restano. Ma rientreranno se il Consiglio dei ministri di oggi trasformerà quell' impegno in un emendamento. Dopo mesi di tensione esplode la protesta delle università italiane. Situazione tesa anche nel mondo della scuola: Cgil, Cisl, Uil e Snals sono in stato di agitazione per il rinnovo del contratto. E hanno avviato le procedure per proclamare lo sciopero. DIMISSIONI - Ad annunciare le dimissioni di massa, una decisione senza precedenti, è Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori. Durissimo il documento approvato da 62 Atenei su 72: «C' è la chiara volontà di affossarci, la situazione è ingestibile». Il problema sono i soldi. E le richieste sono due. La prima riguarda la Finanziaria che stanzia 6.030 milioni di euro, contro i 6.209 dell' anno scorso. Per i rettori «bisogna almeno conservare la stessa somma. Altrimenti o si aumentano le tasse o le università non vivranno per più di due o tre anni». Tante le voci a rischio: dal riscaldamento alle borse di studio, dalla ricerca al la manutenzione. Tutti i servizi essenziali. La seconda richiesta tocca invece gli stipendi. L' aumento calcolato ogni anno dall' Istat finisce per pesare proprio sulle singole università, costrette così a tagliare altre spese. E le cifre in ballo no n sono da poco: nell' ultimo anno 200 milioni di euro, di cui circa 145 per i professori. Per questo serve una nuova legge che metta gli aumenti a carico dello Stato. TREMONTI - Passa poco più di un' ora e arriva la risposta di Giulio Tremonti. Prima una bacchettata: «L' intenzione dei rettori è una decisione intempestiva perché la Finanziaria non è stata ancora approvata». Poi una promessa: «In Senato sarà proposto un adeguato stanziamento a favore dell' Università». Interviene anche Palazzo Ch igi. Un comunicato breve, ma ottimista: «Il ministero dell' Economia ha già risolto il problema, le dimissioni rientreranno». La questione sarà affrontata oggi. L' aumento dei fondi (almeno i 6.209 milioni dell' anno scorso) dovrebbe trovare posto ne l maxiemendamento per la Finanziaria all' esame del Consiglio dei ministri. Ma il governo dovrebbe impegnarsi anche a risolvere una volta per tutte la questione degli stipendi. Con un nuovo disegno di legge. ATTESA - I rettori incassano la promessa. Ma prima di fare marcia indietro aspettano che venga trasformata in una modifica alla Finanziaria. Per questo parlano di «apertura positiva» e «restano in attesa di un impegno preciso». I contatti sono stati avviati. E i segnali sono positivi. Marco Pacetti, rettore di Ancona e segretario della Conferenza, si dice ottimista: «Molto probabilmente le dimissioni rientreranno». OPPOSIZIONE - Il centrosinistra cavalca la protesta. E chiede al governo di riferire in Parlamento. La Margherita parla di «disastro», con Enrico Letta che critica l' intera Finanziaria: «Non investe sul futuro». I Ds, con Giovanna Melandri, di «ferita senza precedenti». La Quercia ha presentato un emendamento per aumentare di 469 milioni i fondi. Duro Franco Giordano, d i Rifondazione comunista: «Si vuole privatizzare l' alta formazione». Silenzio nella maggioranza. L' unico commento arriva da Domenico Fisichella, An, professore di lungo corso che ieri presiedeva l' Aula del Senato: «Le dimissioni sono una cosa seri a per le università. Anche se forse non lo sapete, perché non tutti qui dentro l' hanno frequentata». Lorenzo Salvia Piero Tosi HANNO DETTO Senza interventi di carattere finanziario e normativo, non riteniamo di poter gestire l' università secondo i suoi obiettivi Giulio Tremonti L' intenzione dei rettori di rimettere il mandato appare intempestiva: per l' università sarà proposto un adeguato stanziamento ________________________________________________________ Repubblica 13 dic. ’02 LA FINANZIARIA STROZZAATENEI Professori e istituzioni accanto agli studenti Insieme per l'Università LAURA MONTANARI Sulla giacca a vento si sono appiccicati il codice a barre, la targhetta dei prodotti da supermercato e sopra la scritta: «Saldi di mente». Su un altro cartello hanno impresso il messaggio: «In piazza oggi per non essere in strada domani». Rieccoli camminare nelle vie del centro dietro agli striscioni, ballando al tempo di uno ska sparato a tutto volume dagli altoparlanti di un furgoncino a noleggio. In tanti come non si ricordavano dai tempi della Pantera. La novità è che questa volta gli studenti non sono i soli dentro a questa specie di nuovo movimento che si sente addosso tutto il senso della precarietà del futuro legato alla formazione, ai tagli della Finanziaria e ai mancati investimenti del passato. Con loro ci sono i professori come Pancho Pardi (Architettura) che dice amaro: «Eravamo quelli che scrivevano i saggi sul lavoro flessibile, oggi questa flessibilità ce la sentiamo calare tutta addosso». Ci sono i lavoratori dell'ateneo, c'è il rettore Augusto Marinelli che non ha esitato a lasciare il suo mandato sulla scrivania del ministro dell'istruzione Moratti per dire: «Davanti a questi numeri ci spieghi lei, come chiudere il bilancio», (all'università fiorentina per pareggiare mancherebbero 20 milioni di euro). E c'è la città, la Provincia di Firenze, di Prato, di Pistoia, la Regione, i sindaci della piana. Ci sono le istituzioni che ieri pomeriggio hanno risposto all'invito del rettore in piazza San Marco per esprimere solidarietà, ma anche per fare un fronte comune. Una specie di alleanza fra territorio e ateneo. Perché poi i problemi, come ha spiegato il sindaco Leonardo Domenici, non sono molto diversi se si guarda la faccenda dal punto di vista dei bilanci falcidiati dai tagli e «forse non abbiamo neppure ancora ha detto il sindaco la piena consapevolezza di quello a cui ci troviamo davanti». Più in là Domenici ha annunciato, lui «convinto assertore del decentramento», di essere disposto, come soluzione estrema, persino a non accettare «le deleghe sull'autonomia fiscale». Quindi, tornando ai problemi dell'accademia, il sindaco ha ribadito l'importanza della formazione per rendere competitivo il territorio e dell'intenzione di sviluppare un rapporto sempre più stretto con l'ateneo. Una schiarita sul fronte universitario ora ci sarebbe, l'ha annunciata Marinelli spiegando di aver contattato il presidente della Crui, il senese Piero Tosi: «Dalla tassazione delle sigarette dovremmo ottenere a livello nazionale 400 milioni di euro, la metà per la ricerca, l'altra metà per gli atenei. A febbraio poi dovrebbe essere affrontata e risolta la questione degli incrementi di stipendio del personale che oggi va a carico degli atenei. Vedremo». Una pausa e parte l'attacco a Tremonti: «Il ministro dell'Economia dice che dobbiamo eliminare i vizi e gli sprechi, è un professore dell'università atipico, il ministro, perché fa altre cose e sembra non conoscere a fondo la situazione degli atenei». Il presidente della Regione Martini ha riconosciuto dall'ateneo fiorentino il «grande sforzo di collegarsi con il territorio. Mi sembra che nel comportamento del governo manchi una logica, da una parte si vuole impostare il semestre italiano all'Unione europea sulla conoscenza e sulla formazione, dall'altra nella Finanziaria si tagliano i fondi per far funzionare le università e la ricerca». Alessio Papini dei Verdi ha proposto ieri di inserire la ricerca di base nelle opzioni per la destinazione dell'8 per mille, sarebbe un modo concreto per rastrellare finanziamenti . I ds chiederanno ai presidenti dei consiglio comunali, provinciali e regionali di convocare una riunione tutta dedicata all'analisi della situazione universitaria anche in vista dell'inaugurazione dell'anno accademico fissato per il 20 gennaio e che dovrebbe essere presenziata da Romano Prodi. ________________________________________________________ Corriere della Sera 11 dic. ’02 SCUOLA, CNR, FORMAZIONE: DOVE MANCANO I FONDI Ecco tutti i rischi: riduzione dei servizi, blocco dei lavori per aule e biblioteche, chiusura di istituti, aumenti delle tasse Benedetti Giulio ROMA - Rettori che rinunciano al mandato perché le università non hanno abbastanza fondi, tagli a voci essenziali del bilancio dell' istruzione, enti di ricerca in affanno. Sono gli effetti della Finanziaria su scuole, atenei e grandi istituzioni scientifiche. Il rigore della manovra economica, secondo i «magnifici», colpisce un settore già messo a dura prova e rischia di provocare un peggioramento del servizio o addirittura la paralisi della ricerca. UNIVERSITA' - Per non arretrare rispetto alla precedente manovra economica gli atenei avrebbero bisogno di almeno 6.499 milioni di euro. Qualora il governo si facesse carico degli aumenti di stipendio del personale, compreso quello tecnico e amministrativo, come chiedono i rettori, ne basterebbero 6.200. Se le cifre dovessero restare invariate gli atenei, non potendo intervenire sugli stipendi, dovrebbero attuare dei risparmi sulle voci non fisse del proprio bilancio: dalla riduzione, anche in termini di orario, di alcuni servizi al blocco dei lavori per il miglioramento di aule, biblioteche, laboratori e sale di lettura. Le decisioni verrebbero prese sede per sede. E non è escluso, anche se considerata dai rettori come ipotesi estrema, un aumento delle tasse universitarie. La maggio r parte degli atenei dispone ancora di un margine prima di sfondare il tetto del 20 per cento del fondo statale, che limita la raccolta del contributo a carico degli studenti. Un aumento delle tasse, denuncia l' Unione degli universitari, è in discussione negli atenei di Cagliari (100 per cento nella fascia minima) e Caserta (20 per cento). A Bologna le tasse delle lauree specialistiche sono aumentate del 100 per cento rispetto alle vecchie quadriennali. Inevitabili, secondo i rettori, dei contraccolpi sulla ricerca che si conduce nei singoli atenei. L' Italia oggi investe in questo campo meno dell' uno per cento del Pil contro una media europea del due per cento. CNR - Il Consiglio nazionale delle ricerche è il più grande ente di ricerca d el Paese. La Finanziaria per il 2003 ha previsto un taglio del due per cento rispetto alla precedente manovra già caratterizzata, secondo l' ente, da poche risorse. Per il 2004 si annuncia un ulteriore taglio del 10 per cento rispetto al 2002. Il Cnr valuta come fabbisogno minimo un fondo pari a 550 milioni di euro l' anno. La finanziaria 2003 ne prevede 530, venti in meno. Con questa somma l' ente sarebbe appena in grado di garantire gli stipendi, ma non l' apertura di tutti i suoi istituti di ricerca. Nel 2004, quando il fondo scenderà a 487 milioni euro, la situazione, dicono al Cnr, potrebbe precipitare. SCUOLA - Il decreto taglia- spese del ministro Tremonti ha ridotto del 15 per cento il bilancio dell' Istruzione. In cifre si tratta di 800 milioni di euro. Il risparmio è stato ripartito dai tecnici di viale Trastevere tra i vari capitoli. Esclusi i tagli alle scuole private (i finanziamenti - ha annunciato il ministro dell' Economia - verranno reintegrati), gli interventi più consistenti riguardano la sicurezza delle scuole, il funzionamento didattico e la formazione e l' aggiornamento dei docenti. G. Ben. ________________________________________________________ Corriere della Sera 12 dic. ’02 TOSI: LO STATO PAGHI GLI AUMENTI AI DOCENTI E NOI CONTROLLEREMO L’EFFICIENZA DEGLI ATENEI" L’INTERVISTA / La sfida di Piero Tosi, presidente della Conferenza nazionale dei rettori: università pronte a tagliare i doppioni "Un balzo negli avanzamenti di carriera dei professori? Sì, perché i concorsi sono bloccati" SIENA - Più soldi, ma anche bilanci alleggeriti dagli aumenti degli stipendi di professori e impiegati. In cambio, un’università nuova, capace di competere nella ricerca e nella didattica e persino disposta a farsi valutare, a fissare regole sul comportamento dei professori, modificare i criteri di assunzione e tagliare corsi di laurea giudicati non idonei o inutili doppioni. Dopo la protesta, i rettori lanciano una sfida. Non è vero, dicono, che l’università italiana sia il fanalino di coda dell’Europa, anzi è tra le migliori, ma ammettono che è arrivato il momento di cambiare. E Piero Tosi, magnifico rettore dell’ateneo di Siena e presidente della Conferenza nazionale dei rettori, al Corriere spiega come e perché. Il governo ha promesso soldi in più all’università. Protesta finita? "Le assicurazioni del governo ci tranquillizzano, ma da soli i soldi non bastano. Ci sono meccanismi perversi da modificare. Come per esempio gli aumenti delle retribuzioni di docenti e amministrativi. Sono decisi a livello centrale, ma a pagare sono gli atenei. Non può continuare così, deve essere lo Stato a farsene carico, come accade in altri settori della pubblica amministrazione. Altrimenti tutto resta così com’è, perché se aumentano i costi le risorse finanziare si riducono. Chiediamo denaro per migliorare la qualità della didattica e della ricerca e siamo disposti, anzi lo chiediamo, ad essere valutati con grande severità". In che modo? "Con un sistema nazionale di valutazione, capace di premiare le università che lavorano meglio e spronare tutti a un più alto livello di qualità. Ci stiamo lavorando da tempo e ad esempio con il progetto "Campus One" abbiamo giù introdotto la valutazione dei corsi di studio". Può fare qualche esempio? "Tutti dicono che i nuovi corsi devono avere un rapporto con il mondo del lavoro. Valutiamo se questo rapporto esiste, se ci sono risultati apprezzabili. In caso negativo tagliamo pure, oppure aumentiamo i corsi se c’è richiesta. Allo stesso tempo si valuti la qualità della ricerca, delle sue strutture, si giudichi e si intervenga". E il sistema dei concorsi non va modificato? "Un buon sistema di valutazione lo cambierà automaticamente. Se un ateneo deve dimostrare di essere al top nella didattica e nella ricerca non ha nessun interesse a far emergere i peggiori, ma punta ai migliori. Bisogna anche dare la possibilità agli atenei di punire chi non fa il proprio dovere, in linea con l’esercizio dell’autonomia delle università". Francesco Giavazzi sul Corriere ha scritto che nelle università italiane ci sono troppi avanzamenti di carriera e si assumono pochi ricercatori. Perché? "E’ vero, il balzo nel numero degli avanzamenti di carriera dal 1999 a oggi c’è stato. Ma questo è accaduto perché dal ’90 al ’99 i concorsi pubblici sono stati bloccati dal ministero. Non è vero però che c’è un’inflazione di professori, anzi abbiamo il minor numero di docenti universitari d’Europa. In Italia il rapporto tra professori e studenti è pari a 1 a 32. In Francia e di 1 a 16, in Germania di 1 a 12. Eppure l’università italiana è considerata tra le migliori in Europa, anche come qualità di ricerca, lo dice l’Ocse. Un ricercatore che entra all’università è una risorsa importante, ma costa perché è una nuova assunzione e non un avanzamento di carriera. E si ritorna al problema dei finanziamenti". Però nelle università italiane aumenta il fenomeno dei corsi di laurea cloni, cioè lauree simili che servono solo ad aumentare la spesa... "Non è vero. Prima della riforma (anno 2000) lauree e diplomi universitari erano 2.440. Oggi le lauree sono 2.560 ed è un numero destinato a diminuire perché molti atenei aggregano o cancellano i corsi". Cosa risponde a chi valuta la vostra protesta come uno schiaffo al governo? "Che è fuori rotta. La nostra situazione non deriva direttamente da questa Finanziaria, semmai i nuovi tagli sono stati la goccia che ha fatto traboccare l’amaro calice. Abbiamo lanciato appelli inascoltati a Prodi e a D’Alema quando erano alla guida del governo. Nel marzo 2001, prima delle elezioni politiche, inviammo un libro bianco ai candidati premier illustrando la situazione. Attendiamo fiduciosi che i governi decidano di investire nell’università pretendendo giustamente risultati". Marco Gasperetti ________________________________________________________ Il Messaggero 13 dic. ’02 RETTORI AL GOVERNO: "NIENTE SOLUZIONI A METÀ" Il leader Tosi: le dimissioni rientreranno solo quando avremo assicurazioni anche sugli stipendi di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Senza atti concreti, i "magnifici" non mollano. Non si accontentano delle "mezze soluzioni", non basta la promessa di Tremonti di riportare i finanziamenti ai livelli del 2000-2001 per far cessare la protesta. "Vogliamo assicurazioni anche sugli stipendi, solo allora le dimissioni potranno rientrare - afferma Piero Tosi, il presidente della Conferenza dei rettori - Gli aumenti salariali dei professori non possono essere accollati alle Università. Deve provvedere lo Stato con finanziamenti aggiuntivi. Il problema è serio, quanto quello dei tagli ai fondi ordinari". La tensione è ancora alta. L’aumento degli stipendi del personale continua a gravare sui bilanci asfittici degli atenei. "Dal 1.999 ad oggi - spiega Tosi - tutto ciò è costato 600 milioni di euro. Un onere che non può essere addebitato alle università e che nel giro di due anni ci porterà alla paralisi". "Rischiamo di chiudere, è in pericolo la sopravvivenza degli atenei", con queste parole martedì mattina gli uomini che governano le università hanno annunciato le dimissioni in massa. Un fatto senza precedenti nella storia d’Italia, a riprova di quanto sia "grave" la situazione. I rettori già a settembre avevano lanciato l’Sos. Avevano preso contatto con tutti i responsabili politici e da tutti avevano ricevuto "rassicurazioni". Avevano anche scritto a Silvio Berlusconi. La Finanziaria in discussione, invece, aveva previsto tagli per oltre 600 milioni di euro. I rettori ora sono "in attesa" delle decisioni di Palazzo Chigi. Il maxi-emendamento sulla legge finanziaria dovrebbe contenere la "soluzione". Ma finché non sarà nero su bianco le dimissioni restano. I Senati accademici e i Consigli di amministrazione sostengono a spada tratta la decisione dei rettori. E ora anche presidi e professori vogliono scendere in campo. Il preside della facoltà di Economia dell’Università di Siena, Franco Belli, propone: "Dimettiamoci tutti". E Guido Trombetti, il rettore della Federico II di Napoli, dice: "Abbiamo il dovere di essere compatti, le rassicurazioni del ministro Tremonti inducono all'ottimismo, ma servono risorse e questo è possibile solo con la modifica della Finanziaria". Anche la sinistra è andata all’attacco: "Il governo - sostengono i Ds - punta a destrutturare l'intero sistema formativo pubblico un po’ per incompetenza, un po’ per lucida follia. Trattano l'istruzione e la ricerca come settori qualsiasi, come semplici costi da abbattere, senza pensare che penalizzandoli si riduce invece la competitività del Paese". Il segretario della Quercia Piero Fassino non ha dubbi sulla "negatività dell'azione del governo in un settore così delicato" e mette in guardia "sulla qualità dei possibili rimedi" che il governo potrebbe assumere per gli atenei. Chiara Acciarini, senatrice diessina, ha fornito dati e cifre: "Complessivamente i fondi destinati al sistema formativo nazionale sono stati tagliati di 805 milioni di euro. E ne sono stati tolti 200 solo alle materne. I soldi per la ricerca poi, che con il governo di centrosinistra erano arrivati all'1% del pil, ora sono scesi allo 0,6". Intanto, cresce la protesta degli studenti dopo le dimissioni di massa dei rettori. Ad affermarlo è l'Unione degli universitari (Udu), che ha il polso delle occupazioni e delle autogestioni che da Nord a Sud sono in aumento, in vista della serrata delle università prevista per lunedì prossimo. ________________________________________________________ Il Manifesto 14 dic. ’02 MAXIEMENDAMENTO DA 200 MILIONI E I RETTORI RIPRENDONO L'ATTIVITÀ ma gli studenti no: occupazioni SARA MENAFRA Viaggia verso la chiusura la protesta dei rettori avviata all'inizio della settimana con la presentazione in massa delle dimissioni. Il primo segnale lo ha lanciato ieri il presidente della conferenza dei rettori, Piero Tosi. «Siamo pronti a ritirare le nostre dimissioni se ci sono i risultati», ha esordito il Magnifico aggiungendo che la decisione potrebbe essere presa subito dopo l'arrivo in parlamento del maxiemendamento che dovrebbe fornire i 200 milioni di euro precedentemente tagliati dal fondo ordinario delle università e darne altrettanti al fondo per la ricerca. Fra le modifiche presentate dal governo, però, non ci sarebbe alcuna traccia dei 516 milioni di euro necessari a finanziare l'aumento degli stipendi di docenti e personale tecnico. La spesa rimarrebbe quindi tutta sulle spalle dei singoli atenei con un «impegno scritto» (ma non una legge) da parte del ministro Tremonti a rivedere la norma che affida agli atenei la gestione degli stipendi al più presto possibile. «E' una chiusura al ribasso che non ci interessa», hanno esclamato all'unisono gli studenti degli atenei in mobilitazione che in questi giorni si erano mossi in accordo con la protesta dei rettori ma che da ieri hanno fatto capire chiaro e tondo di essere intenzionati ad andare avanti anche senza di loro. E' questo il caso di Bologna, dove l'assemblea indetta dal rettore Pierugo Calzolari (con blocco della didattica da parte della stessa università) si è chiusa con il Magnifico da un lato che chiamava la platea a «dimostrare che l'università funziona regolarmente» e gli studenti dall'altra che dicevano di «considerare effettive le dimissioni del rettore». Intanto un po' in tutt'Italia continuano le proteste. Oltre all'università di Firenze sono occupate anche quelle di Cagliari, Arezzo e Cosenza e in molti altri atenei da giorni si ripetono le assemblee e i blocchi temporanei della didattica. Gli studenti di Filosofia di Roma hanno occupato ieri la presidenza della facoltà chiedendo la costituzione del comitato paritetico per la didattica. E l'Unione degli universitari ha lanciato un'appello chiedento a tutti gli atenei in mobilitazione di bloccare completamente la didattica durante tutta la giornata di lunedì. ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 11 dicembre 2002 CRUI: L'OCCASIONE PERDUTA FRANCESCO GIAVAZZI Le dimissioni unanimi dei rettori potevano essere l'occasione per avviare una riflessione seria sullo stato delle nostre università, i cui problemi dipendono solo in parte dalla scarsità di risorse pubbliche che l'Italia dedica alla ricerca. Anche a questo servono i gesti plateali. Ma se il governo, come pare, chiuderà il caso concedendo qualche soldo in più, e se i rettori si accontenteranno, l'università avrà perso un'altra occasione. Restituire agli atenei le risorse che la Finanziaria aveva tagliato significa ricondurli alle condizioni nelle quali si trovavano prima dei tagli: ne vale la pena? A leggere l'ampio rapporto sulla ricerca italiana presentato nei giorni scorsi da Confindustria, e l'analogo studio sulle nostre università, presentato un anno fa, sembrerebbe proprio di no. Davvero i rettori pensano che bastino un po' di soldi in più per cambiare le cose? Le risorse di cui dispongono le università dipendono dal governo, ma la loro organizzazione dipende dai rettori. Due fattori, prima ancora dei soldi, sono alla radice dei problemi: la proliferazione delle sedi, che ha distribuito le risorse a pioggia, un po' dovunque in Italia, e il reclutamento dei professori. Della prima i rettori non sono direttamente responsabili, perché le università sono istituite per legge. Ma ciò che essi potrebbero almeno fare è impedire che ciascuna nuova sede replichi ciò che già esiste, spesso a pochi chilometri di distanza. Solo nelle università del Nord esistono 17 dipartimenti o istituti universitari di studi classici (latino e greco) più che in Inghilterra. I dipartimenti di matematica sono 19. Bisogna stupirsi se talvolta i corsi tenuti in queste sedi hanno meno studenti che dita di una mano? E se le biblioteche non hanno i soldi per acquistare i libri? Non ho mai letto di un rettore che abbia deciso di chiudere un dipartimento, accorpandolo a quello di una sede vicina. I dati che emergono dai concorsi universitari sono disarmanti. L'89,3% dei nuovi professori ordinari assunti tra il 1999 e il 2002 sono candidati interni promossi di grado. La percentuale per i professori associati è il 76%. E il fenomeno non riguarda solo le università del Sud, che devono promuovere gli interni perché pochi sono disposti a trasferirvisi: nella mia università, la Bocconi, le percentuali non sono sostanzialmente diverse. Come ha lucidamente osservato Paola Potestio (Il Sole-24 Ore, 24 novembre) questi dati "qualificano i concorsi come una grande ope legis, che si è tradotta in una massiccia e incontrollata promozione interna. In solo due anni i professori ordinari sono cresciuti del 10,4% sottraendo risorse alla possibilità di ingaggiare giovani. Su un totale di 74 sedi universitarie, il numero dei professori ordinari è cresciuto in 71 sedi (con tassi di oltre il 20% in 27 sedi e compresi tra il 10 e il 20% in 21 sedi). Il numero dei giovani ricercatori è cresciuto in sole 26 sedi, si è ridotto in ben 40 sedi. Un bel contributo all'invecchiamento dell'università". Non mi risulta che contro il meccanismo perverso dei concorsi i rettori abbiamo mai usato l'arma delle dimissioni di massa. ________________________________________________________ Corriere della Sera 15 dic. ’02 LAUREE IN IPOCRISIA (LE VERITA’ SCOMODE) di FRANCESCO GIAVAZZI E’ curioso che nel braccio di ferro tra i rettori e il governo sui fondi per le università, nessuno, né da un lato, né dall’altro, abbia preso in considerazione la possibilità di un aumento delle rette, che oggi ammontano a poche centinaia di euro l’anno. In un sistema davvero equo le rette universitarie sono determinate dal reddito delle famiglie; la retta massima, ad esempio per famiglie con un reddito superiore a 150 mila euro l’anno, potrebbe arrivare a 8 mila euro, la minima zero. Metà del maggior incasso per le università derivante dall’aumento delle rette sarebbe destinata ai loro bilanci, metà a finanziare borse di studio per studenti meno abbienti. L’egualitarismo di chi ritiene che l’università debba essere gratuita è una falsità. Ciò che impedisce a una famiglia non ricca, di Caltanissetta o di Sondrio, di iscrivere i propri figli all’università, non è la retta, bensì il costo della vita in una città lontana, priva di alloggi per studenti. E’ sotto questa spinta che sono nate mille università locali, altro inganno per le famiglie disagiate: come se bastasse qualche aula e qualche professore che arriva affannato pochi minuti prima della lezione e alla fine scappa a prendere il treno per fare un’università. Uno studio recente di Daniele Checchi, Andrea Ichino e Aldo Rustichini ( www. iue.it/Personal/Ichino ) mostra che in Italia il reddito della famiglia di origine è un fattore più importante, nel determinare il successo professionale dei giovani, di quanto non lo sia negli Stati Uniti, e ciò nonostante negli Usa le scuole buone siano private e molto costose. Giuliano Amato confessò il proprio sconforto una sera, dopo un estenuante tentativo di far quadrare i conti dello Stato: in farmacia un cittadino, arrivato con potente fuoristrada, acquistava un medicinale costoso pagando un ticket di poche lire: «E’ costata di più la benzina!», osservò. L’università praticamente gratuita è alla radice dei suoi mali. Quando pagano, gli studenti sono attenti alla qualità del servizio che ricevono, non ammettono che i professori arrivino a lezione in ritardo. Da anni ormai l’autonomia universitaria consente ai rettori di determinare liberamente le rette, purché esse non eccedano un livello massimo stabilito per legge, ma sono poche le università che raggiungono questo tetto. Il ministro Tremonti potrebbe, nella legge Finanziaria, penalizzare quei rettori che lamentano la mancanza di fondi, e poi non alzano le rette cercando popolarità fra gli studenti ( in primis Comunione e Liberazione) con la bugia del falso egualitarismo. Utilizzare, anche interamente, l’autonomia consentita dalla legge non è però sufficiente: per gli studenti più ricchi le rette rimarrebbero comunque irrisorie. E’ necessario cambiare la legge: se non lo fa un governo a parole tanto favorevole al mercato, chi mai? Anche le università private, che pure non hanno vincoli sulle rette, le mantengono troppo basse e poi chiedono fondi allo Stato. All’università Cattolica la retta non supera i 2 mila euro. Alla Luiss, l’università della Confindustria, dove si incontrano studenti in Audi 3000, iscriversi costa 5 mila euro l’anno. Negli Stati Uniti pagherebbero quattro volte tanto. Nell’intervista al Corriere (13 dicembre) il professor Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori, attribuisce quanto accade da quattro anni nei concorsi universitari - di fatto una grande ope legis che ha promosso todos caballeros - al precedente blocco dei concorsi. Non ricordo che i rettori abbiano mai fatto ricorso all’arma estrema delle dimissioni per protestare contro quel blocco al quale oggi attribuiscono tutte le responsabilità. E’ lungimirante una politica universitaria che cede alle pressioni, pur legittime, di chi oggi ha quarant’anni, impedendo a un paio di generazioni di accedere all’università? (Su ciò che sta accadendo ai giovani laureati italiani invito a leggere i risultati di una ricerca di Andrea Ichino e Giovanni Peri, da questi descritta su www.lavoce.info ). Senza stravolgere il meccanismo dei concorsi pubblici, due semplici norme, da sole, potrebbero migliorare il sistema. Eliminare l’assurdità di due vincitori per ciascuna cattedra e rendere le decisioni delle commissioni contestabili nella sostanza dei giudizi, non solo nella loro forma. La prima norma è un controsenso che non esiste in alcuna parte del mondo, ed è alla radice della grande ope legis . Le università che non hanno il coraggio di promuovere le loro «capre» con un concorso locale (potrebbe accadere che una commissione le bocci) mandano i propri candidati in giro per l’Italia: un secondo posto non si nega a nessuno. La contestabilità solo formale delle decisioni delle commissioni è un vizio tipicamente italiano: purché le carte siano in ordine ogni «capra» è salva. Un po’ di coraggio ministro Moratti: la seconda modifica è forse complicata, ma per la prima è sufficiente un emendamento di due righe. Il professor Tosi si aspetta grandi benefici da un sistema centralizzato di valutazione delle università che consenta di concentrare le risorse sui dipartimenti migliori. L’esperienza della Gran Bretagna, che da alcuni anni adotta un sistema simile, non è buona. Se si crede davvero nel mercato si deve avere il coraggio di usarlo, non di sostituirlo con meccanismi sovietici di controllo dal centro. Perché i rettori non hanno il coraggio di chiedere piena autonomia nel determinare gli stipendi dei professori? Finché offriranno mille euro al mese a un giovane ricercatore e 4 mila a un professore con studio professionale ben avviato, che frequenta l’università solo per tenere le sue lezioni (magari facendosi ogni tanto sostituire proprio da quel ricercatore), i giovani migliori rimarranno all’estero. Servono entrambi, il professore- professionista famoso e il giovane bravo a fare ricerca, ma è il primo che deve guadagnare mille euro al mese, non il secondo. Al Massachusetts Institute of Technology (Mit) più di un premio Nobel, a fine carriera, guadagna meno di un giovane brillante. E se, oltre ai soldi, scarseggiano anche i posti, perché mai consentire a parlamentari, presidenti di società dello Stato, direttori di enti di ricerca pubblici, di bloccare per decenni cattedre universitarie mediante il sistema dell’aspettativa? Conosco solo tre persone che, arrivate al secondo mandato istituzionale, si sono dimesse dall’università: l’ex direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, e i nostri due commissari europei, Romano Prodi e Mario Monti. ________________________________________________________ Il Tempo 13 dic. ’02 I RETTORI VANNO IN PARLAMENTO SI svolgerà martedì prossimo l'audizione in commissione Istruzione del Senato dei rettori delle Università italiane. Dopo la bufera scoppiata martedì con le dimissioni in blocco dei settantasette capi degli atenei, il Governo cerca di trovare una soluzione. E, trascorsi due mesi di braccio di ferro, promette un "adeguato stanziamento a favore dell'Università". I fondi, stando alle indiscrezioni, dovrebbero essere intorno ai 265 milioni di euro: serviranno a reintegrare le risorse per l'Università decapitate dalla scure di Tremonti, che ha fatto calare il complesso degli stanziamenti di 6.209 milioni di euro del 2002 agli attuali 6.020 milioni di euro. Una sforbiciata che metterebbe a rischio i bilanci degli atenei e che mette in forse il capitolo degli aumenti contrattuali di docenti e tecnici. Insomma, siamo alla tregua, anche se armata. Così su precisa richiesta dei senatori dell'Ulivo della commissione Istruzione di palazzo Madama, martedì i "disobbedienti" delle Università apriranno il cahier de doleances. Ma la protesta intanto dilaga, un pò in tutt'Italia. Le iniziative programmate dall'Unione degli universitari - tra occupazioni, assemblee e cogestioni - culmineranno lunedì prossimo nello stop completo della didattica. Fra le università coinvolte nella protesta ci sono Siena, Bologna, Cosenza, Roma, Bari e Perugia. Così, se è vero che l'iter della Finanziaria è ancora in corso e le dimissioni potrebbero essere revocate di fronte a un segnale forte del Governo, i rettori proseguono nella "linea dura". Dimissionari, ma al proprio posto lavoro, in attesa di una risposta. Vincenzo Milanesi, rettore dell'Università di Padova, ribadisce la protesta contro i tagli della Finanziaria e la considera "un'occasione unica, mai avuta prima, anche perchè siamo riusciti a porre la questione universitaria al centro dell'attenzione nazionale, dopo tanti segnali, più discreti, mandati precedentemente al governo". "Abbiamo grande fiducia nella risposta dell'esecutivo - spiega ancora Milanesi - , non metto in dubbio le assicurazioni del ministro Tremonti ma non gettiamo la spugna". Maurizio Rispoli, rettore di Cà Foscari, si dichiara pronto a dare le dimissioni definitive se il governo non rivedrà la finanziaria e i tagli che pesano sui bilanci delle università italiane. Tra le voci più caute, quella del segretario dei Democratici di sinistra Piero Fassino che mette in guardia: attenti alle controproposte di Tremonti e all'è "già tutto risolto". E. M. ________________________________________________________ Corriere della Sera 10 dic. ’02 «UNA MIOPIA TAGLIARE I FONDI ALL' UNIVERSITÀ» Il rettore Schmid: un Paese senza ricerca non ha futuro, i finanziamenti sono un investimento Giovedì a Pavia l' inaugurazione dell' anno accademico: gli immatricolati sono cresciuti del 12,2% Mele Donatella PAVIA - Roberto Schmid, rettore dell' Università di Pavia, è vicepresidente della Conferenza nazionale dei rettori (Crui) e uno degli esperti chiamati a supportare la presidenza italiana in Europa con l' incarico di sovrintendere all' offerta formati va, in particolare per l' area del Mediterraneo. Soddisfatto dei risultati raggiunti dall' ateneo pavese, preoccupato per la situazione delle università italiane: questo lo stato d' animo alla vigilia dell' inaugurazione (giovedì) dell' anno accademico. Anche Pavia, con tutto il coordinamento delle università lombarde, ha sottoscritto la presa di posizione della Crui contro i tagli all' Università previsti in Finanziaria. Rettore, vi aspettavate quest'anno un incremento del 12,2 per cent o delle immatricolazioni? «L' obiettivo era conservare la posizione conquistata l' anno scorso, invece abbiamo registrato un ulteriore aumento». I cicli diversificati favoriscono le iscrizioni? «Una stazione intermedia collegata al mercato del lavoro interessa chi non se la sente di affrontare cinque anni e più di studio. Significative le immatricolazioni tardive: il triennale incentiva». Perciò puntate sui master di primo livello? «Si prevedono master con tirocini pratici per affiancare al percorso comune di base un completamento in senso professionale. Una scelta condivisa, fin dall' inizio, da Confindustria». Qual é la capacità di attrazione del suo Ateneo? «La buona fama di cui gode come sede qualificata, di solida tradizione, capace di ricevere studenti da tutto il Paese. Il sistema dei collegi rende Pavia una città universitaria, cosa che non può essere, per esempio, Milano». Per l' offerta didattica? «La scelta di non disperdersi in un numero troppo elevato di corsi triennali, rinviando al secondo livello il discorso specialistico. In momenti come questo investire su settori tradizionali dà sicurezza agli studenti. E' la formazione di base a fornire capacità di adattamento al mercato del lavoro». Pavia investe sul secondo livello di studi? «Offriamo un forte retroterra alla ricerca scientifica e all' approfondimento. Gli atenei, coordinati in un sistema a livello regionale, possono offrire un ampio spettro di specializzazioni e porsi così rispetto all' Europa». L' Europa guida la riforma? «Se non si raggiungesse l' obiettivo dopo il primo ciclo la riforma non avrebbe fatto centro: contando solo le lauree specialistiche i numeri sono inferiori a quelli degli altri Paesi». Che cosa attendete dalla riforma? «L a caratteristica positiva, fino ad ora, è stata la maggiore flessibilità rispetto al passato: andrebbe aumentata». Che pensa dei tagli previsti dal governo? «Un Paese senza ricerca è senza futuro. I fondi sono un investimento: è miope tagliarli nei m omenti come questo». Basterà l' intervento dei privati? «I finanziamenti statali non sono sufficienti per una adeguata qualità. Sono necessarie soluzioni di autofinanziamento, coerenti con la missione di un' università statale, per non gravare con aumenti gli studenti garantendo la qualità dei servizi». Come si colloca l' ateneo pavese nel panorama nazionale? «Pavia gode di buona reputazione. Ma a spiccare è l' intero sistema lombardo per il numero d' istituzioni, per l' alto livello e per le caratterizzazioni: un grande potenziale per affrontare i problemi in modo pluridisciplinare. Una caratterizzazione regionale con tali caratteristiche non esiste altrove, nonostante le numerose punte di eccellenza». Donatella Mele ________________________________________________________ Corriere della Sera 11 dic. ’02 IL NOBEL GIACCONI: «LA SOLUZIONE? SEPARARE L' UNIVERSITÀ E LA RICERCA» Caprara Giovanni DAL NOSTRO INVIATO STOCCOLMA - E' un Premio Nobel per la fisica simbolo di un' Italia che non vuol crescere, quello consegnato ieri da re Gustavo di Svezia a Riccardo Giacconi, nato a Genova, laureato a Milano e ora cittadino americano. Un' Italia ch e per la prima volta nella sua storia vede i rettori delle università compiere un gesto clamoroso rassegnando le dimissioni per protestare contro i tagli alla ricerca. Il professor Giacconi dopo la laurea in fisica all' Università di Milano decise di andare negli Stati Uniti «perché là avevo un muro per dipingere», come dice lui stesso per spiegare che uno scienziato va dove gli permettono di lavorare. Era il 1954, il nostro Paese aveva ancora le ferite della guerra e il boom economico era lontano. Una scelta quasi obbligata per un cervello con idee e voglia di fare. E' passato quasi mezzo secolo e oggi come allora l' Italia non trova i soldi per la ricerca e i cervelli continuano ad andarsene. Professor Giacconi, che cosa pensa di ciò che accade nella sua Italia lasciata per sempre? «Il gesto dei rettori è pesante perché significa che ci si rende conto della gravità della situazione. Un Paese che oltre a essere in coda all' Europa non vuol spendere nella ricerca, quando la maggioranza delle nazioni sviluppate aumenta invece gli stanziamenti, vuol dire che non guarda al futuro. Oggi la competizione internazionale è fortissima e se non c' è ricerca, non c' è crescita». Ma il sistema italiano è in grado di competere? «Una cosa sarebbe da cambiare: i soldi per la ricerca bisogna darli ai ricercatori e quelli per la formazione all' Università. Sono mondi diversi nei ruoli e nei compiti e quindi è preferibile, e certamente più utile, che siano divisi. Altrimenti si creano ambiguità che non aiutano nessuno». Professore, oggi il numero degli studenti che si iscrivono alle facoltà scientifiche negli Stati Uniti e in Europa è in continua discesa. La scienza non affascina più? «Purtroppo è vero. I giovani cercano maggiori soddisfazioni a partire da quelle economiche, e quindi preferiscono lavori più redditizi. Ma forse sono anche delusi dal fatto che in alcuni casi vedono la scienza retta più da politici che da grandi scienziati, e perché notano una maggiore spinta verso la tecnologia e le applicazioni pratiche». Nonostante le grandi scoperte e un mondo quotidiano sempre più intriso di scienza cresce nella società l' adesione alla falsa scienza, al paranormale, all' esoterico... «E' un fenomeno culturale preoccupante che probabilmente nasce proprio come risposta ai grandi passi compiuti dalla ricerca. La stessa rinascita del fondamentalismo rientra in questa dimensione. La gente crede nei miracoli e io ne sono terrorizzato perché chi abbandona la fiducia nella razionalità perde i suoi punti di riferimento. E può accadere ogni cosa». Professore, le hanno assegnato il Nobel per la fisica perché ci ha mostrato un cielo diverso. Che cosa significa la sua scoperta? «L' aver trovato i raggi X lanciati dalla materia a l di fuori del sistema solare ci ha rivelato un mondo che ignoravamo. Da quando negli anni Sessanta con un razzo scoprii la prima sorgente cosmica di questa radiazione abbiamo capito come l' universo assomigli sempre di più a una spugna con ammassi d i galassie e filamenti di gas e materia che riempiono i grandi spazi interstellari. Inoltre la presenza di questa radiazione ci dimostra che in Natura il buon Dio ha provveduto perché tutto dipendesse dalle alte energie, da cui scaturiscono ap punto i raggi X, e come i fenomeni capaci di governare il destino dell' universo siano brevi e violenti e non frutto di una lenta evoluzione». Quando frequentava fisica all' Università di Milano, sognava di conquistare un Nobel? «Neanche per idea. A scuola sono sempre stato scostante, indisciplinato. Non ero una cima, un buono studente, anche se poi riuscivo sempre a cavarmela. Ma mi resi conto che era importante la creatività, l' intuizione, pensare dieci anni avanti». Sua madre amava la scienza e insegnava matematica. Quanto ha influenzato le sue scelte? «Voleva che facessi l' ingegnere ma non mi piacevano i bulloni. Ero invece attratto dall' architettura, però mi resi conto che non sapevo disegnare. In quegli anni si parlava molto di energia atomica e così mi iscrissi a fisica». E sua madre ora che cosa direbbe a vederla con in mano il Premio Nobel? «Mi dispiace che non sia qui; sarebbe felice ma sono sicuro che mi chiederebbe: perché non due? Non era mai soddisfatta». Giovanni Caprara ________________________________________________________ LA Stampa 12 dic. ’02 È GIUSTO FINANZIARE GLI ATENEI CON LE SIGARETTE? UNIVERSITÀ IN FUMO IL fumo può fare male, questo è stabilito dalla Scienza. Ma può anche fare molto bene, e questo è detto dall´Economia. Un conto è parlare di polmoni e un altro conto è parlare di finanza e bilanci pubblici. E´ un bel groviglio, nel quale chi fuma ha due doveri specifici: smettere, per il bene suo e di chi gli sta intorno, e continuare, per il bene dello sviluppo del Paese, come spiegano ampiamente i nostri politici. Ricapitoliamo i termini essenziali della faccenda. Primo punto. Il ministro per la Salute, Girolamo Sirchia, esimio studioso impegnato in serie battaglie accanto al suo predecessore Veronesi, vuole ad ogni costo far buttare via sigarette, sigari e pipe. A cominciare dai locali pubblici. Ha ragione. Come negarlo? Secondo punto. Lo stesso ministro dice che agisce bene chi, ammalandosi, cita in giudizio i produttori di tabacco-veleno. Sacrosanto invito. Terzo punto. Il ministro delle Politiche comunitarie Rocco Buttiglione, di fronte alla levata di scudi dei Magnifici Rettori contro i tagli alle loro casse, ha una pensata: aggiungiamo una tassa, facciamo pagare di più il veleno e con quel denaro paghiamo Università e Ricerca. Allora, se rimescoliamo questi messaggi, usciamo confusi. Se diamo retta a Sirchia ci salviamo la pelle, però l´Università non becca un euro, quindi nemmeno l´euro destinato alla ricerca che potrebbe aiutarci a guarire da un male sciaguratamente coltivato prima che Sirchia ci dicesse di non fare il birbante. C´è qualcosa di perverso in questo rapporto fra economia e tabacco: c´è falsità e c´è una bella colata di ipocrisia. A una Finanziaria che tartassa l´Università si rimedia con - a detta dello stesso governo - quei suicidi che, coscientemente, si ammazzano con un prodotto distribuito dal Monopolio di Stato? Per aiutare la ricerca dobbiamo fumare tonnellate di tabacco nel chiuso delle nostre stanze, cosicché le nostre tasse aiutino i ricercatori a scoprire nuove chemioterapie che serviranno anche a chi ha lo stesso male senza aver mai fumato e avendo sempre vissuto sulle montagne dei cartoni animati di Heidi? I fumatori aiutino l´Università. D´accordo. I peccatori paghino la loro colpa. D´accordo. E gli spacciatori legalizzati? Denunciate il produttore, dice il ministro. Denunciate anche il venditore, dice chi fuma, benché fiero di aver dato agli Atenei quello che lo Stato e i privati (non obbligati, e per di più in tempo di crisi) non hanno dato. Ma l´assurdo straordinario, il culmine dell´ipocrisia sta nel rapporto a tre: Stato-fumatori-università. Se io mi ravvedo, mia figlia avrà meno possibilità di fare ricerca? Se ascoltiamo le sante parole di Sirchia, gli Atenei di Buttiglione «andranno in fumo»? Marco Neirotti ________________________________________________________ Corriere della Sera 15 dic. ’02 CIAMPI: PIÙ RISORSE PER FERMARE LA FUGA DI GIOVANI SCIENZIATI Sulla ricerca un messaggio del capo dello Stato a Telethon. «Riportiamo i nostri ragazzi in Italia» ROMA - Bisogna impedire la fuga di cervelli dall’Italia. L’appello è stato lanciato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione della maratona televisiva Telethon per raccogliere fondi per lo studio delle malattie genetiche. «Dobbiamo fare di più per impiegare i nostri ragazzi qui da noi - ha detto Ciampi -. Certo, sappiamo bene che è un arricchimento per tutti se i giovani ricercatori fanno esperienza fuori, a patto però che poi la Patria sappia richiamarli. Perché ciò avvenga è necessario creare centri nazionali di eccellenza. Una nazione ricca di intelligenze deve considerare la ricerca come l’impresa più importante». Favorevole ai «centri di eccellenza» anche il ministro della Salute Girolamo Sirchia. A pagina 15 De Bac ________________________________________________________ LA Stampa 12 dic. ’02 DOTTORATO DI RICERCA E PHD GLI STRAZIA CERVELLI TRENT'ANNI fa gli «assistenti universitari» erano assunti in ruolo a tempo, e se entro dieci anni non ottenevano una cattedra dovevano lasciare l'università. Sembrava una norma ingiusta - dato lo scarso reclutamento accademico - ma, in compenso, coloro che avevano svolto quell'attività di ricerca e didattica avevano diritto a essere immessi nei ruoli dell'amministrazione pubblica e dei licei. Oggi il reclutamento universitario è di nuovo minimo (quasi azzerato, come risulta dalla protesta della Conferenza dei Rettori), eppure non si prevede alcuna garanzia alternativa per chi abbia dedicato all'università un tempo non molto inferiore (tre o quattro anni di dottorato di ricerca e altri anni di borse successive). Non è giusto, ma non soltanto dal punto di vista degli interessati. Leggiamo polemiche sul taglio ai fondi per la ricerca, sulla fuga dei cervelli, sui prezzi che si pagano per l'acquisto di brevetti all'estero. Ma in realtà non esiste un'opinione sociale favorevole alla ricerca come mezzo nobile per acquisire competenze preziose in vari campi dello sviluppo. Sono lontani i tempi i cui si celebrava l'inventiva italica come rimedio alla carenza di materie prime, né è proponibile un ritorno alla monumentalizzazione propagandistica di Guglielmo Marconi. Ma passare da quelle strumentalizzazioni al nulla è prova di miopia e provincialismo. Ad esempio la pratica didattica universitaria, proprio per il suo legame con la ricerca, prepara nei fatti a un insegnamento di qualità, in grado di interagire con il progresso dei saperi. Eppure da noi non c'è nulla che ricordi la feconda connessione che, in Francia, è instaurata da tempo fra «insegnamento superiore pubblico» e università. Alcuni dei convegni degli insegnanti-studiosi francesi sono - almeno in campo umanistico - momenti alti della ricerca professionale: risultano attivate risorse di studio che gli stanziamenti universitari, da soli, non si potrebbero permettere (e che da noi si possono permettere ancora meno, come ben si sa) e, in parallelo, la scuola ne trae giovamento in termini di vitalità e capacità innovativa. Già nel 1996 attenti analisti denunciavano, in quotidiani economici, una differenza fra il dottorato italiano e quelli stranieri: questi, i PhD anglosassoni, sono considerati titoli preferenziali per varie carriere e occupano il posto d'onore nei curricula di coloro che si affacciano al mercato del lavoro. Ma da allora la situazione è peggiorata: posti all'università quasi non ce ne sono, eppure il titolo di dottore di ricerca (dopo un selettivo esame d'ammissione e una ponderosa prova finale) ha valore soltanto accademico. Lo Stato eroga fondi minimi per la ricerca, in parte dedicati al dottorato (che, dopo la recente riforma, costituisce un «terzo livello» di formazione dopo le lauree triennale e specialistica); e non si cura, poi, che quell'investimento vada disperso. Perché, per rimanere nel campo dell'insegnamento, non prevedere un'immissione nei ruoli della scuola, eventualmente dopo un anno di tirocinio didattico? Perché non rilanciare socialmente, nel mondo del lavoro, l'utilità di cervelli aperti al nuovo, ferrati nel metodo, abituati al ragionamento rigoroso e alla sistemazione dei dati? Sarebbe anche un modo per non sprecare denaro pubblico. Giuseppe Sergi ________________________________________________________ La stampa 12 dic. ’02 INDAGINE EUROSTAT: IN TESTA LA FINLANDIA, ITALIA IN CODA Europa, più ricerca SETTORI PRIORITARI: SCIENZE DELLA VITA, TELECOMUNICAZIONI, NUOVI MATERIALI, NANOTECNOLOGIE, AERONAUTICA, ATTIVITA´ SPAZIALI, QUALITA´ DEL CIBO, ED ENERGIA. NELLE PROSSIME SETTIMANE I PRIMI BANDI PER PROGETTI INTEGRATI CHE UNIRANNO GLI SFORZI DI PIU´ PAESI A Bruxelles la Commissione Europea ha presentato alla comunità scientifica il suo Sesto Programma Quadro per il sostegno della ricerca europea nel periodo 2002-2006. Le risorse per i prossimi quattro anni ammontano a 17,5 miliardi di euro e le direttrici prioritarie di intervento toccano le scienze della vita, le tecnologie della telecomunicazione, i nuovi materiali e le nanotecnologie, l'aeronautica e la ricerca spaziale, la qualità del cibo e la sua sicurezza, l'energia e lo sviluppo sostenibile, i servizi di informazione al servizio cittadino nella società della conoscenza. Diciassette miliardi di Euro sono una cifra importante nel panorama della ricerca europea perché, se è vero che l'intervento della Commissione Europea rappresenta solo poco più del 5 per cento della totale spesa aggregata per la ricerca dei paesi dell'UE, essa in realtà mette a disposizione una possibilità di investimento preziosa per molti centri di ricerca i cui bilanci nazionali sono talvolta appena sufficienti per garantirne il funzionamento. I finanziamenti del Programma quadro coprono in genere solo il 50 per cento delle spese previste dai progetti vincenti e mettono in moto un circolo virtuoso, che genera ulteriori investimenti a livello nazionale e regionale e che stimola l'imprenditorialità dei ricercatori. Anche in questo sesto programma europeo della ricerca, che vede un aumento della dotazione del 17% rispetto al quinto, sono inclusi ulteriori strumenti finanziari dedicati alla crescita professionale e alla mobilità dei ricercatori, alla creazione di impresa e al sostegno delle piccole e medie imprese innovanti. Il Commissario Philippe Busquin, responsabile per le politiche della ricerca, ha messo il sesto programma quadro al servizio di una nuova politica molto ambiziosa: portare la prospettiva della ricerca europea dal livello nazionale a quello europeo; l'obiettivo finale è quello di migliorare l'efficienza e la qualità del sistema di ricerca europeo, promuovendo i centri di eccellenza e scoraggiando le duplicazioni. Questa azione politica lanciata da Busquin ha un nome - «area europea della ricerca» (ERA) - e i suoi nuovi strumenti concreti sono i "progetti integrati" e le "reti di eccellenza", forme di finanziamento prioritarie del sesto programma quadro, più flessibili e generose, che dovrebbero favorire l'aggregazione e la diffusione delle migliori attività di ricerca a livello europeo. Lo stato di salute della ricerca in Europa, fotografato da Eurostat, dà oggi un quadro allarmante: nell'Unione Europea si investe in ricerca molto meno che nei paesi nostri concorrenti - 1,9% del prodotto interno lordo (PIL) in Europa rispetto a 2,8 negli Stati Uniti e 2,9 in Giappone - e il divario anziché diminuire tende a crescere. Le conseguenze sono appariscenti: l'Europa produce meno brevetti dei suoi concorrenti e la sua bilancia commerciale mostra un deficit significativo proprio nei prodotti di alta tecnologia; in futuro la produzione di ricchezza sarà sempre più legata all'economia della conoscenza e l'Europa, mentre la deindustrializzazione avanza inesorabilmente, non può perdere il treno dell'innovazione tecnologica. Il panorama europeo non è eguale ovunque; l'analisi Eurostat mostra aree di eccellenza nei paesi nordici, con la Finlandia prima fra tutti, che investe in ricerca il 3,78% del suo prodotto interno lordo (PIL), più della Germania (2,48) mentre i paesi dell'Europa del Sud arrancano nelle posizioni di coda con l'Italia all'1,04% del PIL in quart'ultima posizione. Ma altri fattori entrano in gioco a sfavore dell'Europa: negli Stati Uniti il 95% degli investimenti in ricerca sono decisi e gestiti a livello federale e solo il 5% a livello di Stati, in Europa la situazione è capovolta, con il 95% gestito a livello nazionale e solo il 5% gestito con meccanismi dell'Unione; la frammentazione del sistema della ricerca europeo nei quindici programmi nazionali porta inevitabilmente a duplicazioni e inefficienze. L'Europa risulta anche poco efficiente nel trasformare la ricerca tecnologica in nuovi prodotti e applicazioni di successo sul mercato; ne è indice il livello dell'investimento privato (imprese e banche) nelle attività di ricerca - un livello decisamente più basso in Europa che nei paesi concorrenti: fatto cento l'investimento globale in ricerca scientifica e tecnologica, negli Stati Uniti il contributo pubblico è del 25% e quello del settore commerciale del 75% mentre in Europa la partecipazione di imprese e di organismi finanziari è solo del 65% e in Italia scende al 49%! Il deficit del sistema della ricerca europea non è argomento di dibattito pubblico né di particolare interesse dei grandi media ma è ben noto agli addetti ai lavori e ai responsabili di governo. Al Consiglio Europeo di Lisbona nel marzo 2000 i capi di stato dei quindici paesi dell'Unione si impegnavano a metter fine al declino della ricerca europea, indicando l'obiettivo di "fare dell'Unione Europea l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo"; due anni più tardi a Barcellona sottoscrivevano l'impegno di aumentare la spesa totale in ricerca dell'UE dall'1,9% del PIL al 3% entro il 2010. Questi impegni non sembrano davvero tradursi ancora in azione concreta: dopo qualche euforia negli anni del boom della borsa, la spesa in ricerca europea non cresce e l'investimento delle imprese attraversa una fase particolarmente difficile. Proprio per questi aspetti critici e contraddittori del sistema europeo, il sesto programma quadro della ricerca che prende l'avvio assume un significato politico di svolta: si cerca per la prima volta di integrare gli sforzi di ricerca dei paesi dell'UE in un largo ventaglio di attività, con incentivi e sostegni economici mirati di nuovo tipo, si vuol premiare progetti di ricerca federatori di ampio respiro che rispondano ad esigenze riconosciute della società. I progetti integrati sono la formula più ambiziosa tra i nuovi strumenti del programma quadro: potranno avere un budget molto importante (decine di milioni di euro) e durate poliennali; la loro dimensione dovrebbe essere in grado di mobilitare molti ricercatori attorno a progetti di ricerca di base, di ricerca applicata e di trasferimento tecnologico; oltre che alla produzione di conoscenza, i progetti integrati faranno nascere gruppi di lavoro e consorzi europei capaci di lavorare assieme efficacemente. Le reti di eccellenza sono l'altro strumento originale del nuovo programma quadro; esse non avranno come fine principale quello di produrre ricerca ma quello di facilitare l'integrazione tra ricercatori e imprenditori della ricerca al di là delle barriere culturali, normative e geografiche; le sovvenzioni dell'UE saranno destinate ad attività ed infrastrutture per disseminare metodologie, conoscenza e innovazione, per favorire la messa comune di strumenti e piattaforme tecnologiche, per sostenere i costi dello scambio e dell'addestramento di personale di ricerca. Tra poche settimane usciranno i primi bandi, il sesto programma quadro è aperto e la sfida è rilanciata. Franco Malerba ________________________________________________________ Corriere della Sera 12 dic. ’02 MINISTERO CONTRO CNR: POCA ATTIVITÀ SCIENTIFICA Duro documento dalla Moratti: notevole calo della produzione, sfasature organizzative, conti non in ordine ROMA - Una produzione scientifica in "notevole calo". Un’organizzazione con "talune sfasature". Una "significativa flessione della capacità di formazione". E anche la necessità di "un’efficace programmazione degli interventi, con un sistema di contabilità certo". La relazione è breve, sintetica. Ma in quelle quattro pagine, consegnate pochi giorni fa al Parlamento, il ministero dell’Istruzione e dell’Università critica a tutto campo l’attività del Cnr, il "più grande ente pubblico che in Italia promuove, coordina e finanzia l’attività di ricerca". Un’avvertenza: i dati risalgono al 2001. Ma le conclusioni del ministero sono della fine di novembre di quest’anno. PRODUZIONE - E’ il punto su cui l’attacco è più duro: "Quanto alla produzione scientifica si registra un notevole calo, in controtendenza rispetto agli anni precedenti al 2001". Il ministero ricorda che "gli istituti sono ancora impegnati nell’opera di ristrutturazione della rete scientifica", dopo la riforma del Cnr varata all’inizio del 2000. Ma sottolinea che i risultati negativi "non sembrano sufficientemente giustificati" dalla "obsolescenza delle apparecchiature e del parco delle grandi strumentazioni scientifiche". Anche perché, in questo caso, "già nel 2000 si sarebbe dovuto registrare un calo significativo" che invece non c’è stato. ORGANIZZAZIONE - Un tema più burocratico. Ma anche qui le parole sono severe: "L’organizzazione interna tende a talune sfasature". In particolare, la "distribuzione del personale presso i singoli uffici dell’amministrazione centrale non è stata effettuata in base a parametri predeterminati e ad una classificazione ponderata degli uffici stessi". FORMAZIONE - Il termine formazione è interpretato in modo ampio. Comprende non solo le borse di studio e i dottorati di ricerca. Ma anche la partecipazione del personale, come docente, ai corsi universitari. Su tutti i fronti il ministero registra una "significativa flessione". Anche se condivide, almeno in parte, le spiegazioni del Cnr che parla di "ridotti finanziamenti pervenuti". "Già nel precedente triennio (’98/2000) - si legge nel documento - l’attività di formazione presentava d’altra parte una decisa contrazione" specie sui finanziamenti per le borse di studio. BILANCIO - Anche sulla contabilità il giudizio è pesante: "Non si può fare a meno di rilevare il consistente ammontare dei residui attivi e passivi", rispettivamente i crediti non recuperati e le somme impegnate, ma non ancora pagate. La prima voce è di 142 milioni di euro, su un totale crediti di 403 milioni. Secondo il ministero "non si comprende il motivo del suo mancato recupero". I fondi impegnati ma non utilizzati, invece, superano i 400 milioni di euro. E la relazione osserva che anche per questo "l’attività dell’ente non riesce a trasformarsi rapidamente in risultati concreti". Più in generale, secondo il ministero è "indispensabile che il Cnr riacquisti la capacità di porre in essere un’efficace ed efficiente programmazione, nonché attuazione e gestione degli interventi e una gestione economico patrimoniale attendibile con un sistema di contabilità certo". Lorenzo Salvia ________________________________________________________ Panorama 13 dic. ’02 CNR: CARENZA NAZIONALE DELLE RICERCHE di Maurizio Tortorella Il bilancio del Cnr peggiora da anni. Nel 2002 entrate per 714 milioni, contro i 746 del 2001. E si prevedono tagli. La scarsità di fondi rischia di creare danni all'attività del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). La situazione è grave: lo conferma con un aneddoto paradossale il presidente dell'ente, Lucio Bianco. "Ci è stata appena donata un'apparecchiatura del valore di 15 milioni di euro" racconta "che ci sarebbe essenziale per la ricerca nel settore delle nanotecnologie. Ma probabilmente dovremo rifiutare la donazione perché non riusciamo a reperire i 400 mila euro necessari al trasporto e installazione". Il bilancio del Cnr, in realtà, sta peggiorando da anni. Nel 2002 il totale delle entrate è di 714 milioni di euro, contro i 746 milioni del 2001 e i 769 del 2000. I trasferimenti dello Stato quest'anno prevedono un flusso di 578 milioni di euro. Ma si prevedono tagli: "Il governo" dice Bianco "ci ha comunicato ufficialmente che nel 2003 l'ente subirà una decurtazione del 2 per cento rispetto alla dotazione ordinaria del 2002 e addirittura del 10 per cento nel 2004". Secondo i critici, peraltro, la gestione del Cnr eccede soprattutto nelle spese generali (175 milioni di euro l'anno scorso, quasi un quarto del totale). Alla ricerca vera e propria viene destinato circa un terzo dei fondi spesi in bilancio (circa 270 milioni di euro), mentre il personale assorbe il 43 per cento delle risorse (343 milioni di euro nel 2001, 355 previsti quest'anno). CONFRONTO CON L'ESTERO Il Cnr, peraltro, ha un numero di dipendenti non altissimo: sono 8.082 in tutto, 4.319 dei quali ricercatori, 2.643 tecnici e 1.120 impiegati amministrativi. Il confronto sul numero degli addetti vede l'Italia in posizione arretrata rispetto alla Francia (sono 23.094 gli addetti del Cnrs) e rispetto alla Germania (11.612 gli addetti del Max Planck tedesco), mentre equivale il Csis spagnolo, che dispone di 7.678 addetti. Anche in questa situazione non brillante, il numero di pubblicazioni per ricercatore censite a livello internazionale trova il Cnr a un buon livello, con un tasso di 1,71: quasi lo stesso del Csic (1,93) e migliore di quello del Cnrs (1,42). In testa alla classifica è invece il Max Planck, con 2,05 pubblicazioni per ricercatore. La spesa complessiva del Cnr (arrivata a un totale di 793 milioni di euro l'anno scorso), è destinata in primo luogo al settore della Protezione della salute umana (35 per cento della spesa), seguita dalla Produzione e tecnologia industriale (12 per cento), dal Controllo e tutela dell'ambiente (8 per cento) e dalla Produzione e tecnologia agricola (7 per cento). IL CNR E LE RISORSE UMANE Il Consiglio Nazionale delle Ricerche può contare su 8.082 unità, così suddivise: - 4.319 ricercatori - 2.643 tecnici - 1.120 amministrativi Con un costo complessivo di 355 milioni di euro contro i 340 del 2000. Intorno al Cnr gravita una massa non trascurabile di formandi (dottorandi e borsisti) e di personale di altri enti e studenti universitari che raggiungono complessivamente le 6.175 unità, concentrate soprattutto nelle Scienze di Base (1.875) e nelle Scienze della Vita (1.907). _________________________________________________________ WWW.giust.it 12 dicembre 2002 CONCORSI: UNA UNIVERSITÀ SENZA FUTURO (a proposito delle regole dei concorsi universitari e del modo con cui esse vengono applicate) 1. Premessa. E' di questi giorni la notizia che i Rettori si sono dimessi in blocco per protestare per la riduzione dei fondi destinati alle Università italiane. Tuttavia, come ha rilevato giustamente il Prof. Francesco Giavazzi nell'articolo pubblicato nella prima pagina del Corriere della Sera di ieri, prima di chiedere fondi, dovremmo tutti seriamente interrogarci su come sono stati spesi quelli esistenti, con particolare riferimento alle migliaia commissioni di concorso itineranti ed ai metodi impiegati per la loro formazione e per l'attribuzione dei relativi posti. Qualche mese addietro era stato pubblicato nel quotidiano Il Sole 24 Ore un articolo che descriveva l'esperienza di un professore ordinario che è stato nominato commissario di alcuni concorsi universitari (l'articolo si intitola "Il prof. va al concorso - Dalla chiamata all'esame dei candidati: tempi, costi, "trucchi""). Si tratta di una descrizione dell'attuale sistema dei concorsi molto istruttiva ed illuminante. Tale articolo, mentre in un paese normale avrebbe acceso almeno un dibattito, in realtà è rimasto lettera morta. Eguale sorte hanno subito i molti articoli sull'argomento che l'hanno preceduto. Nessun rettore o professore universitario si è dimesso od è almeno intervenuto per replicare. Sembra prevalere in proposito un senso di rassegnazione; così come di rassegnazione verso l'attuale sistema universitario parla il Prof. Antonio Vescovi, in una breve intervista pubblicata sul Corriere della Sera di qualche giorno addietro (9 dicembre 2002, pag. 16) a margine del recente rapporto Censis che descrive l'Italia come un paese "a pile scariche", nel quale lo sviluppo dato dalla ricerca è gravemente carente. Nella sua sintetica intervista, il Prof. Vescovi afferma che, per risollevare in qualche modo le sorti delle Università italiane, il primo passo da compiere sarebbe quello di "creare un sistema davvero meritocratico" all'interno di esse, un sistema che, tuttavia, gli attuali metodi di reclutamento e di progressione di carriera non consentono. Si tratta delle stesse conclusioni alle quali pervengono il Prof. Alberto Alberoni, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 15 ottobre 2001 ed il Prof. Giavazzi, nel già menzionato articolo pubblicato sul Corriere della Sera di ieri, il quale termina provocatoriamente in questo modo: "Viene voglia di incoraggiare il ministro dell'Economia, il professor Giulio Tremonti, a resistere ai suoi colleghi, anzi ad accentuare i tagli", perché così "forse i rettori inizierebbero a riflettere seriamente sulle loro responsabilità". Anche se sono ben conscio dell'inutilità di ritornare sul tema (ed anzi della perniciosità nell'indulgere ulteriormente sull'argomento, per le conseguenze negative che si producono nei confronti di chi ha l'ardire di toccarlo), tuttavia ritengo che qualche ulteriore parola vada spesa in ordine all'attuale sistema dei concorsi universitari, che va profondamente rivisto se si hanno veramente a cuore le sorti dell'Università italiana. Nel tornare sull'argomento, per non trattare il tema in termini astratti e, per così dire, "accademici", vorrei parlare della esperienza diretta e personale, descrivendo innanzitutto alcuni fenomeni che sono in apparenza strani, ma che costituiscono l'inequivocabile spia rivelatrice di un sistema che, sotto vari profili, va profondamente rivisto. Si tratta di fenomeni ben noti agli addetti ai lavori, i quali conoscono perfettamente le dinamiche interne dei concorsi universitari ma, pur ammettendo in separata sede che le attuali regole sono vergognose ed ancor più vergognoso è il metodo con il quale sono state "scientificamente" applicate, si guardano bene dal dirlo pubblicamente, anche perchè le regole in questione ed il modo in cui vengono utilizzate fanno comodo quasi a tutti, tranne che, ovviamente, all'Università italiana. 2. Fenomenologia dei concorsi universitari: a) il fenomeno del "commissario per caso" e la regola delle cordate. Partirei a tal fine dal fenomeno che definirei del "commissario per caso", al quale corrisponde quello del commissario eletto "non per caso". Com'è noto, esistono (è il titolo di una nota trasmissione televisiva) i turisti per caso, divenuti recentemente velisti per caso. Ma esistono anche i commissari di concorso "per caso". E chi scrive è tra questi. Recentemente, non senza sorpresa, ho infatti appreso che, nelle ultime elezioni per la formazione di commissioni giudicatrici dei concorsi universitari, sono stato contemporaneamente eletto in ben due commissioni di concorso per l'attribuzione di posti di ricercatore di diritto amministrativo (ed ho "rischiato" di risultare eletto anche in altre due commissioni, sempre per posti di ricercatore di diritto amministrativo, indetti da altre Università, nelle cui votazioni mi sono classificato al secondo posto). La sorpresa è dovuta al fatto che non avevo sollecitato alcun voto e mi ero a tal punto disinteressato delle votazioni da non avere neppure partecipato ad esse (non condividendo peraltro l'attuale sistema che prevede, singolarmente, un metodo elettivo per la formazioni delle commissioni dei concorsi universitari). Onde, tra i voti avuti, non c'è neanche il mio, ammesso che qualcuno possa sospettare che io possa avere inelegantemente votato per me stesso. Ringrazio pubblicamente i colleghi appartenenti alla mia fascia che mi hanno votato (ma che non conosco, dato che il voto è segreto e, ripeto, io non ho sollecitato alcuno di essi). In precedenti votazioni ero risultato eletto in altre commissioni (sempre per posti per ricercatore), pur non avendo anche il quel caso sollecitato alcun voto e sempre non avendo preso parte alle votazioni. Anche per tali voti, con l'occasione, ringrazio. Tuttavia c'è una stranezza. Sia nella più recente votazione, che in quelle precedenti, non sono mai stato eletto allorché c'erano in ballo posti di professore associato, ma sempre ed unicamente nel caso di posti di ricercatore. E, cosa ancor più strana, non ho riportato voti nelle votazioni relative a concorsi per posti di professore associato, pur essendo eleggibile anche per le commissioni riguardanti questi ultimi posti. Come si spiega tale singolarità? Per spiegare l'arcano occorre fare un passo in dietro e riassumere brevemente quali sono i meccanismi interni dei concorsi universitari. Come già cennato, l'attuale sistema prevede "democraticamente" che le commissioni dei concorsi universitari si formano in modo elettivo e non già, come sarebbe stato logico, al fine di assicurarne l'imparzialità, in base ad un sorteggio tra tutti gli aventi titolo. Tale sistema, che è pure parcellizzato (prevedendosi tante commissioni quanti sono i posti banditi dalle varie università), ha riportato in auge il sistema delle cordate, al fine di determinare chi deve essere eletto e soprattutto "per chi". In occasione di ogni elezione, consistenti pacchetti di voti si orientano verso determinati commissari che debbono "garantire" certi candidati. Vecchie associazioni sono state rinverdite e ne sono state create di nuove. In tal modo il candidato con sponsor in commissione parte in pole position. Quelli senza sponsor, praticamente, non hanno speranze, anche se posseggono maggiori titoli. Non parliamo poi di quelli con sponsors contrari. Il fenomeno è particolarmente diffuso nel caso di concorsi (come quelli a posti di ordinario o di associato) nei quali la discrezionalità della commissione di concorso è massima (basta infatti dichiarare che i lavori di qualche candidato senza sponsor o con sponsor contrario hanno carattere divulgativo, taglio non scientifico e comunque denotano un impegno calante, per tagliarlo fuori), l'anonimato non esiste (non esistono infatti prove scritte col sistema della doppia busta) e gli interessi in ballo sono grossi (si attribuiscono un paio di idoneità, delle quali una solitamente riservata al candidato locale). Nei concorsi di ricercatore, nei quali invece il posto da attribuire è unico, è previsto un sistema che garantisce l'anonimato nell'espletamento di prove scritte e nei quali, comunque, gli interessi in gioco sono ridotti, il sistema dei pacchetti di voti (o delle "cordate", che dir si voglia) talvolta non opera. In ogni caso, dato che il posto è unico, basta il membro interno per rassicurare il candidato locale. Ecco come viene creato un commissario "per caso". Non essendoci grossi interessi e sussistendo nel contempo scarsa possibilità di manovra nei concorsi per ricercatore, la libertà dei votanti si riespande e, non essendo stati sollecitati in alcun modo, essi finiscono per eleggere un commissario senza i condizionamenti delle cordate, ma per semplice stima. Ma la regola, nel caso di concorsi per posti di associato od ordinario, è quella del "commissario eletto per cordata e non per caso". 3. segue: b) Il fenomeno del concorso con candidato unico. Le stranezze dei concorsi universitari non finiscono ovviamente qui. In un paese nel quale si sono dovute inventare varie forme di preselezione dei concorrenti a posti pubblici (v. ad es., tanto per rimanere nel campo giuridico, i quiz preselettivi per i concorsi di uditore giudiziario e di notaio), per cercare di arginare il numero dei concorrenti, non è infrequente invece, nel campo universitario, il caso di concorsi di ricercatore con unico candidato partecipante. Come spiegare tale strano fenomeno? Forse, potrebbe rispondersi ingenuamente, i posti di ricercatore universitario sono considerati poco appetibili dai laureati in cerca di occupazione. Ma si tratta di una risposta poco convincente, dato che si tratta pur sempre di un posto prestigioso, all'interno dell'Università, che peraltro non comporta neanche un obbligo di rispetto dell'orario di ufficio e che, dopo un triennio, consente anche di esercitare attività libero-professionale e magari avere qualche supplenza, con conseguente attribuzione del titolo di professore, ancorché ad tempus (ma anche tale limitazione temporale è più apparente che reale, dato che per il principio della "continuità didattica", una volta conferita una supplenza, essa viene prorogata all'infinito). Scartata l'ipotesi della scarsa appetibilità dei posti in questione, non rimane che quella del tutto ovvia, secondo cui molti non partecipano o, dopo aver fatto domanda, si ritirano, perchè ritengono che si tratta di concorsi in apparenza pubblici, ma in realtà già predestinati a qualcuno. A tal punto arriva la sfiducia generale: che di fronte a concorsi nei quali le modalità attuative garantiscono (per ciò che concerne la valutazione delle prove scritte) un certo anonimato, finisce per partecipare solo il predestinato. Gli altri non se la sentono spesso, solo per "far numero", di affrontare le spese di trasferta e di soggiorno imposte dal sistema parcellizzato di concorsi che in atto è previsto. Il fenomeno del concorso "bulgaro" con candidato unico, in un paese con il più alto tasso di disoccupazione giovanile tra i laureati, è indubbiamente il sintomo più eclatante della sfiducia generale nei confronti del sistema dei concorsi universitari. Coraggiosi sono stati in qualche caso i tentativi della giurisprudenza di correggere alcune storture (v. di recente la sentenza TAR Puglia-Bari, Sez. I, 19 febbraio 2002 n. 963, pubblicata in questa Rivista, con commento di F. RUBBIA, che ha in particolare censurato il fenomeno delle edizioni provvisorie scritte in modo raffazzonato a ridosso del concorso). Ma l'intervento della giurisprudenza spesso si limita ad un sindacato formale sull'operato delle commissioni, tenuto conto dell'elevato tasso di discrezionalità di cui dispongono le commissioni stesse, non ancorato a parametri ben precisi. Non sono poi mancate pronunce che hanno finito, sia pure involontariamente, per assecondare l'andazzo corrente (v. ad es. le sentenze del Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 maggio 2001 n. 2589 e 17 luglio 2001 n. 3957, entrambe pubblicate in questa Rivista, sui limiti in cui sussisterebbe l'obbligo di astensione dei commissari dei concorsi universitari). L'intervento del G.A. è comunque episodico (anche se sintomatico) e si registra allorchè gli interessati hanno avuto il coraggio di proporre ricorso, il che comporta l'automatica iscrizione nel libro nero dei concorrenti, con in più il rischio di far ritornare il pallino in mano alla commissione, la quale, dopo l'eventuale annullamento dei verbali, aggiusta il tiro, aggiunge una nuova motivazione e riconferma i risultati precedenti. In ogni caso la commissione in via preventiva, per scoraggiare la eventuale proposizione dei ricorsi, non si limita solo a sopravvalutare i titoli del predestinato, ma svaluta completamente i lavori dei concorrenti maggiormente titolati. 4. Un esempio significativo. Particolarmente significativo è l'esempio offerto da un concorso al quale ho partecipato. Come risulta espressamente dai verbali approvati dal Rettore, un commissario aveva espressamente rilevato che la edizione provvisoria prodotta dal candidato "locale" presentava diverse pagine - pazientemente ed accuratamente elencate - che costituivano pedissequa copiatura di testi redatti in precedenza da altri autori. Solitamente nei concorsi pubblici, se un candidato viene sorpreso a copiare, viene espulso dal concorso stesso oppure (nella migliore ipotesi) viene cortesemente invitato a ritirarsi. Nei concorsi universitari si applica evidentemente una opposta regola. Volete sapere infatti che cosa è successo nel concorso in questione? Che la commissione, pur rilevando (cito testualmente dai verbali) "qualche imperfezione nella tecnica di stesura" della monografia in questione (l'imperfezione sarebbe costituita, secondo la commissione, nel riprendere brani di altri testi senza ricomprenderli tra virgolette; peccato che si trattava non di semplici citazioni ma di molte pagine interamente riprodotte), "apprezzando il rigore metodologico, la validità dei percorsi argomentativi e la sensibilità verso i processi evolutivi" dimostrati (sic), ha attribuito alla quasi unanimità la idoneità a professore ordinario (prima fascia) al candidato in questione. Il bello doveva ancora venire, dato che la Università che aveva bandito il concorso ha poi chiamato, tra gli idonei, indovinate chi? Ma proprio il candidato che aveva utilizzato la "tecnica imperfetta", il quale, come già detto, era anche il candidato locale. La copiatura evidentemente meritava un premio adeguato. Nello stesso concorso non mancano altre sorprese. Ad es. è stata attribuita l'idoneità anche ad altro candidato che, pur avendo svolto una attività scientifica (cito sempre testualmente dai verbali) "sostanzialmente monotematica", aveva tuttavia pubblicato nel lontano 1979 (e cioè oltre 20 anni addietro), un libro che, quantunque "datato, risulta essere tuttora il più significativo contributo storico-dommatico sull'argomento e presenta caratteri di sicura originalità e innovatività" (sic). Dopo questo fondamentale libro, innovativo nel 1979, che era tuttavia sfuggito non solo a me (forse mi ero distratto) ma anche ad alcuni attenti professori da me interpellati, erano stati pubblicati anche "lavori minori, pure condotti con buon metodo". Tra essi, ha aggiunto la commissione, andava segnalato un "manuale" universitario redatto solo in parte dal candidato in questione. In sostanza, dopo un fondamentale ed "innovativo" libro pubblicato oltre 20 anni addietro, il candidato in parola aveva scritto solo alcuni articoli sullo stesso tema ed una parte di un manuale universitario (di taglio quindi non scientifico ma dichiaratamente divulgativo). In considerazione di tali elementi, la commissione alla quasi unanimità, ha attribuito anche a questo candidato l'idoneità. Inutile dire che il candidato in questione, pur non essendo stato chiamato dall'Università che aveva indetto il concorso (gli è stato preferito il candidato locale di cui si è in precedenza detto), è stato subito chiamato da una ancora più importante e centrale Università. E' sufficiente notare che nella specie si trattava di un concorso a posti di professore ordinario di diritto amministrativo, e cioè di una materia che dovrebbe insegnare agli studenti i principi di imparzialità e buon andamento racchiusi nell'art. 97 Cost. 5. L'università senza futuro. Potrei continuare, ma non mi sembra il caso, dato che l'esempio offerto dal concorso al quale ho fatto riferimento sembra già significativo. Per altri esempi (come quello di un recente concorso, sempre di diritto amministrativo, nel quale i commissari hanno attestato che i candidati che dovevano sostenere la prova orale si erano presentati, mentre ciò non era avvenuto) faccio rinvio agli articoli indicati in calce al presente contributo. Quel che veramente rattrista non è tanto che il fatto che vengono sopravvalutati i titoli dei candidati che debbono vincere, ma che si svaluta il lavoro degli altri candidati senza sponsor (o con sponsors contrari). Si arriva al punto di fare affermazioni che assumono perfino una valenza umoristica ed un significato vagamente surreale. Nel caso dello scrivente si è arrivati al punto di affermare che il suo impegno è calante e regressivo. Per fortuna gli oltre 9000 lettori che ogni giorno si collegano alla presente rivista e le diverse migliaia di abbonati alla rivista Internet ed a quella su carta possono testimoniare il tipo di impegno del sottoscritto. Tuttavia una soddisfazione recentemente l'ho avuta: scorrendo l'elenco degli abbonati, mi sono accorto che ad essi si è aggiunto recentemente anche il nome del commissario che aveva fatto l'affermazione in questione; forse si è accorto che l'impegno dello scrivente non è affatto calante e regressivo ma quotidiano e molto più intenso di quanto non immagini (gli cederei volentieri il posto, in modo da fargli provare con mano cosa significa dirigere una rivista giuridica Internet aggiornata continuamente). Rimane comunque al fondo l'amarezza profonda di vedere l'università italiana ridotta in questo modo. Non a caso, come già detto, si assiste ad una continua fuga di cervelli, specie nelle facoltà scientifiche. Molti di coloro che sono volati oltreoceano per svolgere seriamente attività di ricerca, si rifiutano di tornare. D'altra parte, se l'arbitraggio è truccato, non c'è modo di vincere alcuna partita. Nè c'è comunque da sperare che l'azzeramento delle attuali regole (ammesso che qualcuno abbia il coraggio di eseguirlo) risolva la situazione. Ormai i guasti sono stati compiuti e ci vorranno, nella migliore delle ipotesi, un paio di generazioni per tornare alla normalità. Nel frattempo l'università italiana, con tutto il suo carico di edizioni provvisorie, commissioni itineranti, associazioni pseudo-scientifiche, promozioni sul campo, convegni per tessere accordi, promesse di posti e portaborse, continua sempre più ad allontanarsi dal mondo reale. Giovanni Virga,. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 dic. ’02 MISTRETTA: È UNA SCENEGGIATA, ME NE VADO MA PER FINTA Cagliari Il colmo per un rettore: dimettersi dopo aver insistito per restare (cambiando lo statuto universitario) alla guida dell’ateneo. E infatti a Pasquale Mistretta, il magnifico dell’Università cagliaritana, questa storia delle dimissioni dei rettori non va giù: «Sono dimissioni di facciata, non è così che si risolvono i guai. La protesta è giusta, ma non c’era bisogno di questa sceneggiata». Significa che lei non si dimette? «Ma non si dimetterà nessuno, serve solo ad attirare l’attenzione». Però la Conferenza dei rettori dice che vi siete dimessi tutti. «Così pare: a me non hanno chiesto nulla, però vabbè, facciano come vogliono. Posso anche farlo, ma fa ridere. Per ora non ne so niente, l’ho saputo dai giornalisti. Non penseranno mica che ai politici interessi più di tanto quel che fanno i rettori». Lei dice di no? «Io da tempo protesto con la Regione, ma se stasera mi dimetto, non è che Giorgio Oppi, assessore alla Sanità, si preoccupi (e sto parlando di un amico, con cui si collabora). Perché l’attività amministrativa prosegue. Se si dimettono tutti i primari di un ospedale, allora sì che si paralizza tutto. È un po’ come quand’ero nel gruppo degli intellettuali del Psi, insieme a Ballero, Moro e altri». Che cosa succedeva? «Che ai congressi ci facevano tenere l’introduzione. Poi, siccome senza tessere non contavamo nulla, decidevano senza neanche sentirci. Così sono i rettori per i politici. Poi se uno se ne va se ne elegge un altro, e il problema rimane». Insomma, non vuol lasciare quella poltrona. Teme di ritrovarla occupata? «Sarebbe persino comodo lasciare a un altro la gestione di questo periodo difficile. Certo, diranno che sono attaccato alla poltrona, ma non è vero. Resto per senso di responsabilità, per tentare di limitare i danni». Secondo il presidente della Conferenza dei rettori, non avete più i soldi neppure per il riscaldamento. «Vero. Ci hanno già obbligato a tagliare del 10-15 per cento le spese per i servizi: pulizie, servizi agli studenti, energia elettrica, trasporti». Gli stipendi sono a rischio? «Non quelli dei professori, e di tutti quelli di ruolo: personale tecnico, amministrativo, sanitario. Quella è la prima spesa da garantire. Sono molto preoccupato per tutti i contratti precari, posti di lavoro da 600 euro al mese, ma decisivi per molte famiglie. Dobbiamo fare di tutto per salvarli, è una questione sociale». Può calcolare quanti sono i contratti a rischio? «Di preciso no, ma solo nella cittadella di Monserrato ci sono 509 dipendenti a carico dell’Università. Il primo taglio non colpirà la luce elettrica, comunque da pagare, ma magari una guardia giurata. Il secondo taglio non bloccherà l’ascensore, ma licenzierà un custode. Il terzo non toglierà un albero dal giardino, ma il giardiniere che cura il prato». Per Cagliari si parla di una perdita di 7-8 milioni di euro. «I conti precisi ancora non li abbiamo. Di sicuro le tasse degli studenti sono una voce minima. Non sono contro di loro, però non condivido la protesta per un rincaro di 50 euro. Stiamo già cercando di risparmiare il più possibile. Per esempio, forse non si troverà più la stessa rivista in tre biblioteche diverse». Siamo già alle vacche magre. Ci sono vie d’uscita? «Credo di sì. Quando la Conferenza dei rettori ha incontrato il ministro Letizia Moratti, ho fatto una richiesta: non si può sacrificare una bretella stradale per girare quei soldi all’Università di Cagliari? E fare lo stesso per Sassari, Messina, Palermo, insomma per il Sud? Perché il piano per il Mezzogiorno non deve mica prevedere solo sostegni alle imprese. Noi facciamo formazione, utile anche per l’imprenditoria». E il rimedio è sacrificare le bretelle stradali? «È un modo per aggirare una difficoltà: in Italia è difficilissimo spostare risorse da un ministero all’altro, in particolare a quello dell’Università. Se è direttamente il ministero delle Infrastrutture, per esempio, a finanziarie l’edilizia del nostro ateneo, o quello dell’Ambiente a pagare certe ricerche, per noi va bene, e per il ministero sarà motivo di vanto». Giuseppe Meloni ________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 dic. ’02 CGIL: « MISTRETTA FAI SENTIRE ANCHE LA TUA VOCE» «È incomprensibile la dissociazione di Pasquale Mistretta dalla protesta della Conferenza dei rettori». Ne è convinto lo Snur (Sindacato nazionale università e ricerca) della Cgil, secondo il quale la posizione di Mistretta è «clamorosa, nel momento in cui i senati accademici e i Consiglio di amministrazione delle università italiane approvano nuove forme di dissenso, come la non approvazione dei bilanci di previsione». In una nota della segreteria cittadina, i tagli previsti dalla Finanziaria penalizzano gli atenei più deboli per quanto riguarda le risorse economiche: «È proprio il caso di quelli sardi», prosegue la nota, «e lo Snur cittadino continuerà la mobilitazione per ottenere una Finanziaria che dia prospettive alla ricerca e alle università italiane». Il sindacato della Cgil invita il Rettorato a far sentire la propria voce, in sintonia con le scelte nazionali. ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 dic. ’02 «MISTRETTA È CON IL GOVERNO E ORMAI PENSA SOLTANTO AGLI INTERESSI PERSONALI» Università, duro attacco di Cgil e Italia dei Valori Antonella Loi CAGLIARI. «La dissociazione di Pasquale Mistretta dalle forme di protesta e di pressione decise dalla Conferenza dei rettori delle università italiane appare incomprensibile»: al coro di protesta contro le posizioni assunte dal rettore di fronte ai tagli decisi con la legge finanziaria si unisce anche lo Snur-Cgil, il sindacato universitario che pure in consiglio di amministrazione lo aveva appoggiato nell'approvazione del nuovo regolamento tasse, poi ritirato dopo la valanga di proteste studentesche. «Incomprensibile - è scritto in un comunicato - appare anche il silenzio degli organi di governo dell'Ateneo». «Un silenzio - va avanti la nota - nel momento in cui i senati accademici e i consigli di amministrazione in tutta Italia si esprimono apertamente a sostegno delle posizioni espresse dai rettori e prevedono ulteriori forme di dissenso, come la non approvazione dei bilanci di previsione». È da qui che parte dunque l'invito della Cgil al rettore e agli organi centrali, affiché «facciano sentire la propria voce in sintonia con le scelte nazionali». Una censura all'operato di Mistretta arriva anche dalla Sinistra giovanile che, in una nota, definisce 'grave' la posizione assunta: «Il Magnifico, sminuendo la protesta della Conferenza dei rettori e le iniziative degli studenti di Cagliari ha assunto un atteggiamento ambiguo, scaricando sugli universitari, con l'aumento delle tasse, le conseguenze della scelte della destra e avvallando le politiche del governo». Politiche che, tagliando sulla ricerca e sull'Università «mettono una pesante ipoteca sul diritto allo studio e sulle prospettive di sviluppo culturale, sociale ed economico del paese a discapito - si legge ancora della nota - del meridione e quindi dei giovani sardi». Anche la Lista Di Pietro-Italia dei Valori - in una nota diffusa ieri - attacca Mistretta: «Ha cinicamente ironizzato - scrive la responsabile provinciale Rina Salis - sulla sceneggiate delle dimissioni dei suoi colleghi che con fermezza e coerenza stanno cercando di difendere l'Università pubblica dal disegno chiaramente reazionario e antidemocratico che questo governo sta portando avanti». Espressa solidarietà e appoggio al Movimento studentesco, l'Italia dei Valori sostiene che «con le scelte discontinue e incoerenti Mistretta dimostra di voler perseguire i propri interessi di parte, come peraltro ha già fatto, chiedendo e ottenendo dai suoi elettori la modifica delle norme statutarie che gli consentiranno ancora una volta il rinnovo del mandato rettorale». Intanto tra la popolazione studentesca il malcontento dilaga: facoltà occupate, manifestazioni, assemblee volte a far proseguire il dibattito contro il «regolamento tasse iniquo e classista del rettore» inondano l'Ateneo e contribuiscono a stimolare le polemiche su una situazione di crisi da cui l'università di Cagliari stenta a riemergere. «Restituiteci la libertà di studiare» urlano i giovani in agitazione, contrari a una politica governativa contro il diritto allo studio e alla politica del Magnifico che, aumentando le tasse percentualmente più che in qualsiasi altro ateneo italiano, mira a diminuire di un quarto la popolazione studentesca cagliaritana. E i prossimi saranno giorni caldi: il cda, che dovrà approvare i nuovi contributi, si riunirà martedì e il senato accademico allargato, chiamato a esprimersi sulla modifica della norma che sbarra la rielezione di presidi e direttori di dipartimento per più di due mandati (l'eleggibilità del rettore è già stata corretta un mese fa n.d.r.), è convocato per lunedì pomeriggio. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 dic. ’02 Mistretta sposta di una settimana il Cda ed evita l’occupazione a oltranza BLITZ IN RETTORATO PER LE TASSE Clamorosa protesta degli “Studenti antagonisti” Tutto in due ore. Prima l’occupazione del rettorato, poi la decisione di andar via, dopo un colloquio con Pasquale Mistretta. Una certezza: oggi non si riunirà il consiglio di amministrazione dell’ateneo, con all’ordine del giorno il nuovo regolamento su tasse e contributi. Il rettore l’ha aggiornato a martedì prossimo, 17 dicembre, «sperando anche nel frattempo ci siano condizioni migliori per poter parlare. Io mi guardo bene dal far portare via», dice Mistretta alle otto e un quarto di sera, calcando il tono della voce, «gli studenti che hanno occupato il rettorato». Il blitz scatta intorno alle 17, quando un centinaio di “Studenti antagonisti” di Scienze politiche (da alcuni giorni hanno ripreso l’occupazione in viale Fra’ Ignazio, senza interferire con lezioni e appelli) sposta la protesta in via Università, sotto il rettorato. Vorrebbero occuparlo ma la porta principale è chiusa e davanti al cancello che dà accesso al cortile trovano la Polizia. «Gli agenti fanno il loro lavoro, ma chi li ha chiamati mostra in questo modo debolezza», dice Giulia Maria Calcagnile. «Trattandoci così il rettore ci offende: questo è il dialogo che ha sempre detto di voler avere con noi studenti?», aggiunge Erika Cuscusa. «Se ci riceve in delegazione e accetta il ritiro dall’ordine del giorno del regolamento sulle tasse, noi andiamo via», spiega Aureliano Cabiddu. Con una mossa delle sue, Mistretta spiazza tutti e, con indosso un cappotto blu, si presenta davanti ai manifestanti. All’aperto. «In questo ateneo ci sono 10 mila studenti che hanno votato per essere rappresentati. Voi, che siete poche centinaia, state spostando il gioco democratico». Le repliche, amplificate con cori e un megafono, si sprecano. «La verità, professor Mistretta, è che lei ha ascoltato le nostre richieste: ha fatto promesse», dice Luca Belà, «e non le ha mantenute. Ci sentiamo presi in giro». Il faccia a faccia continua, gli agenti controllano, il clima è accesso, ma niente di più. Mistretta: «Sapete benissimo che le prime due fasce sono state liberate da ogni aumento». Uno studente: «Lei ha abolito il contributo di facoltà per gli studenti delle province di Oristano e Nuoro. Da Mogoro a Cagliari ci vogliono 45 minuti, per arrivare qui da Carloforte ci vogliono ore e ore». Mistretta: «Queste cose si possono anche vedere». Replica: «Ma se lei ha già deciso tutto. Torni al regolamento dell’anno scorso». Il rettore: «Non ci penso neanche. Io sto cercando di difendere gli equilibri di questo ateneo, dove ci sono rappresentanze elette. Potrei anche condividere alcune vostre posizioni, ma sotto pressione no». Il rettore rientra e, approfittando del cancello che si apre, gli studenti, dopo qualche spinta, guadagnano il corridoio al primo piano su cui si affaccia la sala che, oggi, avrebbe dovuto ospitare il Cda. Si fanno i programmi per la notte. C’è anche chi, come Jennifer Porcu, lavora a una tesina. Poi un’altra sorpresa. Mistretta sposta di una settimana il Cda. Il dialogo potrebbe riaprirsi. Gli studenti tornano in facoltà, ma non mollano la presa: l’occupazione di Scienze politiche continua. Emanuele Dessì ________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 dic. ’02 MISTRETTA: LA CLINICA ARESU OSPITERÀ IL CDA Il malessere degli studenti universitari è testimoniato, in questi giorni, dall’occupazione di quattro facoltà: Scienze politiche (che ha fatto da apripista alla rivolta contro il caro-tasse), Psicologia, Lettere e Ingegneria. Con gli studenti solidarizza anche l’Italia dei valori: Rina Salis, responsabile provinciale, stigmatizza le mancate dimissioni del rettore a sostegno della protesta nazionale per i tagli agli atenei. Quella che inizierà domani potrebbe essere la settimana decisiva per l’aumento delle tasse universitarie. Il regolamento con i rincari era stato ritirato dal rettore Pasquale Mistretta a novembre per evitare una possibile bocciatura al Tar. Con due ricorsi, è stato contestato il mancato coinvolgimento del “Consiglio degli studenti”. Questa volta c’è stato, anche se il rettore non fatto grandi concessioni. Il “Collettivo degli studenti antagonisti”, anche con azioni clamorose (la doppia occupazione del Rettorato) chiede che si torni al regolamento tasse e contributi dello scorso anno. Mistretta ha già detto no. Il consiglio di amministrazione, con all’ordine del giorno il nuovo regolamento, si riunirà martedì alle 9 nell’auditorium della Clinica Aresu e non nel Rettorato di via Università. La ragione è semplice: è molto più facile da proteggere. Si era persino pensato alla Prefettura, ma ha prevalso la volontà di mantenere il Cda tra i locali di proprietà dell’ateneo. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 dic. ’02 ALGHERO: LA RIVOLTA DELL’UNIVERSITÀ FANTASMA Scienza dell’ambiente e Architettura ancora prive di attrezzature per la didattica Gli studenti: «Dateci una sede o non pagheremo le tasse» Alghero Cresce la rabbia degli studenti della facoltà di Scienze del mare che minacciano di non pagare le tasse universitarie di febbraio. Arrivato al secondo anno di vita, il corso (innovativo nel panorama universitario regionale) è frequentato da sessanta giovani provenienti da tutta l’Isola che però lamentano vari inconvenienti sia di natura didattica sia logistica. A compromettere il regolare svolgimento dell’attività universitaria, secondo iscritti, ci sarebbe soprattutto il problema della sede. «È ormai passato un anno esatto da quando è decollato il nostro corso di laurea Ñ raccontano gli studenti Ñ e fino a oggi le lezioni si svolgono con il minimo indispensabile (leggi aula, sedie e lavagna luminosa)». Ragazzi e docenti sono ospiti dell’Amministrazione nei locali del Pou Salit, un prestigioso palazzo nel cuore del centro storico, dove però risiedono anche gli uffici comunali. «Ci vengono assicurate solo aule per le lezioni teoriche», spiegano gli universitari che, da parte loro, hanno già rivolto una serie di richieste sia al Comune che all’ateneo sassarese. Innanzitutto più spazi per le lezioni. Poi la disponibilità di alcuni libri di testo delle varie discipline, il tanto da allestire una piccola biblioteca a cui i vari docenti sarebbero anche disposti a contribuire, visto che non ci sono risorse finanziarie. Tra le esigenze degli studenti anche un personal computer con connessione internet e una fotocopiatrice. «Servizi minimi essenziali Ñ sottolineano i ragazzi Ñ perché una struttura universitaria possa funzionare in maniera decorosa». A ciò bisogna aggiungere il grave disagio dei pendolari e degli studenti fuori corso costretti a rifugiarsi in un bar durante l’ora di pranzo perché la sede universitaria chiude i battenti. «Visto che una mensa o una casa dello studente sono cose irraggiungibili Ñ continuano gli iscritti Ñ gradiremmo almeno una convenzione con qualche esercizio di ristorazione». Istanze tutto sommato ragionevoli e che sono già state presentate dal Comune algherese: «Conosciamo bene la situazione di difficoltà in cui versa la facoltà di Scienze del mare - ha ammesso l’assessore alla Pubblica istruzione, Antonello Muroni - ma finché non arriva il finanziamento regionale abbiamo le mani legate». Per la costituzione del Consorzio servizio universitari (di cui faranno parte Università di Sassari, Comune e Provincia) ci sono pronti circa un milione e mezzo di euro di cui il 33 per cento destinato alla facoltà di Scienze del mare e il restante 67 per cento per quella di Architettura mediterranea, istituita quest’anno tra mille difficoltà per il reperimento dei locali adatti. Anche qui gli studenti lamentano una situazione di vera emergenza, con le lezioni dislocate tra la sala convegni del chiostro di San Francesco e i locali della Villa Costantino (futura sede del museo del corallo) dove ci sono i laboratori didattici e di progettazione. Questa soluzione rimarrà in vigore fino alla fine dell’anno. Dal mese di gennaio invece l’Università di Architettura sarà accolta nei locali dell’ex orfanotrofio di via Principe Umberto, attualmente interessati da lavori di messa in sicurezza, grazie ad un accordo di collaborazione tra Comune e Diocesi di Alghero-Bosa, che prevede la concessione della struttura in comodato d’uso per 10 anni. Nel frattempo l’Amministrazione sta ristrutturando l’ex asilo Magnanelli, vicino al porto, sede ultima della facoltà. Caterina Fiori =========================================================== ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 09 dic. ’02 MEDICINA, DUE FACOLTÀ IN RIVOLTA "La Regione non ha creato l'azienda con l'Università" Per la prima volta riunione congiunta dei consigli di ateneo CAGLIARI. Riunione congiunta domani a Cagliari nell'aula magna del policlinico di Monserrato dei consigli di facoltà delle due facoltà di Medicina e Chirurgia di Cagliari e Sassari. La riunione è stata convocata dai due presidi e si tratta di una iniziativa senza precedenti: da anni le due facoltà si trovano in difficoltà enormi perché non vengono applicate le leggi che hanno cambiato i rapporti tra università e servizio sanitario nazionale. La Sardegna è l'unica a non aver ancora istituito l'azienda mista Regione-Università. "In Sardegna - si spiega in una nota - l'adeguamento dei rapporti tra università e servizio sanitario prescritto dal decreto legge 502 del 1992 non è mai stato attuato e quello prescritto dal decreto legge 517 del 1999. Questa anomalia ha prodotto e continua a produrre effetti negativi sulla funzionalità, sulla competitività e sull'immagine stessa delle due facoltà mediche sarde. Esse continuano a restare inserite all'interno del modello gestionale delle aziende Usl, al contrario delle altre facoltà del Paese che operano all'interno di aziende ospedaliere di rilievo nazionale. Le facoltà mediche sarde - si avverte nella nota - rischiano pertanto di non avere i requisiti per vedere accreditati, nell'ambito dell'attuale modello della competizione interuniversitaria, i loro corsi di studio, compresi quei corsi di laurea nelle professioni sanitarie che hanno dovuto attivare per rispondere alle esigenze del servizio sanitario. La riunione congiunta dei consigli delle facoltà mediche sarde discuterà in modo approfondito le problematiche relative alla mancata attuazione dei disposti normativi che, altrove, hanno rideterminato i rapporti tra università e servizio sanitario per rispondere alle nuove e più impegnative esigenze didattico scientifiche della facoltà di Medicina. Nella riunione verrà adottata una risoluzione congiunta per sbloccare l'attuale situazione di stallo, prevedendo anche un dimensionamento dell'attuale offerta formativa nel caso non ci fosse la volontà politica di risolvere l'annosa questione della ridefinizione dei rapporti tra università e servizio sanitario regionale". ________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 dic. ’02 CAGLIARI-SASSARI«PIÙ RAPPORTI TRA UNIVERSITÀ E AZIENDE SANITARIE» Oggi il consiglio congiunto delle Facoltà di medicina di Cagliari e Sassari Una strategia comune per avvicinare L’Università e le Aziende sanitarie locali. È l’obiettivo del consiglio congiunto delle facoltà di Medicina e chirurgia delle università di Cagliari e Sassari, in programma oggi alle 16 nell’aula magna del complesso universitario di Monserrato. In Sardegna, caso unico in Italia, i rapporti tra Università e Servizio sanitario nazionale sono regolati da convenzioni Regione-Università stipulate più di quindici anni fa. Per assicurare alle facoltà di Medicina le risorse necessarie per la formazione e la ricerca, le convenzioni andrebbero aggiornate in relazione all’evoluzione e alle modifiche delle norme universitarie in materia di formazione. Lo stallo in cui si trovano le due facoltà producono effetti negativi sulla loro funzionalità, competitività e immagine. Da qui l’importanza della riunione durante la quale si prenderà in considerazione un dimensionamento dell’attuale offerta formativa nel caso non si riscontrasse la volontà politica di risolvere la situazione. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 9 dic. ’02 POLICLINICO, LA CAPPELLA DEDICATA A FRA’ NICOLA MONSERRATO. Finalmente una cappella al Policlinico: sarà intitolata al Beato Nicola da Gesturi. Questa mattina, alle 10,30, l’arcivescovo Ottorino Alberti officerà la prima messa nella nuova cappella ricavata all’interno del complesso universitario e, al termine, ci sarà la dedicazione della mensa eucaristica. Dopo la consacrazione dell’altare, la cappella verrà intitolata al beato Nicola da Gesturi, l’ultimo sardo (in ordine di tempo) chiamato alla gloria degli altari e alla venerazione del popolo cristiano. Negli ultimi mesi, soprattutto tra i pazienti, le richieste di cerare nel Policlinico uno spazio per la preghiera erano diventate insistenti. Giuseppe Carrucciu, padre cappuccino, da vent’anni è il padre spirituale di intere generazioni di studenti universitari e ammalati: «Il policlinico è una struttura recente - ha detto il frate: - sino a oggi non avevamo un luogo di culto. Dopo due anni e mezzo, e tante lotte, siamo riusciti a fare in modo che venisse realizzata una cappella: un luogo di preghiera per gli ammalati e i familiari». (fr.pi.) ________________________________________________________ Corriere della Sera 12 dic. ’02 LOMBARDIA, TICKET SU MEDICINALI E PRONTO SOCCORSO Esenzioni previste solo per i pensionati al minimo. Critiche dal presidente dei farmacisti. Formigoni: necessario per garantire la qualità Cremonesi Marco MILANO - Sorpresa: da questa mattina la Lombardia è l' undicesima regione italiana a reintrodurre il ticket sui farmaci: due euro per confezione, quattro se le confezioni prescritte in ricetta sono più d' una. Inoltre, si pagherà anche il pronto socc orso: trentacinque euro che possono diventare cinquanta «in caso di altre prestazioni diagnostiche o terapeutiche». In pratica, se vengono effettuate radiografie o altri esami. Le esenzioni sono previste per i pensionati al minimo soltanto per il tic ket farmaceutico. Senza future correzioni, chieste anche dalla maggioranza che governa la Lombardia, il conto del pronto soccorso lo pagheranno invece tutti, a meno che la visita non si trasformi in ricovero. La sorpresa non è tanto nel ritorno alla partecipazione dei cittadini alla spesa farmaceutica: il provvedimento era nell' aria da tempo. Soltanto, il suo varo è stato comunicato ieri per entrare in vigore oggi. Suscitando le aspre critiche delle opposizioni, le perplessità della maggioranza (che pure sulla sostanza è d' accordo), e le proteste dei farmacisti: «Lo abbiamo scoperto leggendo le agenzie di stampa - dice il presidente dei titolari di farmacia milanesi, Paolo Gradnik -. Il problema è che non abbiamo il tempo di aggiornare i software, e nei primi giorni dovremo fare tutto a mano. Le code sono più che prevedibili: sono probabili». Ma la fretta, secondo l' assessore alla sanità Carlo Borsani, sarebbe stata necessaria: «Per evitare incette e accaparramenti che avrebb ero messo in forse il significato della decisione». Il ritorno del ticket si deve allo sfondamento del tetto di spesa farmaceutica fissato nella conferenza Stato-Regioni dell' 8 agosto 2001. Allora, governo e presidenti di Regione concordarono che il conto per le medicine non dovesse superare il 13 per cento della spesa sanitaria complessiva. Nella delibera lombarda è tuttavia scritto che sulla base del periodo gennaio-ottobre 2002 «è stimabile» che la spesa superi tale tetto. Ma già tra il 2000 (anno con il ticket) e il 2001 (anno senza ticket), l' incidenza del farmaceutico in Lombardia era passata dal 12,3% al 14,5%. Il ticket sul pronto soccorso, sempre secondo il testo del provvedimento, sarebbe dovuto all' eccesso di «prestazioni rite nute inappropriate». Testimoniato anche dal fatto che soltanto il 20% dei pazienti necessita di ricovero dopo la visita d' urgenza. Spiega il presidente Formigoni: «Introduciamo i ticket perché a fronte dell' aumento considerevole della spesa sanitar ia, dato nazionale e continentale, non intendiamo intaccare la qualità del servizio sanitario per tutti i cittadini; al contrario, vogliamo mantenerla e tendenzialmente aumentarla». In serata i segretari regionali della Casa delle libertà hanno diffu so un comunicato di sostegno al provvedimento, con le motivazioni già indicate da Formigoni. Un appoggio necessario anche a placare i malumori serpeggianti tra i consiglieri regionali: martedì sera alle 18 erano stati convocati dal governatore per as coltare la filosofia del provvedimento, con l' intesa che ieri avrebbero potuto presentare le loro osservazioni. Appena usciti gli eletti, la giunta si è riunita ed ha approvato i ticket seduta stante. Marco Cremonesi I PRECEDENTI CHI L' HA INTRODOTT O Sono dieci le Regioni che hanno reintrodotto il ticket sulle scatole di medicinali, abolito nel 2000 dal ministro Veronesi. Sono Abruzzo, Calabria, Lazio, Liguria, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Veneto e la provincia di Bolzano IL RIS PARMIO Se tutte le Regioni reintroducessero il ticket sui medicinali, le casse pubbliche risparmierebbero 2,1 miliardi di euro l' anno LE TIPOLOGIE Esistono molte forme di ticket. Quello sulla ricetta si è rivelato un fallimento: per aggirarlo basta trovare un medico disposto a scrivere meno ricette con più farmaci. In Lazio, dove questa misura è stata abbinata alla limitazione delle pluriprescrizioni, il provvedimento ha invece dato risultati: in due mesi di applicazione delle due manovre, la s pesa è diminuita del 13,4 per cento. A farne le spese, soprattutto i malati cronici ________________________________________________________ LA Stampa 14 dic. ’02 LA CRISI DELLA SANITÀ SVUOTA LE CASSE DELLA REGIONE LOMBARDIA L´assessore al Bilancio Colozzi: «Il governo ha sottostimato il nostro fabbisogno». Meno soldi anche per il territorio La cassa è vuota. E a nessuno venga in mente di chiedere nuovi fondi. Lo ha spiegato senza giri di parole Roberto Formigoni ai suoi assessori, riuniti in giunta pensando di dover approvare le delibere per quel bilancio, che lunedì dovrà arrivare in aula per essere discusso. Per la ricca Lombardia fare i conti quest´anno è più difficile che in passato. E così anche il ticket sui farmaci introdotto 3 giorni fa e la conferma dell´addizionale Irpef chiesta nel 2001 come una tantum rischiano di diventare solo dei pallativi. Anche perché la costosa sanità rispetto allo scorso anno deve fare a meno di 80 miliardi di stanziamenti statali, dopo che il fondo nazionale di compensazione sanitario ha infatti ribassato le rimesse per la Lombardia dello 0,03%. Non nasconde la crisi Romano Colozzi, assessore regionale al Bilancio: «I problemi sorgono perché le somme concordate l´8 agosto del 2001 con il governo per il triennio 2001-2004 sono sottostimate rispetto ai bisogni del nostro sistema sanitario». Formigoni, dopo aver visto il ministro dell´Economia Giulio Tremonti, non ha voluto illudere i suoi. Certo, ha detto che «la partita non è ancora chiusa», ma subito ha aggiunto che «il maxiemendamento promesso dal governo non mi entusiasma». In giunta ieri, visti i problemi sul tavolo, nessuno ha voluto parlare degli agguati che la maggioranza rischia di correre sull´approvazione del bilancio o di riscrivere i minimi per le esenzioni sui ticket. Tutti hanno ascoltato in silenzio il presidente ipotizzare che senza adeguati stanziamenti del governo per l´alluvione, quei soldi vanno cercati in casa, tagliando dove è possibile. Inutile dire che in molti hanno pensato al peggio quando il capodipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ha annunciato l´arrivo di 50 milioni di euro: «Subito spendibili», ma anche da dividere tra le regioni del Nord. L´assessore alla Protezione Civile Carlo Lio, che ne ha chiesti 200, non ha trattenuto la rabbia: «Con questi soldi non paghiamo nemmeno gli interventi fatti dai sindaci». Il governatore nasconde con bravura le sue preoccupazioni, ostentando sicumera come ha fatto ieri annunciando davanti alle telecamere uno stanziamento in tre anni per la ricerca di 300 milioni di euro, messi a disposizione in parti uguali da giunta, Ue e governo. Soldi da destinare al progetto Rise (Ricerca, innovazione e sviluppo economico) curato insieme con l´Irer, che serviranno a università, centri di ricerca indipendente o statale di progettare prodotti e servizi, da offrire alla piccole e medie imprese. Alle quali serve innovazione tecnologica. Trecento milioni che, secondo il governatore, «faranno da volano per altri 700 in arrivo dal privato». FRANCESCO PACIFICO ________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 dic. ’02 I DEPUTATI SARDI DELL’ULIVO: «A CAGLIARI IL CENTRO CONTRO LA TALASSEMIA» Un gruppo di deputati sardi dell’Ulivo ha presentato un ordine del giorno, primo firmatario Pietro Maurandi (Ds), sull’istituzione del centro di alta specializzazione per il trattamento e lo studio della talassemia. L’ordine del giorno, accolto come raccomandazione dal Governo, include fra i criteri per la scelta della sede del centro, l’esperienza maturata in merito alla prevenzione e alla cura della talassemia e i risultati ottenuti in termini di riduzione dell’incidenza della patologia sulla popolazione. «Questi criteri - spiega una nota dei deputati dell’Ulivo - sono precisamente quelli che caratterizzano l’Ospedale microcitemico di Cagliari, che da molti anni porta avanti un’esperienza riconosciuta in campo internazionale, con risultati di alto livello per la sconfitta della malattia. Per questa ragione l’ospedale sardo può autorevolmente condidarsi a sede di specializzazione sulla talassemia. Poiché in altre regioni italiane non mancano ospedali che, pur non potendo vantare i risultati del microcitemico sardo, sono pur sempre di alto livello - prosegue la nota - è necessario un tempestivo intervento della Regione, che faccia valere le competenze e l’esperienza del centro ospedaliero di Cagliari». Per questa ragione i parlamentari (Maurandi, Francesco Carboni, Antonello Cabras, Salvatore Ladu, Tonino Loddo e Antonello Soro) hanno inviato una lettera al presidente della Regione, all’assessore alla Sanità e al presidente del Consiglio regionale per sollecitare un intervento nei confronti del Governo e proporre che il Microcitemico di Cagliari diventi la sede del nuovo Centro di alta specializzazione sulla talassemia. Francesco Giavazzi giavazzif@yahoo.com _________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 dic. ’02 NASCE PROMETEO PER SOSTENERE I TRAPIANTI DI FEGATO Un’associazione per sostenere i trapiantati di fegato. L’iniziativa è di un gruppo di persone che hanno vissuto il dramma della malattia e che sono riusciti a superarla. «In Sardegna non esiste un centro di trapianti e non si conosce né il numero degli interventi fatti né quello di chi è in lista d’attesa», ha detto con preoccupazione Rosanella Zonza Asquer, neo-presidente dell’associazione Prometeo. «Noi saremo il punto di riferimento per tutti coloro che hanno bisogno di informazioni e sostegno, ma combatteremo anche per i diritti dei trapiantati». Chi volesse contattare il centro può telefonare la mattina al numero 070/882617 (fax 070/837315), o recarsi nella sede di Quartu in via Ravenna 3 (presso la scuola di Interpreti). Primo obiettivo della Prometeo è di fare una stima degli interventi effettuati e di chi ancora è in attesa. In secondo luogo fare in modo che i trapiantati abbiano il rimborso totale delle spese di viaggio e permanenza per i controlli nei centri in cui sono stati operati: «Fino ad ora viene rimborsato solo un day hospital - spiega Asquer - spesso però dobbiamo stare fuori per giorni». I malati in attesa di trapianto sono costretti a vivere vicino all’ospedale in cui saranno operati. Le spese sono altissime, anche perché non è possibile prevedere quanto bisognerà aspettare. Per i più fortunati si tratta di mesi, per altri anche di anni. «Forse sarebbe diverso se ci fosse una vera cultura della donazione», ipotizza padre Giuseppe Carrucciu, che lavora al policlinico universitario e fa parte del Comitato etico che si esprime in materia di trapianti. Domani alle 19, in Cattedrale, verrà celebrata una messa per i donatori, «coloro a cui dobbiamo la vita». A. G. ________________________________________________________ Le Scienze 13 dic. ’02 LA MALARIA AL CONTRATTACCO Sorgono dubbi sulla possibilità di trovare un vaccino semplice contro la malattia I ricercatori hanno scoperto che una mutazione genetica, comune negli abitanti della Papua Nuova Guinea, è in grado di conferire protezione contro la malaria. Purtroppo il parassita della malattia può eludere questo tipo di difesa in parecchi modi, il che rende pessimisti i medici sulla possibilità di trovare un unico vaccino. La malaria è causata dal Plasmodium falciparum, che invade le cellule del sangue e si riproduce al loro interno. Per entrarvi, il parassita sfrutta una proteina che si trova sulla sua membrana esterna, inserendola in un recettore sulla superficie della cellula come una chiave in un lucchetto. L’anno scorso, è stata identificata una seconda possibile proteina “chiave”, chiamata BAEBL o EBA140. Il suo corrispondente “lucchetto”, come mostrano ora il parassitologo Alan Cowman dell’Istituto di ricerca medica Walter and Eliza Hall di Melbourne, in Australia, risulta essere un recettore di nome glicoforina C. L’aggiunta di anticorpi contro EBA140 può impedire l’ingresso dei parassiti. In Papua Nuova Guinea, quasi la metà della popolazione presenta una versione mutata della glicoforina C, che li rende resistenti alla malattia. In loro, però, gli anticorpi contro EBA140 non hanno effetto, segno che i parassiti usano un altro metodo per penetrare nelle cellule. Un altro studio, del ricercatore americano Louis Miller, mostra che nel mondo sono presenti almeno quattro versioni di EBA140. Solo una si lega alla glicoforina C, mentre le altre tre hanno obiettivi ancora sconosciuti e forniscono ai parassiti nuovi modi di entrare nelle cellule. ________________________________________________________ Corriere della Sera 12 dic. ’02 NEL CUORE STAMINALI DI RISERVA Cellule staminali hanno sede nell' atrio del cuore e, se attivate, possono concorrere a ricostituire una normale funzionalità cardiaca dopo un infarto miocardico, evitando il trapianto. È quanto emerge dagli studi condotti da Piero Anversa, direttore del Centro di Ricerca sulle malattie cardiovascolari di Valhalla, a New York, illustrati ieri in una lettura magistrale alla Seconda Università di Napoli. Anversa ha spiegato che, in diversi studi condotti su animali da esperimento, è stato dimostrato che alcune cellule cardiache, i cardiomiociti, hanno la capacità di dividersi. Questa capacità crea i presupposti per la rigenerazione di tessuto cardiaco dopo infarto da parte delle cellule sopravvissute, che esprimono, precocemente e tardivamente, geni legati alla crescita. «Accanto a questa evidenza - ha concluso lo scienziato - ne sono state acquisite molte altre e possiamo quindi affermare che la rigenerazione delle cellule cardiache e la loro capacità di moltiplicarsi e di crescere più grandi, crea una vera e propria riserva di recupero per il cuore». ________________________________________________________ Le Scienze 11 dic. ’02 LA PARALISI DEL CORPO NON FERMA IL CERVELLO Le aree cerebrali responsabili di movimento e sensazioni rimangono attive anche in un quadriplegico Le regioni del cervello coinvolte nel movimento e nelle sensazioni possono restare relativamente attive e in salute anche anni dopo che il corpo è stato paralizzato. Lo testimonia una ricerca effettuata dalla Scuola di Medicina dell’Università di Washington di St. Louis. Esaminando un quadriplegico, un gruppo di ricercatori ha scoperto che le aree cerebrali che normalmente sono responsabili per alcuni movimenti e sensazioni hanno mantenuto le proprie capacità, cinque anni dopo una paralisi completa in seguito al danneggiamento del midollo spinale. “Che ci sia stabilità nel cervello nonostante il corpo non invii segnali - afferma il medico Maurizio Corbetta - è una buona notizia. Tuttavia sono necessari studi più lunghi e su più pazienti prima di chiarire cosa questo comporti per un’eventuale recupero dalle lesioni al midollo spinale.” Lo studio è stato condotto da Corbetta, professore associato di neurologia, e da Harold Burton, docente di anatomia e neurobiologia, usando immagini di risonanza magnetica funzionale (fMRI) per confrontare gli schemi dell’attività cerebrale del paziente e di un soggetto sano. Un articolo apparirà sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences“ (PNAS). ________________________________________________________ LA Stampa 10 dic. ’02 UN «CHIP» NELLA RETINA POTRÀ RIDARE LA VISTA RICERCA NEGLI USA: TRA 36 MESI L´APPLICAZIONE SU UN UOMO corrispondente da NEW YORK Un microchip con mille elettrodi, capace di trasformarsi in retina artificiale e restituire le vista a chi l'ha perduta: è questo il progetto scientifico dell'Università di California, che il Dipartimento dell'Energia di Washington ha già finanziato con nove milioni di dollari e che, grazie alla collaborazione degli scienziati del Lawrence Livermore National Laboratory della Nasa, si propone adesso di centrare l'obiettivo del primo occhio artificiale entro i prossimi trentasei mesi. L'amministrazione Bush ha alzato il velo sul progetto una volta accertato il successo del prototipo nella prima fase sperimentale. Si tratta di una retina artificiale - definita di «prima generazione» - dotata di soli sedici elettrodi, che è stata impiantata su tre cani: l´intervento è riuscito ad aiutare gli animali a distinguere senza difficoltà la presenza di luce. Il microchip è grande appena quattro millimetri e viene impiantato nel corpo con un'operazione chirurgica, grazie all'uso di un tipo di silicone, il polidimethisiloxane (Pdms), che riesce ad essere particolarmente flessibile senza causare danni ai tessuti dell'organismo. La scelta del tipo di silicone è stata un passaggio decisivo in questa fase della ricerca, per superare il problema della tossicità nei confronti del corpo umano. La funzione del microchip è quella di porre rimedio alla cecità: riattiva le cellule attorno alla retina che non sono state danneggiate, per consentire all'occhio di tornare vedere. Il principio base è infatti quello che può essere sufficiente anche un ridotto numero di cellule della retina per vedere, se le loro falcoltà vengono accresciute grazie alla stimolazione del microchip. Aumentando da sedici a mille il numero degli elettrodi gli scienziati che conducono la ricerca all'Università di California sono convinti di consentire ad un essere umano di poter non solo distinguere la luce dal buio, ma singole immagini. «Riuscire in questa impresa significa realizzare qualcosa di davvero straordinario» ha dichiarato il titolare del dicastero dell'Energia, Spencer Abraham. Per arrivare a realizzare il microchip di «seconda generazione» il Dipartimento dell'Energia Usa è chiamato ora ad approvare nuovi finanziamenti. Il microchip dell'Università della California è solo l'ultimo passo compiuto dalla scienza nel costante tentativo di restituire al corpo umano la facoltà della vista. Lo scorso anno l'agenzia spaziale americana Nasa, sulla base di esperimenti condotti su un satellite lanciato dalla navetta Shuttle, progettò la realizzazione di un occhio bionico utilizzando pellicole di ceramica ed evitando il ricorso al silicone. La rivista «Nature Genetics» ha pubblicato, sempre nel 2001, i risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università della Pennsylvania su una terapia genetica la cui l'applicazione aveva dato risultati positivi su alcuni cani afflitti da un particolare disordine genetico, che a volte compare anche negli essersi umani: la carenza del gene «RPE65». Nel 2000 era stato invece un team dell'Università cattolica di Lovanio, in Belgio, a sperimentare un sistema ingegnoso che prevedeva una microtelecamera esterna al corpo umano che inviava segnali via radio ad una microantenna impiantata alla base del cervello e collegata a sensori e stimolatori dei nervi ottici del corpo umano. Maurizio Molinari