POLARIS:UN NOBEL PER IL PARCO SCIENTIFICO POLARIS:«LA RICERCA È UN MERCATO DI NICCHIA» POLARIS: SOLO SETTE TIPI DI IMPRESE CONTROLLANO TUTTO IL SISTEMA ORISTANO: TRE STUDENTI SU QUATTRO ALLA CONQUISTA DI UNA LAUREA DIPLOMATI ISEF: PRIMO SÌ PER LA LAUREA DIPENDENTI PUBBLICI SOSPESI "A TEMPO" PRIVACY: I DATI DEI CURRICULA VANNO TUTELATI ========================================================= IL RINNOVO NELLA SANITÀ FA I CONTI CON L'ALLARME COSTI DELLE REGIONI SARDEGNA: FARMACI, IL RITORNO DEI TICKET È TORNATO IL TICKET SUI FARMACI L'ORDINE DEI MEDICI: DOV'È L'ELENCO DEI PRODOTTI? POLICLINICO MOBSERRATO: "NON BLOCCATE LE AMBULANZE" LA CANAPA “LEGALIZZATA” IN LOMBARDIA CONTRO IL DOLORE CRONICO TROPPA IGIENE IN OCCIDENTE COSÌ AUMENTANO LE ALLERGIE COMBATTERE LA DEPRESSIONE CON I PLACEBO RESISTENZA ACQUISITA ALL'EPATITE C ADESSO COMANDANO LE PROTEINE L'HIV È INTELLIGENTE E SA DOVE DEVE COLPIRE UN VACCINO CONTRO LA DROGA GESSA: "UNA RICERCA LIMITATA CHE SFRUTTA LA DISPERAZIONE" QUANDO IL NORD È CURATO DAI MEDICI DEL SUD ========================================================= ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 4 mag. '02 UN NOBEL PER IL PARCO SCIENTIFICO La Regione e il Consorzio 21 si preparano all'apertura del polo tecnologico di Piscina Manna Rubbia guiderà il Comitato di Polaris: ieri l'insediamento Il Parco scientifico e tecnologico della Sardegna comincia ad animarsi. Ieri, nell'oasi verde di Piscina Manna, sede centrale di Polaris, si è insediato il Comitato di consultazione strategica, l'organismo che affiancherà il Consorzio Ventuno (l'ente gestore) per gli orientamenti scientifici, tecnologici e imprenditoriali delle attività di ricerca legate al parco. La presidenza, affidata al premio Nobel Carlo Rubbia, e la composizione (nomi di alto prestigio a livello nazionale e mondiale) sono la prova del livello di eccellenza che la ricerca può raggiungere nell'Isola: il suo compito - come ha spiegato lo stesso presidente onorario del Crs4 - è quello di "fare da guida, dare raccomandazioni e suggerimenti ai centri di ricerca al fine di orientarne l'attività ma non per imporre progetti". Del comitato fanno parte rappresentanti del campo della ricerca, della tecnologia, dell'economia e dell'impresa (c'è anche il patron di Tiscali, Renato Soru) oltre ai due rettori delle Università di Cagliari e Sassari. Ieri, terminata la riunione, sono stati presentati dal presidente del Consorzio 21, Antonello Fonnesu, e dal capo della Giunta regionale Mauro Pili, proprio all'interno di uno dei cinque edifici che già compongono il parco. Naturalmente è stata l'occasione per parlare dei progetti prossimi venturi, dal momento che il polo tecnologico di Pula comincerà a funzionare a settembre. "Alla fine dell'estate ci sarà l'inaugurazione - ha confermato Fonnesu - ma stiamo già programmando la progettazione e l'esecuzione del secondo lotto del parco per renderlo operativo al massimo". Dopo la prima tranche di finanziamenti (78 miliardi di lire) il Governo, per bocca del ministro Beppe Pisanu, ha assicurato infatti l'impegno per 40 milioni di euro che serviranno a completare il progetto e a raggiungere l'obiettivo finale, un polo hi-tech d'attrazione competitivo per forti ricadute sul territorio. "Vogliamo far capire che il Crs4 ha portato la Sardegna all'avanguardia come centro di eccellenza - ha detto Pili - ma oggi è necessario andare oltre e la collaborazione con le imprese e le università va in questa direzione: il compito del comitato sarà quello di individuare le nicchie dove la Sardegna può svolgere un ruolo da protagonista". I settori su cui puntare sono quelli dell'informatica avanzata (che ha portato al successo Tiscali), dell'agroalimentare (per migliorare i prodotti che mangiamo) e della conoscenza della vita (biotecnologie). Sarà una dura competizione e Rubbia mette in guardia: "Mai cercare di fare quello che stanno già facendo gli altri. Gli incubatori di conoscenza sono tanti, nascono dappertutto: il problema è scoprire nicchie ancora vergini, come è successo col web 15 anni fa, per indirizzare la ricerca della Sardegna. Il Comitato ha proprio questo compito e deve diventare un ponte fra le conoscenze di base e l' uomo "faber" che deve creare, cioè costruire". L'esempio da seguire è proprio Tiscali. "Il parco inizierà a crescere a ottobre e non smetterà di svilupparsi come quando si pianta un alberello e lo si vede crescere - ha detto Soru - ci sono tante imprese del mondo di Internet che stanno aspettando spazi e collaborazioni migliori nel campo della ricerca". Dalle Università sarde l'auspicio che il parco "apra" ai giovani, agevolando i loro contatti con le imprese, fin dagli ultimi anni del corso di studi. Carla Raggio ___________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 mag. '02 POLARIS:«LA RICERCA È UN MERCATO DI NICCHIA» Istituito un Comitato che indirizzerà le scelte tecniche del Consorzio Ventuno Pili tende la mano a Rubbia: «Ci farà comodo anche la critica costruttiva» di Alfredo Franchini CAGLIARI. «Polaris è giunto nel sistema sardo come un colpo di rasoio che separa il passato dal futuro». Ne è sicuro il presidente della giunta, Mauro Pili, che è intervenuto alla riunione del "Comitato di consultazione strategica", il nuovo organismo che dovrà indirizzare l'attività del Consorzio Ventuno. Le polemiche di qualche anno fa sono passate, la Regione torna a puntare sulla ricerca. La riunione di ieri mattina a Piscinamanna (160 ettari sulle propaggini del massiccio montuoso del Sulcis) ha sancito la pace della Regione con Carlo Rubbia, il premio Nobel per la Fisica che ha accettato di presiedere il «Comitato di consultazione strategica» dopo le tensioni degli anni passati: Rubbia fu il vero artefice del Crs4, quello che era considerato allora il «Centro di calcolo matematico più potente d'Europa» ma si scontrò con la burocrazia regionale e per questo si dimise. Nel frattempo, dalla costola del Crs4, nacquero prima Video on line e poi Tiscali, società dalla diversa fortuna che forse non sarebbero esistite senza quell'impulso iniziale. È stato il presidente del Consorzio 21, Antonello Fonnesu, a fare i lpunto della situazione: «Il Parco scientifico tecnologico sarà inaugurato alla fine dell'estate e, per renderlo pienamente operativo, dovremo programmare sùbito il secondo lotto». Mauro Pili ha giudicato il «progetto strategico» come «una svolta» e ha teso la mano a Carlo Rubbia: «La sua collaborazione, anche se sappiamo che non potrà dedicare molto tempo, ci darà i giusti impulsi. E anche la sua critica costruttiva ci farà bene». Il premio Nobel per la Fisica ha affermato che «la Sardegna punta ancora su quella scommessa avviata più di dieci anni or sono pur sapendo che la competizione è dura: incubatori ce ne sono centinaia in tutto il mondo, nascono dappertutto. Il problema però è definire le nicchie. La situazione è simile a quella del Web, quindici anni fa. E siccome il "navigatore" è importante ecco nascere il Comitato. Il Comitato ha proprio questo compito e deve diventare un ponte fra le conoscenze di base e l'uomo faber che deve creare cioè costruire». Rubbia spiega che «si può fare impresa innovativa anche se il mercato è modesto. E poi si sa che in questo campo «il mercato è il mondo. È possibile dalla Sardegna portare avanti le tecnologie, la prova è Tiscali». Quali, dunque, le linee guida su cui sarà basata la politica del Parco scientifico e tecnologico? Su tutto la ricerca nell'informatica (che ha portato al successo Tiscali e che sarà di vitale importanza anche nel settore delicatissimo della pubblica amministrazione); la ricerca nell'agricoltura (per migliorare i prodotti che mangiamo) e per la conoscenza della vita (le biotecnologie). ___________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 mag. '02 POLARIS: SOLO SETTE TIPI DI IMPRESE CONTROLLANO TUTTO IL SISTEMA a. f. CAGLIARI. Sono passati due anni dal boom della Borsa che aveva fatto nascere il «bit-people» cioè quella massa d'italiani che prima del gennaio 2000 investivano in Bot e che allora si buttarono sui titoli tecnologici. Si parlava - evidentemente a torto - di «Borsa democratica» perché tutti s'interessavano dei titoli e delle quotazioni e chiunque, anche con cifre modeste, poteva avvicinarsi a Piazza degli Affari. Renato Soru, da imprenditore, usava la Borsa ma avvertiva tutti a guardarla con distacco. Passata l'ubriacatura di quei giorni, i titoli sono tornati a quote più normali e Internet ha assunto la sua giusta dimensione. Ieri anche Carlo Rubbia ha apprezzato il lavoro fatto da Renato Soru, (chiamato a far parte del Comitato di consultazione del Consorzio Ventuno), e ha preso ad esempio Tiscali. Sulla ricerca la Regione aveva visto giusto già molti anni fa. Era il 1989 quando fu costituito il Consorzio 21 perché svolgesse attività di ricerca e avviasse il parco tecnologico. In realtà il Consorzio 21 era nato allora con quindici anni di ritardo in quanto era stato previsto all'articolo 12 delle legge 268, cioè il Piano di Rinascita. Dall'89 il cammino non sarebbe stato quasi mai in discesa: il Parco avrebbe incontrato non poche difficoltà politiche tra le accuse di coloro che sostenevano che la ricerca «è una scelta per i popoli ricchi». Eppure l'esperienza all'estero aveva rivelato che proprio la ricerca scientifica poteva diventare per la Sardegna «il petrolio del futuro»: in Francia i parchi scientifici hanno accompagnato la rinascita di aree marginali e così in Irlanda. Le reti telematiche - a cui s'è richiamato anche ieri Carlo Rubbia - hanno cambiato il modo di produrre e di vendere. Se si analizzano le trasformazioni si può vedere come il destino (e i profitti) siano in mano a pochi tipi di imprese: microelettroniche, biotecnologiche, nuovi materiali, telecomunicazioni; robotica, computer e software. Tutte industrie capaci non solo di realizzare utili in Borsa (come spiegava Renato Soru: sono cose distinte), ma soprattutto di controllare l'agricoltura, i servizi e il commercio. È in questi settori che operano le società di Polaris: e solo questo ne testimonia l'importanza per lo sviluppo. I partner di «Polaris», le attività e gli indirizzi scelti per portare la ricerca scientifica dentro il mercato e le imprese Dalle simulazioni al computer alle neuroscienze CAGLIARI. Il «Comitato di consultazione strategica» del Consorzio Ventuno che è stato insediato ieri mattina dal presidente della Regione Mauro Pili è composto da nove persone: il Nobel per la Fisica Carlo Rubbia che sarà presidente; Edoardo Boncinelli (direttore della Scuola superiore di Studi avanzati di Trieste), Amedeo Levorato (amministratore delegato di E-Venture), Alessandro Maida e Pasquale Mistretta (rispettivamente Rettori delle Universita di Sassari e Cagliari), Fabrizio Onida (ex presidente dell' Istituto commercio estero), Andrea Saba (docente dell'Università La Sapienza di Roma), Paolo Zanella (Informatica all'Università di Ginevra) e Renato Soru, presidente di Tiscali. Partner di Polaris sono diverse società: Crs4, Neuroscienze, Ailun, Porto Conte ricerche, Promea, Parco Genos, Helichnos. Il Crs4 è un centro di ricerca applicata multidisciplinare che sviluppa tecniche avanzate di simulazione. Neuroscienze è una società di ricerca presieduta da Gian Luigi Gessa con l'obiettivo di individuare le basi neurobiologiche delle tossicopdipendenze e dell'alcolismo, della depressione, dell'ansia, dei disturbi del sonno. L'Ailun è la Libera Università Nuorese, opera nel settore delle tecnologie ottiche; Porto conte ricerche opera nel centro di Alghero-Tramariglio nel campo delle biotecnologie applicate ai settori dell'agroalimentare, zootecnico e ambientale. ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 3 mag. '02 ORISTANO: TRE STUDENTI SU QUATTRO ALLA CONQUISTA DI UNA LAUREA Lavoro o Università? Indagine del Provveditorato sui "maturandi" delle superiori nell'Oristanese Col miraggio del posto fisso E mo' cosa faccio? Lavoro o università, ecco il dilemma. Un diploma (o la maturità) in tasca e mille strade da imboccare davanti agli occhi per decidere finalmente cosa fare da grandi. "Dove vanno i maturandi". È questo il titolo dato all'indagine conoscitiva condotta nella scuole superiori della provincia dall'ufficio studi del Provveditorato di Oristano. Lo scopo: individuare le scelte degli studenti che nel prossimo giugno affronteranno l'esame di Stato per poi decidere cosa fare da grandi. Sono dati che normalmente sfuggono all'analisi di chi opera nelle scuole perché interessano in misura maggiore il mondo del lavoro e dell'Università, ma possono essere utili anche per avere il polso su preferenze, bisogni e aspettative dei giovani che si accingono a lasciare le scuole superiori. Il campione preso in considerazione ha riguardato circa mille studenti e cioè oltre l'ottanta per cento del totale, una percentuale che permette di avere un riscontro molto vicino al numero completo dei ragazzi che frequentano. Dalla ricerca è emerso che i giovani decidono in base a valutazioni e aspirazioni personali. Pochi hanno seguito le indicazioni della famiglia, quasi nessuno quelle degli insegnanti. Tre su quattro, a pochi mesi dalla fine della scuola, hanno le idee chiare, il resto attende i risultati finali. Del campione che ha già deciso la maggior parte si è iscritta all'università. Alcuni puntano sui corsi post diploma perché, come ritiene il cento per cento dei ragazzi dell'Itis di Oristano, "assicurano un lavoro". Una buona fetta si rivolge al mondo del lavoro, mentre un gruppo abbastanza interessante cerca di conciliare studi e autonomia andando all'estero per imparare una lingua e contemporaneamente lavorare. Le facoltà preferite sono Giurisprudenza e Scienze politiche, seguono le umanistiche, ultime Ingegneria e Architettura. Cagliari è la sede più gettonata, la maggior parte delle iscrizioni è infatti indirizzata proprio verso la capitale sarda; ma anche l'università oristanese, nonostante i pochi indirizzi offerti, riscuote un buon successo. Chi sceglie di andare fuori dalla Sardegna lo fa perché non trova nell'isola la facoltà richiesta o perché la ritiene "non all'altezza". Una buona percentuale - ad Ales il cento per cento dei ragazzi dell'Itis - lo fa per staccarsi dalla famiglia. L'inserimento nel mondo del lavoro viene scelto dai più per ragioni pratiche: autonomia e guadagno. La maggior parte aspira ancora al "posto fisso". Abbastanza pochi i giovani che intendono intraprendere attività artigianali. Tra i dati emersi dai questionari, ci sono anche le valutazioni sul corso di studi seguito. Una percentuale molto bassa non ha frequentato la scuola materna, ma tutti quelli che lo hanno fatto ne hanno un ricordo più che positivo. Generalmente soddisfacente anche il giudizio sulle elementari, mentre supera il quindici per cento il dato di coloro che esprimono un giudizio negativo sulla scuola media. Largamente oltre il venti per cento - ma in qualche istituto si sfiora il trenta - i ragazzi insoddisfatti delle superiori. Poche le speranze nella riforma sulla quale viene generalmente espresso parere negativo. Una cosa è certa, ieri come oggi: la fine (degli studi) in realtà è solo l'inizio di un nuovo capitolo. Nessuno si illuda. Anna Rosa Magnani ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 30 Apr. '02 DIPLOMATI ISEF: PRIMO SÌ PER LA LAUREA "Una battaglia vinta" per i diplomati Isef è il riconoscimento, da parte della commissione Cultura della Camera, dell'equiparazione del loro diploma alla laurea di primo livello in Scienze motorie. L'importante emendamento al disegno di legge 1315 (che regola il passaggio dell'Istituto superiore di educazione fisica all'Università) non dovrebbe ora trovare ostacoli al Senato e il Parlamento potrebbe approvare la normativa entro due mesi; quindi sarà consentito ai diplomati l'accesso ai pubblici concorsi, alle attività professionali, alle lauree specialistiche e ai master di primo livello, al pari dei laureati della "classe 33". "Una battaglia vinta" sottolinea anche lo Snals, e lo sottolinea anche il professor Nando Monello, già responsabile dell'Isef di Cagliari e gestore del trasferimento dell'intero patrimonio tecnico-culturale alla facoltà universitaria di Scienze motorie. "Il provvedimento - ha commentato - rende giustizia ai diplomati Isef, disorientati da notizie contrastanti al riguardo di percorsi "integrativi" proposti da alcune Università italiane per far conseguire agli interessati noi si sa bene quale titolo". ___________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 mag. '02 DIPENDENTI PUBBLICI SOSPESI "A TEMPO" La Consulta: allontanamento solo per 5 anni Beatrice Dalia (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - La condanna penale non può tenere il dirigente pubblico lontano dalla scrivania troppo a lungo. Cinque anni di assenza forzata dal lavoro per chi è stato riconosciuto colpevole di delitti contro la pubblica amministrazione, anche se solo in primo grado, sono un termine giusto. Un lasso di tempo sufficiente, secondo la Corte costituzionale, a rispettare le esigenze di buon andamento della Pa e a tutelare adeguatamente i diritti del dipendente, in attesa che il processo penale esaurisca il suo corso. Passa il tempo, arrivano nuovi provvedimenti, ma la Corte costituzionale resta fedele alla sua posizione in tema di dipendenti pubblici, Codice penale e sospensione automatica dal servizio. La sentenza 145 del 3 maggio (di prossima pubblicazione su "Guida agli enti locali") ha riletto l'articolo 4 della legge che ha cambiato i procedimenti disciplinari a carico dei "lavoratori pubblici", la 97/2001. Se la questione di legittimità del primo comma della norma non è fondata, lo è quella riferita al secondo capoverso dell'articolo in questione. Il che vuol dire che la condanna penale non definitiva val bene l'automatica sospensione del dirigente scorretto, ma il "congelamento dal servizio" non si può prolungare fino al momento in cui il reato si prescrive. Così come scritto, invece, il secondo comma dell'articolo 4 della legge 97 sembrava suggerire solo due vie di uscita dalla misura cautelare: la pronuncia di una sentenza di proscioglimento o di assoluzione, anche non definitiva, e il decorso di un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato. Tra i delitti di particolare gravità che giustificano l'allontanamento dal lavoro, allo scopo di non incrinare ulteriormente il rapporto di fiducia tra cittadini e pubblica amministrazione, ci sono anche fattispecie il cui termine di estinzione è addirittura ultradecennale. Una misura cautelare, però, deve per sua natura "essere contenuta nei limiti di durata" strettamente indispensabili per la protezione dell'interesse che mira a proteggere e "non deve gravare eccessivamente sui diritti che provvisoriamente comprime". Sicché è costituzionalmente illegittima la norma, nella parte in cui associa la perdita di efficacia della sospensione al decorso di un tempo pari a quello della prescrizione. La soluzione, in verità, è arrivata dal passato. Già tre anni fa (si veda "Il Sole-24 Ore" del 4 giugno 1999) la Corte si era trovata a valutare la giusta durata della misura cautelare nei confronti di un professore universitario siciliano, rinviato a giudizio per i reati di corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa. Oggetto dell'indagine costituzionale era l'articolo 15, comma 4-septies, della legge per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale (legge 55 del 19 marzo 1990). In quell'occasione, con la sentenza 206, fu stabilito che la sospensione automatica disposta dalla Pa non è una misura eccessiva o irragionevole, basta che sia a tempo determinato. Stessa conclusione alla quale è arrivato ieri il Collegio di piazza del Quirinale, estendendo, così, anche ai reati come la corruzione, il peculato o la concussione, il limite dei cinque anni di durata, fissato nel caso di pubblici dipendenti accusati di delitti di criminalità organizzata. ___________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 mag. '02 PRIVACY: I DATI DEI CURRICULA VANNO TUTELATI ROMA - La privacy non deve essere merce di scambio per trovare lavoro. I dati personali contenuti nei curricula devono essere gestiti secondo le garanzie dettate dalla legge sulla riservatezza. Richiamandosi a questi principi, il Garante della privacy ha avviato una serie di ispezioni, sollecitate anche dalle segnalazioni dei cittadini, con l'intento di sanzionare chi non si attiene alle regole. Nel mirino sono finite 22 società di selezione e ricerca del personale, di lavoro temporaneo e di intermediazione, raggiunte da altrettanti procedimenti che ora si trasformeranno in ammende. Le irregolarità riscontrate nascono dalla scarsa trasparenza delle società, che sui coupon hanno lesinato le informazioni sui diritti degli interessati e quelle sui tempi di conservazione dei dati. Lacune che hanno insospettito alcuni candidati, preoccupati che la gestione dei curricula potesse andare oltre la ricerca di un lavoro e le informazioni personali venissero invece divulgate a persone estranee alle società di selezione. Per esempio, che fossero utilizzate a scopo commerciale da aziende che organizzano corsi di formazione a pagamento. I sospetti degli interessati sono diventati quelli del Garante. L'Authority ha potuto verificare una sistematica violazione delle norme sia sull'informativa sia sulla richiesta del consenso. La legge 675/96 prevede che la raccolta di dati - dunque, anche quella che avviene attraverso gli annunci di lavoro - debba essere accompagnata da una serie di informazioni sulle modalità del loro utilizzo, sulle finalità, sull'eventuale divulgazione a terzi. Inoltre, chi raccoglie i dati deve mettere al corrente l'interessato dei diritti di cui gode: accesso all'archivio, verifica dell'esattezza delle informazioni, possibilità, in caso di irregolarità, di chiedere la cancellazione o la rettifica dei dati che lo riguardano. Il Garante non si è, però, limitato a sanzionare le lacune delle società di selezione, ma ha anche indicato un possibile schema di informativa, da riprodurre sui coupon. Ha, inoltre, aggiunto che nel caso di curricula inviati spontaneamente da chi cerca lavoro - dunque, senza utilizzare i moduli pubblicati sui giornali -, il problema dell'informativa esiste, ma sarà messo a fuoco solo con il codice di deontologia relativo alla gestione dei rapporti di lavoro, codice che è ancora in fieri. Nel frattempo, ha invitato le società di selezione a fornire comunque le informazioni previste dalla legge. Indicazioni operative sono state date anche per quanto riguarda il consenso all'utilizzo dei dati, altro versante su cui sono state riscontrate irregolarità. Le società di selezione del personale si accontentavano, infatti, di un consenso generico, richiesto oltretutto con formule improprie. A questo proposito, l'Autorità ha ricordato che il consenso è necessario solo se nel curriculum sono contenuti dati sensibili, mentre è superfluo nel caso vengano riportati informazioni comuni. Si ricade, infatti, nell'esclusione prevista per l'adempimento di obblighi contrattuali o pre-contrattuali, esclusione che vale anche nel caso i dati vengano comunicati, sempre per gli stessi scopi, a terzi. A.Che. ========================================================= ___________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 mag. '02 IL RINNOVO NELLA SANITÀ FA I CONTI CON L'ALLARME COSTI DELLE REGIONI ROMA - Quasi 1,6 miliardi di euro per un incremento della massa salariale del 5,5%. È questa, a legislazione invariata, la somma a disposizione per il rinnovo dei tre contratti degli oltre 650mila dipendenti del servizio sanitario nazionale (medici, comparto, dirigenza non medica) per il biennio 2002-2003. Sono le prime stime dell'Aran che così, di fatto, ha compiuto l'atto preliminare in vista della riapertura della stagione contrattuale. Un preliminare del tutto formale, s'intende. Tanti e tali sono ancora i nodi politici da sciogliere per l'avvio in grande stile di una vertenza che si annuncia quanto mai aspra e delicata. A cominciare dal capitolo dell'esclusiva dei medici, sulla quale il Governo continua a sfogliare la margherita: se fare marcia indietro rispetto alla riforma ter del Ssn o se rinnovarla, ma sotto mentite spoglie. Per proseguire con la complicata, e potenzialmente onerosissima, questione dei dipendenti del comparto con quel sempre più nutrito gruppo assestato al livello D. A bocce ferme, intanto, l'Aran ha completato una ricognizione dei costi già valutabili. Gli aumenti, riferiti al primo biennio, sono per la grandissima parte legati alla dinamica inflattiva. Compresa la partita apertissima del recupero delle "code" dell'inflazione del vecchio contratto: uno 0,92% che per i sindacati dei medici dovrebbe scattare da gennaio 2001, secondo il Comitato di settore invece soltanto dallo scorso mese di settembre, col risultato di abbassare il valore allo 0,52 per cento. E non a caso il confronto tra le parti è da tempo irrisolto. A conti fatti, l'1,6 miliardi di euro a disposizione pesano per 1 miliardo sul comparto (531mila dipendenti secondo dati 1999), per 513 milioni di euro sui medici (105mila dipendenti) e per 70 milioni sulla dirigenza non medica (19.372 dipendenti). La media pro-capite lorda per il biennio vede naturalmente rovesciata la classifica: in testa agli aumenti retributivi sono i medici con una media pro-capite di 4.882 euro in più l'anno (375,5 € al mese lordi per tredici mensilità), seguiti dai dirigenti non medici con 3.624 euro lordi in più l'anno (278 al mese), quindi dal personale del comparto sanitario con una media di 1.914 euro lordi in più l'anno (147 lordi al mese). Sulla base di questo scenario finanziario di fondo potranno riaprirsi le tre tornate contrattuali. Senza considerare, ovviamente, quelli che potranno essere gli effetti dei rinnovi veri e propri e dell'atteggiamento che potranno assumere le singole Regioni, anche rispetto a riforme legislative dello stato giuridico dei medici del Ssn che dovessero fare carta straccia, o quasi, dell'esclusività. Interrogativi politici cui si aggiungono intanto altre perplessità regionali già arrivate al pettine. È il caso dell'applicazione dell'accordo Governo-sindacati del 4 febbraio sul pubblico impiego. Secondo i conti dell'Aran il carico da considerare per pareggiare le differenze dell'inflazione non supera i 290 milioni di euro nel biennio 2002-2003. Ma le Regioni hanno da tempo fatto i loro conti in base ai quali per tutto il contratto ci vorranno almeno 2 miliardi di euro in più: cifre ben distanti che rischiano di far sussultare ancora i bilanci locali sempre in deficit. Roberto Turno Paolo Del Bufalo ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 1 mag. '02 SARDEGNA: FARMACI, IL RITORNO DEI TICKET Al via la manovra per il contenimento della spesa sanitaria. La Sardegna contiene la stangata Da oggi nell'Isola si pagano le medicine "non essenziali" Da oggi i sardi, come gran parte degli italiani, pagheranno di nuovo il ticket sui farmaci. Non è esattamente un ritorno agli anni '90, quando i cittadini dovevano versare un "contributo" sulla ricetta che variava a seconda del reddito. Questa volta il ticket sarà applicato ai medicinali e sarà limitato a quelli che contengono principi attivi ritenuti "non essenziali" dalla Commissione unica del farmaco che, su indicazione del ministero della salute, ha stilato l'elenco dei circa 1000 prodotti dei quali, in sostanza, si può fare a meno. Si tratta dei farmaci inseriti nelle categorie "B1" e "B2" (cioè parzialmente a carico dei pazienti). Della prima categoria fanno parte gli antibiotici di nuova generazione (tra cui alcune cefalosporine), della seconda i prodotti antiasmatici e antiallergici, i corticosteroidi (le pomate a base di cortisone), le pillole anticoncezionali e i prodotti per l'ipertrofia prostatica. Il provvedimento è stato adottato per contenere la spesa sanitaria, soprattutto quella farmaceutica, cresciuta a dismisura sino a superare il livello di guardia. Un esempio per capire. In Sardegna tra il 2000 e il 2001, quando sono stati eliminati i ticket, la spesa sanitaria è cresciuta del 35 per cento passando da 242 a 327 milioni di euro. Non solo: nei primi mesi tre mesi del 2002, secondo Federfarma, la spesa è ulteriormente cresciuta del 17,4% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. C'è stato, insomma, un abuso di farmaci, favorito dalla gratuità. Nell'Isola, come nel resto d'Italia. Per questo la voragine nei conti sanitari ha superato il livello di guardia. Ed il ministero è corso ai ripari stabilendo, assieme alla conferenza Stato-Regioni, che la spesa farmaceutica non dovrà più superare il 13 per cento di quella sanitaria. Di conseguenza le regioni che hanno "sforato" sono dovute intervenire per rientrare nei parametri. A ciascuna è stata data facoltà di stabilire la percentuale di "compartecipazione" dei cittadini. "La Sardegna", ha spiegato l'assessore alla sanità Giorgio Oppi, "ha deciso di applicare la linea morbida evitando la reintroduzione dei ticket sulle ricette e l'aumento della tassazione". Dunque per i farmaci della categoria "B1" i sardi dovranno versare il 20 per cento del costo del farmaco, per i "B2" il 50 per cento. L'obiettivo è risparmiare 59 milioni di euro in un anno. Ma per ripianare i debiti non basta. Per questo Oppi ha rivolto un invito ai medici di famiglia, agli specialisti e a tutti gli operatori sanitari "perché siano attenti nelle prescrizioni al fine di consentire un uso appropriato del farmaco". L'obiettivo, insomma, è spendere con attenzione curando sempre meglio il paziente. Anche i farmacisti dovranno spiegare ai cittadini il motivo della decisione e l'utilità del provvedimento. "Dovrà essere", spiega Giorgio Congiu della Federfarma, "un operazione di informazione ma anche di educazione all'uso corretto del farmaco. Non è giusto prendere tutto perché è gratis. Bisogna far capire alla gente che l'abuso è pericoloso e che, in prospettiva, se il buco sanitario si allarga tutti pagheranno di più". Ma c'è chi segnala un problema serio: non tutte le regioni sono uguali e in Sardegna può essere giudicato "necessario" un farmaco che in altre regioni è superfluo. Per questo un pool di esperti sta lavorando per stilare un elenco delle patologie più diffuse che la Regione utilizzerà per cambiare i farmaci di categoria. L'elenco completo dei medicinali sui quali si dovrà pagare il ticket è disponibile in farmacia e da giovedì sul sito internet della Regione (www.regione.sardegna.it). Fabio Manca ___________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 mag. '02 È TORNATO IL TICKET SUI FARMACI I Ds contestano la decisione del governo e della giunta IL CASO Aumenti dal 20 al 50% di Simona Damiani CAGLIARI. Anche i sardi dovranno pagare tra il 20 e il 50 per cento in più per farmaci quali antibiotici di nuova generazione, farmaci antiasmatici, antiallergici, anticoncezionali e contro l'ipertrofia prostatica. Lo sostiene Massimo Dadea, responsabile del settore sanità dei Ds, in riferimento alla decisione della giunta regionale che ha applicato il decreto nazionale sui ticket. «La salute - ha detto Dadea - è un bene della persone e un interesse della collettività, è un diritto di cittadinanza sancito dalla Costituzione e tutelato dal Servizio sanitario nazionale che lo garantisce in base al bisogno e non al reddito. Questo diritto è oggi minacciato da un governo di Centrodestra che mette in discussione l'universalità e l'equità del Servizio sanitario nazionale». Dadea ha aggiunto che «il governo non perde occasione per contrapporre al diritto alla salute di tutti e per tutti, l'idea che le politiche per la salute costituiscono un freno allo sviluppo e per questo vanno ridimensionate». Le conseguenze di questa offensiva, ha spiegato l'esponente dei Ds, «sono sotto gli occhi di tutti: ticket su farmaci e ricette, tasse, balzelli di varia natura». In sostanza, «crescono le disuguaglianze tra le diverse aree del Paese e tra i cittadini nelle singole regioni». Inoltre «un malinteso federalismo e l'imposizione di un tetto di spesa farmaceutica del 13%, hanno trasformato l'Italia del farmaco in una sorta di Arlecchino: tante pezze diverse quante sono le Regioni. Chi fa pagare il ticket in quota fissa per ricetta con costi che vanno da 1 fino a 4 euro. Chi non fa pagare nessun costo aggiuntivo. Chi, come la giunta regionale sarda, ha imbracciato l'arma del "delisting" delle specialità farmaceutiche considerate non essenziali. La conseguenza sarà che i cittadini sardi dovranno pagare dal 20% al 50% in più farmaci quali antibiotici di nuova generazione, anti-asmatici, anti-allergici, anti concezionali, farmaci che combattono l'ipertorfia prostatica. Tutto questo in una Regione che, per l'assenza di una seria politica di controllo e di contenimento della spesa, di strumenti di programmazione sanitaria, ha visto crescetre negli ultimi anni la spesa farmaceutica: +13,71% nel 2000, +35,1% nel 2001. Altro che riduzione delle tasse! ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 1 mag. '02 L'ORDINE DEI MEDICI: DOV'È L'ELENCO DEI PRODOTTI? "L'introduzione del ticket ha due effetti contrastanti: è positivo perché dissuade dall'abuso del farmaco, ma è anche negativo perché impedisce ad alcuni di curarsi a dovere". Detto questo, Pierpaolo Vargiu, presidente della Federazione regionale dell'ordine dei medici, segnala prima di tutto un problema organizzativo: "I medici di base non hanno ancora l'elenco dei farmaci che i cittadini dovranno pagare, dunque non sono in grado di informare i pazienti". Per Vargiu, tuttavia, per razionalizzare la spesa occorrono anche altri provvedimenti. "Innanzitutto l'approvazione della proposta di legge (di cui è primo firmatario come consigliere regionale) sull'istituzione dell'Agenzia regionale della sanità, un organismo che avrebbe il compito di monitorare il bisogno sanitario dei sardi e, di conseguenza, di utilizzare al meglio la spesa sanitaria". La proposta di legge è in commissione sanità del consiglio dall'agosto dell'anno scorso. Il leader dei medici sardi spiega anche che "la Sardegna è una delle poche regioni italiane che, in mancanza di un sistema informativo, paga le spese sanitarie dei turisti che ogni anno vengono nell'Isola. Una carenza che costa alle casse della Regione 8-10 miliardi di lire all'anno. Invece se un sardo va altrove, ad esempio in Emilia, e acquista un farmaco, la spesa ricade sulla nostra regione". Altra ricetta: "Per attivare meccanismi di risparmio", dice Vargiu, "occorre stimolare l'uso di prodotti che hanno un numero di compresse sufficienti per un ciclo terapeutico, non di più". Sul piano dell'educazione "è importante che i medici facciano capire ai pazienti che il farmaco ha sempre una sua tossicità e deve essere utilizzato solo se strettamente necessario. Se otterremo questo risultato potremmo dirottare i soldi risparmiati nella prevenzione". F. Ma. ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 4 mag. '02 POLICLINICO: "NON BLOCCATE LE AMBULANZE" La Regione stanzia i fondi e l'Università può pagare gli arretrati Scongiurati i licenziamenti alla Sardegna soccorso Non saranno licenziati i lavoratori di "Sardegna soccorso" che prestano servizio al Policlinico universitario di Monserrato. La svolta positiva alla grave crisi finanziaria è arrivata ieri, dopo che la società aveva annunciato di non poter più garantire il servizio di trasporto su ambulanza per i pazienti del Policlinico. Proprio ieri la Regione ha stanziato i fondi a favore della struttura sanitaria dell'Università, parte dei quali saranno utilizzati per pagare le prestazioni arretrate di "Sardegna soccorso". La società era in gravissima difficoltà e aveva ormai completamente sfruttato il fido bancario: "Non potevamo nemmeno anticipare le spese per il carburante delle ambulanze", spiega il titolare Chicco Pais, "e siamo stati costretti ad annunciare il blocco dei servizi al Policlinico". I responsabili di Sardegna soccorso avevano informato il rettore dell'Università, Pasquale Mistretta:"Siamo consapevoli, dopo nove anni di collaborazione, che l'amministrazione del Policlinico ha ben poca responsabilità per il nostro disagio. Chiediamo comunque un suo intervento immediato affinché ci siano almeno regolarizzate le competenze del lavoro svolto nei mesi di febbraio e marzo". Nella nota inviata al rettore, i responsabili di Sardegna soccorso aggiungevano: "Vogliamo poter pagare gli stipendi ai lavoratori e quindi evitare di mandare lettere di licenziamento ingiuste e dolorose". L'intervento della Regione, seppure giunto in ritardo, ha riportato la situazione alla normalità. "Spero che una situazione così grave non si presenti più nei mesi futuri", si augura il responsabile di Sardegna soccorso. "Non è la prima volta che ci siamo trovati in difficoltà e per noi è sempre più difficile andare avanti. Non vogliamo arrivare a prendere decisioni estreme e drastiche". Proprio a causa della gravissima crisi finanziaria della società, causata dal mancato pagamento dei servizi offerti nei mesi scorsi, a partire da mercoledì prossimo i lavoratori avrebbero dovuto sospendere i servizi ordinari e garantire esclusivamente le emergenze richieste dai reparti. "I lavoratori di Sardegna soccorso", conclude il titolare, Chicco Pais, "sono felici di non dover sospendere il loro lavoro: una grande passione che ci ha portati a scegliere questa strada e dedichiamo il nostro tempo a chi ha bisogno. Fr. G. ___________________________________________________________________________ Corriere della Sera 1 mag. '02 "LA CANAPA LEGALIZZATA IN LOMBARDIA CONTRO IL DOLORE CRONICO" Alessandro Tagliamonte, farmacologo all' Università di Siena: "E' un passo avanti, altre regioni seguiranno" Bazzi Adriana MILANO - Interessante, anzi rivoluzionaria. Così Alessandro Tagliamonte, farmacologo all' Università di Siena, commenta la decisione del Consiglio della Regione Lombardia di approvare una mozione che chiede di regolamentare l' impiego medico della canapa indiana e dei suoi derivati. "Se comincia la Lombardia - continua Tagliamonte - è probabile che altre regioni la seguiranno. Con un vantaggio per i pazienti". Andiamo con ordine. Un conto sono gli oppiacei che da tempo vengono usati nella terapia del dolore, un conto è la marijuana, che ancora non è diffusa in terapia. "E' vero che gli oppiacei sono da tempo utilizzati nella pratica clinica, ma soltanto negli ultimi due o tre anni il ministero della Sanità ne ha promosso l' uso, facilitando ne la prescrizione da parte dei medici e portando così l' Italia alla pari di tutti gli altri Paesi europei. L' idea di regolare anche l' impiego della marijuana è un altro passo avanti". Non tutti però sono d' accordo. "La marijuana, o meglio il suo principio attivo, il 9 delta tetraidrocannabinolo, funziona contro il dolore cronico, quello che "resiste" all' impiego di analgesici della classe dei Fans. La sua efficacia è paragonabile a quella della morfina e in più ha anche un effetto anti-emetico, cioè combatte la nausea e il vomito che spesso rappresentano un effetto collaterale delle chemioterapie antitumorali. E' assurdo privare i malati di questa opportunità". Quale sarebbe la via di somministrazione più efficace? Il fumo o le compresse a base di principio attivo purificato o di derivato sintetico in commercio in alcuni Paesi? "Si vedrà. Il fatto che sia stata chiesta una regolamentazione permetterà anche di studiarne meglio le potenzialità. La marijuana è una miscela di sostanze diverse ed è difficile, quando viene fumata, stabilire le dosi efficaci e la durata dell' effetto. Il principio attivo purificato o il suo analogo sintetico permetterebbero di definire meglio posologia e tempi di somministrazione. L' unica "avvertenza" è quella di non confondere il problema terapeutico con l' uso ricreativo della marijuana: finora la discussione sulla legalizzazione delle droghe ha creato una serie di "anticorpi" contro l' impiego clinico della marijuana, privando i pazienti d i una risorsa in più". Adriana Bazzi ___________________________________________________________________________ Repubblica 25 mag. '02 TROPPA IGIENE IN OCCIDENTE COSÌ AUMENTANO LE ALLERGIE è confermato: la minore esposizione ai microbi rende "immaturo" il sistema immunitario DI FRANCESCO BOTTACCIOLI * Anche se la febbre da fieno (rinite allergica) era oggetto di studio scientifico già nel XIX secolo, quando il medico inglese Charles Blackley, per primo, collegò il naso colante al polline delle graminacee, gli ultimi decenni hanno visto un'impennata spettacolare di tutte le manifestazioni allergiche. L'asma, in particolare, ha assunto le caratteristiche dell'epidemia, soprattutto tra i bambini. Si calcola, infatti, che a livello mondiale, tra il 5 il 10 per cento dei bambini, soffra d'asma. Particolarmente colpite le aree ricche del pianeta: tra il 1980 e il 1994, negli Stati Uniti, la crescita della malattia è stata addirittura del 75 per cento. E, nonostante l'impegno terapeutico, la mortalità per asma è cresciuta di circa il 60 per cento. L'elemento più inquietante è che, ancora, non sono chiari i fattori che hanno portato a questa situazione allarmante. Nel 1989, David Strachan, uno studioso del St George's Hospital Medical School, a Londra, avanzò un'ipotesi, all'apparenza, stravagante: l'impennata delle allergie potrebbe derivare dalle modificazioni intervenute nell'igiene domestica e in generale dal minor contatto che i bambini di oggi hanno con i microrganismi. L' "ipotesi igienica", come subito venne battezzata, trovò, negli anni successivi, conferme e smentite, ma, recentemente, è diventata una linea di ricerca di grande interesse, anche perché le nuove conoscenze sul funzionamento del sistema immunitario hanno fornito una possibile spiegazione scientifica all'ipotesi. Negli anni '90, infatti, la ricerca in campo immunologico ha elaborato una nuova visione basata su un concetto di fondo: il sistema immunitario risponde in modo diverso a seconda dello stimolo e del contesto in cui avviene la risposta. Come mostra l'immagine, vengono attivati circuiti diversi, chiamati Th1, se lo stimolo è un virus, Th2, se, al contrario, è un parassita extracellulare. Il perno di queste risposte è una classe di linfociti (un tipo di globuli bianchi), chiamati T helper (Th), che, a seconda dei segnali che ricevono, si differenziano nel primo o nel secondo tipo. I segnali sono molteplici, ma soprattutto sono rappresentati da alcune sostanze chiamate citochine: interleuchina12, interferonegamma, interleuchina4, interleuchina13. Se dominano le prime due si attiverà il Th1, se le seconde due, prevarrà la risposta Th2. I due circuiti si escludono e si controllano a vicenda, ma vengono tutti e due controllati da un terzo circuito, nella figura indicato come Th3, in realtà composto da diverse popolazioni di cellule, oggetto di intenso studio, che hanno il compito di regolare la risposta immunitaria e cioè di impedire che azione difensive contro microrganismi, potenzialmente patogeni, si trasformino in danni all'organismo stesso. I danni possono essere numerosi. Per restare al tema, un'eccessiva polarizzazione della risposta immunitaria sul circuito Th2 non solo ci renderà vulnerabili ai virus, ma anche alle malattie allergiche. L'equilibrio del sistema si costruisce nel tempo, a partire dal grembo materno e per tutta l'infanzia. L'ipotesi igienica, sostiene, per l'appunto, che, nel giro di pochi decenni, in occidente, sono notevolmente mutate le condizioni igieniche, sanitarie e familiari, che hanno così impedito il consueto allenamento del sistema immunitario infantile verso tradizionali microrganismi, presenti nella terra, nelle case, nei cibi, nell'aria. Una prima importante prova della teoria è venuta nel 1994 ad opera di un gruppo di immunologi tedeschi, guidati da Erika von Mutius dell'Università di Monaco, che ha documentato, nei bambini, una maggiore prevalenza di rinite allergica e di asma nella exGermania Federale (occidentale) rispetto a quella orientale. Recentemente, lo stesso gruppo di ricerca ha documentato, sul Journal Allergy and Clinical Immunology, la diversità immunitaria dei ragazzi dei due ex stati tedeschi. Ad ovest, i ragazzi allergici avevano, in maggioranza, un profilo Th2, mentre ad est, il loro profilo immunitario era meno netto, quindi più flessibile, meno polarizzato. Questo spiegherebbe la maggiore diffusione, in occidente, dell'asma, una malattia allergica molto più caratterizzata delle altre in senso Th2. * Presidente della società italiana di psiconeuroendocrinoimmunologia ___________________________________________________________________________ Le Scienze 2 mag. '02 COMBATTERE LA DEPRESSIONE CON I PLACEBO Sintomi di miglioramento sono stati osservati in otto dei 15 pazienti che hanno completato lo studio Alcuni pazienti sofferenti di depressione che sono migliorati dopo sei settimane di cure con un placebo hanno mostrato cambiamenti nell'attività cerebrale molto simili a quelli di pazienti curati con un vero farmaco anti-depressivo. Lo studio clinico, pubblicato sull'«American Journal of Psychiatry», è il primo ad aver identificato le regioni cerebrali che cambiano come risposta a un placebo e ad averle confrontate con quelle influenzate da un vero medicinale. «Ciò che abbiamo scoperto è che i pazienti che hanno risposto al placebo e quelli che hanno risposto a un anti-depressivo hanno mostrato cambiamenti simili, ma non identici, nelle regioni corticale, limbica e paralimbica,» dice Helen Mayberg, del Rotman Research Institute del Baycrest Centre for Geriatric Care. In uno studio precedente, Mayberg aveva identificato un'interazione fra le regioni corticali e limbica che deve avvenire affinché ci sia un miglioramento della depressione. Come un termostato, il metabolismo delle regioni emozionali, limbica e paralimbica, deve essere ridotto, mentre deve aumentare quello delle regioni responsabili del pensiero razionale. In questo ultimo studio, Mayberg ha scoperto che i cambiamenti cerebrali dei pazienti curati con un placebo e di quelli curati con un vero medicinale erano molto simili, ma questi ultimi hanno mostrato cambiamenti anche in altre regioni del cervello. Nel corso della ricerca, 17 pazienti sono stati divisi in due gruppi, uno curato con il Prozac e l'altro con un semplice placebo. Né i pazienti né i dottori hanno scoperto chi ha ricevuto il placebo fino alla fine dello studio. Sintomi di miglioramento sono stati osservati in otto dei 15 pazienti che hanno completato lo studio. Di questi otto, è risultato che quattro avevano ricevuto il placebo e quattro l'anti-depressivo. I cambiamenti del metabolismo del cervello sono stati poi studiati mediante di immagini di tomografia ad emissione di positroni. Alla fine dello studio tutti a tutti i pazienti è stato somministrato l'anti-depressivo, per cui non è possibile sapere se gli effetti del placebo sono a lungo termine. ___________________________________________________________________________ Le Scienze 30 Apr. '02 RESISTENZA ACQUISITA ALL'EPATITE C I vaccini potrebbero essere usati per proteggerci dalle complicazioni a lungo termine Secondo uno studio compiuto presso la John Hopkins University, gli esseri umani potrebbero un giorno diventare immuni al virus dell'epatite C. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista "The Lancet", si aggiungono a un sempre crescente numero di prove secondo cui l'immunità ai virus può essere acquisita. Il virus dell'epatite C è particolarmente importante, perché non esiste ancora un vaccino, anche se alcuni sono in fase di sperimentazione sugli animali. «Alcuni precedenti studi svolti sugli scimpanzé hanno dimostrato che sebbene gli animali vaccinati o infettati potevano di nuovo essere infettati dal virus dell'epatite C, quelle infezioni avevano meno probabilità di perdurare, rispetto a quelle degli animali esposti al virus per la prima volta,» spiega David L.Thomas. «Ora abbiamo scoperto la stessa cosa per gli esseri umani, suggerendo che potremmo acquisire un'immunità che ci protegga dalla persistenza del virus dell'epatite C. Se questo è vero, suggerisce che i vaccini possono essere usati per proteggerci dalle complicazioni a lungo termine delle infezioni dell'epatite C, come la cirrosi epatica e il tumore al fegato.» Nel loro studio, i ricercatori hanno preso in considerazione i tossicodipendenti di Baltimora, identificando 164 persone in cui l'esame del sangue non rivelava alcun indizio di una precedente infezione dell'epatite C, e altre 98 che erano state infettate in passato ma non lo erano al momento dell'esame. I ricercatori hanno poi confrontato l'incidenza e la durata delle infezioni nei due gruppi per due anni. Si è visto così che le persone esposte in precedenza al virus avevano la metà delle probabilità di sviluppare una nuova infezione. ___________________________________________________________________________ Le Scienze 1 mag. '02 ADESSO COMANDANO LE PROTEINE Carol Ezzell Il testo completo di questo articolo si trova sul numero di maggio di "Le Scienze" Per il genoma umano sembra che non sia più tempo di stare sotto i riflettori. Oggi i ricercatori si stanno concentrando sul proteoma, l?insieme delle proteine che costituiscono le cellule e i tessuti del nostro corpo. Il genoma, il patrimonio di informazione genetica del nostro organismo, contiene solo la ricetta per fabbricare le proteine, ma i mattoni e la calce che costituiscono le nostre cellule e che compiono la maggior parte del lavoro sono proprio le proteine. E sono sempre loro che permettono di distinguere i diversi tipi di cellule: per quanto tutte le cellule abbiano essenzialmente lo stesso genoma, esse si differenziano in base a quali geni sono attivi e a quali proteine vengono prodotte. Analogamente, cellule malate spesso producono proteine assenti in quelle sane o viceversa. Non è quindi un caso se i ricercatori, tanto nei laboratori privati quanto in quelli accademici, stanno cercando di catalogare tutte le proteine umane e di scoprire come interagiscano tra di loro. Lo scopo è di poter presto concepire farmaci migliori con meno effetti collaterali. Raggiungere questo traguardo non sarà però una passeggiata: lo studio delle proteine è ancora più difficile di quello dei geni e le aziende biotech stanno cercando di capire quali siano gli strumenti e le tecniche più adatti. Ciò nondimeno è in corso una vera e propria competizione, in cui almeno un?azienda ha dichiarato che in capo a tre anni avrà decifrato il proteoma umano (fatto salvo che certe dichiarazioni muovono i capitali di Wall Street e dunque sono da prendere con il beneficio d?inventario): un passo importante nella comprensione della miriade di interazioni tra le singole proteine. I programmi federali americani hanno intanto messo a disposizione dei ricercatori accademici fondi per lo studio dei proteomi delle cellule tumorali e del siero, la componente acquosa del sangue umano. E i risultati non si sono fatti attendere: lo scorso gennaio due gruppi di ricerca hanno pubblicato le mappe dell?interazione di tutte le proteine del lievito di birra, uno degli organismi modello più popolari per lo studio della biologia cellulare. In febbraio un altro gruppo ha annunciato di aver utilizzato tecniche di proteomica per sviluppare un test precoce e accurato per il tumore ovarico. La proteomica, insomma, è pronta per diventare un grande business. Secondo un?analisi della Frost&Sullivan, il mercato globale per gli strumenti, i reagenti e i servizi legati alla proteomica raggiungerà circa 5,6 miliardi di dollari entro il 2005, dai 700 milioni di dollari del 1999. E questa stima non comprende i ricavi generati dai farmaci e dai kit diagnostici che saranno sviluppati grazie agli studi di proteomica. Secondo Jessica Chutter, direttrice amministrativa e vice-direttrice per le biotecnologie di Morgan Stanley, la proteomica potrebbe anche diventare vitale per il futuro dell?industria farmaceutica. Gli investimenti in ricerca e sviluppo in questo settore hanno toccato i 30 miliardi di dollari nel 2000, ma sono solo 30 i farmaci approvati nello stesso anno. "Le industrie farmaceutiche dipendono dalla proteomica - spiega la Chutter - perché sono interessate a tecnologie in grado di trainare tutto il loro processo di sviluppo, altrimenti non saranno in grado di sopravvivere." ___________________________________________________________________________ Il Nuovo 3 mag. '02 L'HIV È INTELLIGENTE E SA DOVE DEVE COLPIRE Il virus dell'Aids attacca per primi i globuli bianchi che il corpo ha prodotto per sconfiggerlo. E in questo vero e proprio duello riesce sempre a vincere. La scoperta aiuterà gli scienziati a creare un vaccino. a cura di Salute Italia WASHINGTON – L’Hiv è un virus intelligente. La cosa è nota a tutti gli scienziati, che in vent’anni dalla comparsa dell’epidemia non sono riusciti a mettere a punto un vaccino efficace. Una nuova scoperta fatta dai ricercatori del National Institute of Health in America, pubblicata sull’ultimo numero di Nature, aggiunge credito all’idea, spiegando come il virus va a colpire proprio il tipo specifico di globuli bianchi deputato a dargli la caccia. E’ noto fin dai primi studi sull’Aids che il virus Hiv rivolge le sue forze distruttive soprattutto nei confronti di un tipo di leucociti detti CD4 T- helper. Si insinua in queste cellule, decine di volte più grandi di lui (che è un minuscolo filamento di Rna), e si moltiplica a dismisura al loro interno, fino a farle morire, come soffocate. La nuova scoperta, che si deve all’équipe americana diretta da Daniel Douek, dimostra che il virus colpisce questi leucociti in modo non generico, ma seleziona quei CD4 che l’organismo ha prodotto con una memoria chimica specifica per combattere l’Hiv. Il virus ha modo di discernere qual è il nemico numero uno, e lo attacca con maggior violenza. La ricerca ha preso in esame i globuli bianchi di 12 persone sieropositive. “Abbiamo riscontrato – ha spiegato Douek - che i CD4 Hiv- specifici contenevano una quantità di virus da due a cinque volte superiore rispetto ad altre cellule del sistema immunitario, tra cui quelle che si attivano contro il citomegalovirus [una delle più comuni infezioni collegate all’Aids]”. La scoperta del meccanismo di azione del virus – che conferma un’idea che gli studiosi avevano già da tempo - potrà essere molto utile per la messa a punto di un vaccino e per sfruttare al meglio le terapie attualmente a disposizione. “È un risultato molto importante, perché ci conferma che abbiamo una grossa difficoltà da superare se vogliamo sconfiggere il virus”, ha commentato Anthony Fauci, tra i massimi esperti di Aids nel mondo. La scoperta si ripercuoterà da subito sul lavoro dei ricercatori impegnati nello sviluppo di un vaccino: “È chiaro che un vaccino che potenzi la produzione di CD4 sarebbe controproducente, perché invece che combatterlo offrirebbe ulteriore ‘nutrimento’ al virus”, spiega ancora Douek nell’articolo di Nature. “Invece, si dovrà puntare ad aumentare la produzione anche di altre cellule-killer come i CD8, che non vengono infettati dall’Hiv”. Anche le cosiddette terapie ‘a intermittenza’ – che prevedono la sospensione dei farmaci per un breve periodo – andrà ora riconsiderata. “L’idea originaria era che un'interruzione della terapia aumenta la presenza del virus nell’organismo, stimolando così il sistema immunitario a produrre più CD4. Ma questo, alla luce delle nuove scoperte, potrebbe essere controproducente”. (3 MAGGIO 2002, ORE 14.15) ___________________________________________________________________________ Repubblica 25 Apr. '02 UN VACCINO CONTRO LA DROGA Risultati incoraggianti sull’anticocaina Negli Stati Uniti l’ente per la lotta alle tossicodipendenze ha deciso di finanziare la prosecuzione delle ricerche DI ROSSELLA CASTELNUOVO Liberarsi dalla droga con la semplice iniezione di un vaccino è il sogno inseguito da tutti. A ogni nuova sperimentazione la speranza si riaccende ed è ora la volta del vaccino anticocaina studiato dall’azienda britannica Xenova. Si chiama TaCd e ha dimostrato, nella prima fase della ricerca, di essere sufficientemente sicuro e non tossico. Ora si trova nella seconda fase della valutazione in cui dovrà dimostrare di essere efficace. Alcuni risultati sembrano incoraggianti e il Nida, l’Istituto nazionale sull’abuso di droghe degli Stati Uniti (dove i cocainomani sono circa 4 milioni) ha deciso di finanziare queste ricerche. L’euforia e il piacere che si ottengono con qualche milligrammo di cocaina, infatti, si pagano con malanni più o meno gravi e reversibili: al cuore, al sistema respiratorio e a quello nervoso. Un danno, e relativi costi, che non colpiscono il solo consumatore. Obiettivo dei ricercatori antidroga è inventare un sistema di blocco al passaggio della cocaina dalla circolazione sanguigna al cervello. E’ qui, infatti, che agisce la polvere bianca: sui neuroni, sulle aree e sulle molecole (dopamina, in particolare) che modulano i sentimenti di benessere, piacere e allegria. Il nostro organismo è capace di autoprodurre queste situazioni. Non abbastanza per tutti, forse. E chi non può fare a meno di cocaina si è ormai abituato a livelli di euforia di cui non può più fare a meno. Con il vaccino verrebbe a mancare la «soddisfazione» provocata dall’uso della droga e la «delusione» del consumatore dovrebbe indurlo a non assumerla più. Per raggiungere lo scopo gli inventori del farmaco hanno dovuto trovare un sistema per rendere la piccola molecola della cocaina (che è un alcaloide) capace di stimolare la produzione di anticorpi, come non avviene spontaneamente. Hanno quindi legato un suo derivato a una proteina in modo da scatenare la risposta da parte del sistema immunitario. Nella persona vaccinata l’effetto della cocaina verrebbe così annullato dall’aggressione degli anticorpi capaci di riconoscere la droga, di agganciarsi ad essa, distruggerla o, comunque, impedirle di passare attraverso quel sottile filtro della «barriera ematoenecefalica» che impedisce l’entrata delle grandi molecole nel cervello. Resta ora da sapere non tanto se il sistema funziona, ma quanto. Chiarire le dosi da somministrare e il numero di richiami. Verificare che sia effettivamente in grado di operare questa sorta di "dissuasione biochimica" nei tossicodipendenti per mantenerla nel tempo: il problema di tutti i programmi di dintossicazione e di interruzione di qualsiasi catena di vizi, dal fumo al troppo mangiare. I dati raccolti finora sul TaCd hanno mostrato qualche risultato positivo in persone molto motivate a smettere. Segno che la chimica può aiutare a tamponare solo alcuni aspetti della dipendenza, ma non l’insieme dei tanti fattori, psicologici e sociali, che spingono a drogarsi. Per questi un solo vaccino non basterà mai. ___________________________________________________________________________ Repubblica 25 mag. '02 GESSA: "UNA RICERCA LIMITATA CHE SFRUTTA LA DISPERAZIONE" Il commento del neurofarmacologo Gian Luigi Gessa sugli ultimi dati ottenuti negli studi sul vaccino anticocaina oscilla fra scetticismo e indignazione. Scettico a causa del metodo per nulla scientifico che è alla base del lavoro sul vaccino; indignato per il sospetto di avere a che fare con un mercato che specula su credulità e disperazione. Un parere che pesa, dato che Gessa dirige da anni l'unico centro di eccellenza italiano sulle dipendenze, al Dipartimento di neuroscienze dell'Università di Cagliari. "Una sniffata, una fumata o un'iniezione di cocaina provocano un'invasione di miliardi di piccole molecole nel sangue del consumatore", spiega Gessa. "Il vaccino dovrebbe contrastarle con anticorpi che si legano ad esse. Ma il rapporto di grandezza che c'è tra questi anticorpi, che sono proteine, e la cocaina, che è un alcaloide, è pari a quello che c'è tra un elefante e una mosca. E, ammettendo che questo elefante volesse mangiarsele tutte, dubito che riuscirebbe a farlo se si trovasse in mezzo a migliaia di questi insetti". Sembra però che alcuni risultati preliminari dimostrino una notevole produzione di anticorpi. "Ammettiamo che l'elefante elimini tutte le mosche. E che l'effetto della cocaina sia annullato. Il consumatore potrebbe volerne dell'altra e mettere il nostro elefante fuori gioco aumentando un po' la dose. Si rischierebbe, in altre parole, un consumo forse ancora maggiore come è accaduto con le sigarette col filtro: più lunghi sono i filtri e più si aspira. Il problema, allora, sarà non solo di avere un vaccino efficace, ma abbastanza potente da produrre abbastanza anticorpi anticocaina. E questo è un punto ancora da chiarire". I sostenitori del vaccino TaCd dicono che può essere utile a chi sta cercando di smettere e vuole evitare ricadute. E' credibile? "Si chiama "metodo dell'estinzione del condizionamento", ma non è facile da realizzare, come dimostra il caso naltrexone, una sostanza ottima per frenare la dipendenza di eroina, ma usata solo dal 10 per cento dei tossicodipendenti. Quanto alle ricadute il problema è che chi smette di drogarsi non importa se con cocaina, sigarette o alcol dopo un certo tempo può ricadere nella dipendenza al più piccolo stimolo: quello che definiamo "priming" e che corrisponde al "bicchierino" degli alcolisti. Il vaccino potrebbe allora bloccare questa piccola dose di riavvio. Sempre che, come avviene in genere, la dose di ripresa non venga aumentata e che questo desiderio non sia la conseguenza, più che la causa, di una ricaduta provocata da altri stress". (r. c.) ___________________________________________________________________________ Monde Diplomatique Apr. '02 QUANDO IL NORD È CURATO DAI MEDICI DEL SUD ESODO DI COMPETENZE SENZA CONTROPARTITA In tutti i paesi del mondo, il reclutamento e la formazione di personale medico avvengono a ondate, non sempre ben sincronizzate. Questi squilibri, più o meno prolungati, creano una pesante disoccupazione in alcuni paesi, mentre in altri le autorità sanitarie utilizzano medici stranieri che vanno a cercare lavoro sempre più lontano. Questa globalizzazione dei professionisti della salute si traduce in un trasferimento netto di medici dal Sud al Nord - con un costo annuo valutato intorno ai 500 milioni di dollari - e rafforza ancora di più l'apartheid sanitaria. di DOMINIQUE FROMMEL* Stabilito che il buon funzionamento del sistema sanitario richiederà da 8.000 a 10.000 medici supplementari entro il 2004, nel dicembre 2001 il governo britannico ha lanciato una campagna di reclutamento di medici stranieri. Qualche mese prima, il Sudafrica, che a sua volta aveva assunto 350 medici cubani (1) per compensare l'esodo dei suoi laureati, ha chiesto al Canada di smettere di attingere al vivaio sudafricano per ovviare alla persistente carenza di medici condotti nelle zone rurali. Nell'ottobre 2000, l'Irlanda ha assunto 55 anestesisti provenienti dall'India e dal Pakistan. Anche la Svezia, da sempre all'avanguardia nell'assistenza sociale, si è rivolta ad altre nazioni, ingaggiando, per esempio, 30 medici polacchi. Negli Stati uniti, il 23% della classe medica ha una laurea presa all'estero; nel Regno unito quasi il 20% dei medici è asiatico. In Francia, circa 8.000 medici hanno un titolo di studio straniero, e ben 4.400 l'hanno ottenuto fuori dall'Europa. Negli ospedali pubblici essi garantiscono gran parte delle guardie mediche nei reparti pediatrici, ostetrici e di radiologia, ma il loro contratto e la remunerazione sono diversi da quelli dei colleghi francesi. I paesi arabi del Golfo contano un po' più di 20.000 medici, provenienti in maggioranza dal subcontinente indiano. Tuttavia le migrazioni Sud-Sud sono, in genere, temporanee (2). Le conseguenze di questi salassi sono rilevanti. Ad esempio, dei 1.200 medici formati nello Zimbabwe durante gli anni '90, soltanto 360 lavoravano nel loro paese nel 2000; la metà dei medici formati in Etiopia, Ghana e Zambia sono emigrati. Molti, però, hanno smesso di esercitare la professione nel paese di accoglienza. Le statistiche disponibili, che raggruppano immigranti volontari e rifugiati, e talvolta cittadini della nazione nati all'estero, non permettono però di ricostruire un quadro fedele di questi movimenti (3). Per un nuovo patto sanitario La penuria di personale infermieristico è ancora maggiore. Nel 2000, il ministero della sanità britannico ha assunto più di 8.000 infermiere e ostetriche non originarie dell'Unione europea, le quali si sono aggiunte alle 30.000 loro colleghe straniere già impiegate negli ospedali pubblici e privati. Le proiezioni fatte negli Stati uniti, in Francia e in Gran Bretagna per il 2010, parlano di un deficit di svariate decine di migliaia di diplomati. Da sempre, la scienza si è sviluppata grazie alla circolazione di uomini e di idee; la medicina non fa eccezione. Un tempo, i medici studiavano nelle prestigiose scuole di Alessandria, Cordoba, Bologna o Montpellier. In seguito, hanno viaggiato sulle navi degli esploratori. A partire dalla rivoluzione di Pasteur, hanno percorso il globo da Nord a Sud e hanno dato vita alla medicina tropicale. Oggi scarseggia il personale sanitario nelle missioni cristiane, ma né gli esperti occidentali, impegnati su altri terreni, né le missioni umanitarie, lo hanno sostituito. Dal momento delle dichiarazioni d'indipendenza, il flusso migratorio di medici e infermieri si è invertito tanto a causa della domanda dei paesi industrializzati quanto per la riduzione dei budget sanitari, imposti, attorno agli anni '80, dai finanziatori internazionali attraverso i piani di aggiustamento strutturale. L'emigrazione non nasce solo dalla povertà, da imperativi di sopravvivenza o dall'evoluzione dei comportamenti. Nasce prima di tutto dalla convinzione che i paesi del Nord siano in grado di offrire ai professionisti qualificati un tenore di vita e possibilità di carriera all'altezza delle loro competenze. L'instabilità del panorama politico, i pregiudizi etnici, le insoddisfazioni professionali (burocrazia opprimente, ritardi nei pagamenti, baronie, isolamento), il divario tra ciò che si è imparato e ciò che si può fare, la vita familiare, sono spesso fattori che superano in importanza il puro vantaggio economico (4). In effetti, i motivi per i quali un medico perde il gusto di esercitare la professione nel proprio paese sono complessi. Uno di questi, spesso ignorato e che riguarda sia il Nord che il Sud, dipende dalla percezione, in crisi persistente, che il medico ha della propria professione. Consapevolmente o meno, egli è rimasto legato all'idea della «medicina trionfante», curativa e necessariamente efficace. Questa visione, spesso alla base della scelta professionale, diventa illusoria e genera frustrazione e rabbia quando i mezzi materiali vengono a mancare. Non potersi aiutare con qualche esame di laboratorio per fare una diagnosi, essere impossibilitati a somministrare il farmaco appropriato, non poter soddisfare le più elementari regole igieniche, è il destino della maggioranza del personale sanitario nei paesi in via di sviluppo (Pvs). Coloro che pensano ad emigrare si trovano quindi di fronte ad un dilemma: restare fedeli al proprio paese, o al loro compito di medici? Gli obiettivi assegnati dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ai paesi del Sud - disporre, nel 2000, di un medico ogni 5.000 abitanti e di un(a) infermiere(a) diplomato(a) ogni 1.000 abitanti; migliorare le possibilità di accesso alle cure fornite da personale qualificato, in particolare nelle zone rurali - non sono stati realizzati a causa delle leggi di mercato, della mancanza di realismo da parte dei finanziatori e dell'incuria delle autorità dei paesi interessati. Se si fa un calcolo a livello mondiale, si scopre che c'è un medico ogni 4.000 abitanti: uno ogni 500 nei paesi occidentali, uno ogni 2.500 in India e uno ogni 25.000 nei venticinque paesi più poveri. La libera circolazione di medici, infermieri e tecnici ha prodotto una vera e propria apartheid sanitaria nei paesi del Sud. Di fronte a questi squilibri, gli organismi internazionali incaricati di definire le grandi linee delle politiche sanitarie e di lottare contro le diseguaglianze sociali mostrano un singolare mutismo. Dal 1979, né l'Oms, né il Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp) hanno pubblicato una qualche analisi relativa agli effetti di questi trasferimenti di competenze sanitarie su popolazioni così svantaggiate (5). Curiosamente, la Banca mondiale, così prolifica di studi celebrativi dei benefici dell'apertura dei mercati, non ha presentato alcuna valutazione sui flussi finanziari prodotti dagli scambi di capitale umano. Probabilmente fa conto sulla risoluzione 2.417 delle Nazioni unite «sull'esodo di quadri e personale tecnico qualificato dai paesi in via di sviluppo» che vieta il «bracconaggio» di professionisti specializzati (6). Vero è che i servizi sanitari non contribuiscono direttamente al prodotto interno lordo... La direttiva «Costruire un'Oms per il XXI secolo», adottata a partire dal 1995, si focalizza sui mezzi necessari alla realizzazione di una politica sanitaria globale, ma non accenna a regolamentare la circolazione delle competenze sanitarie (7). L'esodo del personale sanitario, del resto, non viene preso in considerazione dall'Oms neanche nel calcolo degli indici degli anni di vita in buona salute persi - che associa l'incidenza sulla popolazione dei decessi prematuri e degli handicap. Né viene preso in considerazione dall'Undp nel calcolare l'indice di sviluppo umano di ogni paese. È certo che la sofferenza delle popolazioni escluse dai sistemi di cura non può essere valutata in modo contabile. È però perfettamente comprensibile perché si sia arrestata la diminuzione della mortalità materna e infantile. All'interno di un'analisi critica della globalizzazione, il direttore generale dell'Oms ha creato una commissione, «Macroeconomia e salute», destinata a proporre un piano innovativo d'investimenti (8). Nel loro rapporto i commissari respingono l'argomento abituale secondo cui la salute migliora sicuramente grazie alla crescita economica. Al contrario, sottolineano che nei paesi a basso reddito una salute migliore è determinante per il decollo economico e il progresso sociale. Le loro proposte per un nuovo «patto sanitario» che ridefinisca le relazioni tra paesi donatori e paesi beneficiari, restano tuttavia stranamente evasive quando si tratta di definire i bisogni a livello di personale sanitario necessario alla realizzazione dei progetti. Eppure, per rispondere agli obiettivi prefissati, il Fondo mondiale per la lotta contro l'Aids, la malaria e la tubercolosi dovrà mantenere o costituire degli inquadramenti socio-sanitari capaci di gestire con efficacia le azioni previste, in particolare il controllo dei soggetti trattati con farmaci antiretrovirali. La valutazione dei costi di formazione dei professionisti è difficile e varia significativamente tra le diverse regioni del mondo. Risulta altrettanto difficile, inoltre, misurarne l'impatto sui sistemi sanitari e sullo sviluppo. Tuttavia, calcolando che la formazione di un medico non specialista in un paese del Sud costa circa 60.000 dollari e quella del personale paramedico circa 12.000 dollari a candidato, si può affermare che i Pvs «sovvenzionano» l'America del Nord, l'Europa occidentale, l'Australia e l'Asia per un importo annuo di circa 500 milioni di dollari (9). E l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che difende con aggressività le prerogative delle multinazionali farmaceutiche, evidentemente ha dei paraocchi che le impediscono di vedere l'importanza dei medici in quanto prescrittori e dispensatori dei prodotti commerciali. Che la Wto pensi forse di fare affidamento sui rivenditori presenti sul mercato per aumentare la vendita di medicinali (10)? È possibile porre rimedio, senza spendere un centesimo, all'appropriazione da parte dei paesi ricchi di specialisti dei paesi a basso reddito, proprio quando le migrazioni scientifiche internazionali sono destinate a crescere (11)? Si possono ipotizzare diverse soluzioni. La prima, già sentita, è stata riproposta recentemente (12). Consiste in una compensazione economica versata dai paesi di accoglienza ai paesi che hanno garantito la formazione. Va però detto che questa proposta diventa aleatoria in assenza di una legislazione internazionale vincolante. I paesi d'origine possono anche rendere l'emigrazione più difficile, o differirla, imponendo prestazioni professionali obbligatorie prima del conferimento del diploma, e dall'altro lato i paesi di accoglienza possono mostrarsi più esigenti sulle qualifiche professionali. Tuttavia, vietare l'emigrazione non evita il degrado dell'assistenza medica e le decisioni degli stati non incidono affatto sull'emigrazione. La seconda soluzione ha una dimensione più ampia: comporta la rivalutazione culturale e sociale della funzione del medico. La categoria medica, infatti, ha difficoltà a rispondere in modo effettivo alle necessità delle popolazioni del Sud, perché è stata formata secondo il modello universalista di una medicina curativa e scientifica che, fino a poco tempo fa, considerava marginale il corso di igiene pubblica. Di conseguenza, per dotare i professionisti dei mezzi intellettuali e pratici che consentano loro di mettersi al passo con il progresso del proprio paese, si rende necessaria una rottura quasi ideologica con i programmi di studi forniti dall'Occidente (13). Una riforma di questo tipo privilegia la difesa della salute sulla cura della malattia, rivendica attenzione alla comunità più che all'individuo e prescrive un lavoro di squadra, con modalità multidisciplinari, per conciliare cura e prevenzione. Esige, infine, che l'ospedale - di cui usufruisce solo una minoranza - non venga più considerato l'unico luogo capace di garantire cure mediche di qualità. Un cambiamento di questo genere costringe le autorità e il personale sanitario a rendere conto delle loro azioni alla società e non più ai soli finanziatori internazionali. Tuttavia, il passaggio da una medicina universalista ad una legata alle culture, improntata ai particolarismi regionali e capace di valorizzare le risorse dei paesi del Sud, rischia di legittimare l'esistenza di una medicina per ricchi e di una per poveri. Inoltre, anche se l'emigrazione diventasse più problematica a causa di qualifiche professionali non equivalenti, basterebbe questa riforma per ridurre l'esodo dei soggetti più brillanti, come i diplomati del All India Institute of Medical Sciences, il 75% dei quali prosegue gli studi superiori in Occidente (14)? E i medici rimasti nel paese non rischierebbero di essere considerati inferiori ai colleghi occidentali e di vedere i loro lavori scientifici ignorati dalla comunità internazionale? Poiché i paesi del Sud non formano un insieme omogeneo, le strategie e le modalità di cooperazione dovranno tenere conto della diversità delle situazioni e delle necessità a breve o a lungo termine. Così, alcuni paesi (Cuba, Egitto, Spagna, Italia, Israele, Filippine) formano più medici di quanti non ne possano assumere. Altri, come Stati uniti, Canada e Regno unito, ne formano un numero insufficiente rispetto alla proporzione medico/abitanti ritenuta accettabile. La soluzione all'emigrazione del personale sanitario non sta dunque in una limitazione della mobilità individuale. Una terza soluzione sembra aprire prospettive più appropriate: ricercare il modo di invogliare il personale qualificato a rimanere o a reinserirsi nel proprio paese di origine, per correggere le diseguaglianze nell'accesso alle cure e anche per valorizzare gli investimenti effettuati nell'istruzione e nella sanità. Lo sviluppo delle nuove tecnologie, in particolare dell'informazione e della comunicazione, offre diverse possibilità come, per esempio, la creazione di corsi di formazione a distanza e la costituzione di reti interattive. Reti interattive I primi sono campus virtuali che associano un'università del Sud ad un centro europeo o nordamericano che si faccia carico di aggiornare i programmi; in tal modo affrancano gli utenti dall'impossibilità di accedere a biblioteche specializzate. Le reti interattive raggruppano gli espatriati e li mettono in comunicazione con i loro colleghi rimasti nel paese. Costituiscono una nuova forma di diaspora intellettuale e scientifica, il cui scopo è quello di suscitare collaborazioni Nord-Sud, valorizzare sulla scena internazionale le attività dei colleghi e ricercare occasioni per un ritorno temporaneo o, meglio, permanente. Sono state censite già più di quaranta reti della diaspora installate in trenta paesi, che contano da alcune decine a diverse centinaia di membri (15). Ristabilendo legami con la loro comunità di origine, gli espatriati, pur restando all'estero, sono in grado di contribuire allo sviluppo del proprio paese. Questa politica di motivazione al ritorno è oggetto del programma Tokten (Transfer of knowledge through expatriate nationals - Trasferimento di conoscenze attraverso connazionali espatriati), finanziato dall'Undp e dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Tuttavia, nel campo delle scienze della salute, la sua efficacia è limitata. È infatti un compito molto arduo quello di effettuare proiezioni sulle necessità in risorse umane in funzione di una crescita demografica ed economica difficile da determinare. Inoltre, l'esodo di competenze non è un fenomeno uniforme prodotto da una linea politica unitaria estesa a livello planetario. Necessita di approcci che tengano conto dei particolarismi umani, culturali e sociali sia dei paesi di emigrazione che dei paesi di accoglienza. L'utilizzo del capitale umano destinato alla salute non può essere regolamentato né dalle direttive del commercio mondiale emanate dai paesi ricchi e dalla Wto, né da leggi promulgate separatamente dai paesi poveri. Diventa sempre più urgente che l'Oms assolva al suo mandato, che è quello di definire un ordine sanitario globale fondato su valori etici e solidali. L'Organizzazione potrebbe, in particolare, proporre un dibattito sul futuro del «commercio dei servizi pubblici», che metta a confronto l'insieme delle agenzie dell'Onu, i grandi organismi economici e finanziari internazionali ed anche esperti in diritto internazionale. L'obiettivo finale dovrebbe essere l'elaborazione di una convenzione sul reclutamento internazionale. Questo trattato dovrebbe precisare le condizioni alle quali i paesi industrializzati sono autorizzati ad assumere personale sanitario proveniente da paesi anch'essi sotto organico (16). Completerebbe così gli accordi internazionali relativi alle qualifiche professionali e renderebbe concreto il diritto alla salute riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. note: * Medico, già docente nelle Università del Minnesota, Paris V, Addis Abeba e Calcutta. (1) Cuba, che forma un numero di medici superiore alle sue necessità, fa accordi che a volte prevedono compensazioni finanziarie con molti paesi africani. (2) Sull'evoluzione delle politiche migratorie, si legga Joaquin Arango, «Expliquer les migrations: un regard critique», Revue internationale des Sciences Sociales, Unesco, Parigi, settembre 2000, e Saskia Sassen, «Il lavoro globalizzato: ma perché emigrano?», Le Monde diplomatique/il manifesto, novembre 2000. (3) Si legga Sabine Cessou, «Fuite des cerveaux: L'Afrique part en croisade», Marchés tropicaux, n° 2889 Parigi, 23 febbraio 2001; Stephen S-Mick, Shoou-Yih D. Lee, Walter P. Wodchis, «Variations in Geographical Distribution of Foreign and Domestically Trained Physicians in the United States: «Safety Net» or «Surplus Exacerbation»», Social Science and Medicine, Oxford, volume 50, gennaio 2000. (4) Si legga Marc-Eric Gruénais e Roland Pourtier (a cura di), «La santé en Afrique», Afrique Contemporaine, Parigi, n° 195, luglio-settembre 2000, in particolare Marie Badaka, «Profession: médecin». (5) Alfonso Mejìa, Helena Pizurki, Erica Royston, «Physician and Nurse Migration: Analysis and Policy Implications», Organizzazione mondiale della sanità, Ginevra, 1979. (6) Assemblea generale - Ventitreesima sessione, risoluzione 2417 (XXIII) «Esodo di quadri e di personale tecnico qualificato ai diversi livelli che lasciano i paesi in via di sviluppo per stabilirsi nei paesi sviluppati; cause, conseguenze e misure pratiche che permettano di correggere i problemi che ne derivano», 1745° seduta plenaria, 17 dicembre 1968. (7) Oms, Ufficio Regionale per l'Europa, Heath 21 - «Health for all in the 21st Century», Oms, Copenaghen, 1999. (8) Rapporto della commissione «Macroeconomie et santé» (diretto da Jeffrey S. Sachs), Investir dans la santé pour le développement économique, Oms, Ginevra, 20 dicembre 2001. www3.who.int/whosis/cmh/cmh_report/e/pdf/001-004.pdf . Si legga anche Amartya Sen, «Health in Development», Bulletin de l'Oms, volume 77, settembre 1999. (9) Sophie Boukhari in «Diplômés aux enchères», Courrier de l'Unesco, Parigi, settembre 1998, valuta che l'esodo di tutti i diplomati universitari sia pari ad un importo di 10 miliardi di dollari mentre Marie-Claude Céleste in «Les paradoxes du sous-développement», Le Monde diplomatique, marzo 1981, parla di più di 20 miliardi di dollari l'anno. (10) Si legga Jeanne Maritoux, Carinne Bruneton, Philippe Bouscharin, «Le secteur pharmaceutique dans les États africains francophones», Afrique Contemporaine, luglio-settembre 2000, n° 195. Nell'Africa occidentale, dal 25 al 40% dei medicinali sarebbe venduto abusivamente sui mercati. (11) L'Ufficio americano del lavoro sostiene che la crescita dei servizi sanitari e di cura aumenterà del 30 % tra il 1996 e il 2006 e che garantirà 3,1 milioni di posti di lavoro (l'aumento numericamente più consistente rispetto a tutti i settori americani) in «Occupational Statistic Outlook», Statistics Handbook 1998-1999. In Francia, entro il 2004 dovrebbero essere creati da 35.000 a 80.000 nuovi impieghi ospedalieri. (12) Peter E. Bundred, Cheryl Levitt, «Medical Migration: Who are the Real Losers?», The Lancet, Londra, volume 356, 15 luglio 2000. (13) Anche nei paesi industrializzati sono messi in discussione curricola e tipo di finanziamento della formazione medica. Si legga in particolare: Arnold S. Relman, «The crisis of medical training in America. Why Jonny can't operate», The New Republic, Washington DC, 10 febbraio 2000. (14) Sanjoy Kumar Nayak, «International Migration of Physicians: Need for New Policy Directions. (Interpreting New Evidence with Reference to India)», European Association of Development, Research and Training Institutes (Eadi), 8° conferenza generale, Vienna, 11-14 settembre 1996. (15) Jacques Gaillard, Anne Marie Gaillard, «Fuite des cerveaux, retours et diasporas», Futuribles, Parigi, n° 228, febbraio 1998. Jean-Baptiste Meyer, «Expatriation des compétences africaines: l'option diaspora de l'Afrique du Sud», Afrique contemporaine, n° 190, 2° trimestre 1999. (16) Tikki Pang, Mary Ann Lansang e Andy Haines fanno una proposta analoga in «Brain Drain and Health Professionals», British Medical Journal, Londra, volume 324, 2 marzo 2002. (Traduzione di G. P.)