L'ITALIA RINGRAZIA LA RICERCA SOMMERSA RICERCATORI ITALIANI: POCHI, POVERI, BRAVI BERLINGUER: SALVATE LA MIA RIFORMA ADDIO ALLA LAUREA USA E GETTA SETTIMANA DELLA CULTURA A CAGLIARI BODEI:LA SARDEGNA E LE DIFFICOLTÀ DEL FARE SCUOLA, LA RIFORMA A OSTACOLI: PARERE NEGATIVODEL CNPI STUDENTI: VITA DA FUORI SEDE ========================================================= NUOVA SANITÀ: SALTA L'ESCLUSIVA NUOVA SANITÀ: SUI MEDICI ALTOLÀ DELLE REGIONI NUOVA SANITA’: SULL'AGGIORNAMENTO OBBLIGO DA CHIARIRE SIRCHIA: TROPPA MEDIOCRITÀ I MALATI ANDRANNO IN FRANCIA O GERMANIA AZIENDA MISTA: "L’UNIVERSITÀ VUOLE L’ESCLUSIVA SULLA SANITÀ" IL PRESIDE: "ECCO PERCHÉ L’AZIENDA MISTA È VANTAGGIOSA" AZIENDA MISTA: VENTI DI GUERRA TRA MEDICI E ASL AZIENDA MISTA: NUVOLI-«CARO SIRCHIA, FERMA L’UNIVERSITÀ» AZIENDA MISTA: «MA A NOI STUDENTI IL SUPEROSPEDALE CONVIENE» I MEDICI SARDI INCROCIANO I BISTURI CONTRO SIRCHIA NASCE A CAGLIARI UNA CITTADELLA DELLA SANITÀ FISIOTERAPISTI «LA ASL CI HA MESSO IN GINOCCHIO» BUSH SI SCAGLIA CONTRO LA CLONAZIONE COMPOSTI PER LA RIPARAZIONE DEL MIDOLLO SPINALE SARDEGNA: L’ISOLA CHE COMBATTE I MALI MEDITERRANEI MA CON PESARO È SCONTRO DISTRUGGERE I TUMORI CEREBRALI CON GLI ULTRASUONI PARKINSON E STAMINALI:ANCORA NON C’È PROVA CHE FERMINO LA MALATTIA PILLOLA ANTICONCEZIONALE L'AMICA KILLER ========================================================= _______________________________________________ Il Sole24Ore 12 apr. ’02 L'ITALIA RINGRAZIA LA RICERCA SOMMERSA di Alberto Quadrio Curzio L'Italia vive su molti paradossi. Uno di questi è relativo al modesto posizionamento internazionale in Ricerca e Sviluppo (R&S) che però si unisce alla nostra capacità di reggere il confronto estero sia con il made in Italy sia con le professionalità scientifico-tecniche: è quanto emerge dall'analisi su "Scienza, ricerca, innovazione", nell'ambito della ricerca su "La competitività dell'Italia", realizzata da Confindustria e che verrà presentata domani a Parma. Utilizzando l'indicatore più diffuso, cioè la spesa in R&S sul Pil, l'Italia si colloca male. A fronte di un rapporto della Svezia al 3,7%, degli Usa al 2,84%, della Germania al 2,29%, della Francia al 2,18%, del Regno Unito all'1,83%, l'Italia presenta un modesto 1,05% che ci posiziona al 21° posto nelle graduatorie internazionali. La situazione non migliora in base alla spesa pro capite in R&S. Tre fattori fanno da sfondo. La ricerca pubblica. Nel sistema universitario la didattica è di gran lunga prevalente e ciononostante vi sono indici di abbandono di studenti senza titolo pari al 60% degli iscritti e alte quote di fuori corso. Quanto agli enti pubblici di ricerca sembrano in permanente ristrutturazione. Le ragioni stanno da un lato nella mancanza di criteri selettivi adeguati, specie all'ingresso delle Università, e dall'altro dal prevalere di regole burocratico-procedurali rispetto a criteri di efficienza-efficacia. La ricerca privata. È relativamente limitata perché in Italia vi sono poche grandi imprese in settori ad alta tecnologia mentre la piccola dimensione porta con sè poca ricerca formalizzata. Le ragioni stanno nell'abbandono di settori (come elettronica e chimica) e nella passata scarsa dinamica innovativa di imprese monopolistiche o quasi nell'energia e nelle telecomunicazioni. Le politiche pubbliche. Non hanno quasi mai considerato la R&S come un fattore di competitività e di crescita economica e civile. Eppure l'Italia regge, sia pure con fatica, alla competizione internazionale. Due, tra i molti, sono i fattori di spiegazione. In Italia vi è molta "R&S informale", non registrata dalle statistiche internazionali, attuata dalle piccole e medie imprese e dai "distretti industriali" che danno la principale struttura produttiva con una quota di addetti delle imprese con meno di 250 dipendenti sul totale dell'occupazione di circa il 76 per cento. _______________________________________________ La Stampa 10 apr. ’02 RICERCATORI ITALIANI: POCHI, POVERI, BRAVI OME sta la ricerca scientifica italiana? In sintesi: male per soldi e quantità; meglio di quel che si immagina per qualità. La risposta viene da uno studio europeo che Carlo Rizzuto, professore di fisica dei solidi all´Università di Genova, ha ripreso sul trimestrale «Analysis». Vediamo di estrarne i dati più significativi. Il numero delle pubblicazioni su riviste internazionali di prestigio è un buon indicatore per la ricerca di base. Se si prende come riferimento la popolazione del paese, andiamo male: nel 1999, ultimo anno rilevabile, abbiamo 457 pubblicazioni ogni milione di abitanti e siamo al quartultimo posto, seguiti soltanto da Lussemburgo, Portogallo e Grecia. Ma se si prende come riferimento il numero di pubblicazioni per mille ricercatori, ci piazziamo al sesto posto, preceduti da Austria, Olanda, Danimarca, Belgio e Regno Unito ma seguiti a distanza dalla Francia (undicesima), dalla Germania (dodicesima) e, sorpresa delle sorprese, dagli Stati Uniti (quattordicesimi). Le cifre. In media mille ricercatori austriaci nel 1999 hanno prodotto 452 pubblicazioni, gli italiani 346, i francesi 255, i tedeschi 227 e gli statunitensi 204. Come si vede dal grafico qui accanto, l´Italia sta anche ben sopra la media europea, che è di 269 pubblicazioni ogni mille ricercatori. La conclusione è evidente: abbiamo pochi ricercatori rispetto alla popolazione - né potrebbe essere diversamente in un paese che investe nella scienza soltanto l´uno per cento del prodotto interno lordo - ma questi pochi lavorano molto e bene. Lo conferma anche la graduatoria delle pubblicazioni più citate a livello internazionale, un indicatore per noi particolarmente severo perché senza dubbio i ricercatori angloamericani, che controllano le riviste più importanti e scrivono nella madre lingua, sono avvantaggiati: l´Italia è al sestultimo posto se si guarda alla popolazione totale ma sale all´ottavo se si contano le citazioni per mille ricercatori, e anche in questo caso precede Francia e Germania, i due paesi più direttamente paragonabili con il nostro. Prendiamo ora i brevetti europei come indicatore della scienza applicata. Le cose non cambiano. L´Italia è quartultima con 61 brevetti ogni milione di abitanti ma è ottava con 46 brevetti ogni mille ricercatori, ancora una volta davanti a Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Anche da questo punto di vista è chiaro che il nostro paese ha un problema di quantità (di soldi e di ricercatori), non di qualità (della ricerca). Le cose peggiorano se si guarda ai brevetti depositati anche negli Stati Uniti. Qui precipitiamo agli ultimi posti sia con i brevetti per milione di abitanti (quartultimi) sia per mille ricercatori (quintultimi). Ma è colpa degli scienziati? No, piuttosto dell´industria che non crede abbastanza all´innovazione per sviluppare i risultati della ricerca fino al punto da poter aggredire il costoso mercato dei brevetti americani. Ha ragione Diana Bracco, presidente dell´omonimo gruppo farmaceutico, quando, riprendendo una battuta del commissario europeo Busquin, afferma che purtroppo in Italia «la ricerca non è ancora un´idea politica». E quando si batte per far salire l´investimento italiano nella scienza dall´uno al due per cento. Speriamo, tutti insieme, di riuscirci. Anche l´informazione deve fare la sua parte: divulgando i risultati ottenuti nei laboratori e mettendo le basi per una classe politica che sappia qualcosa di più di fisica, chimica e biologia. Piero Bianucci _______________________________________________ La Stampa 11 apr. ’02 SULLE NUOVE LAUREE INTERVIENE L´EX MINISTRO SALVATE LA MIA RIFORMA MALGRADO i mutamenti sconvolgenti degli ultimi decenni, l' Italia aveva conservato ostinatamente, a conclusione degli studi universitari, un solo titolo di laurea. Gli studenti erano passati da 50.000 a un milione e 700.000. Ma ogni 100 immatricolati se ne perdono dai 60 ai 65. Ci si laurea tardi e si va a lavorare ad un'età incongrua (di media a 27 anni). Ci sono facoltà che per anni hanno conservato 80 professori per 30.000 studenti. Noi docenti abbiamo accettato questo assurdo ed iniquo spreco, rifiutandoci di comprendere che un sistema formativo moderno sta nella diversificazione dei titoli, in più livelli progressivi di laurea. La riforma del sistema didattico partita con la dichiarazione della Sorbona nel 1998 ha responsabilizzato atenei e professori. Li ha stimolati a non limitarsi più a tenere il proprio corso (chi lo teneva!). In questi anni è stato prodotto nelle università un enorme sforzo progettuale, ci si è impegnati attivamente coinvolgendo anche studenti, in tanti casi con risultati straordinari. In altri casi, è vero, non è successo altrettanto. In altri ancora vi è stata opposizione pregiudiziale, più accentuata in alcune facoltà. Tuttavia la riforma è partita, i ragazzi si sono iscritti in massa al primo anno, sperando nel nuovo sistema. Perché buttare via, ora, tutto questo lavoro? Nell'articolo di Massimo Luciani (sulla Stampa di martedì scorso) c'è un fraintendimento tecnico che inficia tutto il ragionamento: «I percorsi della laurea semplice e della successiva laurea specialistica sono interamente sovrapponibili». Non è così. È il contrario persino negli studi giuridici. Ma in tali casi perché importare all´impianto della riforma i difetti della sua mala applicazione, perché non correggere, anziché demolire? Non è condivisibile neanche un´altra critica: che in soli tre anni non si possano gettare le basi di una proficua prosecuzione specialistica degli studi. Se si assegna al primo corso un impianto enciclopedico il rischio è reale. Ma se ci si concentra sui fondamenti culturali e sul metodo l'operazione è assolutamente possibile. Quanto agli studi giuridici va ricordato che su 100 immatricolati in giurisprudenza 65 si perdono, e solo 35 riescono a laurearsi. Di questi ultimi solo 5 faranno gli avvocati, i magistrati ed i notai. Gli altri 30 svolgono altre e importanti professioni, che implicano anch'esse conoscenze giuridiche, ma di impianto diverso. In tutta Europa si è avviata l´introduzione dei tre livelli: laurea triennale, specialistica, dottorato. Un processo difficile e complicato, che sarebbe erroneo rendere ancora più complicato da parte nostra, perché influirebbe negativamente sul diritto alla mobilità europea dei nostri ragazzi nel lavoro e nelle professioni. Senatore Ds, ex ministro dell´Istruzione e dell´Università Luigi Berlinguer _______________________________________________ La Stampa 8 apr. ’02 ADDIO ALLA LAUREA USA E GETTA Con l'anno accademico iniziato lo scorso mese di novembre le università hanno cominciato ad applicare la riforma che ha istituito due diversi tipi di laurea: quella «semplice» (da conseguire in tre anni) e quella specialistica (da conseguire con due anni supplementari di studio). Tutti gli atenei hanno compiuto un grandissimo sforzo organizzativo, perché la riforma (il cosiddetto «tre più due») ha comportato la completa ridefinizione dei corsi di laurea e anche un cambiamento dei singoli programmi di esame. Ora è possibile che debba essere fatto un nuovo sforzo, ma in direzione contraria. In una sua recente intervista, il sottosegretario, Maria Grazia Siliquini, ha detto che il governo ha allo studio l'ipotesi di un parziale abbandono del sistema del tre più due, in particolare per alcune facoltà (come quelle umanistiche). E' un'ottima notizia, perché il modello voluto dalla riforma è destinato a funzionare molto male. Prendiamo una facoltà come quella di giurisprudenza (citata, non a caso, dal sottosegretario come possibile destinataria della "controriforma"). Con il sistema attuale si ha questa alternativa: o nei primi tre anni si impartiscono gli insegnamenti fondamentali con la stessa serietà (e gli stessi oneri di apprendimento) del passato, e allora si impedisce, in pratica, il conseguimento del titolo nel triennio; oppure si tengono corsi semplificati, e allora si formano studenti con basi culturali molto fragili, sulle quali è impossibile costruire l'impalcatura degli insegnamenti specialistici del successivo biennio di studi. Se ho studiato un diritto privato o un diritto pubblico semplificati al primo anno, ben difficilmente potrò seguire con successo un corso specialistico di diritto industriale o di giustizia amministrativa al quarto o al quinto anno. L'errore principale della riforma è stato quello di credere che il percorso di chi aspira ad una laurea semplice e quello di chi aspira ad una laurea specialistica possano essere interamente sovrapponibili per i primi tre anni, il che - invece - è irragionevole. Quando si gettano le fondamenta di un villino o quelle di un grattacielo i calcoli strutturali sono ovviamente diversi. E non si capisce perché le cose dovrebbero andare altrimenti quando non si costruiscono case, ma competenze e professionalità. Ben venga, dunque, la riforma della riforma, perché correggere un errore tardivamente è sempre meglio che non correggerlo affatto. Certo, tornare indietro adesso costerà non poco, in termini di ulteriore impegno degli atenei e di disagio per gli studenti, e sarebbe stato molto meglio se (come molti avevano chiesto) il ministro Moratti avesse bloccato il «tre più due» sin dall'inizio. Non è mai troppo tardi, però, e il prezzo da pagare oggi per il ritorno indietro è sicuramente inferiore a quello che pagheremmo domani intestardendoci a proseguire su una strada sbagliata. Massimo Luciani _______________________________________________ L’Unione Sarda 11 apr. ’02 SETTIMANA DELLA CULTURA A CAGLIARI Gli appuntamenti nell’isola Una passeggiata nelle vie di Castello, a Cagliari, per vedere il panorama in cima alle Torre dell’Elefante e magari una visita alla Pinacoteca Nazionale senza dover pagare il biglietto. Soprattutto la possibilità di visitare tutti i monumenti più importanti dell’isola senza la triste sorpresa di trovare chiuso. E’ tutto pronto infatti per la settimana della Cultura che sarà inaugurata lunedì. Per sette giorni l’isola e la penisola ospiteranno mostre, eventi, spettacoli e soprattutto apriranno le porte dei loro musei, gratuitamente. La Soprintendenza regionale ha organizzato un calendario fitto di eventi. A Cagliari sarà Francesca Pulvirenti Segni a tagliare il nastro e lo farà alla Pinacoteca dove la Soprintendenza presenterà al pubblico l’antico fondo librario della sua biblioteca. Nell’isola si alterneranno mostre, convegni e itinerari culturali sino al 21 aprile. Quest’anno la statuaria non sarà l’unica protagonista perché, coerente con il titolo della manifestazione, sarà lo “spazio aperto” ad avere la meglio: così le torri costiere e il restauro ambientale compiuto sull’ex potabilizzatore di Cagliari saranno alcuni degli argomenti che saranno affrontati durante i convegni. La settimana della cultura sarà occasione per presentare le pubblicazioni relative ad alcune delle mostre più significative che l’isola ha ospitato durante l’anno. E’ il caso per esempio di Estofado de oro che ripercorreva la storia della statuaria lignea in Sardegna durante l’invasione spagnola (XVI e XVIIesimo secolo). Un viaggio nel passato e nella storia che si fonde con il presente e la tecnologia grazie all’esistenza del sito internet www.beniculturali.it dove, chi non avrà voglia di spostarsi da casa, potrà capire quali e dove siano i luoghi della cultura, le iniziative e la programmazione di quest’anno in Italia. Ecco comunque in sintesi, i principali appuntamenti. 15 aprile:Pinacoteca nazionale di Cagliari: Francesca Pulvirenti Segni, soprintendente per i beni e le attività culturali della provincia di Cagliari e Oristano, inaugura ufficialmente l’apertura della settimana della cultura. Ore 17. Camera di commercio di Cagliari: convegno, presentato da Gabriele Tola, sul restauro degli impianti dell’ex acquedotto di Cagliari. Alfredo Ingegno parlerà delle torri costiere della provincia di Cagliari e Oristano. 16 aprile: ore 11.15. Pinacoteca: Ersilia Bussalai e Sandra Violante presentano l’esposizione dei libri che costituiscono il fondo antico della biblioteca della Soprintendenza (1500, 1600 e 1700). La mostra sarà visibile sino al 21 aprile. Ore 17. Convento dei frati minori conventuali a Oristano: Gabriele Tola presenta una conferenza sui restauri. Ore 17. Università della terza età a Quartu, chiesa di Santa Maria di Cepola. Ida Farci, storico dell’arte, presenta “la lettura della chiesa dopo il restauro”. Ore 17. Sassari: Villamimosa. Presentazione del quaderno su restauro e tutela. Attività svolta dalla soprintendenza di Sassari. Intervengono Paolo Scalpellini, Roberto Lucani, Daniela Serra e Alma Casula. 17 aprile: ore 17. Pinacoteca: Francesca Pulvirenti Segni, Alessandra Fassio e Nicola Spagnola presentano il convegno su Adalberto Libera nel dopo guerra: l’esperienza di Cagliari. Opere e storia dell’architetto che ricostrui il capoluogo negli anni Cinquanta. Ore 17. Aula Magna del Rettorato di Cagliari: presentazione del volume Dal mondo antico all’età contemporanea. Studi in onore di Manlio Brigaglia. 18 aprile: ore 18. Sassari: Museo Sanna. conferenza su archeologia e arte Ore 17. Pinacoteca di Cagliari. Dopo il successo registrato dalla mostra Estofado de oro a Cagliari e Sassari dal dicembre 2001 al febbraio di quest’anno, la Soprintendenza di Cagliari presenta il catalogo della mostra 19 aprile:ore 9.30-19. Aula magna dell’università di Sassari convegno nazionale sull’arte, con la partecipazione di Vittorio Sgarbi. Ore 17. Castello San Michele a Cagliari: Marcella Serreli, Servizi educativi del museo e del territorio, presenta i cataloghi: “Fare scuola a Sant’Agata”, “Il pane, forme e significato”. 20 aprile:ore 10.30. Sassari: ex collegio dei gesuiti Canopoleno. Inaugurazione della mostra di Mario Sironi dal titolo: Disegni per il Popolo d’Italia, editi e inediti con la partecipazione di Vittorio Sgarbi. 20-21 aprile ore 10-12.30, 17-20: visite guidate alle chiese aperte di S.Maria di Cepola, S.Agata, S.Efisio. Silvia Vivanet _______________________________________________ L’Unione Sarda 9 apr. ’02 BODEI:LA SARDEGNA E LE DIFFICOLTÀ DEL FARE Autonomia, occasione sprecata Remo Bodei di professione fa il filosofo. Insegna alla Normale di Pisa e la sua giornata è fatta di studi e lezioni su Hegel, Bloch, Weber. Ma anche di studi su come le passioni possano occupare l’animo e la mente, e quali intersezioni riescano a costruire con la politica e con la ricerca della felicità. Che non sempre è una frase da supermercato ma la conquista della dignità giorno dopo giorno. Cagliaritano, 63 anni, dopo quaranta di lontananza, della Sardegna conserva ancora un’inflessione vocale lenta e quasi strascicata. Che posto occupa oggi l’isola nella sua geometria delle passioni? "Direì che è il mio centro di gravità permanente, ci ritorno con gli affetti, con le idee. Del resto, per i sardi superato il mare e lo choc, prima o poi tutto il mondo diventa uguale ma la Sardegna resta unica, c’è una sorta di nostalgia che nessuno può e vuole sradicare". Per lei lo choc quando è incominciato? "Alla fine degli anni Cinquanta, quando ho incominciato a frequentare l’università a Pisa". Negli anni Sessanta e Settanta la Sardegna era un’isola più povera e disagiata di quanto lo sia oggi. Per la cultura era tuttavia una sorta di laboratorio molto invidiato. Erano gli anni successivi alle riflessioni di Pigliaru, l’università era quella di storici come Spriano, antropologi come Cirese, studiosi di estetica come Dorfles. Da cosa dipendeva questa curiosità intellettuale nell’isola e per l’isola? "Debbo precisare che oggi io vedo la Sardegna come avessi tra le mani un binocolo rovesciato. Distinguo le cose grandi ma i dettagli, molti dettagli mi sfuggono. Ma la sua riflessione è giusta: la Sardegna è stata un grande laboratorio per l’università e per la ricerca. Cagliari ha avuto la fortuna di catturare studiosi di eccellente levatura che anche quando sono andati via sono riusciti a sedimentare precisi itinerari di studio. Oggi, non solo a Cagliari e non solo a Sassari, le cose son cambiate. È nato una sorta di neofeudalesimo, ognuno alleva i suoi e lo scambio con altre culture universitarie non è più così facile o consueto". Dipende dalle leggi? "Dal nuovo sistema di reclutamento che, per i docenti universitari avviene su base locale. I rapporti tra atenei sembrano essersi inariditi". Oggi l’ateneo di Cagliari, secondo le statistiche, è in coda alla graduatoria italiana. Pochi laureati, moltissimi abbandoni, arduo trovare lavoro dopo la laurea "Vede io sto a Pisa. Cinquantamila studenti e centomila abitanti. Un’università che ha una città. Cagliari e Sassari sono città che hanno un’università. In Sardegna l’attività produttiva è soprattutto di intermediazione. Si produce e si esporta poco ma si è rappresentanti di manifatture e commerci che normalmente hanno sede fuori dall’isola, l’università ha finito per avere una importanza residuale. Certo, ci sono punti di eccellenza che il resto d’Europa ci invidia: pensi a Farmacologia e Neuroscienze nel capoluogo, o ancora Agraria a Sassari. Fatto è che non sono università inserite in un tessuto buono". Cioè "In Sardegna, ma non solo, abbiamo ancora università con strutture d’elite che debbono soddisfare università di massa. E questo provoca pesanti squilibri, corsi superaffollati, iscrizioni di persone per nulla motivate, strutture casuali che dipendono più dagli interessi di chi insegna che non da esigenze di mercato o di un piano di studi condiviso. Il reclutamento nelle scuole è poi diventato orribile. Ci sono anche in questo caso punte di diamante come l’Azuni a Sassari, il Dettori e il Pacinotti a Cagliari. Ma sostanzialmente le cose sono molto peggiorate rispetto al passato e prevedere (come fa la Moratti oggi) un esame di maturità dove solo il presidente di commissione è esterno significa favorire i privati e impedire che vi sia un reale filtro d’accesso all’università". Immagino che da uomo di sinistra, lei abbia un giudizio negativo sulla riforma Moratti. "Su questo punto sì. E non condivido che si debba scegliere così presto (a quattordici anni) tra liceo e formazione professionale. Su altri punti della riforma Moratti posso anche esser d’accordo. Solo che c’è una perenne situazione di incertezza. Le riforme vengono annunciate ma non si fanno mai o quando si fanno vengono svuotate del loro significato". Non le sembra giusto, al di là di quando scegliere tra liceo e formazione professionale, che l’università smetta di essere un parcheggio per futuri disoccupati? L’università di massa è ancora valida oppure occorrerebbe ripensarla in forme diverse? "Assolutamente doveroso ripensarla. Anche perché questa è un’università fintamente di massa, non garantisce la formazione che uno studente si aspetta, né gli offre le strutture di cui ha bisogno. Le case dello studente sono generalmente poche, mal gestite, molti studenti sono nelle mani di un mercato immobiliare che li stipa come sardine in una stanza eppure riesce ugualmente a sfruttarli economicamente". Giusto o sbagliato preparare un’elite universitaria come accade in Francia, in Inghilterra, in Germania? "Ripeto non solo è giusto, mi sembra doveroso. In Italia non ci sono né scuole di eccellenza per le elites, né scuole serie per la preparazione di base. So che molti non vorrebbero questa separazione. Ma penso sia normale che una nazione abbia scuole e università che formano la sua classe dirigente. In Italia per il momento si sono moltiplicati solo i corsi di laurea, molti dei quali bizzarri e fantasiosi. Mi sembra siamo arrivati a tremila. Pensati al di fuori di qualsiasi mercato del lavoro. Quasi per soddisfare gli interessi dei docenti ma non quelli degli studenti. Il problema dell’università di massa è che deve accogliere un certo numero di persone giocoforza selezionato. Non ha senso che la gente vada all’università mentre fa un altro lavoro. Dovrebbe aver borse di studio per frequentare e non fare altro. Ovvio che le borse di studio non possono essere concesse a tutti". Perché non si è mai provveduto a creare una alta scuola della pubblica amministrazione sul modello dell’Ena francese? È una scuola che trasforma la burocrazia da penosa in efficiente. In Italia e in Sardegna sarebbe forse di gran utilità... "Ma in Italia c’è un’alta scuola della pubblica amministrazione. Ha sede a Caserta, nella reggia. Solo che nelle scuole francesi c’è una selezione meritocratica molto alta, creata appunto per formare l’aristocrazia della classe dirigente. È una scuola delle grandi competenze nell’esercizio del potere. In Italia e in Sardegna la burocrazia è pensata soprattutto in termini di mezze maniche. Dovrebbe essere l’ossatura razionale della società, per dirla con Max Weber. Qualcosa che cioè resti indipendentemente dai governi e contribuisce a tenere in piedi lo Stato in quanto tale". La politica non si è mai sforzata di veder la burocrazia come una necessità priva di ideologia. "Penso dipenda in parte da sciatteria e in parte da calcoli precisi. Una burocrazia forte e autonoma, limita il potere della politica. In Italia è la politica a condizionare tutto mentre in Francia la politica, qualunque politica, ha l’ossatura di sostegno di una buona amministrazione. E a proposito dell’isola, ricorda la frase minacciosa "ti mando in Sardegna"? Avrebbero almeno potuto approfittarne per creare una burocrazia efficiente". In Sardegna non esistono nemmeno scuole alberghiere d’eccellenza, pur essendo l’isola costruita in buona parte sul turismo. "Vero. Noi abbiamo possibilità di sviluppo che anche se non esistono si possono innestare bene. È che non solo lo Stato ma neppure le amministrazioni regionali o comunali, hanno voluto creare qualcosa. In Sardegna più che altrove mi pare accada come nella religione egiziana". Religione egiziana? "Certo. Le antiche divinità si affiancavano a quelle nuove e alla fine restavano tutte. Così la Regione non è mai riuscita a sviluppare una politica di autonomia e questo ha fatto sì che le potenzialità isolane venissero dall’esterno. Il turismo dall’Aga Khan o dalle agenzie immobiliari lombarde, la prima industrializzazione sarda creata da Mussolini e che poi si è rivelata perdente non appena il mercato libero ha fatto a meno del carbone sardo. "La seconda industrializzazione del petrolifero che a noi sembrava una manna e che invece era costituito da materie inquinanti che venivano spedite a Sarroch, a Porto Torres o a Siracusa. Mi sembra che la debolezza principale dei sardi sia che si lamentano ma poi accettano qualunque cosa giunga dall’esterno. Per dirla in termini scientifici: è come se avessero tante fettine della pila ma non riuscissero a metterle assieme per partorire elettricità". Il problema forse è proprio questo. Nessuno tra gli intellettuali e i politici ammetterà mai che cinquant’anni di autonomia sono stati poco più di un’occasione sprecata. "Guardando dall’esterno c’è un’enorme distanza tra quel che si poteva fare e quel che si è raggiunto. Naturalmente il mondo è dappertutto imperfetto, in politica quando si dice dieci è già tanto se si riesce a ottenere tre". Che sensazione prova quando rientra, nel vedere un’isola indiscutibilmente bella e un paesaggio urbanistico così sciatto e maltrattato? Un fatalismo del non fare che unifica destra e sinistra e centro. Dall’opposizione si sparano cannonate, una volta al governo nemmeno il coraggio di dare una mano di calce alle case. "Arrivo a Cagliari, vedo il porto canale e mi sento male. Me lo ricordo da quand’ero ragazzo. Era già più o meno così. Doveva diventare un punto di smistamento per l’intero Mediterraneo e ancora non funziona. In più ha semidistrutto lo stagno di Santa Gilla. E per quel che riguarda paesi senza piano regolatore e senza decoro, davvero è un nonsense per cui nessuno paga mai. "Ricordo che un tempo esisteva un progetto su via Roma per lasciarla libera da costruzioni in modo si potesse vedere da ogni luogo la basilica di Bonaria. Ottone Bacaredda che era un grande sindaco aveva ben presente cosa significava il paesaggio per il capoluogo. Nell’isola c’è spesso un permissivismo per cui si costruisce e si pianifica il brutto di fronte ad un paesaggio eccezionalmente bello. Per contro negli ultimi anni Cagliari è ridiventata bella e gradevole, i palazzi del centro hanno ripreso i loro colori, gli antichi quartieri come Castello e Marina restituiscono la storia di una città che amava i traffici e i commerci. Solo che... Solo che? "Nel 2008, cioè fra sei anni, ci sarà un libero mercato di uomini e merci con i paesi del Nord Africa. Ecco, mi sembra che per il momento la Sardegna non tenga conto della sua posizione e del privilegio di poter fare dialogare culture così diverse come quella europea e quella africana o mediorientale. Anche economicamente le autostrade del mare si riveleranno fondamentali, visto che tutti cercano il modo per scappare dal sovraffollamento delle strade di terra e delle ferrovie". Molti parlano delle autostrade del mare. Eppure c’è la sensazione che la Sardegna abbia quasi paura di pianificare rapporti col Nord Africa. Quasi temesse d’esserne risucchiata. "Può darsi. Ma ci sono ancoraggi e proposte che meriterebbero d’esser ridefinite. Qualche anno fa la Regione sarda aveva avuto questa bella iniziativa di assegnare agli studenti sardi borse di studio perché facessero il dottorato di ricerca a New York o in altre sedi estere. Mi sembrava una buona moneta di scambio mentre il progetto di costruire centri di eccellenza nella ricerca che tuttavia restino per forza di cose isolati, mi pare un progetto vecchio. "Il problema è la rete, cioè i rapporti che un’università, un’istituzione intrattiene con gli altri. Perché ad esempio la Regione e i comuni non mettono in moto progetti per ospitare studenti di altre università italiane ed estere e poi mandarne lì dei loro? Erasmus dell’Unione europea è nato appunto per questo. Perché non sfruttarlo? Le università di Cagliari e Sassari del resto fanno già scambi con le università tunisine per quanto riguarda gli scavi archeologici e farmacologia ha ottimi rapporti col nord Europa e con gli Usa. Sarebbe fallimentare se pensassimo che tutto può essere risolto negli atenei di Cagliari e Sassari". Perché in Italia la ricerca è così debole e sottostimata da parte dell’istituzione politica? "Senta, gli istituti di ricerca italiani spendono la maggior parte dei quattrini a loro disposizione per gli stipendi dei dipendenti. E non è un caso che l’Italia impieghi nemmeno l’uno per cento del Pil per la ricerca, quando l’Europa è all’1,30 e i paesi leader al 2. In Giappone e negli Stati Uniti i finanziamenti per la ricerca sono cinque volte tanto quelli dell’Italia. Con Tiscali la Sardegna ha dimostrato di poter unire arcaico e moderno, passato e futuro. La ricerca con Internet non ha più centro né periferia. Si tratta solo di aver voglia di finanziarla, senza privilegiare altri progetti". Lo spazio è dunque un privilegio? "Certo. A patto che la si smetta di glorificare il turismo per poi sparare contro i pullman dei turisti ad Orgosolo o avere nei confronti di chi arriva dall’esterno una diffidenza che contravviene ogni depliant e ogni pubblicità. Senza più la pastorizia a far da motore in Barbagia o le miniere nel Sulcis, i paesi dell’interno sembrano vivere come mondi in declino che non sanno vedere le novità. Spetta naturalmente alla Regione informarli. Non per caso ad Alghero e in genere sulla costa le cose vanno diversamente. "I turisti non sono cavallette e l’interno della Sardegna potrebbe esser più appetibile se solo la Regione si muovesse più celermente. Mettendo in primo piano la qualità dei prodotti. Molto si è fatto per i vini, è bastato un enologo intelligente e rigoroso per rivoluzionare un mercato che prima viveva soltanto di prodotti buoni per il taglio dei vini più celebri. Ci sono altre zone, come la Maremma e la Corsica, che stanno superando se stesse nell’offerta turistica per ragioni simili a quelle della Sardegna. Non sono ancora intasate dalla folla, sfruttano i loro grandi spazi. E lo fanno con gentilezza e cortesia". Quanto pesa, o quanto aiuta, il passato in una regione come la Sardegna? "L’esperienza non è altro che quel il passato ci ha insegnato. Naturalmente occorre stare alla larga da un passato pietrificato. Farne un idolo non conviene a nessuno. Meglio prendere quel che ci serve e il resto buttarlo via". _______________________________________________ Il Sole24Ore 11 apr. ’02 SCUOLA, LA RIFORMA A OSTACOLI: PARERE NEGATIVODEL CNPI La ricetta Moratti incassa il parere negativo del Consiglio nazionale della pubblica istruzione Il Cnpi: «Inadeguato lo strumento della delega» - Critiche anche all'anticipo delle iscrizioni Marco Ludovico (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Cresce il dissenso sulla riforma della scuola. Il Cnpi (Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione) ha espresso ieri un parere molto severo sul testo del Governo. La Cisl ha inviato al ministro Letizia Moratti 7mila firme per protestare contro il riordino della scuola dell'infanzia. Il Ccd annuncia emendamenti al testo in discussione al Senato. E si prepara anche la protesta degli insegnanti, in coincidenza con lo sciopero generale. Ma il sottosegretario Valentina Aprea lancia un appello ai docenti affinché non partecipino alla manifestazione del 16 aprile. Il parere del Cnpi. Dopo quella Berlinguer-De Mauro, anche la riforma Moratti è bocciata dal Cnpi. Nel testo approvato ieri si sostiene come «la legge delega non sia lo strumento adeguato» e che manca «un reale coinvolgimento delle scuole». No del Cnpi «alla previsione di riservare alle Regioni una quota orario dei piani di studio, in quanto ciò comprometterebbe l'autonomia didattica e organizzativa» degli istituti». Pollice verso sull'anticipo delle iscrizioni: non si «condivide la scelta, a regime, dell'anticipo a due anni e mezzo per la frequenza della scuola dell'infanzia e a cinque anni e mezzo per quella elementare, sia perché la scelta adottata nell'articolato non tiene conto della storia e dell'esperienza della scuola dai 3 ai 6 anni, sia perché si lascia trasparire un'idea di scuola come servizio in cui pervale il carattere assistenziale su quello educativo». Negativo il giudizio sul "doppio canale": non ci sarebbero «adeguate garanzie circa l'effettiva uguaglianza che i percorsi dovrebbero invece assicurare». Forti dubbi, infine, sugli aspetti finanziari: «Nessuna riforma, e tanto meno quella della scuola, può essere realizzata a costo zero. Per queste ragioni - si legge nel documento - esprimiamo fortissime perplessità rispetto alla scelta di subordinare il piano programmatico di interventi finanziari per la realizzazione degli obiettivi della riforma alle compatibilità e ai vincoli di finanza pubblica, rendendo così aleatorio, ove non improbabile, il perseguimento degli obiettivi stessi». Le polemiche sull'anticipo delle iscrizioni. Il Ccd scende nuovamente in campo per modificare il testo della riforma. Lo ha dichiarato ieri il responsabile scuola, Beniamino Brocca - «presenteremo emendamenti» ha detto - e lo ha confermato il senatore Giuseppe Gaburro (Ccd): «Penso che potremo presentare emendamenti anche sull'anticipo delle iscrizioni». Durissima Maria Grazia Pagano (Ds): «Ricorreremo anche all'ostruzionismo, ma non fine a se stesso». Contro Giampaolo D'Andrea (Margherita): «Soltanto se il Governo ritira la delega potremo ragionare in modo costruttivo». Giuseppe Valditara (An) invece ribadisce la bontà del progetto dell'Esecutivo, ma sottolinea anche «la necessità di non fare le riforme a costo zero». Si tratta di alcuni dei senatori che in questi giorni stanno discutendo il Ddl in commissione Istruzione. Sui temi del personale, il sottosegretario Aprea ha detto che «anche quest'anno il turn-over dovrebbe essere molto alto e quindi, nonostante la riduzione degli organici di 8500 posti, potremo avere necessità di nuove assunzioni». Secondo il sottosegretario, inoltre, per il bando del concorso per i dirigenti scolastici ci sarebbe solo una «battuta d'arresto richiesta del ministero dell'Economia che, però, non è stata condivisa dal dicastero dell'Istruzione, che ha chiesto di rivedere questa posizione». _______________________________________________ L’Unione Sarda 12 apr. ’02 STUDENTI: VITA DA FUORI SEDE : problemi economici, lontananza dalla famiglia, solitudine ma anche nuovi stimoli e motivi di crescita. "Stiamo bene insieme" Vita da fuori sede: problemi economici, lontananza dalla famiglia, solitudine ma anche nuovi stimoli e motivi di crescita. "Stiamo bene insieme", in onda da oggi per otto puntate alle 20,45 su Raiuno, racconta la vita di un gruppo di studenti universitari e delle loro famiglie. Diretta da Elisabetta Lodoli (le prime 4 puntate) e da Vittorio Sindoni (le successive 4), la nuova serie è "come un rapporto del Censis, una fotografia dell’Italia contemporanea - ha detto Stefano Munafò direttore di Raifiction - per quel che riguarda il mondo universitario". E c’è un po’ vecchia e nuova Italia nelle storie dei sei ragazzi protagonisti che si ritrovano ad affrontare i problemi legati all’indipendenza dalla famiglia, dalle bollette da pagare alle difficoltà del mondo universitario. Oltre ovviamente ai temi di amicizia, sentimento e amore. ========================================================= _______________________________________________ Il Sole24Ore 9 apr. ’02 NUOVA SANITÀ: SALTA L'ESCLUSIVA Lo schema di riforma sullo stato giuridico sarà illustrato oggi a Regioni e sindacati: in settimana il primo esame al Consiglio dei ministri Per i medici il nodo dei costi Salta l'esclusiva - Ai camici bianchi verrà chiesto un impegno extra per ridurre le liste di attesa (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Libera professione per tutti i medici del Servizio sanitario nazionale e due soli rapporti di lavoro, a tempo pieno e tempo parziale, reversibili. La libera professione, individuale o d'équipe, dovrà garantire anzitutto l'azzeramento delle liste d'attesa, secondo programmi stabiliti dal l'azienda sanitaria e con un regolare compenso corrisposto ai medici per l'impegno extra orario, assimilato al reddito da lavoro dipendente. Solo dopo che le "code" non ci saranno più il medico potrà svolgere la libera professione "volontaria", richiesta cioè dal paziente. E le porte sono aperte perché la regola sia applicata anche agli altri dirigenti sanitari, purché laureati con un titolo di durata almeno quadriennale. È questa la chiave dello schema di disegno di legge di riforma dello stato giuridico dei medici predisposto dal ministro della Salute, Girolamo Sirchia. Già in settimana, lo schema dovrebbe andare al primo esame del Consiglio dei ministri; oggi sarà oggetto di un incontro al vertice fra le organizzazioni rappresentative dei camici bianchi e i governatori regionali, dopo che la scorsa settimana i sindacati hanno chiesto con forza l'intervento di Regioni e Funzione pubblica per avere garanzie sugli effetti che la nuova disciplina avrà sul contratto nazionale. Al tavolo di confronto ci saranno tutti: da Enzo Ghigo (Piemonte) e Vasco Errani (Emilia Romagna) - presidente e vicepresidente dei governatori alla guida della delegazione regionale di assessori - ai sindacati di Intersindacale medica, in disaccordo con la proposta del ministro e quelli di Intesa sindacale, che invece plaudono al cambio di rotta. Obiettivo: chiarire gli spazi di manovra che le Regioni, preoccupate di vedere impazzire la spesa per il personale, lasceranno alle nuove scelte e a quelle contrattuali. Il Ddl (cinque articoli che abrogano - come si legge nel testo - «tutte le disposizioni del Dlgs 502/1992 e successive modificazioni», quelle della riforma ter del Ssn, in sostanza, incompatibili con le nuove regole) dà precsie indicazioni anche sulle retribuzioni che toccheranno ai medici e sull'età pensionabile. E assicura, nell'ultimo articolo, il rispetto delle risorse indicate per la Sanità nel patto di stabilità dell'8 agosto 2001. Come dire: quelle sono le risorse e dentro quei fondi si deve restare. Il rapporto di lavoro. Tempo pieno per gli attuali dipendenti, qualunque sia stata la loro opzione per la "vecchia" esclusiva del rapporto di lavoro. A questo punto c'è incognita finanziaria: è da chiarire bene, infatti, se la specifica indennità di esclusiva, trasformata nella "nuova" indennità di tempo pieno verrà pagata a tutti i medici a tempo pieno. Invece, per chi non vorrà dedicare tutta la sua giornata all'azienda sanitaria da cui dipende ci sarà la possibilità del part time. Unica differenza l'orario, oggi di 38 ore per i dipendenti (che diventeranno a tempo pieno) e di 28 per quelli a tempo definito (che si trasformerà in tempo parziale). Una volta esaurite le liste d'attesa, i medici potranno svolgere la libera professione volontaria, all'interno delle strutture dell'azienda o in altre esterne "convenzionate", assolutamente separate da quelle per l'attività istituzionale e a tariffe concordate tra azienda e sindacati. Ma se i direttori generali non avranno provveduto ad assicurare entro sei mesi gli spazi, i professionisti potranno utilizzare liberamente strutture private non accreditate con il Ssn. Negli studi, a domicilio del paziente e nelle strutture non accreditate, invece, assoluta libertà d'azione per i medici, con tariffe legate alle regole dettate dall'Ordine professionale e purché l'attività privata non generi conflitti di interesse con quella istituzionale. Busta paga e reversibilità. La scelta tra tempo pieno e tempo parziale sarà reversibile e finché il contratto non detterà regole in materia, il cambio di rapporto di lavoro sarà autorizzato dall'azienda in base alle esigenze assistenziali. Al dirigente che passa dal tempo pieno al tempo parziale, toccherà la retribuzione prevista oggi per il tempo definito. A quelli che seguiranno il percorso opposto, spetterà la busta paga degli attuali dirigenti a rapporto esclusivo. Limiti di età. Il tetto per l'attività assistenziale dei medici è fissato a 67 anni. Per i dirigenti di struttura complessa (gli ex primari) l'azienda potrà allungare il limite anno per anno e fino a 70 anni. E per attività di formazione continua e ricerca, questi dirigenti potranno restare in servizio fino a 72 anni. Ma non potranno più occuparsi degli ammalati. Paolo Del Bufalo _______________________________________________ Il Sole24Ore 9 apr. ’02 NUOVA SANITA’: SULL'AGGIORNAMENTO OBBLIGO DA CHIARIRE ROMA - «I medici italiani meritano 8 in pagella: sono certamente migliori dei colleghi europei, ma purtroppo devono scontare le croniche carenze delle strutture sanitarie». Non ha dubbi sulla qualità dei professionisti della salute il presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnom), Giuseppe del Barone, che ammette: «Sono il presidente di tutti i camici bianchi, ma il mio cuore batte per la medicina di famiglia». A 15 mesi dall'elezione, Del Barone traccia un bilancio delle cose fatte e di quelle ancora da fare (l'intervista integrale è pubblicata sul numero di aprile del nuovo mensile in abbonamento «Il Sole-24 Ore Sanità-Medici», in distribuzione in questi giorni) e non risparmia critiche, giudizi e prese di posizione. In epoca di federalismo galoppante, Del Barone reclama per la Fnom anche compiti di garanzia dell'universalismo dei servizi e dell'equità del sistema sanitario, oltre che - naturalmente - dell'etica professionale. «I controlli sull'operato dei medici sono sacrosanti - spiega - ma non si può pensare di dare sempre ai medici di famiglia la colpa del boom della spesa farmaceutica: occorre riequilibrare tutto il sistema, senza cedere a un approccio puramente economicistico». Sul Ssn spirano venti di privatizzazione? «Allo stato attuale - afferma Del Barone - avverto, tra le righe, una certa tendenza a dare sempre più spazio alle assicurazioni sanitarie private. Se però si dovesse arrivare a degradare il Servizio sanitario pubblico per passare a un sistema simile al modello statunitense, allora alzerei la voce». Ha preso il via proprio in questi giorni (dopo una lunga fase sperimentale) il meccanismo dell'Educazione continua in medicina (Ecm) che obbliga i professionisti della sanità ad aggiornarsi costantemente, ma per il presidente dell'Ordine dei medici «siamo in una situazione di impasse e restano troppe cose da chiarire: i medici dovranno pagare di tasca propria la formazione obbligatoria? Come ci tuteliamo dal rischio di ingerenze da parte delle case farmaceutiche nell'organizzazione dei corsi? Che ruolo avranno le società scientifiche? Che ruolo, infine, si vuole lasciare agli Ordini?». Idee chiarissime anche sugli altri temi d'attualità. Le medicine alternative? «Non si possono ignorare visto che tanti cittadini le scelgono, l'importante è assicurare che a praticarle siano medici preparati». Le possibili influenze dei produttori di medicinali sui medici? «Stiamo lavorando a un documento comune con Farmindustria sull'utilizzo degli informatori scientifici e sull'organizzazione dei congressi». La crescita vertiginosa dei giudizi intentati da pazienti e familiari contro i medici? «Sarà sempre più necessario assicurarsi contro i rischi professionali, ma anche i cittadini devono rendersi conto che, al di là del diritto inviolabile a ricevere le cure migliori, la scienza non può salvare sempre tutti». E, infine, Del Barone lancia una raccomandazione da padre di famiglia: «Oggi non consiglieri a un giovane di studiare medicina». Ch.Ban. _______________________________________________ Il Sole24Ore 10 apr. ’02 NUOVA SANITÀ: SUI MEDICI ALTOLÀ DELLE REGIONI Dissenso sulla riforma dello stato giuridico dei camici bianchi Sui medici altolà delle Regioni: «Più risorse o non si va avanti» ROMA - Le Regioni danno l'altolà al Governo: senza maggiori risorse la riforma dello stato giuridico dei medici progettata dal ministro della Salute non va avanti. O va riscritta insieme. E con precise garanzie contrattuali. È con questo atteggiamento di massima cautela sullo schema di Ddl messo a punto da Girolamo Sirchia (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri), che ieri gli assessori alla Sanità di Emilia Romagna, Veneto e Liguria hanno spiegato la posizione dei governi locali ai sindacati di categoria. Un incontro che, pertanto, non ha portato ad alcuna conclusione. Tutti i sindacati aspettano di vederci chiaro in un tavolo a tre con Governo e Regioni. E la stessa maggioranza della Casa delle libertà sta decidendo in queste ore la sua posizione politica. Fabio Gava (Veneto, Centro-destra), capofila degli assessori alla Salute, non ha nascosto le sue perplessità. Soprattutto in riferimento alla copertura delle maggiori spese che la riforma rischia di portare con sé. «Se cambia la natura dell'esclusività del rapporto di lavoro dei medici, tutto andrà ridiscusso nel contratto. Con un'indennità di esclusiva data per acquisita, i conti andrebbero tutti al rialzo. E a quel punto dovrebbe pensarci il Governo. Oppure si deve trattare in sede di contratto per avere una contropartita a una indennità di esclusiva che si trasforma in indennità di tempo pieno». Più netto il giudizio di Giovanni Bissoni (Emilia Romagna, Centro-sinistra): «La nostra, come altre Regioni, non è disponibile a mantenere invariato il quadro finanziario se viene modificato quello normativo. Se le regole cambiano, le risorse "cadono". Nelle intenzioni del ministro - ha spiegato - la soluzione al problema delle liste di attesa sta nel pagare prestazioni in più ai medici con risorse a carico delle Regioni. Medici che manterrebbero comunque l'indennità di esclusiva anche lavorando a piacimento nel privato». In ballo, come noto, sono 1,65 miliardi € per pagare l'esclusività dei medici. Di più, ha aggiunto Bissoni: l'Emilia Romagna è pronta a fare carta straccia dell'eventuale nuova riforma, procedendo in proprio. In attesa di conoscere il verdetto politico della Cdl, i sindacati hanno confermato una profonda spaccatura. Anche se il "piatto ricco" preparato da Sirchia crea difficoltà di fronte alla "base" dei sindacati più distanti dal Governo. Assolutamente favorevole alla riforma, s'è detta ancora una volta la Cimo. «E' inconcepibile l'atteggiamento di ostinata chiusura di alcune Regioni che denunciano il pericolo di aumento delle spese nei confronti di una proposta che punta a risolvere due problemi reali: lo scandalo delle liste d'attesa e la libertà dell'atto medico, pur nel rispetto delle regole», ha dichiarato Stefano Biasioli, presidente del sindacato. «Non siamo disposti a rinunciare alle conquiste acquisite - ha dichiarato Serafino Zucchelli, leader dell'Anaao - e non accetteremo mai che la libera professione sia subordinata alla riduzione delle liste d'attesa, anche se siamo pronti a dare tutta la nostra collaborazione». Ma l'Intersindacale medica (Anaao, Fesmed, Umsped, Cgil, Civemp, Snabi) ha messo altri paletti alla proposta: la garanzia dell'attuale indennità di esclusiva e delle progressioni economiche acquisite, oltre al recupero del potere di acquisto in base al precedente contratto e al recente accordo sul pubblico impiego. Più drastica la Cgil-medici: «Se si tocca l'esclusiva - ha detto Roberto Polillo - siamo pronti a ritirare la firma dal contratto». Paolo Del Bufalo Roberto Turno _______________________________________________ La Stampa 11 apr. ’02 SIRCHIA: TROPPA MEDIOCRITÀ I MALATI ANDRANNO IN FRANCIA O GERMANIA IL MINISTRO: NELL´UE SIAMO MARGINALI. LA GENTE ANDRA´ IN FRANCIA O GERMANIA Sirchia: troppa mediocrità Si rischia la fuga dei malati «Per i farmaci non esiste alternativa: sì ai ticket oppure le tasse» «La mia riforma? E´ vantaggiosa sia per i medici sia per i cittadini» «La sanità italiana continua a investire in mediocrità. In Europa, oggi, siamo marginali: se non ci attrezzeremo a creare centri di eccellenza, i nostri malati andranno a farsi curare in Francia o in Germania». Dopo una settimana di polemiche e dichiarazioni misurate, il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, parla a ruota libera. In visita ieri a Torino al Centro Oncoematologico delle Molinette, ospite poi di Federsanità durante un dibattito sull´integrazione sanitaria, infine all´Istituto di Candiolo per la Ricerca e la Cura del Cancro, si stupisce: «La mia riforma? Contiene vantaggi sia per i cittadini, sia per i medici: i primi non saranno costretti a pagare per avere le prestazioni ospedaliere urgenti, i secondi potranno fare libera professione in ospedale, contribuendo alla riduzione delle liste d´attesa». Signor ministro, come pensa, in concreto, di azzerarle? «Nei nostri ospedali le attese sono indecorose. Ci sono persone che devono aspettare settimane e mesi anche per una prestazione urgente. Il presidente Ciampi, recentemente, parlando di questi malati, mi ha detto preoccupato "Li fate morire in lista d´attesa!". Gli ospedali dovranno cancellarle rivolgendosi a prestazioni esterne e alla libera professione, naturalmente a proprie spese. Il medico che sceglie di fare libera professione in ospedale dovrà dedicarsi, prima di tutto, a ridurre le liste d´attesa dell´ospedale». Sono tornati i ticket in farmacia, presto in Piemonte si pagherà anche il pronto soccorso. Provvedimenti inevitabili? «Ci sono alcune distorsioni nel sistema-Sanità che vanno corrette subito. Il problema delle liste d´attesa è uno. Ma c´è anche l´accesso improprio in pronto soccorso, e il problema dei farmaci. Si è cercato in tutti i modi di far capire che fare scorte di medicinali per poi buttarli è assurdo, eppure nel primo bimestre di quest´anno la spesa è cresciuta del 14 per cento rispetto allo stesso periodo dell´anno scorso. Credo che a questo punto sia dovere delle Regioni intervenire: non è possibile andare a picco perché ci sono abusi o inappropriatezze. Non si può sprecare, non esiste alternativa: o il ticket o le tasse». Signor ministro, molti sostengono che non sia questa la strada. Che si debba potenziare l´attività del territorio e dei medici di famiglia, se si vuole evitare l´intasamento in pronto soccorso. «Occorre attivare nel distretto studi medici associati che possano garantire la disponibilità dodici ore al giorno, naturalmente facendo sì che i medici turnino dalle 8 alle 20. Il nostro Paese non ha sviluppato centri di eccellenza, ma non ha saputo neppure organizzare il territorio: non ha pensato alle tossicodipendenze, alla psichiatria, agli anziani. In Italia non esiste un fondo per la non-autosufficienza». I medici di famiglia dicono però di non avere sufficienti strumenti... «Ovviamente devono essere messi nella condizione di fare un elettrocardiogramma, un´ecografia. Attraverso la telemedicina, la lettura di una lastra può essere fatta in un centro di eccellenza». Dove realizzare questi poliambulatori attrezzati, se mancano risorse economiche? «Le risorse si recuperano tagliando ciò che è inutile». E dai cosiddetti "rami secchi", cioè i piccoli ospedali di provincia? «Abbiamo ospedali che hanno ampi spazi da mettere a disposizione. Ci sono Chirurgie che ricoverano i vecchietti solo per far vedere che sono aperte. Ma bisognerà potenziare anche l´ospedalità a domicilio: in alcune regioni italiane avere una trasfusione a casa è quasi impossibile». Cancellare i piccoli ospedali, però, significa affrontare la rivolta dei sindaci. Non è una scelta politica facile. «Io penso alla salute dei malati. La politica non c´entra con i malati. Regioni e Comuni devono smetterla di litigare: non si può ridisegnare una rete ospedaliera metropolitana senza che i Comuni siano d´accordo». Anche le cure palliative per i malati di tumore sono un miraggio, in molti ospedali. Molti malati arrivano addirittura a chiedere l´eutanasia. «L´eutanasia non è una soluzione contro il dolore. Non è la strada giusta, è una scorciatoia che si presta a rischi incredibili. Un malato è debole per definizione. Ho visto tanta gente morire e tanta gente soffrire: in condizioni simili una persona firmerebbe qualsiasi cosa. Eppure, per somministrare oppiacei, i medici devono affrontare un mare di burocrazia che scoraggia». L´Istituto di Candiolo cerca nuove cure per sconfiggere il cancro. Quando il ministero lo promuoverà a istituto nazionale di carattere scientifico? «Mi sto impegnando personalmente, ma ci sono alcuni ostacoli giuridici da superare. Bisogna sedersi a un tavolo e ragionare: capire se si deve avviare una sperimentazione oppure trovare altre soluzioni che però competono alla Regione Piemonte». Marco Accossato _______________________________________________ L’Unione Sarda 12 apr. ’02 AZIENDA MISTA: "L’UNIVERSITÀ VUOLE L’ESCLUSIVA SULLA SANITÀ" Prosegue a suon di petizioni, proteste e dichiarazioni lo scontro tra Santissima Annunziata e Università. Dopo le dichiarazioni rilasciate dal direttore generale della Asl, Antonello Scanu scende in campo anche un’ottava sigla sindacale. A dire di no all’azienda mista ospedale-università ora c’è anche l’Acoi, che raccoglie i chirurghi ospedalieri italiani. Anche loro si dichiarano "parte attiva alle azioni congiunte nel combattere qualsiasi forma di scippo del Presidio ospedaliero sassarese". Mentre continua la raccolta di firme, i camici bianchi tengono a precisare le loro posizioni: "Non è vero, come hanno invece detto alcuni organi d’informazione, che non vogliamo l’applicazione del decreto 517". In alternativa all’azienda mista, i medici ospedalieri avanzano proposte concrete: "Chiediamo una corretta interpretazione nel rispetto dei parametri stabiliti: tre posti letto per ogni studente al primo anno di medicina". Come dire: azienda mista sì, ma solo per trecento posti letto, anziché i 1.400 del progetto in discussione a Cagliari. "Nessuno nega che l’università ha diritto a un’azienda integrata", sostengono i sindacati: "Ma il nostro ospedale deve rimanerne fuori. Tra policlinico e cliniche universitarie - precisano - ci sono posti letto sufficienti (626 circa) per creare l’azienda mista". L’articolo 2 del decreto, del resto, specifica che una struttura ospedaliera può fondersi in azienda mista solo qualora la gestione universitaria sia "prevalente": su questo presupposto essenziale i medici hanno dichiarato guerra. Insomma si lotta contro la creazione di un gigante sanitario da 1.400 posti letto. "Letti di cui l’università non ha bisogno e che con i suoi mezzi non riuscirebbe a gestire, mentre sarebbero sufficienti i 330 che risultano dai criteri del provvedimento (110 studenti iscritti al primo anno a cui vanno assegnati 3 posti letto ciascuno). Sarebbe il primo caso in Italia in cui un’università fagocita un ospedale. E l’utenza non potrebbe scegliere tra più alternative". I medici del Santissima Annunziata, in conclusione, si dichiarano disponibili ad accogliere gli studenti di medicina per la pratica nei loro reparti. A patto però che ognuno mantenga la propria autonomia. Per domani è previsto un incontro fra tutti i sindacati. Lo scontro continua. Gina Falchi _______________________________________________ L’Unione Sarda 12 apr. ’02 IL PRESIDE: "ECCO PERCHÉ L’AZIENDA MISTA È VANTAGGIOSA" Giulio Rosati difende la riforma: "Ecco perché l’azienda mista è vantaggiosa" L’ateneo bacchetta gli ospedalieri Il preside di Medicina: "Chi protesta è in malafede" I medici che protestano contro la costituzione di un’azienda ospedaliera mista? Pochi, non rappresentativi e in malafede. Parola di Giulio Rosati, preside della facoltà di Medicina. Che difende a spada tratta il progetto di dare vita a un superospedale, unendo Santissima Annunziata, cliniche universitarie e Policlinico, attualmente gestiti in modo separato. Signor preside, sa che contro questo progetto si è pronunciato l’80 per cento dei medici dell’ospedale? "Attenzione: si sono mosse sette sigle sindacali che rappresentano però la minoranza dei medici. Il sindacato più importante, l’Anao, quello che tratta il contratto nazionale di lavoro, non partecipa". I camici bianchi lamentano di non essere stati coinvolti nelle trattative. Cosa risponde? "Che ricordano male. Proprio in seguito alle proposte avanzate dai medici è stato deciso che tipo di azienda costituire. Non solo: la Regione istituì una commissione di cui facevano parte tre membri nominati dal rettore e tre dal direttore generale dell’Asl. In quella sede io stesso ho avanzato un’ipotesi che dovrebbe cancellare molte delle loro paure". E cioè? "E cioè il controllo dei dipartimenti della futura azienda: la mia proposta prevede che alcuni siano gestiti dall’università e altri dall’Asl". Eppure, secondo i firmatari della petizione, l’università è a favore della nascita del superospedale proprio perché ne avrebbe il controllo… "Ma il problema non è essere a favore o contro: le aziende miste devono essere costituite per legge. Lo prevedono due decreti che in Sardegna non sono mai stati attuati: la nostra è l’unica regione d’Italia ad essere ancora ferma alle vecchie normative del ’78". Secondo i medici che protestano, però, il Santissima Annunziata non può essere trasformato in azienda mista perché non vi è quella "prevalenza" dell’università di cui parla il decreto 517. È così? "No. In realtà l’università ha una posizione di preminenza nel sistema sanitario sassarese in quanto, con le sue cliniche convenzionate, garantisce 602 posti letto. Chi sostiene il contrario interpreta con malafede il testo di legge. In realtà, tutto ciò che desiderano è restare sotto l’amministrazione della Asl. E sa perché?". Lo dica lei. "Perché le aziende ospedaliere universitarie, come il Brotzu di Cagliari, vengono pagate dall’ente pubblico in base ai servizi materialmente erogati: più ricoveri, più soldi. La Asl, invece, riceve una quota capitaria (un tot per ogni residente nell’area di competenza), sia che funzioni sia che non funzioni. Ed è così che si spiega il deficit da 300 miliardi l’anno dell’Asl sassarese. Davanti a cifre del genere bisogna chiederci: è giusto mantenere il sistema attuale, o dobbiamo fare come Emilia e Lombardia, che hanno già i bilanci in pareggio?". Ma anche il superospedale avrebbe un costo per la collettività: per ogni prestazione erogata, per esempio una radiografia, avrebbe diritto a un bonus. Questo sarebbe un vantaggio, rispetto alle realtà periferiche come Thiesi, Ittiri, Alghero e Ozieri. Queste ultime non rischiano di sparire? "È lo spirito della riforma. D’altro canto, però, risparmieremmo tanti inutili doppioni (penso ai due reparti di pneumologia) e avremmo invece servizi di cui il territorio ha bisogno: come la Rianimazione per l’età pediatrica, che ci eviterebbe di mandare in giro tanti bambini per altri ospedali". Ultimo punto toccato dai medici: il rapporto tra posti letto e studenti iscritti in medicina… "Altra interpretazione a senso unico del testo di legge: l’articolo 7 del decreto stabilisce che il numero dei posti letto può essere aumentato in accordo con le regioni". Insomma, l’azienda mista ci converrebbe? "Assolutamente sì". Marco Noce _______________________________________________ L’Unione Sarda 9 apr. ’02 AZIENDA MISTA: VENTI DI GUERRA TRA MEDICI E ASL Secca replica di Scanu a chi protesta per l’azienda mista Venti di guerra tra medici e Asl "Non riesco a spiegarmi la presa di posizione dei medici ospedalieri e non capisco da cosa nasca la loro preoccupazione". È la secca replica del direttore generale della Asl n.1, Antonello Scanu, alla presa di posizione dei camici bianchi del Santissima Annunziata, che nei giorni scorsi hanno avviato una raccolta di firme (già arrivata all’ottanta per cento dei consensi) per opporsi all’azienda mista e che approderà in settimana sul tavolo della commissione regionale della Sanità. Da un lato quindi gli ospedalieri non vogliono "fondersi e confondersi con l’Università", dall’altro il direttore generale è favorevole alla fusione università-ospedale per due ragioni. "La nascita dell’azienda mista - spiega Scanu - sarebbe finalizzata a raggiungere l’obiettivo di una azienda ad alta specializzazione che garantirebbe prestazioni più elevate con meno distrazioni verso altre situazioni sanitarie". La fusione del Santissima Annunziata, delle cliniche convenzionate e del policlinico porterebbe, secondo il direttore generale, una ventata di rinnovamento che in termini medici significherebbe una migliore assistenza per l’utenza. "Ne deriverebbe una più stretta sinergia tra le due strutture - conclude Scanu - con dipendenti della stessa azienda e un rapporto quindi più funzionale". Insomma sembra proprio che tra medici e dirigenza sanitaria non ci sia soluzione di dialogo. Gina Falchi _______________________________________________ L’Unione Sarda 12 apr. ’02 AZIENDA MISTA: NUVOLI-«CARO SIRCHIA, FERMA L’UNIVERSITÀ» Il deputato di Forza Italia si schiera con la protesta dei medici della Asl e attacca l’ateneo Guerra della sanità: Nuvoli chiede l’intervento del ministro Approda sul tavolo del ministro della Sanità la guerra fra medici ospedalieri e università di Sassari. A chiedere l’intervento di Girolamo Sirchia è il deputato di Forza Italia Giampaolo Nuvoli. In un’interrogazione urgente indirizzata al ministro, l’ex sindaco di Ardara si schiera contro la nascita dell’azienda mista ospedaliero-universitaria, sposando in pieno la protesta dei camici bianchi e chiedendo a Sirchia di intervenire in prima persona per «garantire uniformità di trattamento e giustizia». In ballo, scrive Nuvoli, c’è il futuro dell’ «assistenza sanitaria del nord Sardegna garantita dal Santissima Annunziata, dalle cliniche universitarie convenzionate e dal policlinico»: la commissione regionale alla Sanità discute in questi giorni un progetto di accorpamento che creerebbe un superospedale da 1.400 posti letto. Contro questo progetto l’80 per cento dei medici ospedalieri sassaresi ha già firmato una petizione. D’accordo con i camici bianchi, il deputato azzurro chiede che «l’articolo 2 del decreto legislativo 517 venga imposto per impedire la nascita della azienda ospedaliero-universitaria in una realtà dove, di fatto, non c’è la prevalenza del Corso di laurea di medicina e chirurgia». E aggiunge: «I parametri indicati dai criteri applicativi del decreto sono del tutto incompatibili con l’idea di una gestione produttiva di un gigante sanitario di 1300 posti letto, e socialmente discutibile dato che si creerebbe un monopolio dell’università sulla sanità, causato dall’assenza di strutture private di rilievo». Non solo: il superospedale porterebbe a «un significativo ridimensionamento degli ospedali minori del territorio quali quelli di Alghero, Ittiri, Ozieri e Thiesi». In particolare, Ozieri «dovrebbe rinunciare alla prospettiva di costituire una nuova Azienda sanitaria locale per il suo territorio». Se il ministro Sirchia non intervenisse, conclude l’onorevole Nuvoli, «ci troveremmo immersi in una realtà democraticamente inaccettabile, in cui l’assistenza sanitaria verrebbe meno al controllo delle forze sociali e alla libera concorrenza del mercato». La battaglia si era annunciata cruenta fin dalle prime battute: a dare il via era stato un duro documento firmato dai sindacati dei medici ospedalieri. La discussione era approdata fra i banchi del consiglio regionale con l’interrogazione del consigliere dei Riformatori Gavino Cassano. A quel punto i camici bianchi hanno inviato una petizione alla presidente della commissione regionale della Sanità. Per l’università si è fatto sentire il preside di Medicina, Giulio Rosati, che ha risposto punto su punto alle argomentazioni della protesta. E lo scontro, dopo la discesa in campo di Nuvoli, continua. Gina Falchi _______________________________________________ L’Unione Sarda 13 apr. ’02 AZIENDA MISTA:«MA A NOI STUDENTI IL SUPEROSPEDALE CONVIENE» I rappresentanti degli iscritti in Medicina sono d’accordo col preside Rosati Gli studenti stanno con l’università. Entrano nella polemica attraverso i loro rappresentanti, e rispondono ai camici bianchi: «Nel contare i posti letto da assegnare ad ogni studente iscritto al primo anno di università Ñ precisa Giovanni Antonio Cocco Ñ i medici ospedalieri non considerano gli studenti iscritti ai corsi di diplomi delle professioni sanitarie, al corso di laurea in odontoiatria e gli specializzandi. In tutto, la nuova azienda avrebbe diritto a circa 1000 posti letto, e non 330: posti letto che porterebbero posti di lavoro». «L’attivazione dei protocolli d’intesa e l’istituzione dell’azienda ospedaliero- universitaria Ñ spiega Alessandra Nivoli Ñ sono un presupposto essenziale per l’attivazione delle nuove lauree triennali nelle professioni sanitarie: senza questi provvedimenti, gli studenti sarebbero penalizzati». Ed ecco perché sono favorevoli alla fusione del Santissima Annunziata con l’università: «Gli studenti che fanno il tirocinio non dovrebbero più sgomitare nei reparti sovraffollati delle cliniche universitarie», sottolinea Giovanni Rizzo. Anche il rapporto tra medici e pazienti cambierebbe in meglio: «Con la fusione Ñ dice Gianfrancesco Sale Ñ ci sarebbe una collaborazione sinergica tra le due strutture che sono già complementari l’una all’altra. Sarebbe così possibile creare nuovi posti di lavoro, preparando più professionisti e migliorando il servizio sanitario offerto all’utenza. Mentre da solo Ñ conclude Ñ il Santissima Annunziata non avrebbe i requisiti per diventare un ospedale di rilievo nazionale». Gi.Fa. _______________________________________________ L’Unione Sarda 8 apr. ’02 I MEDICI SARDI INCROCIANO I BISTURI CONTRO SIRCHIA Scatena un putiferio la riforma sanitaria che cambia il rapporto di lavoro degli ospedalieri Sindacati spaccati sulla proposta del ministro della Salute “Non si può giocare la mattina con la Roma e la sera con la Lazio”. Marcello Angius, segretario regionale dell’Anaao, inquadra in un’immagine sportiva il progetto del ministro della Sanità Sirchia, che reintroduce negli ospedali l’attività a tempo pieno e a tempo parziale. In pratica, tutti i medici potranno esercitare la libera professione. Una riforma esplosiva, che ha già scatenato le polemiche tra i 100 mila camici bianchi italiani inquadrati nelle cliniche pubbliche (3000 i sardi). Divisi anche i sindacati, con Anaao e Cgil piuttosto critici, Cimo e Uil decisamente entusiasti. Ma cosa c’è di rivoluzionario nel progetto presentato nei giorni scorsi dal ministro a Regioni e sindacati? Per capirlo bisogna fare un passo indietro, sino a un’altra riforma, varata nel ’99 dal ministro Bindi per disciplinare il rapporto di lavoro tra i medici e gli ospedali. Il provvedimento passò in un clima da guerra aperta tra “statalisti” e “liberisti”. Pietra dello scandalo, il “principio di esclusività”. In pratica il medico che optava per il rapporto esclusivo poteva esercitare la libera professione solo in ospedale (intra moenia) o, in mancanza di locali adatti, nel proprio studio privato, ma con tariffe professionali fissate dall’azienda. Scelta irreversibile, premiata con un’indennità di circa (700 euro per un dirigente di secondo livello). In alternativa, poteva scegliere di esercitare la libera professione dove e alle condizioni che ritenesse più vantaggiose. Doveva però lavorare in ospedale lo stesso numero di ore dell’esclusivista e senza i medesimi vantaggi economici. Al momento della scelta, oltre il 90 per cento dei camici bianchi si è orientato per l’ intra moenia. Sirchia ha cancellato tutto questo e soprattutto il principio di esclusività. I medici potranno lavorare a “tempo pieno” o “definito”. Tutti comunque potranno esercitare la libera professione. La riforma si presenta particolarmente vantaggiosa per gli ex “esclusivisti” perché, anche se sceglieranno il tempo pieno, manterranno l’indennità di 700 euro. Chi invece si orienterà per il tempo parziale, regolerà il proprio rapporto (numero di ore ecc.) direttamente con l’azienda. Un provvedimento adottato per risolvere il problema delle liste d’attesa, ha detto il ministro Sirchia «perché gli ospedali, le degenze e le radiologie non sono pienamente utilizzati. Per risolvere questo problema, dobbiamo prevedere la possibilità di tenere aperte più a lungo tali strutture e quindi di avere a disposizione, per più ore, i medici ospedalieri. Ma per raggiungere l’obiettivo, è necessario rivedere il rapporto di lavoro con l’ospedale». Impostazione respinta dal centro sinistra e da parte dei sindacati, che l’hanno giudicata eccessivamente liberista, sintomo di una contrapposizione in qualche misura ideologica. Come l’accusa di statalismo con la quale il centro destra aveva liquidato la riforma Bindi. «Siamo assolutamente contrari al provvedimento - spara Giovanni Pinna, segretario generale della Funzione pubblica Cgil - perché certamente non risolverà il problema delle liste d’attesa. E in ogni caso, lo affronta al di fuori della sanità pubblica, ricorrendo agli ambulatori privati a pagamento, con danno per i cittadini. C’è persino il rischio che il medico, di fronte a una lunga lista d’attesa, dirotti i pazienti nel proprio studio. Anziché rafforzare la medicina pubblica, mi sembra che il ministro voglia rafforzare quella privata. Orientamento in contrasto con quello manifestato a suo tempo dai medici, che optarono in misura plebiscitaria per il rapporto esclusivo con l’ospedale». Su un fronte completamente opposto Giuseppe Doneddu, segretario regionale Uil Sanità, che coglie numerosi aspetti positivi nella riforma Sirchia. «Ci troviamo di fronte - spiega - a una completa liberalizzazione del settore, coi medici esclusivisti che potranno continuare a svolgere attività privata intra moenia (come avveniva sinora) ma anche nel proprio studio privato. E, su richiesta dell’amministrazione ospedaliera, potranno anche svolgere un’ulteriore attività per smaltire le liste d’attesa. Altri medici potranno invece aveva un rapporto a tempo definito. Il nostro sindacato ha espresso apprezzamento per questa impostazione, anche perché, a suo tempo, si era espresso contro l’eccessiva aziendalizzazione imposta dalla riforma Bindi. E i risultati ci hanno dato ragione, perché quella legge non ha prodotto effetti positivi in materia di riduzione delle liste d’attesa». L’“apertura” decisa dal ministro della Sanità in materia di esercizio della professione sembra l’aspetto che ha più favorevolmente colpito i camici bianchi. Come rileva Antonio Dedoni, segretario regionale della Cimo, sindacato che da tempo si batte per una radicale modifica della legge Bindi. «Noi siamo molto favorevoli al provvedimento - spiega Dedoni - perché abbiamo sempre trovato assurda l’imposizione di una scelta professionale a vita. Per cui ci sembra positivo che un medico possa tornare sulle proprie scelte. Ed egualmente corretta ci sembra la possibilità di avere un rapporto a tempo definito, o comunque alternativo a quello esclusivo». Tra le accuse più spesso mosse alla Bindi dai sindacati, c’è quella di aver ridotto l’offerta di assistenza, costringendo molti medici ad abbandonare la sanità pubblica. «Ora molti torneranno sul mercato - aggiunge Dedoni - e chi avrà voglia e possibilità di lavorare potrà farlo». Tra i sindacati c’è anche chi, a suo tempo, contestò certe scelte ”autoritarie” dell’ex ministro Bindi, ma ora non apprezza le “aperture” di Sirchia. È il caso dell’Anaao. Per il segretario regionale Marcello Angius c’è il pericolo che «la riforma rappresenti un’opportunità molto favorevole per quei medici specialisti che possono esercitare la professione negli studi privati. Altri, invece, come radiologi e anestesisti, rischiano di restare penalizzati. Questo almeno prevedeva una delle tante stesure della riforma Sirchia». Per il rappresentante dell’Anaao «è falso che negli ospedali ci siano due canali: attività istituzionale e libera professione. Almeno in Sardegna, non è stato attivato a dovere il meccanismo che doveva consentire la libera attività in ospedale. In altre regioni invece proprio il lavoro intra moenia ha ridotto di molto le liste d’attesa. In conclusione, credo che da questa riforma non avranno niente da guadagnare né le regioni né, soprattutto, i cittadini». Fronte sindacale diviso, quindi, con opinioni diametralmente opposte. Gli eserciti sono già schierati, assolutamente vietato - come dice Angius - fare il doppio gioco. Lucio Salis «NON SIAMO PIÙ I MEDICI DELLA MUTUA» Ridono gli ospedalieri, piangono i medici di famiglia. Ai primi il ministro della Sanità Sirchia ha regalato l’indennità (minimo 500 euro al mese) concessa dalla Bindi in cambio del rapporto esclusivo con le cliniche pubbliche, agli altri la batosta (per ora annunciata) di un orario di lavoro di 12 ore al giorno. È l’ultima anticipazione di un piano Sanitario nazionale non privo di sorprese, come gli ambulatori aperti dalle 8 alle 20, sabato e domenica compresi. Una pacchia per i pazienti, non più costretti a consultare il calendario prima di andare “dal dottore”, mentre i 1400 medici di base sardi saranno costretti a fare i salti mortali per assicurare il servizio. Anche per questo il sindacato di categoria Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) si prepara alla guerra. «Obiettivo del ministro è ridurre il ricorso spesso ingiustificato al pronto soccorso senza il filtro dei medici di base e delle guardie mediche», dice il segretario regionale Antonio Carta. «Obiettivo condivisibile, ma la soluzione indicata è semplicistica e assolutamente inappropriata. Intanto bisognerebbe chiarire cosa significa tenere aperti gli ambulatori 12 ore al giorno: il singolo medico deve sobbarcarsi, da solo, un simile orario? Improponibile». Bisognerebbe spiegarlo al ministro, che appare piuttosto deciso a proseguire per la sua strada. Ma esistono alternative? «Il problema dovrebbe essere risolto a livello locale - spiega Carta - , perché l’accordo nazionale prevede forme di assistenza coordinata, come l’associazionismo, la medicina di gruppo, l’équipe territoriale, che potrebbero rappresentare una soluzione al problema». D’accordo, ma tutto questo quanto costerebbe? In sede nazionale il sindacato ha sparato una cifra oscillante dai 700 milioni al miliardo di euro. «Bisogna vedere quanto la Regione è disposta a investire e non mi pare che, per ora, abbia le idee molto chiare» risponde Carta. «Ho l’impressione che anche il ministro non abbia calcolato bene il costo di questa riforma. Perché per coprire un orario di 12 ore al giorno per tutta la settimana ci vogliono almeno quattro medici. Problema che si potrebbe risolvere formando società e cooperative». Ma, soldi a parte, Carta batte soprattutto su un altro aspetto del progetto. «Si rischia di mettere in crisi il rapporto di fiducia tra il “dottore” e il paziente, il quale potrebbe avere a che fare con quattro medici e non solo con quello di sua fiducia». Inutile obiettare che dietro la proposta di Sirchia sembra esserci una considerazione dei medici di famiglia non proprio esaltante. «Non sono d’accordo - precisa Carta. Il ministro considera la nostra figura indispensabile, ma deve sapere che, oltre all’attività ambulatoriale, facciamo le visite a domicilio, definite dal Piano sanitario nazionale “una priorità”. Non può quindi pretendere di incrementare le cure a casa e allo stesso tempo di tenere aperti gli ambulatori per 12 ore al giorno. Questi due aspetti vanno conciliati, altrimenti è una presa in giro». Ma forse Sirchia vuole incidere su una certo stereotipo - magari abusato - del medico di base infaticabile compilatore di ricette. «Questo personaggio, che richiamava il dottor Tersilli di Alberto Sordi - ribatte Carta - ultimamente è scomparso. La fiducia degli italiani nel medico di famiglia è confermata da tutte le indagini demoscopiche, compresa una condotta da Famiglia cristiana». Si ha comunque l’impressione che una riforma di questa portata sia passata sulla testa dei medici senza alcuna trattativa preliminare. La conferma arriva dallo stesso segretario della Fimmg, quando dice che «i sindacati non ne sapevano niente, e neppure molti esponenti della stessa parte politica del ministro, almeno a giudicare dalle reazioni». Anche perché Sirchia anticipa quasi giornalmente novità in campo sanitario, lasciando sconcertati coloro che vi sono coinvolti. «Ma la riforma deve essere organica ed è per questo che siamo fortemente critici nei confronti di quella che consideriamo solo un’ipotesi. Una boutade. D’accordo, ma ammetterà che alcuni medici aprono gli ambulatori senza tenere conto delle esigenze dei pazienti. «È vero - ammette Carta - ma le mele marce ci sono dappertutto. Le Asl hanno gli strumenti per controllare. Controllino». L. S. _______________________________________________ L’Unione Sarda 10 apr. ’02 NASCE A CAGLIARI UNA CITTADELLA DELLA SANITÀ Sorgerà nell’area dell’ex ospedale psichiatrico: ospiterà servizi e poliambulatori La realizzazione di una vera e propria cittadella sanitaria nell’area dell’ex ospedale psichiatrico a Cagliari (Villa Clara) è uno dei provvedimenti più importanti decisi ieri dalla Giunta regionale riunita sotto la direzione del presidente Mauro Pili. La decisione nasce da una proposta congiunta dell’ assessore della Sanità, Giorgio Oppi, e dei lavori pubblici, Silvestro Ladu, che modifica la localizzazione dei cinque sottoprogetti previsti dal «piano straordinario di interventi per la riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani». I cinque interventi di competenza dell’ azienda Asl 8 saranno concentrati in un’ unica area (appunto quella dell’ ex ospedale psichiatrico) «realizzando in questo modo - come hanno sottolineato Oppi e Ladu - un unico aggregato di servizi, all’interno di un’area di grande funzionalità, immersa in 10 ettari di parco attrezzato, con sette fabbricati in cui dislocare gli interventi previsti dal piano». In particolare troveranno spazio nell’ area dell’ ex ospedale psichiatrico i progetti per la riorganizzazione del servizio di tossicodipendenze; l’ accorpamento dei poliambulatori, servizio veterinario, sede del distretto; avranno poi la loro sede alcuni servizi dell’azienda quali materno infantile, psicosociale, igiene pubblica, sicurezza del lavoro; la realizzazione del centro di prevenzione oncologica e del centro operativo Adi. Inoltre, nell’ ex ospedale psichiatrico sarà realizzato il centro operativo del 118; il portale sanitario di Cagliari e circondario per servizi ospedalieri e specialistici. Nel complesso il programma prevede una spesa pari a 47.500.000 euro, di cui 23.746.688 a carico dello Stato, la rimanente quota, pari a circa 23.750.000 euro, a carico della Regione. La dislocazione in un’ unica area creerà una sorta di «cittadella», nella quale il cittadino potrà usufruire di un’ articolata gamma di servizi sanitari, con ampia disponibilità di parcheggi e facilmente raggiungibile dall’interno della città così come dall’ hinterland, visto il diretto contatto con i principali assi viari (SS 131, 554, asse mediano di scorrimento). Venti milioni di euro da spendere per nuovi ambulatori È tutto pronto: progetti, area, finanziamenti. E il nome (ideale): “Cittadella della sanità”. Nascerà a Monte Claro nei 10 ettari dell’ex ospedale psichiatrico e in sette fabbricati offrirà, a 390 mila assistiti di 30 Comuni, una serie di servizi che oggi la Asl8 assicura in città in vari locali e palazzi privati spendendo 5 miliardi di lire di affitto all’anno. Il via libera al piano (che prevede investimenti per 23.757.000 euro, circa 46 miliardi di lire) l’altro ieri quando la Giunta regionale, su proposta degli assessori Giorgio Oppi (Sanità) e Silvestro Ladu (Lavori pubblici) ha modificato la “localizzazione di cinque sottoprogetti” previsti dal “piano straordinario di interventi per la riqualificazione dell’ assistenza sanitaria nei grandi centri urbani”. A Monte Claro saranno sistemati una serie di poliambulatori di competenza della Asl 8 per raggiungere due principali obiettivi: favorire gli assistiti, che “potranno trovare - ha spiegato Efisio Aste, direttore generale dell’azienda sanitaria numero 8 - “in un’unica sede dotata di verde, parcheggi e facilmente raggiungibile dalle strade statali 131 e 554 e dall’asse mediano di scorrimento diversi ambulatori, uffici e servizi ora sparsi in vari punti della città”. Formeranno la “Cittadella della sanità” il servizio di tossicodipendenze, poliambulatori e il servizio veterinario con la sede del distretto; alcuni servizi dell’ azienda sanitaria (materno infantile, psicosociale, igiene pubblica, sicurezza del lavoro), il centro di prevenzione oncologica, il centro operativo assistenza domiciliare integrata ( Adi) e il centro operativo del 118. Il programma prevede una spesa di 47.500.000 euro: 23.746.688 a carico dello Stato, il resto (circa 23.750.000 euro) a carico della Regione. Secondo gli assessori Oppi e Ladu l’ individuazione dell’ area dell’ ex ospedale psichiatrico consente di “riorganizzare e riqualificare” i vari servizi sanitari “secondo criteri di razionalità urbanistica e di accessibilità”. Soddisfatti Efisio Aste ma anche i sindacati e Emanuele Sanna, primo firmatario il mese scorso di un’interpellanza di consiglieri regionali del centrosinistra, contrari allo scambio (poi saltato) di alcuni immobili tra il Comune e la Asl8. L’accordo (un’intesa di programma preliminare era già stato firmato dal sindaco Emilio Floris e Efisio Aste) prevedeva il passaggio al Comune dell’area di Monte Claro con l’ex ospedale psichiatrico, del vecchio ospedale Marino e due piani del palazzo civico di via Sonnino. La Asl 8, in cambio, avrebbe avuto l’ex mercato civico di via Pola e la metà dell’area dell’ex mattatoio comunale di via Po. «Esisteva l’esigenza comune», spiega Aste, «di garantire agli assistiti e alla città servizi efficienti e di qualità nel quadro di un efficace programma di interventi di edilizia sanitaria del Comune. Il sindaco era d’accordo, poi l’operazione non è andata in porto». Anche per l’opposizione dei consiglieri regionali del centrosinistra (“Perché non trasformare Monte Claro - suggerì Sanna - in un parco ambientale e sanitario?”) e dei sindacati. «Noi e la segreteria provinciale della Uil», spiega Tonio Murroni, coordinatore territoriale della Cgil-Funzione pubblica, «eravamo contrari all’ipotesi di accordo tra i due enti, e abbiamo chiesto soluzioni alternative». In una lettera al direttore generale dell’Asl 8 e all’assessore regionale alla Sanità, Cgil e Uil sollecitarono “una più utile, razionale e definitiva sistemazione logistica di tutti i servizi territoriali o amministrativi dell’Asl“, anche per contenere i costi “per gli affitti di immobili quasi sempre inadeguati e privi delle necessarie aree per i parcheggi”. Missione compiuta. Aste: «Ci siamo mossi con il ministero e la Regione e adesso, con il trasferimento a Monte Claro dei servizi risparmieremo almeno un miliardo e mezzo di lire di affitti, assicureremo agli assistiti verde e parcheggi sotterranei in un’area di via Liguria e libereremo il quinto e sesto piano del palazzo municipale di via Sonnino, ora occupati dalla Asl». Tempi per il battesimo: «Tre o quattro mesi per definire i progetti poi bandiremo la gara d’appalto». Pietro Picciau _______________________________________________ L’Unione Sarda 9 apr. ’02 FISIOTERAPISTI «LA ASL CI HA MESSO IN GINOCCHIO» Fisioterapisti sul piede di guerra: esclusi dalla lista delle cure gratuite Dopo i tagli, centinaia di posti di lavoro a rischio I fisioterapisti protestano per gli stipendi arretrati e contestano l’atteggiamento del sistema sanitario, che avrebbe messo in ginocchio i centri di riabilitazione della Sardegna. Centinaia di posti di lavoro, secondo quanto è emerso in un convegno sul Diritto alla riabilitazione e sulle sue prospettive, sarebbero a rischio dopo i tagli sui Livelli essenziali di assistenza (Lea), che hanno escluso la fisioterapia dalla lista delle cure gratuite. Secondo Rita Antoniazzi, fisioterapista della Logos, centinaia di pazienti avrebbero già perso l’assistenza gratuita e la possibilità di rivolgersi a uno dei tanti centri privati di riabilitazione convenzionati con lo Stato: «Questo ha già danneggiato i pazienti e i centri di cura, che stanno progressivamente perdendo terreno». Al convegno, ieri sera nell’aula magna della Clinica universitaria, hanno partecipato decine di operatori della fisioterapia, disabili, e i rappresentanti delle associazioni per la tutela dei malati. Sotto accusa i presunti ritardi con cui la Usl rimborserebbe le cliniche private convenzionate e l’atteggiamento della Regione che non sarebbe ancora intervenuta per sanare il problema. «E i fisioterapisti sono da gennaio senza stipendio», ha detto l’avvocato Massimo Lai, presidente dell’Associazione centri riabilitativi sardi (Acris): «Questo perché molte cliniche, soprattutto le più piccole, non riescono a star dietro alle spese. Almeno finché la Regione, attraverso la Usl, non si decide a pagare in anticipo l’80 per cento delle spese mensili di ogni centro convenzionato, come del resto prevede la legge». L’alternativa? «Garantire almeno per i debiti bancari acquisiti dalle strutture private». I fisioterapisti chiedono maggiore chiarezza e vorrebbero che i fondi regionali con l’ultimo bilancio siano immediatamente trasferiti alla Usl, che a sua volta dovrebbe smistarli tra i privati. «Nel frattempo i malati soffrono e l’intera società rischia di perdere le poche conquiste che sinora è riuscita a guadagnarsi», è stato il commento di Ignazio Onnis della consulta Handicap della Cgl mentre Licia Sanna dell’Associazione bambini cerebrolesi ha sottolineato i vantaggi della capillarità del servizio che la rete privata riesce a garantire. E dall’inizio dell’anno, come ha spiegato Franca Pretta del Tribunale dei malati, centinaia di pazienti hanno già protestato per aver perso, dopo i tagli del Lea, una grossa fetta di diritto alla salute. Nicola Perrotti _______________________________________________ Le Scienze 12 apr. ’02 BUSH SI SCAGLIA CONTRO LA CLONAZIONE La comunità scientifica cercherà di salvare almeno le ricerche a scopo terapeutico In un intervento al Congresso americano in cui sono state evocate fattorie di embrioni, bambini fatti su misura e donne disperate che vendono i loro ovuli, il presidente americano George Bush ha chiesto al senato di mettere fuorilegge tutte le forme di clonazione umana. Dicendo che la clonazione umana si è mossa dalla fantascienza alla scienza, Bush ha chiesto un bando non solo della clonazione intesa a produrre bambini su misura, ma anche delle tecniche che mirano ad aiutare i pazienti a far crescere i loro stessi tessuti per i trapianti. L'opinione di Bush contrasta con quella di una buona parte della comunità scientifica, che ha largamente appoggiato la ricerca sulle tecniche di clonazione. "Mentre cerchiamo di migliorare la vita degli uomini - a detto Bush durante il suo intervento - dobbiamo anche conservare la dignità umana. E per questo dobbiamo impedire la clonazione umana fermandola prima che inizi. Permettere la clonazione vorrebbe dire muoversi verso una società in cui gli esseri umani vengono fatti crescere per le parti di ricambio e i bambini ingegnerizzati secondo opportune specifiche, e questo non è accettabile." Bush ha in particolare lodato l'iniziativa di due senatori, che hanno proposto un bando di tutte le forme di clonazione, incluso il trasferimento nucleare somatico cellulare, il metodo usato per clonare pecore, topi e maiali. Il metodo consiste nel rimuovere il nucleo di un ovulo e rimpiazzarlo con quello di una cellula adulta, che può programmare l'ovulo a dividersi come se fosse stato fertilizzato da uno spermatozoo. Molti scienziati vorrebbero però compiere esperimenti con questo metodo, chiamato anche clonazione terapeutica, per vedere se esso può offrire una sorgente di cellule staminali embrionali. Secondo i ricercatori, il gruppo iniziale di cellule sarebbe solo tecnicamente un embrione e non sarebbe comunque destinato a diventare un bambino. Alcuni senatori americani si sono però mossi per salvare almeno questa forma di clonazione. Secondo Dianne Feinstein, senatrice della California, "è impensabile che il congresso proibisca una ricerca medica che offre speranza a così tante persone affette da malattie spesso incurabili." _______________________________________________ Le Scienze 10 apr. ’02 COMPOSTI PER LA RIPARAZIONE DEL MIDOLLO SPINALE La strategia terapeutica potrebbe un giorno essere utile anche nei casi di sclerosi multipla Un gruppo di ricercatori della John's Hopkins School of Medicine ha identificato una serie di composti che sembra superare un'importante ostacolo verso la rigenerazione dei tessuti nervosi, che potrebbe portare a nuove cure per la lesione della spina dorsale, la sclerosi multipla ed altri problemi neurologici. Studiando un meccanismo che inibisce la crescita dei nervi danneggiati, i ricercatori hanno scoperto composti che fanno sì che i nervi di topo recisi si rigenerino, almeno nelle condizioni controllate di un laboratorio. Lo studio è stato descritto durante il congresso dell’American Chemical Society, tenutosi a Orlando, in Florida. "I risultati - ha spiegato Ronald L. Schnaar, principale autore dello studio - si aggiungono a un crescente numero di prove a favore dell’ipotesi che la riparazione delle lesioni alla spina dorsale possa un giorno diventare possibile. In effetti, gli esperimenti sulle sostanze adatte allo scopo sono appena all'inizio." I nervi sono costituiti da assoni, lunghe estensioni che trasportano i segnali elettrici. Gli assoni sono avvolti da un isolante chiamato mielina, essenziale per la conduzione elettrica. Quando le cellule nervose vengono danneggiate, la mielina invia un segnale che impedisce agli assoni di rigenerarsi. Schnaar e i suoi colleghi hanno scoperto che molecole chiamate MAG (glicoproteina associata alla mielina) mandano segnali inibitori ad altre molecole complementari chiamate gangliosidi, sulla superficie delle cellule nervose. Mentre l'interazione fra MAG e gangliosidi è normalmente stabile, in caso di lesioni la proteina si lega ai gangliosidi raggruppandoli. Secondo i ricercatori, è proprio questo accumulo di gangliosidi sulla superficie delle cellule nervose ad impedire la ricrescita del nervo. Mentre l'inibizione della MAG è nota da tempo, il laboratorio di Schnaar è stato il primo a identificare i gangliosidi come bersagli per questa inibizione. I ricercatori hanno poi identificato anche quattro composti, fra cui un enzima che interferisce con l'interazione fra la MAG e i gangliosidi, in grado di indurre la rigenerazione dei nervi nei topi in condizioni di laboratorio. _______________________________________________ Repubblica 11 apr. ’02 SARDEGNA: L’ISOLA CHE COMBATTE I MALI MEDITERRANEI MA CON PESARO È SCONTRO Microcitemico di Cagliari tra cura e ricerca La struttura è un punto di riferimento anche fuori della Sardegna e non solo sulla betatalassemia DI PIER GIORGIO PINNA Cagliari Invidie e calunnie sono spesso diffuse nel mondo della sanità. Ma nel caso del Microcitemico, in Sardegna, tutti appaiono d’accordo su una valutazione positiva: il centro svolge da sempre un ruolo fondamentale. Sia nella prevenzione sia nell’assistenza. E prevenire qui si significa un fatto concreto: evitare la nascita di persone destinate a una vita di sacrifici. Per le cure l’attività si estende a tutta l’isola, con costanti collegamenti con i centri trasfusionali: i risultati hanno così permesso di portare la vita media massima dei pazienti a 40 anni. Un dato eccezionale. Soprattutto se si pensa che in passato i malati di rado superavano l’età dell’adolescenza e che c’è stato un calo vertiginoso nel loro numero. Ma che cos’è esattamente la betatalassemia? E’ una malattia che si sviluppa su base ereditaria e causa gravi alterazioni dei globuli rossi. Costringere i bimbi con questo drammatico problemi a continui ricambi di sangue per sopravvivere. L’unico modo per risolvere la situazione di dipendenza (ed evitare la morte) consiste nel trapianto di midollo spinale. Endemico in tutto il bacino del Mediterraneo, questo male è perciò conosciuto anche con il nome di anemia mediterranea. In Italia la regione più colpita è appunto la Sardegna. Nell’isola sono ancora affette dalla microcitemia 1.300 persone su una popolazione di poco meno di 1.600.000 abitanti. E ciò nonostante negli ultimi anni siano nati pochissimi bambini ammalati. Una campagna d’informazione capillare ha infatti ridotto i casi in maniera drastica. Basti pensare che in Sardegna quasi nessuna coppia mette al mondo figli prima di essersi sottoposta ai test per verificare se sia portatrice della malattia. E gli esami, col passare del tempo, hanno ridotto a zero le possibilità di errore. E’ stato proprio l’ospedale per le microcitemie di Cagliari a coordinare la complessa prevenzione. Il progetto, negli ultimi anni denominato «Cinque B» e guidato dal professor Antonio Cao, si è rivolto in particolare alle scuole. Ha permesso di stabilire che il 1012 per cento della popolazione sarda è portatrice sana di betatalassemia. L’incidenza più alta (13,2%) è stata registrata a Guasila, in provincia di Cagliari. Quella più bassa (7,5%) a Terralba, nell’Oristanese. I problemi genetici maggiori riguardano le aree dove, fino alla fine della seconda guerra mondiale, era più diffusa la malaria. La circostanza non deve stupire. Attraverso i secoli, i portatori dell’anemia mediterranea hanno mostrato di essere più resistenti all’invasione delle zanzare che provocano la malaria. E hanno quindi procreato in misura più accentuata degli individui sani. Oggi il Microcitemico è un centro all’avanguardia. Vi svolgono la loro preziosa attività una quindicina di medici, oltre diverse decine di assistenti e infermieri. Dallo scorso inverno lo dirige il professor Renzo Galanello. Soltanto per le trasfusioni, ogni giorno la struttura segue una ventina di pazienti. A loro, di volta in volta, si aggiungono molti altri malati e numerosi familiari, assistiti per le questioni più disparate. «In questi anni è stata messa insieme una macchina efficiente che dovrebbe continuare a operare in maniera duratura», spiega il professor Antonio Cao, per un quarto di secolo responsabile della lotta alle microcitemie. Vero pioniere in Italia nel settore, dal 1987 dirigente dell’Organizzazione mondiale della sanità, Cao continua oggi il suo impegno come direttore del Cnr nello stesso complesso ospedaliero. «Il futuro delle iniziative di contrasto risiede in larga misura nella terapia genica», spiega adesso il professore, «Sono stati fatti enormi passi avanti. Soprattutto nella sperimentazione sugli animali. Per proseguire occorrono però molti milioni di euro». L’aspetto economico assume così un rilievo di primo piano. Al contrario di altri reparti, infatti, il centro regionale non produce reddito in senso stretto. Nella logica di strutture trasformate in aziende sanitarie potrebbe anzi apparire in passivo. Ma si tratta naturalmente di concetti che non possono venire estesi a settori delicati come questo senza tener conto degli immensi benefici per la collettività (anche di carattere patrimoniale) già derivati dal grande lavoro svolto negli ultimi decenni. In definitiva, nel tempo il bilancio dell’attività del centro si è rivelato molto più che positivo. Con risparmi enormi per la società. Per capire meglio, è sufficiente ricordare i diversi comparti nei quali si sviluppa il lavoro. Oltre alla diagnosi prenatale e allo studio sulla terapia del Dna, ci sono la consultazione genetica, le varie strategie sul ricorso alla terapia tradizionale, l’uso dei farmaci alternativi sino ad arrivare ai trapianti. Non mancano persino iniziative di solidarietà per favorire la ricerca. Ma con Pesaro è scontro sui finanziamenti trapianti CAGLIARI Nella lotta contro l’anemia mediterranea i fondi certo non abbondano. L’ultima riprova è arrivata poche settimane fa. Il ministero della Sanità ha deciso di assegnare al reparto di Pesaro diretto dal professor Lucarelli 30 milioni di euro destinati a sorreggere l’attività per i trapianti. Un finanziamento che per la verità era atteso anche in Sardegna. «Il valore dei colleghi è fuori discussione» dicono a Cagliari, «tuttavia, quei soldi avrebbero fatto molto comodo pure qui da noi». Pesaro non è diventato unico centrobase per i trapianti del midollo osseo, «ma è sicuro che al ministero non siamo molto amati», è la conclusione amara degli operatori di Cagliari. (p. g. p.) _______________________________________________ Le Scienze 9 apr. ’02 DISTRUGGERE I TUMORI CEREBRALI CON GLI ULTRASUONI Una matrice di 320 trasmettitori focalizza le onde in specifiche posizioni Lo sviluppo della prima tecnica affidabile per focalizzare ultrasuoni all'interno del cranio potrebbe portare allo sviluppo di una cura non invasiva per i tumori cerebrali. Greg Clement e Kullervo Hynynen dell'Harvard Medical School hanno usato la tomografia computerizzata per controllare una matrice di 320 trasmettitori di ultrasuoni, che focalizzano le onde in specifiche posizioni all'interno del cranio. I ricercatori sono stati capaci di colpire i loro bersagli con una precisione di un millimetro, un risultato che rimuove l'ostacolo maggiore verso lo sviluppo di una cura a ultrasuoni per i tumori cerebrali. La tecnica è stata descritta in un articolo pubblicato sulla rivista "Physical Medical Biology". Gli ultrasuoni sono stati proposti come metodo per distruggere i tumori cerebrali già negli anni '40, ma il progresso è stato rallentato dal riscaldamento causato dalle onde a ultrasuoni e dalla difficoltà di focalizzarle accuratamente nella parte del cervello desiderata. Recentemente si è scoperto che il riscaldamento può essere ridotto usando una matrice di trasmettitori applicati al cranio, distribuendo così l'energia uniformemente. Per risolvere il problema della focalizzazione, Clement e Hynynen hanno sviluppato un algoritmo basato sullo spessore, la densità e l'orientamento del cranio per controllare una matrice emisferica di trasmettitori di ultrasuoni. I ricercatori hanno messo alla prova la loro tecnica su dieci crani umani, donati alla ricerca medica, che sono stati riempiti di acqua per simulare il tessuto cerebrale. Microfoni posizionati nell'acqua hanno rivelato la posizione del fuoco degli ultrasuoni. I ricercatori hanno determinato le caratteristiche fisiche dei crani riprendendo radiografie con la tecnica della tomografia computerizzata. I dati sono stati poi inseriti nell'algoritmo, che ha calcolato che l'onda emessa da ciascun trasmettitore deve avere per produrre il fuoco nella posizione desiderata. Clement e Hynynen ammettono che c'è ancora molta strada da fare, prima che il metodo possa venire usato su pazienti umani, ma sono comunque contenti dei risultati preliminari. "Crediamo – ha commentato Clement - che il nostro metodo rappresenti il primo approccio clinicamente fattibile per una chirurgia transcranica". Ora i ricercatori sperano di migliorare il loro modello per tenere in considerazione gli effetti di rifrazione all'interno del cranio e quelli dovuti agli strati interni dell'osso. _______________________________________________ Il Messaggero 13 apr. ’02 PARKINSON E STAMINALI:ANCORA NON C’È PROVA CHE FERMINO LA MALATTIA Milano, summit di neurologi MILANO - Malattia di Parkinson, contr’ordine. Non ci sarebbero prove scientificamente valide che un trapianto di cellule staminali possa fermarla. In un incontro a Milano gli scienziati criticano l’enfasi data a «un solo caso» descritto negli Usa come positivo. E danno, invece, notizia di uno studio che indica nella Spect (il mezzo diagnostico capace di individuare la malattia prima ancora che compaiano i sintomi clinici), e in un farmaco della famiglia dei dopaminoagonisti (pramipexolo), la sostanza capace di ritardare molto la progressione del male. Quanto ai trapianti di staminali, Gianni Pezzoli, direttore dell’Istituto Parkinson di Milano, ha detto che è opportuno «andarci molto cauti» e ha portato l’esempio di pazienti a New York in cui «il trapianto di cellule fetali nello striato ha indotto effetti collaterali tragici: movimenti involontari persistenti, che non si sa più come trattare». Al contrario, il controllo della malattia (200 mila malati in Italia e 1200 nuovi casi ogni anno) si sposta sempre più su due altri fattori, come la diagnosi precoce e un trattamento più appropriato. Lo studio Calm-Pd, presentato a Milano, appena pubblicato sulla rivista scientifica "Jama", e di cui si discuterà nei prossimi giorni negli Usa, a Denver, nell’ambito dell’American Academy of neurology, conferma questo indirizzo. «Lo studio dimostra - spiega Paolo Barone, responsabile del Centro Parkinson dell’università Federico II di Napoli - che il trattamento con pramipexolo è efficace anche all’esordio della malattia» _______________________________________________ L’Espresso 11 apr. ’02 PILLOLA ANTICONCEZIONALE L'AMICA KILLER Aumenta del 56 per cento il rischio di cancro alla mammella.E se si usa fino a 45 anni, anche del 144 per cento. Può causare trombosi e ictus. Dopo avere studiato a lungo gli effetti su centomila donne, nuove ricerche svelano i rischi degli ormoni di Agnese Codignola Tempi duri per l’anticoncezionale che ha cambiato la storia. Dopo più di quarant’anni di onorata carriera, infatti, la pillola inizia a mostrare qualche ruga e a doversi difendere da accuse pesanti, in realtà non nuove, ma riproposte ora con più forza: quelle di causare tumori al seno e al collo dell’utero e trombosi. All’ultimo congresso europeo sul cancro della mammella svoltosi a Barcellona nei giorni scorsi, la relazione pericolosa tra pillola e tumore è stata portata alla luce in maniera assai chiara da un imponente studio effettuato in Nord Europa su ben 103 mila donne di età compresa tra i 30 e i 49 anni, seguite per sette anni, tra le quali si sono registrati più di mille casi di cancro. Verificando le abitudini di tutte le donne, gli epidemiologi hanno scoperto che chi ha assunto la pillola in un qualunque momento della propria vita ha un rischio del 26 per cento più alto rispetto a quello di chi non ne ha mai fatto uso. Se poi l’assunzione si è protratta per lunghi periodi, tale valore sale al 56 per cento, fino a toccare un preoccupante 144 per cento se a 45 anni si fa ancora ricorso al contraccettivo orale. «Questi dati confermano diverse segnalazioni emerse negli ultimi anni»,commenta Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano in forze presso l’Istituto Mario Negri: «E non devono tradursi in un messaggio allarmistico, ma solo in un invito alla cautela e a sottoporsi ai controlli con regolarità. Innanzitutto l’aumento del rischio è proporzionale alla durata dell’assunzione e si normalizza in fretta dopo che si smette; inoltre i pericoli riguardano soprattutto le donne che hanno più di 35 anni; per le più giovani il rischio è minimo e difficilmente quantificabile». Della stessa opinione è Sandro Barni, direttore dell’Unità operativa di oncologia medica dell’Ospedale di Treviglio (Bergamo): «Nel bilancio complessivo della salute di una donna l’assunzione controllata di ormoni comporta rischi inferiori rispetto a quelli derivanti, per esempio, dalle gravidanze indesiderate, dagli aborti, dall’irregolarità mestruale, dall’osteoporosi, dai disturbi legati alla menopausa e alle fasi a essa precedenti. Naturalmente ogni situazione va valutata prendendo in considerazione tutti gli elementi e gli eventuali altri fattori negativi, ma non è corretto dire che la pillola fa venire il cancro: aumenta, in donne non più giovanissime, il rischio. È quindi necessario che coloro che decidono di assumere ormoni siano informate e si sottopongano regolarmente ai controlli che consentono di effettuare una diagnosi precoce». Ma c’è un altro organo che rischia, secondo uno studio appena pubblicato su “The Lancet”: l’utero che è stato colpito dal papillomavirus, un’infezione molto diffusa e già nota per predisporre alle neoplasie uterine. Secondo il Multicentric Cervical Cancer Study Group, un team di esperti sponsorizzato dall’International Agency for Research on Cancer di Lione, avere il papillomavirus e fare ricorso per lunghi periodi agli anticoncezionali orali significa quadruplicare la possibilità di sviluppare un cancro del collo dell’utero. «Anche in questo caso l’effetto sparisce al cessare dell’assunzione», spiega La Vecchia: «E il messaggio più importante lanciato dagli esperti dello Iarc, che ricalca quello valido per la mammella, è che bisogna invitare le donne che assumono la pillola a sottoporsi ai controlli per la presenza del papillomavirus, per la diagnosi precoce del cancro e per la verifica dello stato dell’apparato cardiovascolare». Il vero pericolo legato agli anticoncezionali orali, soprattutto in Italia (dove ne fa uso il 20 per cento circa delle donne), secondo La Vecchia è infatti quello della trombosi, ancora una volta un rischio noto da tempo ma sul quale, negli ultimi mesi, la discussione si è fatta spesso incandescente, anche a causa di alcune morti sospette. La polemica riguarda soprattutto le cosiddette pillole di terza generazione, che contengono due molecole chiamate levonorgestrel e gestodene. Introdotti all’inizio degli anni Novanta, questi farmaci dovevano contenere un dosaggio più basso di estrogeni e rappresentare quindi un miglioramento rispetto a quelle di seconda generazione, a base di levonorgestrel. «La componente progestinica, tuttavia, ha anche un’azione simile a quella degli estrogeni, quindi la concentrazione finale di sostanze ad attività estrogenica è probabilmente superiore alle precedenti», spiega La Vecchia. Nel 1995 i medici britannici sono stati avvisati del rischio e sono riusciti a trasferire l’informazione alle proprie pazienti, che da allora hanno ridotto in maniera drastica il consumo dei nuovi prodotti, tornando ai precedenti. «Ma in Italia non è così», spiega l’epidemiologo milanese: «Le cosiddette ultraleggere continuano a essere spinte dalle aziende e sono tuttora assunte con tranquillità, al punto che l’Emea, l’Ente europeo di controllo dei farmaci, si è sentito in dovere di lanciare l’allarme». Il richiamo è stato motivato anche da uno studio effetuato dallo University Medical Centre di Urtecht, in Olanda, su ben 114 ricerche condotte negli anni precedenti. Il risultato è stato davvero poco confortante: se con le pillole di seconda generazione le donne che vanno incontro a una trombosi sono tre su 10 mila, con quelle di terza generazione il loro numero sale a cinque. La dimostrazione concreta di che cosa significhi tutto ciò, del resto, si può trovare nelle aule dell’Alta Corte britannica, in questi giorni alle prese con una delle più grandi cause mai intentate contro le aziende farmaceutiche. Sul banco degli imputati siedono Wyeth, Organon Laboratories e Schering, chiamati in causa da più di cento donne che accusano le aziende di non averle informate a sufficienza sui potenziali danni per la salute. Tra esse vi sono stati episodi di trombosi, ictus, paralisi e, in sette casi, la morte. Il processo dovrebbe durare sei mesi e non si preannuncia facile, vista l’entità dei risarcimenti richiesti (quasi due milioni di euro) e il fatto che il rischio cardiovascolare è indicato nelle precauzioni allegate alle pillole. Si tratta comunque di donne ultraquarantenni che hanno assunto le pillole all’inizio degli anni Novanta: oggi, almeno in teoria, i medici sono più informati di allora e in grado di valutare meglio gli eventuali pericoli per ognuna delle proprie pazienti. L’importante è che il marketing delle aziende farmaceutiche non abbia la meglio sulla salute.